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SCHOPENHAUER E KANT
Schopenhauer riprende da Kant la distinzione tra fenomeno e noumeno (ovvero la
cosa in sé): in quanto ogni nostra conoscenza non è mai una conoscenza del mondo
in sé stesso (il noumeno), ma piuttosto del mondo così come esso ci appare (il
fenomeno), filtrato attraverso le forme a priori della sensibilità e dell'intelletto. Ciò
che conosciamo, pertanto, è sempre una nostra «rappresentazione» del mondo.
Le forme a priori kantiane della conoscenza per Schopenhauer si riducono cosi a tre:
spazio, tempo ma soprattutto quella della causalità.
Allontanandosi da Kant, Schopenhauer afferma che il mondo fenomenico, cioè il
mondo «come rappresentazione», è pura apparenza. Egli ritiene che la dimensione
fenomenica sia come il «velo di Maya» citato nella filosofia indiana, cioè una realtà
ingannevole e illusoria dietro la quale si nasconde la realtà autentica, quella
noumenica.
Infatti se noi viviamo in un mondo che è solo una rappresentazione allora viviamo in
un mondo di illusioni, ovvero tutto è coperto dal velo di Maya (divinità orientale) e
per questo motivo non conosciamo la realtà.
Per Schopenhauer, il noumeno non è inconoscibile come pensava Kant, ma è
raggiungibile attraverso l'esperienza corporea. Infatti per Schopenhauer il corpo è
l’unico in grado di strappare il velo di Maya.
Questo è possibile perché il corpo, pur essendo un fenomeno tra i fenomeni (perché è
percepito dagli altri e rappresentato attraverso spazio tempo e causalità), gode di uno
statuto particolare; grazie all'autocoscienza, infatti, l'uomo riconosce di avere una
volontà, che si realizza nei movimenti corporei.
Gli atti della volontà non causano e non precedono i movimenti del corpo, sono
simultanei e contemporanei.
Il corpo, per Schopenhauer, è dunque la manifestazione visibile di una forza invisibile
che è la volontà, la quale si rivela come la nostra più profonda essenza e coincide con
il noumeno.
LA VOLONTÀ E IL PESSIMISMO
Per Schopenhauer, la volontà umana è la manifestazione di un'unica volontà di vivere
che anima tutto ciò che esiste e costituisce il principio metafisico dell'intera realtà.
es: gli uomini sono rappresentazioni della stessa volontà, per questo non possono
smettere di respirare.
Malgrado essa non sia conoscibile attraverso l'intelletto, è possibile tratteggiarne
alcune caratteristiche, sia a partire dall'esperienza della nostra volontà, sia osservando
i suoi effetti visibili nell'universo. Nel mondo animale, ad esempio, la volontà di
vivere si manifesta come istinto inconsapevole volto alla conservazione individuale o
della specie. ——> es: formica leone
La volontà di vivere è unica e universale e si esprime, nelle sue diverse
manifestazioni fenomeniche attraverso le idee, che sono le espressioni di tutte le
forme concrete che essa può assumere.
La volontà, secondo Schopenhauer, non è vincolata dalle leggi che valgono per i
fenomeni e sfugge anche alla categoria di causa; essa è una forza irrazionale e cieca
che tende esclusivamente a conservare e affermare sé stessa. Nel mondo questo si
traduce in un'eterna lotta per la sopravvivenza, che tutti gli esseri combattono gli uni
contro gli altri. La concezione del mondo di Schopenhauer è dunque una visione
profondamente pessimistica, secondo cui tutte le creature sono condannate a vivere
nel dolore.
Nell'uomo, che è cosciente di questa condizione, la lotta per conservare sé stesso
genera uno sforzo continuo per appagare i propri desideri. La gratificazione che si
prova quando si raggiunge un obiettivo, però, è soltanto momentanea. Presto il
piacere per aver soddisfatto il desiderio scompare e gradualmente si trasforma in
noia, fino a quando non compare un altro desiderio.
Per questo Schopenhauer afferma che la vita è un «pendolo tra dolore e noia».
Ogni volere proviene da un bisogno, cioè da una mancanza, da una sofferenza. La
soddisfazione vi mette un termine; ma per un desiderio che viene soddisfatto, ce ne
sono almeno altri dieci ancora da soddisfare; per di più, ogni forma di desiderio
sembra non aver mai fine e le esigenze tendono all’infinito: quindi la soddisfazione è
breve. Nessun desiderio realizzato può dare una soddisfazione duratura e inalterabile.
Ma supponiamo per un momento che alla volontà venisse soddisfatto un desiderio:
subito la volontà cadrebbe nel vuoto spaventoso della noia. Dunque la vita oscilla,
come un pendolo, fra il dolore (causato dai desiderio inappagati) e la noia (che si
genera quando i desideri sono soddisfatti).
Nella sua prospettiva, la storia non mostra un cammino di progresso, ma il ripetersi
sempre uguale delle stesse tragedie.
Kierkegaard
Seren Kierkegaard nasce nel 1813 a Copenaghen. Vive un'infanzia e una giovinezza
malinconiche, a causa di una severa educazione religiosa e di numerosi lutti familiari.
Kierkegaard era convinto che un castigo divino si fosse abbattuto sulla sua famiglia.
Era persuaso che il padre avesse commesso una colpa e che tutta la famiglia fosse
destinata a vivere per espiare questa colpa: potrebbe trattarsi di un peccato di
blasfemia oppure la colpa potrebbe consistere nel rapporto del padre con la
domestica.
Dopo essersi formato come pastore protestante ed essersi fidanzato con Regine
Olsen, rinuncia improvvisamente sia al matrimonio sia alla carriera ecclesiale. Da
allora conduce una vita ritirata, dedicandosi alla riflessione filosofica e alla scrittura.
Le numerose opere di Kierkegaard possono essere suddivise in tre gruppi:
- le annotazioni personali e il suo Diario;
- gli scritti di carattere religioso;
- le opere filosofiche.
Per Kierkegaard l'attività di scrittura coincide con la vita stessa. Per questo motivo,
egli ricorre spesso a generi appartenenti all'ambito narrativo (come il diario, la lettera
o la confessione), che gli permettono di parlare in prima persona. Kierkegaard firma
le sue opere filosofiche con diversi eteronomi, ma non per nascondersi dietro
un'identità fasulla, bensì per assumere ogni volta una personalità precisa, coerente
con i contenuti trattati.
Per Kierkegaard la categoria fondamentale è quella della scelta, in quanto definisce la
singolarità degli uomini. Per Kierkegaard più scelte abbiamo e più ne sentiamo il
peso, per questo motivo le scelte sono una condanna che schiacciano l’uomo.
L’unico modo per uscire da questo circolo è la fede——> es Gesù sulla croce:” Dio
mio perché mi hai abbandonato”, Gesù è diventato talmente uomo che non capisce il
motivo della sua sofferenza. Per questo il Dio del cristianesimo è uno scandalo,
poiché il dio cristiano porta il nonsenso. Gesù stesso perde la fede sulla croce e in
quel momento ci salva poiché dimostra come Dio stesso (ovvero Gesù) non
comprende il mondo con la sua sofferenza, capendo in questo modo il nonsenso della
fede.
La fede di Kierkegaard è la fede che comprende l’uomo e la sua angoscia dell’ignoto
(dovuta dalle troppe scelte e possibilità).
Kierkegaard intende l'attività filosofica in una maniera nuova rispetto ai filosofi della
sua epoca, cioè come un impegno di ricerca personale. Per Kierkegaard non c’è
differenza inoltre tra la filosofia e la realtà.
Kierkegaard critica Hegel dicendo:”non bisogna costruire grandi castelli e poi andare
a vivere nelle capanne”. Con questa frase Kierkegaard intendeva dire che gli uomini
devono “abitare” nei loro pensieri e sottolinea come il singolo non si può mai
spiegare e unire nell’universale, come diceva Hegel.
es: Edipo ——> Edipo sa chi è l’uomo (perché ha risolto l’indovinello) ma non sa chi
è lui come persona, per questo motivo il singolo non si capirà mai e sarà sempre
irriducibile all’universale.
Kierkegaard si occupa del singolo, del particolare, dell’esistenza e per questo motivo
sulla sua tomba c’era scritto “quel singolo”.
Secondo Kierkegaard esistono tre possibilità esistenziali, cioè tre forme di esistenza
che l'essere umano può adottare: la vita estetica, la vita etica e la vita religiosa.
La vita estetica è l'esistenza di chi è continuamente teso alla ricerca della bellezza e
del piacere. E personificata nella figura del seduttore, come il Don Giovanni
protagonista dell'opera di Mozart (per parlarci della categoria lui parla del singolo).
L'esteta vive inseguendo il godimento immediato, senza chiedersi se le proprie azioni
siano buone. Rincorrendo sempre nuove passioni, la vita estetica si riduce al ripetersi
dell'identico nel diverso, e pertanto può generare noia. L'esteta, inoltre, non decide
mai chi essere, lasciando che siano gli eventi esterni a determinare la sua storia
personale. A causa di questa perdita di identità, la noia può trasformarsi in
disperazione. Inoltre il Don Giovanni non è libero come crede di essere perché non
sceglie mai ma è lui scelto e dominato dalla passione.
Un altro paradigma della vita estetica è il diario del seduttore: ovvero un uomo che
seduce per tutta la vita la stessa donna, ma anche questo tipo di vita porta alla noia. Il
seduttore singolo preferisce l’attesa e il desiderio.