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L’(IMPRONUNCIABILE) JOHANN GOTTLIEB FICHTE

LA VITA
Nasce a Rammenau, in Sassonia, il 19 maggio 1962, da una famiglia poverissima, il padre era un guardiano
di oche. Grazie al suo genio venne notato da un nobile, il barone von Milititz, che gli pagò gli studi. Morto il
benefattore inizia a lavorare come precettore in Germania e a Zurigo, dove conosce la donna che diventerà
sua moglie. Nel 1790 torna a Lipsia dove conosce il pensiero kantiano. L’anno dopo si diresse fino a
Konisberg a piedi per conoscere e far leggere a Kant una sua prima opera, “Saggio di una critica di ogni
rivelazione”, un testo talmente impregnato di spirito kantiano che i pensatori del tempo pensavano fosse stato
scritto da lui, poiché Kant lo fece pubblicare in forma anonima, poiché Fichte poteva essere esposto ad
accuse da parte del Governo. Nel 1794 diventa professore all’università di Jena, fino al 1799 quando fu
accusato di essere ateo dopo la pubblicazione di un articolo sul “Giornale filosofico” di Jena, intitolato “Sul
fondamento della nostra credenza nel governo divino del mondo”, nel quale Fichte sviluppa la seconda
critica di Kant, considerando Dio come l’ordine morale del mondo. Inaccettabile dal punto di vista religioso
ortodosso (dio non solo ordine morale, ma anche creatore trascendente). Va a Berlino dove conosce i
romantici Schlegel, Schleiermacher e Tieck. Nel 1805 ottiene una cattedra ad Erlangen nei pressi di
Norimberga. Nel 1806 si trova a Konisberg durante l’invasione da parte delle truppe francesi,
successivamente torna a Berlino, ancora occupata dai francesi dove pronuncia i “Discorsi alla nazione
tedesca”. Diviene professore e rettore dell’università di Berlino, città dove poi morirà di tifo il 29 gennaio
1814. Fu contagiato dalla moglie dopo che Fichte la baciò convinto che fosse guarita.
LE OPERE.
Scrive dei testi sulla dottrina della scienza, come “I fondamenti dell’intera dottrina della scienza” nel 1794 ne
pubblica una prima edizione, poiché negli ultimi anni della sua vita sostanzialmente va a riprendere e
rielaborare le sue opere e il suo pensiero.
L’IDEALISMO ROMANTICO
Dopo Kant accadono due: prima degli studiosi formatisi sui testi kantiani, come Reinhold e Schulze, si
convincono che in Kant in fondo ci sia una contraddizione, cioè che il pensiero di Kant sviluppato
correttamente darebbe vita ad una forma di coscienzialismo. Kant ci ha spiegato che tutto ciò che
conosciamo è fenomeno, cioè sono conoscenze in cui ci appare alla coscienza in un rapporto soggetto
conoscente –oggetto conosciuto, questo rapporto è il rapporto fondamentale dell’esperienza conoscitiva, la
conoscenza che conosce attraverso la rappresentazione degli oggetti. Al di fuori di questa conoscenza
l’oggetto non può essere conosciuto, può essere soltanto pensato ma resta inconoscibile, si parla di
coscienzialismo poiché l’oggetto della conoscenza viene conosciuto soltanto perché entra in rapporto con la
mia coscienza, all’interno della coscienza al di fuori di questo rapporto possiamo pensare qualcosa, non
conoscerlo, questa cosa Kant la chiama noumeno o cosa in sé. Questo concetto di cosa in sé o noumeno è un
limite che Kant pone alla nostra mente, immaginando qualcosa di indipendente da noi fuori di noi. Questo
concetto per questi studiosi non è coerente, in quanto l’oggetto è concepibile sono in rapporto con la nostra
coscienza, non si può parlare di qualcosa in sé ed indipendente da noi, che non si potrebbe dunque neanche
pensare, è un concetto impossibile. Questi pensatori dunque vanno verso una direzione che è quella
dell’idealismo. L’idealismo tedesco, o romantico, è quella posizione filosofica per cui il mondo naturale,
cioè quello che noi pensiamo sia un mondo di oggetti esistenti fuori di noi, non è null’altro che il prodotto
del pensiero umano/soggetto pensante. Nell’idealismo il soggetto creatore e fondatore dell’universo è l’io,
che è l’io trascendentale/io penso limitato di Kant, completamente stravolto dagli idealisti (Fichte, Schelling
ed Hegel), diventa un IO assoluto, perde qualsiasi limite, è un soggetto collettivo trascendentale, e,
soprattutto Hegel, questi filosofi hanno una formazione prevalentemente teologica, ed infatti si nota una certa
somiglianza tra le caratteristiche di norma attribuite al dio cristiano e l’io da loro costituito.
Fichte definisce questo IO sia streben, cioè sforzo, che tathandlung, cioè l’azione di un’azione, un’azione che
produce sé stessa, è un agire che si produce agendo. L’io è un io attivo, all’origine di tutte le cose c’è un
soggetto assoluto che è un soggetto attivo, una vera e propria energia creatrice che per agire ha bisogno di un
ostacolo. Siccome questo soggetto è il soggetto creatore di tutte le cose se li dà da solo i limiti, abbiamo un
soggetto assoluto che pone sé stesso e pone il non io, avendo bisogno di agire. L’io pone sia sé stesso che il
non io.
L’idealismo è quella concezione filosofica che privilegia la dimensione delle idee. L’idealismo tedesco è
un’assolutizzazione ed infinitizzazione dell’umanità. gli studiosi che abbiamo visto criticare Kant producono
un idealismo gnoseologico, in cui l’oggetto della conoscenza è idea o rappresentazione. Mentre l’idealismo
romantico o tedesco, poiché nasce nel periodo romantico che pone le sue origini proprio in Germania dal
movimento letterario dello Sturm und drang, meglio definito come idealismo assoluto, è un idealismo
trascendentale, nel senso di soggettività kantiana assolutizzata. Non stiamo tornando ad una concezione
metafisica, perché prima dell’idealismo, l’assoluto era oggetto del pensiero, che non possiamo pensare di
dimostrare, mentre per gli idealisti l’assoluto è un soggetto trascendentale ed universale, qualcosa di
immanente ed umano.
Il mondo non è più qualcosa di estraneo all’uomo, da cui l’uomo si protegge o subisce, già con Bacone
abbiamo visto l’uomo che controlla la natura con la conoscenza di quest’ultima, dunque la nascita della
scienza, mentre in storia le scoperte geografiche, la conquista europea del mondo, il dominio sul mondo,
scoperte in virtù del progresso scientifico. La nascita degli stati moderni, organizzazioni politiche complesse,
l’uomo prende il possesso del mondo e della storia, nascono le prime costituzioni, ma anche l’assolutismo,
momento in cui l’uomo attraverso la ragione/la cultura organizza il mondo naturale, ma anche quello umano.
Dunque nel periodo dell’idealismo, l’uomo già è creatore del proprio mondo, finanche che si arriva alla
concezione per cui l’uomo è creatore anche dell’elemento materiale/della materia stessa, ma in realtà il
concetto di base ha una certa logica, non si può pensare la materia stessa del mondo indipendente dalla nostra
mente non la si può pensare. Tant’è vero che noi concepiamo la materia in totale dipendenza dalla nostra
concezione scientifica del mondo, la materia è quello che noi pensiamo della materia. Se la materia è ciò che
pensiamo della materia, la materia non è altro che noi che la pensiamo. Stesso concetto sul piano teologico,
come dirà anche Foierba, discepolo degli idealisti materialista, maestro di Marx, che dirà che non è Dio che
crea l’uomo, siamo noi che creiamo Dio, il concetto di dio trascendente è nella nostra mente, ed essendo il
padrone della nostra mente l’IO, è l’io a creare il concetto di Dio, noi attribuiamo quelle determinate
caratteristiche a dio. Per gli idealisti, che sono spiritualisti, non materialisti come Foierba, quando noi
pensiamo ad un dio trascendente, non stiamo che concependo la nostra stessa natura ma in maniera
imperfetta ed illusoria. Il dio creatore del mondo siamo noi, ma talvolta non ci riconosciamo come tali e
quindi immaginiamo un dio che abbiamo la natura del nostro IO. Proiettiamo la nostra natura in un soggetto
trascendente e lo inventiamo, quando ci riappropriamo di questa nostra natura, facciamo filosofia,
riconosciamo di essere noi soggetti assoluti. Infatti per queste filosofie il culmine del sapere è la filosofia,
non la religione. Come dice Hegel nel pensiero assoluto nella filosofia il soggetto riconosce sé stesso.
Questo soggetto assoluto non è statico, ma dinamico/attivo/creatore/streben dirà Fichte. È un io immanente e
spirituale, queste filosofie sono forme di panteismo spiritualistico, un dio immanente e spirituale, un soggetto
pensante che domina tutte le cose, ed un monismo (soggetto assoluto) dialettico (dovrà contrapporre a sé
stesso qualcosa per svilupparsi).
LA DOTTRINA DELLA SCIENZA
Dall’io kantiano che deve confrontarsi con l’esperienza, un io che è attività, ma attività limitata
dall’esperienza, si passa attraverso la critica chimerica, dunque un qualcosa, un costrutto
dell’immaginazione, secondo i critici di kant. Si passa ad un io che non è solo principio formale (non dà
soltanto la forma all’esperienza), ma anche materiale (la materia). La materia sensibile è il prodotto di un io
spirituale, di una ragione, di un io penso. Le cui caratteristiche sono assoluta attività e spontaneità,
riprendendo dunque le caratteristiche dell’io penso (che applica le funzioni delle categorie alla realtà)
kantiano stravolgendolo e togliendo ogni limite che sia estraneo allo stesso IO. Questa assoluta attività e
spontaneità è anche libertà, dunque ci troviamo dinanzi ad un umanesimo radicale, da cui prenderà spunto
anche l’umanesimo radicale non idealistico, ma materialistico di Marx. Fichte scrive un’opera, Fondamenti
dell’intera dottrina della scienza, poiché secondo lui la filosofia è una conoscenza dell’assoluto ed è anche
una scienza della scienza, cioè una conoscenza che mette in evidenza i principi fondamentali di ogni sapere,
perciò dottrina della scienza.
Ragiona sul fondamento del nostro sapere, che per Fichte è l’io come autocoscienza. Il sapere è il sapere
della coscienza, ogni oggetto conosciuto è oggetto conosciuto da una conoscenza. Ogni oggetto della
conoscenza è sempre un essere per noi, è in rapporto con la coscienza. La coscienza è il fondamento
dell’essere, esistono le cose perché noi ne abbiamo coscienza, è a sua volta consapevole di sé. Come per le
appercezioni di Leibniz e di Kant, l’io è anche appercezione trascendentale, è consapevolezza di sé, è
autocoscienza. Al fondo di tutte le cose c’è coscienza che è autocoscienza. Non c’è nulla al di fuori del
rapporto con la coscienza, ma la coscienza è quello che è in quanto autocoscienza, cioè in quanto
consapevolezza di sé (dunque una ragione consapevole di sé). In kant abbiamo un sapere che per definizione
si presenta come limitato, all’interno del limite è valido. Mentre con gli idealisti abbiamo un sapere che per
definizione si presenta come assoluto, è l’ultimo grande momento di assolutezza della filosofia, con Hegel,
dopo abbiamo solo pochi esempi, come la fenomenologia di Husserl. Successivamente la pluralità delle
scienze e il relativismo rendono impossibile una visione d’insieme complessiva, Hegel sarà l’ultimo che
porterà queste pretese assolute come scrive nella sua opera “Enciclopedia delle scienze filosofiche in
compendio”.
Gli idealisti pensavano di poter offrire una scienza assoluta della coscienza e della realtà, questa coscienza si
fonda su un principio che per Fichte è il principio dell’io. Il principio logico di ogni sapere è quello
aristotelico d’identità, l’identità della coscienza dell’io con sé stesso. L’io non può affermare nulla, se non
afferma in primo luogo la sua esistenza, già visto con Cartesio (la certezza che nasce dal pensare, “cogito
ergo sum”), l’io è autocoscienza che producendo sé stessa produce anche il mondo. Tutta la realtà e tutta la
scienza della realtà si fonda sull’io: che è coscienza del mondo che produce e coscienza di sé che è a sua
volta il prodotto di sé stesso. L’io è auto creazione (Giovanni Gentile, pensatore del 900 e ministro
dell’istruzione teorico del fascismo italiano, che interpretava Hegel attraverso Fichte, parlava di
AUTOPOIESI e AUTOMNOESI, il pensiero che produce la realtà, ma in primo luogo produce sé stesso),
questo soggetto spirituale è una sorta di energia attiva che in primis pone sé stesso, produce sé stesso
pensandosi. L’autocreazione è presentata come un’intuizione intellettuale, ciò che per Kant non può esistere,
in quanto puramente a priori. Come per Spinoza e l’intuizione intellettuale dell’amor dei intellectualis
scientia dei, in questo caso però questa intuizione è la Sostanza, l’oggetto dell’intuizione è altro da noi, è la
sostanza che rispetto a noi è oggetto (la sostanza dell’oggetto conosciuto è conosciuta tramite un’intuizione
intellettuale). Nel caso di Fichte, noi come soggetto trascendentale, come umanità, siamo intuizione
intellettuale, non di un oggetto, ma del soggetto, di sé stesso, esiste soltanto il soggetto come principio
originario.
Ci sono tre principi della filosofia di Fichte:
1. Il primo principio dice che l’io pone sé stesso, all’origine della realtà vi è un’energia attiva che
produce sé stessa, che non è già presente, ma producendo sé stessa produce anche la realtà. Produce
sé stessa come attività che sul piano teoretico possiamo chiamare intuizione intellettuale,
conoscendosi si produce. Non abbiamo più una netta distinzione tra il pensare e l’agire. Si inverte un
principio fondamentale della metafisica: OPERARI SEQUITUR ESSE, l’agire di qualcosa è
conseguente al suo essere. Fichte afferma invece ESSE SEQUITUR OPERARI: l’essere è
conseguenza dell’operare dell’io, concezione attivistica. L’io per Fichte è una libertà, che è un agire,
come poi vedremo in Marx sul piano della storia (l’uomo non è un prodotto di un dio o della natura,
ma della storia in cui genera sé stesso, visione materialistica). L’io è allo stesso tempo attività agente
(TAT), e prodotto dell’azione stessa (HANDLUNG), dunque è tathandlung, il principio è un’azione
di un’azione. Quello che Goethe rende nei primi versi del Faust: “in principio era l’azione”, che è
una trasformazione consapevole del prologo del vangelo di Giovanni “en arché en o logos”, “in
principio c’era la parola”.
2. Il secondo principio stabilisce che se l’io pone sé stesso e non potrebbe essere azione senza un limite
dell’azione, che non può venire dall’esterno in quanto non esiste un esterno, quindi deve porlo da
solo. Dunque l’io pone il non io (la natura), non possiamo vivere senza ostacoli, in quanto se così
fosse non si potrebbe agire. Finanche questo io assoluto penserà che per essere sé stesso deve
scontrarsi con qualcosa. Non può esserci vita senza dialettica, ci sarebbe la morte in uno stato di
perfetto compiacimento, come abbiamo visto con Hobbes e con Spinoza, anche per il concetto del
desiderio: la fine del desiderio porta la fine di tutte le cose, senza desideri non c’è vita. L’io è un
principio dominato dalla vita, quindi dal contrasto. Addirittura Schelling ipotizza nell’assoluto un
fondo oscuro, che deve essere poi da slancio per l’assoluto come positività.
3. Il terzo principio, spiega la condizione del mondo reale nel senso di empirico, dice che l’io pone
nell’io all’io divisibile un non io divisibile. La realtà che noi vediamo non è altro che il prodotto di
un agire dell’io che in sé stesso, nell’io, contrappone degli io divisibili, o meglio finiti, a dei noi io
divisibili, cioè le cose naturali, gli oggetti concreti. L’io produce il mondo nell’io opponendo due
limitazioni contrastanti dei due principi originari, l’io e nel non io.
Sono principi logici, non disposti cronologicamente. L’io è infinito e finito, l’insieme degli io finiti
costituisce l’umanità, dunque l’io infinito. L’io infinito non è una sostanza è un compito, più conosciamo,
più agiamo, più siamo liberi, più realizziamo l’io infinito in noi. L’io infinito non è una cosa che c’è, è una
cosa che si fa e si fa anche attraverso il nostro operare. Noi stessi siamo con la nostra libertà un continuo
superare ostacoli e limiti, nel superarli siamo uno sforzo infinito di cui l’io è l’obbiettivo (postulato di
immortalità dell’anima di Kant). Sostanzialmente l’io infinito è lo sforzo infinito di
perfezionamento/infinitizzazione.
LA STRUTTURA DIALETTICA DELL’IO
L’io presenta una struttura dialettica, esiste qualcosa se vive e la vita è opposizioni e superamento di limiti, e
triadica, si articola dunque nei tre momenti di tesi-antitesi-sintesi incentrata dunque sul concetto di una
sintesi degli opposti. Concetto già visto in Eraclito, la contraddizione è il fondo di tutte le cose, la natura è
costituita da opposti inscindibili, che vediamo in Fichte, ma ancor più in Hegel, in ogni cosa c’è l’identità
con sé stessa, ma anche la contraddizione. Ogni lotta è fondamentale per l’esistenza dell’io e anche se
pensiamo che uno scontro tra tesi e antitesi si risolva in una sintesi, dobbiamo sempre pensare che la sintesi
non sarà il punto di arrivo, la pacificazione, la morta gora (DANTE), invece ogni sintesi, ogni superamento
di un conflitto è la base di un nuovo conflitto, di una nuova vita. Dunque abbiamo una visione dialettica del
reale, perciò dinamica e progressiva.
LA SCELTA TRA IDEALISMO E DOGMATISMO
Nella Prima introduzione alla dottrina della scienza, Fichte sostiene che tra i due sistemi filosofici, quello
dogmatico (concezione per cui si parte dall’oggetto, tradizionale, che Kant supera e in maniera più chiara gli
idealisti, c’è un mondo fuori di noi e la nostra intelligenza non può far altro che rispecchiarlo, il mondo
oggettivo viene prima e il soggetto si adatta/si conforma) e quello idealistico (quella filosofia che parte dal
soggetto, dall’io), bisogna scegliere. Per Fichte questi sistemi filosofici sono da scegliersi non in base ad una
pura confutazione teoretica, nessuno dei due può essere confutato sul piano teoretico, sarebbero sostenibili
entrambi. Quello che spinge a scegliere un sistema, è una presa di posizione che dipende dal soggetto stesso,
legata alla propria concezione di sé stesso come soggetto, la propria concezione di libertà. Chi di noi tende a
conformarsi, accettare il mondo com’è, essere fatalista, agiamo sulla base della conoscenza, sentire poco o
per nulla la propria libertà tenderà verso il dogmatismo. Mentre chi ha una concezione attivistica della
propria stessa vita, chi di noi tende a non accettare il dato in quanto tale, conosciamo il mondo agendo, avere
una visione improntata sulla libertà per Fichte tenderemo ad essere idealisti. In un secondo momento si
corregge, poiché la spiegazione sembrava essere troppo soggettiva, poiché questa spiegazione sul piano
filosofico non regge, tenterà di giustificare teoricamente la superiorità dell’idealismo sul dogmatismo, però
resta un fatto di tipo esistenziale, è una scelta esistenziale, morale. Per Fichte bisogna scegliere l’idealismo in
quanto dottrina della libertà, che determina, crea e ponga l’oggetto. D’altra parte il dogmatismo non esiste
per essere confutato, ma ha una sua validità sul piano teoretico.
In Giacomo Leopardi è presente un dogmatismo teorico legato al suo materialismo 700esco e poi c’è un
titanismo che è una forma di idealismo, che non è l’idealismo di Fichte, ma è una posizione morale, nel
concetto di resistenza al fato, il non accettare quello che pure si ritiene fatale è una forma di idealismo
sofferente, non teoretico. Questo fato però è qualcosa che non si accetta fino in fondo. Dice in primo luogo
che tutto è materia, ma poi prosegue verso il titanismo, la sua lotta al fato, se tutto è materia dovrebbe subire,
ma lui rifiuta. L’aspetto romantico è dolorosamente in opposizione con il suo materialismo teorico e la sua
vita strozzata/limitata e condizionata dalla sua salute cagionevole.

L’esplosione della libertà sul piano politico, con la rivoluzione francese, in cui il mondo sembra in un
qualche poter essere scritto in maniera differente dall’uomo, che diventa protagonista della storia,
spodestando i sovrani e i nobili.
LA MORALE
Fichte ritiene di aver posto le basi della sua morale, il primato della ragion pratica sulla ragione teoretica
enunciato da Kant, su solide basi. L’io pone il non io ed esiste come attività conoscente solo per poter agire,
conosciamo perché siamo destinati ad agire. AGIRE significa imporre al non io la legge dell’io, assumendo
la forma del dovere, sottomettendo gli impulsi alla ragione e plasmando la realtà secondo il nostro volere. Si
parla di idealismo etico, in cui è centrale l’aspetto per cui noi imponiamo la legge al non io, l’io impone la
legge dell’io, che è la legge morale, al non io, a tutta la natura. Non si tratta di imporre le leggi della fisica
newtoniana, ma proprio il modo d’essere, lo spirito (inteso come la cultura, la razionalità, chiamata in
tedesco GEIST, indica il mondo della cultura, lo spirito umano corrisponde alla cultura umana) che trionfa
sulla materia, non è null’altro che l’umanità che dà a sé stessa la sua legge, che governa sé stessa, governa la
natura, ma anche la storia, la politica, con la propria razionalità sé stessa attraverso la natura. Questo è il
culmine di una visione per cui l’uomo è padrone della natura, protagonista della storia, crea sé stesso nel
contesto della natura attraverso le forme della cultura: le grandi istituzioni, la scuola, l’arte, la filosofia, la
storia, la letteratura, la politica, etc…, tutte queste cose sono manifestazione dell’attività creativa e creatrice
dell’uomo. Anche la storia, la vita, la realtà sono lo scenario di questo grande streben di infinitizzazione,
tramite un processo di autoliberazione dell’io cerca di liberarsi dagli ostacoli realizzandosi come attività
morale, e affermazione della ragione/cultura umana che è il fondo dell’idealismo.

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