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SCHOPENHAUER

Schopenhauer nacque a Danzica nel 1788, sulla sua formazione influirono le dottrine di Kant e Platone. E’
nel periodo in cui visse a Dresda (Germania) che compose la sua opera più importante: il mondo come
volontà e rappresentazione.

Del romanticismo lo attraggono i temi che riguardano l’Infinito e il dolore, appare orientato verso una
visione pessimistica della realtà. Una caratteristica di questo filosofo è l’interesse per la sapienza dell’antico
Oriente, da cui prende spunto per la formulazione della sua dottrina.

IL VELO DI MAYA

Il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione kantiana tra fenomeno (la cosa come
appare) e noumeno (la cosa in sé). Per Schopenhauer il fenomeno è illusione, rappresentazione soggettiva
(ciò che nell’antica sapienza era chiamato velo di Maya, per questo Schopenhauer passa alla storia come il
filosofo del disvelamento), mentre il noumeno è quella realtà che si nasconde dietro il fenomeno, e che il
filosofo ha l’obiettivo di scoprire. Schopenhauer presenta la sua filosofia come un’integrazione a quella
kantiana, sostiene infatti di aver risolto il problema del dualismo lasciato aperto da Kant, individuando la via
d’accesso al noumeno.

TUTTO E’ VOLONTA’

Anche l’uomo stesso diventa simbolo ed espressione del concetto di fenomeno e di noumeno,
Schopenhauer sostiene infatti che l’essenza profonda del nostro io, il nostro noumeno sia la volontà di
vivere, quell’impulso che ci spinge ad esistere e ad agire, dunque il nostro corpo non è che la
manifestazione esteriore delle nostre brame interiori.

Es. l’apparato sessuale non è che l’aspetto oggettivato della volontà di accoppiarsi.

Quindi l’intero mondo fenomenico non è che la rappresentazione, il modo in cui la volontà si manifesta.

La volontà è:

 Inconscia, poiché la consapevolezza e l’intelletto ne costituiscono soltanto delle manifestazioni.


 Unica, poiché esiste fuori dallo spazio e dal tempo.
 Eterna e indistruttibile, non avendo né inizio né fine.
 Libera e cieca, senza uno scopo.

IL PESSIMISMO

Per Schopenhauer affermare che l’essere sia la manifestazione della nostra volontà equivale a dire che la
vita è dolore, infatti volere significa desiderare e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione per la
costante mancanza di qualcosa che si vorrebbe avere. Per un desiderio appagato, citando il filosofo, ne
rimangono dieci da appagare, nessun oggetto del volere inoltre, una volta conseguito, può dare
appagamento durevole.

Inoltre ciò che gli uomini definiscono godimento, come aveva già sostenuto Leopardi, non è altro che una
cessazione del dolore, infatti perché ci sia un piacere è necessario che ci sia prima uno stato di dolore. Il
piacere è dunque visto solo come una funzione derivata del dolore.
Accanto al dolore (durevole) e il piacere (momentaneo), Schopenhauer affianca la noia, che subentra
quando viene meno il desiderio,

La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra noia e dolore, passando attraverso
l’intervallo fugace del piacere e della gioia. Questa fu una delle forme più radicali di pessimismo,
Schopenhauer sostiene infatti che tutto soffra e che il male sia il principio stesso da cui il mondo dipende,
inoltre l’unico fine della natura sembra essere quello di perpetuare la vita e con la vita, il dolore (rif.
Leopardi).

ILLUSIONE DELL’AMORE

Il fatto che alla natura interessi solo la sopravvivenza della specie, trova la sua manifestazione nell’amore,
che Schopenhauer definisce chiaramente come un’illusione. Il fine dell’amore è infatti l’accoppiamento.
Con quest’ultimo l’individuo si rende infatti lo “zimbello” della natura, credendo di realizzare il proprio
godimento, sta semplicemente adempiendo al volere della natura.

LE VIE DELLA LIBERAZIONE DAL DOLORE

A questo punto si potrebbe pensare che il filosofo trovi una soluzione nel suicidio, che invece il filosofo
rifiuta e condanna poiché il suicidio è visto esclusivamente come un atto di forte affermazione della volontà
stessa, e poiché questo sopprime soltanto una manifestazione fenomenica della volontà, lasciando intatta
la cosa in sé.

Pertanto per il filosofo la vera risposta al dolore del mondo consiste nella liberazione dalla stessa volontà di
vivere. Fare dunque della voluntas, noluntas (negazione della volontà medesima).

Schopenhauer articola l’iter salvifico in tre momenti:

1) Arte

Offre appagamento all’uomo, sotrraendolo alla catena infinita di bisogni e desideri. Tra le arti spicca la
tragedia, che costituisce l’autorappresentazione del dramma della vita. L’arte è quindi liberatrice, ma dona
all’uomo una libertà che non è durevole. Si passa dunque alla

2) Morale

La morale implica un impegno a favore del prossimo, superare l’egoismo hobbesiano per sviluppare com-
passione e sim-patia, avvertendo come nostre e facendoci carico delle sofferenza degli altri. Ai suoi massimi
livelli la morale consiste dunque nella pietà e nell’assumere su di sé il dolore cosmico.

La liberazione definitiva della volontà di vivere si raggiunge con l’

3) Ascesi

Esperienza attraverso la quale l’uomo, cessando di volere la vita e il volere stesso, si propone di estirpare il
proprio desiderio di esistere, di godere e di volere.

Il primo gradino dell’ascesi è costituito dalla “castità perfetta”, che libera dalla prima e fondamentale
manifestazione della volontà di vivere, cioè l’impulso alla procreazione e quindi alla perpetuazione della
specie. Altre tappe sono: digiuno, povertà, rinuncia ai piaceri, umiltà. Questo cammino ha come traguardo il
nirvana buddista, ovvero l’esperienza del nulla, la negazione del mondo stesso.

La soppressione della volontà stessa è dunque l’unico vero atto di libertà che sia possibile all’uomo.
KIERKEGAARD

Soren Kierkeegard nacque a Copenaghen in Danimarca nel 1813. Fu educato dal padre in un clima di
religiosa severità. I pochi incidenti esteriori della vita di Kierkeegard, però ebbero nell’interiorità del
filosofo una risonanza profonda. Tra questi ritroviamo anche la fine del fidanzamento con Regina Olsen, che
lui stesso mandò a monte. Nel Diario di un seduttore K. ci parla di una “Scheggia nelle carni”, ovvero una
minaccia paralizzante, che impedisce a K. di sposarsi, di intraprendere la carriera da pastore e lo forza a
iniziare a vivere la vita con distacco e lontananza.

Tra le opere più importanti: Aut-aut di cui fa parte il Diario di un seduttore, Timore e tremore, Il concetto
dell’angoscia, La malattia mortale.

IL PENSIERO

La prima caratteristica fondamentale del pensiero di Kierkeegard è il tentativo di ricondurre l’intera


esistenza umana alla categoria della possibilità, mettendone in luce il carattere negativo: qualunque
possibilità implica una possibilità-che-si e una che-no, e quindi implica la minaccia del nulla. Kierkeegard
sente dunque gravare su di sé le possibilità annientatrici e terribili che ogni alternativa esistenziale
prospetta. Il punto zero è l’indecisione permanente, l’impossibilità di riconoscersi in una sola possibilità;
per questo K. cerca di chiarire quali siano le possibilità fondamentali che si offrono all’uomo (le alternative
fondamentali dell’esistenza) tra le quali l’individuo è generalmente indotto a scegliere.

Ce ne parla in Aut-aut, una raccolta di scritti che descrivono i primi due fondamentali stadi dell’esistenza,
ogni stadio si presenta all’uomo come un’alternativa che esclude l’altro.

Stadio estetico

In questo stadio l’uomo vive in uno stato permanente di ebbrezza intellettuale, questa vita non tollera la
ripetizione che contraddistingue la quotidianità di una vita regolare. Per descrivere questo stato
Kierkegaard descrive Johannes, il protagonista del Diario di un seduttore. Tuttavia la vita estetica conduce
inevitabilmente alla noia. Facendo riferimento al Don Giovanni di Mozart, Kierkeegard spiega che
l’insoddisfazione verso le molteplici relazioni dipende dall’incapacità di quest’ultimo di trovare l’infintà di
piacere in un’unica donna.

Riconosciuta la disperazione derivante dallo stadio estetico si passa allo

Stadio etico

Implica stabilità e continuità. La vita etica è rappresentata dalla figura del marito, il matrimonio e il lavoro
sono per Kierkegaard la tipica espressione dell’eticità. L’ultimo punto della vita etica è costituito dal
pentimento, dal riconoscimento della propria colpevolezza poiché in questo stadio l’individuo non può
rinunciare a nessun particolare del suo passato, (anche se brutto da ricordare).

Il pentimento apre la strada allo

Stadio religioso

Chiarisce questo stadio nell’opera Timore e tremore, dove raffigura la vita religiosa prendendo come
esempio Abramo, che ricevette da Dio l’ordine di uccidere il figlio Isacco, un ordine di tipo divino, in
disaccordo con la morale. L’uomo religioso sceglie dunque di seguire i comandi divini a costo di infrangere
le norme morali e giungere così a una rottura con tutti gli altri uomini. La fede diventa la via per eliminare la
disperazione, la condizione nella quale l’uomo non sente di essere autosufficiente ma riconosce la propria
dipendenza da Dio, al fine di superare l’angoscia.
L’angoscia che si genera nell’uomo dal possibile, è infatti il puro sentimento della possibilità.

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