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LA DOTTRINA DELLA SCIENZA

DOGMATICI E IDEALISTI
In base alla scelta del punto di partenza del filosofare, Fichte nell’introduzione
della “dottina della scienza” distingue:
- dogmatici sono coloro che presuppongono un inizio oggettivo
-l’oggetto condiziona il soggetto che conosce e tutto scaturisce da una
condizione
L’oggetto viene prima del soggetto

- idealisti sono coloro che presuppongono la soggettività come punto di


partenza e determina l’oggetto.
-Il soggetto viene prima dell’oggetto
I due sistemi sono incompatibili e non possono confutarsi vicendevolmente
perché si sviluppano su piani di partenza differenti

I due orientamenti sono distinti dalla libertà che caratterizza il soggetto


- per i dogmatici il soggetto è schiavo e determinato dall’oggetto e dalla natura
esterna
- per gli idealisti la libertà creatrice dell’io è dominante sulla natura esterna, il
soggetto è forza creatrice di ogni realtà

La scelta comporta una scelta di vita per esprimere ciò che l’uomo stesso è,
scegliere l’idealismo è un atto di fede, influenzato anche dal periodo della
Rivoluzione Francese e degli ideali delle libertà come capacità di svincolarsi
dalla schiavitù, della cultura contrapposta alla natura, della dimensione
soggettiva della civiltà, del soggetto che si nutre di cultura, posti contro
l’oggettività dogmatica delle leggi eterne del mondo

L’idealista edifica il mondo e lotta per il rinnovamento della civiltà e allo


sviluppo della cultura, vuole ingrigliare la natura secondo le leggi dell’io, non
essere schiavo di un sistema meccanicistico

I TRE PRINCIPI DELLA DOTTRINA DELLA SCIENZA


Fichte imposta un sistema della filosofia e un’organizzazione generale del
sapere basato su tre principi:
1. L’Io pone sè stesso come pura identità
L’io inteso da Fichte è PURO (per definizione kantiana) poichè FRUTTO DI
UNA PURA INTUIZIONE, l’io pone sè stesso perché si autoproduce come
condizione originaria
2. L’io si oppone un non io
L’io oppone a sè stesso un non io, come un riflesso che è frutto
dell’opposizione che l’io fa a sè stesso, tutto ciò che avviene avviene nell’io
( non è il non essere parmenideo perché non è fuori dell’io come negazione
assoluta )
3. Nell’io, l’io è determinato dal non io e il non io è delimitato dall’io
Fichte presuppone il non io, non trascindnete rispetto all’io, opposizione
dell’io, dove l’io è delimitato dal non io e il non io delimitato dall’io

LA RIVOLUZIONE DI FICHTE
La rivoluzione di Fichte consiste nel suo aver posto il
pensiero prima dell’identità
La filosofia di Fichte contesta il principio sulla base del
quale si è fondata la filosofia occidentale inaugurata
d’Aristotele, ovvero che il PRINCIPIO D’IDENTITA’ è a
fondamento di ogni possibile ragionamento.

Tale ragionamento risulta fallace in quanto dato che


A=A, affinchè ogni A possa essere identificato con sè
stesso il pensiero non è successivo alla consapevoleza
d’identità ma deve esserci un IO PREPOSTO che fa sì
che A possa pensarsi identico a sè stesso, quindi il
principio del filosofare non è il primcipio d’identità ma
L’AUTOPORSI DEL SOGGETTO COME PURA IDENTITA’

il principio del sapere è l’io che si autocrea come


condizione originaria e come origine dei pensieri
successivi: l’identità essendo originaria è origine di
ogni pensiero

La dialettica dell’io è la modalità in cui esso si pone con se stesso e col non-io.
Kant aveva definito la dialettica, che era scienza dell’apparenza. Fichte parte
dal Dio e dalla sua auto posizione, l’io che pone se stesso, la dialettica dell’io,
che oppone a sé il non-io. La posizione del non-io è inconsapevole. L’io
assoluto oppone a se stesso un non-io. Fichte risolve la rivoluzione
copernicana, perché mentre il sapere umano ritiene necessario che esista
qualcosa al di fuori dell’io, il non-io non è un atto di conoscenza, ma è
proiezione inconsapevole dell’io stesso. Fichte supera l’equivoco che consiste
nel fatto che non necessariamente, affinché il soggetto conosca, è necessaria
una distinzione tra il soggetto e il mondo. Nel l’idealismo è il soggetto stesso
che pone fuori di se qualcosa che gli appartiene e lo fa in maniera
inconsapevole. L’equivoco del sapere umano ritiene esistente qualcosa fuori
dell’io (il mondo) come condizione del sapere dell’io stesso, come ad esempio
in Kant. L’altro da sé dell’io, conseguenza dell’atto stesso dell’io, è una
proiezione inconsapevole dell’io. Il mondo per Kant era paralogismo, noumeno.
Fichte utilizza l’espressione kantiana di immaginazione produttiva, ovvero una
facoltà della mente capace di organizzare gli schemi trascendentali. Fichte
organizza invece questa attività dell’immaginazione produttiva in una maniera
diversa rispetto a quella kantiana. Dell’immaginazione produttiva tiene la
condizione di inconsapevolezza dell’atto, che tuttavia è causa di tanti equivoci.
Ma rispetto a Kant questa immaginazione produttiva di cui parla Fichte si
manifesta come creativa attività del pensiero, ed è l’espressione dell’assoluta
libertà dell’io. L’immaginazione genera l’idea dell’esteriorità del non io rispetto
all’io. Si assiste ad un urto tra io e non io, a causa di cui l’immaginazione pone
una realtà esterna come contrapposta all’io, che è l’insieme dei dati conoscibili.
Da questa posizione del non io viene fuori l’idea della natura oggettiva, pensata
dal soggetto. L’io non solo organizza, ma crea il mondo. L’opposizione io non-io
avviene nell’io stesso. Nell’io durante l’opposizione si vengono a generare i
singoli io finiti, che sono soggettivi, perché non hanno vita propria, e perché il
contrasto tra io e non io è la declinazione dell’attività dell’io assoluto. L’io li
colloca fuori di se e se ne riappropria attraverso la conoscenza. La sensibilità
spazio-temporale utilizza i dati esterni attraverso le categorie, ma alla base di
tutto c’è l’io. Esiste una sola natura, la natura soggettiva dell’io. Gli io finiti non
sono consapevoli di appartenere a questa natura, e per essi il mondo è
considerato esterno. I singoli uomini compiono una lotta titanica per riportare
l’altro a sé. Vi è uno sforzo di tensione all’infinito, che resta irrisolto e
costituisce la natura e la valenza creatrice di ogni io finito. In Fichte c’è uno
sforzo di superamento del limite che appartiene alla natura dell’umanità. Si
supera quindi l’ermeneutica della finitudine kantiana. Nel primo momento l’io è
limitato dal non io, e la condizione di limitazione dell’io finito parte dalla
conoscenza teoretica. L’oggetto vede nel soggetto il limite della propria libertà.
Nel secondo momento il non io è limitato dall’io, e la libertà dell’io delimita il
campo della natura. La dimensione della soggettività libera che impone le
proprie leggi alla natura oggettiva in Fichte diventa dimensione della moralità.
Fichte riprende l’idea kantiana della moralità. Mentre per Kant la filosofia
pratica e teoretica sono scienze distinte, ciascuna delle quali determina principi
propri, in Fichte il momento teoretico e quello pratico sono le successive
declinazioni del processo dialettico, il cui obiettivo è la riunificazione dell’io con
se stesso. Il processo all’infinito è la condizione di sviluppo sintetico che si
caratterizza come una progressiva affermazione del dominio dell’io sul mondo.
In questo processo lo scopo dell’uomo è il trionfo della volontà e della
razionalità sulla sensibilità. Nella “missione del dotto” mostra il primato della
prassi sulla teoresi, individuando la via per la saggezza umana. Scrive poi la
“visione dell’uomo”. C’è una contrapposizione netta che si ripercuote nel
singolo uomo in cui la volontà e la ragione devono trionfare sulla dimensione
sensibile. Rousseau parlava dell’uomo naturale come vero cittadino. In Fichte
invece la cultura si contrappone alla natura. Tipica dell’idealismo tedesco è
l’idea che il vero uomo sia quello sociale e civile (Aristotele e l’animale politico).
Lo spazio della cultura è lo spazio in cui l’uomo può essere veramente se stesso
e tendere al bene e alla felicità. La società è caratterizzata dalle disuguaglianza.
L’uomo di cultura lotta per correggere tutti i difetti della natura. Le classi sociali
traggono spunto dalle differenze naturali degli uomini,ma derivano dalla libera
scelta della ragione. Alla disuguaglianza naturale sembra contrapporsi con
l’avvento della cultura una sorta di disuguaglianza morale. I dotti hanno lo
scopo di guidar la società verso la realizzazione dell’uguaglianza. L’uomo deve
porre la propria volontà libera al di là i ogni costrizione e realizzare se stesso. È
nella dimensione etica che l’umanità dell’uomo trova compimento, e
presuppone che altre volontà libere ne facciano parte. Lo stato non è il fine
della società, ma il mezzo in cui si realizza la dimensione etica. Lo stato deve
garantire la libertà, la proprietà e il lavoro.

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