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Gottfried Wilhelm von Leibniz

In ultimo tutto si risolve nellinfinito


La Natura
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tanto lontana dallaborrire linfinito (come si sostiene vol-
garmente
2
) che anzi ogni cosa, piuttosto, si risolve in ultimo nellinfinito.
Quanto alla materia, consta non soltanto che il corpo divisibile allinfinito
(come dimostrano i matematici a proposito del continuo), ma anche che
diviso, proprio attualmente, in parti infinite: tanto che non c nessuna par-
ticella di materia cos piccola che non subisca lazione di qualcosa e non
abbia, pertanto, un movimento interno delle sue parti; e non contenga dun-
que delle particelle divise le une dalle altre attualmente. Se poi ogni parte
a sua volta divisa attualmente in parti ulteriori, del tutto evidente che la
moltitudine delle parti attuali in un corpo, per quanto esso sia piccolo,
maggiore di qualsivoglia numero. Ne segue anche che non vi in natura
nessun effetto, a produrre il quale non concorrano infinite cause efficienti.
Infatti, anche tralasciando che tutti i corpi sono cospiranti ed agiscono gli
uni sugli altri, bench operino di pi o di meno in ragione della distanza,
basta considerare questo: che per ci stesso che nel corpo vi sono infinite
parti attuali e che ciascuna di loro concorre, secondo la propria condizione,
allazione di quel corpo e la modifica, segue necessariamente che in ogni
effetto sono implicate infinite cause efficienti. E poich anche il tempo
diviso in parti attualmente infinite dalla variet dei mutamenti, tanto che
non vi nessuna particella di esso entro la quale non si presenti qualche no-
vit, ne consegue che non vi neppure nessun tempo sintende finito,
per quanto piccolo lo si possa assegnare nel quale non sia racchiusa una
serie infinita di cause. E siccome, con pari diritto, vi sono pure infiniti effet-

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Leibniz annota a margine: Per gli Acta. Potrebbe significare che il testo fu concepito
come un articolo da proporre agli Acta eruditorum.
2
La massima

Natura abhorret ab infinito, o Natura infinitum horret, riportata anche in te-
sti di grande diffusione e noti a Leibniz, come lEnciclopedia di Johann Heinrich Alsted (1630,
vol. I, p. 609) o il De communibus omnium rerum principiis di Benedetto Pereira (1603, p. 708).
OMNIA IN INFINITUM POSTREMO RESOLVUNTUR / IN ULTIMO TUTTO SI RISOLVE NELLINFINITO 3
OMNIA IN INFINITUM POSTREMO RESOLVUNTUR / IN ULTIMO TUTTO SI RISOLVE NELLINFINITO 4
ti in ogni azione, saranno infiniti anche i fini: ogni effetto di unazione in-
trapresa da colui che sapientissimo (ossia Dio) infatti al tempo stesso un
fine, dato che nulla accade in contrasto con le sue intenzioni, anzi (per
quanto concerne la realt che vi inclusa), nulla accade se non secondo le
sue disposizioni. E poich ciascuna di quelle infinite cose, connesse tra loro
alla maniera di cause ed effetti, ha una propria forma e specie, chiaro che
in esse vi anche uninfinita catena e subordinazione di forme.
E cos lidea che linfinito e immenso sia estraneo alla natura (cosa che
so essere tacciata da alcuni di ateismo
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) sconfitta da dimostrazioni inop-
pugnabili. Certo, non basta che nelle cause si riscontri un progresso
allinfinito, se non si mostra che fuori dellintera serie delle cause, ciascuna
delle quali finita, vi qualcosa di infinito che sia causa di quella stessa se-
rie. Questo, invero, non lo apprendiamo dalle cause materiali o efficienti,
bens grazie ai fini e alle forme. Immaginiamo che il mondo sia eterno e che
nel mondo vi sia un impero anchesso eterno, sotto una successione eterna
di re, e che vigano in tale impero delle magnifiche leggi che, tuttavia, non
siano state stabilite da nessuno di quei re, bens trasmesse di mano in mano
dallinfinit dei tempi. Aggiungiamo, se si vuole, che nella capitale vi sia sta-
to da sempre un consiglio dei sapienti, nel quale siano stati conservati, an-
che in questo caso per tradizione perpetua, senza un primo inventore e sen-
za dimostrazioni, gli Elementi della geometria, tal quali noi li abbiamo da
Euclide; e che sempre, dopo una certa quantit di anni, le antiche perga-
mene sbrindellate siano ricopiate in nuovi esemplari, che di ci stesso siano
ricordo e testimonianza. Se guardiamo qui alla serie delle cause efficienti e
allordine delle variazioni della materia, potremo sempre trovare la causa
della dottrina presente e del nuovo esemplare (ossia, nel precedente esem-
pio, lo scrivano), ma non ne troveremo mai una ragione soddisfacente. Do-
mando infatti: com accaduto che quellimpero avesse sempre una forma
ammirevole e leggi egregie, e che verit cos preclare, senza alcuno scoprito-
re, siano conservate nellarchivio dei sapienti dellimpero? Se qualcuno di-
cesse che ci sarebbe possibile se, nel mondo infinito che accoglie variazio-

3
Se effettivamente linciso si riferisce allestraneit dellinfinito alla natura, piuttosto che
alla negazione di tale massima, si potrebbe rinviare a Ralph Cudworth,

(1678, lib. I, cap. IV,
pp. 640-641).
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OMNIA IN INFINITUM POSTREMO RESOLVUNTUR / IN ULTIMO TUTTO SI RISOLVE NELLINFINITO 6
ni infinite, vi fosse un luogo dove la materia avesse da sempre una disposi-
zione cos felice, in tal caso, a parte che si direbbe qualcosa di molto meno
verisimile che se si credesse esistere una regione nella quale sugli alberi na-
scano orologi, o altre macchine di produzione umana, comunque ci sarebbe
molto altro da obiettare. Immaginiamo infatti (per ora, infatti, si tratta di
una mera finzione, vedremo poi che cosa ne andiamo a ricavare) che
luniverso sia pieno di globi eterni e che su ciascun globo si trovi un impero
eterno, ben ordinato, sebbene vi sia una grande variet tra i diversi globi, a
seconda della condizione dei luoghi e della differenza tra i cittadini. A quel
punto non si potr affatto ricorrere al caso, perch bisogner che una bel-
lezza cos universale abbia una ragione nelle cose; e poich la ragione di un
ordine cos generale non pu trovarsi nella materia, che ugualmente ricet-
tiva di tutte le forme, bisogner dire che vi sia una causa immateriale, fonte
del bello e del buono, fuori della serie infinita delle cause temporali, nella
quale venga ricollocata la ragione stessa della serie e alla quale sia ascritto
quellequilibrio sussistente, senza opera degli abitatori, tra le parti della re-
pubblica, e quella equit delle leggi senza intervento di legislatore, e quella
mirabile veridicit delle dottrine senza che vi sia uno scopritore di esse. E
quando ipotizziamo che non vi sia mai stato un primo esemplare, n delle
leggi negli archivi dello stato, n delle proposizioni geometriche nei reper-
tori dei sapienti, esse si possono intendere promanare
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dallautore eterno, in
quanto ci che vi ad esso di pi prossimo e immediato. Dunque quella
causa eterna di tutta la serie, esterna per ad essa, non influisce in misura
maggiore o minore su nessuna cosa temporale appartenente alla serie, sia
che venga prima o dopo, bens tutte emaneranno da essa come lombra dal
corpo, o il raggio dal sole. E cos le cose che esistono ora non si dovranno
ad essa meno di quelle esistite nel passato, poich non si pu assegnare nul-
la che si debba ad essa pi delle altre.

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Vi qualche parentela testuale e concettuale con il

De rerum originatione radicali del
1697: Le ragioni del mondo, dunque, si celano in qualcosa di extramondano, differente dalla
catena degli stati, o serie delle cose, il cui insieme costituisce il mondo Risulta palese allora
che da questa fonte le cose esistenti promanano di continuo e sono prodotte, e sono state pro-
dotte, giacch non appare perch da essa fluisca uno stato del mondo pi di un altro, quello di
ieri pi di quello odierno (GP VII, 303, 305; SF I, 481, 484). Si veda anche GRUA, p. 381,
dello stesso anno.
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Ne risulta chiaro che le cause efficienti, che modificano continuamente
la materia, non possono far s che noi riconosciamo, fuori della serie infinita
delle cose finite e temporali, una causa immensa ed eterna di tutta la serie;
ci pu esserci carpito soltanto dalla considerazione delle ragioni, o delle
forme. Qualunque forma vi sia nella serie, sia essa tale che la consideriamo
bella, come quella che ho descritta pocanzi mediante una finzione (cio se
tutto luniverso fosse pieno di imperi giusti e ben ordinati), oppure ve ne sia
una qualunque altra, dato che certamente ve n una, bisogna cercare fuori
della serie la ragione della forma che la serie stessa riceve, e pertanto biso-
gna che sia contenuta in una causa immensa ed eterna, che influisce in ogni
parte della serie per emanazione immediata.
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Bisogna infatti sapere che se
anche le cose non possedessero tutte quante la bellezza che ci siamo imma-
ginata, nondimeno hanno tutte la propria bellezza, e nel massimo grado.
Vale a dire che noi, ignari dellandamento di tutto luniverso, guardiamo
alla nostra specie come se per essa, che pure non la suprema, fosse stato
fatto esistere il mondo. Vorremmo che le api si governassero con le leggi di
Solone e che nei boschi si trovassero i giardini di Alcinoo,
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che nei tulipani
si ravvisassero i quadri di Apelle, che gli alberi nascessero secondo lordine
delle colonne doriche o ioniche: eppure tutto il prestigio di tali cose si dile-
gua, non appena confrontiamo i nostri sforzi, miseri e raso terra, con le stu-
pende invenzioni della natura, con linenarrabile meccanismo delle parti
negli animali, con le macchine infinite in numero che sono mirabilmente
coordinate in una sola macchina. Tanto siamo costretti, allora, a vergognarci
di noi stessi.
Ormai infatti sappiamo bene, grazie alle osservazioni dei fisici e dei ma-
tematici, che ogni volta che, in qualsiasi campo, stata determinata la vera
configurazione delle parti, sempre si sono poste in luce le manifestazioni di
una mirabile sapienza. E laddove gli oggetti artificiali piacciono soltanto se
guardati in distanza e superficialmente, mentre se considerati pi attenta-
mente, li si scopre ruvidi e diseguali e pieni di cavit, al contrario, nelle ope-
re della natura, il tutto corrisponde alle parti e gli elementi interni a quelli

5
La dottrina dellemanazione che presentata qui e altrove da Leibniz ha base principalmente
scolastica. Come Tommaso osserva nel

Commento alla Fisica di Aristotele, poich ogni moto ri-
chiede un soggetto, come Aristotele dimostra e come vuole la verit della cosa, ne segue che la
produzione universale dellente da parte di Dio non moto n mutamento, ma una semplice ema-
nazione (In Phys., VIII, 2, 4); e lemanazione di tutto lente dalla causa universale, che Dio,
[] la designamo col nome di creazione (Summa, I, 45, 1 co.). Suarez, che collega sistematica-
mente lemanazione e la dipendenza delle creature da Dio, nota che non vi nessuna durata crea-
ta che non dipenda dalla conservazione, e come dalla continua emanazione da Dio (DM 50, V,
26); tuttavia la creazione non unemanazione successiva da s, ma momentanea, ossia tutta
simultaneamente (DM 20, V, 11).
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Riferimento a

Odyss., VII.
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interni; e cresce lammirazione per tali cose quando armiamo locchio di
microscopio. E laddove le opere umane deludono chi le esamina pi accu-
ratamente, e le si riconosce inferiori alle aspettative, invece le opere naturali
(ossia divine) superano ogni nostra opinione, anzi la nostra stessa facolt di
pensiero, e in qualsiasi minima cosa ci ripromettono infiniti miracoli, che
potranno essere osservati se lacutezza della vista sar tanto accresciuta, con
sempre nuove strumentazioni, quanto la natura si impegnata, dispiegando
una cura infinita, a perfezionare le parti delle parti. Da l deriva limmenso
iato tra i nostri orologi e le macchine della natura, ossia che per noi le parti
delle macchine sono finite, sia in numero che in grandezza, nel senso che la
ruota non composta da altre ruote e i denti delle ruote non si risolvono
ulteriormente in qualcosa che sia riconducibile ai nostri meccanismi. Ma
ogni macchina naturale (quella che chiamiamo corpo organico) consiste
dinfiniti organi coordinati tra loro. Infatti anche i muscoli si risolvono in
altri muscoli, ben al di l di ogni nostra capacit o pazienza di indaga-
re, e i vasi si scompongono in fibre, a loro volta conglomerazioni di
altre fibre, n mai si riusciti a giungere a delle fibre ultime; e ritengo
si possa accordare che non vi limite allartifizio nella struttura, n
pu esservene. Tanto meno bisogna stupirsi che in un animale o in un
arboscello siano nascosti i semi di una posterit infinita.
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E le macchi-
ne della natura non richiedono, come le nostre, un uomo che le ricari-
chi, o un artigiano che le aggiusti, bens si governano e riparano da s
stesse e, mediante la riproduzione, ottengono addirittura limmortalit.
E mentre le nostre opere non dipendono interamente da noi e tuttavia
abbisognano continuamente di nuove nostre cure, allopposto i mec-
canismi divini sono cos configurati che persistono nel loro proprio
corso e sembrano bastare a se stessi (se badiamo alla serie delle cose),
e tuttavia se guardiamo alle ragioni generali delle cose fuori della serie,
emanano dal loro autore con un flusso continuo e uniforme. E pertan-
to sono stupito di quel che di recente passato per il capo a certi uo-
mini dingegno, i quali hanno osato dire che abbiamo della natura
unopinione superiore e migliore di quanto sia giusto, e questo perch
crediamo che in essa si celi un non so che di mirabile e pieno di miste-
ro; invece, al posto di quei magici arcani che si sognavano gli antichi,
si troverebbero ora delle macchine, simili agli orologi; come se chi cer-

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Questo spiccio accenno al preformismo richiama fortemente la versione che ne aveva da-
to Malebranche gi nella

Ricerca della verit (OC I, p. 83): Neppure sembra irragionevole che
vi siano infiniti alberi in un solo germe. Ma Leibniz si allontana da una posizione di puro pre-
formismo allinizio del Settecento, orientandosi pi decisamente verso una concezione dei cor-
pi viventi come in perpetuo flusso, poco compatibile con lembotement malebranchiano. Nella
Teodicea, 397, messo in chiaro che gli animali spermatici prenderanno la forma dellanimale
macroscopico, e dunque non la possiedono gi in precedenza, miniaturizzata.
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casse laugusto senato del regno, fosse condotto alle officine degli arti-
giani.
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Costoro sono tra quelli che stabiliscono che ogni cosa nata da una
qualche massa polverosa, abrasa a causa del movimento generale, e dai glo-
buli residui, quali primo e secondo elemento
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ignari della maest della na-
tura, che nei minimi e nei massimi la stessa e non ammette nessun elemen-
to, in quanto si risolve allinfinito. Codesti, cio, senza rendersene conto,
riproducono le ingenuit di quegli stessi di cui si fanno beffe, quelli che
racchiudevano il mondo in una sfera: infatti non meno assurdo, anzi lo
di pi, costringere la totalit delle cose entro limiti tanto stretti imposti alle
analisi e alle ragioni, di quanto lo fu averli imposti agli spazi. Tanto ne va
che esistano degli atomi rigidi, o dei globuli perfettamente torniti, quali
termini ed elementi ultimi delle cose, ai quali ci si possa arrestare nellin-
dagine, che allopposto sicuro che in ogni globulo, per minimo che sia, si
cela come un mondo di infinite creature in atto. E cos pure il detto del re
Alfonso,
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secondo il quale il sistema del mondo era mal costrutto e che si
vantava che, se fosse stato presente nel momento iniziale, avrebbe saputo
dare al creatore delle idee migliori, sgorgava dallignoranza del vero e si ri-
feriva non allopera divina, ma agli abbagli di Tolomeo. Ora che infatti, gra-
zie allopera di Copernico e Keplero, ci manifesto il vero volto delle cose,
comprendiamo che nulla si pu concepire di pi elevato e ingegnoso: sicch
coloro che concepiscono la natura delle cose in termini cos poco degni,
come se non esistesse nulla di pi mirabile delle officine dei nostri artigiani,
danno a vedere la spregevolezza non tanto delle forze e delle opere della
natura, quanto delle loro opinioni sulle cose. Infatti ogni macchina della na-
tura, anche piccola, consta di infiniti strumenti, marchingegni e artifizi, e
propaga la forza per infiniti luoghi e tempi, e involge una armonia inenar-
rabile, e ovunque testimonia della sua emanazione da una potenza e una sa-
pienza infinite. E se anche si ipotizzasse che luniverso sia racchiuso in de-
terminati confini di luogo e di tempo, tuttavia in qualsiasi parte, per quanto
piccola, dello spazio e del tempo presente non meno intera la maest
dellinfinito.
Bibliografia
Alsted, J.H. 1630: Encyclopaedia septem tomis distincta, Herborn, Hulsius.
AT (con il numero del volume) = R. Descartes, Oeuvres, publies par C. Adam
et P. Tannery, Paris, Vrin, 1964-1974

8
Leibniz annota a margine: Vedi il libro intitolato

Entretiens de la pluralit des mondes.
Il riferimento a Bernard Le Bovier de Fontenelle (1686).
9
Trasparente riferimento ai cartesiani e a Descartes, di cui cfr. Il mondo o trattato della lu-
ce (AT 11, pp. 25-26, 49-53) e Principi di filosofia, III, 49-52 (AT 8, pp. 103-105).
10
Alfonso X re di Castiglia, detto il Saggio (1221-1284); vedi anche la

Teodicea, 193.
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Cudworth, R. 1678: The True Intellectual System of the Universe, London, Roys-
ton.
de Fontenelle, B.L.B. 1686: Entretiens sur la pluralit des mondes, Paris, V.ve C.
Blageart; trad. it. a cura di E. Cocanari e C. Rosso, Conversazione sulla plu-
ralit dei mondi, Roma-Napoli, Theoria, 1984.
GP (con il numero del volume) = G.W. Leibniz, Die philosophiche Schriften,
hrsg von I.C. Gerhardt, 7 voll., Berlin, Weidmann, 1875-1890.
GRUA = G.W. Leibniz, Textes indits d'apres les manuscrits de la bibliothque
provinciale de Hanover, ed. by Gaston Grua, Paris, P.U.F., 1948 (reprinted
1985, Garland).
OC (con il numero del volume) = Nicolas Malebranche, Oeuvres compltes,
publies par A. Robinet, Paris, Vrin, 1972-1978.
Pereira, B. 1603: De communibus omnium rerum principiis, Kln, L. Zetzner.
SF (con il numero del volume) = D.W. Leibniz, Scritti filosofici, a cura di M.
Mugnai e E. Pasini, Torino, UTET, 2000.

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