Dal dibattito postkantiano sul problema della cosa in sé, Fichte ricava la spinta decisiva ad
abbandonare il criticismo ed approdare all’idealismo. L’obiettivo principale che Fichte si
pone, è quello di superare il dualismo tra fenomeno e noumeno unificandoli attraverso un
principio di unificazione primo ed incondizionato, costituito dall’attività pensante e creatrice
del pensiero, l’IO.
Quest’ultimo non può essere un fatto derivato dall’esperienza perché esso dipenderebbe
sempre da qualcos’altro. Esso sarà allora un atto assolutamente libero e incondizionato
attraverso il quale la coscienza si autodetermina, cioè costituisce il principio di se stessa.
L’intera scienza allora si fonda su un atto di autoposizione del soggetto attraverso il quale
l’io conferisce realtà se stesso e a ciò che lo circonda. Fichte racchiude nell’opera “dottrina
della scienza” tale attività del soggetto che si articola in tre momenti: la tesi, l’antitesi, la
sintesi. Questi tre principi corrispondono alle tre leggi fondamentali della logica che per
Fichte sono: il principio di identità, il principio di opposizione, il principio di ragione.
l’Io pone se stesso: cioè è causa del proprio essere. È a questa affermazione che corrisponde
il principio logico di identità. A=A. Da ciò si evince che l’esistenza di A, dipende dall’io
che la pone. Per poter porre l’esistenza di A, però, l’io deve porre automaticamente la sua;
dunque l’esistenza dell’io è necessaria. Fichte inoltre, intende giustificare il concetto
kantiano della spontaneità del conoscere attraverso una diretta intuizione intellettuale
dell’attività dell’io puro (che Kant aveva escluso, negando la possibilità di esistenza di
un’intuizione diversa da quella sensibile).
Ruolo dell’immaginazione
L’idealismo incontra però una difficoltà. Se dal punto di vista trascendentale è l’attività
spontanea dell’io a porre il non io, come mai nella coscienza empirica, esso se lo trova di
fronte come un dato a sé estraneo? Fichte distingue quindi due forme di attività dell’io: una
riflessa e consapevole e l’altra inconscia e corrisponde a quella tra filosofia e pensare
comune. Quando il filosofo riflette in modo universale sull’attività dell’io puro, di rende
conto che non può esistere reale estraneità tra soggetto ed oggetto. Quando invece la
coscienza comune si limita a conoscere un determinato aspetto degli oggetti, essa non è in
grado di ergersi ad un tale grado di astrazione.
A mediare i due piani, Fichte individua un’attività trascendentale dell’io : l’immaginazione.
L’atto di pensiero mediante cui l’io pone la materia del conoscere è un’attività inconscia,
celata alla consapevolezza empirica. Per questo, il pensare comune deve partire dalla
sensazione per poi elevarsi all’idea di oggetto opposto a sé. Solo l’atto successivo della
riflessione filosofica è in grado di risolvere la contraddizione “io opposto al non io”.
L’IDEALISMO ETICO
L’idealismo fichtiano è detto idealismo soggettivo o moralismo, poiché utilizza, come punto
di partenza la critica della ragione pratica.
Nella dottrina della scienza, Fichte afferma che per poter agire moralmente, l’uomo deve
sforzarsi a conoscere l’oggetto sul quale esercita la propria attività. L’io deve porre
inconsciamente il Non-io, per poterlo riconoscere come oggetto degno del suo sforzo
morale.
L’attività teoretica permette al soggetto di penetrare nella realtà dapprima sentita estranea
all’io stesso.
L’attività pratica, invece, gli fa superare la resistenza delle cose, quasi fossero ostacoli che
una volta superati conferiscono all’io la certezza della propria autonomia e libertà. Solo
dalla fusione di queste due attività emerge la verità dell’idealismo, che è una visione del
mondo funzionale ad un certo modo di agire.
Il tipo di filosofia che si sceglie dipende dall’uomo che si è o che si vuole divenire. Ma di
ciò che le realtà potrà divenire ne è consapevole solo chi assume come imperativo
categorico, l’impegno di trasformarla e di elevarla gradualmente. Dunque, il dover essere è
il nuovo nome per la realtà metafisica (in termini religiosi Dio o l’assoluto)
• Socialista: nella seconda fase egli inizia a concepire lo stato come una garanzia
sostanziale oltre che formale del diritto. Fichte non parla più di diritti individuali, poiché
l’individuo isolato è un’astrazione; esso infatti esiste solo in un concreto contesto
comunitario. Fichte sostituì quindi il modello meccanico e atomistico della società con un
nuovo modello di tipo organico. Egli inoltre ipotizzò la possibilità di limitazione nei
confronti di diversi diritti individuali (come la proprietà privata) per garantire l’equità tra
gli individui. Teorizzò inoltre lo stato commerciale chiuso (autarchico), che is mantiene
nei propri confini naturali, assicurando il benessere interno.
• Nazionalista: nell’ultima fase della propria evoluzione, Fichte accentua una posizione del
tutto nazionalistica. Egli esalta la superiorità linguistica della nazione tedesca, la quale ha
saputo conservare intatta la propria lingua indoeuropea originale. Secondo Fichte, infatti,
il popolo tedesco aveva una missione unica nel mondo, in considerazione e del suo
primato storico, culturale e linguistico sugli altri popoli europei.