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JOHANN GOTTLIEB FICHTE

Fichte nasce in una famiglia poverissima. Studia a Jena e a Lipsia, qui conosce Kant e
lavora inizialmente come precettore. La sua prima opera Saggio di una critica di ogni
rivelazione è ispirato al kantismo, tanto che compare anonimo e fu scambiato per uno scritto
di Kant. Durante il governo prussiano questo saggio e altri vennero censurati e Fichte,
indignato, cercò di difendere la libertà. Dal 1794 al 1799 Fichte è professore all'università di
Jena e poi è costretto ad allontanarsi a causa di una sua dichiarazione dove identificava Dio
con l'ordine morale del mondo e quindi veniva accusato di ateismo. Fichte si reca dunque a
Berlino, dove al momento dell'invasione napoleonica pronunciò i famosi Discorsi alla
nazione tedesca.
A differenza di Kant, secondo cui l'io penso era finito perché limitato dalla cosa in sé, che
non riesce a risolvere, Fichte vuole formare una filosofia dell'infinito, dove il soggetto è
creatore della realtà e per questo potrà conoscerla tutta. Ciò rende l'io libero.
La dottrina della scienza
Fichte, nell’opera Fondamenti dell’intera dottrina della scienza, si pone quale sia il principio
di ogni scienza.
Questo principio è l’Io. Noi possiamo dire che qualcosa esiste solo rapportandolo alla nostra
conoscenza. Questo riconoscimento del ruolo assoluto del soggetto, detto anche "spirito",
sancisce la nascita di una nuova corrente filosofica: l’idealismo.
All’idealismo si contrappone il dogmatismo che, partendo dalla realtà esterna (oggetto) per
spiegare il soggetto, limitava l’autonomia e l’indipendenza del singolo. Abbracciare l’una o
l’altra filosofia significava, dunque, per Fichte essere dotati di un temperamento "fiacco" e
passivo, oppure attivo e votato alla libertà. L'idealismo fu una scelta di vita per Fichte.
L’io fichtiano non va inteso come il soggetto specifico (Ginevra, Greta, Giorgio), ma come un
Io puro, un'attività infinita e auto creatrice che ha una consapevolezza immediata ed
intuitiva di sé stessa.
Fichte articola quindi i tre principi dell'io:

1. (tesi) "l'io pone sé stesso". Per poter creare la realtà e quindi affermare qualsiasi
cosa, l’io deve poter affermare la propria esistenza poiché, se così non fosse, il
filosofo avrebbe il problema di comprendere chi ha posto l’Io;
2. (antitesi) "l’Io pone il non-Io". Per potersi realizzare come attività creatrice, il
soggetto (l'io) ha bisogno di trovare un ostacolo, un limite. Oppone, dunque, a sé
stesso un "non-Io" (natura, mondo, corpo) con cui lottare per potersi migliorare,
determinare, sviluppare.
3. (sintesi) "l’Io oppone, nell’Io, all’io divisibile, un non-Io divisibile". L’io infinito,
avendo posto il non-io, si trova ad essere limitato ad esso, ovvero ad esistere sotto
forma di un io divisibile, avente di fronte a sé altrettanti oggetti divisibili.

L'io è finito e infinito al tempo stesso (finito perché limitato dal non-io; infinito perché
esiste in relazione all’Io);
Questi principi non vanno interpretati in modo cronologico, bensì logico;
L’io non è tanto la sostanza degli io finiti ma la loro meta ideale (l’infinito per l’uomo si
configura come una missione e se l’uomo riuscisse a vincere tutti gli ostacoli che gli
impediscono il raggiungimento si annullerebbe come Io, cioè come attività);
La dottrina della conoscenza
Dall'azione dell'io e del non-io nascono sia la conoscenza (la "rappresentazione"), sia
l'azione morale. Per quanto concerne la rappresentazione, Fichte ritiene che sia il prodotto
di un'attività del non-io sull'io, ma poiché il non-io è posto dall’lo, la sua attività deriva proprio
da esso. Di conseguenza, Fichte si proclama realista e idealista al tempo stesso:

● realista perché la conoscenza è un'azione del non-io sull’io;


● idealista perché ritiene che il non-io sia già un prodotto dell'Io.

Tuttavia, questa dottrina genera alcuni problemi a cui Fichte trova una soluzione attraverso:

● la teoria dell’immaginazione produttiva, cioè l'attività creatrice inconscia degli


oggetti, attraverso cui l’Io, limitandosi, crea il non-io;
● i gradi della conoscenza (sul piano teoretico), cioè i passaggi con cui la coscienza,
progressivamente, si riappropria del materiale prodotto dall'immaginazione
produttiva.

Questi ultimi sono:

● sensazione, in cui l'io empirico avverte fuori di sé l'oggetto, come un dato che gli si
oppone;
● intuizione, in cui si ha la distinzione tra soggetto e oggetto e il coordinamento
spazio-temporale dei dati;
● intelletto, che fissa la molteplicità delle percezioni spazio-temporali mediante la
categorizzazione;
● giudizio, che fissa e articola la sintesi intellettiva;
● ragione, che essendo la facoltà di astrarre da ogni oggetto in generale, rappresenta
il massimo livello conoscitivo raggiungibile dal soggetto.

La dottrina morale
La conoscenza presuppone l'esistenza di un io (finito) e di un non-io (finito), ma non spiega il
perché di tale situazione.
Il motivo è di natura pratica: l'Io pone il non-io ed esiste come attività conoscente solo per
poter agire. Di conseguenza, la ragione non può essere neppure teoretica se non è pratica.
In tal modo, Fichte ritiene di aver consolidato il primato della ragione pratica su quella
teoretica enunciata da Kant.
Da ciò deriva la denominazione di idealismo etico al pensiero fichtiano, che si può
sintetizzare nella doppia tesi secondo cui noi esistiamo per agire e il mondo esiste solo
come teatro della nostra azione.
Agire significa imporre al non-io la legge dell’Io e il suo carattere morale sta nell’assumere
la forma del dovere, cioè di un imperativo volto a far trionfare lo spirito sulla materia.
Realizzarsi come attività morale significa trionfare sul limite costituito dal non-io tramite un
processo di auto liberazione dell’Io dei propri ostacoli. In tal modo, Fichte ha riconosciuto
nell’ideale etico il vero significato dell’infinità dell’Io.

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