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EDIFICI IN MURATURA
IN ZONA SISMICA
Luciano Boscotrecase - Francesco Piccarreta
EDIFICI IN MURATURA IN ZONA SISMICA
ISBN 978-88-7758-857-9
RISTAMPA: aprile 2009
© 2006 by Dario Flaccovio Editore s.r.l. - tel. 0916700686 - fax 091525738
www.darioflaccovio.it info@darioflaccovio.it
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PARTE PRIMA
Edifici di nuova costruzione
1. Generalità .............................................................................................................. » 19
2. Materiali
2.1. Malte.............................................................................................................. » 21
2.2. Muratura costituita da elementi resistenti artificiali .................................... » 22
2.3. Muratura costituita da elementi resistenti naturali ...................................... » 22
2.4. Determinazione sperimentale della resistenza a compressione degli elementi
resistenti artificiali e naturali ........................................................................ » 23
2.5. Determinazione della resistenza caratteristica a compressione degli elementi
resistenti artificiali ........................................................................................ » 23
2.6. Determinazione della resistenza caratteristica a compressione degli elementi
resistenti naturali .......................................................................................... » 24
PARTE SECONDA
Edifici esistenti
Appendice A
Norme tecniche per le Costruzioni – D.I. 14.09.05.................................................... » 373
Appendice B
Norme tecniche per le Costruzioni – D.M. 14.01.08 ................................................ » 389
L’Ordinanza 3274 del 20 marzo 2003 nasce sull’onda emotiva generata dai tragici eventi
dovuti al sisma del Molise del 31 ottobre 2002 e si inserisce a colmare un ritardo nel periodi-
co aggiornamento normativo, in particolare in quello sismico.
Tale Ordinanza tuttavia risente della grande celerità con cui è stata concepita e realizzata, per
cui successivamente, con la Ordinanza 3316 ed in via definitiva con la Ordinanza 3431, si
sono meglio tarate e messe a punto numerose prescrizioni conseguenti all’avvenuto progres-
so scientifico, alla necessità di aderire maggiormente agli Eurocodici e forse anche a rispon-
dere alle istanze del mondo professionale.
In definitiva l’Ordinanza 3431 è pienamente in linea con la più aggiornata Ricerca scientifi-
ca consolidata, circostanza che forse per la prima volta si verifica in pieno in una Normativa.
Questa richiamata circostanza se da un lato qualifica positivamente il testo normativo, dal-
l’altro rappresenta una vera “svolta” nella vita professionale dei Progettisti strutturali.
Da qui la necessità per i progettisti di un aggiornamento “culturale” rispetto a consolidate pro-
cedure di analisi che pur hanno presentato nel tempo una loro evoluzione.
Oggi sono necessarie al progettista solide basi di conoscenza anche di dinamica, di ingegne-
ria sismica e di analisi non lineare. Questa necessità è confermata, per i professionisti, dai
numerosi corsi di aggiornamento promossi dagli Ordini degli Ingegneri e, per le generazioni
in formazione, dalla continua evoluzione dei Corsi Universitari.
Sollecitati dall’Editore, abbiamo deciso quindi, con questo volume, di fornire un contributo
all’evoluzione culturale in atto. Si è scelto l’ambito della costruzione muraria, caratterizzata
nel tempo dal passaggio da un dimensionamento per analogia, ad una progettazione basata
sull’analisi strutturale e sulle verifiche “alle tensioni” in primo tempo ed agli “stati limite”
oggi.
Di pari importanza è la considerazione che, nel settore dell’“esistente”, le costruzioni in mura-
tura rappresentano una cospicua parte del patrimonio edilizio, in particolare storico.
Obiettivo di questo volume è quindi di costituire un percorso il più possibile completo, che
parte dai modelli semplici della Dinamica Strutturale e dalle nozioni di base dell’Ingegneria
sismica, si sviluppa attraverso i metodi di analisi lineari e non, sino a pervenire alle verifiche
di sicurezza agli Stati Limite ultimo e di danno.
Questo percorso è stato seguito sia per gli edifici di nuova costruzione che per gli esistenti ed
è sempre accompagnato da una esemplificazione numerica di dettaglio.
Il volume è suddiviso in due parti, relative rispettivamente agli edifici di nuova costruzione,
in muratura ordinaria o armata, ed agli edifici esistenti. In particolare, per quanto riguarda le
nuove costruzioni in muratura, la Prima Parte è articolata con una introduzione sui materiali,
con le relative prescrizioni per la zona sismica, con i Criteri generali di progettazione.
Seguono i Cenni di Dinamica e l’introduzione dell’Ingegneria Sismica, la valutazione
dell’Azione Sismica, i metodi di analisi e le verifiche di sicurezza per la muratura sia ordina-
ria che armata. La Prima Parte si conclude con un capitolo dedicato alle Applicazioni.
La Seconda Parte, che utilizza con le dovute “accortezze” metodologie definite nella Prima
Parte, si sviluppa sui temi della “conoscenza” dell’organismo costruttivo, delle tecniche di
intervento, della modellazione ed analisi strutturale sotto sisma.
Il primo tema comprende la descrizione tipologica dell’organismo costruttivo, una sintetica
Storia delle Tecniche costruttive nel loro sviluppo temporale, l’analisi di consistenza e di con-
servazione nello stato di fatto, una metodologia di prima approssimazione per l’analisi dello
stato di sollecitazione in opera.
Segue una rassegna critica delle tecniche d’intervento, corredata da esemplificazioni esecutive.
La definizione dello stato di sollecitazione sotto sisma, prima e dopo l’intervento, rientra nel-
l’ambito dei problemi di modellazione ed analisi. In particolare in tale ambito viene introdot-
ta l’analisi cinematica per meccanismi “locali”.
Conclude l’esposizione la definizione del Progetto di consolidamento, accompagnata dalla
descrizione di un intervento realizzato per un Edificio storico.
A lavoro virtualmente concluso, sono state pubblicate in data 23.09.05 le Norme Tecniche per
le Costruzioni che comprendono anche le prescrizioni per la progettazione in presenza di
azioni sismiche.
Tale Normativa conferma tra l’altro la validità della Ordinanza 3431, “nel rispetto dei livelli
di sicurezza stabiliti nella presente norma”.
Per le Costruzioni in muratura in particolare, le variazioni introdotte nelle Norme Tecniche
sono essenzialmente quantitative, mentre le metodologie di analisi e verifiche introdotte
dall’Ordinanza 3431 restano pienamente valide.
Per tali motivi si è deciso di riportare in una Appendice le diversità introdotte dalle Norme
Tecniche anche complete di una esemplificazione numerica.
Resta negli autori la speranza di avere centrato l’obiettivo posto, insieme con la consapevo-
lezza che il volume non pretende di esaurire in tutto le tematiche affrontate.
Saremo quindi grati ai colleghi Ingegneri ed Architetti impegnati nella vita professionale, per
tutti quei suggerimenti che potranno contribuire in futuro ad un miglioramento dei contenuti
di questo volume.
Ringraziamo, infine, Dario Flaccovio e i suoi collaboratori che con grande competenza e pro-
fessionalità, hanno reso possibile la realizzazione di questo volume.
Gli autori
Presentazione
alla ristampa aggiornata
Lo spirito alla base della prima edizione del presente testo, finita di stampare nel luglio 2006,
è stato presentare ed applicare alle costruzioni murarie le nuove norme antisismiche contenu-
te nelle Ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri (in varie edizioni a partire dal
marzo 2003 {2}) evidenziandone i riflessi sulla progettazione delle nuove costruzioni e degli
interventi sull’Edilizia esistente.
A testo ormai ultimato, era stata emanata l’edizione 2005 delle Norme Tecniche per le
Costruzioni {9}: un testo generale che riguarda i diversi tipi di materiali, tipologie, azioni. Di
ciò si era tenuto conto, ad immediato ridosso della stampa del libro, inserendo una appendice
che conteneva le (limitate) varianti introdotte relativamente alle costruzioni in muratura.
L’equilibrio normativo allora raggiunto è stato nuovamente modificato dall’edizione 2008
delle Norme Tecniche per le Costruzioni {10}: edizione che diventerà vincolante a partire dal
30 giugno 2010. Fino a tale data il D.L. cosiddetto “milleproroghe” 2009 conserva la validi-
tà anche di tutto il precedente pacchetto normativo – con l’eccezione delle opere a carattere
strategico, per le quali le NTC 2008 sono già vincolanti – che va dal D.M. 20 novembre 1987
{1} alle NTC 2005. In questo quadro è possibile operare la scelta del testo normativo da appli-
care per la singola progettazione.
In definitiva questa prima ristampa contiene quindi le innovazioni più significative introdot-
te dalle NTC 2008. Una nuova edizione, del tutto organica, è invece rimandata a tempi di rag-
giunta certezza normativa.
Gli autori
Parte Prima
Edifici di nuova costruzione
1
Generalità
Gli edifici in muratura di nuova costruzione sono realizzati con elementi resistenti artificiali
o naturali collegati da malta.
Un insieme di elementi resistenti è organizzato in un elemento strutturale definito muro.
L’insieme dei muri portanti di un edificio costituisce la struttura portante verticale dell’edifi-
cio stesso. I muri sono disposti in genere secondo due direzioni ortogonali e possono così
distinguersi:
– muri longitudinali esterni;
– muri trasversali esterni;
– muro o muri di spina;
– muri trasversali interni.
Le intersezioni devono essere tali da garantire un adeguato vincolo tra i muri stessi.
A livello di piano i muri sono collegati da impalcati rigidi, di solito orizzontali.
Gli impalcati sono realizzati da cordoli di piano e solai.
I solai possono essere realizzati con elementi portanti in acciaio o in c.a. normale o parzial-
mente precompresso (ad esempio con travetti prefabbricati in c.a.p. completati in opera).
I cordoli di piano hanno la funzione di trasmettere i carichi verticali dai solai ai muri vertica-
li; inoltre essi assicurano sia la cerchiatura dell’edificio, che incrementa notevolmente la capa-
cità di assorbimento delle azioni orizzontali, che il collegamento tra muri longitudinali e tra-
sversali, funzionando da catena.
Le strutture portanti verticali ed orizzontali devono costituire un insieme scatolare (fig. 1.1)
che garantisca quindi l’assorbimento delle azioni verticali ed orizzontali (vento o sisma).
1
La normativa di riferimento nel progetto o verifica di un edificio in muratura è:
{2}Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 20.03.2003 n. 3274.
Normativa tecnica per le costruzioni in zona sismica e connessa classificazione sismica
del territorio nazionale.
{3}Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 2.10.2003 n. 3316.
Modifiche ed integrazioni all’Ordinanza del Presidente del C.M. n. 3274 del 20.03.2003.
{4}Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 3.05.2005 n. 3431.
Ulteriori modifiche ed integrazioni all’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei
Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003.
1
In questo elenco di normative vanno aggiunte le Norme Tecniche per le Costruzioni ed. 2005 {9} e ed.
2008 {10}, illustrate rispettivamente in Appendice A ed Appendice B.
Oltre tali normative, verranno considerati, se necessario, i seguenti Eurocodici:
{5}Eurocodice 6
Progettazione delle strutture in muratura.
{6}Eurocodice 8
Indicazioni progettuali per la resistenza sismica delle strutture.
Fig. 1.1
20
2
Materiali1
2.1. MALTE
La normativa {1} in sintesi prescrive:
– l’acqua per gli impasti deve essere limpida, priva di sostanze organiche o grassi, non deve
essere aggressiva nè contenere solfati o cloruri in percentuale dannosa;
– la sabbia da impiegare per il confezionamento delle malte deve essere priva di sostanze
organiche, terrose o argillose.
Le calci aeree, le pozzolane ed i leganti idraulici devono possedere le caratteristiche tecniche
ed i requisiti previsti dalle vigenti normative.
L’impiego di malte premiscelate pronte per l’uso è consentito purchè ogni fornitura sia certi-
ficata dal fornitore con indicazione del gruppo della malta, il tipo e la quantità dei leganti e
degli eventuali additivi.
Le tipologie di malta e la loro composizione sono indicate nella successiva tabella.
Classe Tipo di malta Cemento Calce aerea Calce idraulica Sabbia Pozzolana
M4 Idraulica - - 1 3 -
M4 Pozzolanica - 1 - - 3
M4 Bastarda 1 - 2 9 -
M3 Bastarda 1 - 1 5 -
M2 Cementizia 1 - 0,5 4 -
M1 Cementizia 1 - - 3 -
Alla malta cementizia si può aggiungere una piccola quantità di calce aerea con funzione pla-
stificante.
Ai fini della equivalenza di altri tipi di malta con le classi innanzi descritte, viene stabilito che
la resistenza media a compressione deve avere valori non inferiori ai seguenti:
Poichè la normativa {4} richiede, per le malte, una resistenza caratteristica non inferiore a 5
MPa, risultano escluse in zona sismica le malte M4. Sono in ogni caso da preferire le malte
cementizie.
1
L’aggiornamento alle NTC 2005 e 2008 è riportato ai paragrafi A.4.1 e B.4.1.
2.2. MURATURA COSTITUITA DA ELEMENTI RESISTENTI ARTIFICIALI
La muratura è costituita da elementi aventi generalmente forma parallelepipeda, posti in
opera in strati regolari di spessore costante e legati tra loro tramite malta.
Gli elementi resistenti possono essere in:
– laterizio normale;
– laterizio alleggerito in pasta;
– calcestruzzo normale;
– calcestruzzo alleggerito.
Gli elementi resistenti artificiali possono avere sia forature verticali che orizzontali.
Gli elementi sia in laterizio che in calcestruzzo si distinguono in base alla percentuale di fora-
tura φ nelle seguenti categorie:
Indicata con A l’area lorda della faccia dell’elemento, e con f l’area media della sezione nor-
male di un foro, deve essere:
Per altri dettagli sui fori si rimanda alla stessa nomativa {1}.
22
li costituiti da almeno due filari in laterizio pieno, posti ad interasse
non superiore a m 1.6 ed estesi a tutta la lunghezza ed a tutto lo spes-
sore del muro.
MURATURA IN PIETRA SQUADRATA
Composta con pietre di geometria pressoché parallelepipeda poste in
opera in strati regolari.
f1 < f2 < f3
23
Σ ( fbm − fbi )
2
24
3
Caratteristiche meccaniche
delle murature1
Resistenza caratteristica a
Malta tipo M1 Malta tipo M2 Malta tipo M3 Malta tipo M4
compressione fbk dell’elemento
N/mm2 N/mm2 N/mm2 N/mm2
N/ mm
2
1
L’aggiornamento alle NTC 2005 e 2008 è riportato ai paragrafi A.4.2.2 e B.4.2.
3.1.2. Resistenza caratteristica a taglio
La resistenza caratteristica a taglio della muratura in assenza di carichi verticali fvk0 si deter-
mina sperimentalmente come indicato nel già citato allegato 2 (normativa {1}).
Per le murature costituite da elementi resistenti artificiali pieni o semipieni tale resistenza
caratteristica può essere valutata in funzione delle proprietà dei suoi componenti.
Premesso che si definisce resistenza caratteristica a taglio fvk della muratura la resistenza
all’effetto combinato delle forze orizzontali e verticali agenti nel piano del muro, tale resi-
stenza si determina con la relazione:
Per le murature formate da elementi semipieni o forati si deve assumere fvk ≤ fvklim, dove fvklim
viene valutato in funzione del valore caratteristico della resistenza fbk degli elementi in senso
orizzontale e nel piano del muro:
fvklim = 1.4 fbk
26
Si assume convenzionalmente, nell’uso di tale tabella, come resistenza caratteristica a com-
pressione degli elementi resistenti fbk il valore:
con fbm resistenza media degli elementi in pietra squadrata, deteminata come prescritto nel-
l’allegato 1 della normativa {1}.
Resistenza caratteristica
a compressione fbk Malta tipo M1 Malta tipo M2 Malta tipo M3 Malta tipo M4
dell’elemento N/mm2 N/mm2 N/mm2 N/mm2
N/mm
2
27
La resistenza caratteristica a taglio della muratura fvk, definita come resistenza all’effetto
combinato delle forze orizzontali e dei carichi verticali agenti nel piano del muro, si valuta
ancora con la formula:
fvk = fvk0 + 0.4 σn
con σn tensione normale media per effetto dei carichi verticali agenti nella sezione.
Fig. 3.1a. Armatura verticale diffusa Fig. 3.1b. Armatura orizzontale nei giunti di malta
28
L’armatura orizzontale si realizza con tralicci o semplici barre come in figura 3.1b.
Nel primo caso i tralicci sono posizionati in corrispondenza dei ricorsi di malta del necessario
spessore; nel caso di armatura con semplici barre, queste possono essere posizionate come per
i tralicci ovvero disposte in apposite scanalature dei blocchi. Le armature verticali sono costi-
tuite da barre che corrono in appositi alloggiamenti ottenuti con una opportuna sagomatura dei
blocchi, tale da consentire lo sfalsamento tra i blocchi disposti in due corsi successivi.
La muratura armata con armatura concentrata è caratterizzata da elementi metallici disposti in
travetti e pilastrini in calcestruzzo, che delimitano riquadri di muratura; i pilastrini possono
essere anche di spessore maggiore rispetto a quello della muratura. L’armatura orizzontale
può anche disporsi in apposite scanalature dei blocchi.
Un esempio di armatura verticale concentrata è presentato in figura 3.3.
29
4
Prescrizioni in zona sismica per materiali,
murature, orizzontamenti e coperture
4.1. MATERIALI
La normativa {4} impone, per gli edifici in muratura di nuova edificazione, il pieno rispetto
della normativa {1}.
In particolare a tale ultima normativa ci si deve riferire per quanto riguarda le caratteristiche
fisiche, meccaniche e geometriche degli elementi resistenti naturali ed artificiali e per i rela-
tivi controlli di produzione e di accettazione in cantiere.
Per quanto riguarda i materiali, in zona sismica è inoltre prescritto quanto segue:
– la percentuale volumetrica degli eventuali vuoti non sia superiore al 45% del volume tota-
le del blocco;
2
– per gli elementi in laterizio di area lorda A superiore a 580 cm è ammesso un foro per
2
l’eventuale alloggiamento di armature, la cui area non superi 70 cm ; non sono soggetti
a tale limitazione i fori che verranno comunque interamente riempiti di calcestruzzo;
2
– per gli elementi in calcestruzzo di area lorda A superiore a 580 cm è ammesso un foro
2
per l’eventuale alloggiamento di armature, la cui area non superi 70 cm ; di area lorda
2
superiore a 700 cm il limite delle dimensione dei fori è elevato a 0.1 A; di area lorda
2
superiore a 900 cm il limite delle dimensioni dei fori è elevato a 0.15 A; non sono sog-
getti a tali limitazioni i fori che verranno comunque interamente riempiti di calcestruzzo;
– gli eventuali setti disposti parallelamente al piano del muro siano continui e rettilinei; le
uniche interruzioni ammesse sono in corrispondenza dei fori di presa o per l’alloggia-
mento delle armature;
– la resistenza caratteristica a rottura nella direzione portante fbk, non sia inferiore a 5
MPa, calcolata sull’area al lordo delle forature;
– la resistenza caratteristica a rottura nella direzione perpendicolare a quella portante, nel
piano di sviluppo della parete fbk , calcolata nello stesso modo, non sia inferiore a 1.5 MPa.
La malta di allettamento dovrà avere resistenza media non inferiore a 5 MPa e i giunti verti-
cali ed orizzontali dovranno essere riempiti con malta. L’utilizzo di materiali o tipologie
murarie diverse rispetto a quanto sopra specificato deve essere supportato da adeguate prove
sperimentali che ne giustifichino l’impiego. Sono ammesse murature realizzate con elementi
artificiali o elementi in pietra squadrata. È esclusa la possibilità di utilizzare la muratura
listata nelle zone 1, 2 e 3.
4.2. MURATURE
La geometria delle pareti resistenti al sisma, al netto dell’intonaco, deve rispettare i requisiti
indicati nella seguente tabella:
tmin (h0/t)max (l/h)min
dove
– zona 4 è la zona a più basso livello di sismicità, come verrà precisato in seguito;
– t indica lo spessore della parete;
– h0 l’altezza libera d’inflessione pari a ρ hp, con hp altezza interna di piano e ρ fattore late-
rale di vincolo fornito nella successiva tabella;
– h l’altezza massima delle aperture adiacenti alla parete ed l la lunghezza della parete.
Valori di ρ
hp / a ≤ 0.5 1
0.5 < hp / a ≤ 1 3/2 - hp / a
1
hp / a > 1 2
1+ hp / a
( )
32
5
Criteri generali
di progettazione1
nessuna
Edifici con struttura in muratura ordinaria 16 11 7.5
limitazione
nessuna
Edifici con struttura in muratura armata 25 19 13
limitazione
34
Fig. 5.3. Rettangolo d’inscrizione
35
Fig. 5.5. Sezione dell’edificio
calcolata ad un generico piano non deve differire più del 20% dall’analogo rapporto
determinato per un altro piano); può fare eccezione l’ultimo piano di strutture intelaiate
di almeno tre piani;
h) eventuali restringimenti della sezione orizzontale dell’edificio avvengono in modo gra-
duale, da un piano al successivo, rispettando i seguenti limiti: ad ogni piano il rientro non
supera il 30% della dimensione corrispondente al primo piano, né il 20% della dimen-
sione corrispondente al piano immediatamente sottostante (fig. 5.5). Fa eccezione l’ulti-
mo piano di edifici di almeno quattro piani per il quale non sono previste limitazioni di
restringimento.
36
6
Regole specifiche per gli edifici
con struttura in muratura1
6.1. PREMESSA
Si è già precisato che la normativa {4} prevede, per gli edifici in muratura, anche il pieno
rispetto della normativa {1} relativa alle costruzioni in muratura in zona non sismica.
Le strutture in muratura vengono distinte in strutture in muratura ordinaria e strutture in mura-
tura armata. Per quanto riguarda l’acciaio di armatura si precisa che è valido quanto detto nella
normativa in vigore per il calcestruzzo armato, come eventualmente modificato nella {4}.
Si prescrive inoltre, in zona sismica, che per le verifiche di sicurezza sia obbligatorio l’utiliz-
zo del metodo semiprobabilistico agli stati limite.
Il coefficiente parziale di sicurezza in zona sismica è: γm = 2.
Fig. 6.1. Solaio in acciaio e c.a., sezione trasversale e vista laterale travi
1
L’aggiornamento alle NTC 2008 è riportato al paragrafo B.8.3
I requisiti richiesti per gli orizzontamenti e le coperture sono stati illustrati nel paragrafo 4.3.
In particolare i solai potranno essere schematizzati come infinitamente rigidi nel proprio
piano se le aperture presenti in essi non ne riducono in modo sensibile la rigidezza.
Essi saranno in genere realizzati in calcestruzzo armato ovvero con elementi strutturali in
acciaio o legno e soletta in c.a.di almeno 50 mm, collegata da connettori a taglio delle neces-
sarie dimensioni a detti elementi strutturali.
Un esempio con elementi strutturali in acciaio viene proposto in figura 6.1.
I requisiti geometrici richiesti per le pareti sono stati illustrati nel paragrafo 4.2.
I criteri di progetto ed i requisiti geometrici richiesti vogliono garantire un buon comporta-
mento scatolare d’insieme della struttura dell’edificio. In particolare la richiesta di simmetria
e compattezza in pianta tende ad escludere, sotto l’azione sismica, la possibilità di moti tor-
sionali e quindi con risposta ottimale dell’edificio stesso.
6.3. FONDAZIONI
La normativa {4} prescrive quanto segue:
Le strutture di fondazione devono essere realizzate in cemento armato utilizzando le solleci-
tazioni derivanti dall’analisi.
Dovranno essere continue, senza interruzioni in corrispondenza di aperture nelle pareti
soprastanti.
Qualora sia presente un piano cantinato o seminterrato in pareti di cemento armato esso può
essere considerato quale struttura di fondazione dei sovrastanti piani in muratura portante,
nel rispetto dei requisiti di continuità delle fondazioni, e non è computato nel numero di piani
complessivi in muratura.
38
piano deve risultare non inferiore, per ciascuna delle due direzioni ortogonali, ai minimi
indicati nella seguente tabella in funzione del numero di piani dell’edificio e della zona
sismica.
Area delle pareti resistenti in ciascuna direzione ortogonale per edifici semplici
Accelerazione
di picco del
terreno:
agxSxST
(1)
≤0.07g ≤0.10g ≤0.15g ≤0.20g ≤0.25g ≤0.30g ≤0.35g ≤0.40g ≤0.45g ≤0.4725g
Tipo di Numero
struttura piani
1 3.5 % 3.5 % 4.0 % 4.5 % 5.0 % 5.5 % 6.0 % 6.0 % 6.0 % 6.5 %
Muratura
2 4.0 % 4.0 % 4.5 % 5.0 % 5.5 % 6.0 % 6.5 % 6.5 % 6.5 % 7.0 %
ordinaria
3 4.5 % 4.5 % 5.0 % 5.5 % 6.0 % 6.5 % 7.0 %
1 2.5 % 3.0 % 3.0 % 3.0 % 3.5 % 3.5 % 4.0 % 4.0 % 4.5 % 4.5 %
Muratura 2 3.0 % 3.5 % 3.5 % 3.5 % 4.0 % 4.0 % 4.5 % 5.0 % 5.0 % 5.0 %
armata 3 3.5 % 4.0 % 4.0 % 4.0 % 4.5 % 5.0 % 5.5 % 5.5 % 6.0 % 6.0 %
4 4.0 % 4.5 % 4.5 % 5.0 % 5.5 % 5.5 % 6.0 % 6.0 % 6.5 % 6.5 %
con S si indica il fattore che tiene conto del profilo stratigrafico del suolo di fondazione;
con ST si indica il coefficiente di amplificazione topografica, da considerare solo per strutture con fattore d’importanza γI > 1;
i fattori ag, S, ST e γI verranno definiti al capitolo 10.
Da questa tabella si deduce che gli edifici, per essere considerati semplici, devono avere non
più di 3 piani se in muratura ordinaria e non più di 4 piani se in muratura armata.
Per ciascun piano, si deve inoltre verificare che:
N f
σ= ≤ 0.25 k
A γm
in cui
N è il carico verticale totale alla base del piano in esame;
A è l’area totale dei muri portanti (relativamente ai carichi verticali) allo stesso piano;
fk è la resistenza caratteristica a compressione in direzione verticale;
γm è il coefficiente parziale di sicurezza per la muratura (γm = 2).
Fig. 7.1
7.2. PARTICOLARI COSTRUTTIVI
I particolari costruttivi da cui non è ammesso derogare sono quelli illustrati nel seguito.
– Ad ogni piano deve essere realizzato un cordolo continuo all’intersezione tra solai e pareti.
– La larghezza dei cordoli sarà come minimo pari alla larghezza del muro, con un arretra-
mento massimo consentito di 6 cm dal filo esterno (fig. 7.2).
Fig. 7.2
Fig. 7.3
– L’altezza minima dei cordoli dovrà essere pari all’altezza del solaio.
2
– L’armatura corrente dei cordoli sarà come minimo di 8 cm ; le staffe con diametro mini-
mo φ 6 e passo non superiore a 25 cm.
42
– Travi metalliche o prefabbricate di solaio dovranno essere inserite nel cordolo per alme-
no la metà della sua larghezza e comunque per non meno di 12 cm, ed adeguatamente
ancorate ad esso.
– In corrispondenza di incroci d’angolo tra due pareti perimetrali, sono prescritte, sulle due
pareti, zone di parete muraria di lunghezza non inferiore a 1 ml, compreso lo spessore del
muro trasversale. Anche se non espressamente richiesto dalla normativa, è buona regola
costruttiva seguire tale prescrizione anche in altri tipi di incroci.
Due esempi sono presentati nella figura 7.3.
– Al di sopra di ogni apertura deve essere realizzato un architrave resistente a flessione effi-
cacemente ammorsato alla muratura.
Anche se non imposto dalla normativa, è buona regola costruttiva controventare ciascun muro
che collabora all’assorbimento delle azioni orizzontali con muri ad esso ortogonali ad inte-
rasse non superiore a 7.00 ml.
43
8
Regole specifiche per gli edifici con
struttura in muratura armata
con
As area di acciaio orizzontale ed Am area lorda della muratura.
– L’armatura verticale dovrà essere collocata in opportuni alloggiamenti o cavità tali che in
ciascuno di essi sia inscrivibile un cilindro
con un diametro minimo di 6 cm.
Armature verticali di sezione complessiva
2
≥ 200 mm devono essere disposte a cia-
scuna estremità delle pareti portanti, in
corrispondenza di ogni intersezione tra
pareti, in corrispondenza di ciascuna aper-
tura e comunque ad interasse ≤ 4.00 ml.
La percentuale di armatura verticale deve
rispettare i seguenti limiti:
Asv
0.05% ≤ ≤ 1.0%
Am
con
Asv area di acciaio verticale ed Am area
lorda della muratura.
In figura 8.3 si illustrano tali limitazioni. Fig. 8.3. Armatura verticale minima
Le sovrapposizioni devono assicurare la
continuità della trasmissione degli sforzi di trazione in modo tale che lo snervamento del-
l’armatura preceda la crisi della giunzione. La lunghezza delle sovrapposizioni, in man-
canza di dati sperimentali, deve essere di almeno 60 φ.
– Parapetti ed elementi di collegamento tra pareti dovranno essere ben connessi alle pareti
adiacenti, in modo da garantire la continuità dell’armatura orizzontale e, ove possibile, di
quella verticale.
– Agli incroci tra pareti perimetrali è possibile derogare dalla prescrizione che impone di
avere su entrambe le pareti zone di parete muraria di lunghezza non inferiore a 1 ml.
– Nel caso di coefficiente di protezione sismica > 1 è buona regola di progettazione, al fine
di ottenere una buona duttilità nella muratura, integrare le armature minime orizzontali e
verticali delle figure 8.2 e 8.3 con armature diffuse orizzontali e verticali poste ad inte-
rasse tale da realizzare, insieme con le armature minime, una distanza tra le barre di
acciaio non superiore al doppio dello spessore della stessa muratura.
Nell’ipotesi di coefficiente di protezione sismica = 1, l’armatura diffusa, disposta anche ad
interasse maggiore del caso precedente, garantisce comunque un buon grado di duttilità.
46
9
Strutture soggette a sisma1
Se si applica una forza F(t) funzione del tempo, l’equilibrio dinamico dell’oscillatore si espri-
me con:
&& + k x = F(t)
mx
Nel caso di azione sismica orizzontale (fig. 9.2), l’eccitazione è dovuta al moto impresso alla
base della struttura xF. L’ equazione che regge il problema è quindi:
&& + k x = -mx
mx &&F
In assenza di forze F(t) o di spostamenti del tipo xF (t) ma con l’oscillatore eccitato da un moto
che per t = 0 presenta spostamento x0 e velocità x& 0 , ci si trova in condizioni di vibrazioni libe-
re. L’equazione del moto si può allora porre nella forma:
1
L’aggiornamento alle NTC 2008, per quanto riguarda il par. 9.2, è riportato ai paragrafi B.6.3
e B.6.5.
x + ω2 x = 0
&& (9.1)
con ω, pulsazione del moto, definita da:
k
ω=
m
L’equazione differenziale (9.1), omogenea ed a coefficienti costanti, presenta una soluzione
del tipo:
x(t) = B1 sin ωt + B2 cos ωt (9.2)
Fig. 9.3
La funzione è periodica di periodo T, cioè assume eguali valori per ω(t + T) ovvero per (ωt + 2π);
ne consegue che:
2π m
T= =2π
ω k
Dalla precedente relazione deriva che il periodo, che si misura in secondi, cresce se cresce la
massa e decresce se cresce la rigidezza. Ma il moto innanzi descritto, periodico e indefinito
nel tempo, serve a ricordare alcune nozioni fondamentali ma non è rappresentativo del com-
portamento strutturale. Le strutture al contrario presentano oscillazioni libere che decrescono
nel tempo fino ad esaurimento.
Quindi il modello di figura 9.1 deve essere completato da uno smorzatore di costante c, che
48
fornisce al sistema la forza cx& , proporzionale alla
velocità x& . Tale modello è presentato in figura 9.4.
L’equazione del moto per vibrazioni libere, in questo
caso, diventa:
&& + cx& + k x = 0
mx (9.4)
Se si pone:
c
ξ=
2mω
si ottiene:
Fig. 9.4
x + 2ξω x& + ω2 x = 0
&& (9.5)
x& 0 + ξω x 0
x (t) = e- ξωt ( sin ωs t + x 0 cos ωs t) (9.6)
ωs
con ωs, pulsazione del moto smorzato, espressa da:
ωs = ω 1 - ξ2
[M]{&&
x}+ [C]{x& } + [K]{x} = 0 (9.7)
dove [M], [C] e [K] sono rispettivamente le matrici delle masse, dei coefficienti di smorza-
mento e delle rigidezze; {&&
x}, {x& }, {x} sono i vettori delle accelerazioni, delle velocità e
degli spostamenti.
Nel merito della valutazione di tali matrici e vettori si entrerà in seguito.
49
Nel caso di vibrazioni forzate eccitate da un terremoto, il sistema di equazioni diventa:
[ M ]{&&
x} + [C]{x& } + [K ]{x} = {F (t)} (9.8)
Il vettore {F(t)}, dipende dallo spostamento al piede xF(t) dovuto al sisma, nonchè dalle masse
e dalla loro distribuzione. Anche in questo caso la risposta della struttura è condizionata dalla
distribuzione delle masse, delle rigidezze e degli smorzamenti.
Il problema rientra quindi nell’ambito della dinamica strutturale dei sistemi a più gradi di
libertà e sarà affrontato successivamente.
La normativa, per edifici definiti regolari in altezza, le cui caratteristiche sono state illustrate
nel paragrafo 5.2, consente una analisi statica lineare, con forze applicate staticamente, cioè
non dipendenti dal tempo, che simulano il comportamento delle strutture sotto sisma e ne rap-
presentano gli effetti massimi. Per gli edifici che non possono essere considerati regolari in
altezza, è richiesta una analisi dinamica.
Altre metodologie di analisi, che studiano il comportamento della struttura oltre il limite ela-
stico e sino al raggiungimento di uno stato limite (ultimo o di danno), verranno presentate in
seguito.
I concetti espressi in precedenza sono in ogni caso essenziali per valutare l’azione sismica e
per la comprensione della normativa.
50
........
Lo scopo delle norme è di assicurare che in caso di evento sismico sia protetta la vita umana,
siano limitati i danni e rimangano funzionanti le strutture essenziali agli interventi di prote-
zione civile.
........
51
Tale spettro è definito dalle seguenti relazioni:
9.2.4. Duttilità
Come detto in precedenza, la filosofia su cui sono fondate le più moderne normative, tra cui
quella italiana, si basa sulle seguenti considerazioni:
1) per effetto di un terremoto di media intensità la struttura deve restare in campo elastico;
2) per effetto di un terremoto violento, la struttura può subire danni gravi, ma deve essere
evitato il pericolo di crollo.
Tale ultima considerazione porta ad affermare che la struttura in questo caso deve neces-
sariamente uscire dal campo elastico ed esibire un buon comportamento elasto-plastico.
L’assumere spettri di progetto desunti dallo spettro elastico ma ridotti nel rapporto 1/q, con q =
fattore di struttura, comporta che la struttura deve presentare elevata capacità di spostamenti
in campo plastico, senza giungere al crollo.
Il rapporto tra spostamenti richiesti δu allo stato limite ultimo e gli spostamenti al limite ela-
stico δe, è il coefficiente di duttilità.
In definitiva, se non si esegue una analisi non lineare, la capacità di dissipazione di energia
della struttura con comportamento duttile può essere tenuta in conto da una analisi lineare
basata su uno spettro di progetto ridotto del fattore q rispetto al comportamento elastico.
Il fattore di struttura q è quindi, con buona approssimazione, il rapporto tra le forze sismiche
che la struttura può sopportare esibendo un comportamento elastico con smorzamento del 5%,
e le forze sismiche minime che debbono essere utilizzate, in un modello convenzionalmente
lineare, che assicurino una risposta soddisfacente della struttura.
Si ribadisce che gli edifici in muratura presentano capacità dissipative ridotte rispetto a strut-
ture di altro materiale e di ciò tiene conto la normativa attraverso fattori di struttura q relati-
vamente bassi.
52
10
Azione sismica1
1
L’aggiornamento alle NTC 2008 è riportato ai paragrafi B.2 e B.6.
S1 Depositi costituiti da, o che includono, uno strato spesso almeno 10 m di argille/limi di
bassa consistenza,.......
S2 Depositi di terreni soggetti a liquefazione, di argille sensitive o qualsiasi altra categoria
di terreno non classificabile nei tipi precedenti.
Nelle definizioni precedenti Vs30 è la velocità media di propagazione entro 30 m di profondi-
tà delle onde di taglio e viene calcolata...........
..............
Si precisa ancora che con NSPT si indica la resistenza penetrometrica mentre con cu si indica
la coesione non drenata.
Il sito verrà classificato sulla base del valore di Vs30 se disponibile, altrimenti sulla base del
valore di NSPT.
Le indicazioni omesse sono relative a parametri geotecnici di interesse per lo specialista dei
terreni.
Zona Valore di ag
1 0.35 g
2 0.25 g
3 0.15 g
4 0.05 g
Le prescrizioni riportate in tabella sono generali, cioè valide per qualunque tipologia costrut-
tiva. Per gli edifici in muratura si deroga da queste indicazioni stabilendo che in zona 4 i valo-
ri da assumere sono 0.07 g e 0.04 g per muratura ordinaria o armata rispettivamente.
54
Il moto orizzontale è considerato composto da due componenti ortogonali caratterizzate dallo
stesso spettro di risposta.
In mancanza di documentata informazione specifica, la componente verticale del moto sismi-
co si considera rappresentata da uno spettro di risposta elastico diverso da quello delle com-
ponenti orizzontali, come specificato di seguito.
Lo spettro di risposta elastico (della componente orizzontale) è costituito da una forma spet-
trale (spettro normalizzato), considerata indipendente dal livello di sismicità e già presentata
al paragrafo 9.2.3, moltiplicata per il valore dell’accelerazione massima (ag S) del terreno che
caratterizza il sito.
In definitiva lo spettro di risposta elastico della componente orizzontale è definito dalle
espressioni seguenti:
T
0 ≤ T < TB Se (T) = a g ⋅ S ( 1 + ⋅ ( η ⋅ 2.5 -1)) (10.1.1)
TB
TB ≤ T < TC Se ( T) = a g ⋅ S ⋅ η ⋅ 2.5 (10.1.2)
TC
TC ≤ T < TD Se ( T) = a g ⋅ S ⋅ η ⋅ 2.5 ( ) (10.1.3)
T
TT
TD ≤ T Se ( T) = a g ⋅ S ⋅ η ⋅ 2.5 ( C 2 D ) (10.1.4)
T
nelle quali
S fattore che tiene conto del profilo stratigrafico del suolo di fondazione;
η fattore che tiene conto di un coefficiente di smorzamento viscoso equivalente
ξ, espresso in punti percentuali, diverso da 5 (η = 1 per ξ = 5):
η = 10/(5 + ξ) ≥ 0.55;
T periodo di vibrazione dell’oscillatore semplice;
TB, TC, TD periodi che separano i diversi rami dello spettro, dipendenti dal profilo strati-
grafico del suolo di fondazione.
I valori di S, TB, TC, TD da assumere, salvo più accurate determinazioni, per le componenti oriz-
zontali del moto e per le diverse categorie di suolo di fondazione sono riportati nella tabella 10.1.
Tabella 10.1. Parametri relativi allo spettro di risposta elastico delle componenti orizzontali
Categoria suolo S TB TC TD
A 1.0 0.15 0.40 2.0
B, C, E 1.25 0.15 0.50 2.0
D 1.35 0.20 0.80 2.0
Per strutture con fattore d’importanza γI > 1, erette sopra o in vicinanza di pendii con incli-
nazione > 15° e dislivello superiore a circa 30 metri, l’azione sismica definita dalle 10.1
dovrà essere incrementata moltiplicandola per un coefficiente di amplificazione topografica
ST. In assenza di studi specifici si potranno utilizzare per ST i seguenti valori:
a) ST = 1.2 per siti in prossimità del ciglio superiore di pendii scoscesi isolati;
b) ST = 1.4 per siti prossimi alla sommità di profili topografici aventi larghezza in cresta
molto inferiore alla larghezza alla base e pendenza media > 30°;
c) ST = 1.2 per siti del tipo b) ma con pendenza media inferiore.
55
Il prodotto S x ST può essere assunto non superiore a 1.6.
Lo spettro della risposta elastica della componente verticale viene definito come segue:
T
0 ≤ T < TB Sve (T) = 0.9 a g ⋅ S ( 1 + ⋅ ( η ⋅ 3.0 -1))
TB
TB ≤ T < TC Sve ( T) = 0.9 a g ⋅ S ⋅ η ⋅ 3.0
TC (10.2)
TC ≤ T < TD Sve ( T) = 0.9 a g ⋅ S ⋅ η ⋅ 3.0 ( )
T
TT
TD ≤ T Sve ( T) = 0.9 a g ⋅ S ⋅ η ⋅ 3.0 ( C 2 D )
T
Lo spettro di risposta elastico dello spostamento potrà ottenersi per trasformazione diretta
dello spettro di risposta elastico delle accelerazioni, usando la seguente espressione:
2
T
SDe ( T) = Se ( T) (10.3)
2 π
Gli spettri di risposta così definiti sono applicabili per periodi di vibrazione non superiori a 4
secondi, quindi certamente per le strutture in muratura che presentano sempre periodi bassi.
Nei casi in cui non si possa valutare adeguatamente l’appartenenza del profilo stratigrafico
del suolo di fondazione ad una delle categorie da A ad E, ed escludendo comunque i profili
S1 e S2, si adotterà la categoria D o, in caso di incertezza di attribuzione tra due categorie,
la condizione più cautelativa.
Edifici in muratura armata progettati secondo i principi di gerarchia delle resistenze q = 3.0 αu/αl
56
tata correttamente. Di questa realtà tiene conto la normativa {4} che fissa i fattori di struttura
riportati in tabella 10.3. I coefficienti αl e αu sono definiti come segue:
αl è il moltiplicatore della forza sismica orizzontale per il quale, mantenendo costanti le
altre azioni, il primo pannello murario raggiunge la sua resistenza ultima (a taglio o a
pressoflessione);
αu è il 90% del moltiplicatore della forza sismica orizzontale per il quale, mantenendo
costanti le altre azioni, l’edificio raggiunge la massima forza resistente.
Il valore di αu/αl può essere calcolato per mezzo di una analisi statica non lineare (di cui si
parlerà in seguito) e non può in ogni caso essere assunto superiore a 2.5.
Qualora non si proceda ad una analisi non lineare, possono essere adottati per la valutazio-
ne di αu/αl i seguenti valori:
– edifici in muratura ordinaria ad un piano αu/αl = 1.4
– edifici in muratura ordinaria a due o più piani αu/αl = 1.8
– edifici in muratura armata ad un piano αu/αl = 1.3
– edifici in muratura armata a due o più piani αu/αl = 1.5
– edifici in muratura armata progettati con la gerarchia delle resistenze αu/αl = 1.3
57
Lo spettro di progetto per lo SLD che consente di limitare i danni nel caso di terremoti di media
intensità, si ottiene riducendo lo spettro elastico di un fattore 2.5, salvo più sofisticate valuta-
zioni.
Per meglio comprendere il concetto di spettro di progetto e di fattore di struttura, si conside-
ri di dover procedere alla definizione del livello massimo dello spettro elastico e di progetto
in zona 1 e per un suolo di categoria A.
Il valore da assumere per ag ed S è quindi:
ag = 0.35 g; S=1
In figura 10.1a si presenta il livello massimo dello spettro elastico e dello spettro di progetto
delle componenti orizzontali per lo SLU per una struttura in muratura ordinaria con fattore di
struttura q = 3.6.
In figura 10.1b è riportato il diagramma forze-spostamenti per la struttura a comportamento
elastico indefinito, e per la struttura in muratura per lo SLU (spettro di progetto).
Nel caso quindi di strutture in muratura esse vengono progettate allo SLU per un livello di
forze corrispondente allo spettro di progetto mentre, al verificarsi di un evento sismico vio-
lento e quindi con forte periodo di ritorno, la struttura uscirà dal campo elastico ma non giun-
gerà al crollo se è in grado di subire spostamenti pari a q δA (questo per l’uguaglianza degli
spostamenti tra struttura inelastica e struttura a comportamento elastico indefinito).
Le strutture in muratura presentano limitate capacità di comportamento inelastico, tuttavia si
ribadisce che, pur progettate per forze ridotte, possono subire un terremoto violento con ag =
0.35 g (nell’esempio) con danni seri, ma senza crolli, a condizione che siano in grado di soste-
nere spostamenti pari a q volte gli spostamenti al limite elastico.
Alcune delle prescrizioni di normativa tendono proprio a far conseguire alla struttura il richie-
sto grado di duttilità.
a) b)
Fig. 10.1a/b
58
10.3. COMBINAZIONE DELL’AZIONE SISMICA CON LE ALTRE AZIONI
La verifica allo stato limite ultimo o di danno deve essere effettuata per la seguente combi-
nazione della azione sismica con le altre azioni:
γ I E + G K + PK + ∑ i (ψ2i Q Ki ) (10.6)
dove
γI fattore d’importanza;
E azione sismica per lo stato limite in esame;
GK carichi permanenti al loro valore caratteristico;
PK valore caratteristico dell’azione di precompressione a cadute di tensione avvenute;
ψ2i coefficiente di combinazione che fornisce il valore quasi-permanente della azione
variabile Qi;
QKi valore caratteristico dell’azione variabile Qi.
Gli effetti dell’azione sismica saranno valutati tenendo conto delle masse associate ai seguen-
ti carichi gravitazionali:
G K + ∑ i (ψEi Q Ki) (10.7)
dove
ψEi coefficiente di combinazione dell’azione variabile Qi, che tiene conto della probabilità
che tutti i carichi ψEi Qki siano presenti sull’intera struttura in occasione del sisma, e si ottie-
ne moltiplicando ψ2i per ϕ.
I valori dei coefficienti ψ2i e ϕ sono riportati nelle successive tabelle.
Carichi ai piani ϕ
Copertura 1.0
Archivi 1.0
Carichi correlati 0.8
Carichi indipendenti 0.5
59
mando, ai massimi ottenuti per l’azione applicata in una direzione, il 30% dei massimi otte-
nuti per l’azione applicata nell’altra direzione.
Nel caso di analisi non lineare statica non si applica la combinazione delle due componenti
dell’azione sismica: l’analisi della risposta strutturale è svolta considerando l’azione sismi-
ca applicata separatamente secondo ciascuna delle due direzioni orizzontali.
Nel caso degli edifici in muratura di nuova costruzione le condizioni per le quali è obbligato-
rio per la {4}, considerare anche gli effetti dell’azione sismica verticale, di solito non sussi-
stono.
L’azione sismica E di progetto per le costruzioni ordinarie, sia per lo SLU che per lo SLD, viene
quindi amplificata al valore γl E e di conseguenza varia la probabilità che i relativi eventi pos-
sano accadere. Il livello di protezione sismica da assumere per le costruzioni esistenti, nel caso
di progetto di adeguamento sismico, può essere ridotto rispetto a quanto occorre prevedere per
una nuova costruzione, come verrà indicato nei capitoli relativi agli edifici esistenti.
60
11
Metodi di analisi
11.1. PREMESSA
Il sisma è un fenomeno dinamico che imprime alle fondazioni spostamenti variabili nel tempo
ed induce nelle masse strutturali forze d’inerzia proporzionali alle masse stesse ed alle relati-
ve accelerazioni.
I metodi di analisi più congeniali al fenomeno sono necessariamente metodi dinamici.
Le vibrazioni della struttura in generale nascono da una complessa sovrapposizione di modi
di vibrare traslazionali con modi di vibrare torsionali intorno ad un asse verticale.
Tuttavia, per edifici con caratteristiche di simmetria e compattezza in pianta ma soprattutto
regolari in altezza secondo quanto stabilito al paragrafo 5.2 (con esclusione del punto g), si può
ritenere che i modi di vibrazione torsionali non si presentino o siano comunque trascurabili.
In tal caso, considerando i soli due primi modi di vibrazione che presentano ciascuno sposta-
menti di piano crescenti linearmente con l’altezza in una delle due direzioni principali e tra-
scurando gli altri modi che inducono nella struttura effetti non significativi, è possibile ana-
lizzare la struttura stessa con metodi statici, cioè con forze applicate non dipendenti dal tempo
che producono effetti che simulano il comportamento della struttura sotto sisma con suffi-
ciente approssimazione.
Il modello della struttura è poi elastico lineare ovvero con comportamento non lineare.
In definitiva gli strumenti di analisi, tra cui si deve poi scegliere il più adatto al problema in
esame, sono:
a) analisi statica lineare;
b) analisi statica non lineare;
c) analisi dinamica modale;
d) analisi dinamica non lineare.
È opportuno precisare che i metodi richiamati sono relativi ad una analisi globale della strut-
tura. Ma il comportamento globale si innesca solo se le pareti investite ortogonalmente dal
sisma sono in buone condizioni di stabilità e quindi in grado di trasmettere l’azione sismica
ai diaframmi orizzontali di piano che la distribuiscono alle pareti disposte con la dimensione
maggiore nella direzione di tale azione (fig. 11.1).
All’analisi globale occorre quindi premettere una serie di verifiche locali relative alle pareti
investite ortogonalmente dal sisma, con le modalità illustrate al capitolo 12, ovvero con i
modelli dell’analisi cinematica lineare presentati al capitolo 18 per le costruzioni esistenti.
Per gli edifici classificati come semplici, con le caratteristiche quindi specificate al paragrafo
6.4, non è obbligatoria alcuna analisi sismica o verifica, resta solo l’obbligo della verifica
semplificata prescritta dalla normativa {1} e la verifica a ciascun piano indicata nello stesso
paragrafo 6.4.
Fig. 11.1. Struttura scatolare in muratura, meccanismo resistente per azione orizzontale in direzione x
62
Per gli edifici classificati come regolari in pianta, con i parametri di cui al paragrafo 5.2, è
possibile considerare nell’analisi due modelli piani indipendenti, ciascuno secondo una delle
due direzioni principali.
Oltre l’eccentricità effettiva, ad ogni piano deve essere considerata una eccentricità acciden-
tale eai introdotta con lo spostamento del centro di massa, in ogni direzione considerata, di una
quantità pari a ± 5% della massima dimensione del piano in direzione ortogonale all’azione
sismica.
Queste prescrizioni sono valide qualunque sia la tipologia del materiale costituente la struttura.
Nel caso di strutture in muratura, si può tener conto degli effetti della fessurazione conside-
rando, per gli elementi strutturali, una rigidezza flessionale e a taglio ridotta.
Altre prescrizioni relative alla modellazione delle strutture in muratura verranno illustrate nei
paragrafi relativi ai diversi metodi di analisi.
Tabella 11.1
Strutture in muratura
H (ml) (C1 = 0.050)
T1 (sec.)
8 0.24
10 0.28
15 0.38
20 0.47
25 0.56
30 0.64
Le prescrizioni richiamate sono generali, quindi valide per edifici con struttura realizzata con
qualunque materiale. Per gli edifici con struttura in muratura, nella progettazione, devono
inoltre essere osservate le prescrizioni specifiche riportate di seguito.
– L’analisi statica lineare è applicabile anche nel caso di edifici irregolari in altezza, ma
occorre porre λ =1 (λ coefficiente che entra nella valutazione del taglio alla base dell’e-
dificio).
– La valutazione delle rigidezze degli elementi murari deve tener conto anche del contribu-
to tagliante, oltre che di quello flessionale.
63
– Preferibilmente sono da utilizzare le rigidezze fessurate che, in assenza di più precise
valutazioni, si possono considerare pari alla metà delle rigidezze non fessurate.
– I solai vengono considerati infinitamente rigidi nel proprio piano, a condizione che le
bucature non riducano in modo significativo tale rigidezza, se sono realizzati in c.a. o
anche in latero-cemento con soletta in calcestruzzo armato di spessore ≥ 40 mm ovvero in
struttura mista con soletta in c.a. di spessore ≥ 50 mm collegata con opportuni connettori
a taglio agli elementi strutturali principali in acciaio o legno.
– Per altre soluzioni costruttive l’ipotesi di infinita rigidezza dovrà essere valutata e giusti-
ficata dal progettista.
– Nell’ipotesi di solai infinitamente rigidi, il modello della struttura comprenderà i soli ele-
menti murari continui dalle fondazioni alla sommità, collegati da diaframmi rigidi oriz-
zontali ai piani.
– Se si considerano nel modello anche gli elementi di accoppiamento tra pareti diverse,
quali travi o cordoli in c.a. e travi in muratura (se efficacemente ammorsate alle pareti), le
verifiche di sicurezza devono necessariamente riguardare anche tali elementi strutturali.
Travi di accoppiamento in muratura ordinaria possono essere inserite nel modello solo se
sorrette da un cordolo di piano o da un architrave resistente a flessione ed efficacemente
ammorsato alle estremità. Gli elementi di accoppiamento in c.a. si considerano efficaci se
di altezza almeno pari a quella del solaio. In presenza di elementi di accoppiamento, il
modello stesso si configura come un modello a telaio, con elementi infinitamente rigidi
Fig. 11.2
64
corrispondenti alle parti di muratura intersezione tra elementi orizzontali e verticali (vedi
fig. 11.2 relativa ad una unica parete).
– In ogni caso, nell’ipotesi di solai rigidi, si potrà modificare la distribuzione del taglio nei
pannelli di uno stesso piano così come determinata con una analisi lineare ma sempre nel
rispetto dell’equilibrio globale di piano.
Tale modifica deve quindi lasciare inalterati il modulo e la posizione della forza globale
di piano. La ridistribuzione del taglio deve inoltre rispettare la condizione che il valore
assoluto della variazione del taglio in ciascun pannello non risulti superiore a:
Fi = Fh
( ziWi )
(11.1)
∑(z j Wj )
dove
Fh Sd (T1) W λ/g (taglio alla base);
Fi è la forza da applicare al piano i;
Wi e Wj sono i pesi delle masse ai piani i e j rispettivamente;
zi e zj sono le altezze dei piani i e j rispetto alle fondazioni;
Sd (T1) è l’ordinata dello spettro di risposta di progetto;
W è il peso complessivo della costruzione;
λ è un coefficiente pari a 0.85 se l’edificio ha almeno tre piani e se T1 < 2 TC, pari a 1.0
in tutti gli altri casi. Tale coefficiente riduttivo tiene conto che, in un edificio con tali
caratteristiche e con possibilità traslazionali in tutte le direzioni, in generale le masse
partecipanti al modo fondamentale di vibrazione sono l’85% della massa totale;
g è l’accelerazione di gravità.
Gli effetti torsionali accidentali possono essere considerati applicando ad ogni piano la forza
sismica Fi con eccenticità eai. Per edifici aventi massa e rigidezza distribuite, con buona
approssimazione, simmetricamente in pianta e inscrivibili in un rettangolo con rapporto tra i
lati inferiore a 4 gli effetti torsionali accidentali possono essere considerati amplificando le
forze derivanti dalla distribuzione (11.1) in ciascun elemento resistente con il fattore δ risul-
tante dalla seguente espressione:
65
δ = 1 + 0.6 x/Le
dove
x è la distanza dell’elemento resistente verticale dal baricentro geometrico dell’edificio,
misurata perpendicolarmente all’azione sismica considerata;
Le è la distanza tra i due elementi resistenti più lontani, misurata allo stesso modo.
Valutate le forze di piano con la (11.1), esse vanno concentrate nel relativo baricentro delle
masse.
a)
b)
Fig. 11.3
66
A = area della sezione
h = altezza d’interpiano
Fig. 11.4
La rigidezza del singolo pannello, tenendo conto anche del contributo del taglio e con le nota-
zioni di figura 11.4, si presenta nella forma:
GA 1
K= 2 (11.2)
1.2 h 1 G h
1.2 E I
1+
Tale formulazione per la rigidezza del pannello è valida nell’ipotesi che gli orizzontamenti
siano in grado di impedire le rotazioni di estremità del pannello e si può ricavare, con oppor-
tuni passaggi, quale inverso della deformabilità del pannello:
1
K= 3 (11.3)
h 1.2 h
+
12 E I GA
con I = t l3/12.
Nell’ipotesi che le strutture orizzontali di piano non siano in grado quanto meno di limitare le
rotazioni flessionali all’estremità delle pareti, le pareti stesse hanno un comportamento a men-
sola incastrata alla base e la rigidezza assume l’aspetto:
1
K= 3
h + 1.2 h
3EI GA (11.4)
Questa ultima ipotesi rappresenta uno schema limite certamente molto gravoso per la struttura.
Il baricentro delle masse al generico piano i si determina considerando i pesi wi gravanti su
ciascuna parete, concentrati nei rispettivi baricentri. In copertura è buona norma considerare
il peso della metà superiore delle pareti sottostanti.
67
Indicando con k = k1+ k2 il numero complessivo di pareti e con xi e yi le coordinate del bari-
centro della generica parete, le coordinate xG ed yG del baricentro delle masse risultano quindi:
k k
∑ wi xi ∑ wi yi
xG = 1 ; yG = 1
k k (11.5a)
∑ wi ∑w i
1 1
Le coordinate del baricentro delle rigidezze xR ed yR allo stesso piano si ricavano con le for-
mule:
k k1
∑ K jy x j ∑ K jx y j
k1+1 1
xR = k
; yR = k1
(11.5b)
∑ K ∑ K jx
k +1
1
jy 1
Al generico piano i l’eccentricità tra baricentro delle rigidezze e baricentro delle masse è quindi:
e’x = xG - xR ; e’y = yG - yR
A tali eccentricità si deve sommare l’eccentricità accidentale definita al paragrafo 11.2, otte-
nendo:
(il segno di eaix ed eaiy deve essere tale da rendere massime le relative eccentricità ex ed ey).
Per effetto dell’eccentricità del baricentro delle rigidezze rispetto a quello delle masse, si
generano i momenti torcenti:
– sisma agente in direzione x, mxi = Fi ey;
– sisma agente in direzione y, myi = Fi ex.
La forza di piano viene assorbita poi dalle k1 pareti (sisma secondo x) ovvero dalle k2 pareti
(sisma secondo y), in funzione delle rispettive rigidezze.
Infatti, considerando la Fi agente in direzione x, lo spostamento δxi del piano i è fornito dal
k1
rapporto tra la forza e la rigidezza complessiva del piano ∑K jx ; per la presenza del piano
1
rigido tutte le k1 pareti presentano lo stesso spostamento δxi, che è esprimibile anche come
rapporto tra la forza in direzione x nella generica parete j e la relativa rigidezza Kjx.
In definitiva risulta:
F i = F 1x = F 2x ... = F jx ... = F k1 x
δ xi = k1
∑K
jx
K 1x K 2x K jx Kk x
1 1
68
e quindi
K jx
F jx = F i k1 (11.6)
∑ K jx
1
Analogo ragionamento può essere fatto se la forza agisce in direzione y; in questo caso le
pareti interessate sono quelle da k1 + 1 a k.
Per il momento torcente mxi (sisma in direzione x), collaborano tutte le pareti; si introduce
quindi il momento d’inerzia polare del piano i:
k1 k
Ipi = ∑K 2
jk d jy + ∑K 2
jy d jx (11.7)
1 k1+1
Tale rotazione provoca in tutte le pareti uno spostamento lungo l’asse maggiore della parete
che, per la generica parete j vale φi dj. Tale spostamento induce quindi in ciascuna parete una
forza proporzionale alla rispettiva rigidezza:
m xi K jx d jy
– pareti in direzione x F jx = K jx d jy = Fi e y (11.8a)
Ipi Ipi
K jy d jx K jy d jx
– pareti in direzione y F jy = m xi = -Fi e y (11.8b)
Ipi Ipi
K jx K jx d jy
F jx = F i k1
+ Fi e y = Fi ⋅ R x
∑ K jx Ipi
1
Con riferimento al sisma agente in direzione y, per la parete generica parete j (con dimensio-
ne maggiore disposta secondo y) con analogo ragionamento si ottiene:
K jy K jy d jx
F jy = Fi k
+ Fi e x = Fi ⋅ R y
∑ K jy Ipi
k1+1
69
I coefficienti Rx ed Ry sono i coefficienti di ripartizione della forza sismica in direzione x ed
y rispettivamente ed assumono la forma:
K jx K jx d jy
Rx = k1
+ ey (11.9a)
∑ K jx Ipi
1
K jy K jy d jx
Ry = k
+ ex (11.9b)
∑ K jy Ipi
k1+1
70
11.4.2. Analisi pushover
Per introdurre con semplicità e chiarezza i concetti alla base di una tale analisi, ci si riferisce
ad una semplice parete con tre piani, costituita da due maschi murari collegati a ciascun piano
da elementi monodimensionali assialmente indeformabili, che hanno la funzione di eguaglia-
re gli spostamenti di piano dei due maschi (fig. 11.5).
Fig. 11.5
FASE 1
La prima fase dell’analisi consiste nell’applicare alla struttura i carichi verticali e almeno due
sistemi di forze orizzontali che, mantenendo invariati i rapporti relativi tra le forze stesse,
vengono tutte scalate in modo da far crescere monotonamente lo spostamento orizzontale di
un punto di controllo sulla struttura, fino al raggiungimento delle condizioni ultime. Nel caso
di costruzioni in muratura il punto di controllo è posto a livello della copertura.
I sistemi di forze orizzontali da applicare alla struttura in corrispondenza del baricentro di cia-
scun piano sono quindi almeno due:
– sistema 1 costituito da una distribuzione di forze proporzionali alle masse (ovvero ai pesi)
di piano;
– sistema 2 costituito da una distribuzione di forze proporzionali al prodotto delle masse per
la deformata corrispondente al primo modo di vibrazione.
In figura 11.6 si riporta la deformata normalizzata rispetto al punto di controllo relativa al
primo modo di vibrazione, per la parete di figura 11.5.
71
Fig. 11.6
Sono richiesti almeno i due sistemi di forze innanzi precisati in considerazione del fatto che
l’obiettivo è quello di simulare il più fedelmente possibile le forze d’inerzia che si manifesta-
no sulla struttura durante il sisma. Studi e confronti con l’analisi dinamica non lineare pre-
senti in letteratura portano a concludere che fin quando la struttura resta in campo elastico,
forze proporzionali al prodotto delle masse per il primo modo di vibrazione (sistema 2)
approssimano meglio la risposta dinamica della stessa struttura. Al contrario per forti defor-
mazioni la risposta dinamica è approssimata con maggiore fedeltà da forze proporzionali alle
masse.
Con i due sistemi quindi, per edifici regolari, si colgono i limiti delle distribuzioni delle forze
d’inerzia che agiscono sulla struttura sotto sisma.
Come primo risultato dell’analisi si ottiene, per ciascun sistema di forze, un diagramma che
presenta sulle ascisse lo spostamento del punto di controllo dc e sulle ordinate il taglio alla
base Fb.
In figura 11.7 si presenta l’andamento qualitativo di due generiche curve pushover (sistemi 1
e 2 di forze).
Il comportamento non lineare della struttura, evidenziato con le curve di figura 11.7, è condi-
zionato dal comportamento non lineare dei singoli maschi di altezza pari all’interpiano. Per
poter eseguire una analisi pushover è quindi necessario definire il comportamento di ciascun
maschio, ovvero un diagramma taglio-spostamento orizzontale che segua l’evoluzione di tali
parametri sino allo stato limite ultimo, per ciascuno dei possibili meccanismi di rottura che
possono innescarsi; nello specifico:
1 – rottura per pressoflessione nel piano;
2 – rottura per taglio con fessurazione diagonale;
3 – rottura per taglio-scorrimento.
72
Fig. 11.7
Fig. 11.8
È opportuno sin da ora precisare che, per l’analisi statica non lineare le proprietà degli elementi
possono essere basate, salvo diversa indicazione, sui valori medi delle proprietà dei materiali.
L’evidenza sperimentale mostra che il legame tra i detti parametri è non lineare, tuttavia è
lecito sostituire alla curva una bilatera che caratterizza un comportamento elastico-perfetta-
mente plastico (fig. 11.8).
73
La bilatera, relativa ad uno dei possibili meccanismi di rottura, è definita dal taglio ultimo Vu,
dalla rigidezza del maschio k e dallo spostamento ultimo du.
Per ora non è possibile definire tali bilatere, in quanto sono necessarie le conoscenze conte-
nute nei capitoli 12 e 13, relative alle verifiche di sicurezza.
Le curve di figura 11.7 prendono il nome di curve di capacità e sono costruite con un proce-
dimento step by step che ad ogni passo somma alle sollecitazioni e spostamenti del passo pre-
cedente le analoghe grandezze incrementali (dovute all’incremento di taglio alla base nel
passo). Ad ogni passo vengono quindi eseguite le verifiche di sicurezza nei maschi murari. Se
nel passo considerato uno o più elementi si portano dal campo elastico al campo plastico, la
matrice di rigidezza deve essere aggiornata annullando la rigidezza a taglio per tali elementi
(gli elementi in fase plastica vengono schematizzati come bielle in grado, nei passi successi-
vi, di assorbire solo sforzo normale).
La procedura riprende con nuovi passi, con le stesse modalità illustrate in precedenza.
Quando si raggiunge una condizione di collasso in almeno un maschio murario, dovuta ad una
delle seguenti cause:
– spostamento orizzontale oltre il limite du (fig. 11.8);
– insorgere nel maschio di sollecitazioni di trazione che annullano la possibilità di reazione
del maschio stesso;
occorre revisionare il modello, escludendo del tutto il maschio o i maschi collassati e rico-
minciando dall’origine (corrispondente all’azione dei soli carichi verticali) e procedendo con
la costruzione di una diversa curva di capacità.
La costruzione delle curve di capacità che considerano la progressiva perdita di resistenza
della struttura dovuta al progressivo collasso nei maschi murari si esaurisce, quando la strut-
tura diviene labile. La curva di capacità finale della struttura si ottiene raccordando superior-
mente le varie curve con segmenti verticali ed è rappresentativa della progressiva perdita di
resistenza della struttura dovuta al progressivo collasso dei maschi murari; la forma di tale
curva è a denti di sega. La capacità di spostamento dell’edificio riferita agli stati limite di
danno e ultimo viene poi determinata sulla curva forza-spostamento innanzi descritta, in cor-
rispondenza dei punti seguenti:
– stato limite di danno: dello spostamento minore tra quello corrispondente al raggiungi-
mento della massima forza e quello per il quale lo spostamento relativo fra due punti sulla
stessa verticale appartenenti a piani consecutivi eccede i valori dr = 0.003 h per edifici
con struttura portante in muratura ordinaria e dr = 0.004 h per edifici con struttura portante
in muratura armata (dr è lo spostamento d’interpiano, h è l’altezza del piano);
– stato limite ultimo: dello spostamento corrispondente ad una riduzione della forza non
superiore al 20% del massimo.
Proseguendo quindi nell’esposizione del metodo si passa alla fase successiva.
FASE 2
La fase 2 del procedimento consiste nell’identificare, per ciascun sistema di forze, una strut-
tura ad un grado di libertà 1GL equivalente da un punto di vista dinamico alla struttura a molti
gradi di libertà MGL. Tale struttura avrà a sua volta un comportamento non lineare che viene
approssimato ad un comportamento bilineare (fig. 11.9).
* *
Le relazioni che legano, in campo elastico, forza F e spostamento d del sistema 1GL alle ana-
loghe grandezze del sistema MGL possono esprimersi come segue:
Fb dc
F* = ; d* = (11.10)
Γ Γ
74
Fig. 11.9
con
Φ vettore rappresentativo del primo modo di vibrare della struttura relativo alla direzione
presa in esame per l’azione sismica, normalizzato all’unità per la componente relativa al
punto di controllo.
Il punto rappresentativo dello snervamento presenta coordinate (in assenza di valutazioni più
accurate):
Fbu Fy*
Fy* = ; d*y = (11.12)
Γ k*
con
Fbu resistenza ultima dell’edificio;
k* rigidezza secante a snervamento del sistema equivalente, valutata in modo da ottenere
l’uguaglianza tra l’area sottesa dalla curva non lineare di figura 11.9 e l’area sottesa dal
sistema bilineare equivalente.
*
Con riferimento alla figura 11.10a, detta E m l’area sottesa dalla curva non lineare, eguaglian-
do tale area all’area sottesa dalla bilatera di figura 11.10b espressa in funzione dell’incognito
*
spostamento a snervamento d y, risulta:
1 ∗ ∗
E ∗m = d y Fy + Fy∗ (d ∗m - d ∗y )
2
e quindi:
E ∗m
d∗y = 2 (d ∗m - ) (11.13)
F ∗y
75
a) b)
Fig. 11.10
F ∗y
k∗ = (11.14)
d ∗y
m∗
T∗ = 2 π (11.15)
k∗
con m ∗ = ∑m i Φi
FASE 3
La fase 3 prevede come primo obiettivo la valutazione della risposta massima in termini di
spostamento del sistema equivalente 1GL, utilizzando lo spettro di risposta elastico.
Nell’ipotesi che T* ≥ TC la risposta massima in termini di spostamento del sistema anelasti-
co si assume eguale a quella di un sistema elastico con periodo T*:
d∗e, max
d∗max =
q∗
[1 + (q - 1) TT ] ≥
∗ C
∗
d∗e,m ax (11.17)
SDe (T∗ ) m ∗
con q∗ = , rapporto tra forza di risposta elastica e forza di snervamento del
Fy∗
sistema equivalente.
76
Per q∗ c1 si assume comunque d∗max = d∗e, max .
Per giustificare quanto innanzi esposto a proposito della valutazione della risposta massima
d∗max del sistema 1GL, si rimanda ai testi specializzati di Dinamica sismica.
FASE 4
Come prima cosa nella fase 4 si calcola lo spostamento massimo del punto di controllo nel
sistema MGL con la relazione:
d max = Γd∗max (11.18)
Fig. 11.11
77
11.4.3. Problemi di modellazione
Con riferimento ad una parete, lo schema di figura 11.5 che è stato utilizzato per descrivere
con semplicità le procedure dell’analisi statica non lineare non è utilizzabile nella progetta-
zione se la parete stessa ha un numero di piani superiore a due.
La normativa {4} infatti prescrive che, per un numero di piani maggiore di 2, nel modello si
debba tener conto degli effetti generati dalla variazione delle forze verticali ed inoltre è neces-
sario garantire l’equilibrio alla rotazione degli elementi di intersezione tra muri e fasce, che
possono essere considerati infinitamente rigidi.
Tali requisiti sono forniti da un modello a telaio del tipo presentato in figura 11.2 con elementi
infinitamente rigidi che corrispondono alle parti di muratura di intersezione tra elementi oriz-
zontali e verticali (fig. 11.12). Le fasce di piano possono presentare due meccanismi di rottu-
ra: per pressoflessione o per taglio.
Altro modello possibile è quello che schematizza la muratura verticale e le fasce orizzontali
di piano agli elementi finiti, ma in questo caso occorre che gli elementi siano a comporta-
mento elasto-plastico.
Passando agli edifici, sono possibili ancora schematizzazioni a telaio, in questo caso spazia-
le, con elementi rigidi ovvero modelli spaziali agli elementi finiti a comportamento elasto-pla-
stico.
In una schematizzazione a telaio, per quanto riguarda un generico maschio murario (fig.
11.12), si può ipotizzare che le deformazioni relative al piano x-z e quelle relative al piano y-
z siano indipendenti.
L’intersezione tra pareti ortogonali nel modello-telaio può schematizzarsi con più bracci rigi-
di, come presentato in figura 11.13.
In definitiva tra le due modellazioni, telaio spaziale ed elementi finiti, si può affermare che
quella a telaio spaziale pur risultando poco sofisticata fornisce risultati abbastanza soddisfa-
centi come è dimostrato nella letteratura tecnica.
Inoltre tale modello riduce di molto il lavoro di input e permette di tenere più agevolmente
sotto controllo i risultati.
Per queste ragioni è opportuno, nella progettazione, ricorrere a programmi di analisi basati su
tale schematizzazione.
78
11.5. ANALISI DINAMICA MODALE
11.5.1. Generalità
L’analisi dinamica modale riferita allo spettro di risposta di progetto ed applicata ad un
modello tridimensionale della struttura è, per la normativa {4}, il metodo normale da utiliz-
zare per la ricerca delle sollecitazioni di progetto. Il termine modale indica che il complesso
modo di vibrare di una struttura ad n gradi di libertà viene scomposto isolando gli n modi di
vibrare, relativamente semplici, che lo compongono.
Per gli edifici classificati regolari in pianta (par. 5.2), il modello tridimensionale può essere
suddiviso in due modelli piani separati, secondo quanto già detto al paragrafo 11.2.
In definitiva per la modellazione della struttura, per la eventuale ridistribuzione degli effetti
taglianti sulle pareti e per gli effetti torsionali accidentali, restano valide le considerazioni
fatte nel caso di analisi statica lineare.
Fig. 11.14
79
m1 &&
x1 + k 1x1 - k 2 ( x 2 - x1 ) = 0
m 2 &&
x 2 + k 2 ( x 2 - x1 ) - k 3 ( x 3 - x 2 ) = 0
m 3 &x&3 + k 3 ( x 3 - x 2 ) = 0
[M ] {&&
x} + [ K ] { x }= { 0 } (11.19)
con [M ] e [K] matrici delle masse e delle rigidezze che nel caso in esame assumono la forma:
m1 0 0 k1 +k 2 -k 2 0
M = 0 m2 0 ; K = -k 2 k 2 +k 3 -k 3
0 0 m 3 0 -k 3 k 3
La (11.21) lineare, ammette soluzioni diversa dalla banale se si annulla il determinante dei
coefficienti:
2
Det ([K] - ω [M]) = 0 (11.22)
2 2 2
La (11.22) rappresenta una equazione di terzo grado nell’incognita ω ; le sue radici ω1 , ω2 ,
2 2
ω3 , reali e positive, prendono il nome di autovalori. Ad ogni autovalore ωi , corrisponde un
(i)
autovettore {ψ } definito a meno di un fattore arbitrario.
Quanto presentato per il semplice modello di figura 11.14 può essere esteso ad una qualun-
que struttura ad n gradi di libertà di cui siano q1, q2,.... qn le coordinate generalizzate tali che,
nella condizione di equilibrio iniziale, siano tutte nulle:
q1 = q2 = .... = qn = 0
80
Si raggruppino ora gli autovettori in una matrice di ordine n, in cui gli autovettori sono dis-
posti per colonna:
ψ1(1) ψ1( 2 ) ................ ψ1( n )
ψ2 (1) ψ2 ( 2 ) ................ ψ2 ( n )
[ X] = ... ... ................ ......
... ... ................ ..... (11.24)
(1)
ψn ψn ( 2 ) ................ ψn ( n )
Si consideri ora il caso che sulla struttura agisca un sistema di forze generalizzate {Q}; il
sistema di equazioni assume la forma:
&& + [K] {q} = {Q}
[M] {q} (11.25)
Si introduca un nuovo sistema di coordinate generalizzate pi, dette coordinate principali, lega-
te alle qi dalla relazione:
La matrice [L] è diagonale come lo è la matrice [M]; se quindi si indicano con l11, l22, l33, ...lnn
i suoi elementi, la sua inversa [L]-1 sarà composta dai termini 1/l11, 1/l22, 1/l33, ...1/lnn; è noto
-1
inoltre che: [L] [L] = [I], con [I] matrice unitaria di ordine n.
-1
Premoltiplicando quindi la (11.29) per [L] , si ricava:
Nei problemi di analisi sismica il vettore delle forze {Q} è costituto dalle forze d’inerzia
x F dovute all’accelerazione del terreno &&
- mi && x F (si veda il modello dell’oscillatore semplice
di figura 9.2).
La precedente equazione diventa quindi:
p} + [L]-1 [N] {p} = - [L]-1 [X]T [M] &&
{&& xF (11.31)
Se si esegue il prodotto [L]-1 [N] si ottiene una matrice diagonale i cui termini sono coinci-
2
denti con i termini ωi .
Introducendo ora un vettore {g} così definito:
-1 T
{g} = [L] [X] [M] (11.32)
81
la (11.31) si può porre nella forma:
p 1 + ω12 p1 = -g1&&
&& xF
p 2 + ω2 2 p 2 = -g 2&&
&& xF
.................
(11.33)
.................
p n + ωn 2 p n = -g n&&
&& xF
Con la procedura illustrata si raggiunge il risultato di passare dal sistema di equazioni (11.25)
al sistema di equazioni (11.33) disaccoppiate nel senso che la generica equazione posta alla
riga i contiene la sola incognita pi.
I coefficienti gi che compaiono nella (11.33), vengono definiti coefficienti di partecipazione
dei modi principali di vibrazione.
I coefficienti gi possono poi essere espressi in funzione dei relativi autovettori, tenendo pre-
-1
sente la (11.32) in cui compare la matrice [L] .
Ma il generico elemento lii di [L], che è una matrice diagonale, si valuta con l’espressione:
(i) T (i)
lii = {ψ } [M] {ψ }
∑m j ψ(i)
j
j=1
gi = n (11.34)
∑m j ψ(i)
j
2
j=1
Risolte le equazioni (11.33) le pi rappresentano ciascuna gli effetti, come coordinate princi-
pali, dell’aliquota di terremoto g i&x&F .
Se alla generica accelerazione &&x F si sostituisce per ciascun modo i l’accelerazione sismica
massima e costante ai = Sd (Ti), ricavabile dallo spettro di progetto, per pi si può assumere
come valore massimo il termine:
ai
pi = g i (11.35)
ωi2
corrispondente ad un integrale particolare della equazione i delle (11.33).
(i)
Per ciascun modo di vibrazione i, tenendo presente la (11.26), le coordinate {q } si valuta-
no con l’espressione:
(i) (i)
q1 = pi ψ1
(i) (i)
q2 = pi ψ2
.................... (11.36)
.....................
(i) (i)
qn = pi ψn
Riprendendo ora il semplice modello di figura 11.14, l’analisi sismica modale relativa al
modello stesso richiede i seguenti dati:
82
– geometria della struttura;
– masse ai piani e dimensione dei pilastri per valutarne la rigidezza;
– spettro delle accelerazioni di progetto Sd.
2
La soluzione dell’equazione (11.22) fornisce i tre autovalori ωi ed i corrispondenti periodi Ti.
(i)
Noti gli autovalori, si ricavano con la (11.21) i corrispondenti autovettori ψ .
In figura 11.15 si presentano i tre modi di vibrare del modello, avendo posto m1 = m2 =m3.
Fig. 11.15
Ritornando al caso generale di una struttura ad n gradi di libertà, occorre osservare che nella
progettazione non è possibile considerare tutti gli n modi di vibrazione, tenuto conto che n
può assumere un valore elevato e che solo i primi modi di vibrazione forniscono un contri-
buto significativo all’assorbimento dell’azione sismica.
La normativa {4} suggerisce di limitarsi ai modi con massa partecipante superiore al 5%
ovvero considerare un numero di modi la cui massa partecipante totale sia superiore all’85%.
In generale per una struttura spaziale di un edificio, il considerare i primi 9 modi di vibrazio-
ne, se n ≥ 9, dovrebbe essere sufficiente per rientrare nei limiti indicati. La valutazione della
massa partecipante al generico modo viene fornita dal programma di calcolo. Per la sua defi-
nizione si rimanda ai testi specializzati.
Definito quindi il numero di modi di vibrazione a cui limitarsi e lo spettro delle accelerazio-
(i)
ni di progetto Sd, le (11.36) risolvono il problema della determinazione dei vettori q per cia-
scuno dei modi prescelti.
Occorre ancora precisare che i valori massimi delle risposte modali, in termini di spostamen-
ti o accelerazioni, non sono sommabili per ottenere la risposta massima globale in quanto in
generale tali risposte modali risultano sfasate nel tempo.
La normativa suggerisce, detto E il valore totale della risposta sismica che si sta consideran-
do ed Ei il contributo del modo i, di combinare i contributi dei vari modi con la formula:
E= ( ∑ E 2i ) (11.37)
83
Tale formula è applicabile se il periodo di vibrazione di ciascun modo differisce da tutti gli
altri di almeno il 10%.
In caso contrario viene fornita una formula più complessa su cui non ci si sofferma.
(i)
Noti i vettori q per i modi prescelti, è possibile ricavare tutti i parametri necessari per le veri-
fiche, per i quali valgono le stesse regole di combinazione.
In particolare le forze d’inerzia relative al generico modo i si ottengono moltiplicando la
matrice delle masse per il vettore delle accelerazioni massime relative a tale modo:
(i) (i)
{F } = [M] {Ψ } [gi Sd(Ti)] (11.38)
In figura 11.16 si presenta il diagramma di flusso per i problemi di analisi sismica modale. Tutti
i programmi di analisi strutturale sono in grado di fornire la soluzione per tale tipo di problema.
In generale il calcolo degli autovalori (eq. 11.22) e degli autovettori viene perseguito con
metodi iterativi basati sul metodo di Jacobi, per i quali si rimanda ai testi specializzati.
Si consideri poi che i dati d’ingresso per l’analisi sismica modale non sono più complessi
rispetto a quelli necessari per una analisi statica, che non sempre è consentita, che i tempi di
calcolo per l’analisi modale non sono onerosi ed infine che l’analisi modale certamente
approssima meglio il fenomeno fisico rispetto a quanto è possibile ottenere da una analisi sta-
tica, se applicabile. È quindi auspicabile il diffondersi, tra i progettisti, di una cultura dinami-
ca che consenta l’utilizzo dell’analisi sismica modale anche quando non sia esplicitamente
prescritta dalla normativa.
Nella trattazione precedente si è trascurato, per semplicità di esposizione, l’effetto dello smorza-
mento viscoso che al contrario è un fenomeno non trascurabile in una analisi dinamica modale.
Volendo ora tener conto dello smorzamento, le equazioni (11.25) assumono la forma:
p j + 2 ξω j p& j + ω j2 p j = - g j a i
&& (11.41)
Risolte le n equazioni disaccoppiate del tipo (11.41), la procedura è la stessa vista nel caso in
cui non si tenga conto dello smorzamento.
84
ANALISI SISMICA MODALE
Fig. 11.16
85
In definitiva, ai dati d’ingresso elencati nella figura 11.16, occorre aggiungere solo il valo-
re del coefficiente di smorzamento ξ. Al contrario, nel caso di analisi dinamica non linea-
re, è essenziale la definizione della matrice [C]; per tale problema si rimanda ai testi spe-
cializzati.
Fig. 11.17
Le masse relative ai pesi gravanti sulle pareti, sono concentrate nei rispettivi baricentri.
La matrice delle masse riferita al baricentro delle rigidezze assume quindi l’aspetto di figura 11.18.
86
Fig. 11.18
Fig. 11.19
Fig. 11.20
87
dove
Mi è la massa complessiva del piano i ed Ipi il momento d’inerzia polare rispetto al baricen-
tro delle rigidezze:
Nella precedente espressione la sommatoria è estesa a tutte le masse del piano i, mentre con
x 'j ed y 'j si indicano le coordinate della massa mj rispetto al baricentro delle rigidezze R.
In modo analogo si valuta la matrice delle rigidezze che quindi prende la forma di figura 11.19.
Nella figura 11.20 si è adottata la seguente simbologia:
a) Kxi è la matrice di rigidezza complessiva al piano i in direzione x, somma delle rigidezze
kxi di tutte le pareti che confluiscono in detto piano e hanno la dimensione maggiore in
direzione x;
b) Kyi è la matrice di rigidezza complessiva al piano i in direzione y, somma delle rigidezze
kyi di tutte le pareti che confluiscono in detto piano e hanno la dimensione maggiore in
direzione y;
c) Ipri è il momento d’inerzia polare delle rigidezze complessivo al piano i, somma dei cor-
rispondenti momenti d’inerzia polari delle rigidezze ki di tutte le pareti che confluiscono
in detto piano:
Modellazioni più sofisticate delle pareti di un edificio in muratura sono possibili con elemen-
ti finiti bidimensionali del tipo lastra o guscio.
L’elemento lastra (fig. 11.21a) è dotato di due gradi di libertà per nodo, traslazioni secondo
due assi di riferimento contenuti nel piano dell’elemento. È un elemento rappresentativo di
uno stato piano di tensione con tensioni tangenziali nulle. Il campo di sforzo è costante nel-
l’elemento.
L’elemento guscio (lastra-piastra) di figura 11.21b è un elemento a 8 nodi dotato di sei gradi
di libertà per nodo. I nodi interni possono essere anche non allineati con i nodi di spigolo ed
in questo caso i lati dell’elemento sono curvilinei.
a) b)
Fig. 11.21
88
Fig. 11.22
In figura 11.22 si mostra una possibile modellazione per la parete presentata in figura 11.2.
È possibile simulare, per la struttura spaziale di un edificio, i diaframmi rigidi di piano.
Naturalmente, in ogni caso, bisogna ricorrere ad un apposito programma di calcolo.
La formazione delle matrici di rigidezza e delle masse, base di partenza per una analisi sismi-
ca modale, è automaticamente eseguita dal programma per cui non è necessario entrare in det-
taglio sulla formulazione di tali matrici.
Occorre solo osservare che il problema si configura con un numero di gradi di libertà certa-
mente elevato sia a causa della presenza di nodi non contenuti nei diaframmi rigidi di piano,
sia in considerazione del maggior numero di gradi di libertà posseduto da un nodo di un ele-
mento bidimensionale del tipo guscio rispetto ad un nodo di un elemento monodimensionale
nel piano.
Le dimensioni del problema (gradi di libertà del modello della struttura) tuttavia in genere
rientrano nelle potenzialità dei programmi di calcolo disponibili.
89
Per semplificare l’esposizione dei criteri operativi del metodo, ci si riferisce ad un modello
elastico lineare.
L’accelerazione variabile nel tempo è fornita da un accelerogramma, che rappresenta la regi-
strazione delle accelerazioni nel tempo riferite ad un terremoto realmente accaduto. È possi-
bile utilizzare anche accelerogrammi simulati. Il procedimento consiste in una prima fase in
cui si esegue una analisi modale che consente di disaccoppiare le equazioni dinamiche di
equilibrio:
[M] {&&
q} + [C] {q& } + [K] {q} = - [M] {a g ( t )}
(11.43)
con [C] matrice degli smorzamenti.
Implicitamente quindi si considera che la risposta strutturale possa essere descritta con ottima
approssimazione da un numero relativamente limitato di modi di vibrazione.
La seconda fase prevede l’integrazione diretta delle equazioni disaccoppiate; come metodo di
integrazione si sceglie un metodo “incondizionatamente stabile”, come ad esempio il metodo
Θ di Wilson, per il quale si rimanda alla letteratura specializzata.
Suddiviso quindi il tempo di durata del terremoto in intervalli ∆t sufficientemente piccoli,
l’integrazione delle equazioni disaccoppiate è ripetuta per ogni intervallo ∆t.
È richiesto un modello tridimensionale della struttura.
Sono prescritti, per la rappresentazione dell’azione sismica, gruppi di tre accelerogrammi
diversi agenti contemporaneamente nelle tre direzioni principali della struttura. Il numero di
gruppi di accelerogrammi deve essere almeno pari a 3.
Altre caratteristiche degli accelerogrammi da utilizzare sono contenute al punto 3.2.7 della {4}.
Il modello non lineare può essere ad esempio un modello con degradazione della rigidezza
della struttura nel tempo.
Il modello costitutivo utilizzato per la rappresentazione del comportamento non lineare della
struttura dovrà essere giustificato, anche in relazione alla corretta rappresentazione dell’e-
nergia dissipata nei cicli di isteresi.
Nel caso in cui si utilizzino almeno 7 diversi gruppi di accelerogrammi gli effetti sulla strut-
tura (sollecitazioni, deformazioni, spostamenti, etc.) potranno essere rappresentati dalle
medie dei valori massimi ottenuti dalle analisi, nel caso di un numero inferiore di gruppi di
accelerogrammi si farà riferimento ai valori più sfavorevoli.
Il fattore d’importanza γI dovrà essere applicato alle ordinate degli accelerogrammi.
In particolare per gli edifici in muratura si prescrive quanto segue.
Si applica integralmente il punto 4.5.5 (analisi dinamica non lineare) facendo uso di modelli
meccanici non lineari di comprovata e documentata efficacia nel riprodurre il comportamen-
to dinamico e ciclico della muratura.
Si può quindi concludere che il risultato di una elaborazione “Time History” è una registra-
zione completa della risposta strutturale nel tempo di durata del terremoto.
Tuttavia il metodo innanzi sommariamente esposto non fornisce uno strumento agile e di faci-
le utilizzo nella normale progettazione e viene quindi impiegato solo in casi particolari che
richiedono l’intervento di progettisti specializzati. Per le ragioni innanzi esposte, nel seguito
non si approfondisce il procedimento con delle applicazioni.
90
azioni fuori del piano possono essere svolte separatamente dalle altre analisi, con le forze
equivalenti previste al punto 4.9 della {4} per gli elementi non strutturali. Viene precisato che
l’azione sismica ortogonale alla parete potrà essere simulata considerando una forza orizzon-
tale distribuita pari a SaγI/qa volte il peso della parete e forze orizzontali concentrate pari a
SaγI/qa volte il peso dovuto agli orizzontamenti che poggiano sulla parete, se queste non sono
efficacemente trasmesse a muri trasversali disposti parallelamente alla direzione del sisma.
Negli edifici nuovi tale trasmissione può considerarsi realizzata in modo corretto; per tale
ragione negli sviluppi successivi tali forze orizzontali concentrate non vengono considerate.
Quindi in definitiva la forza risultante Fa, valutata nel baricentro della parete, è fornita dalla
relazione:
Fa = Wa Sa γl / qa (11.44)
con
Wa peso della parete;
γl fattore d’importanza;
qa fattore di struttura che si può assumere pari a 3;
Sa coefficiente sismico che si calcola con la formula
ag S 3(1+ Z/H) a S
Sa = 2
- 0.5 ≥ g (11.45)
g 1 + (1 - Ta / T1 ) g
Fig. 11.23a
91
Fig. 11.23b
Fig. 11.23c
B) come piastra incernierata sui quattro bordi, se la parete possiede vincoli efficaci sui bordi
verticali (fig. 11.23b);
C) come costituita da elementi finiti tipo guscio (fig. 11.23c); in tal caso la modellazione
consente di considerare anche pareti con aperture.
3
T1 = C1 H 4 ( sec. ) (11.46)
dove
H è l’altezza dell’edificio in metri dal piano di fondazione e C1 = 0.050 per edifici con strut-
tura in muratura.
92
11.7.3. Valutazione dei periodi propri e dei momenti flettenti nelle pareti
MODELLO A)
È noto che la prima pulsazione del modello è fornita dalla relazione:
π
2
EI N
ω1 = (1 - ) (11.47)
h 2
m N crit
con
E modulo di elasticità del materiale;
3
I lt /12;
A area della sezione orizzontale = l · t;
γ peso specifico del materiale; γA
m massa per unità di lunghezza della trave (lunghezza della trave = h) pari a , con g
g
accelerazione di gravità;
EI
N crit = π 2
h2
2π
Nota ω1, si calcola il periodo Ta =
ω1
Il coefficiente sismico Sa e la forza Fa sono forniti dalla (11.45) e (11.44), mentre il carico dis-
tribuito p = Fa/h.
Il momento flettente nella mezzeria della trave vale:
1
M fl = p h2 .
8
MODELLO B)
Per la piastra incernierata sul perimetro, trascurando a vantaggio di stabilità l’effetto dei cari-
chi verticali, la prima pulsazione del modello si valuta con la relazione:
1 1 B
ω1 = π 2 ( + 2 ) (11.48)
h2 l µ
con
E t3
B= ;
12 (1 - ν2 )
γ t
µ = m (γ m pesso specifico della muratura, µ massa per unità di area).
g
2π
Nota ω1, si calcola il periodo Ta = .
ω1
Il coefficiente sismico Sa e la forza Fa sono forniti ancora dalle (11.45) e (11.44).
Il carico uniforme agente sulla piastra si ricava come segue:
Fa
p=
l ⋅ h
93
Per il modello piastra vincolata a cerniera sul perimetro e caricata uniformemente, in lettera-
tura sono noti i risultati. Indicando con lx ed ly i lati della piastra, con lx ≤ ly, i momenti flet-
tenti mcx e mcy, nella mezzeria della piastra, risultano:
MODELLO C)
L’analisi modale consente di valutare il primo periodo di vibrazione Ta del modello agli ele-
menti finiti. Noto tale valore si calcolano Sa (11.45) e la forza Fa (11.44).
Tale forza viene ripartita uniformemente sul modello; una analisi statica consente di ricavare
i momenti flettenti orizzontale Mo e verticale Mv nel centro della piastra.
ESEMPIO
94
Il peso proprio della parete vale: 1800 · 3.0 · 3.6 · 0.3 = 5832 daN.
La parete inoltre è soggetta ad un carico verticale in sommità pari a 3000 daN/ml.
Il primo periodo proprio dell’edificio è:
3/4
T1 = C1H1 = 0.050 · 103/4 = 0.28 sec.
MODELLO A)
1
I= l t 3 = 8.1 ⋅ 10 5 cm 4
12
EI
N crit = π2 = 6.2178 ⋅ 10 6 daN ; N = 3000 ⋅ 3.6 = 10800 daN
h2
MODELLO B)
E t3 70000 ⋅ 30 3 0.0018 ⋅ 30
B= = = 1640625 ⋅ 10 2 ; µ = = 5.5046 ⋅ 10 -5 ;
12 (1 - ν2 ) 12 (1 - 0.2 2 ) 981
MODELLO C)
95
La parete è stata modellata agli elementi finiti con elementi-guscio a 4 nodi, come presenta-
to in figura 11.25. In figura 11.26 si presenta il primo modo di vibrare della parete, nella dire-
zione considerata. L’analisi modale fornisce inoltre il primo periodo proprio Ta:
Ta = 0.01947 sec
ANALISI STATICA
Il coefficiente sismico Sa si valuta con la (11.45), la forza risultante Fa con la (11.44). Con i
dati del problema, risulta:
ag S Z
= 0.25 ⋅ 1.25 = 0.3125 ; = 0.8333
g H
MODELLO TRAVE
Sa = 0.3125 = 0.81339
3 ( 1 + 0.8333 )
- 0.5
0.0339
2
1 + 1 -
0..28
La forza Fa assume il valore:
5832 ⋅ 0.81339 ⋅ 1
Fa = = 1581 daN
3
Il carico distribuito sarà quindi:
1581
p= = 527 daN/ ml.
3.0
Il momento flettente nella mezzeria della trave risulta:
527 ⋅ 3.0 2
M fl = = 593 daN m
8
MODELLO PIASTRA
Sa = 0.3125 3 ( 1 + 0.8333 )
- 0.5 = 0.76533
0.01959
2
1 + 1 -
0.28
5832 ⋅ 0.76533
Fa = = 1487 daN
3
1487
p= = 138 daN/mq.
(3.60 ⋅ 3.00)
96
La tabellazione innanzi richiamata fornisce i valori c1 = 0.0524 e c2 = 0.0344; i valori dei
momenti risultano quindi, per le 11.49):
con mcx momento Mv agente sulle fibre verticali e mcy momento Mo agente sulle fibre oriz-
zontali.
5832 ⋅ 0.764938
Fa = = 1487 daN
3
1487
p= = 138 daN/mq.
(3.60 ⋅ 3.00)
L’analisi statica sul modello di figura 11.25 fornisce i valori dei momenti:
Mv = 73 daNm/m
Mo = 55 daNm/m
97
12
Verifiche di sicurezza per gli
edifici in muratura ordinaria1
12.1. GENERALITÀ
Per gli edifici classificati semplici non è necessaria alcuna verifica, se non quelle previste
dalla normativa {1} in assenza quindi di azione sismica e le verifiche di piano indicate al para-
grafo 6.4 di questo volume.
Per tutte le altre tipologie di edifici sono necessarie verifiche che si differenziano a seconda
del tipo di analisi che è stata effettuata (lineare o non lineare).
In questo capitolo ci si limita alla formulazione teorica relativa alle verifiche di sicurezza ed
alla esemplificazione numerica per il solo caso di pressoflessione fuori del piano, mentre si
rimandano al capitolo 14 esempi numerici di dettaglio.
Ed ≤ Rd
1
L’aggiornamento alle NTC 2008 è riportato al paragrafo B.8.
σ σ0
M u = l2 t 0 1 - (12.1)
2 0.85 fd
con
Mu momento corrispondente al collasso per pressoflessione;
l lunghezza complessiva della parete, comprensiva della zona tesa;
t spessore della parete;
σ0 tensione normale media, riferita all’area totale della sezione (= Pd/(l t), con Pd forza
assiale agente, positiva se di compressione). Se Pd è di trazione, risulta Mu = 0.
fd = fk / γm resistenza a compressione di calcolo della muratura.
Fig. 12.1
Con riferimento alla figura 12.1, la precedente formula (12.1) si giustifica con le seguenti-
considerazioni:
– la lunghezza della zona compressa è 3 u;
– il diagramma delle compressioni uniformi si estende per una lunghezza pari
2 l M
3u=2u=2( - u )
3 2 Pd
l Mu
– risulta Pd = σ 0 l t = 2 ( - ) t 0.85 fd ;
2 σ0 l t
– dalla precedente eguaglianza è facile ricavare la formula (12.1) di normativa.
100
La {4} prevede, per gli edifici di nuova costruzione, solo tale tipo di verifica a taglio e valu-
ta il taglio ultimo per una sezione rettangolare con la formula
con
l’ lunghezza della parte compressa della parete;
t spessore della parete;
fvd = fvk/γm
fvk = fvk0 + 0.4 σn così come stabilito nella normativa {1} paragrafo 2.3.2.1, calcolando la ten-
sione normale media sulla sola zona compressa della sezione: σn = Pd/(l’t);
γm = 2.
Il criterio di crisi deriva da quello di Mohr-Coulomb; il termine fvk0 tiene conto della coesio-
ne tra malta e blocchi e 0.4 è il valore assunto per il coefficiente di attrito.
In ogni caso fvk non può superare il valore 1.4 fbk , con fbk resistenza caratteristica a compres-
sione degli elementi nella direzione di applicazione della forza, né può essere maggiore di 1.5
Mpa.
Nella (12.2) si ritiene quindi che la sola zona compressa, sotto l’effetto della pressoflessione,
sia in grado di resistere a taglio (fig. 12.2).
Fig. 12.2
101
Fig. 12.3
con b coefficiente che assume il valore 1.5 per una distribuzione parabolica come in figura,
mentre assume il valore b =1 per una distribuzione uniforme. È stato dimostrato che si pos-
sono assumere per b i seguenti valori:
a) pannelli tozzi con h/l ≤ 1: b = 1;
b) pannelli snelli con h/l ≥ 1.5: b = 1.5;
mentre per valori intermedi si può assumere b = h/l.
Si adotta un criterio di crisi che pone un limite ft alla tensione prin-
cipale di trazione, oltre il quale, facendo crescere ancora V con N
costante, cominciano a presentarsi le tipiche lesioni diagonali che
si sviluppano poi con gradualità dal centro verso due spigoli oppo-
sti del pannello stesso (fig. 12.4).
Si indichi con σmed la tensione normale media in corrispondenza
Fig. 12.4
della sezione baricentrica e con τmed la tensione tangenziale media
nella stessa sezione:
Alle soglie della fessurazione, sia Vu lo sforzo di taglio, cui corrisponde una tensione tangen-
ziale media τlim = Vu/(l · t) ed una tensione tangenziale massima pari a b · τlim.
Lo stato tensionale in corrispondenza del baricentro è rappresentato dal Cerchio di Mohr di
figura 12.5a.
Il raggio di tale cerchio si definisce con:
r = f t + 0.5 ⋅ σ med
mentre risulta C (0.5 · σmed, 0).
L’intersezione del cerchio con l’asse τ consente di definire il valore del termine b · τlim.
102
a) b)
Fig. 12.5
σ
ft2 1 + med = ( b ⋅ τ lim )
2
ft
ft σ
τ lim = 1 + med
b ft
ft σ
Vu = l t ⋅ 1 + med
b ft
ftd σ
Vt = l t ⋅ 1 + med (12.4)
b ftd
103
con ftd resistenza di calcolo a trazione per fessurazione diagonale. Tale valore si ottiene, per
gli edifici esistenti, dalla corrispondente resistenza ft dividendone il valore medio (tabella 16.3
riportata in seguito) per il rispettivo fattore di confidenza e per il coefficiente parziale di sicu-
rezza (γm = 2).
Nel caso di sforzo normale nullo il Cerchio di Mohr risulta centrato rispetto all’origine degli
assi e di raggio r = ft (fig. 12.5b).
La (12.3) si riduce quindi nella:
ft = b · τ0 (12.5)
La tensione τ0 assume quindi il significato di tensione tangenziale media nel centro di un pan-
nello murario sollecitato da solo taglio, quando la tensione normale di trazione corrisponde al
valore di rottura ft. Allo stesso modo, in presenza di taglio e sforzo assiale, la τlim è la corri-
spondente tensione tangenziale media.
Dalla (12.5) si ricava anche:
τ0 = ft/b (12.6)
Per b = 1.5 si ritrova la nota formula di Turnsek-Cacovic su cui si basa il metodo Por ed i
metodi da esso derivati.
Una espressione alternativa alla (12.4) è la seguente:
1.5 τ 0d σ med
Vt = l t ⋅ 1 + (12.9)
b 1.5 τ 0d
in cui si è posto, come da normativa, ftd = 1.5 τ0d; τ0d rappresenta il valore di calcolo della resi-
stenza a taglio della muratura.
Nell’ipotesi che nel pannello siano presenti tiranti verticali e/o orizzontali (muratura consoli-
data), per cui sia necessario tener conto di tensioni orizzontali σx e verticali σz agenti al cen-
tro del pannello, la (12.8) si trasforma nella:
σ + σx + σz (σ med + σ z ) ⋅ σ x
τ lim = τ 0 1 + med + (12.10)
1.5 τ 0 2.25 τ 20
in cui si è posto b = 1.5.
Vd ≤ Vt
104
12.2.4. Pressoflessione fuori del piano
Il valore del momento di collasso Mu per azioni ortogonali al piano della parete si calcola
assumendo un diagramma rettangolare delle compressioni con un valore della sollecitazione
pari a 0.85 fd e trascurando la resistenza a trazione della muratura.
Si consideri quindi una sezione trasversale di un muro e sia Nd lo sforzo normale applicato ed
x la dimensione della zona compressa per effetto del momento di rottura Mu dovuto ad azio-
ni ortogonali al piano della parete (fig. 12.6).
Si suppone che si arrivi al collasso con valore Pd = Nd costante.
Fig. 12.6
Nd = 0.85 fd · x · l
t x
Mu = 0.85 fd · x · l ( - )
2 2
x
Introducendo il parametro ξ = risulta:
t
Nd = 0.85 fd · ξ · t · l (12.11a)
2 1 ξ
Mu = 0.85 fd · ξ · t · l ( - ) (12.11b)
l 2 2
Le espressioni precedenti possono essere adimensionalizzate con le posizioni:
Nd
n=
0.85 fd t l
(12.12)
6 Mu
m=
0.85 fd t 2 l
In definitiva si ottiene:
n=ξ (12.13)
m = 3 ξ (1 - ξ)
Nella verifica, n è noto e quindi è noto ξ; dalla seconda delle (12.13) si ricava m e successi-
vamente dalla seconda delle (12.12) il valore del momento ultimo Mu.
105
Fig. 12.7
Il legame n - m espresso dalle (12.13) può essere graficizzato facendo variare ξ da 0 a 1, otte-
nendo così il dominio di rottura della muratura di figura 12.7
Per presentare un esempio risolto analiticamente, si riprende il caso della parete di figura
11.24, valutando il momento di progetto con il modello trave: Mfl = Md = 593 daNm.
Si ipotizza un valore della resistenza caratteristica a compressione della muratura fk = 70
daN/cmq. Risulta quindi:
70
0.85 fd = 0.85 = 29.75 daN / cmq
2
Nd = 3000 · 3.6 + 0.3 · 3.6 · 1.5 · 1800 = 13716 daN
13716
n= = 0.0427
29.75 ⋅ 30 ⋅ 360
106
12.2.5. Travi in muratura
Le travi in muratura si configurano come elementi strutturali ad asse orizzontale di sezione
hxt e luce netta l, vincolate ai maschi murari attraverso elementi di nodo schematizzati come
elementi infinitamente rigidi (fig. 12.8).
Fig. 12.8
Nell’ipotesi di azione assiale di progetto nota dopo l’analisi sismica, le verifiche non differi-
scono da quanto presentato per i maschi murari.
Al contrario, quando il modello di analisi non fornisce tra i suoi risultati l’azione assiale nelle
travi in muratura, ad esempio nel caso di modello a telaio con solai infinitamente rigidi nel
proprio piano, la verifica è possibile se in prossimità delle zone tese sono presenti elementi
resistenti a trazione quali catene o cordoli.
In tal caso i valori delle resistenze, corrispondenti ai meccanismi di rottura per taglio o pres-
soflessione, devono essere assunti non superiori a quanto in seguito presentato.
a) Resistenza a taglio Vt
La resistenza a taglio delle travi in muratura nell’ipotesi che collabori un cordolo di piano o
un architrave resistente a flessione ben ammorsato ai suoi estremi nella muratura, può essere
valutata in forma approssimata con l’espressione:
Vt = h · t · fvd0 (12.14)
con
h altezza della sezione della trave;
fvd0 fvk0 / γm, resistenza di calcolo a taglio in assenza di compressione.
107
il momento resistente Mu si valuta in analogia a quanto visto per i maschi murari.
La (12.1), per una trave in muratura di sezione h · t, si scrive:
σ0 σ0
Mu = h2 t (1- ) (12.16)
2 0.85 fhd
con
fhd = fhk / γm valore della resistenza di calcolo a compressione della muratura in direzione oriz-
zontale ovvero nel piano della parete, in considerazione che la compressione agisce in tale
direzione.
Sostituendo la (12.15) nella (12.16), si ottiene facilmente la formula di normativa:
h Hp
Mu = Hp 1 - (12.17)
2 ( 0.85 fhd h t )
con
Hp valore minimo tra la resistenza a trazione dell’elemento orizzontale teso ed il valore 0.4 fhd · h · t
dr < 0.003 h
con h altezza d’interpiano.
Gli spostamenti si ottengono moltiplicando gli spostamenti relativi all’azione di progetto per
il coefficiente d’importanza.
108
Fig. 12.9
Tuttavia alla base del comportamento non lineare della struttura nel suo complesso si pongo-
no i comportamenti non lineari, dovuti alla fessurazione, dei singoli maschi murari.
Occorre definire, per ciascun maschio murario e per ciascuno dei tre possibili meccanismi di
collasso, delle bilatere taglio-spostamento (fig. 12.9) che approssimano il legame non lineare
fra tali parametri, del tipo visto in figura 11.8.
Come si nota dalla figura, il valore dello spostamento de al limite elastico è fornito dalla rela-
zione:
Vu
d e = 0.9
k
Fig. 12.10
109
con k rigidezza del maschio sull’altezza libera h tra le due fascie orizzontali di muratura pre-
senti al piano (fig. 12.10), ovvero sull’altezza d’interpiano nel caso di mancanza di tali fascie
e presenza di soli cordoli.
Nel caso di figura, i maschi al primo livello hanno un’altezza pari a 210 cm mentre i maschi del
secondo livello hanno un’altezza pari a 140 cm ovvero 230 cm se si trascura il contributo del
sottofinestra alto 90 cm ma molto spesso di spessore ridotto per esigenze funzionali.
La rigidezza di un generico maschio murario si determina in generale così come presentato nel
caso di analisi statica lineare, con il modello alla Grinter di figura 11.4 e la formulazione (11.2).
Mu
Vu = (12.19)
0.5 h
Risulta quindi:
Mu
0.9 Vu = 0.9 (12.20)
0.5h
con h valutata come visto in precedenza. Il valore di du, per la {4}, si può assumere pari allo
0.8% dell’altezza h per gli edifici nuovi ed allo 0.6% per gli edifici esistenti. In ogni caso, in
un problema di pressoflessione, è opportuno assumere un coefficiente di duttilità:
du
µ=
de
compreso tra 2 e 5.
Fig. 12.11
110
Si ha quindi:
0.9 Vu = 0.9 l' t fvd (12.21)
con fvd = fvm0 + 0.4 σn; il termine fvm0 rappresenta la resistenza media a taglio della muratura,
in assenza di sforzo normale, che si può porre in mancanza di diretta determinazione nella
forma: fvm0 = fvk0 / 0.7 (vedi {4} paragrafo 8.2.2.2).
In ogni caso il valore di fvd non potrà superare il valore 2.0 fbk ed il valore di 2.2 Mpa.
La rigidezza k si valuta come visto per la pressoflessione.
Lo spostamento ultimo du, secondo la normativa sismica, si può assumere pari allo 0.4% dell’al-
tezza h. In ogni caso, in un problema di taglio, è opportuno assumere un coefficiente di duttilità:
du
µ=
de
compreso tra 1.5 e 2.
Nel caso di edifici esistenti ed analisi non lineare il valore di calcolo da assumere per ftd è pari
al valore medio diviso il corrispondente fattore di confidenza.
Qualora, per gli edifici nuovi, si voglia utilizzare anche questo criterio di crisi in aggiunta al
criterio di crisi per taglio visto al paragrafo precedente, il valore di calcolo da assumere per
ftd è pari al valore medio di tale resistenza.
La rigidezza k si valuta come visto per la pressoflessione.
Lo spostamento ultimo du si può assumere anche in questo caso pari allo 0.4% dell’altezza h
del pannello murario.
Per questo tipo di crisi è opportuno assumere un coefficiente di duttilità µ compreso tra 1.5 e 2.
111
13
Verifiche di sicurezza per
gli edifici in muratura armata1
13.1. GENERALITÀ
Gli edifici in muratura armata sono costituiti da un insieme di pareti armate e da solai di piano
e cordoli che devono poter essere modellati come diaframmi rigidi che collegano le pareti tra
loro, nel senso specificato in precedenza.
La struttura, sotto l’effetto delle azioni sismiche orizzontali, deve esibire un comportamento
di tipo globale con il contributo solo della resistenza delle pareti nel loro piano.
Anche nel caso di edifici in muratura armata, sono previste comunque procedure di verifica
differenziate a seconda del tipo di analisi effettuata (lineare o non lineare).
13.2.1. Ipotesi di base per le verifiche a pressoflessione nel piano e fuori del piano
Le ipotesi alla base delle verifiche a pressoflessione per la muratura armata sono le seguenti:
– le sezioni piane restano piane dopo la deformazione;
– la muratura non è resistente a trazione;
– l’armatura presenta le stesse variazioni di deformazione della muratura adiacente (perfet-
ta aderenza);
– il legame tensioni-deformazioni nella muratura può presentare andamento parabolico, a
parabola-rettangolo (fig. 13.1) o bilineare;
– il legame tensioni-deformazioni per l’acciaio si presenta con una schematizzazione bila-
tera a trazione ed a compressione (fig. 13.2);
– la rottura è caratterizzata dal verificarsi di una delle seguenti condizioni indipendenti:
a) eccesso di deformazione plastica nell’acciaio teso;
b) schiacciamento della muratura per sezione parzializzata;
c) schiacciamento della muratura per compressione semplice.
1
Le modifiche che interessano questo capitolo conseguono alle ridefinizioni degli Stati limite
(par. B.6.3) ed alle caratteristiche dell’acciaio (par. A.9.2).
– la condizione a) si raggiunge convenzionalmente quando la deformazione specifica del-
l’acciaio teso arriva al valore del 10‰; le condizioni b) e c) si raggiungono quando la
deformazione specifica della muratura è pari al 3.5‰ ed al 2.0‰ rispettivamente;
– il valore di progetto della tensione di compressione nella muratura si assume pari a 0.85 fd;
– il valore di progetto della tensione di snervamento per l’armatura si assume pari a fyd = fyk/1.15,
con fyk tensione caratteristica di snervamento.
I legami tensioni-deformazioni che derivano dalle ipotesi richiamate sono presentati nelle
figure 13.1 e 13.2.
114
Fig. 13.3
Con riferimento ad una parete di lunghezza l e spessore t con sola armatura tesa, tali campi
vengono definiti e presentati in figura 13.3.
Campo 2 - Il punto B è rappresentativo della massima deformazione accettata nella muratura (3.5
‰). Le possibili rette di deformazione fanno parte di un fascio passante per A e delimitato dalle
rette corrispondenti ad x = 0 ed x = 0.259 d. L’ asse neutro interseca la sezione e quindi resisto-
no l’acciaio e la muratura compressa. Si è in presenza di pressoflessione con debole armatura; la
crisi della sezione è dovuta in generale a crisi nell’acciaio. Nel solo caso di x = 0.259 d si ha crisi
contemporanea nell’acciaio e nella muratura. Infatti detto valore si ricava dalla relazione:
3.5
x= d = 0.259 d
3.5 + 10
115
Campo 4 - Le rette di deformazione appartengono ad un fascio di rette passanti per B, con
xlim ≤ x ≤ d. Anche in questo caso si è in presenza di pressoflessione con sezione parzializza-
ta. La crisi della sezione è dovuta a crisi nella muratura, mentre in generale l’acciaio è in
campo elastico o al suo limite (ε ≤ εyd); la tensione nell’acciaio risulta minore o uguale alla
tensione fyd. Per x = d, l’acciaio risulta non sollecitato (ε = 0). La sezione si considera a forte
armatura.
Fig. 13.4
Con riferimento alla sezione rettangolare a doppia armatura di figura le equazioni di equili-
brio assumono la forma:
116
Nelle applicazioni, è conveniente porre tali equazioni in forma adimensionale, con l’introdu-
zione dei seguenti parametri:
– percentuale meccanica di armatura
As fyd
q=
t ⋅ d ⋅ 0.85 fd
– rapporto tra le armature ai bordi
A's
u=
As
Da notare che, in presenza di sisma, le armature ai bordi devono essere uguali, per l’alternar-
si di tale azione. Risulterà quindi u = 1.
– livello di tensione nelle armature
σ 's σs
λ 's = ; λs =
f yd f yd
il generico valore di λ può essere espresso, in funzione della corrispondente deformazione
ε
λ (ε)=
εyd
– sforzo normale specifico allo Stato limite ultimo
N
nu = u
, con N 0 = t ⋅ d ⋅ 0.85 fd
N 0
1 q l c 1-δ l
= ; l=d+c; - = ; =1+δ ; (**)
t ⋅ d ⋅ 0.85 fd As fyd 2d d 2 d
si passa alle equazioni in forma adimensionale dividendo i termini della prima equazione
(13.1) per N0 = t · d · 0.85 fd ed i termini della seconda equazione per d N0:
1-δ
m u = q ( u λ 's +λ s ) + 0.4 ξ ( 1 + δ - 0.4 ξ ) (13.2b)
2
117
CRISI NEL CAMPO 6 (pressoflessione con piccola eccentricità)
Per x > l e quindi con asse neutro esterno alla sezione, in analogia a quanto stabilito nel cal-
cestruzzo armato, si utilizza un diagramma delle tensioni nella muratura di forma rettangola-
re (fig. 13.5), ma se ne limita l’altezza ad un valore a l definito dalla relazione:
x - 0.80 l
αl= l
x - 0.75 l
Si pone inoltre, in tale campo, una limitazione alle deformazioni massime che progressiva-
mente passano, al crescere di x, dal valore 0.0035 al valore 0.002, conservando sempre il
valore 0.002 all’altezza del punto C posto a distanza 3/7 l dal bordo della sezione.
Con queste premesse e con riferimento ancora alla figura 13.5, le deformazioni specifiche nei
materiali risultano:
x x-c x-d
εm = 0.002 ; ε's = 0.002 ; εs = 0.002
3 3 3
x- l x- l x- l
7 7 7
Le equazioni di equilibrio si scrivono nella forma:
Tenendo presente le (**), si passa alle equazioni in forma adimensionale dividendo i termini
della prima equazione per N0 = t · d · 0.85 fd ed i termini della seconda equazione per d N0,
ottenendo:
n u = q (u λ 's +λ s ) + α (1 + δ) (13.4a)
Fig. 13.5
118
13.2.4. Domini di rottura adimensionalizzati
Sulla base di quanto stabilito al paragrafo precedente è possibile definire classi di domini di
rottura tracciando le relative frontiere, dette anche curve d’interazione.
Ciascuna classe è definita da assegnati parametri u, εyd, δ, mentre ciascun elemento della clas-
se è caratterizzato da un valore q della percentuale meccanica di armatura. La generica curva
è tracciata per punti, facendo variare ξ e valutando nu ed mu con le (13.2) ovvero con le (13.4)
a seconda del campo di crisi in cui si trova ξ. Per completezza grafica i domini sono com-
prensivi anche del campo 1.
Si è già osservato che nelle pareti in muratura le armature As ed A’s sono necessariamente
eguali per l’alternarsi dell’azione sismica, per cui risulta u = 1.
Di seguito si ricavano i valori di εyd per i due tipi di acciaio ad aderenza migliorata disponibili:
Acciaio Fe B 38 k
fyk = 375 N/mm2; Es = 2 · 105 N/mm2
375
εyd = = 1.63‰
1.15 ⋅ 2 ⋅ 10 5
Acciaio Fe B 44 k
2 5 2
fyk = 430 N/mm ; Es = 2 · 10 N/mm
430
εyd = = 1.87‰
1.15 ⋅ 2 ⋅ 10 5
Nelle figure 13.6a e 13.6b si presentano i domini di rottura per l’acciaio Fe B 38 k, u = 1 e per
due valori di δ, mentre le figure 13.7a e 13.7b sono relative ai domini per l’acciaio Fe B 44 k.
a) b)
Fig. 13.6
119
a) b)
Fig. 13.7
3750
Per l’acciaio: fyd = = 3260 daN/ cm 2 .
1.15
Fig. 13.8a
120
La percentuale meccanica di armatura ed il parametro δ assumono i valori:
4.62 ⋅ 3260
q= = 0.049
30 ⋅ 290 ⋅ 34.85
10
δ= = 0.034
290
Fig. 13.8b
Risulta:
N 0 = t ⋅ d ⋅ 0.85 f d = 30 ⋅ 290 ⋅ 34.85 = 303195 daN
40000 50000
nd = = 0.1319 ; m d = = 0.0569
303195 303195 ⋅ 2.9
la verifica è soddisfatta.
Si propone ora una soluzione approssimata del problema della pressoflessione nel piano, utile
quando non si voglia ricorrere ai domini di resistenza.
La procedura si articola nelle seguenti fasi:
– si ipotizza che a rottura le armature, tesa e compressa, lavorino oltre il limite elastico; tale
ipotesi è plausibile per le consuete percentuali di armatura. Si ipotizza inoltre che si arri-
vi a rottura con sforzo normale costante Nd;
121
– con tale ipotesi nella (13.2a) i termini relativi all’acciaio, per u = 1, hanno somma alge-
brica nulla, per cui risulta:
Nd
nu = = 0.8 ξ (13.5)
t ⋅ d ⋅ 0.85 fd
da tale ultima espressione si ricava ξ;
– dalla (13.2b) si determina mu e quindi Mu = mu · d · N0.
Si verifica ora con tale procedura la parete di figura 13.8 già verificata con il relativo domi-
nio di resistenza.
In tale esempio si ha:
nu = nd = 0.1319 = 0.8 ξ
trovando così un valore in eccesso di meno del 3% rispetto al valore ricavato con il dominio
di resistenza.
Fig. 13.9
122
Il procedimento prevede le seguenti fasi:
a) si stima un valore di prima approssimazione per 0.8 x, considerando soggette a trazione il
50% delle barre e trascurando il contributo delle altre. L’equazione di equilibrio alla tras-
lazione si scrive nella forma:
∑
0.5 n
N d = 0.8 x ⋅ 0.85 fd ⋅ t - ( Asi fyd )
i=1
da cui:
∑
0.5 n
Nd + ( Asi fyd )
i=1
0.8 x = (13.6)
0.85 f d ⋅ t
b) si calcola lo sforzo di compressione nella muratura
c) sulla base del valore di x che deriva dalla (13.6), si escludono le barre prossime all’asse
neutro e si valuta la risultante Cs delle forze nelle k1 barre ritenute attive a compressione
e la risultante T delle forze nelle k2 barre ritenute attive a trazione:
∑
k1
Cs = ( Asi fyd ) (13.8)
i=1
∑
k2
T= ( Asi fyd ) (13.9)
i=1
d) si controlla l’equilibrio:
se risulta
Cm + Cs - T > Nd
Cm + Cs - T < Nd
si incrementa x in proporzione;
e) si ripetono gli step da b) a d) sino a quando il valore assoluto dello scarto tra due valori di
x ricavati in due iterazioni successive non risulti minore di un valore ε prefissato:
x j - x j-1 ≤ ε
si può assumere 2% ≤ ε ≤ 5%. In generale sono sufficienti poche iterazioni;
f) trovato un valore di x sufficientemente approssimato, indicando con xi la coordinata della
generica barra rispetto al bordo compresso, il momento flettente ultimo Mu è fornito dalla
espressione:
l
∑ l
∑ l
k1 k2
M u = Cm ( - 0.4 x ) + [( Asi fyd ) ( - x i )] + [( Asi fyd ) ( x i - )] (13.10)
2 i=1 2 i=1 2
123
Fig. 13.10
Si ha quindi:
124
Tale approssimazione già sarebbe sufficiente. Comunque, a scopo dimostrativo, si esegue una
terza iterazione, con una riduzione del 3% del valore di 0.8 x:
0.8 x = 0.97 ⋅ 60.24 = 58.43 cm ; x = 73.04 cm.
Con questo ultimo valore di x risulta:
Cm = 58.43 ⋅ 34.85 ⋅ 30 = 61088 daN ; Cs = 4 ⋅ 3260 = 13040 daN
T = (4 + 3 ⋅ 1.13) ⋅ 3260 = 24091 daN
Cm + Cs - T = 50037, valore praticamente coincidente con Nd.
Il momento ultimo si calcola con la (13.10):
0.5843
M u = 61088 ⋅ (1.5 - ) + 3260 ⋅ 4.0 ⋅ (1.5-0.10) + 3260 ⋅ 4.0 ⋅ (2.9 - 1.5) +
2
+ 3260 ⋅ 1.13 ⋅ [(2.5-1.5) + (2.1-1.5) + (1.7-1.5)] = 116927 daN m
fvk
Vt ,M = d t (13.11)
γm
In tale formula:
d è la distanza tra il lembo compresso ed il baricento dell’armatura posta al lembo opposto;
t è lo spessore della parete;
fvk = fvk0 + 0.4 σn, con σn tensione normale media valutata sulla sezione di lunghezza d, σn = N/(d t).
Il contributo dell’acciaio è poi determinato con la formula:
125
Fig. 13.11
Ancora in analogia con il calcestruzzo armato è necessaria una verifica a compressione delle
bielle di muratura. Il taglio agente non deve superare il valore:
con
t spessore della parete;
fd resistenza a compressione di progetto, nella direzione dell’azione agente.
Come esempio si vuole trovare il taglio ultimo per la parete di figura 13.10, con armatura oriz-
zontale 1 φ 10 passo 40, realizzata con materiali con le seguenti caratteristiche:
Il taglio agente Vt,d deve comunque risultare minore o uguale al taglio Vt,c definito dalla
(13.13):
V t,c = 0.3 ⋅ 10 ⋅ 30 ⋅ 290 = 26100 daN; Vt,d ≤ 26100 daN.
126
13.2.7. Verifica a pressoflessione fuori del piano
Le verifiche a pressoflessione fuori del piano si presentano come verifiche con sola armatura
tesa, disposta in generale sull’asse della parete (fig. 13.12).
La parete ha larghezza l mentre risulta d = 0.5 t. Con le consuete percentuali di armatura, l’ac-
ciaio lavora oltre il limite elastico. Si ipotizza inoltre che si arriva a rottura con sforzo nor-
male costante Nd.
Fig. 13.12
Se si indica con As la somma delle aree di acciaio, le equazioni di equilibrio assumono la forma:
t
M u = 0.85 fd ⋅ l ⋅ 0.8 x ⋅ (
- 0.4 x ) (13.14b)
2
Per tale problema non è necessario porre le equazioni di equilibrio in forma adimensionale.
Dalla (13.14a) si ricava x:
N d + fyd ⋅ As
x= (13.15)
0.85 fd ⋅ l ⋅ 0.8
e, sostituendo il valore di x così ricavato nella (13.14b), si valuta il momento ultimo.
Con tale procedura si vuole trovare il momento ultimo per pressoflessione fuori del piano,
relativo alla parete di figura 13.10 soggetta ad uno sforzo normale Nd = 50000 daN.
Considerando una muratura con fk = 82 daN/cmq ed acciaio Fe B 38 k, risulta:
0.85 fd = 34.85 daN/cmq ed fyd = 3260 daN/cmq
L’ armatura totale è:
As = 4.0 ⋅ 2 + 6 ⋅ 1.13 = 14.78 cmq
Si ha quindi, per la (13.15):
50000 + 3260 ⋅ 14.78
x= = 11.74 cm.
34.85 ⋅ 300 ⋅ 0.8
Il valore di Mu si ricava con la (13.14b):
1
M u = 34.85 ⋅ 300 ⋅ 0.8 ⋅ 11.74 ( 15 - 0.4 ⋅ 11.74 ) = 10118 daN m
100
127
13.2.8. I principi di gerarchia delle resistenze
Il principio più importante di gerarchia delle resistenze, applicabile solo per muratura arma-
ta, si realizza se si ottiene che per ogni pannello murario sia evitato il collasso da taglio in
quanto sempre preceduto da una modalità di collasso per flessione.
Tale obiettivo si considera raggiunto se il pannello murario risulta verificato a flessione per le
azioni di progetto ed è verificato a taglio relativamente alle azioni risultanti dalla resistenza
a collasso per flessione, amplificate del fattore γRd = 1.5.
dr < 0.004 h
con h altezza d’interpiano.
Gli spostamenti si ottengono moltiplicando gli spostamenti relativi all’azione di progetto per
il coefficiente d’importanza.
128
con i valori di Vt,M e Vt,S forniti rispettivamente dalle (13.11) e (13.12) del paragrafo 13.2.6.
Come valori di calcolo si assumeranno i valori medi delle resistenze dei materiali.
Lo spostamento ultimo du si può assumere pari allo 0.6% dell’altezza h del pannello.
dr < 0.004 h
con h altezza d’interpiano.
Da notare che, nel caso di analisi statica non lineare, gli spostamenti si ricavano direttamen-
te dall’analisi stessa.
129
14
Applicazioni1
In questo capitolo si presentano alcuni esempi di edifici analizzati con le metodologie illu-
strate nel capitolo 11 ed alcune verifiche di elementi strutturali relativi a tali edifici, con le
procedure illustrate nei capitoli 12 (murature ordinarie) e 13 (murature armate).
Fig. 14.1
1
Per il paragrafo 14.1 l’aggiornamento alle nuove normative è riportato al paragrafo A.9.1.
Fig. 14.2
132
Fig. 14.3
MATERIALI
Muratura di mattoni e malta cementizia tipo M1; peso specifico 1800 daN/m3.
2 2
Resistenza caratteristica a compressione dell’elemento fbk = 10 N/mm = 100 daN/cm .
2 2
Resistenza caratteristica a compressione della muratura fk = 6.2 N/mm = 62 daN/cm .
2
Resistenza caratteristica a taglio della muratura in assenza di carichi verticali fvko = 0.2 N/mm
2
= 2.0 daN/cm .
Moduli elastici:
2 2
E = 1000 fk = 62000 daN/cm ; G = 0.4 E = 24800 daN/cm .
133
CARICHI UNITARI
A) SOLAI
a1) Solai ai piani:
Solaio laterocementizio H = 20 + 4 = 24 cm, i = 50 cm, b = 10 cm.
p.p. soletta 0.04 x 2500 = 100 daN/mq
solaio = 180
pavimento, massetto, intonaco = 110
incidenza tramezzi = 50
---------------------
carichi fissi 440 daN/mq
carico utile 200 daN/mq
---------------------
carico totale 640 daN/mq
Ai fini della valutazione dell’azione sismica:
Gk + ψE Qk = 440 + 0.30 · 0.5 · 200 = 470 daN/mq.
Ai fini della valutazione dei carichi verticali da combinare con l’azione sismica:
Gk + ψ2 Qk = 440 + 0.30 · 200 = 500 daN/mq.
134
a4) Cornicione
Soletta piena in c.a. spessore 16 cm.
peso proprio 0.16 · 2500 = 400 daN/mq
ricoprimento, imperm., intonaco = 60
---------------------
carichi fissi 460 daN/mq
carico utile (neve zona 2) 115 daN/mq
---------------------
carico totale 575 daN/mq
Ai fini della valutazione dell’azione sismica:
Gk + ψE Qk = 460 + 0.20 · 115 ≅ 485 daN/mq
Ai fini della valutazione dei carichi verticali da combinare con l’azione sismica:
Gk + ψ2 Qk = 460 + 0.20 · 115 ≅ 485 daN/mq
B) MURATURE
b1) peso/mq
spessore 0.30 : 0.30 · 1800 = 540 daN/mq
spessore 0.40 : 0.40 · 1800 = 720 daN/mq
b2) peso/ml
Murature perimetrali in copertura : (1.00 + 3.00 · 0.5) · 540 = 1350 daN/ml
Murature non perimetrali in copertura : 3.00 · 0.5 · 540 = 810 daN/ml
Murature 2° impalcato : 3.00 · 540 = 1620 daN/ml
Murature 1° impalcato : 3.00 · 0.5 · 540+3.00 · 0.5 · 720 = 1890 daN/ml
C) CORDOLI
Copertura e 2° impalcato: 0.30 · 0.24 · 2500 = 180 daN/ml
1° impalcato: 0.40 · 0.24 · 2500 = 240 daN/ml
D) SCALA
Gradini a sbalzo, pav. e intonaco = 400 daN/mq
Carico utile: = 400 daN/mq
Ai fini della valutazione dell’azione sismica:
Gk + ψE Qk = 400 + 0.80 · 400 = 720 daN/mq
Ai fini della valutazione dei carichi verticali da combinare con l’azione sismica:
Gk + ψ2 Qk = 400 + 0.80 · 400 = 720 daN/mq
Con tali carichi unitari si sono determinati i carichi gravanti sulle singole pareti a tutti i piani.
Come esempio, si riportano nella tabella 14.1 le analisi relative al primo impalcato, con la pre-
cisazione che i pesi in detrazione sono relativi ai vuoti per porte e finestre.
135
PESI 1° IMPALCATO
Tabella 14.1
Parete Sviluppo Peso Solaio Peso Sviluppo Peso Sviluppo Peso Peso
parete parete (mq.) solaio cordoli e cordoli scale scale totale
(ml.) (daN.) corn. (daN.) (ml.) (daN.) (daN.)
(ml.)
1 - 15 3.00 5670 6.15 2890 3.00 720 - - 9280
– 605
8675
2 -16 3.20 6048 6.56 3083 3.20 768 - - 9899
– 605
9294
3-4 3.30 6237 8.91 4188 3.30 792 - - 11217
17 - 18 – 605
Pareti 10612
direzione 5 - 13 7.60 14364 33.44 15717 7.60 1824 - - 31905
x – 793
31112
6 - 14 5.00 9450 25.25 11867 5.00 1200 - - 22517
– 793
21724
7 - 10 4.80 9072 18.48 8686 4.80 1152 - - 18910
– 793
18117
8 - 11 2.80 5292 10.78 5067 2.80 672 - - 11031
– 1588
9443
9 -12 5.00 9450 11.75 5552 5.00 1200 5.00 4350 20522
– 793
19759
19 - 30 7.10 13419 - - 7.10 1704 - - 15123
– 906
14217
20 - 31 4.40 8316 - - 4.40 1056 - - 9372
– 528
8844
21 - 32 6.90 13041 - - 6.90 1656 - - 14697
– 402
Pareti 14295
direzione 22 - 28 4.60 8690 - - 4.60 1099 - - 9789
y 23 - 29 2.30 4347 - - 2.30 552 - - 4899
– 806
4093
24 - 26 3.90 7371 - - 3.90 936 - - 8307
– 1512
6795
25 - 27 3.10 5859 - - 3.10 744 - - 6603
– 1310
5293
da 8 a 11 1.50 2835 - - 1.50 360 - - 3195
– 793
2402
Totale = 194464
136
Peso 1° impalcato W1 = 2 · 194464+2 · 10612 = 410152 daN.
In modo analogo si è svolta l’analisi per gli altri piani, che per brevità non si riporta, ottenendo
i seguenti risultati:
Nelle tabelle 14.2a e 14.2b sono riportati i carichi progressivi per le singole pareti.
w3
(1)
w2 w3 + w2 w1 w3 + w2 +w1
Parete
daN daN daN daN daN
3-4
10614 9610 20224 10612 30836
17 - 18
Pareti
direzione x 5 - 13 24238 28717 52955 31112 84067
6 - 14 17487 20187 37674 21724 59398
7 - 10 13837 16646 30483 18117 48600
8 - 11 11087 8746 19833 9443 29276
9 27690 18162 45852 19759 65611
12 23370 18162 41532 19759 61291
comprensivo del peso del torrino
(1)
w3
(1)
w2 w3 + w2 w1 w3 + w2 +w1
Parete
daN daN daN daN daN
137
Tabella 14.3
Carico Carico
Parete xi(ml) yi(ml) Parete xi(ml) yi(ml)
daN daN
1 25068 1.40 23.50 18 30836 11.85 0.20
Per il 1° impalcato, nella tabella 14.3, sono riportati i dati necessari per la determinazione del
baricentro delle masse. Le coordinate di tale baricentro sono fornite da:
xG = Σ wi xi / Σ wi; yG = Σ wi yi / Σ wi
dove le sommatorie sono estese a tutte le pareti del piano.
Tali coordinate risultano:
xG1 = 6.96 ml; yG1 = 12.50 ml
In modo analogo si ricava, per il 2° impalcato e per la copertura:
138
Nelle tabelle 14.4a e 14.4b sono presentati i valori Kxi e Kyi di tali rigidezze.
Tabella 14.4a-b
Lunghezza xi yi Kxi
Parete
(ml) (ml) (ml) (daN/cm)
1 2.4 1.4 23.5 378873.1394313
2 2.6 5.1 23.5 434849.3150685
3 2.7 7.95 24.8 463104.696737
4 2.7 11.85 24.8 463104.696737
5 7 3.9 19.2 1.661153e+6
6 4.4 10.8 19.2 946963.5373913
7 4.2 2.5 14.2 890557.918748
8 1.6 6.6 14.2 171334.1415334
9 4.4 10.8 14.2 946963.5373913
10 4.2 2.5 10.8 890557.918748
11 1.6 6.6 10.8 171334.1415334
12 4.4 10.8 10.8 946963.5373913
13 7 3.9 5.8 1.661153e+6
14 4.4 10.8 5.8 946963.5373913
15 2.4 1.4 1.5 378873.1394313
16 2.6 5.1 1.5 434849.3150685
17 2.7 7.95 0.2 463104.696737
18 2.7 11.85 0.2 463104.696737
Σ = 1.271381 e + 7
Lunghezza xi yi Kyi
Parete
(ml) (ml) (ml) (daN/cm)
19 6.2 0.2 20.4 1.444701e+6
20 4 6.6 22.8 833928.2489122
21 6.5 13.2 21.55 1.526154e+6
22 4.6 6.6 16.7 1.003138e+6
23 1.5 13.2 16.75 148758.678145
24 2.4 0.2 14.2 378873.1394313
25 1.8 13.2 14.3 219414.0079075
26 2.4 0.2 10.6 378873.1394313
27 1.8 13.2 10.7 219414.0079075
28 4.6 6.6 8.3 1.003138e+6
29 1.5 13.2 8.25 148758.678145
30 6.2 0.2 4.6 1.444701e+6
31 4 6.6 2.2 833928.2489122
32 6.5 13.2 3.45 1.526154e+6
Σ = 1.110993e+7
139
I valori di xR1, yR1 sono stati ricavati con la (11.5b) mentre il momento d’inerzia polare è for-
nito dalla (11.7).
L’eccentricità effettiva vale quindi:
A tali eccentricità deve essere sommata algebricamente l’eccentricità accidentale pari 0.05 L,
con L lunghezza dell’edificio in direzione ortogonale alla direzione del sisma. Il segno del-
l’eccentricità accidentale deve essere tale da far crescere, in valore assoluto, l’eccentricità di
calcolo.
Nel caso di sisma in direzione x, risulta:
Con procedura analoga, che per brevità non si riporta in dettaglio, si è operato agli altri piani.
I risultati trovati sono presentati di seguito.
2° impalcato xG2 = 7.02 ml; yG2 = 12.51 ml; xR2 = 6.73 ml; yR2 = 12.50 ml
Σ (kxi) = 9.765796 e + 6; Ip2 = 7.987923 e + 12
ey2 = 0.01 + 0.05 · 25.00 = 1.26 ml
Copertura xG3 = 7.20 ml; yG3 = 12.52 ml; xR3 = 6.73 ml.; yR3 = 12.50 ml
Σ (kxi) = 9.765796 e + 6; Ip3 = 7.987923 e + 12;
ey3 = 0.02 + 0.05 · 25.00 = 1.27 ml.
I coefficienti di ripartizione Rx per sisma in direzione x si valutano, per i tre piani, con le
(11.9a). I risultati trovati sono riportati nelle tabelle 14.5a, 14.5b e 14.5c.
140
Tabella 14.5b 2° Impalcato
141
Fattore d’importanza γI = 1.
Valutazione approssimata del 1° periodo proprio di vibrazione T1:
3/4
T1 = C · H = 0.050 · 11.253/4 = 0.31 sec
b) Fattore di struttura q.
Per l’edificio considerato le variazioni di massa e di rigidezza rientrano nei limiti stabili-
ti per la definizione di regolarità in altezza. Tuttavia la presenza del torrino, considerato
in via schematica solo per il termine di peso, genera una certa irregolarità. Ciò consiglia
di assumere per q la formula:
q = 1.5 αu/αl
c) Lo spettro di progetto Sd(Te) si valuta con la formula di normativa, che assume nel caso
in esame il valore:
2.5 2.5
Sd (Te ) = a g S = 0.25 g ⋅ 1.25 ⋅ = 0.2894 g
q 2.7
Le forze orizzontali di piano Fi ed i taglianti di piano sono determinati nella tabella 14.6.
Si vogliono ora verificare allo SLU le pareti 1 e 6 al piano terra.
Tabella 14.6
Wi zi zi Wi Forza di piano Fi Tagliante di piano
Impalcato zi Wi
(daN) (ml) Σ zj Wj (daN) (daN)
Il taglio Vd che compete a ciascuna parete si ottiene moltiplicando, ad ogni piano, la forza di
piano Fi per il relativo coefficiente di ripartizione Rx contenuto nelle tabelle 14.5a, b, c e quin-
di sommando i vari termini. Il momento flettente è poi: Md = Vd · 0.5 h.
Per quanto riguarda lo sforzo normale di progetto, occorre incrementare, a ciascun piano
esclusa la copertura, il sovraccarico di 30 daN per mq di solaio gravante sulla parete consi-
derata (vedi analisi precedenti).
142
PARETE 1
l = 240 cm; t = 40 cm
Vd = 0.0353 · 167177 + 0.0353 · 107457 + 0.0348 · 60122 = 11787 daN
Md = 11787 · 3.25 · 0.5 = 19154 daNm
Pd = 25068 + 2 · 30 · 6.15 = 25437 daN
σ0 = σmed = 25437 / (240 · 40) = 2.65 daN/cmq
PARETE 6
l = 440 cm; t = 40 cm
Vd = 0.0827 · 167177 + 0.0826 · 107457 + 0.0821 · 60122 = 27638 daN
Md = 27638 · 3.25 · 0.5 = 44912 daNm
Pd = 59398 + 2 · 30 · 25.25 = 60913 daN
σ0 = σmed = 60913 / (440 · 40) = 3.46 daN/cmq
VERIFICHE PARETE 1
fd = 62/2 = 31 daN/cmq; fvk0 = 2.0 daN/cmq
Pressoflessione:
σ0 σ0 1 2.65 2.65 1
M u = ( l2 t ) (1 - ) = (240 2 ⋅ 40 ⋅ )(1- ) =
2 0.85 fd 100 2 0.85 ⋅ 31 100
= 27457 daNm > M d .
Taglio per scorrimento:
e = Md / Pd = 0.75 ml; u = 1.2 - 0.75 = 0.45 ml; l’= 3 u = 1.35 ml
25437
σn = = 4.71 daN/cmq ; fvk = fvk0 + 0.4 σn = 3.88 daN/cmq
40 ⋅ 135
fvk
Vt = l’ t = 10476 daN < Vd - sezione non verificata
2
Taglio per crisi da trazione (verifica non richiesta dalla {4} e qui svolta come esempio):
si assume ft = 3.0 daN/cmq; ftd = 3.0/2 = 1.5 daN/cmq
h / l = 3.25 / 2.40 = 1.35; b = 1.35.
σmed = 2.65 daN / cmq.
1.5 2.65
Vt = 240 ⋅ 40 ⋅ 1 + = 17742 daN > Vd (vedi formula 12.4).
1.35 1.5
VERIFICHE PARETE 6
fd = 62 / 2 = 31 daN/cmq; fvk0 = 2.0 daN/cmq
Pressoflessione:
σ0 σ0 1 3.46 3.46 1
M u = ( l2 t ) (1 - ) = (440 2 ⋅ 40 ⋅ )(1- ) =
2 0.85 fd 100 2 0.85 ⋅ 31 100
= 116380 daNm > M d .
Taglio per scorrimento:
e = Md / Pd = 0.7373 ml; u = 2.2 - 0.7373 = 1.46 ml; l’= 3 u = 4.38 ml
60913
σn = = 3.48 daN/cmq
40 ⋅ 438
fvk = fvk0 + 0.4 · σn = 3.39 daN/cmq
fvk
Vt = l’ t = 29696 daN > Vd
2
143
Taglio per crisi da trazione:
Si assume ft = 3.0 daN/cmq; ftd = 3.0/2 = 1.5 daN/cmq
h/l = 3.25/4.40 = 0.74; b = 1.00.
σ med = 3.46 daN/cmq
3.46
Vt = 440 ⋅ 40 ⋅ 1.5 1 + = 48006 daN > Vd
1.5
Sono state qui considerate, a titolo esemplificativo, le due sole pareti 1 e 6 al piano terrra scel-
te come campione essendo ripetitiva l’estensione a tutte le pareti ed a tutti i piani.
In termini di normativa la verifica di una parete va fatta sovrapponendo agli effetti del sisma
in una direzione (nella fattispecie la direzione x) il 30% degli effetti relativi al sisma in dire-
zione ortogonale (direzione y).
Si osserva che gli effetti per sisma y per una parete disposta secondo x sono legati esclusiva-
mente ai termini di eccentricità ex. In questo caso ex < ey (0.21+ 0.67 = 0.88 ml contro 1.25
ml) ed inoltre occorre effettuare la riduzione al 30%, mentre il termine di rigidezza per eccen-
tricità è di per sè piccolo rispetto al termine di rigidezza alla traslazione. Tutto ciò rende
modesto, in questo caso, il termine di taglio aggiuntivo per cui restano sostanzialmente vali-
di i valori innanzi trovati per le verifiche. A dimostrazione di quanto affermato si svolgono le
analisi numeriche per la parete 1:
144
Tabella 14.7
Wi zi zi Wi Forza di piano Fi Tagliante di piano
Impalcato zi Wi
(daN) (ml) Σ zj Wj (daN) (daN)
A ciascun piano i, lo spostamento medio d’interpiano drimed è pari al rapporto tra il tagliante
di piano e Kxi, dove con Kxi si indica la sommatoria delle rigidezze di tutte le pareti aventi la
direzione maggiore nella direzione del sisma.
Per effetto del momento torcente Mti dovuto all’eccentricità di calcolo, il piano i ruota intor-
no all’asse verticale passante per il baricentro delle rigidezze di un angolo φi pari a:
M ti
φi =
Ipi
con Ipi momento d’inerzia polare del piano.
Lo spostamento della generica parete jx in direzione x dovuto a tale rotazione vale quindi:
d ' rjx = φ i (y jx - y R )
con (yjx - yR) distanza, in direzione y, della generica parete dal baricentro delle rigidezze.
Dovendo valutare spostamenti, è consigliabile far riferimento alle rigidezze fessurate.
Le verifiche vengono sviluppate per le pareti 3 e 4, che presentano il massimo valore per (yjx - yR)
e quindi per il termine d’rjx.
451846 ⋅ 100
φ1 = = 0.8714 ⋅ 10 -5 rad
0.5 ⋅ 1.037113 ⋅ 1013
373660 ⋅ 100
φ2 = = 0.9356 ⋅ 10 -5 rad
0.5 ⋅ 7.987923 ⋅ 1012
-5
dr2,(3) = 0.0608 + 0.9356 · 1235 · 10 = 0.0724 cm.
145
TERZO PIANO - PARETI 3 - 4
Tagliante di piano = 180522 daN; e = 0.02 + 0.05 · 25.0 = 1.27 ml; Mt3 = 229263 daNm.
180522
d r 3 med = = 0.037 cm
0.5 ⋅ 9.765796 ⋅ 10 6
229263 ⋅ 100
φ3 = = 0.574 ⋅110 -5 rad
0.5 ⋅ 7.987923 ⋅ 1012
dr3,(3) = 0.0370 + 0.574 · 1235 · 10-5 = 0.0441 cm.
Nell’esempio sviluppato per le pareti 3 e 4 si ritrovano spostamenti d’interpiano modesti, con-
seguenza della regolarità planimetrica d’insieme e della buona organizzazione in pianta delle
pareti che inoltre presentano modeste bucature.
In definitiva, per le pareti prese in esame, gli spostamenti d’interpiano risultano ampiamente
al di sotto dei limiti imposti dalla normativa.
Fig. 14.4
146
I carichi verticali agenti sulla parete sono dovuti al peso proprio ed ai solai di piano la cui area
d’influenza sulla parete è larga 5.00 ml e lunga 9.1 ml.
I carichi dei solai, eguali a tutti i piani, sono così fissati:
Fig. 14.5
147
Il terremoto di progetto presenta le seguenti caratteristiche:
COPERTURA
p.p. parete: (3.0 + 2 · 2.0) · 0.3 · 3.2 · 0.5 · 1800 = 6048 daN
p.p. travi: 2 · 1.2 · 0.3 · 1.0 · 1800 = 1296
carico permanente solaio: 400 · 5.0 · 9.1 = 18200
carico utile solaio: 200 · 0.3 · 5.0 · 9.1 = 2730
--------------------
28274 daN
PIANI 1° E 2°
p.p. parete: (3.0 + 2 · 2.0) · 0.3 · 3.2 · 1800 = 12096 daN
p.p. travi: 2 · 1.2 · 0.3 · 1.0 · 1800 = 1296
carico permanente solaio: 400 · 5.0 · 9.1 = 18200
carico utile solaio: 200 · 0.3 · 0.5 · 5.0 · 9.1 = 1365
--------------------
32957 daN
Si è applicato, al carico utile dei solai, il coefficiente riduttivo ψE = 0.3 · 0.5 = 0.15.
2
La massa di piano è quindi: m1 = m2 = 32957/9.81 = 3359.5 daN/m · sec .
2
La massa totale della parete assume il valore: M = m1 + m2 + m3 = 9601 daN/m · sec prati-
camente coincidente con il valore trovato dal programma.
148
Fig. 14.6
Le ordinate di destra del diagramma evidenziano il rapporto taglio alla base totale/carico ver-
ticale totale.
Il programma fornisce un valore della rigidezza iniziale elastica pari a 34916200 daN/m.
Γ= ∑ m φ /∑ m φ
i i
2
i i =1
La rigidezza secante a snervamento si ottiene congiungendo l’origine col punto della curva
corrispondente allo 0.7 del taglio massimo (0.7 · 50000 = 35000 daN); il tratto orizzontale
della bi-lineare è individuato dall’eguaglianza delle aree sottese dalla curva non lineare e dalla
bi-lineare.
La soluzione proposta dall’elaboratore è la seguente:
149
k* = 31083480 daN/m (= 89.023% della rigidezza elastica iniziale), mentre il punto di sner-
vamento è definito dai seguenti parametri:
spostamento d* = 1.51 mm; forza F*y = 47013 daN = 0.94 Fbu1
Il periodo elastico T* si calcola come segue:
m*
T* = 2 π = 0.110 sec
k*
DATI DI PROGETTO
Periodi di spettro: TB = 0.150 sec; TC = 0.400 sec; TD = 2.000 sec (vedi tabella 10.1).
Accelerazione al suolo ag = 0.250 g; fattore di suolo S = 1; fattore d’importanza γI = 1.
a) b) c)
Fig. 14.7
150
Lo spostamento effettivo di risposta del punto di controllo risulta: Γd*max = 1.81 mm.
In definitiva si è ottenuto:
• domanda sismica di spostamento = 1.81 mm;
• capacità di spostamento allo SLU = 7.23 mm.
Risultando: capacità > domanda, la verifica è positiva.
Nelle figure 14.7a, b, c si mostra il progressivo degrado degli elementi costituenti la parete.
Gli effetti sono dovuti al taglio per scorrimento: gli elementi in verde sono in campo elastico,
quelli in giallo in campo plastico, mentre l’elemento in grigio non è reagente perchè sogget-
to a trazione. In particolare nella figura 14.7a si nota il primo elemento entrato in campo pla-
stico, nella figura 14.7b si presenta la situazione ad un passo intermedio dell’analisi, mentre
in figura 14.7c si presenta la situazione per i vari elementi strutturali allo stato limite ultimo.
Per lo stato limite di danno, gli spostamenti d’interpiano dr sono valutati in corrispondenza
del valore del taglio alla base pari a 0.9 Fbu1 = 45000 daN.
I risultati sono riportati nella seguente tabella:
Fig. 14.8
151
Le masse di piano assumono i valori visti in precedenza:
2 2
m3 = 2882 daN/m · sec ; m2 = m1 = 3359.5 daN/m · sec
Nella figura 14.8 si presenta la curva non lineare taglio alla base-spostamento del punto di
controllo elaborata dal programma. Le coordinate del punto terminale della curva presentano
i valori:
praticamente coincidente con il valore 6244 daN/m · sec2 trovato dal programma.
Il coefficiente di partecipazione assume il valore:
Γ= ∑ m φ /∑ m φ
i i
2
i i = 1.314
La definizione della bi-lineare si effettua con gli stessi criteri visti per la distribuzione di forze (A).
La soluzione proposta dall’elaboratore è la seguente:
*
k = 29274000 daN/m (= 100% della rigidezza elastica iniziale), mentre il punto di snerva-
mento è definito dai seguenti parametri:
* *
spostamento d = 1.07 mm; forza F y = 31285 daN
DATI DI PROGETTO
Periodi di spettro: TB = 0.150 sec; TC = 0.400 sec; TD = 2.000 sec.
Accelerazione al suolo ag = 0.250 g; fattore di suolo S = 1; fattore d’importanza γI = 1.
152
La risposta in termini di spostamento è:
T* 2
d e max = Se ( T*) ( ) = 0.479 ⋅ 9.81 ⋅ 1000 ( 0.092 )2 = 1.00 mm
2π 2π
*
Il rapporto q tra forza di risposta elastica e forza di snervamento vale:
0.479 ⋅ 9.81 ⋅ 6244
q* = = 0.938
31285
* *
Per q ≤ 1 risulta: d max= demax = 1.00 mm.
*
Lo spostamento effettivo di risposta del punto di controllo risulta: Γd max = 1.32 mm.
In definitiva si è ottenuto:
• domanda sismica di spostamento = 1.32 mm;
• capacità di spostamento allo SLU = 1.70 mm.
Risultando: capacità > domanda, la verifica è positiva.
Nelle figure 14.9a, b, c si mostra il progressivo degrado degli elementi costituenti la parete.
Gli effetti sono dovuti al taglio per scorrimento. In particolare nella figura 14.9a si notano i
primi elementi entrati in campo plastico, nella figura 14.9b si presenta la situazione ad un
passo intermedio dell’analisi, mentre in figura 14.9c si presenta la situazione per i vari ele-
menti strutturali allo stato limite ultimo.
a) b) c)
Fig. 14.9
Per lo stato limite di danno, gli spostamenti d’interpiano dr sono valutati in corrispondenza
del valore del taglio alla base pari a Fbu2 = 35000 daN.
I risultati sono riportati nella seguente tabella:
153
14.3. ANALISI DINAMICA MODALE
Si presenta ora un esempio riferito ad un edificio analizzato con le procedure relative all’a-
nalisi dinamica modale. L’edificio deriva dall’edificio presentato al paragrafo 14.1, ma in
questo caso presenta un arretramento al 2° piano, come evidenziato nella relativa pianta, men-
tre le piante al piano terra ed al 1° piano restano inalterate. Nelle figure 14.10 a, b, c, d si pre-
sentano le piante a tutti i piani, compresa quella in copertura.
a) b)
Fig. 14.10
Le sezioni A-A, B-B, C-C restano invariate e sono già state presentate nelle figure 14.2. La
sezione D-D, in scala maggiorata rispetto alle figure 14.10a, b, c, d, è in figura 14.10e. Gli
spessori della muratura sono pari a 0.40 ml dalla fondazione al primo impalcato e 0.30 ml. dal
primo impalcato alla copertura.
In figura 14.11 si mostra una vista prospettica dell’edificio
La pianta strutturale al piano terra è ancora quella presentata in figura 14.3. Per i piani supe-
riori le relative piante strutturali sono consegnate, in scala ridotta, nelle figure 14.12 a, b, c.
Le caratteristiche geometriche delle pareti a piano terra sono state definite in figura 14.3; per
le pareti ai piani superiori tali caratteristiche per brevità non sono evidenziate.
Le caratteristiche dei materiali ed i carichi unitari non cambiano rispetto all’esempio del para-
grafo 14.1 e comunque vengono di seguito riepilogati.
MATERIALI
Muratura di mattoni e malta cementizia tipo M1.
2
Resistenza caratteristica a compressione dell’elemento fbk = 100 daN/cm .
2
Resistenza caratteristica a compressione della muratura fk = 62 daN/cm .
Resistenza caratteristica a taglio della muratura in assenza di carichi verticali
2
fvko = 2.0 daN/cm
154
c) d)
e)
Fig. 14.10
Fig. 14.11
a) b)
c)
Fig. 14.12
Moduli elastici
E = 1000 fk = 62000 daN/cm2 ; G = 0.4 E = 24800 daN/cm2
CARICHI UNITARI
a) Solai
a1) Solai ai piani: carichi fissi = 440 daN/mq; carico utile = 200 daN/mq
a2) Solaio di copertura praticabile: carichi fissi = 450 daN/mq; carico utile = 200 daN/mq
a3) Solaio cop. torrino praticabile: carichi fissi = 410 daN/mq; carico utile = 200 daN/mq
a4) Cornicione: carichi fissi = 460 daN/mq; carico utile = 115 daN/mq
N.B. ai carichi utili si applicano i coefficienti riduttivi di normativa.
b) Murature: Si assume un peso specifico per la muratura pari a 1800 daN/mc. I pesi dei
maschi murari e delle travi in muratura vengono calcolati automaticamente dal program-
ma utilizzato.
c) Cordoli: il peso dei cordoli è conglobato nel peso delle murature.
d) Scala: carichi fissi = 400 daN/mq; carico utile = 400 daN/mq.
157
– a pressoflessione complanare;
– a taglio per scorrimento.
Coefficienti di partecipazione
Modo
X Y Z
1 - 0.783 109.078 0.000
2 1.797 255.561 0.000
3 225.729 -2.826 0.000
4 183.668 1.066 0.000
5 0.967 128.402 0.000
Coefficienti di partecipazione
Modo
X Y Z
6 - 13.201 5.063 0.000
7 - 5.424 71.941 0.000
8 - 72.393 - 9.483 0.000
9 - 73.658 4.290 0.000
10 39.366 1.434 0.000
11 31.120 - 0.778 0.000
12 30.615 - 0.045 0.000
158
Nelle figure 14.13a, b, c, d, e si mostrano i primi 5 modi di vibrazione dell’edificio, riferiti
all’impalcato a quota 6.50 ml.
a) b)
Fig. 14.13a-b
Come si rileva dalle figure 14.13a e b i primi due modi eccitano le masse a vibrare in dire-
zione y. Rispetto a tale direzione l’edificio non presenta irregolarità di rilievo in pianta od in
altezza e quindi non si innescano moti torsionali.
Dalle figure 14.13c e d si rileva che i modi 3 e 4 eccitano le masse a vibrare in direzione x.
Rispetto a tale direzione l’edificio presenta irregolarità sia in pianta che in altezza e quindi si
innescano moti torsionali dell’edificio stesso.
Infine il modo 5 eccita le masse a vibrare ancora in direzione y.
I modi di vibrazione sono naturalmente in accordo con i relativi coefficienti di partecipazione.
Risolto il problema dell’analisi modale, il programma fornisce le caratteristiche della solleci-
tazione di progetto per le pareti allo SLU e le verifiche a pressoflessione ed a taglio.
I risultati numerici di tali verifiche evidenziano quanto segue:
1) tutte le pareti sono verificate a pressoflessione;
2) tutte le pareti sono verificate a taglio per scorrimento, ad eccezione della parete 31 che
presenta un rapporto Vt/Vd molto minore di 1 al primo piano tra le quote + 3.25 ml e
+ 6.50 ml.
159
c) d)
Fig. 14.13c-d
160
Fig. 14.14
fvk 2.27
Vt , M = d ⋅ t = 390 ⋅ 30 = 13279 daN
γm 2
0.6 d ⋅ Asw ⋅ fyd 0.6 ⋅ 390 ⋅ 0.79 ⋅ 3260
Vt ,S = = = 15066 daN
s 40
PARETE 1
l = 240 cm; t = 40 cm.
Vd = 0.0353 · 167177 + 0.0353 · 107457 + 0.0348 · 60122 = 11787 daN
Md = 11787 · 3.25 · 0.5 = 19154 daNm
161
Pd = 25068 + 2 · 30 · 6.15 = 25437 daN
σ0 = σmed = 25437 / (240 · 40) = 2.65 daN/cmq.
PARETE 6
l = 440 cm; t = 40 cm.
Vd = 0.0827 · 167177 + 0.0826 · 107457 + 0.0821 · 60122 = 27638 daN
Md = 27638 · 3.25 · 0.5 = 44912 daNm
Pd = 59398 + 2 · 30 · 25.25 = 60913 daN
σ0 = σmed = 60913 / (440 · 40) = 3.46 daN/cmq.
Nel caso dell’edificio relativo a questo esempio i valori forniti dall’elaboratore sono invece:
PARETE 1
l = 240 cm; t = 40 cm
Vd = 9276 daN; Md = 12059 daNm; Pd = 23931 daN
σ0 = σmed = 2.49 daN/cmq
PARETE 6
l = 440 cm; t = 40 cm
Vd = 21989 daN; Md = 23089 daNm; Pd = 68842 daN
σ0 = σmed = 3.91 daN/cmq
VERIFICHE PARETE 1
fd = 62/2 = 31 daN/cmq; fvk0 = 2.0 daN/cmq
Pressoflessione:
σ σ0 1 2.49 2.49 1
M u = l2 t 0 1 - = 240 2 ⋅ 40 ⋅ 1 - =
2 0.85 fd 100 2 0.85 ⋅ 31 100
= 25974 daNm > M d
VERIFICHE PARETE 6
fd = 62 / 2 = 31 daN/cmq; fvk0 = 2.0 daN/cmq
Pressoflessione:
σ σ0 3.91 3.91 1
M u = l2 t 0 1 - = 440 ⋅ 40 ⋅
2
1 - =
2 0.85 fd 2 0.85 ⋅ 31 100
= 128930 daNm > M d
162
Taglio per scorrimento:
e = Md/Pd = 0.335 ml < l/6
68842
σn = = 3.91 daN/cmq
40 ⋅ 440
fvk = fvk0 + 0.4 · σn = 3.564 daN/cmq
Per quanto riguarda lo stato limite di danno il programma calcola gli spostamenti d’interpia-
no per ciascuna parete dovuti alle azioni sismiche corrispondenti a tale stato limite. In uscita
è riportato il massimo di tali spostamenti dr ad ogni piano. Il rapporto dr/h tra il massimo spo-
stamento d’interpiano e l’altezza h di piano deve risultare minore del 3‰. I valori trovati sono
riportati nella seguente tabella:
163
Parte Seconda
Edifici esistenti
15
L’edilizia esistente.
Quadro generale
168
Fig. 15.2a
Fig. 15.2b
169
Legenda:
Fig. 15.3
170
Fig. 15.4
scono la più temibile origine di danno, limitandosi ad accennare alle problematiche connesse
all’individuazione delle cause ed alla determinazione delle condizioni di sicurezza.
Come noto, le azioni sismiche si esercitano in corrispondenza delle masse dell’organismo di
fabbrica e sono, dunque, distribuite su ogni componente costruttivo: ciò richiede una conve-
niente sicurezza non solo a carattere globale (che riguarda, cioè, la struttura nel suo insieme)
ma anche a carattere locale in ogni porzione costruttiva.
Il danno conseguente ad una manifestazione sismica può essere graduato a seconda dell’in-
tensità del sisma e delle condizioni locali, e va da dissesti variamente distribuiti (lesioni,
distacchi, sfilamenti parziali, fuori piombo, ecc), a crolli di porzioni costruttive (travature,
porzioni di pareti, materiali di finitura, ecc), a crolli totali.
A titolo esemplificativo, lo scenario di danno può essere convenientemente descritto dai cinque
meccanismi1 della figura 15.3, relativi all’elemento di testata di una schiera di fabbricati per abi-
tazione in un centro urbano. L’immagine della figura 15.4, relativa ad un edificio del centro sto-
rico di Villamaina (Avellino), ne mostra una concreta attuazione a seguito del terremoto del
1980; gli effetti del sisma, in questo caso, sono stati amplificati dalla specifica tipologia a putrel-
le e voltine del solaio di sottotetto; tessuto parallelamente alla facciata, e quindi già di per sé non
in grado di effettuare un’azione di ancoraggio, esercitava su quest’ultima le azioni di spinta delle
voltine murarie: azione che resta comunque una causa secondaria, rispetto alla mancanza di
ammorsatura della facciata con i muri ortogonali (meccanismo di 1° modo).
1 Rielaborati da: Sicurezza e conservazione dei centri storici. Il caso Ortigia [39].
171
S. Pietro S. Pietro S. Agostino
Meccanismi nel piano Meccanismi nel piano Sfondamento della parete laterale
della facciata dell’arco trasversale per martellamento e spinta dell’arco
Fig. 15.5
172
Analogamente, per un edificio sacro, qui rappresentato nella tipologia caratteristica delle
chiese di Gubbio, un possibile scenario di danno è descritto nella successiva figura 15.5; ai
meccanismi illustrati corrispondono, in basso, i danni effettivamente prodotti dai sismi del
1984 e del 1997.
Anticamente si cercava di fare fronte a possibili situazioni di danno applicando le regole del-
l’arte con provvidenze specifiche per le zone sismiche, incentrate nel ricorso a:
– murature compatte e di congruo spessore, disposte a reticolo nelle due direzioni e bene
ammorsate fra loro;
– architravature in legno su tutte le aperture praticate nei muri, per una conveniente lunghezza;
– dormienti in legno o in pietra inglobati nella muratura, all’imposta di travature isolate nei muri;
– collegamento o fasciatura dei muri mediante catene in ferro o legno;
– collegamento delle travi di solaio ai muri;
– puntellature murarie a contrasto (archi);
– orizzontamenti a volta limitati al solo piano cantinato;
– sagomatura a scarpa dei muri di facciata;
– limitate altezze complessive.
Insieme con rifacimenti a scuci e cuci di porzioni murarie, le provvidenze indicate venivano
anche a costituire il patrimonio d’intervento per sanare i danni da sisma e rinforzare i fabbricati.
L’intero capitolo 15, infine, è indirizzato alla conoscenza dell’organismo costruttivo dell’o-
pera architettonica in esame, nelle sue varie componenti costitutive: non solo attraverso l’os-
servazione diretta in situ (15.4), ma anche per mezzo della delineazione costruttiva legata alle
specifiche normative e regole tecniche vigenti (15.3), all’utilizzazione di materiali da costru-
zione conseguente anche alle disponibilità locali, alle innovazioni tecnologiche introdotte
nella produzione edilizia (15.5).
Largo spazio è dedicato alla descrizione di costituzione e consistenza, innestate sulla regola
dell’arte cioè sul patrimonio di conoscenze condensato in regole di proporzionamento detta-
te dalla secolare esperienza del costruire. Regole, poi, articolate e adattate ad una molteplicità
di situazioni derivanti ad esempio dalla specifica localizzazione geo-topografica dell’opera,
dalle tradizioni locali, dal carattere proprio dell’opera stessa, dalle disponibilità economiche,
da eventuali esigenze difensive, ecc.
La presentazione di numerosi esempi ed illustrazioni è pertanto rapportata a preparare l’inve-
stigatore alla pluralità di situazioni conseguente agli effetti sopra indicati, pur nell’inquadra-
mento generale della regola dell’arte; parimenti, la descrizione qualitativa è costantemente
accompagnata dalle regole di dimensionamento tratte dalla manualistica disponibile, a sua
volta risultante sia dall’esperienza che dalle regole del sapere conseguenti al progresso delle
conoscenze scientifiche.
1 Questo paragrafo va integrato con quanto riportato al paragrafo B.9.2 relativamente alle NTC 2008.
173
Le linee operative e la consistenza dell’intervento su fabbricati in muratura sono già definite
al titolo II della normativa tecnica di base per edifici del tipo considerato e valida in genera-
le: il già citato D.M.LL.PP. 20 novembre 1987, Norme tecniche per la progettazione, esecu-
zione e collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento.
Tali norme fissano le basi del corretto procedimento, che deve scaturire nel dettaglio da una
“spontanea” sensibilità e cultura del progettista.
Nel testo vengono preliminarmente specificati i casi in cui si rende obbligatorio un interven-
to di consolidamento, identificati in sintesi nel:
a) sopraelevare o ampliare l’edificio2;
b) apportare variazioni di destinazione che comportino incrementi dei carichi originari supe-
riori al 20%;
c) trasformare l’organismo edilizio mediante un insieme sistematico di opere;
d) rinnovare e sostituire parti strutturali dell’edificio in modo da alterarne il comportamento
globale;
e) reintegrare l’organismo esistente nella sua funzionalità strutturale.
Viene poi stabilito che l’indirizzo progettuale deve scaturire dallo studio preliminare dell’or-
ganismo edilizio; lo studio è volto a determinare:
– le caratteristiche architettoniche, strutturali, di destinazione d’uso del fabbricato nella
situazione esistente (stato attuale);
– l’evoluzione, nel tempo, delle dette caratteristiche;
– il comportamento strutturale della compagine costruttiva e l’accertamento delle cause e
dei meccanismi di formazione degli eventuali dissesti in atto, con particolare riferimento
al sottosuolo di fondazione.
Nel dettaglio delle operazioni preliminari, viene precisato che il progetto deve essere basato
sui risultati delle seguenti attività:
– rilievo, atto ad individuare lo schema strutturale nello stato attuale;
– valutazione delle caratteristiche di resistenza degli elementi strutturali interessati dall’in-
tervento e della sicurezza nello stato attuale, avendo riguardo alla degradazione dei mate-
riali ed alla presenza di dissesti in atto;
– scelta dei provvedimenti tecnici d’intervento;
– verifica di sicurezza nello stato di progetto.
Nella definizione dello schema strutturale, la qualità della costruzione viene in particolare
riferita ad un’adeguata rigidezza dei solai, nel proprio piano, e ad efficaci collegamenti sia tra
questi ultimi e le pareti murarie sia tra le pareti murarie stesse (collegamenti lungo l’orizzon-
tale e lungo la verticale rispettivamente).
Nella definizione degli obiettivi che gli interventi si propongono, vengono evidenziati l’au-
mento della resistenza degli elementi strutturali e l’inserimento di nuovi elementi resistenti;
ad essi si aggiunge: la riduzione delle sollecitazioni, ove possibile, in particolare dovute ai
carichi verticali.
Nel testo normativo specifica attenzione è dedicata alle strutture di fondazione che possono
non essere coinvolte dall’intervento di consolidamento, su motivato giudizio del progettista,
quando coesistano le condizioni:
2 Sopraelevazione è l’aumento, rispetto allo stato attuale, dell’altezza di parte o dell’intero edificio.
Ampliamento è l’aumento di altezza delle sole parti di edificio più basse rispetto alle altre, senza aumento
dell’altezza nello stato attuale.
174
– siano assenti dissesti attribuibili a cedimenti fondali (affidabilità del sistema fondale);
– a seguito degli interventi previsti in progetto restino sostanzialmente invariati i meccani-
smi di trasferimento dei carichi al terreno;
– siano assenti, parimenti, rilevanti variazioni di pesi e sovraccarichi del fabbricato;
– non sussistano modifiche in atto all’assetto idrogeologico del sito della costruzione che
possano influenzare la stabilità delle fondazioni.
La nuova normativa tecnica relativa alle costruzioni antisismiche, la già citata Ordinanza
P.C.M. n. 3431 del 3 maggio 2005, conferma la validità del testo normativo precedentemen-
te richiamato e, al capitolo 11, prende in esame gli edifici esistenti; in particolare in 11.5 con-
sidera gli edifici in muratura.
In tale ambito sono specificati, con riguardo alle azioni sismiche, i casi in cui occorre esegui-
re valutazioni di sicurezza sismica ed effettuare interventi di adeguamento. Si tratta sostan-
zialmente degli stessi casi elencati da a) a d) dalla normativa {1}, che vengono a costituire un
esempio di adeguamento a prestazioni di tipo ambientale.
Al di fuori dei casi elencati, l’eventuale intervento è mirato al miglioramento antisismico inte-
so come raggiungimento, per mezzo dell’intervento di consolidamento, di un maggiore grado
di sicurezza nei confronti delle azioni sismiche: maggior grado di sicurezza del quale è richie-
sta la dimostrazione. Per gli edifici di speciale importanza artistica (Legge 2 febbraio 1974,
n. 64, art. 16) l’esigenza della tutela giustifica la deroga dalle prescrizioni normative. Si
richiede, però, che vengano calcolati i livelli di accelerazione al suolo (corrispondenti al rag-
giungimento di ciascuno degli stati limite previsti per la tipologia strutturale dell’edificio)
nelle condizioni attuali e nelle condizioni dopo l’intervento.
La valutazione della sicurezza è riferita a due possibili stati limite della costruzione, così deli-
neabili (si veda il paragrafo 16.1):
– stato limite ultimo, corrispondente in generale a danni rilevanti degli elementi strutturali
che possono produrre anche il collasso di parti del fabbricato;
– stato limite di danno, corrispondente alla manifestazione di danni di modesta entità;
ed è rapportata al grado di conoscenza raggiunto con le operazioni di analisi e di rilievo del-
l’opera architettonica nel suo insieme.
175
Consiglio ed istruzioni fatte dal vicario generale duca, che fu di Camastra, col voto del-
l’ill.mo Senato, e corpo ecclesiastico, per la nuova reedificazione della città – emanato dal
Governo siciliano il 28 giugno 1694 per la ricostruzione della città di Catania colpita dal
sisma del 1693.
Le norme del 1784 codificarono in particolare il ricorso al sistema costruttivo cosiddetto
baraccato che aveva dato buona prova di sé tanto a Lisbona quanto, in singoli casi, in Italia
(a Nocera Calabra, a L’Aquila, nel Beneventano); trattasi di un’intelaiatura spaziale in legno,
costituita da montanti, travi e diagonali, le cui maglie venivano richiuse dalla muratura: evo-
luzione dell’opus craticium romana e delle costruzioni del nord Europa.
Nell’Italia unificata dell’ultimo quarto del XIX secolo, si succedettero due emanazioni norma-
tive: il Regio Decreto 29 agosto 1884, Regolamento edilizio per i Comuni dell’isola d’Ischia
danneggiati dal terremoto del 28 luglio 1883 ed il Regio Decreto 13 novembre 1887,
Regolamento contenente le norme per la costruzione ed il restauro degli edifici nei comuni
liguri danneggiati dal terremoto del 22 febbraio 1887.
In generale le norme confermarono le precedenti, modificandole e specificandole ulterior-
mente in rapporto alle tradizioni locali nei materiali da costruzione e nelle tecniche esecutive.
Disposizioni solo apparentemente contrastanti (numero di piani, spessori e composizione
delle murature, ecc.) vanno interpretate alla luce del rispetto delle tradizioni costruttive e delle
difficoltà negli approvvigionamenti di materiali non disponibili in loco. Così ad esempio le
norme del 1887 consentivano l’impiego di ciottoli e di pietrame nella costituzione delle mura-
ture purché si provvedesse ad effettuarne la legatura con corsi di mattoni o di altro materiale
squadrato.
15.3.2. La normativa antisismica del secolo scorso, dopo i grandi terremoti del primo
novecento (Messina, 1908; Marsica, 1915)
Si riportano stralci di documenti normativi di specifica rilevanza, il primo dei quali è costi-
tuito dal Regio Decreto 18 aprile 1909, n. 193 portante norme tecniche ed igieniche obbliga-
torie per le riparazioni, ricostruzioni e nuove costruzioni degli edifici pubblici e privati nei
luoghi colpiti dal terremoto del 28 dicembre 1908 e da altri precedenti elencati nel R.D. 13
aprile 1909 e ne designa i Comuni.
176
La normativa è riferita ai Comuni, espressamente riportati in apposito elenco, ricadenti nelle
tre province calabresi e nella provincia di Messina.
Al titolo I della normativa tecnica, Nuove costruzioni, vengono fornite le regole costruttive
antisismiche che da un lato introducono la regola dell’arte e dall’altro portano in luce le moda-
lità costruttive in uso nelle zone considerate dal R.D.; ad esempio si stabilisce che:
– l’altezza dei nuovi fabbricati, determinata dal massimo dislivello fra la linea di gronda ed
il piano circostante, non può eccedere 10 m; l’interpiano non può eccedere 5 m;
– il sistema costruttivo deve prevedere un’ossatura di membrature di legno, di ferro, di
cemento armato, o di muratura armata, capaci di resistere contemporaneamente a solle-
citazioni di compressione, trazione e taglio; negli edifici col solo piano terreno è ammes-
sa anche la muratura ordinaria;
– per gli edifici in muratura ordinaria le fondazioni debbono essere costituite da muri con-
tinui concatenati fra loro; la pressione statica unitaria sul terreno non roccioso non può
eccedere i 2 kg/cm2;
– è vietata la muratura a secco e quella con ciottoli, se non convenientemente spaccati e
posti in opera con struttura listata; è pure vietato l’impiego della ghisa e di qualunque
altro materiale fragile per travi, per colonne e in genere per parti essenziali dell’organi-
smo resistente degli edifici;
– è vietato l’uso delle volte impostate al di sopra del suolo; sono ammesse quelle del piano
sotterraneo, purché con saetta non minore del terzo della corda, e munito di tiranti per
elidere le spinte.
Al titolo III, Riparazioni, vengono fornite regole coerenti con le precedenti stabilendo preli-
minarmente che le riparazioni organiche, intese cioè a modificare o consolidare le strutture
resistenti degli edifici o di qualche loro parte essenziale, debbono corrispondere, per quanto
è praticamente possibile, alle norme di cui ai titoli precedenti, tenuto presente quanto è dispo-
sto negli articoli seguenti; ad esempio si stabilisce che:
– le volte esistenti negli edifici da riparare sono tollerate, a condizione espressa che non
siano lesionate, o non siano impostate su muri lesionati o strapiombanti, e sempre quan-
do sia provveduto ad eliminare le spinte coll’apposizione di robuste cinture, chiavi e
tiranti. In ogni caso però dovranno sostituirsi con strutture non spingenti le volte in som-
mità degli edifici, a più piani;
– si debbono sostituire le scale di muratura o a sbalzo, con scale di legno o sopra intelaia-
ture, salvo il caso in cui i gradini poggiano su due muri maestri;
– si debbono sostituire i tetti spingenti con altri senza spinte;
– l’altezza degli edifici danneggiati deve essere ridotta a quella stabilita nei precedenti articoli;
– si debbono ridurre gli aggetti, le cornici, i balconi e le strutture sovrastanti i piani di gron-
da e disporre le condotte e le canne di scarico di qualsiasi specie in modo da non intacca-
re le murature, anzi da permetterne l’integrazione, ove l’indebolimento sia avvenuto;
– le murature comunque lesionate, che presentano strapiombo o si manifestano eseguite coi
sistemi esclusi dai precedenti articoli, nonché quelle in cui si nota fessuramento diffuso,
debbono essere demolite. È vietato l’impiego di archi di muratura per puntellamento o
collegamento dei muri;
– gli edifici lesionati e non costruiti col sistema intelaiato o baraccato, elevantisi oltre il piano
terreno, previamente ridotti ove occorra, devono essere rafforzati da montanti di legno, di
ferro o di cemento armato, infissi solidamente a incastro nelle fondazioni, continui fino alla
sommità dell’edificio e rilegati fra loro da cinture al piano della risega di fondazione, e a
quelli del solaio e della gronda, in modo da formare un’armatura a gabbia. I detti montan-
ti debbono essere collocati almeno in corrispondenza di tutti gli spigoli dell’edificio e in
177
ogni caso a distanza non maggiore di 5 m l’uno dall’altro. Le cinture debbono essere riuni-
te con le travi del solaio, prolungandone una almeno ogni 3 m, impalettata esternamente.
A carattere generale, cioè per l’intero territorio nazionale e non più circoscritti alle zone col-
pite da sisma, sono i successivi documenti tecnici.
Regio Decreto Legge 13 marzo 1927 n. 431, Norme tecniche ed igieniche di edilizia per le
località colpite dai terremoti.
Viene fornito, per la prima volta, un elenco delle località sismiche divise in due categorie in
relazione al loro grado di sismicità, ed alla loro costituzione geologica. L’altezza massima
degli edifici è stabilita, rispettivamente per la prima e per la seconda categoria, in 10 m per
due piani ed in 12 m per tre piani.
In merito alle riparazioni restano sostanzialmente le prescrizioni precedentemente stabilite,
senza differenze tra le due categorie, con l’indicazione generica di riportarsi, per quanto pos-
sibile, alle caratteristiche fissate per le nuove costruzioni. In particolare restano le legature
verticali ed orizzontali per gli edifici lesionati, come restano le prescrizioni relative alle volte
murarie (contenimento delle spinte; demolizioni ai piani alti).
Legge 25 novembre 1962 n. 1684, Provvedimenti per l’edilizia con particolari prescrizioni per
le zone sismiche. L’altezza massima fuori terra degli edifici è stabilita, per le due categorie sismi-
che considerate, in 7,50 m (due piani) ed in 11 m (tre piani) rispettivamente; per la costituzione
delle murature è richiesto l’impiego di mattoni o blocchi, pieni, legati con malta cementizia.
In merito alle riparazioni, le norme non si discostano sostanzialmente dalle precedenti ema-
nazioni.
Legge 2 febbraio 1974 n. 64, Provvedimenti per le costruzioni con particolari prescrizioni per
le zone sismiche.
Costituisce, per tutto il restante arco temporale del 900, il documento-base per la progetta-
zione strutturale degli interventi di costruzione o di consolidamento dei fabbricati in genera-
le. Al titolo I vengono fissati gli argomenti trattati nelle norme tecniche di successiva emana-
zione, con il meccanismo dei Decreti Ministeriali:
a) criteri generali tecnico-costruttivi per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifi-
ci in muratura e per il loro consolidamento;
b) carichi e sovraccarichi e loro combinazioni, anche in funzione del tipo e delle modalità
costruttive e della destinazione dell’opera; criteri generali per la verifica di sicurezza
delle costruzioni;
c) indagini sui terreni e sulle rocce, stabilità dei pendii naturali e delle scarpate, criteri
generali e precisazioni tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo delle opere di
sostegno delle terre e delle opere di fondazione;
d) criteri generali e precisazioni tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo di
opere speciali, quali ponti, dighe, serbatoi, tubazioni, torri, costruzioni prefabbricate in
genere, acquedotti, fognature;
e) protezione delle costruzioni dagl’incendi.
Al titolo II vengono stabiliti i criteri e le definizioni generali delle norme per le costruzioni in
zona sismica, norme da specificare con successivi Decreti Ministeriali e da aggiornare perio-
dicamente secondo le occorrenze.
178
Per gli edifici in muratura vengono stabilite regole di proporzionamento di carattere costrutti-
vo; in particolare l’altezza massima (specificata, per la prima volta, a seconda del tipo di strut-
tura) viene stabilita in 7,50 m ed in 11 m per le due categorie sismiche mentre gli spessori mini-
mi delle pareti sono fissati, sempre con riferimento alle due categorie dette, in 40 cm ed in 30
cm oppure in 50 cm ed in 30 cm rispettivamente per costituzione in mattoni (o blocchi) oppu-
re in pietrame. Quanto agli interventi di riparazione scompaiono, in particolare, le prescrizioni
di demolizione delle volte ai piani più alti e di incatenamento con chiavi e tiranti delle rima-
nenti ai piani più bassi (se i muri sono adatti a sostenerne anche le spinte); solo nel caso di con-
siderevoli stati di lesione o di palese insufficienza delle murature di supporto se ne prescrive la
demolizione, consentendone la ricostruzione ove lo richiedano esigenze funzionali o estetiche.
i solai
3) Catene di ferro per collegare
murature lesionate o con no sì no no no sì sì sì sì
funzione cerchiante
4) Speroni murari o
no no sì no no no no no no
conformazione a scarpa
5) Archi di contrasto no no no no no no (*) (*) (*)
6) Risarcitura delle murature
no no no no no sì sì sì sì
lesionate mediante “cuci e scuci”
7) Indicazioni sulle modalità
d’esecuzione delle opere no no sì sì sì sì sì sì sì
secondo la regola d’arte (**)
8) Sostituzione dei tetti spingenti no no sì no sì sì sì sì sì
9) Demolizione dei piani alti no no no no no no sì sì no
riscontrabili nelle
fonti d’archivio
no no no no no sì sì sì sì
in muratura o a sbalzo
11) Riduzione degli aggetti no sì no no no sì sì sì sì
12) Ingabbiamento dell’edificio no no no no no no sì sì sì
(*) La norma vieta espressamente gli archi per puntellamento o collegamento di muri.
(**) Anche se non costituisce un vero e proprio dispositivo antisismico, questa indicazione è rilevante nella prevenzione dei danni relativi
al sisma.
179
da terremoti e ne sono evidenziate le successive conferme o variazioni. I sì indicano l’espli-
cito riferimento alla specifica regola.
Ne risulta una conferma per alcune tecniche, restate continuamente in vigore e venute a costi-
tuire l’insieme di quelle tecniche tradizionali che oggi concentrano in sé gli aspetti di econo-
micità, di affidabilità, di minima invadenza e, spesso, di reversibilità3.
In particolare, si rileva da tempo la scomparsa dell’impiego di archi di contrasto e, più recen-
temente, del ricorso alla demolizione dei piani più alti come metodologia generalizzata d’in-
tervento4.
180
– i centri storici dell’area friulana, dopo il sisma del 1976;
– i centri storici della regione irpino-lucana dopo il sisma del 1980.
Se ne effettua qui di séguito una breve descrizione critica che evidenzia il percorso tecnico e
culturale compiuto nel settore del consolidamento antisismico dei centri storici. Soprattutto
del passaggio dal paziente operare su singoli edifici a mezzo di limitate operazioni tratte dal-
l’arte del costruire, alla necessità di provvedere, con una sicurezza sempre più portata alla
quantificazione numerica tipica delle opere dell’ingegneria, al consolidamento in vaste aree
ed in centri abitati con una rapidità sempre più adeguata ai tempi ed alle attese emergenti.
Il rione Capodimonte si sviluppa su una delle alture che dominano il porto della città di
Ancona e ne costituisce una parte del centro storico. Le strade principali del rione, collegate
fra loro da un sistema di poche e strette strade trasversali, salgono dalla spina dei corsi
seguendo le linee di massima pendenza del terreno e convergono verso la sommità del colle;
di conseguenza gli edifici si sviluppano essenzialmente su lunghe schiere di fabbricati dispo-
sti a gradoni, a semplice o doppia fila. La vocazione tradizionalmente abitativa rende poco
frequenti edifici con caratteri monumentali, presenti invece in altre zone del centro storico e
particolarmente nel rione Guasco – San Pietro.
Il numero di piani degli edifici è generalmente pari a 3 o 4 nella parte alta del rione mentre è
decisamente maggiore, fino a 6 o 7, nella zona più bassa. L’impianto costruttivo originario,
comune a tutti i fabbricati del rione, è caratterizzato da numerosi muri trasversali, sui quali
poggiano gli elementi di piano, quasi ovunque costituiti da solai in legno a semplice orditura
e raramente da volte murarie, da due muri longitudinali di facciata (su strada e su corte inter-
na, per gli edifici organizzati su doppia fila), da rari e parzialmente estesi muri longitudinali
intermedi, in genere disposti a sostenere la struttura in legno delle scale. I muri di facciata pre-
sentano una o al più due file di aperture per ciascuno dei campi, mediamente larghi da 4 m a
5,50 m, delimitati dai muri trasversali.
La costituzione delle murature, generalmente ricoperte da intonaco, si ripete in tipo e qualità
con le medesime caratteristiche per quasi tutto il rione: le pareti murarie longitudinali sono in
mattoni pieni, a più teste le laterali di facciata, ad una testa le intermedie delle scale, mentre le
trasversali sono in muratura a sacco, con fodere in mattoni marcatamente o del tutto scollega-
te fra loro e riempimento caotico per il nucleo interno. Alla base i muri penetrano nel terreno,
costituito da un masso compatto ed omogeneo di argille preconsolidate, per piccole profondità
e con modeste riseghe di fondazione. Già prima delle manifestazioni sismiche, gli edifici si
presentavano in cattivo stato di conservazione non solo per le condizioni di degrado delle
murature e di vetustà degli orizzontamenti, ma anche per difetto di collegamento dei muri
lungo gli spigoli, scarsezza di fondazione, consistenza intrinseca. Combinando questa situa-
zione con le caratteristiche dell’impianto costruttivo è facilmente immaginabile il quadro dei
dissesti presenti dopo il sisma. L’intervento di consolidamento antisismico è stato individuato
dalle esigenze di facile estendibilità e adattabilità, di miglioramento delle caratteristiche delle
murature, di realizzazione di efficaci collegamenti fra i singoli muri e fra questi ed i solai.
L’indirizzo seguito è stato il ricorso ad estesi rifacimenti degli orizzontamenti mediante solai a
struttura mista di laterizi e cemento armato ed il rinforzo generalizzato delle murature, previo
allargamento delle fondazioni, mediante iniezione del corpo murario e rivestimento con into-
naco cementizio armato (tecnica questa già in uso in Italia per il rinforzo di pareti murarie fin
dai primi decenni del Novecento, poi estesamente sperimentata in Sudafrica per gli edifici in
muratura danneggiati dal “Boland earthquake” nel 1969). Prelievi di campioni murari di medie
dimensioni, a rinforzo eseguito, pur limitati in numero, hanno fornito indicazioni concordanti
sia sulla diffusione delle malte (cementizie) iniettate nel corpo murario sia sulla resistenza a
compressione raggiunta (valutata in 50 kg/cm2 circa, più che doppia dell’originaria).
181
In termini di sicurezza rispetto ai terremoti, si osserva che il rifacimento dei solai, con travet-
ti in cemento armato passanti attraverso il corpo murario, oltre a interrompere le altezze per i
muri trasversali ne effettua il collegamento ai muri longitudinali. La presenza dell’intonaco
armato sulle due facce delle pareti trasversali genera in queste ultime un comportamento a
telaio solai-pareti che le porta a collaborare con le pareti di facciata, abbastanza distanti fra
loro, per quanto detto, nella resistenza alle azioni del sisma. La quantificazione della sicurez-
za rispetto al sisma è stata pertanto effettuata con riferimento alle norme sismiche vigenti per
le nuove costruzioni (la Legge 25.11.1962 prima, il D.M. 3.3.1975 poi).
L’esecuzione dei lavori è stata effettuata per successivi stralci di finanziamento e completata
nell’arco temporale di 12 anni circa; a distanza di circa 20 anni dall’ultimazione, lo stato di
conservazione si presenta soddisfacente. In definitiva, l’intervento ha operato su un tessuto
edilizio omogeneo e sostanzialmente privo di emergenze architettoniche specifiche fatta ecce-
zione per alcuni palazzi nobiliari (quale, ad esempio, il palazzo Malacari del XVII secolo e per
il quale l’intervento ha assunto una specifica connotazione).
L’intervento di consolidamento nell’area friulana si è sviluppato su una zona più vasta, rispet-
to al caso precedente, ma caratterizzata da un lato da numerose emergenze architettoniche
(edifici di culto, in particolare) e dall’altro da una sostanziale uniformità costitutiva di mura-
ture in pietrame calcareo ed orizzontamenti in legno ed ha operato con provvedimenti forti,
anch’essi caratterizzati da una elevata ripetibilità e da una marcata tipizzazione. Trattasi, in
sostanza, di interventi di iniezione del corpo murario, di collegamenti con perforazioni arma-
te, di applicazione di lastre cementizie armate, di rifacimenti di solai, di esecuzione di cordo-
lature in breccia e di innesti a coda di rondine, di allargamenti fondali.
L’accertamento della sicurezza è stato effettuato con i nuovi procedimenti messi a punto attra-
verso le ricerche teoriche e sperimentali sviluppatesi, in Italia ed all’estero, sotto l’incalzare
delle urgenze di protezione dai sismi, fattisi sempre più frequenti e dannosi.
Primo documento organico, per la progettazione strutturale, fu il D.T. 2.5.1980 della Regione
Friuli-Venezia Giulia Raccomandazioni per la riparazione strutturale degli edifici in muratu-
ra nel quale erano confluite le conoscenze tecniche dell’epoca.
Il documento è articolato in 4 capitoli che considerano i vari aspetti della progettazione. Sono
definite le tecniche d’intervento che ad esempio contemplano, per le pareti murarie: iniezio-
ni di malta cementizia, lastre di calcestruzzo armato, perforazioni armate, armature post-tese.
Interventi, tutti, fortemente invasivi.
Sulla base di prove sperimentali su pannelli murari di grandi dimensioni sono determinate le
caratteristiche meccaniche dei principali tipi di muratura, quali riscontrabili nell’area friulana
e, più generalmente, nel territorio italiano. Sono forniti i valori ultimi della tensione tangen-
ziale ed i moduli elastici nel comportamento ciclico, espressi mediante formule empiriche
interpolate dai risultati sperimentali.
Le azioni sismiche sono rappresentate mediante una distribuzione di forze statiche orizzonta-
li – H – poste alle varie quote e rappresentate dalla relazione:
H = KW
K = 0,20 C1 C2
dipendente, attraverso i due coefficienti che assumono, ciascuno, valori compresi fra 1 e 1,3,
dalla risposta meccanica ed idrogeologica del terreno e dalle caratteristiche di struttura morfo-
tettonica e di ubicazione del sito.
182
Sono considerati tre stati limite (elastico, di fessurazione, di rottura) per i quali è richiesto un
margine di sicurezza in termini, rispettivamente, di 1,10 - 1,15 - 1,20.
Sono introdotti due metodi di verifica: VeT e POR; quest’ultimo è presentato in un dettaglio
di applicazione per impiego con calcolatore elettronico.
Sono infine forniti particolari costruttivi riportati in 9 tavole e riferiti a fondazioni, muri da
collegare, aperture da riquadrare, coperture in legno, ancoraggi.
L’intervento nella zona apulo-irpino-lucana colpita dal sisma del 30 novembre 1980 ha inte-
ressato un’area ancora più ampia, coinvolgendo, con danni rilevanti e diversamente estesi, l’e-
dilizia muraria dei centri storici e l’edilizia in cemento armato o mista delle espansioni urbane.
Il documento-base è costituito dal D.M. 2 luglio 1981 Normativa per le riparazioni ed il
rafforzamento degli edifici danneggiati dal sisma nelle regioni Basilicata, Campania e
Puglia, documento espressamente riferito alle zone colpite dal terremoto del 1980 ma suc-
cessivamente fatto proprio da numerose Regioni italiane per la riparazione dei danni o per l’a-
deguamento antisismico degli edifici.
Trattasi di un insieme organico di disposizioni tecniche che da un lato riflettono la cultura
costruttiva e le regole tradizionali e dall’altro confermano il ricorso ai procedimenti di accer-
tamento della sicurezza tipici delle nuove costruzioni. I criteri di scelta progettuale devono
scaturire da uno studio preliminare dell’organismo edilizio, in particolare riferito a:
a) le caratteristiche, nella situazione preesistente al sisma, sotto il profilo architettonico,
strutturale e della destinazione d’uso;
b) l’evoluzione storica delle predette caratteristiche con particolare riferimento all’impian-
to edilizio originario ed alle principali modificazioni intervenute nel tempo;
c) l’analisi globale del comportamento strutturale al fine di accertare le cause ed il mecca-
nismo del dissesto;
d) l’analisi di dettaglio delle caratteristiche dei singoli componenti strutturali.
I provvedimenti tecnici da adottare sono distinti, a seconda dell’obiettivo da raggiungere, in:
provvedimenti intesi a ridurre gli effetti sismici (riduzione delle masse non strutturali, crea-
zione ed adeguamento dei giunti, riduzione degli effetti torsionali, ridistribuzione delle rigi-
dezze) e provvedimenti intesi ad aumentare la resistenza della struttura dissestata.
Per la verifica sismica degli edifici in muratura, rapportata allo stato ultimo di resistenza, si
fa riferimento alle forze statiche equivalenti la cui risultante è valutata con l’espressione:
F=4CW
183
Si stabilisce poi che devono essere eliminati indebolimenti locali della muratura in prossimità
di innesti e di incroci delle pareti (presenza di canne fumarie o vuoti d’altro genere); in caso
di irregolare distribuzione delle aperture nelle pareti, quando non sia possibile effettuarne la
chiusura con muratura ben ammorsata all’esistente si deve provvedere alla cerchiatura dei
vani interessati mediante telai in acciaio o in calcestruzzo armato collegati alla muratura con
perforazioni armate.
La quantificazione numerica delle caratteristiche meccaniche dei vari tipi di muratura è rife-
rita ai valori caratteristici (da intendere non in senso statistico, ma come tipici delle diverse
costituzioni) elencati nella tabella 15.2 e nella tabella 15.3 qui di seguito riportate.
Tabella 15.2
Tipo di muratura
τk σk
(t/m2) (t/m2)
Mattoni pieni
12 300
Malta bastarda
Blocco modulare (con caratteristiche rispondenti alle prescrizioni D.M. 3-3-75)
MURATURE NON CONSOLIDATE
Muratura in pietra (in presenza di ricorsi di mattoni estesi a tutto lo spessore del muro,
il valore rappresentativo di τk può essere incrementato del 30%)
a) pietrame in cattive condizioni 2 50
b) pietrame grossolanamente squadrato e bene organizzato 7 200
c) a sacco in buone condizioni 4 150
Blocchi di tufo di buona qualità 10 250
Mattoni «pieni» con fori circolari
MURAT. CONS. MURATURE NUOVE
Pietrame iniettato
11 300
Murature in pietra a sacco consolidate con due lastre in cls armato da cm 3 (minimo)
184
15.4. L’EDILIZIA STORICA E L’EDILIZIA RECENTE
15.4.1. Considerazioni introduttive
Le caratteristiche di un organismo di fabbrica storico possono differire notevolmente dalle
corrispondenti di un analogo organismo recente, essenzialmente per la costituzione delle
murature, fortemente ancorata alla disponibilità in sito di materiali ed alla tradizione costrut-
tiva locale e spesso risultante da una sorta di accostamento di paretine diversamente costitui-
te5, e per la consistenza degli orizzontamenti che raramente materializzano i piani rigidi col-
legati ai muri6.
Le pareti perimetrali del Duomo di Orvieto (Terni) forniscono un esempio di costituzione
disuniforme, ma bene organizzata, dei muri nel senso dello spessore.
Detta struttura infatti presenta murature di forte spessore (dell’ordine dei 2 m) costituite da due
paramenti in blocchi regolari di trachite e travertino, disposti per filari alternati, e da un nucleo
interno in blocchi di tufo parimenti regolari e sufficientemente collegati ai paramenti. Nucleo
e paramenti appaiono posti in opera insieme e non in diverse fasi successive. Ciò è risultato
dalle introspezioni effettuate, sia attraverso le esistenti e numerose buche pontaie sia per mezzo
di specifici sondaggi ottici che hanno tutti evidenziato la perfetta corrispondenza dei giunti di
malta orizzontali, e confermato dall’esame costitutivo delle attese murarie poi non proseguite.
Ad esempio sul fronte nordest si presenta la situazione illustrata nelle due foto di figura 15.6
e nel relativo schema di disposizione dei blocchi che fornisce, sia pure con riferimento ad ope-
razioni costruttive più tarde rispetto all’edificazione originaria, un’indicazione certa sulle
effettive modalità seguite.
Sul fronte opposto, a fornire invece un esempio di muratura a costituzione disuniforme e male
organizzata, si colloca una costruzione di modesta altezza sita in località Belvedere lungo la
strada statale Eugubina (Perugia) ed illustrata nella figura 15.7, in alto a sinistra.
In questo caso la parete è costituita da due distinti strati in muratura di pietrame, accostati e
non collegati tra loro in quanto semplicemente congiunti da un riempimento di malta e scheg-
ge minute di pietra come mostrato, a destra, nella stessa figura. Lo strato più interno, sul quale
poggiano gli elementi lignei della copertura, è rimasto in opera sotto l’azione del sisma del
1997 diretta ortogonalmente alla parete; lo strato più esterno invece, di fatto vincolato solo
lungo i bordi, ha subito il crollo secondo il meccanismo a parabola tipico di queste situazioni.
185
Fig. 15.6
Fig. 15.7
186
Catastrofismo, si potrebbe dire, ma certamente una indicazione preziosa: non solo per il rile-
vatore, già avvertito dei probabili punti di debolezza e quindi più attento all’osservazione
nelle zone corrispondenti, ma anche per il progettista dell’intervento di consolidamento.
Lo stesso autore, a proposito di pareti murarie di forte spessore, precisa che... il nucleo inter-
no della muratura dovrà sempre essere costruito contemporaneamente e perfettamente conca-
tenato con gli eventuali rivestimenti esteriori, a malgrado vi possa essere diversità di natura...
Specifici pertanto risultano, rispetto a organismi di nuova costruzione, taluni problemi di sta-
bilità e resistenza delle pareti murarie sotto carichi verticali ed orizzontali.
I paragrafi di questo capitolo si prefiggono l’obiettivo immediato di costituire un supporto
culturale e critico alle operazioni di rilievo, con la presentazione delle tipologie costruttive e
delle consistenze attese nell’esame degli edifici storici e con l’esame delle regole dell’arte
riferite ai tipi ed ai materiali susseguitisi nel tempo per l’impiego nelle costruzioni.
Con l’avvertenza, però, che con questa disamina, ovviamente non esauriente, non s’intende
effettuare una tipizzazione di essi ma soltanto individuarne le caratteristiche più comuni e che,
di fronte ad ogni singolo specifico caso da esaminare, occorre essere preparati alle inevitabi-
li sorprese comportate dalle tradizioni locali, dalla capacità delle maestranze, dalla disponibi-
lità in sito dei materiali da costruzione. Il supporto dei riferimenti alla bibliografia, pur essen-
ziali, ed alla manualistica qui presa in considerazione da un lato, e la cauta esemplificazione
fotografica dall’altro, vogliono costituire l’indirizzo più completo alla metodologia di esame
della struttura e della costituzione di ogni singola opera architettonica storica.
Metodologia, questa, che trova la propria base sia in una radicata conoscenza sia in una capa-
cità di osservazione critica, con la piena coscienza che un’opera del passato raramente ripete
in pieno schemi, forme e dettagli acquisiti nella secolare ripetizione del costruire, e che trova
la propria finalizzazione nella relativa presentazione alle esigenze di un accorto e completo
rilievo quale richiesto dalle recenti normative ed agli obiettivi da perseguire di una cono-
scenza approfondita dell’organismo sul quale si dovrà intervenire.
187
sori di malta abbastanza ridotti e non superiori ad 1 cm. I mattoni di buona confezione pre-
sentano colore rosso o giallo forte ed hanno resistenze a compressione comprese fra 150 e 180
kg/cm2; la disposizione nel corpo murario, sempre a giunti verticali sfalsati, porta a consi-
stenze e dimensioni quali indicativamente riportate nella figura 15.8, che mostra la disposi-
zione dei mattoni nello spessore del muro, nei vari casi di muratura omogenea e di muratura
con paramenti esterni e nucleo interno (collegato). Lo sfalsamento dei giunti genera il colle-
gamento trasversale degli elementi costitutivi.
Fig. 15.8
188
Fig. 15.9
Agli spessori maggiori, la disposizione diventa tendenzialmente quella limite delle due pare-
tine esterne con nucleo interno di riempimento, spesso di scadenti caratteristiche e privo o
poco dotato di elementi trasversali di collegamento. Una tipologia che richiama la tecnica del-
l’opus latericium di epoca romana in cui le paretine esterne, vere e proprie casseforme, erano
costituite da mattoni triangolari disposti a file sfalsate, in modo tale da ammorsare con le ter-
minazioni a punta il nucleo interno di conglomerato (spesso di ottime caratteristiche mecca-
niche).
La naturale disposizione dei mattoni è per filari (o ricorsi) orizzontali, in ciò ponendosi con
le facce maggiori ortogonali alle linee di carico. Più raramente si riscontra la disposizione in
verticale, con appoggi cioè non sulle facce ma secondo le dimensioni dello spessore8.
Gli elementi naturali, le pietre, sono costituite da materiale diverso e diversamente confor-
mato quanto a regolarità e dimensioni: fattori tutti dipendenti dalla disponibilità locale e quin-
di dalla tradizione costruttiva.
Quanto alla costituzione, si va dal tufo, leggero e lavorabile, ma meno resistente, nelle zone
con vulcanesimo, alla calcarenite (o tufo calcareo) pugliese, alla pietra calcarea porosa del-
l’area laziale o compatta dell’area umbra, alla pietra lavica di numerose zone. Quanto alla
conformazione, in parte conseguente anche alla costituzione descritta, si va dalla forma in
blocchi regolare (ricorrenti, ad esempio, per la pietra calcarea le dimensioni 20 · 20 · 40 cm)
alla forma più minuta o irregolare fino ai ciottoli di fiume, impiegati come tali o spaccati a
metà talora ottenendo anche particolari effetti visivi.
Generalmente veniva perseguita con grande cura la collocazione degli elementi lapidei secon-
do ricorsi orizzontali anche in presenza di una variabilità dimensionale degli elementi impie-
gati: si veda l’esempio della figura 15.9 che rappresenta il paramento esterno di facciata, ad
elementi in pietra calcarea con angolate in mattoni o in blocchi di pietra squadrata, di un edi-
ficio rurale sito in località Ponte del diavolo presso Perugia. La pezzatura fortemente diffe-
renziata, e non particolarmente curata per quanto riguarda il mantenimento anche di confor-
8 Come, ad esempio, nelle alternanze della spina di pesce adottata dal Brunelleschi per la cupola di Santa
Maria del Fiore.
189
mazioni arrotondate, lascia intravedere una diversa funzione affidata ai singoli elementi nel
loro rapporto con lo spessore; angolate, spigoli, piattabande, sistemi di scarico sono affidati
ad un’accurata esecuzione in mattoni o in blocchi squadrati.
Nella tabella 15.4 sono riportate le caratteristiche fisiche e meccaniche (dati desunti e riordi-
nati dalla letteratura tecnica corrente) dei principali tipi di materiale lapideo in uso per costru-
zioni in muratura.
Si osserva che i mattoni, pure di buona qualità, si collocano, con i valori indicati di 150 ÷ 180
kg/cm2, ai gradini più bassi della resistenza meccanica a compressione.
Come per i mattoni, raramente il singolo elemento di pietra occupa l’intero spessore del muro:
ciò pone il problema di realizzarne la monoliticità trasversale. Questo compito può essere affi-
dato a singoli elementi isolati, in genere di forma allungata e disposti col lato maggiore orto-
gonalmente alla parete: i diatoni, secondo lo spessore oppure, a parziale spessore, ma incu-
neati sulle due facce contrapposte. Talora questo compito è, più o meno consapevolmente,
affidato ad elementi di spoglio inseriti nel corpo murario durante la costruzione; un esempio,
riferito al complesso monastico dei Santi Quattro Coronati in Roma, è riportato nelle imma-
gini della figura 15.10: trattasi di rocchi o parti di colonne inseriti nel muro interno di un
ambiente sotterraneo e nello sperone angolare esterno sul fronte stradale.
Nel primo caso una coppia di rocchi è disposta a croce, col rocchio superiore (trasversale) che
sporge dal muro. Nel secondo caso al rocchio si sovrappongono anche blocchi di peperino, di
evidente ricollocazione.
Tabella 15.4
Caratteristiche meccaniche Caratteristiche fisiche
Tensione Tensione
Modulo di Peso Coefficiente
Roccia di rottura di rottura
elasticità E specifico di imbibizione
a compressione a trazione
(kg/mm2) γ (t/m3) (% del volume)
σR (kg/cm2) σT (kg/cm2)
BASALTO oltre 2.000 80 9.000 ÷ 12.000 2,75 ÷ 3,10 —
PORFIDO 60 5.000 ÷ 7.000 2.45 ÷ 2,70
1.500 ÷ 2.000 0,1 ÷ 0,6
GRANITO 40 5.000 ÷ 6.000 2,55 ÷ 2,90
MARMO
SACCAROIDE
1.000 ÷ 1.500 50 ÷ 60 4.000 ÷ 7.000 2,70 ÷ 2,75 0,1
E CIPOLLINO
CALCARI
CONGLOMERATI 6 ÷ 12
TUFO
1,12 ÷ 2,00 10 ÷ 25
CALCAREO
inferiore
8 300 ÷ 1.500
a 100
TUFO
1,10 ÷ 1,75 25 ÷ 50
VULCANICO
190
Fig. 15.10
191
Fig. 15.12
I ricorsi di mattoni, su due o tre filari, si estendono per l’intero spessore del muro e svolgono
la doppia funzione di regolarizzazione dei piani orizzontali e di legatura trasversale della
muratura, in ciò supplendo ai blocchi intermedi che non sempre realizzano le condizioni di
monoliticità: si vedano gli schemi della figura 15.12 (nella quale è evidenziata la costituzio-
ne di una parete muraria nel tratto compreso tra due ricorsi successivi di mattoni). I ricorsi di
mattoni, sempre con le caratteristiche dette, rigirano verticalmente in corrispondenza delle
mazzette di porte e finestre ed in corrispondenza degli spigoli e degli innesti murari, con
estensione maggiore o minore (ma, talora, anche nulla!).
Una particolare conformazione listata si può riscontrare in alcune parti del tratto murario
orientale della cinta fortificata di Città della Pieve (Perugia). Le due immagini della figura
15.13 forniscono le viste d’insieme e di dettaglio del paramento di un contrafforte, in mura-
tura listata a ciottoli spaccati trasversalmente e mattoni.
Il caso-limite delle pareti in blocchi di pietra è costituito dalla muratura in pietra da taglio,
affatto priva di malta (o con esigui e non generalizzati spessori) ed ottenuta dalla sovrapposi-
zione di blocchi parallelepipedi perfettamente lavorati. Archetipo di questa disposizione è la
muratura poligonale o ciclopica, costituita da blocchi non parallelepipedi di grandi dimen-
sioni sovrapposti in modo da combaciare perfettamente e sovente disposti a tutto spessore:
trattasi per lo più di opere a carattere difensivo, spesso anche con funzione di contenimento
di terrapieni a tergo della parete muraria, caratterizzati anche dalla presenza di aperture di pas-
saggio perimetrate da blocchi variamente disposti.
Nelle due immagini delle figure 15.14 e 15.15 sono riportati due tratti delle mura poligonali
della città di Segni (Latina), databili tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C.: rispettiva-
mente un particolare del tessuto murario ed il dettaglio della Porta Saracena. Quest’ultima è
realizzata con un architrave in pietra lungo 3 m circa atto a realizzare un’apertura alta 2,50 m
e larga 3,00 m alla base e 1,40 m in sommità; la variazione della larghezza è ottenuta con
disposizione a sporgere dei blocchi costituenti gli spigoli verticali.
Nella figura 15.16 è illustrato, sotto due diverse angolature, un particolare della cinta muraria
dell’acropoli della città di Arpino (Frosinone). La porta è realizzata per aggetto progressivo
dei blocchi costituenti gli spigoli laterali, acquistando così una forma archiacuta.
La malta, quindi, con minore frequenza, può anche non essere presente nel corpo murario.
Nella maggior parte dei casi, viceversa, la malta si può presentare in diverse condizioni di
costituzione, come anche di conservazione, in dipendenza della disponibilità locale e quindi
delle potenzialità economiche del committente: dalle malte idrauliche di calce e sabbia o di
calce e pozzolana, alle malte aeree di calce e sabbia, alle malte povere con tracce di calce e
sostanzialmente fango e terra. Con le proprie caratteristiche, la malta influenza fortemente la
192
Fig. 15.13
193
Fig. 15.16
Tabella 15.5
Sabbia Acqua
Tipo ed uso dell’impasto Legante Note
m3 m3
Malta:
per murature comuni 0,3 ÷ 0,4 m3 0,8 ÷ 1 0,1 ÷ 0,2 Grassello di calce
idraulica per murature 4 ql 1 ÷ 1,1 0,1 ÷ 0,2 Calce idraulica Italcementi
di cemento per murature 4÷5 ql 0,8 ÷ 1,1 0,2 ÷ 0,3 Cemento a lenta presa
pozzolanica per muratura 0,3 m3 1 0,2 Pozzolana e calce spenta
per intonaco rustico 0,3 m3 1 0,1 ÷ 0,2 Calce colata grassa
oppure 3÷4 ql 1 0,2 ÷ 0,3 Cemento a lenta presa
per intonaco civile 0,4 m3 0,8 0,2 ÷ 0,3 Grassello e sabbia fine
oppure 4÷6 ql 1 0,3 ÷ 0,4 Cemento a lenta presa e sabbia fine
per pavimenti in mattonelle
3,5 ql 1 0,25
di cemento
Cemento più 0,2 m3 di grassello e 30
per pavimenti in granaglia
3 ql 1 0,20 kg di materie coloranti per m2 di
alla veneziana
pavimento
Parti eguali di calce idr. e cem., più
per pavimenti in mosaico 3 ql 1 0,15
mat. col. come sopra
Gesso cotto con event. aggiunta di
di gesso per costruzioni 1,2 m3 — 0,8
malta, calce e sabbia
Gesso da stucco, più 0,2 m3 di
di gesso per intonaci 3 ql — — grassello con event. agg. di sabbia fine
Acqua o colla (destrina)
194
capacità di resistenza di una muratura alle forze di compressione (lo stato di sollecitazione
naturale delle murature).
A titolo indicativo, nella tabella 15.5, riprodotta dalla manualistica tecnica dei primi anni ’50
del secolo scorso, sono riportate le composizioni delle malte per m3 d’impasto.
Inseriti nel corpo murario della parete, possono essere presenti elementi diversamente orga-
nizzati che definiscono e riquadrano, orizzontalmente e verticalmente, le aperture di comuni-
cazione e di affaccio: archi, piattabande, architravi, con i relativi stipiti d’imposta (più o meno
ammorsati alla parete muraria). Ne portano esempio alcune delle precedenti figure eventual-
mente anche nella versione raddoppiata di archi di scarico posti a protezione dei sottostanti
elementi ad architrave od a piattabanda.
Elementi orizzontali e verticali ciechi possono poi essere inglobati nel tessuto murario e costi-
tuirne una sorta di riquadratura organizzata.
Nella figura 15.17 è riprodotto un tratto di parete di un fabbricato diroccato sito nel centro sto-
rico di San Pietro Infine (Frosinone), ove è realizzato un vano-porta delimitato da un arco ribas-
sato e da stipiti lapidei. Gli stipiti sono in più blocchi sovrapposti, non ammorsati alla parete e
presentano discontinuità e spostamenti laterali. L’arco è in due elementi ed ha subito il movi-
mento a tre cerniere con formazione del triangolo di scarico nella muratura sovrastante.
Nell’immagine della figura 15.18 è invece rappresentato il vano-porta dell’entrata secondaria
al giardino del Castello di Roviano (Roma). Il vano è localizzato in prossimità dello spigolo
del muro perimetrale e superiormente è delimitato da un architrave lapideo rinforzato con
mensole sottostanti, bene innestate nella muratura in conci di pietra squadrati; lateralmente gli
stipiti sono in più blocchi sovrapposti, con ammorsature a mezza altezza alla parete median-
te blocchi squadrati: uno di questi è prolungato fino alla connessione con lo spigolo.
Il pilastro in muratura rappresenta l’estrinsecazione monodimensionale della parete presen-
tandone, in generale, la stessa costituzione: omogenea, in mattoni, in pietra sbozzata o squa-
drata, in pietra da taglio, o non omogenea, del tipo listato oppure con un paramento perime-
trale più o meno spesso ed un nucleo interno di riempimento più o meno organizzato.
195
Fig. 15.19 Fig. 15.20
196
Fig. 15.22
riempimenti in mattoni. Nella figura 15.21 è raffigurato uno dei pilastri del chiostro minore
del complesso già benedettino di San Pietro, a Gubbio (Perugia).
Il pilastro, che poggia su un basamento in pietra arenaria (localmente dilavato e corroso), ha
sezione rettangolare di lati 87 cm e 77 cm circa ed è costituito da un paramento perimetrale
in mattoni pieni e da un nucleo centrale in pezzame di mattoni in un masso di malta di calce.
In sommità il pilastro fornisce l’imposta, a tutto spessore, per le volte e per le arcate del porticato.
Nella versione monolitica del pilastro, la colonna, la costituzione è in pietra o, meno fre-
quentemente, in legno (si pensi, ad esempio, alle architetture micenee); più recente è la costi-
tuzione in ghisa o in ferro.
Esemplificazioni di questi tipi sono riportate nelle illustrazioni che seguono. Nella figura
15.22 è riportato un particolare dal chiostro maggiore dello stesso complesso di San Pietro,
raffigurato prima dell’intervento di restauro recentemente completato. Nel loggiato origina-
rio, a rinforzo delle esili e parzialmente dilavate colonne in pietra arenaria (diametro medio
di 38 cm circa), in epoche diverse sono stati inseriti sottarchi e contropilastri in mattoni.
Sui due fianchi della stessa colonna i contropilastri risultano collegati fra loro in sommità
mediante tiranti metallici e piastre di ancoraggio; la sezione complessiva risulta inscritta in un
rettangolo di lati 110 cm e 55 cm circa. Come accennato in precedenza, sui quattro lati del
chiostro l’intervento di rinforzo appare eseguito in epoche diverse.
Due casi di costituzione lignea sono riportati in figura 15.23a ed 15.23b; ivi sono illustrati
rispettivamente:
– un dettaglio, all’imposta su un basamento lapideo, di un elemento del colonnato ligneo
nella zona medievale di Bologna; l’elemento presenta una cinturazione metallica di rinfor-
zo ortogonale alle fibre;
197
Fig. 15.23a Fig. 15.23b
Fig. 15.24
198
– una vista di scorcio del loggiato di uno dei chiostri della sede storica della Università
Nazionale Maggiore di San Marco nel centro storico di Lima (Perù); le colonne sono leg-
germente sagomate e sorreggono una trabeazione lignea mentre altrove sorreggono arca-
te in legno, con rivestimento ligneo dei timpani.
Nella figura 15.24 è riportato un esempio di colonnato metallico a sostegno di un edificio in
muratura. L’edificio è posizionato sulla riva destra del Tamigi, in corrispondenza del Tower
Bridge nella vecchia zona portuale di Londra (oggi recuperata per uso abitativo e per uffici).
La caratterizzazione statica di una muratura, e cioè la quantificazione dell’attitudine a sop-
portare carichi verticali, ha costituito l’impegno di studiosi e costruttori che, abbandonata la
logica delle proporzioni determinate dalla regola dell’arte, imboccarono decisamente la stra-
da della resistenza dei materiali da costruzione. Prove fino a rottura di elementi di malta, pie-
tra, mattone, legno vennero effettuate, in forma organizzata, di pari passo con lo sviluppo ed
il perfezionamento dei macchinari di prova, a partire dalla fine del secolo XVIII, nella pro-
spettiva poi di stabilire un limite ai livelli di sollecitazione che lasciasse un conveniente mar-
gine di sicurezza rispetto alla rottura.
Un’attendibile quantificazione può essere effettuata a partire dalle caratteristiche dei due costi-
tuenti, gli elementi di muratura (pietra, mattone) e le malte dei ricorsi: caratterizzazione che era
già stata introdotta nei manuali tecnici dell’inizio del secolo scorso e che è stata codificata dalle
ultime norme tecniche per le costruzioni in muratura. Questa è una visione che prelude ad una
rappresentazione continua ed omogenea, per macroelementi, del materiale muratura, dalla
quale non ci si può che attendere9 una notevole dispersione dei risultati, che costituisce il prez-
zo da pagare per una rappresentazione di indubbie doti di efficacia e concretezza.
Con riferimento a murature di mattoni pieni, la manualistica degli anni ’50 del secolo scorso
individua la regola empirica seguente, valida per elementi murari di nuova costruzione (adat-
tabile, qualitativamente, a murature in opera nelle condizioni iniziali oppure ad avvenuta rico-
stituzione dei giunti di malta).
Malta ordinaria: Rmur = (0,30 ÷ 0,45) · Rm Malta cementizia: Rmur = (0,70 ÷ 1,00) · Rm
E = 10.000 ÷ 20.000 kg/cm2 E = 35.000 ÷ 250.000 kg/cm2
Rm = 150 ÷ 180 kg/cm2 Rm = 150 ÷ 180 kg/cm2
199
Tabella 15.6
Muri dello spessore Muri dello spessore Pilastri
N° Genere delle murature non inferiore a 60 cm minore di 60 cm isolati
kg/cm2 kg/cm2 kg/cm2
1 Muratura di pietrame a secco 1 – 1,5 — —
2 Murature di pietrame e malta comune 4 3 2
3 Muratura di pietrame e malta idraulica 4,5 – 5 3,5 2
4 Muratura mista e malta comune 4,5 3,5 2,5
5 Muratura mista e malta di cemento 7 5,5 3,5
6 Muratura di pietrame e malta cementizia 5,5 – 6 4,5 – 5 2,5
7 Muratura di mattoni e malta comune 5–7 3,5 – 5 2,5 – 3,5
8 Muratura di mattoni e malta idraulica 6–8 4–6 3–4
9 Muratura di mattoni e malta cementizia 7,5 – 10 5 – 7,5 3,7 – 5
10 Muratura in mattoni forati pesanti 2,5 2 —
11 Muro di pietra da taglio (calcare compatto) 20 15 10
12 Muro di pietra da taglio (granito) 40 30 20
13 Muro di calcestruzzo di cemento (dosaggio magro) 15 10 —
14 Muro di calcestruzzo di cemento (dosaggio medio) 20 15 10
Tabella 15.7
Diametro Massimo carico in quintali per altezza di
Spessore
esterno
(mm)
(mm) 3m 3,50 m 4m 4,50 m 5m 6m 7m 8m 9m 10 m
100 12 185 136 104 83 — — — — — —
100 15 210 155 120 95 76 — — — — —
120 15 238 200 171 147 120 91 — — — —
120 20 302 255 217 187 153 116 — — — —
140 16 339 299 253 221 191 146 115 — — —
140 20 410 362 306 271 231 177 139 — — —
150 18 439 391 330 291 247 195 152 — — —
150 20 480 427 361 318 271 213 166 — — —
160 18 500 440 384 340 300 240 181 148 — —
160 20 540 479 423 373 330 262 199 162 — —
180 20 — 502 548 483 427 347 274 228 186 —
180 24 — 602 641 565 500 407 321 267 217 —
200 20 — 735 666 616 544 441 360 296 247 209
200 24 — 862 781 723 638 517 423 347 290 245
250 20 — — — 922 851 725 614 520 443 378
250 24 — — — 1087 1003 855 724 613 523 446
250 28 — — — 1245 1159 980 830 703 590 511
200
Fig. 15.25
Con spirito analogo, la manualistica di fine 800 fornisce i valori di portanza di colonne in ghisa.
Nella tabella 15.7 ne è riportato un esempio, relativo a colonne di sezione circolare cava di
diversa altezza.
Architravi lapidei, da un lato, archi e piattabande in muratura, dall’altro, sono costituenti spe-
ciali di una parete muraria: necessari per delimitare superiormente un vano (di affaccio o di
passaggio) svolgono la conseguente funzione statica con un diverso regime di sollecitazioni,
nel seguito analizzato.
Talora accoppiati (figura 15.9) nel sistema arco di scarico/architrave o arco di scarico/piatta-
banda, godono di una qualità esecutiva generalmente più curata e sovente svolgono anche una
funzione decorativa. È questo il caso, portato, uno per tutti, ad esempio, della piattabanda
nella parete di un edificio in Foligno, frazione S. Eraclio, raffigurata nelle immagini della
figura 15.25.
201
Dal punto di vista della conformazione trasversale le volte a botte possono essere, come gli archi:
– a tutto sesto;
– ribassate;
– a sesto acuto.
Dal punto di vista della conformazione longitudinale le volte a botte possono essere:
– cilindriche, orizzontali o inclinate;
– toroidali/elicoidali;
– rampanti;
– tronco-coniche, orizzontali o inclinate;
secondo la disposizione schematica della figura 15.26.
Fig. 15.26
202
La resistenza a compressione è quantificabi-
le nei valori relativi alla muratura costitutiva
corrispondente.
A seconda dello stato di conservazione della
volta in esame si può considerare un leggero
incremento per tenere conto della maggiore
cura nell’esecuzione di tali elementi costrut-
tivi.
All’imposta della volta a botte sui muri lon-
gitudinali, poi, possono essere realizzate
orlature costituite da successioni di piccole
lunette aventi il compito di alleggerire l’ef-
fetto visivo della volta.
Ciò, naturalmente, comporta la concentra-
zione di pesi e spinte nelle effettive zone
d’imposta, peraltro abbastanza ravvicinate
fra loro.
L’intersezione di due volte a botte uguali, e
dei relativi muri longitudinali, disposte orto-
gonalmente fra loro determina 8 unghie:
quattro inferiori ed altrettante superiori.
Si genera una volta a padiglione se si consi-
derano le quattro unghie inferiori, ciascuna
Fig. 15.27 impostata con continuità sul muro corrispon-
Fig. 15.28
203
dente, lungo il quale esercita il peso e la spinta prodotti dai carichi verticali applicati. Si gene-
ra una volta a crociera se si considerano le quattro inferiori, convergenti nei quattro spigoli
ove esercitano pesi e spinte.
Come la volta a botte, la volta a crociera può presentare una disposizione rampante, con due
imposte più in alto delle altre due.
Dalla volta a padiglione si può derivare, inserendo un tratto di volta a botte fra le due cop-
pie contrapposte di unghie, la volta a botte con testate di padiglione (che, rispetto alla volta
a botte propriamente detta, migliora l’effetto visivo dell’innesto con i due muri trasversali di
testata).
Da questa si genera infine la volta a specchio (o a schifo) inserendo nella zona centrale a
botte un tratto piano a pianta rettangolare, sovente leggermente rientrante nello spessore
della volta.
Nelle foto delle figure 15.27 e 15.28 sono rappresentati due casi di risoluzione con volte mura-
rie di aggetti esterni, per balconi o per scale; il primo si riferisce ad un edificio del centro sto-
rico di Egna-Neumarkt (Bolzano) per il quale le volte sono affiancate tra loro e sporgono dal
fabbricato poggiando su mensole in pietra; il secondo si riferisce ad un edificio sull’Isola
Tiberina in Roma e presenta un articolato percorso esterno su mensoloni in travertino.
10 Riferimento: Manuale dell’Ingegnere Civile, [4]; G.B. Milani, L’ossatura murale, [49].
11 Idem.
204
Fig. 15.29
Fig. 15.30
205
Tabella 15.8
Orditura portante in legno, semplice o composta, con sovrastanti:
1) assito di tavole da 2,5/3,0 cm di spessore, chiodate alla struttura sottostante, giuntate lateralmente e con
eventuale listello coprigiunto; oppure, pianellato di elementi laterizi speciali pieni (pianelle da 2,0/2,5 cm di
spessore) o forati;
2) caldana di malta da circa 3 cm di spessore, se già lo stesso assito non fa da pavimento;
3) pavimento.
Orditura semplice, per portate fino a 4,0/5,0 m: travicelli, posti ad interasse di 30/50 cm ed intestati nei muri per
15/25 cm; oppure panconi posti ad interasse di 50 cm (travi a sezione “stretta”, da 5/7 cm per 15/20 cm di altezza).
Orditura composta, per portate fino a 5,0/7,0 m: travi maestre poste ad interasse di 2,50/5,00 m ed intestate nei
muri per 25/35 cm (e protette) e travicelli c.s.
Tabella 15.9
Carico totale Portata in metri
Interasse
sul solaio
fra le travi 3 4 5 6 7 8
(kg/m2)
40 cm 9 · 12 10 · 15 12 · 17
450
(a travicelli)
A) Orditura
50 cm 10 · 14 12 · 17 14 · 18
semplice
40 cm 9 · 14 11 · 16 14 · 18
650
50 cm 11 · 16 14 · 18 16 · 21
3m 22 · 31 25 · 35 28 · 39 31 · 43 35 · 47
B) Orditura composta
300 ÷ 400 4m 24 · 33 27 · 33 31 · 43 33 · 47 37 · 52
(a travicelli su travi
5m 25 · 36 30 · 42 33 · 47 37 · 52 41 · 58
principali)
3m 25 · 35 30 · 42 33 · 47 37 · 52 40 · 56
500 ÷ 600 4m 27 · 38 32 · 45 37 · 52 41 · 58 44 · 62
5m 30 · 42 33 · 47 40 · 56 44 · 62 48 · 67
Essenze impiegate: castagno, larice, rovere, abete
Nella figura 15.30 sono illustrati i particolari costruttivi di un solaio a panconi con orditura
semplice in un fabbricato di fine 800 in Roma, ad avvenuta asportazione della controsoffitta-
tura in camera a canne. Si rilevano gli appositi alloggiamenti d’appoggio nella muratura di
mattoni e la protezione con catrame della zona d’innesto dei panconi.
Ai fini della quantificazione numerica dello stato di tensione negli elementi lignei si può fare
riferimento alle due tabelle seguenti.
Nella tabella 15.10 sono riportate le caratteristiche fisico-meccaniche del legno, con riferi-
mento a due tipi di essenza: conifere (pino, larice) e latifoglie dure (quercia, castagno).
Nella tabella 15.11 sono riportati i corrispondenti valori delle tensioni ammissibili, riferite a
legno ben stagionato; congrue riduzioni (almeno del 20%) vanno apportate ai valori indicati
per strutture non protette dalle intemperie.
206
Tabella 15.10
45 50 conifere
taglio
60 65 latifoglie dure
100.000 conifere
MODULO ELASTICITÀ
5.000 conifere
trasversale alle fibre
8.000 latifoglie dure
Tabella 15.11
Conifere Latifoglie dure
Taglio (τamm) 10 15
207
Nelle illustrazioni delle figure 15.31 e 15.32
ne sono mostrati due esempi, entrambi relati-
vi alla soluzione a putrelle e voltine. Il primo
si riferisce al solaio della veranda coperta nel
cortile di palazzo Bonaccorsi a Castel San
Pietro (Rieti); la successione strutturale
mostra le putrelle inserite nel muro ad un’e-
stremità e poggiate su una trave longitudinale
all’altra: tale trave è a sua volta intestata nei
muri laterali e, per la rilevante distanza fra
questi, è sorretta in posizione centrale da una
mensola rompitratta a sezione composta di
due profilati a doppio T sovrapposti. Il secon-
do esempio è relativo ad un’applicazione
industriale della medesima tipologia e si rife-
risce ad un edificio, già sede della birreria
Peroni ed oggi, ristrutturato, sede di un gran-
de magazzino, in via Mantova a Roma; le
putrelle e le voltine hanno forte consistenza,
stante la destinazione industriale originaria, e
beneficiano di un appoggio intermedio costi-
tuito da una trave anch’essa di forte consi-
stenza: una trave in acciaio, a traliccio, con
correnti rinforzati da lamiere in più strati e
con collegamenti chiodati.
Le caratteristiche dei profilati a doppio T in
uso nella seconda metà del XIX secolo, facil-
mente distinguibili dai profili normalizzati per
avere le ali più strette e più spesse e la cui pro-
duzione, nell’Italia pre-unitaria, era effettuata
nelle ferriere di ogni singolo Stato, sono spe-
cifiche della produzione locale. Una prima Fig. 15.31
unificazione (profili normali, sigla NP) risale
ai primi anni del 900; l’attuale normalizzazio-
ne europea (sigla: IPE, HE) risale agli anni
’60 del secolo scorso. A titolo esemplificativo
nella tabella 15.12 sono riportate le caratteri-
stiche di produzione di due ferriere italiane12:
la ferriera di Vobarno e le acciaierie di Terni
(in alto e in basso rispettivamente).
Il confronto dei dati geometrici evidenzia la
differenza (agevolmente rilevabile in sito, già
dalla stessa osservazione visiva della larghez-
za e della consistenza della base inferiore) tra
la produzione ottocentesca e la produzione dei
primi 900.
Nella tabella 15.13 sono riportati, rispettiva-
208
Tabella 15.12
Portate in metri
Modalità d’impiego
3 3,5 4 4,5 5 5,5 6
VOLTINE in mattoni
pieni
12 14 16 16 18 20 20
interasse 1 m
p.p. ~340 kg/m2
VOLTINE in m. forati
interasse 0,95 m 12 14 14 16 18 18 20
p.p. ~310 kg/m2
TAVELLONI
12 12 14 16 16 18 18
p.p. 210 kg/m2
209
Tabella 15.14
PROFILI DI PIÙ COMUNE IMPIEGO
NP H·B p(kg/m) Ix(cm4) Wx(cm3) A(cm2)
mente, i pesi unitari dei vari tipi di solaio ed i criteri di proporzionamento delle travi; nella
tabella 15.14 sono riportate le caratteristiche di alcuni profili a doppio T della serie NP.
Si può rilevare il sostanziale buon accordo dei dati forniti dalla tabella, per luci medie e per
solai a tavelloni, e dei dati derivabili dalla regola empirica di proporzionamento:
H = 30 L
in cui L è la luce, in metri, del solaio soggetto agli usuali sovraccarichi per abitazione, ed H
è l’altezza, in millimetri, del profilato da impiegare.
Si accenna di seguito a problemi che possono sorgere sui solai per effetto dei muri divisori, o
tramezzature, presenti ai piani.
Realizzati con varie modalità e consistenza, da costituzione in mattoni pieni a mattoni forati,
disposti in entrambi i casi ad una testa oppure di coltello, questi divisori venivano ammorsa-
ti nelle pareti murarie principali e non di rado ad essi veniva affidata qualche funzione por-
tante (singole rampe di scale, ad esempio): funzione portante che, di fatto, venivano automa-
ticamente ad assumere in presenza di orizzontamenti fortemente deformabili, quali i solai a
struttura di legno o metallica.
La facile eliminazione di tali divisori13 non accompagnata da corrispondenti provvedimenti,
è causa non solo di possibile danno ai piani sovrastanti ma anche di perdita delle riserve di
mutua connessione della compagine muraria generale: connessione che l’edificio comunque
possedeva, specialmente nei frequenti casi di forte distanziamento dei muri trasversali fra
loro.
Specifiche disposizioni potevano essere impiegate per sostenere il solaio in corrispondenza di
particolari zone soggette a carichi più elevati dell’usuale e di tipo concentrato. Ad esempio,
la soluzione più immediata di rinforzo nel caso di pesanti muri di divisione consisteva nel rad-
doppio, in accostamento, dei profilati di solaio.
13 Sollecitata da pressanti richieste di natura socio-funzionale ed alimentata dalla falsa analogìa con i fabbri-
cati a struttura di cemento armato.
210
Fig. 15.33
Nella figura 15.33, tratta dalla manualistica dell’epoca14, è illustrata una possibile disposizio-
ne, realmente riscontrata in edilizia di pregio di fine ‘800 e di inizio del secolo scorso, in uso
per sostenere tramezzature, in specie in corrispondenza delle neonate sale da bagno per edifi-
ci di abitazione.
211
Solette in calcestruzzo armato
Costituiscono la soluzione storica, ripetendo la tipologia in legno con travi secondarie e travi
principali; le caratteristiche di consistenza attese si desumono anche dall’esame delle norma-
tive tecniche dell’epoca.
Quando gli appoggi sono disposti soltanto lungo due lati contrapposti del perimetro, la fun-
zione portante si esplica in una sola direzione (ortogonale a detti lati); sollecitazioni ed arma-
ture d’acciaio (costituite da barre in tondo liscio) erano determinate per strisce larghe 1 m.
Nella direzione ortogonale si disponeva un’armatura di ripartizione pari al 25% di quella prin-
cipale. Spessore indicativo: 1/30 della luce, ma non meno di 8 cm.
Quanto detto vale anche se, essendo presenti vincoli d’appoggio anche sugli altri due lati del
perimetro, questi ultimi risultano molto più corti; in tal caso il comportamento si esplica ancora
sulla luce minore. Viceversa per lunghezze dei lati nel rapporto non superiore a 5/3 circa, la fun-
zione portante si esplica in entrambe le direzioni (comportamento a piastra). In queste condi-
zioni lo spessore si può ridurre rispetto al caso precedente fino a 1/50 della luce, fermo restan-
do il minimo di 8 cm. L’armatura di acciaio, ovviamente, era disposta in entrambe le direzioni.
Fig. 15.34
212
Fig. 15.35
213
Il tipo a nervature parallele è il più diffuso ed utilizza anche una solettina superiore (caldana)
in getto di conglomerato dello spessore minimo di 2 cm15 oppure sostituita da una sagomatu-
ra rinforzata dei laterizi stessi. L’armatura, costituita da barre lisce, diritte ovvero ripiegate a
45°, conformate ad uncino alle estremità, è alloggiata nei vani compresi tra le successive file
di laterizi e viene poi inglobata nel successivo getto delle nervature.
Nel seguito si riportano alcune tipologie di solaio storiche prodotte dalla ditta R.D.B.
Nella figura 15.34 sono illustrati due tipi di solaio, correntemente impiegati per altezze fino a
20 cm circa; per altezze maggiori è frequente rilevare l’impiego del tipo a camera d’aria ripor-
tato nei prospetti della figura 15.35 e per il quale la parte laterizia è articolata in più elemen-
ti accostati e solidarizzati dal getto.
I tipi di solaio mostrati in precedenza, come anche i tipi a soletta piena, richiedono la predi-
sposizione di un’impalcatura continua per il montaggio degli elementi, per la posa in opera
delle barre d’armatura e per il successivo getto di conglomerato. Grande diffusione, per edi-
lizia economica ed in specie nel periodo di ricostruzione post-bellica, hanno avuto i solai SAP
(e simili) proporzionati sperimentalmente, con travetti laterizi armati preconfezionati ed auto-
portanti, caratterizzati da un’armatura diffusa in barre di piccolo diametro. Nella figura 15.36
ne sono illustrate le caratteristiche.
La conformazione storica delle travi e degli eventuali pilastri di sostegno, all’interno del peri-
metro murario di un fabbricato d’epoca, è facilmente identificabile attraverso gli articolati
sistemi di mensolatura, di innesti a coda di rondine, di raccordo degli spigoli: caratteristiche
Fig. 15.36
15 Lo spessore minimo della solettina è stato portato a 4 cm e reso obbligatorio dalle normative tecniche del
1939 ma di fatto realizzato nei primi anni ’70.
214
Fig. 15.37
tutte che si possono riscontrare nelle due foto della figura 15.37, eseguite, prima dei lavori di
trasformazione, in due ambienti dell’ex birreria Peroni nel complesso di via Mantova in Roma.
Nella foto in basso si può osservare il curioso e significativo inserimento, quale pilastro inter-
medio, forse di rinforzo, di una colonna in ghisa: testimonianza del connubio di tecniche
costruttive nel periodo di costruzione di inizio 900.
215
15.4.7. Coperture a tetto
Nelle tre versioni di materiale, il legno, poi il ferro e quindi il calcestruzzo armato, le coper-
ture a tetto utilizzano la tipologia costruttiva del solaio, appoggiato su elementi portanti atti a
conferire la necessaria inclinazione alle falde del tetto: i timpani murari, i sistemi arco-tim-
pano, le capriate, con eventuale interposizione di travi di colmo.
Si ripetono, pertanto, le caratteristiche dell’orditura secondaria dei solai, a tavole di legno
oppure a laterizi pieni o forati, con esclusione delle voltine murarie, e dell’orditura principale,
generalmente costituita da travi inclinate su travi orizzontali (le terzere, assicurate alle capria-
te ad esempio mediante gattelli lignei, oppure inglobate nella muratura dei timpani). La costi-
tuzione e le caratteristiche attese per la soluzione in legno sono riportate nella tabella 15.15.
Tabella 15.15
(1) Quando le terzere poggiano sui puntoni di una capriata. Sono invece inglobate, con le estremità, in timpani murari quando sono
presenti muri trasversali di spina ad interasse di 3 ÷ 5 m.
216
Vista esterna dei contrafforti e apparecchio murario in Vista interna degli archi e dei piedritti.
pietra squadrata.
SEZIONE ASSONOMETRICA.
In vista: orditura della copertura
(pianellato su orditura di correnti e
terzere in legno), archi ogivali,
sistema piedritti-contrafforti di
scarico.
Fig. 15.39
Fig. 15.40
Un esempio di copertura con trave di colmo, disposta fra i due opposti timpani di testata e
poggiata su un pilastro intermedio, che sostiene un sistema di falsi puntoni e la struttura
secondaria delle due falde è qui di seguito riportato. La documentazione, costituita dagli sche-
mi plano-altimetrici di riferimento della figura 15.40 e dalla sezione di rilievo riportata nella
figura 15.41 è relativa al palazzo Pretorio di Gubbio, prima dell’intervento di restauro e pro-
tezione antisismica terminato nel 2003. La trave di colmo, disposta a bisecare una pianta poco
discosta dalla forma quadrata, con un pilastro al centro, dopo il rifacimento di inizio 900 era
costituita da una pesante trave di calcestruzzo armato (sezione: 50 · 90 cm) in sostituzione del-
l’originaria in legno; i falsi puntoni, poggianti sulla trave di colmo e sulle due pareti laterali,
erano dotati di coppie di saette di contrasto ancorate alla trave stessa di colmo ed erano stati
malamente rinforzati o puntellati a contrasto con le sottostanti volte murarie del sottotetto.
Sopra questi puntoni era disposta la struttura secondaria in legno, a sostegno di un tavellina-
to di falda e sovrastante manto di copertura.
218
Fig. 15.41
Fig. 15.42
219
Fig. 15.43
Le foto delle figure 15.42 e 15.43 documentano visivamente lo stato di consistenza e di con-
servazione della copertura lignea, con le sue labilità e con i provvedimenti di puntellamento
intervenuti nel tempo (casuali, poco consistenti e malamente disposti).
L’elemento costruttivo più rappresentativo delle coperture di edifici storici è dunque la capria-
ta, e la capriata in legno alla quale lungamente si è ispirata e materializzata la versione in
ferro. Articolata, a seconda delle dimensioni dell’ambiente da coprire e della presenza di un’e-
ventuale controsoffittatura decorata, in tre componenti (due puntoni superiori ed una catena
inferiore) o più (con uno o più monaci, saette, sottopuntoni, controcatena), disposta nella
conformazione semplice o raddoppiata, dotata di mensole d’estremità o di tacchi intermedi di
ripartizione, la capriata costituisce forse l’elemento costruttivo più caratterizzato da quella
varietà di realizzazione che è propria dell’architettura storica.
Nella vista d’insieme della figura 15.44 è raffigurata, nella zona di colmo, la copertura a tetto
a due falde della Chiesa di San Biagio a Corchiano (Viterbo), vista dal basso con il pianella-
to sorretto dal sistema di correnti e terzere su capriate con monaco centrale e saette. Si osser-
va che le capriate sono caratterizzate da una marcata distanza fra il monaco e la catena e da
un’altrettanto marcata esilità delle due saette, compresse.
Nella vista di dettaglio della figura 15.45 è raffigurato il sistema puntone-catena-mensola d’e-
stremità rilevato nella detta Chiesa; si osservi il doppio ordine di staffe metalliche, a diverse
funzioni.
Nelle due immagini della figura 15.46 sono riportate, ad esempio della varietà delle possibili
situazioni, due viste parziali di una capriata in legno rilevata in un edificio della città di
Gubbio. Ivi, per l’innesto fra saetta e puntone è interposta una suola di legno, smussata ed
inchiodata al puntone: su questa contrasta la saetta, con una modalità che oltre a non com-
220
Fig. 15.45
Fig. 15.46
16 La disposizione dei carichi in corrispondenza dei nodi è condizione (come si vedrà in 16.7.) per generare
soli sforzi assiali nei vari elementi componenti la capriata e quindi consentire di realizzare strutture meno
massicce.
17 Riprodotte da: C. Formenti, R. Cortelletti, La pratica del fabbricare. [32].
221
Fig. 15.47a
222
Fig. 15.47b
223
Fig. 15.47c
224
Fig. 15.47d
225
Fig. 15.47e
226
Fig. 15.47f
227
Le dimensioni dei componenti costruttivi di una capriata sono fornite nella tabella 15.16 che
riporta la codificazione tradizionale sostanziata negli ultimi manuali tecnici del secolo scorso.
Occorre però sottolineare che, conseguentemente alla già segnalata variabilità delle situazio-
ni possibili, conformazioni e dimensioni attese possono non essere confermate nei fatti tanto
per costituzione d’origine quanto per modifiche in corso d’opera.
Ad esempio di quanto affermato, nelle immagini della successiva figura 15.48 sono riportati
schemi d’insieme (dai rilievi diretti di prima fase) e particolari della copertura del Duomo di
Palestrina (Roma) dai quali risultano sia le reali caratteristiche di irregolarità nella forma e
nelle dimensioni degli elementi lignei sia i provvedimenti succedutisi nel tempo per procede-
re a rinforzi o sostituzioni. Le capriate si susseguono ogni 3 m circa e sorreggono le terzere,
disposte ad interasse di 1 m circa, correnti ogni 50 cm circa, tavelle laterizie e manto di coper-
tura a coppi e canali; nella vista schematica sono fornite le misure principali mentre nelle due
foto sono riprodotti i particolari del nodo mensola-catena-sottopuntone-puntone e del sistema
catena-monaco-sottopuntone-controcatena.
Tabella 15.16
interasse, 3 ÷ 5 m
DATI DI RIFERIMENTO: carico sui puntoni ~ 700 kg/m
pendenza delle falde ~ 25%
DIMENSIONI (in cm) DELLA SEZIONE TRASVERSALE
Le soluzioni tecnologiche impiegate dall’ultimo quarto del secolo XIX, nelle quali si ricorre al
ferro senza rinunciare del tutto al legno, sono qui rappresentate nelle tre illustrazioni che
seguono e si riferiscono alla Cappella sita nell’ala di fine 800 del seicentesco palazzo
Imperiali Borromeo in Roma.
Le caratteristiche d’insieme, con le principali dimensioni di riferimento, sono indicate nello
schema diretto di rilievo riportato in figura 15.49 (schemi generali di rilievo) che mostra la
sezione trasversale della Cappella e la sezione longitudinale in asse limitatamente alla zona
absidale.
La soffittatura a volta, autoportante, è una incannucciata conformata a tutto sesto e fissata a
travi curve in legno controventate alle pareti murarie perimetrali; la copertura a tetto è soste-
nuta da un’orditura secondaria in legno su capriate in ferro ad elementi diversificati: i punto-
ni, in particolare, sono costituiti da coppie di profili a C stretti su un nucleo interno costituito
da una trave di legno.
Nelle immagini delle figure 15.50 e 15.51 (foto di dettaglio) sono riportati particolari degli
elementi costitutivi della capriata-tipo, con tutti i sistemi di connessione e di messa in tensio-
ne. Quest’ultimo è costituito da un manicotto tenditore a filettature contrapposte; le connes-
sioni sono realizzate non più con chiodi ma con bulloni.
La conformazione della capriata è un’evoluzione della capriata Polonceau, a sua volta gene-
rata dall’accoppiamento, con tirante intermedio, di due travi armate inclinate contrapposte
(vedasi lo schema della figura 15.52, rielaborata dalla manualistica della metà del 1900); gli
elementi compressi sono in legno o in ghisa e gli elementi tesi in ferro. Nella foto della stes-
228
Fig. 15.48
229
Fig. 15.49
230
Fig. 15.50
Fig. 15.51
Fig. 15.52
231
Fig. 15.52a Fig. 15.53
Fig. 15.54
sa figura, che si riferisce alla copertura di un ambiente scolastico nel rione Prati in Roma, è
riportato il dettaglio del puntone in ghisa, con gli attacchi ai tiranti in ferro ed al sovrastante
puntone in legno.
Il successivo passo in avanti, con l’impiego di profilati metallici, è riportato nella figura 15.53
che riproduce il dettaglio di un nodo in cui convergono aste in profilati ad L accoppiati e su
cui poggia una terzera, ancora in legno.
La piena conformazione metallica ad elementi reticolari è mostrata nella figura 15.54 che si
riferisce al tetto a padiglione di un ambiente dell’edificio già sede della Birra Peroni, in Roma,
menzionato in precedenza a proposito dei solai. La vista d’insieme si riferisce allo stato prima
dei lavori di trasformazione, che hanno conservato in opera le strutture metalliche originarie;
la vista di dettaglio, al nodo inferiore della capriata posta alla confluenza delle due linee di
displuvio, si riferisce alla situazione attuale.
232
Ultime, in ordine di tempo, le coperture in
cemento armato a capriate, inizialmente spe-
cifiche delle costruzioni industriali, spesso
realizzate a piè d’opera, quindi montate in
sommità del fabbricato e collegate fra loro da
una o più travi longitudinali, sorreggenti diret-
tamente un solaio leggero in calcestruzzo
armato (o, per interassi maggiori di 2,00/2,50
m, indirettamente mediante travi longitudina-
li). Spesso il solaio è costituito da un sottote-
gola in tavelline di laterizio armate, per luci
non eccedenti i valori sopra indicati. La coper-
tura con sottotegola in laterizi Perret è costi-
tuita da tavelline forate di laterizio (spessore
più comune 3,0/5,0 cm, larghezza 25 cm, lun-
ghezza 40 cm) armate con tondini sigillati
entro apposite scanalature mediante malta di
cemento. Al di sopra del piano così ottenuto vi
sono: tegole marsigliesi oppure, molto usati
all’epoca, elementi di ardesie artificiali (eter-
nit, salonit, ecc.) in lastre di facile posa per il
modesto peso di circa 15 kg/m2. Nella figura
15.55 sono riportate le caratteristiche del sot-
Fig. 15.55
totegola prodotto dalla ditta R.D.B. ed impie-
gato anche per elementi di controsoffittatura.
Per maggiori distanze fra le capriate, come
detto, si dispongono travi secondarie longi-
tudinali da localizzare in corrispondenza dei
nodi delle capriate; tali travi hanno interasse
di circa 2 m e costituiscono anche un effica-
ce collegamento delle capriate stesse.
A titolo esemplificativo, qui di seguito sono
riportate in figura 15.56a (schema di rilievo
per riferimento metrico) ed in figura 15.56b
(foto di particolari) immagini relative alla
Fig. 15.56a copertura di uno dei palazzi storici dell’EUR
in Roma.
Fig. 15.56b
233
15.4.8. Scale
Nelle varie versioni storiche di materiale (struttura in pietra, in muratura, in legno, in ferro) le
scale realizzano un elemento architettonico articolato nella forma e nelle dimensioni: dalla
forte centralità visiva e spaziale alla minimalità dimensionale e costituiva.
Analogamente alle coperture, le scale ripetono, nella disposizione inclinata, le caratteristiche
delle volte murarie e dei solai piani, articolandosi in soluzioni calibrate a specifiche esigenze
di ingombri e di dislivelli: da volte murarie inclinate, a botte o meno frequentemente a cro-
ciera, impostate su sistemi di muri paralleli e completate da volte a crociera in corrisponden-
za dei ripiani, a volte rampanti in successione (si veda, ad esempio, il caso illustrato in figu-
ra 15.28), a volte elicoidali impostate su muri circolari e su sistemi di archi e pilastri, a solai
inclinati su sistemi di muri paralleli, a scale a chiocciola in pietra o in legno o in ferro.
Un esempio di questo ultimo tipo è riportato nelle foto della figura 15.57a che si riferiscono
ad una scala di collegamento fra alcuni ambienti del piano terra e del primo piano di palazzo
Baglioni a Torgiano (Perugia); la struttura delle rampe è in travi di legno disposte a raggiera
elicoidale fra un pilastro murario centrale ed un muro perimetrale semicircolare. Le travi sor-
reggono una superficie continua di pianelle sulle quali sono riportati i gradini.
Disposizione tipica presentano le scale con volte alla romana, per le quali le rampe costitui-
scono una superficie continua di mattoni in foglio impostati sui muri perimetrali e sui piane-
rottoli. Il rinfianco collabora alla resistenza, come anche in molti casi collaborano le massic-
ce lastre di pietra, intestate nelle pareti perimetrali, che formano le pedate dei gradini. È, que-
sta, una tecnica ancora posseduta dalle maestranze nel dopoguerra18 e riscontrata in opera in
edifici realizzati nella periferia romana nei primi anni ’50.
Fig. 15.57a
Fig. 15.57b
18 Si pensi che in molti degli edifici della E-42 a Roma (eseguiti a partire dal 1938 e terminati nel dopoguer-
ra) le strutture di orizzontamento in cemento armato nelle zone a portico o a loggiato sono controsoffitta-
te con volte a botte di mattoni disposti in foglio e controventate con frenelli anch’essi in foglio.
234
Un esempio monumentale, illustrato in figura 15.57b, è invece costituito dallo scalone del
palazzo di Venezia in Roma. Rampe e pianerottoli sono sorretti da una serie di volte murarie
a crociera, rispettivamente inclinate ed orizzontali, impostate sui muri perimetrali da un lato,
e su una serie di pilastri dall’altro.
15.5.2. Le radici della scienza del costruire. Leonardo da Vinci, fra intuizione e rigore
sperimentale
Le ricerche di Leonardo da Vinci (1451-1519) si estendono dalle applicazioni tecniche delle
arti meccaniche (argani ed apparecchi di sollevamento a più rinvii, macchine utensili, mac-
chine belliche, artiglierìe, escavatrici, ecc) agli studi teorici. L’opera scientifica di Leonardo,
modesta nelle matematiche pure, delle quali peraltro aveva svolto l’elaborazione intellettuale
necessaria agli sviluppi della meccanica, è vasta ed originale nel campo della meccanica pura
e della resistenza dei materiali.
Fonti prime degli oggetti di studio della meccanica vinciana si riconoscono in Aristotele,
Archimede ed Erone ed in Giordano da Nemore e Biagio Pellicani da Parma. Le conclusioni,
originali, costituiscono il supporto per i successivi sviluppi della statica e della dinamica. Qui
di seguito si riportano brevemente alcune delle questioni investigate.
In merito all’equilibrio di un corpo pesante poggiato su un piano orizzontale, Leonardo indi-
vidua il poligono di sostentazione ed afferma che se un corpo pesante poggia su un suolo
piano, perché esso sia in equilibrio è necessario che la verticale spiccante dal suo centro di
gravità abbia il suo piede nell’interno della base.
Quanto alla resistenza di travi, assunte di sezione quadrata e in diverse condizioni di vincolo
e di carico, trae le seguenti conclusioni da una serie di prove sperimentali:
– nel caso di vincolo ad incastro ad un’estremità e di carico concentrato all’altra, la resi-
stenza è proporzionale al quadrato del lato della sezione ed inversamente proporzionale
al quadrato della lunghezza;
– nel caso di trave poggiata agli estremi e caricata al centro, in termini di resistenza viene
ribadita la precedente proposizione, mentre in termini di deformazione viene stabilito che
la freccia è proporzionale al peso ed al quadrato della lunghezza libera ed inversamente
proporzionale alla terza potenza del lato della sezione.
Tali conclusioni, di natura empirica, sono qualitativamente corrette (per quanto riguarda la
diretta o inversa dipendenza funzionale) ma quantitativamente errate. Sarà nella prima metà
del 1800 che verrà determinata la formulazione corretta dei citati problemi.
Per quanto riguarda lo studio statico degli archi, Leonardo afferma, con riferimento a confor-
235
mazioni circolari o a sesto acuto, che l’arco è … una fortezza causata da due debolezze; impe-
rocché negli edifici è composto di due quarti di circolo… ciascuno… desidera cadere opo-
nendosi alla ruina l’uno dell’altro, le due debolezze si convertono in un’unica fortezza.
Riconosce che ogni semiarco deve avere uguali il peso (peso proprio) ed il peso di sopra (cioè
tutti i sovraccarichi): in queste condizioni si realizza l’equilibrio in quanto … tanto spingie
l’uno l’altro, quanto l’altro l’uno.
Tra gli altri problemi affrontati da Leonardo, si elencano ad esempio le indicazioni in merito
al modo di applicare le catene, al modo di resistere delle spalle, alla grossezza da assegnare
ad arco e piedritti, alla posizione ed al tipo delle lesioni nelle configurazioni di rottura, ad un
rudimentale andamento della curva delle pressioni.
Con i suoi studi sulle travi e sugli archi, Leonardo individua i problemi e ne intuisce la solu-
zione anche se ne propone espressioni non corrette.
15.5.3. Il fervore del secolo XVII: da Galilei a Mariotte ed a Hooke, passando per le gran-
di realizzazioni murarie in Francia
Galileo Galilei (1564-1642) si deve considerare il rigeneratore della scienza sperimentale:
filosofo e letterato, matematico, astronomo, fisico ed ingegnere fornì contributi fondamenta-
li in tutti i campi del sapere. In particolare per quanto riguarda la resistenza dei materiali ana-
lizzò il problema della trave inflessa, interpretata come una leva angolare avente il fulcro nel
lembo inferiore della sezione di rottura, figura 15.58a; analogamente alla trave soggetta a tra-
zione, la forza orizzontale R corrisponde a una distribuzione uniforme di tensioni normali alla
sezione.
Interpretati P · L come momento esterno ed R · h/2 come momento resistente, quest’ultimo
risulta proporzionale alla grandezza geometrica b · h2/2: risultato congruente con lo schema
assunto, risolto in termini corretti due secoli più tardi da Navier (momento resistente propor-
zionale a b · h2/6)
Questo stesso problema venne ripreso più tardi da Edmé Mariotte (1620-1684), fisico di
Digione, con un meccanismo analogo ma con resistenza applicata a 2/3 dell’altezza h; ciò con-
segue ad una distribuzione triangolare delle tensioni e comporta un momento resistente pro-
porzionale a b · h2/3: proposizione ancora non corretta, come precedentemente evidenziato.
Di Mariotte, si ricorda ancora la soluzione del problema della resistenza di tubi percorsi da
fluido in pressione, trovata sempre per via sperimentale: lo spessore (sottile) del tubo è pro-
porzionale alla pressione interna (uniforme) ed al diametro del tubo; nello schema di figura
15.58b di tale formulazione, ancora oggi impiegata per il proporzionamento dello spessore
delle cerchiature di pilastri e colonne, è fornita la spiegazione in termini di equilibrio.
Ulteriore contributo alla resistenza dei materiali è la conferma dei concetti espressi da Hooke
in merito alla proporzionalità fra le deformazioni e gli sforzi di trazione o compressione di
travi sollecitate assialmente.
Primo, infatti, ad abbandonare l’indeformabilità dei corpi e ad indagarne la deformabilità
sotto carico era stato Robert Hooke: matematico e fisico inglese (1635-1703) che affrontò
svariati argomenti scientifici, anche nel campo dell’elasticità dei materiali. In tema del com-
portamento a trazione di fili di materiale elastico enunciò, nella forma anagrammata ceiiinos-
ssttuv, la famosa legge di proporzionalità sforzi/deformazioni:
236
Fig. 15.58a
Fig. 15.58b
237
Fig. 15.59
re della sezione con allungamenti proporzionali alla distanza dal bordo stesso; di conseguen-
za nella formulazione M = C/r risulta errata l’espressione della costante C: resta la validità
della trattazione generale, che venne ripresa da altri studiosi.
Dal punto di vista costruttivo, si comincia a fare strada la collaborazione ferro-muratura per
risolvere i problemi statici connessi ad elementi strutturali di grandi dimensioni.
Per gli architravi in pietra del colonnato est del Louvre, Claude Perrault, fisico e biologo di
grande fama (1613-1688), fece ricorso a sistemi di piattabande armate inserendo ferro in barre
entro appositi fori praticati al lembo inferiore dei conci di pietra, vedasi la figura 15.59, trat-
ta da [65].
15.5.4. Il rigore del secolo XVIII: la matematica e la scienza sperimentale, la scuola italiana
In questo secolo le ricerche teoriche si avvicinarono alla realtà costruttiva concreta, anche
sotto l’impulso sia delle innovazioni, tecniche e culturali, che si andavano sviluppando sia
dell’esigenza di risolvere problemi costruttivi sempre più arditi. I matematici e la statica del
corpo rigido, da un lato, gli sperimentatori e la resistenza dei materiali, dall’altro, comincia-
rono a sostituire i processi logici di dimensionamento all’empirismo delle regole costruttive
di proporzionamento.
L’olandese Pieter van Musschenbroek (1692-1761), esponente del mondo sperimentale, par-
tecipò allo spirito di osservazione che caratterizza questo secolo. Mise a punto raffinati pro-
cedimenti sperimentali per eseguire prove di compressione, trazione, flessione su campioni
effettuando un’estesa tabellazione sulla resistenza di numerosi materiali (vari tipi di legno,
metalli, vetro); non si addentrò a formulare alcuna legge di comportamento (legame costitu-
tivo), determinando però il carico di rottura a trazione, l’allungamento e la strizione nella
sezione resistente. Le prove di flessione su travi di legno misero in evidenza il fenomeno della
viscosità: crescita nel tempo della deformazione, a carico costante. Le prove a compressione
misero in relazione il carico limite e la lunghezza dell’asta snella: la tensione di rottura risultò
inversamente proporzionale al quadrato della lunghezza dell’asta.
Proprio sulla base dei dati sperimentali relativi alla resistenza dei materiali metallici, nel 1742
si sviluppò il primo tentativo di dimensionare un elemento strutturale a partire dal carico ad
esso applicato: si trattava dei tre matematici Tommaso Le Seur, Francesco Jacquier e
Ruggiero Boscovich incaricati da Papa Benedetto XIV di interpretare i danni subiti dalla cupo-
la della Basilica vaticana e di proporre i rimedi. Peraltro le conclusioni vennero confutate da
Giovanni Poleni, letterato, fisico e matematico, professore dell’Università di Padova (1683-
1761) che, incaricato dal Pontefice di effettuare una perizia sulle condizioni statiche della
cupola e di fornire il proprio parere sul lavoro svolto dai tre matematici, sconsigliò l’esecu-
zione della quintupla cerchiatura metallica. Il procedimento di diagnosi, dalla storia dell’edi-
238
ficio sacro, all’analisi dei documenti tecnici disponibili, al rilievo del quadro fessurativo,
all’interpretazione dei meccanismi di dissesto, e le conclusioni raggiunte sono descritti nel
trattato [63] del 1748.
L’eco di questi problemi coinvolse il matematico lombardo Lorenzo Mascheroni (1750-
1800), professore all’Università di Pavia, che svolse, in maniera corretta e definitiva, l’anali-
si dell’equilibrio, già presa in esame da studiosi e tecnici francesi, nei cinematismi di collas-
so del sistema arco-piedritti soggetto ai carichi verticali conseguenti ai pesi propri e di altre
parti costruttive.
Fino a tutto il 1700 infatti il proporzionamento del sistema arco-piedritti era affidato a regole
empiriche tramandate nel tempo19 e documentate dall’architetto Bernardo Antonio Vittone,
torinese. Nel dettaglio il procedimento consiste nel suddividere l’intradosso dell’arco, com-
pleto sino all’imposta sui piedritti, in tre parti sottese da corde di uguale sviluppo; le due late-
rali, prolungate di pari sviluppo, definiscono con le estremità B’ e D’ lo spessore minimo da
assegnare ai piedritti. La costruzione, figura 15.60, porta per l’arco a sesto acuto ad un mino-
re spessore di piedritto rispetto all’arco a tutto sesto.
Fig. 15.60
Fig. 15.61
19 Nel suo Dictionnaire raisonné de l’Architecture (1871) Viollet Le Duc riporta queste regole, come in uso
fino a tutto il XVI secolo, e ne attribuisce una possibile conoscenza ai costruttori gotici.
239
Qualitativamente la regola descritta risulta aderente al fenomeno, però non tiene conto né del-
l’entità dei carichi applicati né dell’altezza del piedritto: di quest’ultimo viene infatti fornito
il solo spessore20.
Evidentemente altre condizioni, o la pratica stessa del costruire, insieme con le tipologie ricor-
renti, fissavano le altezze massime dei piedritti ed il peso delle murature sovrastanti l’arco.
Nel 1712 Philippe De La Hire affrontò, per la prima volta, il problema con le leggi della mec-
canica dei corpi rigidi abbandonando le precedenti regole geometriche. Individuato un model-
lo meccanico, determinato dallo scivolamento della calotta superiore dell’arco (figura 15.61),
applicò ad esso la regola della leva riferita alle forze in gioco: pesi e spinta sul piedritto.
La componente F è generata dalla forza di contatto che, per la supposta assenza d’attrito, è orto-
gonale alla superficie di scorrimento e si esercita nello spigolo d’intradosso A (figura 15.62).
Fig. 15.62
Fig. 15.63
20 Il Rondelet, in proposito, criticò questa regola, imputando ad essa un sovradimensionamento dei piedritti.
In precedenza Bélidor aveva osservato che questa regola non coinvolge lo spessore dell’arco né l’altezza
dei piedritti.
240
Il procedimento è qualitativamente corretto in quanto considera tutti gli elementi in gioco: dai
carichi agenti, all’altezza del piedritto. Modifiche varie furono successivamente apportate da vari
autori. Nel 1785 Lorenzo Mascheroni introdusse, accanto al precedente, un altro meccanismo: a
4 corpi invece che a tre, figura 15.63, ma sempre con contatti concentrati lungo gli spigoli21.
Tale meccanismo comporta lesioni, per rotazione invece che per scivolamento, in numero di
5: 2 al piede dei piedritti, come per il caso precedente, e 3 nell’arco, in chiave ed alle reni;
queste ultime sono genericamente individuate dall’angolo ϕ.
Sono individuati i punti in cui i corpi a contatto si scambiano le forze e le entità di esse, figu-
ra 15.64. La posizione del punto A, cioè il valore dell’angolo ϕ, non è prefissata ma va cer-
cata per tentativi esplorando tutta la zona dell’intradosso; ad ogni valore di ϕ corrisponde un
valore di P: il massimo di questo individua l’innesco del cinematismo.
Fig. 15.64
Il confronto dei due meccanismi proposti, a 3 oppure a 4 corpi, e delle corrispondenti espres-
sioni del carico P fornisce la risposta a quale dei due si manifesti realmente: poiché in gene-
re è ϕ > ϕ’ risulta maggiore il valore di P relativo al meccanismo per scivolamento che
dovrebbe pertanto essere il primo a manifestarsi.
Le esperienze eseguite, invece, indicano come più frequente il meccanismo a 5 cerniere, con
un’apparente contraddizione. Contraddizione, appunto, solo apparente se si osserva che l’at-
trito, implicitamente presente nel modello di Mascheroni, è stato considerato nullo nel model-
lo di De La Hire: e l’attrito comporta un raddrizzamento rispetto alla verticale della forza di
contatto con conseguente riduzione del braccio di leva e miglioramento delle condizioni di
stabilità.
Si affiancano alla diffusione delle scienze a carattere popolare (i “lumi” in Francia e
“L’Encyclopédie” di Diderot e D’Alembert) le scuole di formazione di tecnici (le scuole pari-
gine: L’Ecole des Ponts et chaussées e l’Ecole polytechnique) e le accademie degli scienzia-
ti (L’accademia russa delle scienze, fondata a San Pietroburgo nel 1725; l’accademia prussia-
na delle scienze, fondata a Berlino nel 1740) crogiolo e fonte di diffusione delle nascenti teo-
rie dei corpi deformabili.
21 Sarà nel secolo successivo, con Navier e Méry, che la situazione di equilibrio verrà rappresentata a mezzo
di una distribuzione continua di tensioni sopportabili dal materiale. Termine, quest’ultimo, da interpretare
come più oltre specificato.
241
Di spicco, in questo settore, le figure della dinastìa dei Bernoulli e di Eulero: eminenti stu-
diosi, nativi della città svizzera di Basilea.
A Jacques, il maggiore dei fratelli Bernoulli, vissuto tra la seconda metà del 1600 ed i primi
anni del 1700, è dovuta, come detto nel precedente paragrafo, la formulazione dell’equazio-
ne della linea elastica delle travi inflesse, ottenuta seguendo la posizione di Mariotte. Jean, il
minore dei fratelli Bernoulli, superiore a Jacques per originalità e per fama, si occupò di
numerosi problemi spaziando dalle leggi del moto dei pianeti alle applicazioni del principio
dei lavori virtuali. Daniel, figlio di Jean, medico e matematico insigne, svolse la trattazione
teorico-pratica di idrodinamica e studiò le vibrazioni dei sistemi elastici e la teoria delle pro-
babilità.
Leonhard Euler, allievo di Jean Bernoulli nell’Università di Basilea, fu letterato, matematico,
fisico e svolse studi in tutti i campi delle scienze e delle lettere con pubblicazioni contenute
in circa 70 volumi. Affrontò, con metodi variazionali, il problema della linea elastica delle
travi pervenendo, per trave rettilinea, alla definizione dell’instabilità per compressione assia-
le ed alla determinazione del valore critico del carico.
Il finire del secolo vede lo svolgimento della rivoluzione industriale in Gran Bretagna e l’av-
vento del ferro nel panorama architettonico europeo, il primo sviluppo delle ferrovie, le gran-
di realizzazioni in ghisa e le prime ricerche sui leganti cementizi.
Ancora di rilievo la figura e l’operato di Thomas Young: medico, fisiologo, archeologo ingle-
se (1773-1829) che, in tema di travi inflesse, analizzò il caso di sezioni con due assi di sim-
metrìa. Introdusse il modulo di elasticità, E, che porta il suo nome.
Dal punto di vista costruttivo, proseguono le applicazioni della collaborazione ferro-muratu-
ra per elementi strutturali di grandi dimensioni. Questa volta si tratta dei timpani murari della
chiesa parigina di Sainte Geneviève (oggi, Panthéon), per i quali l’architetto Soufflot (1613-
Fig. 15.65
242
1688) ideò un complesso ed articolato sistema di barre in ferro annegate nella muratura, figu-
ra 15.65, realizzando una sorta di travi miste [65]. Soufflot fu anche direttore dei lavori di edi-
ficazione che, però, non riuscì a completare: alla sua morte l’incarico venne assunto da Jean
Rondelet che provvide al rinforzo dei piloni murari dell’edificio.
Il proporzionamento fu basato sui risultati di prove effettuate, con un macchinario di carico
appositamente messo a punto, su campioni del materiale da impiegare, con l’obiettivo di con-
ferire le minime dimensioni strutturali compatibili con i carichi agenti; per la prima volta
venne introdotto il concetto di carico di sicurezza.
Fautore di questo nuovo modo di affrontare la progettazione strutturale, osservatore attento
della realtà costruttiva e dei fenomeni di dissesto, Rondelet non disconobbe la tradizione
costruttiva22 – l’arte, pressoché contemporaneamente espressa nel trattato L’Architettura pra-
tica [71] di Giuseppe Valadier (1762-1839) – ma fece precedere la pratica dalla teoria.
Travasò le proprie cognizioni nel trattato edito alla fine del 700 e pubblicato in Italia, nella
traduzione della sesta edizione originale, nel 1831 col titolo Trattato teorico e pratico del-
l’arte di edificare23, [65].
È sul finire del secolo che, sui due opposti lati del Canale della Manica, si sviluppano i primi
studi sulle capacità leganti e sulle applicazioni di un nuovo materiale: il cemento Portland.
22 Rondelet fu anche un viaggiatore che visitò, esaminò e misurò gli elementi costruttivi dei monumenti in
Francia ed in Italia costituendo una sorta di banca dati dalla quale trasse regole costruttive di dimensiona-
mento.
23 All’entusiasmo per l’impiego del ferro come elemento compartecipante alla resistenza della muratura si
oppose Francesco Milizia che nel suo trattato di fine 700 [50] riporta l’affermazione, attribuita al Vignola,
che “... le fabbriche non si hanno da reggere colle stringhe...” osservando che edifici ben costruiti non hanno
bisogno di tali “allacciature” le quali non sono che rimedi per fabbriche dissestate. Meno di cento anni dopo,
Aristide Sacchi affermerà [67] che “una disposizione bene immaginata di barre di ferro, o catene, in molti
casi può essere meno costosa ed egualmente sicura dell’aumento della spessezza dei muri maestri”.
243
constatazione che la maggior parte dei costruttori di edifici o di macchine procedevano al
dimensionamento degli elementi strutturali sulla base di regole stabilite dall’esperienza cioè
dal confronto con le realizzazioni già effettuate. Modo di procedere che portava ad ignorare
l’entità degli sforzi agenti ed il livello delle sollecitazioni nei materiali impiegati e che pote-
va essere correttamente applicato alle opere analoghe ad altre precedentemente realizzate e da
queste non molto discoste in termini di dimensioni e di pesi. È ovvia la limitazione per i casi
che escono da questi confini, in specie per edifici di nuova concezione strutturale.
Oggetto del trattato è lo svolgimento di una teoria corretta che consenta, per ciascuno speci-
fico elemento strutturale, di effettuarne il dimensionamento con un valutabile margine rispet-
to alle condizioni limite: in questo prefigurando la definizione delle condizioni di esercizio.
I contributi teorici alla teoria dell’elasticità per le travi, per le membrane, per le lastre infles-
se costituirono la base per lo sviluppo ottocentesco della meccanica applicata alle costruzio-
ni, a partire dall’opera del suo allievo Adhémar Jean Claude Barré de Saint Venant.
I nuovi materiali disponibili già dai primi decenni del 1700, la ghisa prima, il ferro fucinabi-
le e l’acciaio poi, vennero introdotti nell’architettura civile, dopo essersi fatti largo nelle rea-
lizzazioni industriali dell’epoca e nelle opere ad esse più direttamente connesse. Le prime
applicazioni del nuovo materiale da costruzione maturarono nelle costruzioni ferroviarie, sia
direttamente, nelle parti costitutive di locomotive e vagoni e nelle rotaie, sia indirettamente,
nelle infrastrutture, e nei ponti: palestra esecutiva e teorica24. Negli edifici multipiano ad uso
civile, viceversa, la spinta verso realizzazioni sempre più audaci venne a mancare e la pro-
porzione geometrica, quanto a numero di piani, luci libere degl’impalcati, carichi di esercizio,
non superava i limiti ai quali si era abituati per la costruzione di case e palazzi. Solo con molta
lentezza e gradualità, sotto la spinta delle esigenze di economia degli spazi e di sicurezza agli
incendi, tipiche delle destinazioni industriali e commerciali, si procedette alla sostituzione
degli elementi costruttivi in legno inserendo al loro posto colonne di ghisa e travi di ghisa (e,
poi, di ferro o d’acciaio); resistette più a lungo il perimetro murario, poi sostituito da inte-
laiature controventate, in ferro o acciaio.
Significative tappe del processo applicativo sono costituite dalle due seguenti realizzazioni:
– 1801, Officina Philip & Lee a Salford-Manchester: edificio di 7 piani a pianta rettangola-
re 42m · 14m con pareti perimetrali murarie e sistemi interni di travi principali a T rove-
scia su colonne circolari cave ogni 3m; colonne e travi erano in ghisa, gli orizzontamenti
a voltine murarie sorrette da sistemi di travi secondarie. Le colonne, soggette a pressione
centrata, ripetevano lo schema delle tubature con giunti a bicchiere; le travi proponevano
una sezione nuova, dissimmetrica, casualmente congeniale alle caratteristiche della ghisa:
non linearità di comportamento, scarsa resistenza a tensioni di trazione. L’introduzione dei
profilati a I con la sostituzione della ghisa con il ferro decretò il successo e la rapida dif-
fusione della tipologia di orizzontamento a putrelle e voltine.
– 1871-72, Fabbrica Menier a Noisiel-sur-Marne, edificio a 5 piani e pianta all’incirca qua-
drata di lato 25m con struttura interamente metallica con pareti perimetrali a telai con con-
troventi e rivestimento in mattonelle di ceramica decorate. Costruito sulla Marna (la
“fonte” energetica) l’edificio poggia su 4 pile da ponte in alveo, con interposizione di travi
metalliche a sezione scatolare che raccolgono i carichi verticali dell’edificio e le forze
orizzontali di vento trasmesse dalle pareti. Acquistato dalla Nestlé, [5], l’edificio è stato
recentemente restaurato (1993-95).
24 In particolare si sviluppa, per i ponti di grande luce, la tipologia sospesa – a funi o a catene – già introdot-
ta alla fine del 1700 e la cui connotazione definitiva, tra insuccessi, tentativi, organizzazione teorica dovu-
ta a Navier, verrà raggiunta oltre un secolo più tardi.
244
Dopo circa 100 anni dall’introduzione industriale del materiale ferroso nelle costruzioni civi-
li, industriali e meccaniche l’architettura di un fabbricato acquisisce una fisionomia propria,
nella forma e nella costituzione strutturale, distaccandosi dalle soluzioni con pareti murarie
esterne e sistemi trave-pilastro all’interno; la stessa strada che dovrà percorrere, più tardi, il
cemento armato: l’ultimo dei materiali da costruzione ad affermarsi su larga scala sul palco-
scenico dell’architettura moderna.
Personalità emblematiche delle mentalità realizzativa e speculativa di questo secolo, legate da
un filo comune costituito dal ponte metallico tubolare Britannia su cinque pile murarie, si pos-
sono considerare Robert Stephenson (1803-59), progettista e costruttore del ponte, e Benoit
Paul Emil Clapeyron (1799-1864), autore dell’equazione dei tre momenti per la risoluzione
della trave su più di due appoggi.
245
16
Problematiche del rilievo*
16.1. INTRODUZIONE
Per l’edilizia esistente a struttura muraria, in rapporto all’esigenza di assicurare, nel caso di
un evento sismico, la salvaguardia delle vite umane, il contenimento dei danni, la funziona-
lità delle strutture-base della Protezione civile, la normativa tecnica {4} definisce:
– i requisiti di sicurezza ed i criteri di verifica;
– i dati di base ed i livelli di conoscenza.
In merito alla sicurezza i requisiti non differiscono da quanto stabilito per le nuove costruzioni
e fanno riferimento allo stato ultimo della costruzione (caratterizzato, da un lato, dalla manife-
stazione di uno stato di danno anche grave in tutte le componenti costruttive e, dall’altro, dalla
conservazione dell’intera capacità portante rispetto ai carichi verticali con una residua resisten-
za rispetto alle azioni orizzontali) ed allo stato limite di danno (caratterizzato, da un lato, dalla
mancanza di danni nelle strutture e, dall’altro, dall’assenza d’interruzioni d’uso in conseguenza
di sismi che abbiano probabilità di manifestazione più alta dell’azione sismica di progetto).
I requisiti sono soddisfatti sulla base di:
– scelta dell’azione sismica di progetto sulla base della zonazione sismica1 e delle categorie
del suolo di fondazione (previste in numero di 7);
– adozione di un modello meccanico della struttura tale da descrivere con accuratezza la
risposta della costruzione al sisma;
– scelta di un procedimento di analisi adeguato alle caratteristiche della struttura;
– esito positivo delle verifiche di resistenza e di compatibilità degli spostamenti;
– adozione di dettagli costruttivi atti a conferire la necessaria duttilità tanto ai singoli ele-
menti strutturali quanto alla costruzione nel suo complesso.
Dovrà essere convenientemente analizzato il terreno interessato dalla costruzione.
L’acquisizione dei dati necessari al progetto proviene dalle seguenti fonti di conoscenza:
– documenti di progetto, comprensivi di elaborati grafici e di relazioni strutturale, geologi-
ca e geotecnica;
– eventuale documentazione acquisita sia in corso d’opera2 sia in tempi successivi alla
costruzione;
– rilievo strutturale geometrico, compresi dettagli esecutivi;
– prove in sito ed in laboratorio.
Per edilizia muraria storica, in particolare, le prime due voci si devono intendere come mate-
riale d’archivio.
* L’aggiornamento alle NTC 2008 è riportato al paragrafo B.9.3.
1 Per edifici esistenti a struttura muraria, ricadenti in zona 4, l’ordinata spettrale Sd(T1) va assunta pari a 0,08 g.
2 In particolare i documenti contabili e di cantiere, che fanno fede sulla corrispondenza fra progetto ed ese-
cuzione.
16.2. IL RILIEVO GEOMETRICO
La conoscenza geometrico-dimensionale-costruttiva dell’opera nel suo complesso e nei det-
tagli d’esecuzione scaturisce da specifiche operazioni di rilievo svolte a due possibili, diver-
si, livelli metodologici che conducono rispettivamente ad un rilievo:
– sommario, che comprende i principali elementi strutturali resistenti a taglio, piano per
piano, e la stima a campione dell’andamento e della rigidezza degli orizzontamenti;
– completo, che comprende tutti gli elementi murari, tutti gli elementi di orizzontamento e
la valutazione accurata (con verifica sperimentale a campione) della loro rigidezza, non-
ché la valutazione dei carichi gravanti su ogni elemento di parete.
I dettagli costruttivi da esaminare, nel complesso delle operazioni di rilievo, riguardano: a) i
collegamenti fra pareti ortogonali tra loro; b) i collegamenti fra orizzontamenti e pareti mura-
rie, con eventuale presenza di cordolature di piano; c) gli architravi resistenti a flessione sui
vani porta e finestra presenti nelle murature; d) gli elementi spingenti, con eventuali provve-
dimenti di assorbimento delle forze orizzontali; e) gli elementi ad alta vulnerabilità; f) la tipo-
logia costitutiva della muratura.
Quanto agli strumenti di rilievo si distinguono:
– verifiche in situ limitate, condotte mediante rilievi visivi diretti effettuati a campione oppu-
re, per i punti a) e b), sulla base di un’appropriata conoscenza delle tipologie costruttive;
– verifiche in situ estese ed esaustive, eseguite con rilievi visivi ricorrendo a locali disinto-
nacature e messa a nudo delle zone di ammorsatura fra pareti murarie oppure fra pareti e
orizzontamenti, procedendo in modo sistematico per l’intero edificio per tutti i dettagli da
a) ad f)3.
3 L’analisi del quadro fessurativo potrà fornire immediati ed utili complementi sulla qualità dei collegamen-
ti e sull’omogeneità di costituzione delle murature.
4 Il D.M. 20.11.1987 fornisce tabelle di previsione numerica della resistenza di murature sia in mattoni sia
in pietrame squadrato.
248
– limitate, se indirizzate a completare i dati sulle proprietà dei materiali ottenibili dalla let-
teratura o dalle normative; sono di tipo qualitativo, basate su esami visivi effettuati uno
per ogni tipo di muratura presente e per ogni piano del fabbricato, e non contemplano
prove sperimentali;
– estese, come le precedenti ma effettuate in maniera estesa e sistematica, basate su almeno
una prova per ogni tipo di muratura (oltre, ovviamente, alle verifiche visive ed alle deter-
minazioni qualitative già indicate per le verifiche limitate);
– esaustive, di tipo quantitativo, basate su prove sperimentali che, per numero e qualità, con-
sentano di valutare le caratteristiche meccaniche della muratura.
5 Non va trascurata nessuna delle componenti costruttive indicate, che rivestono tutte la stessa importanza ai
fini della definizione dello stato di rischio. Gli elementi di finitura possono infatti causare danni – anche
se non riguardanti direttamente la stabilità d’insieme, come gli elementi strutturali – con la caduta di parti;
in ogni caso completano gli elementi di valutazione del dissesto in atto.
249
preesistenti linee di discontinuità (esempio: accostamento di due distinti corpi di fabbrica,
in assenza di ammorsature murarie) o manifestati come variazione della posizione (esem-
pio: spostamento orizzontale di una trave in corrispondenza dell’appoggio su una parete);
– rigonfiamenti/espulsioni, perdita della conformazione piana di una faccia del muro, in una
zona o per l’intera estensione, o addirittura perdita di materiale; il rigonfiamento si distin-
gue da una possibile irregolarità costruttiva attraverso il suono prodotto da una leggera
serie di colpi effettuati con idoneo attrezzo di percussione (il suono è cupo in presenza di
un vuoto retrostante il rigonfiamento); il fenomeno è presente essenzialmente in pareti di
forte spessore, costituite da più strati contigui poco legati fra loro;
– fuori piombo, configurazioni di una parete muraria diverse da quella verticale iniziale; la
definizione può essere riferita, con ovvio adattamento, anche agli elementi di orizzonta-
mento.
Lesioni e distacchi costituiscono la più frequente manifestazione di dissesto di elementi mura-
ri che, in tal modo, segnalano l’avvenuto mutamento delle originarie condizioni statiche; tali
manifestazioni sono caratterizzate da:
– andamento;
– estensione;
– ampiezza e profondità;
– epoca di formazione.
Quanto all’ultimo dato si può riconoscere, a grandi linee, se la formazione è recente o antica,
osservando:
– la configurazione assunta, lungo la discontinuità, dai due bordi contrapposti: configura-
zione agevolmente osservabile specialmente su superfici intonacate; per formazioni
recenti i due bordi presentano irregolarità nette e bene corrispondenti fra loro;
– lo stato di pulizia, sulle superfici ed all’interno della discontinuità; formazioni antiche
saranno caratterizzate da depositi di polvere e talora di materiale solido;
– la presenza, a pavimento, di polvere o granuli provenienti da caduta di materiale dalla
discontinuità nella muratura.
In una scala gerarchica d’importanza, ai fini della valutazione dello stato di rischio, le lesio-
ni precedono i distacchi; esse possono essere ricondotte a:
– insorgenza di stati di trazione rilevanti, imputabili a forti eccentricità o a forti componen-
ti di taglio; l’andamento risulta all’incirca ortogonale alle linee di trazione; può essere il
caso, ad esempio, di un arco soggetto anche a forti carichi concentrati applicati in chiave
(eccentricità) oppure verso le reni (scorrimento); ancora: di una parte che abbia subito un
cedimento relativo della base fondale;
– innesco di condizioni di schiacciamento, con andamento prevalentemente verticale nelle
pareti e nei pilastri, o comunque assiale, accompagnato da scheggiature nelle zone di mag-
giore localizzazione.
Come precedentemente accennato, la presenza dell’intonaco sulle pareti murarie può facilita-
re l’individuazione delle manifestazioni dette; nel caso in cui lo stato di lesione non sia molto
pronunciato è viceversa opportuno renderne l’esame visivo indipendente dall’intonaco
mediante asportazioni locali. Infatti l’intonaco può subire autonomi stati di fessurazione, più
o meno diffusi, in relazione a:
– eventuali rifacimenti estesi, con rete di lesioni causate da fenomeni di ritiro;
– presenza di discontinuità sotto traccia, di più o meno recente esecuzione, dovute a canne
fumarie, alloggiamenti di cavi elettrici e simili;
250
– presenza di vani richiusi nel corpo murario, di esecuzione antica o recente, che compor-
tano distacchi nella muratura e conseguenti lesioni nel sovrastante intonaco (che viene
così a comportarsi da rivelatore).
Le definizioni precedenti possono essere agevolmente estese agli elementi di orizzontamento
ed a quelli di finitura, come peraltro già indicato a proposito dei fuori piombo.
Anche se il parametro ampiezza-estensione di una lesione non è di per se stesso rappresenta-
tivo né dello stato di danno né della causa che lo ha generato, in quanto, come già rimarcato,
ne costituisce uno degli aspetti, pare tuttavia utile, anche al fine di familiarizzare con i dati di
ampiezza possibile delle lesioni, stilare qui di seguito una sorta di classifica del danno alle
murature effettuata sulla base proprio di tale parametro che è il più facile ed immediato da
percepire (si veda la tabella 16.1). Ovviamente restano valide le osservazioni fatte in merito
sia all’analisi delle corrispondenze nei vari elementi costruttivi sia allo studio del terreno di
fondazione sia all’analisi statica in rapporto alle caratteristiche geometriche e meccaniche
scaturite dalle operazioni di rilievo, come anche le osservazioni svolte nel seguito del para-
grafo in merito alle determinazioni relative all’evoluzione nel tempo del quadro fessurativo.
Come già sottolineato, il prospetto di tabella 16.1 nulla dice in merito alle cause che hanno
prodotto il danno e che possono acquisire importanza maggiore del danno stesso.
Appare interessante specificare che per quanto riguarda possibili cedimenti differenziali di fon-
dazione, un parametro rappresentativo è la distorsione angolare, cioè la rotazione differenzia-
le, che non comporta apprezzabili conseguenze finché contenuta nel valore indicativo di 1/300.
La rappresentazione cronologico-grafica e l’interpretazione del quadro fessurativo, cioè l’a-
nalisi delle caratteristiche qualitative e quantitative e la determinazione dell’evoluzione nel
tempo del quadro dei dissesti, costituiscono un primo elemento per l’individuazione delle
Tabella 16.1
Larghezza
Classificazione
Descrizione dei danni tipici approssimativa
del danno
delle lesioni, in mm
Lesioni capillari di larghezza <0.1 mm sono classificate come trascurabili.
Sottili lesioni che possono essere riparate in normali lavori di manuten-
1. Molto lieve zione e pittura. Possibili modeste lesioni isolate. I muri esterni in matto- ~1
ni presentano fessure rilevabili con esame attento.
Le lesioni possono essere facilmente sigillate; di norma è necessario il
ripristino degli intonaci o almeno delle pitture. Presenti numerose mode-
2. Lieve ste lesioni all’interno; alcune sono visibili anche all’esterno e qualche ~5
riparazione esterna può essere richiesta per assicurare l’impermeabilità.
Porte e finestre possono aprirsi con qualche difficoltà.
Le lesioni richiedono l’allargamento e la riparazione da parte di un mura-
tore; all’esterno può essere necessario il rifacimento di una piccola 5 ÷ 15
3. Moderato quantità di muratura. Le lesioni ricorrenti possono essere mascherate ovvero numerose
con opportuni rivestimenti. Porte e finestre si bloccano; le tubazioni dei lesioni di 3
servizi possono rompersi; l’impermeabilità non è assicurata.
Necessari importanti lavori di riparazione, con rimozione e sostituzione
15 ÷ 25
di zone di muratura specialmente al di sopra di porte e finestre. I telai
ma comunque
4. Intenso di porte e finestre sono distorti; i pavimenti sono inclinati visibilmente; i
dipendente dal
muri fuori piombo o spanciati. Possibili perdite di appoggio delle travi.
numero di lesioni
Tubazioni dei servizi distrutte.
Richiesti importanti lavori di riparazione con demolizione e ricostruzione generalmente > 25
parziale o totale dell’edificio. Le travi perdono appoggio; i muri si incli- ma comunque
5. Molto intenso
nano sensibilmente e richiedono puntelli. Le finestre si rompono. dipendente dal
Pericolo di crollo. numero di lesioni
251
cause e per la determinazione dello stato di sicurezza in atto: obiettivi tutti che richiedono
l’appoggio dell’accertamento della situazione geologica e fondale, e delle risultanze dell’a-
nalisi statica nelle condizioni di fatto, nonché l’incrocio con le determinazioni di rilievo.
In particolare la rappresentazione grafica deve coinvolgere, nell’assetto tridimensionale del-
l’organismo di fabbrica in studio, tutti gli elementi costruttivi in modo tale da rendere possi-
bili riscontri e corrispondenze in grado di fornire un primo indirizzo di diagnosi sulle cause e
sullo stato di sicurezza; ad esempio, uno stato di fuori piombo di una parete deve avere oppor-
tune corrispondenze nelle pareti che in essa si intestano e negli orizzontamenti che essa sostie-
ne o lambisce.
L’analisi cronologica6, rapportata anche al tipo di dissesto in atto, dev’essere indirizzata
all’individuazione di riduzioni dello stato di sicurezza ed alla necessità di porre in essere prov-
vedimenti urgenti di salvaguardia. Con una frequenza di osservazione determinata dal tipo di
dissesto in atto, comunque maggiore in fase iniziale, l’analisi potrà essere svolta:
– con apposizione di spie di vetro (materiale fragile) sagomate a farfalla, applicate, a cava-
liere della lesione, sulla faccia viva della muratura7 mediante malta a base di gesso; regi-
strate, accanto alla spia, data e ora di applicazione, se ne controlla periodicamente l’inte-
grità avendo per assunto che ampliamenti della lesione provocherebbero la rottura del
vetro; se la posizione della lesione è facilmente raggiungibile, è buona norma applicare, a
breve distanza, una seconda spia per evitare che accidentali rotture possano essere scam-
biate per progressione del fenomeno;
– con osservazione visiva (diretta oppure con ausilio di lenti graduate), segnando con una
crocetta sull’intonaco, dopo avere registrato accanto la data e l’ora, la posizione di cia-
scuno dei due estremi della lesione; periodicamente se ne verifica l’eventuale successiva
estensione posizionando ulteriori crocette e registrando sempre data e ora accanto ad esse;
– con ausilio di strumenti meccanici, fissi (fessurimetri) o asportabili (deformometri), appli-
cati a cavaliere della lesione ed in grado di misurarne l’ampiezza con precisione fino al
centesimo di millimetro; i primi, sostanzialmente, sono costituiti da due aste graduate
scorrevoli fra loro e fissate una da una parte e una dall’altra della lesione: in grado quin-
di di rilevare variazioni di distanza sia nella direzione del fessurimetro, quindi di ampiez-
za della lesione, sia nella direzione ortogonale; i secondi, analoghi ma più elaborati e dota-
ti di maggiore precisione, eseguono la lettura tra due basi puntiformi applicate sempre a
cavaliere della lesione ad una distanza originaria di 10 cm: sono le due basi ad essere fis-
sate sulla parete mentre lo strumento vero e proprio è applicato di volta in volta (ed è
meno soggetto, rispetto a fessurimetri e spie di vetro, a casuali danneggiamenti e rotture);
per ottenere anche eventuali altre componenti di spostamento, si può applicare una terza
base, in modo tale da costituire un triangolo isoscele, ed effettuare due letture;
– con ausilio di strumenti a funzionamento elettromagnetico, fissati alla parete e collegati
ad una sorgente di energìa elettrica; le due parti scorrevoli fra loro sono avvolgimenti elet-
trici su nucleo metallico che utilizzano il fenomeno dell’induzione conseguente a movi-
menti relativi tra le due parti; questo sistema consente, a differenza degli altri, la conti-
nuità nel tempo delle misure e la registrazione di esse.
Distacchi e fuori piombo possono essere misurati mediante livellazioni e traguardi ottici (que-
sti ultimi costituiti da elementi metallici fissati alla parete: opportunamente segnalati devono
essere protetti da alterazioni accidentali).
Le letture effettuate, al fessurimetro o al deformometro o ad altro strumento, sono riportate in
252
(1) è andamento sicuro: il fenomeno si va stabilizzando nel tempo;
(2) è andamento a crescere: il fenomeno tende ad amplificarsi ed occorre infittire le letture ed eventualmen-
te disporre opere di presidio cautelative.
Fig. 16.1
Fig. 16.2
grafico nel rapporto ampiezza/tempo. Con riferimento al grafico qualitativo della figura 16.1
si può affermare che un andamento nel tempo come (1) è sicuro in quanto rappresenta un
fenomeno che si va attenuando nel tempo mentre un andamento come (2) ne mostra un’am-
plificazione nel tempo e quindi richiede un infittimento delle letture ed eventualmente l’as-
sunzione di provvedimenti temporanei di salvaguardia della sicurezza.
L’intersezione cronologica tra le fasi costruttive di un fabbricato e le manifestazioni di disse-
253
sto può consentire di individuare le cause del dissesto stesso e indirizzare opportunamente sia
le ricerche diagnostiche che i successivi provvedimenti tecnici.
Si consideri, ad esempio, il caso di un fabbricato regolare fondato direttamente su uno strato
(uniforme) di terreno ad elevata deformabilità sul quale esercita pressioni di contatto unifor-
mi e produce cedimenti uniformi; si supponga poi che, in una determinata epoca, venga effet-
tuata una sopraelevazione su una parte dell’area coperta ed in posizione eccentrica (figura
16.2). Il maggiore peso induce sul terreno una variazione nel diagramma delle pressioni,
idealmente rappresentata (in un ipotetico comportamento a blocchi separati) in figura come
un incremento uniforme nella zona fondale corrispondente all’area sovraccaricata, con con-
seguenti maggiori cedimenti.
A queste variazioni l’edificio si adatta in maniera diversa, a seconda che:
– esista una base rigida; l’edificio compie una piccola rotazione restando monolitico e il dia-
gramma delle pressioni di contatto evolve verso un andamento trapezio o triangolare con
massimo allo spigolo sovraccaricato: piccole rotazioni alla base comportano spostamenti
orizzontali in sommità dell’ordine da alcuni centimetri a oltre il decimetro;
– non esista una base rigida; si genera una frattura, secondo una linea di debolezza, con
ampiezza crescente verso l’alto o con altre modalità (in dipendenza, ad esempio, della pre-
senza e disposizione di vani per porte o finestre).
Negli schemi delle figure 16.3 e 16.4 sono riassunti ed esemplificati due casi rilevati di dis-
sesto, imputabili ad un cedimento degli appoggi o della fondazione.
Il primo di essi si riferisce al dissesto conseguente all’imbarcamento di un solaio in legno di
luce considerevole e consiste nella fessurazione dei tramezzi gravanti su di esso e disposti a
definire una serie di ambienti per una comunità religiosa, all’interno di un complesso mona-
stico ad elevata valenza storico-artistica.
Le travi principali presentano luce variabile fra 6,50 m e 5,00 m circa con interasse di circa
1,40 m. Le dimensioni della sezione trasversale sono visibilmente esigue, anche in rapporto
ad una costituzione abbastanza pesante del solaio che presenta un consistente massetto per
compensare un’esistente inclinazione longitudinale.
Al sovrastante calpestio, lo schema delle tramezzature segue la distribuzione tipica a corri-
doio longitudinale con accessi a singole celle. Le travi risultano fortemente sollecitate già per
carichi permanenti.
Il quadro fessurativo schematicamente illustrato nella figura 16.3 è conseguente alla situazio-
ne descritta per le travi, che presentano massima deformabilità sotto il tramezzo trasversale
“a”: questo tende a distaccarsi dai bordi mentre il tramezzo longitudinale “d” punta sulle zone
di minore deformabilità, costituite da un muro o da una trave di minore luce. L’ampiezza delle
lesioni è correlata al movimento descritto.
Per il rinforzo del solaio, stabilita la conservazione delle travi esistenti, sono stati esclusi sia
il rinforzo diretto, con aumento delle sezioni o con inserimento di piastre metalliche, sia il
rinforzo indiretto, con inserimento di travi ausiliarie al centro di ogni interasse. Si è pertanto
deciso di intervenire mediante riduzione delle luci (inserimento di puntoni metallici verticali
nell’ambiente sottostante, nel quadro di una generale risistemazione funzionale) e nella sigil-
latura delle lesioni nei tramezzi, secondo la corrispondenza: eliminazione della causa e suc-
cessiva riparazione degli effetti prodotti.
Il secondo caso, illustrato nella figura 16.4, si riferisce ad un fabbricato di quattro piani, sog-
getto ad un moto rigido d’insieme per cedimento differenziale del terreno di fondazione costi-
tuito da una successione di limi con elementi organici, fortemente compressibile. Il fabbrica-
to presenta struttura di fondazione a travi rovesce di cemento armato e struttura di elevazio-
ne mista, murature perimetrali con pilastri ed elementi di piano in cemento armato, tipica del-
254
Fig. 16.3
Fig. 16.4
l’edilizia dei primi decenni del secolo scorso. La parte fondale e seminterrata risulta di ele-
vata rigidezza rispetto alla parte sovrastante.
Il cedimento, manifestatosi sul fronte lato strada e da ascrivere sia agli effetti del traffico sia
ad alterazioni casuali del contenuto d’acqua nel terreno, aveva prodotto una rotazione rigida
del fabbricato con un fuori piombo in sommità di 10 cm circa.
L’intervento è consistito nel sottofondare l’edificio con micropali, senza recuperare l’inclina-
zione d’insieme, ricostituendo l’orizzontalità dei solai mediante un sottofondo leggero di
spessore variabile. La disposizione dei micropali ha riguardato l’intero ingombro planimetri-
co del fabbricato, ma con una disposizione più fitta sul lato del cedimento e via via più rada
sugli altri lati.
{
dirette, su campioni prelevati direttamente in sito;
C. Prove distruttive
analogiche, su campioni eseguiti ex-novo con caratteristiche il più
possibile analoghe al reale.
Si riportano in elenco, con una breve descrizione, le singole prove evidenziandone sia le fina-
lità che l’estensione e l’attendibilità dei risultati ottenuti.
A.2. Prove mediante sclerometro. Attraverso la misura del rimbalzo di una massa metallica
spinta contro la superficie di un elemento di calcestruzzo, lo strumento, sulla base di una tara-
tura di laboratorio, ne fornisce la resistenza caratteristica a compressione come media di alme-
no 10 letture eseguite nell’intorno di una ristretta zona di calcestruzzo non interessata da sot-
tostanti barre di armatura.
Con un’opportuna taratura lo strumento può fornire, sia pure con maggiori margini d’incer-
tezza, la resistenza di materiali lapidei diversi.
256
A.3. Controlli radiografici dell’integrità di saldature in opera di elementi metallici, effettuati
a mezzo di sorgente gammagrafica con isotopi radioattivi emessi da un puntale con comando
manuale a distanza.
A.4. Misura della velocità di onde ultrasoniche (frequenza superiore a 20.000 Hz) entro cal-
cestruzzi e murature. La prova, eseguita per trasparenza, evidenzia, in elementi murari di forte
spessore, principalmente disomogeneità presenti all’interno del corpo murario (vuoti, ele-
menti lignei o metallici, ecc.); con opportuna taratura effettuata in laboratorio si possono otte-
nere indicazioni sulle proprietà meccaniche.
A.5. Auscultazione della muratura mediante percussione manuale con martelletto; estesa ad
ampie zone murarie, la prova evidenzia la presenza di vuoti o di discontinuità attraverso il
suono più cupo. In forma organizzata, mediante un martello strumentato ed una sonda di rice-
zione, la prova evolve nella misura della velocità di onde soniche: generate, su una faccia
della parete, dal martello e raccolte dalla sonda sulla faccia opposta (prova per trasparenza).
In un caso specifico di muratura bene organizzata con blocchi di trachite sui due paramenti e
nucleo compatto all’interno (t = 1,25 m, complessivo) e di muratura caotica con blocchi irre-
golari di tufo (t = 0,90 m) le prove hanno fornito valori di velocità rispettivamente comprese
fra 1.000 e 2.000 m/sec. e fra 500 e 1.000 m/sec.
A.7. Prove di carico statiche, su parti estese di struttura o su singoli elementi strutturali.
Consistono nell’applicazione di carichi, verticali od orizzontali, e nella misura degli spostamenti
prodotti. I carichi, realizzabili con materassi ad acqua o con materiale minuto di zavorra, oppu-
re mediante uno o più pistoni oleodinamici operanti a contrasto, sono applicati per cicli succes-
sivi di ampiezza crescente in modo tale da evidenziare il carico limite, oltre la fase lineare; gli
spostamenti sono misurati mediante comparatori millesimali di tipo meccanico o elettrico.
A.8. Prove di carico dinamiche, su parti estese di struttura o sull’intera costruzione, per la
determinazione delle frequenze proprie mediante eccitazione con vibrodina e determinazione
di spostamenti ed accelerazioni mediante sismometri o accelerometri, di sensibilità adeguata
alle frequenze proprie della struttura in studio.
B.1. Carotaggi nel corpo murario per prelievo di campioni cilindrici del diametro di 10 cm o
di 20 cm mediante carotatrice a corona diamantata. I campioni prelevati sono utilizzati sia per
l’esame costitutivo del corpo murario sia, in caso d’integrità del campione estratto, per l’ese-
cuzione di prove di compressione assiale.
B.2. Microcarotaggi nel corpo murario, come sopra ma con diametro da 28 a 50 mm. I campioni
sono utilizzati per l’esame costitutivo del corpo murario (stratigrafia, consistenza, stato di con-
257
servazione) e per la determinazione dell’estensione plano-altimetrica di parti murarie non ispe-
zionabili direttamente, quali ad esempio elementi di fondazione. In generale i campioni prele-
vati non sono utilizzabili per prove di resistenza in quanto non coerenti per lunghezze signifi-
cative. La scelta del numero e della posizione dei carotaggi va fatta in rapporto ad una maggio-
re o minore uniformità costitutiva, per evitare ingannevoli estrapolazioni da isolate analisi.
B.3. Indagini endoscopiche nel corpo della muratura entro lesioni o discontinuità esistenti o entro
fori di diametro ridotto (massimo 20 mm) praticati con trapani a rotazione a basso numero di giri
in modo da ridurre vibrazioni ed alterazioni prodotte dalla perforazione. All’interno del foro o
della discontinuità si inserisce un endoscopio, costituito da un’asta con fibra ottica munita di
guida luce per l’illuminazione della parte in studio; all’endoscopio può essere collegata una tele-
camera o una macchina fotografica reflex per la documentazione dell’indagine. I risultati consi-
stono, come nel caso precedente, nell’esame costitutivo del corpo murario, effettuato stavolta
nella parte rimasta in sede. In casi particolari il foro può essere effettuato con microcarotaggio, in
modo da poter disporre dell’osservazione sia del materiale in sede sia di quello portato alla luce.
B.4. Prova con martinetti piatti, singoli o accoppiati, per la determinazione dello stato locale
di tensione nel paramento murario della struttura in esame, del modulo elastico, della resi-
stenza a compressione. Operazioni esecutive:
– posizionamento di terne di basi estensimetriche poste a cavaliere della zona in cui devo-
no essere inseriti i martinetti piatti e letture di zero con estensimetri meccanici o elettrici;
– taglio orizzontale, a parziale spessore, del muro in corrispondenza di un ricorso di malta
e lettura agli estensimetri;
– inserimento del martinetto nel taglio, collegamento alla pompa e messa in pressione del
fluido fino a tornare con gli estensimetri alle letture di zero.
Tabelle di taratura forniscono il valore della tensione di compressione in funzione del valore misu-
rato per la pressione del fluido. La prova può essere proseguita con martinetti accoppiati aumen-
tando la pressione e costruendo il diagramma tensione-deformazione della muratura in studio.
Fig. 16.5
258
Fig. 16.6a
Fig. 16.6b
Fig. 16.7
A titolo esemplificativo, nel grafico della figura 16.5 sono riportati i diagrammi tensio-
ne/deformazioni tipici di una prova con martinetto piatto (a destra le deformazioni verticali,
a sinistra le orizzontali); nelle immagini della figura 16.6a sono riprodotti un martinetto, la
camera di pressione, la sega ad eccentrico impiegati per prove con martinetti semplici e doppi
eseguite da ditta specializzata su alcune parti murarie del Duomo di Orvieto nel 1999. Le
dimensioni del martinetto sono: profondità 26 cm, larghezza 35 cm.
Nella figura 16.6b sono illustrate alcune fasi operative: la lettura di zero, il taglio in corri-
spondenza di un ricorso fra i blocchi di pietra, l’inserimento del martinetto, il collegamento
alla camera di pressione.
Nella figura 16.7 è riportato, a titolo esemplificativo, il diagramma di carico/scarico ottenuto
con una delle prove con martinetti piatti effettuate sulle murature del Duomo di Orvieto.
Valore indicativo del modulo di elasticità: 40.000 kg/cm2.
B.5. Prova con penetrometro Windsor per la valutazione della resistenza di elementi laterizi,
mediante infissione di una sonda in lega speciale con l’impiego di pistola Windsor per murature.
B.6. Prova di sfilamento, eseguita su una barra di acciaio, inserita nel corpo murario per la
determinata lunghezza e sigillata con il legante previsto, sporgente dalla parete in studio ed
operando a contrasto con la parete stessa. Obiettivo della prova è la determinazione dell’ade-
renza fra barra, legante e muratura e quindi dell’efficacia di interventi di collegamento e lega-
tura oppure di ancoraggio mediante inserimento di barre metalliche a scomparsa nella mura-
tura.
260
prismi o cilindri, oppure su campioni estesi, muretti o pareti; queste ultime simulano il
macroelemento delle costruzioni reali e, a parità di costituzione, forniscono valori di resi-
stenza leggermente inferiori rispetto alle corrispondenti prove per elementi lunghi.
Per le prove s’impiegano le usuali attrezzature di carico in uso presso i Laboratori di prova
dei materiali da costruzione; con l’impiego di estensimetri, in numero e posizione opportuni,
si possono determinare le curve complete tensione-deformazione assiale-dilatazione trasver-
sale. L’applicazione del carico può essere del tipo monotono (forza assiale progressivamente
crescente) oppure del tipo ciclico (forza assiale crescente per cicli successivi di carico e sca-
rico, sempre rispettando la condizione di applicazione quasi-statica in modo da non introdur-
re sensibili effetti di accelerazione).
C.2. Prove di compressione diagonale eseguite su pannelli murari disposti in modo tale che i
ricorsi di malta della giacitura principale risultino inclinati di 45° rispetto alla direzione del
carico applicato, figura 16.8; i pannelli, di spessore t, possono essere circolari o quadrati:
rispettivamente di diametro D e di lato B.
Le prove forniscono, nell’ordine, i valori della tensione di rottura a trazione e della tensione
tangenziale di rottura per mezzo delle espressioni:
Fig. 16.8
261
C.3. Prove di compressione e taglio su pannelli rettangolari soggetti a carico verticale costan-
te e forza orizzontale variabile; le due basi del pannello sono vincolate in modo tale da con-
sentire traslazioni orizzontali fra le due basi stesse, quindi in assenza di rotazioni relative. Lo
stato di sollecitazione che ne deriva è molto vicino alla situazione effettiva delle costruzioni
soggette a sisma, figura 16.9.
Le prove possono essere condotte con forza orizzontale progressivamente crescente fino alla rot-
tura del pannello (prova di tipo monotono) oppure con forza crescente per cicli successivi di cari-
co e scarico, senza o con inversione (prova di tipo ciclico o di tipo alternato, rispettivamente).
Il diagramma sperimentale ha il carico P come parametro e, come variabili, la forza V e lo
spostamento relativo fra le due basi δ. La condizione ciclica o alternata delle prove evidenzia
l’innesco delle fessurazioni, la progressiva riduzione di rigidezza del pannello, l’accumulo del
danno e le modalità di collasso; queste ultime si manifestano per rottura diagonale da trazio-
ne oppure per scorrimento lungo un ricorso orizzontale oppure ancora per esaurimento della
resistenza a compressione agli spigoli più sollecitati, contrapposti alla base ed alla sommità.
Le modalità di rottura per taglio sono rappresentate, nell’ordine, dalla resistenza tangenziale da
trazione, τt, oppure dalla resistenza tangenziale da scorrimento, τc. Mediante queste prove si
può determinare la duttilità di comportamento del pannello espressa come rapporto fra lo spo-
stamento ultimo e lo spostamento al limite elastico, quest’ultimo convenzionalmente definito.
Come detto, il carico P assume il ruolo di parametro di carico, che differenzia i casi di mura-
ture fortemente e debolmente caricate. Nelle situazioni di murature soggette a livelli di cari-
co usuale, si rileva un aumento anche considerevole della resistenza alle azioni orizzontali,
progressivamente crescente con l’aumento del carico verticale.
Negli schemi della figura 16.9 sono rappresentate le modalità di carico del pannello, i mec-
canismi di collasso (riferiti, per immediatezza visiva, a condizioni monotone di carico), il dia-
gramma caratteristico di comportamento e la sua schematizzazione a bilatera. I risultati delle
prove e le modalità di collasso dipendono anche dal parametro geometrico costituito dal rap-
porto dimensionale altezza/base del pannello.
Fig. 16.9
262
Si osserva che, per un evidente confronto dei risultati ottenuti in sedi ed in condizioni diver-
se, vanno normalizzati i parametri di carico, che influenzano i risultati: primi fra tutti, il nume-
ro di cicli e le modalità di applicazione della forza orizzontale.
C.4. Prove di aderenza tra file sovrapposte di elementi laterizi o lapidei ed i giunti di malta
interposti, condotte su provini di piccole dimensioni costituiti come in figura 16.10, o, più
raramente, sugli interi giunti di prismi o muretti.
Stante il valore, generalmente modesto, del rapporto H/B la prova coinvolge la sola resisten-
za allo scorrimento; la forza verticale N assume il
ruolo di parametro di carico.
Rappresentato il fenomeno con un meccanismo di
attrito-coesione perfetto, la resistenza allo scorrimen-
to è caratterizzata da due parametri, indipendenti dal
carico applicato:
– coesione;
– coefficiente d’attrito.
Essi definiscono un legame lineare fra la tensione
media di compressione σo = N/(Bt) e la tensione tan-
genziale media τc = V /(2Bt). Tali parametri sono da
determinare mediante un numero di prove sufficien-
temente elevato, tale da consentire l’interpretazione e
la rappresentazione dei risultati mediante un procedi-
Fig. 16.10 mento numerico di regressione8.
8 Nella realtà sperimentale è insita la dispersione dei risultati ottenuti per cui le coppie di valori τc/σo non indi-
viduano, nel corrispondente piano coordinato, una retta (sarebbero, altrimenti, sufficienti due sole prove a
diverso valore di N) ma determinano una nube di punti nel cui ambito si definisce una retta probabile.
263
Fig. 16.11
Fig. 16.12
264
intestate, con un vincolo di semplice appoggio, nelle due pareti murarie contrapposte sulle
quali esercitano azioni localizzate di contatto. Tali azioni sono ripetute all’interasse i delle
travi, come mostrato nella sezione verticale frontale riportata a sinistra della figura 16.12, e
costituite da una distribuzione triangolare di pressioni sulla superficie di contatto b · d come
mostrato nella sezione verticale trasversale riportata a destra in figura 16.12. Nella figura stes-
sa sono indicati possibili inconvenienti e conseguenti provvedimenti.
Parimenti un balcone in aggetto, in pietra, in legno o in ferro, diventa una successione di travi
a mensola con comportamento a leva, ciascuna delle quali esercita sul muro tensioni norma-
li di compressione nelle zone di contatto, localizzate sulla faccia inferiore o sulla faccia supe-
riore della trave (come mostrato nella figura 16.13a) a fornire un’apparente resistenza a fles-
sione, e quindi a trazione, della muratura. Quest’ultima è in realtà fornita dal peso della mura-
tura sovrastante, che deve essere di entità sufficiente a garantire l’equilibrio e la resistenza.
Un punto debole può essere rappresentato dagli innesti in corrispondenza del vano-porta di
accesso al balcone, in quanto viene a mancare il contrappeso di muratura necessario all’equi-
librio. Il provvedimento, se necessario, può consistere in una traversa superiore intestata negli
stipiti del vano o nel collegamento alle retrostanti travi di solaio; oppure ancora si può ispira-
re alla disposizione di figura 16.13b, riprodotta dal citato volume di Anselmo Ciappi, [19].
Nelle due ultime figure richiamate sono anche esaminate le possibili situazioni di rischio e
sono indicati i possibili provvedimenti.
Fig. 16.13a
265
Fig. 16.13b
Archi e volte (a botte), se di spessore non elevato rispetto alle dimensioni in pianta, possono
essere rappresentati da archi a tre cerniere (localizzate nei punti centrali delle sezioni di chia-
ve ed alle reni) soggetti a carico verticale distribuito con intensità crescente dalla chiave alle
reni, con modalità conseguenti alla forma dell’intradosso e qualitativamente rappresentate in
figura 16.14: ivi il carico è schematizzato con un tratto centrale uniforme e due tratti laterali
trapezi.
Fig. 16.14
Infatti, come mostrato nella figura 16.15, il carico si può suddividere in una stesa uniforme
d’intensità p1, che rappresenta il peso dei vari strati presenti in chiave, più un eventuale
sovraccarico, ed in una stesa variabile che segue la forma della linea d’intradosso (con valo-
re nullo in chiave e massimo alle reni). La parte variabile può essere convenientemente rap-
presentata da due andamenti triangolari estesi a compenso come indicato.
Nella figura 16.16 è riportato l’andamento delle forze orizzontali e verticali (X, spinta, ed Y,
peso, rispettivamente) sui muri d’imposta di una volta a botte; peso e spinta hanno valori
diversi fra loro, ovviamente, ma presentano lo stesso andamento: andamento che, per sempli-
cità grafica, viene rappresentato una sola volta, in figura 16.16 (ed in figura 16.17).
Nella stessa figura è poi svolta una disamina del possibile quadro fessurativo, imputabile al
266
Fig. 16.15
ribaltamento delle due pareti murarie longitudinali d’imposta. Lesioni in chiave sono ovvia-
mente possibili anche senza tendenza al ribaltamento dei muri quando la linea delle pressio-
ni nella sezione della volta è sensibilmente esterna rispetto al terzo medio dello spessore
(come accade, ad esempio, per conformazione a tutto sesto in presenza di carichi concentra-
ti). Lo stato di tensione nella volta, rappresentata come una successione di archi paralleli, è
monodimensionale.
Fig. 16.16
267
Fig. 16.17
Analoghi diagrammi e considerazioni sono riportati nella figura 16.17 per una volta a botte
con testate di padiglione; le modalità, analoghe per una volta a specchio (o a schifo), sono
derivate da una volta a padiglione che grava in modo uguale sui quattro lati (tutti della mede-
sima lunghezza). Lo stato di tensione in questo tipo di volta è bidimensionale.
Per quanto riguarda la volta a crociera, generata anch’essa come la volta a padiglione dal-
l’intersezione di due volte a botte ortogonali (non necessariamente uguali: eventualmente con
diversa luce ma sempre con uguale freccia), le azioni alle imposte sono concentrate nei quat-
tro spigoli ove vanno condensati opportuni sostegni.
Rispetto alla volta a padiglione il carico verticale complessivamente gravante sulla volta a
crociera è inferiore (a parità di spessore complessivo nella zona di colmo); il corrispondente
schema strutturale è indicato nella figura 16.18 ove sono determinate l’intensità e la posizio-
ne della risultante verticale di carico sia per la parte uniforme, p0, sia per la parte variabile, p1;
per quest’ultima il valore di B va definito secondo le indicazioni riportate nella figura 16.15.
Da intensità e posizione della risultante consegue il calcolo delle spinte e della componente
verticale di reazione.
Per quanto riguarda le coperture, le strutture principali, in legno o in ferro, sono rappresenta-
te da strutture reticolari soggette ai carichi verticali trasmessi dalle sovrastanti strutture secon-
darie e dal proprio peso: in generale, o in prevalenza, non applicati in corrispondenza dei nodi.
Gli sforzi generati sono pertanto di flessione e taglio oltre che assiali; questi ultimi, di trazio-
ne o di compressione, rispettivamente nella catena e nel monaco o nei puntoni di falda, di
saetta, di controcatena, vanno determinati sostituendo direttamente ai carichi applicati lungo
l’asse di ogni elemento le reazioni verticali alle due estremità: sostituzione lecita se l’inclina-
zione delle falde del tetto rientra nei valori usuali (modesti) delle nostre latitudini. A questi
sforzi assiali si sovrappongono, essenzialmente nei puntoni di falda, il taglio e la flessione
derivanti dalla presenza dei carichi fuori dai nodi; i relativi termini di tensione sono general-
268
Fig. 16.18
mente molto maggiori dei corrispondenti prodotti dagli sforzi assiali. Lo stato di imbarca-
mento che spesso si riscontra nelle falde dei tetti è dovuto al regime flessionale in atto sia nei
puntoni delle capriate che nelle strutture secondarie9.
È immediato infine osservare che la salute strutturale delle capriate è legata, come primo
effetto, alla distribuzione essenzialmente simmetrica dei carichi agenti in mancanza della
quale potrebbe venire meno l’effetto di contrasto delle saette o potrebbero innescarsi delle
labilità di comportamento con conseguenti meccanismi di rottura atipici.
Nelle vere e proprie orditure reticolari in ferro, lo stato di sollecitazione prevalente è assiale:
conseguenza prima della cura con cui le terzere, e quindi i carichi corrispondenti, sono dispo-
sti nei nodi, delle ridotte dimensioni delle sezioni trasversali e, poi, della modesta incidenza
in peso dei vari elementi costituenti.
Quanto alla muratura, il modello rappresentativo è l’elemento compresso, pilastro o parete,
soggetto a carico generalmente eccentrico e passibile di crisi per resistenza o per instabilità:
termini esasperati da possibili costituzioni disomogenee secondo lo spessore, che trasferisco-
no agli strati corticali una crisi apparentemente lontana se riferita all’intero spessore.
Viene posta a zero la resistenza a trazione, ciò che può rendere non immediata l’identifica-
zione dell’asse neutro in sezioni di forma non rettangolare.
Nel caso di muratura monolitica e per sezione rettangolare, qui di seguito sono forniti i domi-
ni M, N che definiscono, nell’area interna al diagramma, i valori compatibili delle eccentri-
cità (rette uscenti dall’origine o parallele all’asse M, a seconda delle modalità di applicazio-
ne dei carichi). I diagrammi sono forniti nelle due ipotesi di comportamento lineare e linea-
re-duttile fino a rottura per schiacciamento.
9 Nel secondo volume del citato libro di A. Samuelli Ferretti, [68], è riportata l’analisi delle capriate in legno
della basilica di Santa Maria Maggiore, in Roma (distanza fra gli appoggi: 18 m circa).
269
N 6N
Per la sezione rettangolare di lati l e t, introdotte le grandezze adimensionali e
σ 0 lt σ 0 lt 2
in cui σ0 rappresenta la tensione di riferimento (il valore massimo di esercizio o la resistenza
a compressione) e per comportamento lineare-fragile il dominio sforzo normale/momento
adimensionalizzato è rappresentato da una curva costituita da un tratto lineare e da un tratto
parabolico raccordati fra loro, figura 16.19 (corrispondenti rispettivamente al caso di sezione
interamente compressa o parzializzata). La curva è non esterna al triangolo che ha per vertici
l’origine e i due punti di coordinate unitarie.
Con riferimento ai valori adimensionali i legami sono rappresentati dalle due relazioni:
m=1-n
m = 3n - 4n2
Fig. 16.19
270
Qui di seguito si riporta qualche dettaglio degli sviluppi di analisi.
Fig. 16.20
1 H y
N = σ o BH ⋅ α (1 − β) 2 − α + β ⋅ n (16.2)
2 yn α H
H β yn
2
(1 − β) 3 − 2α ⋅ + 2 ⋅
α H
1 yn
d A = Hα (16.3)
H
(1 − β) 2 − α ⋅ + β α ⋅ n
3 y
y
n H
e = d0-dA ; M=N·e
Le grandezze sono espresse in funzione della variabile adimensionale yn/H avendo come
parametri i rapporti α e β ed il valore σo. La distanza del centro di pressione dal bordo supe-
riore è indicata con dA.
Si individuano tre campi di valori di e, quindi di yn.
1 1
yn/H ≤ a/H: N = σ o By n ; N (σ o BH ) = y n H
2 2
1 1
dA = yn ; da H = yn H
3 3
1 1
e = do − yn ; e H = do − yn H
3 H 3
con d o fornito dalla (16.1)
271
a/H ≤ yn/H ≤ 1: N è fornito dalla (16.2)
dA è fornito dalla (16.3)
e = do - dA
1 < yn/H: valgono le espressioni della presso-flessione per l’intera sezione.
A titolo esemplificativo, nel diagramma della figura 16.21 sono riportati i domini
N/(σoBH)-M/(σoBH2) per i due casi particolari α = β =1/3 ed α = β =1/4.
Fig. 16.21
Fig. 16.22
272
Per yn ≤ H risulta:
N = σ o BH ⋅
1 yn 2
6 ( )
H
(16.4)
( )
3
1 yn
M A = σ o BH 2 ⋅
12 H
H
dA = M A / N = yn
2 H
2 1 H y
e = do − d A = H − H yn = 4 − 3 n (16.5)
3 2 H 6 H
Fig. 16.23
Si procede per somma a sottrazione di aree assumendo, per la parte triangolare, i risultati del
caso 2’) precedente.
1 1
Area maggiorata N1 = σ o By n = σ o BH y n
2 2 H
( )
2
1 yn
M A,1 = N1 ⋅ y n = σ o BH 2
3 6 H
( )
2
1
Area in detrazione N 2 = − σ o BH y n
6 H
= − σ BH ( y )
3
1 2
M A,2 o
n
12 H
273
Valori complessivi:
1
( )
2
N = σ o BH 3 y n − y n (16.6)
6 H H
1
( ) ( )
2 3
M A = σ o BH 2 2 y n − yn
12 H H
2 y − (y )
2
n n
H H H
dA = MA /N=
2 3 − yn
H
( H)
2
6 − 8 yn + 3 yn
H H
e = do − dA = (16.7)
6 3 − yn
H
Nel diagramma della figura 16.24 sono riportati i domini N/(σoBH)-M/(σoBH2) per i due casi
di sezione considerati (eccentricità verso il vertice o verso la base rispettivamente).
Fig. 16.24
Si procede per somma e sottrazione di aree triangolari, in modo tale da utilizzare il già stu-
diato caso di sezione triangolare con eccentricità verso il vertice.
H1
Per y n ≤ si procede come nel caso precedente e si ha, essendo B1=2H1,
2 2 2
1 yn
2 1 yn H y
N = σ o B1H1 = σ o H1 e = 1 1 − n
6 H1 3 H1 2 H1
274
Fig. 16.25
Fig. 16.26
H1
Per < y n ≤ H1 si procede per somma e sottrazione di aree, tenendo conto del diverso valo-
2
re della tensione massima:
2
1 yn y H
N = σ o H12 −4 + 12 n − 6 + 1 (16.8)
12 H1 H1 y n
y y
3 2
y H
8 n − 4 n − 1 2 n − 1 2 − 1
H H1 H1 H1 yn
dA = 1 2
4 y y H
−4 n + 12 n − 6 1
1
H H 1 yn
H1
e= − dA (16.9)
2
( ) (
Nel diagramma della figura 16.27 è riportato il dominio N σ o H12 − M σ o H13 . )
275
M/σ0H13
Fig. 16.27
Quanto esposto in questo paragrafo consente, con semplici modelli, di valutare in prima
approssimazione il livello di sicurezza nello stato di fatto relativo alle sollecitazioni prodotte
dai soli carichi verticali al fine anche di introdurre opere provvisionali, se necessarie.
Per valutare, poi, con immediatezza ed in prima approssimazione, le sollecitazioni indotte anche
dall’azione sismica e le capacità attuali dell’edificio in esame, un criterio approssimato può con-
sistere nel valutare il peso sismico complessivo del fabbricato a partire dall’espressione
P = γ0 V0
in cui
V0 è il volume occupato dal fabbricato (l’ingombro): dal colmo della copertura allo spiccato
dalle fondazioni;
γ0 è un peso unitario vuoto per pieno che si può assumere pari a:
350 ÷ 450 kg/m3 per edifici in cemento armato;
600 ÷ 650 kg/m3 per edifici storici in muratura.
Dal peso sismico si determina il taglio alla base del fabbricato, con i criteri stabiliti dall’ana-
lisi statica lineare; il taglio è poi ripartito sulle pareti complanari all’azione sismica10 sulla
base del rapporto V0i/V0 fra il volume di competenza della parete in esame ed il volume tota-
le. La verifica del comportamento globale è quindi riferita allo schema di prima approssima-
zione costituito per ogni parete dai soli maschi murari alla base, collegati in serie fra loro.
Per l’analisi dei meccanismi di 1° modo, come, poi, per le analisi definitive, ci si riferisce a
quanto esposto di seguito (capitolo 18).
10 Considerate indipendenti fra loro, cioè senza fare assegnamento sulla rigidezza degli orizzontamenti.
276
16.8. I LIVELLI DI CONOSCENZA
Il livello di conoscenza acquisito è determinato dalla combinazione di qualità dei rilievi e
delle indagini effettuate: ad ogni livello corrisponde un valore del fattore di confidenza FC
definito nella tabella 16.2.
Tabella 16.2
In apposito allegato, le norme riportano, per varie tipologie murarie, i valori di riferimento,
minimi e massimi, della resistenza e dei moduli elastici.
Per il livello LC1 si deve fare riferimento ai valori minimi ivi riportati e per il livello LC2 ai
valori medi. Per il livello LC3 si può fare riferimento alla media dei valori desunti sperimen-
talmente, se almeno in numero di 3; valori inferiori saranno assunti per numero di risultati
minore di 3 (si veda il paragrafo 11.5.3 di {4}).
277
Tabella 16.3
fm E G
w
τ0
Tipologia di muratura (N/cm2) (N/cm2) (N/mm2) (N/mm2)
(kN/m3)
min-max min-max min-max min-max
Muratura in pietrame disordinata (ciottoli, pietre erratiche 60 2,0 690 115
19
e irregolari) 90 3,2 1050 175
Muratura a conci sbozzati, con paramento di limitato 110 3,5 1020 170
20
spessore e nucleo interno 155 5,1 1440 240
150 5,6 1500 250
Muratura in pietre a spacco con buona tessitura 21
200 7,4 1980 330
80 2,8 900 150
Muratura a conci di pietra tenera (tufo, calcarenite, ecc.) 16
120 4,2 1260 210
300 7,8 2340 390
Muratura a blocchi lapidei squadrati 22
400 9,8 2820 470
180 6,0 1800 300
Muratura in mattoni pieni e malta di calce 18
280 9,2 2400 400
Muratura in mattoni semipieni con malta cementizia (es.: 380 24 2800 560
15
doppio UNI) 500 32 3600 720
460 30,0 3400 680
Muratura in blocchi laterizi forati (perc. foratura <45%) 12
600 40,0 4400 880
Muratura in blocchi laterizi forati, con giunti verticali a 300 10,0 2580 430
11
secco (perc. foratura <45%) 400 13,0 3300 550
Muratura in blocchi di calcestruzzo (perc. foratura tra 150 9,5 2200 440
12
45% e 65%) 200 12,5 2800 560
300 18,0 2700 540
Muratura in blocchi di calcestruzzo semipieni 14
440 24,0 3500 700
Nello stesso allegato sono anche definiti i valori dei coefficienti correttivi da impiegare per
rapportare i valori delle caratteristiche meccaniche a situazioni in opera migliori rispetto a
quelle assunte; ad esempio nei casi di: malte di buone caratteristiche, in presenza di ricorsi o
listature orizzontali, in presenza di elementi trasversali di collegamento dei parametri murari.
Ciò anche nel caso in cui questo stato sia ottenuto artificialmente, a valle di operazioni di con-
solidamento. Tali valori dei coefficienti sono contenuti nella tabella 17.2, riportata nel seguito.
278
17
La verifica della sicurezza1
17.1. INTRODUZIONE
Si presentano in questo capitolo gli strumenti che consentono di incrementare, per un dimo-
strato stato di necessità, il livello di sicurezza delle costruzioni esistenti nei confronti, in spe-
cie, delle azioni sismiche.
Per ciascun elemento costruttivo, pertanto, vengono qui descritte le tecniche di rinforzo.
Nel successivo capitolo 18 verranno presentati, con sufficiente ampiezza, i metodi di verifica
della sicurezza specifici degli edifici esistenti soggetti ad azioni sismiche.
In particolare, i danni agli edifici definiti ai vari gradi costituiscono un utile viatico a suppor-
to del percorso critico di esame del danno prodotto e delle eventuali condizioni di agibilità dei
fabbricati in esame.
La classifica in termini di magnitudo è invece basata sulle registrazioni strumentali, effettua-
te con sismografi, che registrano gli spostamenti del suolo, o su accelerografi, che registrano
le accelerazioni (nelle componenti orizzontali e verticale). Introdotta dallo statunitense
Richter nel 1934, questa scala si basa sulla grandezza:
M = logA - logAo
in cui A è l’ampiezza della registrazione effettuata in un sito per un dato terremoto con epi-
centro ad una data distanza dallo strumento mentre Ao è l’ampiezza di un terremoto scelto
come riferimento.
Il valore M = 2 rappresenta un sisma molto debole; valori di M compresi fra 4 e 4,5 rappre-
sentano sismi con danni a strutture poco resistenti e corrispondono all’incirca al grado VI della
scala Mercalli; valori di M superiori a 6 rappresentano sismi distruttivi. Ad oggi, il massimo
valore di magnitudo determinato è pari all’incirca a 8,5.
L’esecuzione di opere intese a sanare le deficienze più vistose delle costruzioni nei confronti
delle azioni sismiche, in particolare murarie, costituisce un provvedimento di miglioramento
del comportamento antisismico della costruzione presa in esame (detto anche di protezione
antisismica).
280
L’esecuzione di opere intese a rendere la costruzione resistente ai sismi secondo i dettami
delle norme tecniche vigenti costituisce un provvedimento di adeguamento antisismico. È evi-
dente che le operazioni richieste per conferire ad una costruzione le piene prestazioni antisi-
smiche, in generale comportano numerosi e pesanti interventi nell’organismo costruttivo: tali,
talora, da alterarne le caratteristiche intrinseche e distributive originarie.
Quale che sia il tipo di provvedimento da adottare, la sua definizione esecutiva consiste in un
organico insieme di singole tecniche d’intervento, quali disponibili sia dal patrimonio offerto
dalla secolare esperienza sia dalla produzione più recente, fino alle innovazioni dei nostri
giorni, qualitativamente scelte e quantitativamente definite in relazione allo specifico profilo
dell’opera architettonica sulla quale si deve intervenire.
In generale, le tecniche della tradizione costruttiva raggiungevano, a livelli più o meno ele-
vati, il primo obiettivo; altrettanto in generale il secondo obiettivo può essere raggiunto ricor-
rendo alle tecniche moderne, senza però escludere che una conveniente serie di operazioni tra-
dizionali in numerosi casi possa raggiungere gli stessi risultati.
281
giungere l’obiettivo del consolidamento dello specifico organismo di fabbrica, e le stesse tec-
niche possono assumere connotazioni differenti se applicate ad un diverso organismo.
Con questa avvertenza, e senza distinguere fra interventi tradizionali e moderni, si procederà
a partire dalle fondazioni fino alla copertura dell’organismo di fabbrica.
In generale, da un punto di vista logico, l’obiettivo che si pone un intervento di consolida-
mento (il riequilibrio fra le sollecitazioni indotte dalle cause esterne e le prestazioni della
struttura, nell’insieme e nelle singole componenti) può essere ottenuto non solo con l’aumen-
to di queste ultime ma anche con la riduzione delle prime o con la redistribuzione di esse fra
gli elementi resistenti.
Nel caso di sollecitazioni sismiche, ad esempio, esclusa la possibilità di azzerare le cause
esterne stesse, ciò che comporterebbe onerose opere di isolamento sismico alla quota fonda-
le, non sempre possibili, si può fare ricorso all’inserimento di elementi di dissipazione oppor-
tunamente localizzati1. Analogamente, ma solo in casi particolari, si può effettuare una ridu-
zione delle masse in gioco asportando porzioni costruttive estranee all’originaria concezione
del fabbricato (qualificate come superfetazioni).
Una redistribuzione delle sollecitazioni può essere ottenuta rendendo gli orizzontamenti rigi-
di nel proprio piano, in modo tale da coinvolgere organicamente tutte le pareti murarie inve-
ce di utilizzarne i singoli contributi.
Un altro modo di pervenire ad una diversa distribuzione delle sollecitazioni può consistere
nella esecuzione, mediante taglio, di un giunto verticale opportunamente localizzato: una pro-
cedura non molto diffusa che, in zona sismica, deve rispondere alle prescrizioni stabilite per
l’ampiezza dei giunti tra costruzioni accostate.
282
– meccanica, mediante inserimento di cunei (per ancoraggi, catene, cerchiature) o mediante for-
zature (determinate dalla messa in opera di elementi strutturali leggermente più lunghi del
necessario – ad esempio puntelli verticali di travi fortemente inflesse – di viti, di martinetti);
– chimica, o chimico-meccanica, conseguente all’impiego di malte e conglomerati espansivi.
In rapporto, poi, alla durata nel tempo un’operazione di consolidamento può rivestire un
carattere provvisorio oppure definitivo: dettato, nel primo caso, da una situazione di urgenza
conseguente ad uno stato di pericolo incombente.
Gli interventi provvisori, analizzati nel successivo paragrafo 19.2., vengono in genere realiz-
zati con materiali, tecniche e modalità specifiche del carattere di provvisorietà ed urgenza.
Qui di seguito vengono presi in esame gli interventi a carattere definitivo.
Nei termini evidenziati nel precedente paragrafo, il miglioramento delle caratteristiche mec-
caniche e costitutive della muratura (introdotto mediante alcune tecniche d’intervento, quali
ad esempio: iniezioni di malte, applicazione d’intonaco armato, connessione trasversale del
corpo murario con diatoni artificiali) può essere quantificato mediante i coefficienti corretti-
vi forniti in allegato dalla normativa e qui riportati nella tabella 17.2.
I coefficienti correttivi moltiplicano i valori riportati in tabella 16.3 con le modalità specifi-
cate in calce alla tabella 17.2.
Tabella 17.2
Situazioni in opera Consolidamento
Tipologia di muratura Ricorsi Connessione Iniezioni Intonaco
Malta buona
o listature trasversale di malta armato
Muratura in pietrame disordinata
1,5 1,3 1,5 2 2,5
(ciottoli, pietre erratiche e irregolari)
Muratura a conci sbozzati, con paramento
1,4 1,2 1,5 1,7 2
di limitato spessore e nucleo interno
Muratura in pietre a spacco con buona
1,3 1,1 1,3 1,5 1,5
tessitura
Muratura a conci di pietra tenera (tufo,
1,5 - 1,5 1,7 2
calcarenite, ecc.)
Muratura a blocchi lapidei squadrati 1,2 - 1,2 1,2 1,2
283
17.3.3. Interventi in fondazione
Come specificato in precedenza nel paragrafo 15.2., a proposito delle norme tecniche {1} per
gli edifici in muratura, anche le norme antisismiche di recente edizione {4} prendono in con-
siderazione la possibilità di omettere interventi sulle fondazioni quando sono contempora-
neamente soddisfatte quattro condizioni; sostanzialmente si tratta delle stesse già indicate in
{1}, con qualche ulteriore precisazione:
a) nella costruzione non siano presenti importanti dissesti di qualsiasi natura attribuibili a
cedimenti delle fondazioni e sia stato accertato che dissesti della stessa natura non si siano
prodotti neppure in precedenza;
b) gli interventi progettati non comportino sostanziali alterazioni dello schema strutturale del
fabbricato;
c) gli stessi interventi non comportino rilevanti modificazioni delle sollecitazioni trasmesse
alle fondazioni;
d) siano esclusi fenomeni di ribaltamento della costruzione per effetto delle azioni sismiche.
Si specifica, poi, che la inadeguatezza delle fondazioni è raramente la causa del danneggia-
mento osservato nei rilevamenti post-sisma.
Gli interventi possono essere mirati alla rigenerazione oppure all’aumento di portanza delle
fondazioni esistenti. In entrambi i casi gli interventi vanno eseguiti dopo avere effettuato il
massimo possibile alleggerimento del fabbricato, quanto meno con l’eliminazione dei sovrac-
carichi d’esercizio; se previste, anche procedendo alle demolizioni di parti costruttive, in
modo da coinvolgere nella funzione resistente, alla successiva rimessa in carico, l’intera fon-
dazione rinforzata.
La rigenerazione del corpo murario di fondazione, del tipo superficiale o profondo, si ottie-
ne, come per le pareti di elevazione, mediante iniezione di malte leganti che provvedono al
riempimento dei vuoti presenti nel corpo murario. Proprio tali vuoti, con la conseguente ine-
vitabile concentrazione di tensioni, possono essere l’origine di dissesti rilevati in elevazione
a causa dei cedimenti prodotti dagli schiacciamenti nella massa muraria di fondazione2.
L’operazione, preceduta sempre dal lavaggio della massa muraria da sottoporre ad iniezione,
va eseguita con miscele fluide e procedendo a bassa pressione (per evitare possibili fughe nei
vuoti o nelle cavità del terreno).
L’aumento di portanza può essere ottenuto con allargamento oppure con approfondimento
della fondazione.
Nel primo caso, di allargamento, ammessa la buona costituzione del terreno d’imposta, si
aumenta la larghezza della fondazione operando progressivamente in leggera sottofondazio-
ne con elementi omogenei oppure affiancando la fondazione esistente con elementi eteroge-
nei (in cemento armato) disposti su entrambi i lati e collegati trasversalmente da elementi pas-
santi ripetuti a passo opportuno.
Ad esempio travi longitudinali che affiancano la fondazione sui due lati devono essere colle-
gate tra loro mediante setti trasversali in cemento armato (passanti attraverso il corpo mura-
rio) solidarizzati alle due travi mediante opportune armature, oppure mediante inserimenti
(non passanti, a pettine), sempre in cemento armato, nel corpo murario oppure ancora median-
te perforazioni inclinate armate. In casi particolari si può ampliare l’intervento realizzando
2 Le fondazioni del Convitto Nazionale in Roma, in prossimità della riva del Tevere, furono previste del tipo
profondo circa 9 m e realizzate tra il 1915 ed il 1920; il cavo di fondazione venne riempito con blocchi e
schegge di tufo non sufficientemente avvolti e legati dalla malta. La formazione di lesioni nelle murature
portanti, ascritta ai cedimenti conseguenti agli accertati schiacciamenti del tufo nelle zone di contatto dei
blocchi, comportò una inchiesta sfociata in opere di consolidamento (consistenti, in sintesi, in coli di malta
bastarda nel corpo murario delle fondazioni) e nella chiamata in causa della direzione dei lavori.
284
Fig. 17.1
Fig. 17.2
solettoni, in luogo di travi di fasciatura, ancorati ai muri perimetrali (mediante innesti a petti-
ne e perforazioni armate inclinate) e calcolati a piastra con una sottopressione di riferimento,
tanto maggiore quanto più marcata è la fase di ricarica, dopo alleggerimento, del fabbricato o
quanto più marcato è il rischio di una progressione dei cedimenti fondali: si vedano gli sche-
mi della figura 17.1.
Un esempio di effettiva realizzazione di un solettone di fondazione è riportato in figura 17.2
e si riferisce al rinforzo e collegamento fondale del corpo trecentesco del Palazzo del Podestà,
a Gubbio.
Nel secondo caso, di approfondimento, si mira al raggiungimento di piani di posa più profon-
285
di, ciò che già di per sé aumenta la portanza e comunque consente in generale di raggiunge-
re terreni di migliori caratteristiche rispetto a quelli di superficie, operando in sottofondazio-
ne per campioni, o tratte, con elementi murari oppure con micropali di cemento armato: tec-
nica, quest’ultima, che consente, rispetto alla precedente, di raggiungere profondità molto
maggiori e che consiste, nella configurazione attuale, in una evoluzione dell’originaria ver-
sione dei pali radice impiegata e diffusa fin dai primi anni ’50 dalla ditta Fondedile per la sot-
tofondazione di numerosi monumenti. La tecnica dei micropali consiste nell’eseguire pali tri-
vellati di piccolo diametro attraverso il corpo murario della struttura di fondazione e di parte
della struttura di elevazione, proseguendo nel terreno sottostante per la prevista lunghezza. Il
diametro dei micropali è compreso fra 80 mm e 250 mm; l’armatura è in tubolare di acciaio.
I micropali sono in generale leggermente inclinati rispetto alla verticale (circa 9°) e sono ripe-
tuti, al prestabilito interasse, alternativamente sui due lati del muro da sottofondare, operan-
do direttamente dal piano di calpestìo o, per i muri perimetrali, anche dal piano stradale ester-
no. In specifici così possono essere adottate inclinazioni maggiori.
Fasi di lavoro:
– bonifica preliminare delle fondazioni (eventuale, nel caso di muratura in blocchi poco
legati da malta), ottenuta mediante iniezione di malte previa perforazione effettuata con
trapani o con sonde rotative (a bassa velocità, nei casi in cui abbia rilevanza ridurre le
vibrazioni indotte dalle operazioni di perforazione) su diametri da 28 mm a 35 mm e per
profondità corrispondenti a 3/4 dello spessore del corpo murario;
_ perforazione con sonda a rotazione, del previsto diametro, per la prevista lunghezza, allo
stabilito interasse, con circolazione di fanghi bentonitici;
– inserimento, per successivi elementi avvitati fra loro, dell’armatura interna costituita da
tubi di forte spessore;
– iniezione della miscela cementizia, ad elevata pressione (tra 2 e 3 atm) e recupero dei fanghi;
– a rifiuto, leggero aumento della pressione d’iniezione (circa 4 atm).
Nella figura 17.3 sono rappresentate le caratteristiche costitutive e di disposizione dei micro-
pali nel piano verticale (in alto); a titolo esemplificativo uno stralcio planimetrico, riferito ad
un’ala del Palazzo Pretorio di Gubbio, mostra in dettaglio la successione dei punti d’attacco
e l’orientamento dei micropali lungo i due lati dei muri perimetrali (in basso).
La metodologia descritta è passibile di tutte le varianti conseguenti alla scelta del valore dei
parametri sopra indicati: il diametro, la lunghezza, l’interasse delle perforazioni e l’area del-
l’armatura d’acciaio. In particolare il tubo d’armatura svolge più funzioni: da veicolo d’en-
trata della miscela cementizia, a sistema di allargamento alla base (la presenza di valvole nel-
l’elemento inferiore consente di realizzare una sbulbatura di conglomerato, più o meno mar-
cata, nel terreno), ad ancoraggio di sommità (l’elemento terminale superiore può avere
conformazione del tipo ad aderenza migliorata), ad elemento resistente sia per carichi verti-
cali sia per forze orizzontali.
I risultati ottenibili con la sottofondazione mediante micropali sono esprimibili in termini di:
trasferimento di parte del carico a strati profondi di terreno e riduzione del carico trasmesso
alla fondazione superficiale, riduzione degli effetti conseguenti ad eventuali diversità nelle
quote d’imposta delle fondazioni, bonifica degli elementi murari attraversati.
Il progetto dei micropali parte dalla quota di carico, P0, da trasferire in profondità e quindi da
applicare ai micropali stessi ed opera pertanto nei termini di diametro ed armatura, lunghez-
za, interasse delle perforazioni, tenendo conto sia della resistenza del sistema palo-terreno sia
dei cedimenti d’esercizio; nella figura 17.4 sono forniti criteri empirici di primo dimensiona-
mento3, da rendere poi definitivo mediante verifiche geotecniche specifiche.
3 Rielaborati da: F. Lizzi, Restauro statico dei monumenti, [43].
286
Fig. 17.3
287
Fig. 17.4
Fig. 17.5
288
17.3.4. Interventi su pareti murarie di elevazione
Alla descrizione delle singole tecniche d’intervento si fa seguire, nella tabella 17.5, un qua-
dro comparativo dei corrispondenti effetti raggiunti.
Le risarciture localizzate (interventi a scuci e cuci) consistono nel riprendere porzioni di una
parete con muratura avente fattura e materiali analoghi agli originali, in modo tale da eliminare
situazioni locali di degrado; di impiego prevalente, a questo fine, sono i mattoni e la pietra squa-
drata. Per la buona esecuzione si deve realizzare la massima compenetrazione fra la muratura esi-
stente e la nuova, evitando l’insorgere di coazioni dovute ad eccessivo contrasto o localizzazioni
di carico. Inoltre, proprio perché a carattere locale (in caso contrario si tratterebbe infatti di rifa-
cimenti), le risarciture devono operare su un organismo murario integro nel suo complesso.
Gli obiettivi che si raggiungono possono essere: eliminazione di zone in marcato stato di fes-
surazione o di pronunciata degradazione dei materiali, miglioramento degli innesti fra pareti
ortogonali (ammorsature), collegamento fra parti murarie in semplice accostamento, collega-
mento trasversale fra gli strati eventualmente presenti nello spessore, aumento dello spessore
per eventuale conformazione a scarpa, riempimento di vani e cavità presenti nella parete (porte,
finestre, canne fumarie, ecc.), specialmente se in prossimità di innesti o incroci di murature.
I risultati in termini di resistenza, evidenti, se riferiti a crisi locali per carichi verticali, posso-
no essere notevoli nei termini in cui la parete viene restituita alla sua integrità dimensionale
per la resistenza alle azioni sismiche.
I risultati in termini di applicabilità sono parimenti notevoli in quanto il carattere locale non
determina forti sostituzioni (peraltro effettuate sempre in termini di omogeneità sia di mate-
riali sia di esecuzione) e si sintonizza su una pratica tradizionalmente seguita per le ripara-
zioni ed il rafforzamento dei fabbricati in muratura.
La stilatura dei ricorsi di malta, cioè la ricostituzione, più o meno profonda, dei giunti di
malta, orizzontali e verticali, sulle facce a vista delle pareti murarie per avvenuta degradazio-
ne o asportazione parziale, restituisce la continuità al tessuto murario e va eventualmente
effettuata in combinazione con la tecnica precedente nei casi in cui siano presenti anche
discontinuità localizzate o lesioni.
L’operazione va eseguita accuratamente in sottosquadro leggero, senza risvolti o sbavature
sui mattoni o sugli elementi lapidei, impiegando una malta di caratteristiche analoghe alle ori-
ginarie ma con leggera addizione di una componente anti-ritiro.
L’applicazione, a mano, della nuova malta va preceduta da due fasi operative:
– scarnificazione dei giunti per eliminare le parti deteriorate o poco aggrappate;
– lavaggio con acqua della parete.
Con molta prudenza va considerata un’eventuale sabbiatura dei giunti, a volte troppo violen-
ta e inevitabilmente attuata anche su parte dei mattoni o blocchi di pietra circostanti i giunti
interessati. Quanto ai risultati, il provvedimento di stilatura esplica, oltre all’ovvia restituzio-
ne alla resistenza dell’intero spessore murario, la salvaguardia verso la progressione del feno-
meno di disgregazione e caduta della malta.
In casi particolari la stilatura può essere effettuata a maggiori profondità, operando con una
sorta di procedimento a campioni, per ottenere un non trascurabile effetto di confinamento
degli elementi laterizi e lapidei (in specie nei pilastri), con consistente aumento della resi-
stenza ai carichi verticali.
Le iniezioni di malte nel corpo murario di pareti e di pilastri consistono nel far penetrare la
miscela legante, lentamente ed a bassa pressione, in tutti i vuoti presenti nella muratura in
modo tale da ricostituire la continuità con i costituenti laterizi o lapidei.
289
Il legante può essere il cemento, eventualmente nella versione desalinizzata nei casi di pareti
affrescate o decorate, oppure, in caso di incompatibilità chimico-fisica con i costituenti della
muratura da trattare, la calce idraulica o la calce con pozzolana. In caso di vuoti rilevanti, alla
miscela può essere aggiunta sabbia (fine) con funzione di riduzione del quantitativo di legan-
te da impiegare; pertanto la miscela risulta composta da acqua, legante, sabbia (eventuale),
additivi (con funzione fluidificante ed anti-ritiro).
L’iniezione è effettuata attraverso fori d’entrata, predisposti nel corpo murario su un reticolo
sfalsato con interassi da 40 cm a 100 cm a seconda del tipo e dello stato di conservazione della
muratura da trattare ed a seconda che le perforazioni vengano eseguite su una o entrambe le
facce della parete; la posizione d’attacco dei fori, da eseguire all’incirca perpendicolarmente
alla parete, con una leggera inclinazione verso il basso per favorire l’immissione della misce-
la, è scelta in corrispondenza dei ricorsi di malta, ove possibile all’incrocio dei ricorsi verti-
cali ed orizzontali.
Fasi di lavoro:
– perforazione trasversale dei muri, effettuata con trapani o con sonde rotative (a bassa velo-
cità, nei casi in cui abbia rilevanza ridurre le vibrazioni indotte dalle operazioni di perfo-
razione), su diametri da 28 mm a 35 mm e per profondità corrispondenti a 3/4 o 1/3 dello
spessore a seconda di perforazioni su una o su due facce rispettivamente;
– inserimento di beccucci di plastica, sigillati all’imbocco dei fori;
– sigillatura di lesioni e vuoti superficiali macroscopici sulle due facce della parete (opera-
zione da svolgere con accuratezza maggiore nel caso di pareti non intonacate) per evitare
fuoriuscite di miscela e scoli all’esterno;
– iniezione preliminare di miscela molto fluida o di acqua per bagnare i canali di diffusio-
ne e le fessurazioni e per migliorare la penetrazione della malta più densa;
– iniezione della miscela legante, alla prevista pressione (tra 2,5 e 3 atm)4, procedendo a
salire dai fori più bassi a quelli più alti;
– a rifiuto, leggero aumento della pressione d’iniezione (3,5 ÷ 4 atm)4.
I dati forniti devono intendersi indicativi di una metodologia, passibile di tutte le varianti
comportate dalla presenza delle 3 variabili costituite dalla composizione della malta, dalla fre-
quenza dei fori, dall’entità della pressione d’iniezione; ad esempio, nel caso di muratura for-
temente degradata e di costituzione caotica è prudente ridurre la pressione, modificando di
conseguenza i valori delle altre variabili, per evitare il rischio di espulsioni di elementi o parti
non solidali col corpo murario.
Il risultato di questa operazione è, come per i casi precedenti, l’aumento della resistenza unito
al raggiungimento di una affidabile continuità costitutiva; i termini quantitativi di tale aumen-
to ed il relativo costo di miscela assorbita, sono indicativamente riportati nel grafico e nel pro-
spetto della figura 17.6.
Si osserva che l’incremento di resistenza prodotto nella muratura si va attenuando al cresce-
re della resistenza della malta iniettata; elevate caratteristiche di quest’ultima non sono per-
tanto, in generale, necessarie.
Di largo impiego sono oggi le malte speciali anti-ritiro di produzione industriale e pronte
all’uso. Tali prodotti, composti da cementi selezionati, additivi fluidificanti, agenti espansivi
non metallici, sono sottoposti a controlli di qualità e forniti in commercio allo stato secco, in
contenitori che riportano i quantitativi d’acqua da impiegare per l’impasto.
4 I valori indicati della pressione d’iniezione devono intendersi rappresentativi di una condizione media. Essi
infatti vanno rapportati allo stato di conservazione ed al tipo della muratura da consolidare, da un lato, ed
alla fluidità della malta da iniettare, dall’altro.
290
Miscela legante
Muratura Rapporto in peso Assorbimento
solidi / acqua (kg per m3 di muratura)
pietrame 0,8/1,0 ÷ 1,0/1,0 80 ÷ 120
mattoni 1,0/2,0 40 ÷ 50
Fig. 17.6
Le iniezioni di formulati chimici nel corpo murario di pareti e di pilastri consistono, come nel
caso precedente, nel riempire vuoti e cavità quando le relative ampiezze sono marcatamente
ridotte: in termini numerici si può fare riferimento al valore massimo di 2 mm.
L’impiego più frequente è delle resine epossidiche bicomponenti a bassa viscosità. Il campo
di applicazione è di elementi murari consistenti soggetti ad isolate situazioni di degrado o di
fessurazione o che presentino superfici affrescate non compatibili con la composizione chi-
mica dei leganti tradizionali.
Ferma restando la localizzazione d’impiego, nella tabella 17.3 sono mostrati indicativamente i
campi di utilizzazione delle resine rispetto alle malte cementizie. La tecnica di iniezione qui descrit-
ta si è imposta con l’affermazione stessa, nel settore edilizio, del cemento come legante di elevate
caratteristiche di resistenza anche se impieghi particolari sono stati effettuati in epoche precedenti.
Tabella 17.3
Resine epossidiche a
**** **** **** ****
bassa viscosità
291
Il caso-limite di questa tecnica è costituito dal procedimento per semplice colo di miscela
entro il corpo murario, da effettuarsi in presenza di discontinuità marcate ma di non grande
estensione nella parete e con l’impiego di miscele molto fluide.
Si osserva infine che a questa tecnica operativa non è attribuibile alcuna funzione di solida-
rizzazione di parti murarie a contatto, quale invece è possibile ad esempio con la tecnica dello
scuci e cuci, come anche stabilito espressamente dalla normativa.
Le perforazioni armate, ovvero l’inserimento e la cementazione di barre d’acciaio entro
perfori nella muratura, si propongono gli obiettivi che non riescono alla semplice iniezione di
miscele leganti: operare il collegamento fra parti o elementi di muratura, scollegati o male
legati fra loro o fessurati.
Si tratta di una tecnica assai diffusa nei decenni scorsi, in specie per opere monumentali in
quanto effettuata all’interno del corpo murario con visibilità pressoché nulla all’esterno. Le
barre, del tipo in uso per le strutture di cemento armato, eventualmente nella versione in
acciaio inossidabile, possono avere qualunque direzione e ripetute ad opportuno interasse pos-
sono costituire una striscia o un reticolo diffuso, utili per realizzare ammorsature fra pareti
scollegate o per rinforzare archi e piattabande o per aumentare la resistenza di una parete
muraria. Le tecniche di perforazione disponibili consentono di raggiungere lunghezze rile-
vanti (con le dovute precauzioni, fino a qualche decina di metri), ciò che richiede la risolu-
zione delle giunzioni non disponendo in generale né di barre intere né di sufficiente spazio di
manovra.
Fasi di lavoro:
– perforazione longitudinale o trasversale dei muri, effettuata con trapani o con sonde rota-
tive (a bassa velocità, nei casi in cui abbia rilevanza ridurre le vibrazioni indotte dalle ope-
razioni di perforazione), su diametri da 28 mm a 40 mm e nella direzione e per la lun-
ghezza volute;
– alloggiamento delle barre d’acciaio, del tipo ad aderenza migliorata e con diametri gene-
ralmente compresi fra 10 mm e 20 mm (in casi particolari si può ricorrere a diametri supe-
riori od a cavi precompressi localizzati);
– inserimento di beccucci di plastica, sigillati all’imbocco dei fori;
– sigillatura di lesioni e vuoti superficiali macroscopici sulle due facce della parete (opera-
zione da svolgere con accuratezza maggiore nel caso di pareti non intonacate) per evitare
fuoriuscite di miscela e scoli all’esterno;
– iniezione preliminare di miscela molto fluida o di acqua per bagnare le pareti del foro e le
fessurazioni;
– iniezione della miscela legante, alla prevista pressione (tra 2,5 e 3 atm), procedendo a sali-
re dai fori più bassi a quelli più alti;
– a rifiuto, leggero aumento della pressione d’iniezione (circa 4 atm).
Negli schemi della figura 17.7 sono mostrati alcuni dettagli d’esecuzione di perforazioni
armate, in particolare nel caso d’impiego per ripristinare ammorsature murarie male eseguite
o venute meno nel tempo (intersezione d’angolo, intersezione a T o a croce). In questo caso
la mancanza di connessione agli incroci murari può manifestarsi lungo la linea a o lungo la
linea b: le perforazioni devono attraversare queste linee alternandosi, piano per piano, nelle
due direzioni: (1)+(2) e (3)+(4); se la costituzione del tessuto murario è scadente, è bene
disporre perforazioni laterali aggiuntive (indicate a tratteggio leggero nella figura e numerate
con apice).
Si osserva che, in generale, se la mancanza di connessione è lungo la linea a la perforazione
può anche essere eseguita in asse-muro cioè nel piano medio della parete; in questo caso
292
Fig. 17.7
293
occorre che sia garantita la monoliticità nel senso dello spessore (murature omogenee e ben
legate); in tutti gli altri casi è bene che l’asse della perforazione sia ruotato nel piano oriz-
zontale in modo da coinvolgere tutti gli strati presenti nello spessore.
Questa tecnica, come indicato nel seguito, può essere posta a servizio di interventi più artico-
lati quali:
– ancoraggi per aderenza di tiranti, quando non sia possibile disporre in vista i capochiavi;
– ancoraggi perimetrali di volte murarie e di solai;
– ancoraggi perimetrali di telai metallici di riquadratura di vani (porta o finestra);
– rinforzo e collegamento interno di pilastri murari eccessivamente caricati o con costitu-
zione a sacco.
La tamponatura di vani nelle pareti murarie, da eseguire in leggero sottosquadro impiegan-
do, in specie nei casi di paramenti lasciati in vista, muratura di caratteristiche analoghe all’e-
sistente, si prefigge l’obiettivo di ricostituire la continuità delle pareti stesse, soprattutto nei
casi in cui il vano da richiudere è localizzato in prossimità di un innesto murario. Il fine pro-
posto richiede l’esecuzione di ammorsature, lungo il perimetro, della muratura nuova con l’e-
sistente.
L’inserimento di nuove pareti nell’organismo esistente complessivo costituisce, in senso lato,
un’estensione della tecnica precedente proponendosi la ricostituzione della continuità della
maglia muraria. Con questi inserimenti si possono attutire gli effetti di eventuali irregolarità
planimetriche dell’opera architettonica in esame o sanare eventuali rarefazioni delle muratu-
re trasversali.
Le nuove pareti devono essere dotate di costituzione e spessori correlati alle caratteristiche
delle murature esistenti, in particolare per quanto riguarda il piano d’imposta delle relative
fondazioni. Lungo i bordi, fondazioni comprese, la muratura deve essere ammorsata alle strut-
ture esistenti.
Ove specifiche situazioni suggeriscano il ricorso a paretine in cemento armato, il collega-
mento alle murature esistenti sarà realizzato con perforazioni armate.
Un’estensione della tecnica descritta può essere rappresentata dalla realizzazione di con-
trafforti murari o di ringrossi a scarpa per pareti murarie non sufficientemente consistenti in
rapporto alla stabilità al rovesciamento sotto azioni trasversali. Particolare importanza assu-
mono le esigenze della connessione nuovo/esistente e della omogeneità fondale.
La riquadratura di vani porta o finestra con telai metallici ancorati costituisce il contraltare
all’operazione di tamponatura del vano con collegamenti a scuci e cuci, quando si voglia
lasciare attivo il vano stesso. Il telaio metallico è generalmente alloggiato in corrispondenza
degl’imbotti del vano ed è costituito da profili della serie HE collegati con saldature e dotati
di irrigidimenti trasversali. Il fissaggio alle barre delle perforazioni perimetrali di ancoraggio
è effettuato con bullonature e avvitaggi nelle estremità (filettate) delle barre stesse; non è
escluso, anche per questa finalità, il ricorso alla saldatura (in opera). L’operazione è indicata
al caso di tessuto murario di buona costituzione, in quanto tanto il telaio quanto le perfora-
zioni interessano direttamente la parte centrale dello spessore murario; il risultato è la solida-
rizzazione in un unico elemento resistente di due parti murarie separate (dal vano).
Nelle due foto della figura 17.8 sono riportati i particolari delle riquadrature in legno rilevate
nelle aperture di alcuni edifici a struttura muraria siti in frazione di Preci (Perugia). Nel vano-
porta si rileva l’innesto dei montanti nella traversa d’architrave, proseguita ad entrambe le
estremità entro il corpo murario. Analogo particolare per il vano-finestra, interamente riqua-
drato e con la traversa d’architrave proseguita nel corpo murario.
294
Fig. 17.8
La tecnica di rivestimento con intonaco armato di una parete muraria consiste nel realizza-
re, in aderenza alla muratura da consolidare e su una o entrambe le facce di essa, lastre di
cemento armato efficacemente collegate alla muratura stessa.
Gli elementi costitutivi sono: a) armature di parete (barre verticali ed orizzontali, di diametro
compreso fra 8 mm e 14 mm, poste ad interasse compreso fra 10 cm e 20 cm) eventualmen-
te in reti elettrosaldate; b) armature trasversali di collegamento, o fissaggio al muro, delle
armature di parete (barre del diametro 6 mm o 8 mm, disposte in numero di 5 o 6 ogni m2,
alloggiate entro perforazioni passanti oppure a parziale spessore realizzate mediante trapana-
tura della parete); c) lastre di conglomerato cementizio, aventi spessore compreso general-
mente fra 4 cm e 6 cm (all’occorrenza anche superiore), costituite da malte ricche di cemen-
to o da micro-conglomerati con addizione di prodotti anti-ritiro.
Fasi di lavoro:
– asportazione dell’intonaco, se presente, da una o da entrambe le facce della parete e messa
a nudo della muratura;
– perforazione, passante o non passante, a seconda dei casi, con trapanature del diametro di
24 mm, in numero di 5 o 6 per m2;
– riprese locali della muratura in corrispondenza di discontinuità o di fessurazioni rilevanti;
– lavaggio abbondante con acqua della muratura;
– applicazione delle armature di parete, fissate con chiodi alla muratura ad una distanza pro-
porzionata allo spessore delle lastre;
– inserimento nei fori delle barre di collegamento e risvolto ad afferrare le armature di parete;
– inserimento di beccucci di plastica per la sutura dei fori;
– realizzazione delle due lastre di conglomerato, procedendo a mano per successivi strati
(più frequentemente) oppure a spruzzo (spritz beton) oppure ancora con getto entro cas-
saforma (per gli spessori di rivestimento maggiori);
– sutura dei fori ed eventuale iniezione dell’intero corpo murario.
Gli effetti prodotti da questa operazione sono rimarchevoli, in termini sia di resistenza sia di
duttilità. Trattasi peraltro, come è evidente, di una tecnica fortemente invasiva e di totale irre-
versibilità, applicabile nei casi di murature ricoperte da intonaco ed in condizioni deficitarie
in termini di spessore o in stato di diffuso degrado e fessurazione o per particolari specifiche
esigenze, qualora motivate considerazioni ne sconsiglino la sostituzione completa con una
parete di nuova fattura.
295
Tale tecnica venne introdotta, col termine di gunite (equivalente a spritz-beton) nei primi
decenni del 1900 per il rinforzo di pilastri in cemento armato e poi estesa, negli anni ’30, a
singole applicazioni su pareti murarie. Molto usata intorno agli anni ’70, viene oggi raramen-
te applicata e solo in casi particolari.
Ad esempio, nell’ambito dell’intervento di consolidamento delle strutture murarie del Palazzo
Pretorio di Gubbio per miglioramento antisismico, è stata inserita tale tecnica limitatamente
alle pareti di un locale seminterrato destinato alla centrale termica generale funzionante a
gasolio (sostituita da una batteria di centrali a gas localizzate in altri ambienti ricavati al piano
di copertura, nell’ambito delle contemporanee operazioni di adeguamento impiantistico). La
prolungata esposizione delle murature in pietra calcarea, già soggette ad infiltrazioni d’acqua
piovana dalla contigua rampa pedonale esterna, ai vapori prodotti ed alle alternanze di tem-
peratura (diurne/notturne, essendo il locale costantemente aerato) aveva prodotto un avanza-
to e diffuso stato di fessurazione e disgregazione, anche profondo nello spessore, al punto tale
da suggerirne il rivestimento, sul solo lato interno e per la sola estensione del piano semin-
terrato, con lastre in cemento armato.
Il rinforzo mediante inserimento di cordoli, pilastrini, diagonali armati nello spessore dei
muri, cioè di elementi orizzontali, verticali o inclinati rispettivamente, consiste nel realizzare
tracce o tagli nel corpo della muratura, da riempire con getti di cemento armato ancorati al
corpo murario circostante per mezzo di perforazioni trasversali armate con barre di piccolo
diametro.
La finalità è di riquadrare la parete realizzando una sorta di muratura armata oppure di rea-
lizzare bielle inclinate resistenti anche a trazione. L’intervento non è consigliabile nel caso di
muratura caotica, con elementi arrotondati o comunque non squadrati e con malta degradata,
o di muratura del tipo a sacco.
In generale a tale intervento corrisponde sia l’aumento di resistenza della muratura sia l’in-
troduzione di una più marcata duttilità di comportamento.
Nel caso di sole cordolature il risultato si pone essenzialmente in termini di collegamento
delle pareti fra loro o tra parti di murature scollegate (ad esempio, per esecuzione in tempi
diversi) e semplicemente accostate fra loro. In questo caso, per murature ben costituite, le cor-
dolature, ripetute ad opportuno interasse, possono diventare delle catenelle di connessione.
Di particolare efficacia possono essere le cordolature di sommità, operanti in una zona dove
il corpo murario presenta minore unitarietà per il modesto stato di compressione. Quanto alla
costituzione, risulta spesso opportuno il ricorso alla muratura (di mattoni) inglobante armatu-
re metalliche in piatti o tondi e realizzata con opportune ammorsature (ingranamenti a petti-
ne) alla muratura sottostante.
In alternativa la soluzione può essere con cordolature in cemento armato.
L’applicazione per incollaggio di strisce fibrorinforzate su una o entrambe le facce della pare-
te muraria si propone di realizzare un meccanismo resistente anche a sforzi di trazione, oltre
che a realizzare alcuni degli obiettivi perseguibili con le tecniche precedenti.
Le strisce fibrorinforzate possiedono elevate caratteristiche sia di resistenza a trazione sia di
rigidezza (comparabili e talora addirittura superiori all’acciaio); resta però una forte sensibi-
lità alla temperatura, elevati valori della quale possono ridurre notevolmente tali caratteristi-
che (ad esempio: l’irraggiamento solare diretto).
Quanto alla costituzione, si possono avere fibre di carbonio (le più rigide) o fibre di vetro o
di aramide (queste di caratteristiche similari fra loro). In termini di resistenza i vari tipi si
equivalgono; in termini di rigidezza le fibre di carbonio presentano un modulo di elasticità
indicativamente 2,5 volte maggiore delle altre, cioè che ne costituisce termine di preferenza
per interventi di rinforzo basati sull’effetto di contenimento trasversale (ciò che richiede una
296
ridotta deformabilità rispetto all’elemento murario da contenere, si veda il capitolo 20).
L’applicazione delle strisce comporta una preparazione preliminare delle superfici murarie
interessate, consistente essenzialmente nella pulitura con sabbiatura e spazzolatura e nella
regolarizzazione con strati di malta (si veda la successiva figura 17.12). Sulla superficie così
trattata vanno poi eseguite, alternativamente, stesura di resine epossidiche ed applicazione
delle strisce fino a raggiungere lo spessore resistente di progetto (dell’ordine di qualche mil-
limetro).
Questa tecnica è adatta per murature regolari, in mattoni o blocchi, da rinforzare preferibil-
mente su entrambi i lati; non si hanno benefici in termini di collegamento nel senso dello spes-
sore per cui il corpo murario dev’essere compatto ed omogeneo (ideale, da questo punto di
vista, è il corpo murario delle volte).
L’inserimento di catene metalliche costituisce una tecnica ben collaudata nel tempo e di sicu-
ra affidabilità che si propone, in modo generalmente poco invasivo e facilmente rimovibile,
di realizzare il collegamento fra pareti contigue, nel caso di ammorsature poco efficaci, o tra
pareti contrapposte, in presenza di orizzontamenti spingenti, in modo tale da impedire la for-
mazione di cinematismi di ribaltamento.
Elemento-base è il capochiave, da disporre a ciascuna estremità e spesso da lasciare in vista
sulla faccia esterna di ciascuna delle murature da collegare. Le catene vanno dotate di ade-
guata rigidezza (la sezione trasversale va rapportata alla lunghezza) e poste in stato di pre-
tensione, commisurato al valore del tiro da assorbire in esercizio, agli effetti localizzati sulle
pareti murarie, alle inevitabili cadute di tensione nel tempo. La conformazione del capochia-
ve e del relativo innesto della catena costituisce un dato di facile interpretazione per la deter-
minazione cronologica dell’intervento.
In senso lato questo intervento comprende, con una conformazione chiusa, a cinturazione, la
realizzazione di collegamenti perimetrali dell’intera maglia muraria; la cinturazione può esse-
re esterna, con elementi di raccordo disposti negli spigoli (figura 17.9), e quindi in vista oppu-
re interna, con ancoraggi doppi e sfalsati in corrispondenza degli spigoli.
Gli elementi delle cinture possono essere costituiti da piatti o tondi metallici, con dispositivi
di giunzione e di messa in tiro, oppure da strisce fibrorinforzate.
L’intervento di cinturazione risulta particolarmente efficace nel caso di corpi di fabbrica a
costituzione compatta, con soli muri perimetrali: campanili o torri, come nel caso della figu-
ra 17.9 relativo al rinforzo della Torre della Moletta nell’area nord dell’emiciclo del Circo
Massimo in Roma. La cintura, disposta nel corso dei lavori di scavo archeologico e d’isola-
mento eseguiti nei primi decenni del secolo scorso presenta, per la propria conformazione e
per la specifica collocazione (al di sopra del giro dei beccatelli e seminascosta da una corni-
ce), doti evidenti di reversibilità e di modesta visibilità.
Disposizioni più articolate di tali cerchiature andranno adottate per corpi di fabbrica più este-
si e con pareti intermedie, in modo da collegare anche gli innesti murari intermedi.
In casi particolari, specialmente per collocazione in ambienti angusti che non consentono il
ricorso a barre o profilati di elevata lunghezza ed anche in specifiche situazioni di perfora-
zioni armate, possono essere impiegate barre Dywidag che risolvono agevolmente sia il pro-
blema delle giunzioni in più elementi di minore lunghezza sia il problema dell’ancoraggio alle
estremità (mediante inserimento di piastre supplementari di ripartizione) sia infine la regola-
zione della messa in tensione al montaggio. Dettagli e caratteristiche sono riportati negli sche-
mi e nei prospetti della tabella 17.4 ripresi da materiale divulgativo.
A conclusione della descrizione riportata in questo paragrafo, nel prospetto riepilogativo della
tabella 17.5 si rapportano le singole tecniche d’intervento ai risultati conseguibili. Si osserva
297
Fig. 17.9
298
Tabella 17.4
299
che gli stessi risultati possono essere ottenuti, in generale, con tecniche diverse: ciò consente
di articolare il progetto di consolidamento non solo riguardo alla specificità dell’opera archi-
tettonica ma anche in rapporto alla rispondenza migliore ai requisiti posti per ogni operazio-
ne di restauro (si veda il capitolo 19).
Le tecniche considerate sono riferite alle pareti murarie. Risultati riguardanti le pareti posso-
no anche essere ottenuti indirettamente, operando su altri elementi strutturali (è il caso, ad
esempio, dell’irrigidimento di solai e coperture nel proprio piano: operazione che presenta
risvolti sulle pareti nei termini dei risultati relativi alla 6ª e alla 7ª colonna del prospetto rie-
pilogativo).
Tabella 17.5
RISULTATI OTTENIBILI
collegate o lesionate
Solidarizzazione di
TECNICHE
dei meccanismi di
murario. Aumento
Incremento della
Assorbimento di
della resistenza
Riduzione delle
azioni sismiche
maglia muraria
Miglioramento
D’INTERVENTO
Eliminazione
sulle pareti
1° modo
murarie
Risarciture o rifacimenti
x x x
localizzati a cuci-scuci
Tamponatura di vani e
x x
di rientranze dei muri
Inserimento di nuove
x x x x
pareti murarie
Cordolature di sommità
x x x
ed a quota intermedia
Inserimento di tiranti
x x x x
o di cinture metalliche
Perforazioni armate x x x x
Riquadratura di vani
x x
TECNICHE MODERNE
Rivestimento con
x x x x x
intonaco armato
Incollaggio di strisce
x x x
fibrorinforzate
Inserimento di elementi
x
dissipativi
300
17.3.5. Interventi su pilastri murari
Il rinforzo di pilastri murari può essere effettuato per via diretta, mediante aumento delle
caratteristiche meccaniche, o indiretta, mediante contenimento della deformazione trasversa-
le oppure mediante riduzione del carico applicato. Quest’ultima strada dovrà essere percorsa,
alleggerendo le strutture sovrastanti oppure trasferendo parte del carico ad altri elementi, più
resistenti o in migliori condizioni, quando non sia perseguibile alcun intervento di rinforzo,
come spesso accade ad esempio per pilastri monolitici o colonne.
Negli altri casi, le tecniche possono essere derivate, più o meno direttamente, dalle corri-
spondenti descritte per le murature verticali: da risarciture localizzate e da stilature dei ricor-
si di malta, a iniezione del corpo murario ed a rivestimento con intonaco armato.
In particolare il rinforzo diretto di un pilastro può essere effettuato con la tecnica dell’inie-
zione di miscele leganti leggermente espansive, applicabili, come per le pareti murarie, in tutti
i casi di presenza di sconnessioni e vuoti nella parte interna della muratura: quindi prevalen-
temente in pilastri massicci con costituzione a sacco. Il completamento e la rigenerazione
della malta induce un aumento di resistenza tanto più marcato in funzione del rapporto di qua-
lità miscela/muratura.
Il contenimento della deformazione trasversale può essere effettuato a mezzo di diffuse perfo-
razioni armate con barre di piccolo diametro, operanti per aderenza col corpo murario: la ele-
vata rigidezza assiale delle barre di acciaio è in grado di ridurre drasticamente la deformazio-
ne trasversale specialmente nella fase post-elastica che preannuncia la rottura per schiaccia-
mento. Una tecnica, questa, applicabile per murature in vista; le perforazioni, non interamen-
te passanti e leggermente inclinate verso il basso, hanno il punto d’attacco in corrispondenza
delle intersezioni fra i giunti di malta orizzontali e verticali.
Il contenimento della deformazione trasversale può essere effettuato anche per contrasto a
Fig. 17.10
301
mezzo di elementi esterni, preferibilmente nei casi in cui la presenza di intonaco, sostituibile,
consente di occultare gli elementi esterni. Tali elementi, disposti ad opportuno interasse, pos-
sono essere costituiti da cerchiature metalliche o da fasciature fibrorinforzate: queste costi-
tuenti un intervento di presidio, quelle invece un intervento del tipo attivo (se disposte in leg-
gero stato di presollecitazione, operando mediante forzature di tipo meccanico; si osserva che
se le cerchiature sono in vista ed i pilastri sono all’esterno, la presollecitazione è necessaria
per compensare gli effetti di dilatazione termica differenziale tra l’acciaio e la muratura).
Nella figura 17.10 sono mostrate le cerchiature in ferro forgiato poste alla base ed alla som-
mità dei pilastri del Duomo di Orvieto (Terni). I pilastri hanno sezione circolare con diame-
tro di circa 2 m e presentano costituzione conforme a quanto descritto per i muri perimetrali;
ogni cerchiatura è una fascia metallica in due pezzi semicircolari collegati fra loro con cer-
niera cilindrica e con giunto di chiusura a forchetta, imboccato con cunei metallici di forza-
tura.
Nella figura 17.11 è mostrato il caso dei pilastri in blocchi di pietra calcarea nel perimetro
esterno del Palazzo della Provincia, a Perugia, rinforzati con sistemi di cerchiatura messi a
punto nel 1913 da un giovane Sisto Mastrodicasa. Nella figura 17.12 è invece mostrata una
fase del rinforzo con fibre di carbonio dei pilastri in blocchi di tufo collocati a secco della
Cattedrale di Palestrina (Roma), aventi sezione all’incirca rettangolare di lati 120 cm e 60 cm.
Le fasciature sono disposte ad interasse di 60 cm, ad avvenuta sigillatura dei giunti verticali
ed orizzontali fra i blocchi; la foto mostra la fase di preparazione dei piani di applicazione
delle fasce fibrorinforzate, effettuata con malta cementizia di regolarizzazione e di raccordo
degli spigoli (previa asportazione di strisce di intonaco).
In casi particolari le cerchiature metalliche possono diventare delle vere e proprie protesi este-
se per tutta l’altezza del pilastro. Nella foto della figura 17.13 ne è mostrato un esempio; trat-
tasi dei pilastri murari del loggiato sul giardino interno del complesso del Buon Pastore, a
Viterbo, di sezione quadrata (lato 60 cm) e
costituiti da un tratto di base in peperino e da
un tratto superiore in muratura. Il tratto di
base è una coppia di blocchi allungati, ciascu-
no di sezione 30cm · 60cm, affiancati tra loro;
il tratto superiore è in mattoni e blocchi minu-
ti di tufo legati con malta poco consistente. Il
tipo di rinforzo mira da un lato ad aumentare
Fig. 17.11
302
Fig. 17.12
5 L’intervento è stato completato, ad avvenuta applicazione della gabbia metallica, con reintegrazioni di
materiale e con locali iniezioni di malta.
6 Se la gabbia è bene ancorata alla muratura, alle estremità superiore ed inferiore.
303
Fig. 17.14
La disposizione piana comporta l’asportazione del pavimento, del sottofondo e di parte del
rinfianco; la eventuale disposizione curva in aderenza comporta l’asportazione totale del rin-
fianco e la messa a nudo della superficie muraria di estradosso.
Un caso particolare di volta a botte è rappresentato dalle scale con rampe e pianerottoli alla
romana, per le quali la disposizione in foglio dei mattoni non consiglia l’asportazione del rin-
fianco.
Per quanto riguarda i solai con struttura in legno, l’intervento può mirare al rinforzo ed all’ir-
rigidimento dei singoli elementi nel piano verticale come anche alla formazione di un’eleva-
ta rigidezza d’insieme nel piano orizzontale: rispettivamente in rapporto ai carichi verticali
agenti, permanenti e d’esercizio, ed al collegamento delle pareti murarie sotto l’azione del
sisma.
In rapporto ai carichi verticali, il rinforzo può essere effettuato per via diretta o indiretta.
In questo secondo caso l’operazione è affidata ad elementi strutturali aggiuntivi che, assorben-
do una parte delle sollecitazioni, riducono lo stato di sollecitazione negli elementi lignei esi-
stenti. Gli elementi aggiuntivi possono essere disposti in affiancamento od a rinforzo agli esi-
stenti; disposti invece trasversalmente ne riducono la luce libera: operando però, in generale,
un’alterazione qualitativa o quantitativa nella distribuzione dei carichi sui muri perimetrali.
Elementi aggiuntivi trasversali sono costituiti da una o più travi rompitratta, un tempo mate-
rializzate da robuste travi in legno e più recentemente da profilati metallici; le sezioni delle
travi rompitratta vanno proporzionate in relazione al rapporto delle rigidezze e in modo da
poter acquisire, per mezzo di opportune forzature, funzione attiva e non di presidio.
Nel primo caso il rinforzo può essere effettuato ricorrendo all’inserimento nel corpo ligneo di
barre metalliche sigillate con malte a base di resine oppure all’esecuzione di iniezioni di resi-
ne epossidiche, volte anche alla ricostituzione di intere parti lignee (ad esempio, le testate
deteriorate per umidità). Meno frequenti, ma possibili, sostituzioni di parti con nuovi elementi
in legno, se non la sostituzione completa dell’elemento strutturale degradato.
Una disposizione tradizionale a rinforzo è costituita dall’eliminazione di parti deteriorate con
inserimento di parti di nuova costituzione, chiodate o staffate alla trave esistente; oppure dal
montaggio, per un’adeguata lunghezza, di un sottotrave fissato alla trave mediante fasciature
trasversali poste a contrasto mediante cunei di forzatura.
Ancora tradizionale, anche come intervento provvisorio, è l’inserimento a contrasto, con
cunei di legno, di sottocavalletti lignei a puntoni inclinati; i puntoni devono avere un’inclina-
zione ottimizzata fra le due opposte esigenze di non determinare forti valori di spinta e di non
determinare forti ingombri nell’ambiente sottostante. Nelle immagini della figura 17.15 e
della figura 17.16 sono riportati due casi di sottocavalletti: il primo, nel borgo di Tragliata
(Roma), facente parte di un articolato sistema di rinforzo del solaio, il secondo nel Comune
304
Fig. 17.15 Fig. 17.16
di Preci (Perugia) in località Roccanolfi; in entrambi i casi è rilevabile l’esiguità della sezio-
ne dei due puntoni inclinati.
In rapporto alle azioni orizzontali, quindi alla necessità di dotare il solaio tanto di un’efficace
funzione di collegamento delle pareti perimetrali quanto di un irrigidimento nel proprio piano,
il rinforzo del solaio può essere effettuato con sistemi di crociere in piatti di acciaio da collo-
care sotto il pavimento e da ancorare alle pareti: ciò senza fare necessariamente ricorso a
pesanti interventi con solette armate.
Un esempio è fornito nelle immagini della figura 17.17 che si riferisce ad un’ala del Palazzo
del Podestà a Gubbio per il rinforzo di un solaio in legno effettuato nel corso delle operazio-
ni di consolidamento del periodo 2000-2003. Le crociere sono ancorate, entro appositi incas-
si, ai muri mediante saldatura a barre d’acciaio predisposte entro apposite perforazioni; la
stesa di rete elettrosaldata è stata resa necessaria per la ricostituzione di un massetto sotto
pavimento abbastanza spesso per compenso di dislivelli presenti con le zone adiacenti.
Il rinforzo di solai a struttura metallica può essere effettuato, con le incongruenze logiche
segnalate per i solai in legno, mediante inse-
rimento di travi rompitratta.
Nel caso di profilati con acciaio sicuramente
saldabile (i profilati di produzione fine otto-
cento, i profilati della serie NP) il rinforzo
può essere effettuato operando dal calpestìo
sovrastante mediante:
Fig. 17.17
305
– asportazione di pavimento e allettamento e di un conveniente strato di spianamento;
– saldatura di opportuni elementi metallici (spirale; perni; basette a L) sull’ala superiore del
profilato a I del solaio;
– stesa di rete elettrosaldata sull’intera superficie del solaio (diametro da 4 a 8 mm; maglie
da 10 a 20 cm);
– getto di soletta di calcestruzzo sull’intera superficie del solaio, per uno spessore da 4 a 6 cm.
La rete può essere risvoltata sui muri perimetrali e ad essi ancorata mediante perforazioni
armate con barre saldate per punti ai ferri della rete, per migliorare il collegamento del solaio
ai muri e per realizzare un efficace piano rigido nei confronti delle azioni sismiche orizzon-
tali; nella figura 17.18 sono riportati gli schemi costruttivi dell’intervento.
Si osserva che questa tecnica rende il solaio meno deformabile nella fase di esercizio per i
carichi verticali, stante la collaborazione acciaio/calcestruzzo fra trave e soletta rese solidali
fra loro per mezzo degli elementi metallici saldati alla trave ed inglobati nel getto; può esse-
re opportuno esaltare questo effetto puntellando provvisoriamente le travi, ad avvenute ope-
razioni di asportazione di pavimento, allettamento e riempimento, per tutte le fasi di getto e
indurimento della soletta.
Eventuali travi presenti negli orizzontamenti possono essere rinforzate più che con interventi
diretti, sulle travi stesse (non sempre possibili) a mezzo di integrazioni e saldature, con pro-
cedimenti indiretti inserendo nuove travi di minore ingombro e di immediata riconoscibilità
volte a ridurre i carichi applicati sulle travi esistenti.
Il rinforzo di elementi di orizzontamento in cemento armato può essere agevolmente esegui-
to, nel caso di calcestruzzo integro anche negli strati più superficiali (copriferro), mediante
incollaggio di piatti metallici con resine epossidiche o di strisce di fibre aramidiche o di car-
bonio: elementi tutti facilmente ricopribili dall’intonaco, anche se di contenuto spessore.
Nel caso di copriferro degradato e barre ossidate, ma in quantità sufficiente, l’intervento può
consistere nell’asportazione completa del copriferro, nella messa a nudo e nella pulitura e ver-
niciatura delle barre ossidate, nella ricostituzione del copriferro mediante applicazione di
malte o microconglomerati reoplastici.
Per solai a struttura mista, di elementi resistenti in calcestruzzo armato e di elementi di alleg-
gerimento, l’intervento di rinforzo può essere eseguito all’interno della struttura del solaio,
utilizzando alcuni filari di cavità degli elementi di alleggerimento stessi.
Fig. 17.18
306
Fig. 17.19
307
A titolo esemplificativo, nella figura 17.19 sono riportati i dettagli costruttivi dell’intervento
di rinforzo effettuato sul solaio di calpestìo di alcuni ambienti in un fabbricato a struttura
muraria, adibito a biblioteca, per l’adeguamento strutturale ai carichi d’esercizio; la struttura
del solaio è ad elementi cementizi prefabbricati, cavi, affiancati.
Si osserva che l’intervento indicato non comporta ingombri definitivi al piano sottostante
(precauzionalmente interessato soltanto da alcuni puntellamenti di salvaguardia) in quanto le
operazioni proposte, e realmente eseguite, non riguardano la superficie d’intradosso del solaio
ma sono effettuate dal piano di calpestìo sovrastante.
Fig. 17.20
308
Quest’ultima tecnica consiste, come la corrispondente eseguita con staffatura orizzontale a [
posta ad abbracciare la testata ed ancorata alla catena, con bulloni passanti, nel riportare la
componente orizzontale, esercitata dal puntone, alla catena oltrepassando il nodo
puntone-catena. L’intervento può essere agevolmente eseguito senza smontare parte della
copertura.
L’inserimento di diagonalature metalliche di falda, fra i puntoni delle capriate, unitamente ad
una bonifica di sommità delle pareti murarie (eventualmente a mezzo di cordoli), consente di
realizzare un piano rigido ed efficaci collegamenti alla quota della copertura.
Per coperture a struttura metallica o di cemento armato, valgono i criteri descritti per i corri-
spondenti solai.
17.3.8. Riepilogo
I precedenti paragrafi mostrano, in generale, una pluralità di risposta alla richiesta di rinfor-
zo. Infatti il progredire continuo delle tecniche d’intervento consente di risolvere in più modi
lo stesso problema: ad esempio la connessione affidabile fra pareti murarie può essere otte-
nuta con operazioni progressive di scuci e cuci, oppure mediante esecuzione di perforazioni
armate degli innesti, o ancora attraverso apposizione di catene o di tirantature di piano, come
anche infine attraverso operazioni combinate con altri effetti (come irrigidimenti di piano).
La scelta fra l’una o l’altra tecnica va effettuata prima di tutto in rapporto alle caratteristiche
dell’opera architettonica sulla quale si deve intervenire, in particolare, in rapporto alle carat-
teristiche della muratura, e successivamente in rapporto ad una serie di parametri riconosciu-
ti alla base di ogni operazione di restauro (del quale il consolidamento è parte) ed esaminati
in dettaglio nel paragrafo 19.1. Si tratterà pertanto di stabilire un peso da attribuire a tali para-
metri, ad esempio assumere come fondamentale la durata nel tempo oppure il minimo impat-
to visivo; oppure privilegiare il carattere tradizionale rispetto all’innovativo ecc., mediante il
quale eseguire la scelta delle tecniche che meglio lo rispettano.
La definizione progettuale complessiva è, infine, effettuata nel contesto dell’intervento nel suo
insieme, degli obiettivi proposti, delle caratteristiche anche storiche dell’opera architettonica.
309
18
Modellazione ed analisi1
18.1. PREMESSE
Nella parte relativa alle nuove costruzioni sono stati definiti i modelli e le modalità di analisi
della sicurezza che rimangono nell’insieme validi anche per le costruzioni esistenti.
Tuttavia in tale tipo di costruzioni si possono evidenziare le problematiche specifiche che di
seguito vengono prese in considerazione.
Un primo aspetto è relativo alle connessioni tra pareti ortogonali (innesti murari) e tra pareti
ed orizzontamenti.
La tipologia di danno osservata con maggiore frequenza è relativa a meccanismi detti di I°
modo che riguardano il collasso, parziale o totale, di pareti investite da un sisma ortogonale
al piano medio delle pareti stesse.
Un secondo aspetto consiste nella valutazione dell’efficacia degli orizzontamenti nel proprio
piano in termini di rigidezza e di capacità di collegamento delle pareti dell’edificio.
Tali ultimi aspetti si presentano, in generale, di problematica caratterizzazione numerica con-
siderata la varietà delle situazioni riscontrabili e la difficile valutazione delle reali condizioni
di connessione tra gli elementi costruttivi.
Per quanto riguarda gli aspetti di rigidezza nel piano, sono individuabili due condizioni estreme:
a) orizzontamenti indeformabili;
b) orizzontamenti privi di rigidezza.
Il primo caso, specifico della tipologia dei solai in calcestruzzo armato, è raramente presente
nella edilizia storica mentre è ricorrente nell’edilizia recente. In questa eventualità sono appli-
cabili le modellazioni a piano rigido ed i metodi di analisi visti in precedenza.
Anche in assenza di indeformabilità dei piani, la normativa prevede l’analisi globale dell’in-
tero organismo. Tale analisi globale si può effettuare solo con una determinazione dell’effet-
tivo valore di rigidezza ai piani che di solito risulta incerta e poco affidabile.
È quindi giustificato, almeno in alcuni casi, riferirsi al secondo caso limite che porta ad una
modellazione piana per pareti singole: quelle disposte nella direzione del sisma e soggette,
ciascuna, ai carichi verticali ed alle masse di competenza.
In tal senso si è espresso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici con parere, che seppure
datato (adunanza del 27.02 92), resta concettualmente attuale:
“l’analisi sismica globale prevista dalle norme va intesa nel senso che la globalità dell’edifico
deve essere passata in rassegna per individuare i possibili meccanismi di dissesto che l’azione
sismica può provocare in ogni sua parte.”
Resta comunque possibile una modellazione tridimensionale a telaio spaziale equivalente, per
la quale i nodi della singola parete sono rigidamente collegati tra loro piano per piano, men-
tre rimangono praticamente indipendenti rispetto ai nodi delle altre pareti.
1 L’aggiornamento alle NTC 2008 è riportato ai paragrafi B.9.1, B.9.3 e B.9.4.
Con tale modellazione risulta in genere elevato il numero degli incogniti spostamenti. Viene
poi a mancare ogni ridistribuzione del taglio tra parete e parete: ciò delinea un possibile indi-
rizzo di intervento consistente nell’introdurre, se possibile, artificialmente (croci di diagona-
li, solette di calcestruzzo armato) una aliquota più o meno grande della mancante rigidezza
nonché un effetto più o meno marcato di connessione alle pareti.
Un terzo aspetto infine, specifico delle murature esistenti, consiste nel riferire la crisi da taglio
di un elemento murario alla rottura diagonale, più frequente in questi casi, rispetto alla rottu-
ra per scorrimento.
In definitiva gli aspetti elencati mostrano una gerarchia delle analisi che pone in primo piano
lo studio dei meccanismi di primo modo. Tale studio, basato sull’analisi cinematica, verrà svi-
luppato di seguito.
L’analisi cinematica, riferita alle singole pareti, può essere utilizzata con diverse finalità anche
per i meccanismi detti di secondo modo relativi alle azioni nel piano. Tali ultimi meccanismi
verranno analizzati in un successivo paragrafo.
Infine verranno riprese le metodologie di analisi presentate nella prima parte al fine di stabi-
lire se e come tali metodologie sono applicabili agli edifici esistenti.
Pare opportuno evidenziare che per gli edifici esistenti le analisi, qualunque sia la metodolo-
gia prescelta, vanno riferite in primo luogo allo stato di fatto, con un approfondimento suffi-
ciente, al fine di individuare il livello di sicurezza in tale stato e gli interventi più opportuni
da effettuare.
Le analisi vanno poi ripetute nello stato consolidato, in modo da determinare il livello di sicu-
rezza raggiunto.
312
Modelli più sofisticati consentono di considerare in via approssimata: a) gli scorrimenti tra i
blocchi, in presenza dell’attrito; b) le connessioni tra le pareti sia pure con resistenza limita-
ta; c) l’eventuale presenza di catene metalliche; d) la resistenza a compressione limitata che
si traduce, come verrà mostrato in seguito, in un adeguato spostamento delle cerniere dallo
spigolo della sezione verso l’interno della sezione stessa; e) la schematizzazione di pareti con
paramenti non collegati.
L’analisi cinematica lineare consente di valutare il moltiplicatore orizzontale αo dei carichi
che attiva il previsto meccanismo.
Ai blocchi rigidi formanti la catena cinematica vanno applicati i seguenti carichi:
– i pesi propri dei blocchi, applicati nei rispettivi baricentri;
– i carichi verticali portati dai blocchi e dovuti ai carichi dei solai nonché i pesi di eventua-
li altri elementi murari non considerati nel modello;
– un insieme di forze orizzontali proporzionali ai carichi verticali considerati;
– forze esterne trasmesse ad esempio da catene, se presenti;
– azioni interne dovute ad esempio all’ingranamento tra i conci murari, se previste.
Partendo da una rotazione virtuale θk assegnata ad un generico blocco k, si possono determi-
nare gli spostamenti delle forze applicate nelle corrispondenti direzioni, che risulteranno fun-
zione di θk e della geometria della struttura.
Il principio dei lavori virtuali, in termini di spostamenti, consente di ricavare il moltiplicato-
re αo attraverso l’eguaglianza del lavoro complessivo eseguito dalle forze esterne ed interne
sul sistema, in corrispondenza dell’atto di moto virtuale:
n n+ m n o
αo ( ∑P i
δxi + ∑ ) ∑P
Pj δ xj - i
δyi - ∑F h δh = L fi (18.1)
i=1 n+1 i=1 h=1
313
applicazione dei pesi, associato al cinematismo, deve essere considerato come una forma
modale di vibrazione. Il coefficiente di partecipazione gm è fornito dalla formula (11.34):
n+ m
∑Pδ i xi
gm = i=1
n+ m
∑Pδ 2
i xi
i=1
∑Pδ i xi
e dividendo per l’accelerazione di gravità g ottenendo quindi:
i=1
2
n+ m
∑
Piδxi
i=1
M =
*
n+m (18.2)
g ∑ Piδ xi
2
i=1
L’accelerazione sismica spettrale ao* di attivazione del meccanismo si ricava dal prodotto del
moltiplicatore αo per l’accelerazione di gravità e dividendo tale prodotto per la frazione di
massa e* partecipante al cinematismo.
Il valore di e* è fornito dall’espressione:
g M*
e =
*
n+m (18.3)
∑ Pi
i=1
e quindi:
n+m
α g
αo ∑P i
i=1
ao *
= o* = *
(18.4)
e M
314
Nel caso di meccanismi locali lo SLD coincide con la formazione di fessurazioni che non inte-
ressano l’intera struttura ma solo una sua parte.
Negli edifici esistenti in muratura, per tener conto anche delle esigenze di conservazione, la
verifica per tale stato limite è consigliabile ma non è richiesta tassativamente.
Al contrario la verifica allo SLU dei meccanismi locali è indispensabile per garantire la sicu-
rezza nei riguardi del collasso.
Operando nel campo dell’analisi cinematica lineare, la verifica è positiva se l’accelerazione
spettrale aο* di attivazione del meccanismo risulta maggiore o eguale all’accelerazione del
corrispondente spettro di progetto, amplificato come già visto nella (18.5):
ag S Z
a o* ≥ ( 1 + 1.5 ) (18.6)
q H
con q fattore di struttura che si assume pari a 2.00.
dk
α = αo ( 1 - ) (18.7)
d ko
In figura 18.1 si riporta la rappresentazione grafica di tale relazione.
Fig. 18.1
315
Lo scopo ultimo di una analisi cinematica non lineare è di valutare la capacità di spostamen-
to della struttura sino al collasso. Tale obiettivo si persegue attraverso la definizione della
curva di capacità di un oscillatore equivalente.
Tale curva di capacità si definisce come relazione tra accelerazione spettrale a* e spostamen-
to d*.
La massa M* partecipante al cinematismo si determina con la (18.2), mentre l’accelerazione
spettrale di attivazione del meccanismo è definita dalla (18.4).
Lo spostamento spettrale d* dell’oscillatore equivalente si valuta come spostamento medio dei
diversi punti cui sono applicati i pesi Pi, pesato sui pesi stessi. Con sufficiente approssima-
zione, noto lo spostamento dk del punto di controllo, lo spostamento spettrale equivalente si
definisce riferendosi agli spostamenti virtuali relativi alla configurazione iniziale:
n+ m
∑P δ i xi
d = dk
* i=1
n+ m (18.8)
δxk ∑ Pi
i=1
in cui n, m, Pi δxi sono stati definiti in precedenza mentre con δxk si indica lo spostamento vir-
tuale orizzontale del punto di controllo, assunto come riferimento per lo spostamento dk.
Se la curva di capacità presenta un andamento lineare, la curva stessa assume l’espressione:
d*
a * = a*o ( 1 - ) (18.9)
d*o
in cui con d*0 si indica lo spostamento spettrale equivalente relativo allo spostamento dko.
La capacità di spostamento per lo SLD è valutata in corrispondenza dell’accelerazione spet-
trale a*0, corrispondente all’attivazione del meccanismo. Quindi tale verifica coincide con la
omologa verifica definita attraverso la (18.5) per l’analisi cinematica lineare.
La verifica dei meccanismi locali allo SLU è un confronto tra lo spostamento ultimo d*u del
meccanismo locale e la domanda di spostamento ∆d, valutata attraverso uno spettro definito
in analogia allo spettro utilizzato per gli elementi non strutturali, in corrispondenza del perio-
do secante Ts. Lo spostamento d*s si definisce pari al 40% dello spostamento d*u:
La curva di capacità fornisce il valore della accelerazione a*s corrispondente allo spostamen-
to d*s; se tale curva si può confondere con una retta risulta:
d*s
a *s = a *o ( 1 - ) (18.11)
d*o
316
La domanda di spostamento ∆d(Ts) si valuta come segue:
Ts < 1.5 T1 ∆ d ( Ts ) = a g S
Ts2
4 π2
( 1 +3(1(1-T+ Z/H)
/T) 2
- 0.5 ) (18.13a)
s 1
1.5 T1 Ts
1.5 T1 ≤ Ts< TD ∆ d ( Ts ) = a g S
4 π2
( 1.9 + 2.4 HZ ) (18.13b)
1.5 T1 TD
TD ≤ Ts ∆ d ( Ts ) = a g S
4 π2
( 1.9 + 2.4 HZ ) (18.13c)
con: ag, S, TD, Z, H definiti in precedenza mentre T1 è il primo periodo di vibrazione della
struttura nella direzione considerata.
La verifica di sicurezza è positiva se si realizza la condizione:
∆ d ≤ d*u
Fig. 18.2
317
Il possibile ribaltamento della parete avviene con rotazione θ intorno alla cerniera C situata
sul suo spigolo esterno; il parametro che caratterizza il cinematismo è quindi l’angolo θ.
Assegnato l’angolo θ = 1, la 18.1 assume nel caso specifico la forma:
h t
α o ( P1 h + P2 ) - ( P1 d + P2 ) - T h T = 0
2 2
da cui :
t
( P1 d + P2 + T hT ) (18.14)
αo = 2
h
( P1 h + P2 )
2
Si vuole poi determinare la rotazione θu che rappresenta il limite al di sopra del quale l’azio-
ne dei carichi verticali diviene instabilizzante ed il cinematismo irreversibile. Questa condi-
zione si realizza quando la risultante dei carichi verticali esce dalla sezione.
Le coordinate del baricentro dei carichi verticali risultano:
θu = xR/zR
Assunto come punto di controllo il baricentro della parete, il suo spostamento ultimo sarà:
xR h
d ko = (18.15)
zR 2
La massa partecipante al cinematismo si valuta con la (18.2) con δx1= h ed δx2 = 0.5h.
L’accelerazione spettrale a*0 è fornita dalla (18.4), mentre le (18.5) e (18.6) consentono rispet-
tivamente le verifiche per lo SLD e per lo SLU; in tali formule Z = Q + zR.
In caso di assenza di tirante (T=0), molto spesso la verifica allo SLU non risulta positiva. In tal
caso il tirante deve essere inserito e può essere interessante trovare il valore del tiro T* (tiro
minimo) per il quale la (18.6) risulta soddisfatta sotto forma di eguaglianza. Indicando con ad
l’accelerazione di progetto richiesta:
ag S Z
ad = ( 1 + 1.5 )
q H
α oM T* h T
a *o = *
g + g = ad (18.16)
e h
(P1 h + P2 ) e*
2
318
dove con αoM si è indicato il contributo della sola muratura nell’espressione (18.14):
t
( P1 d + P2 )
α oM = 2
h
( P1 h + P2 )
2
h
(P1 h + P2 ) e*
α 2
T = ( a d - oM
*
g) (18.17)
e* hT g
Fig. 18.3
Come conseguenza a tale limitazione, la cerniera C si sposta verso l’interno della parete di
una quantità x1 che si definisce imponendo la condizione di equilibrio alla traslazione verti-
cale:
0.5 σm x1 l = Σ Pi
da cui:
x1 =
2 ∑P i
σm l
Tale spostamento della cerniera C è non trascurabile per una muratura di resistenza bassa.
L’esempio numerico che si presenta in dettaglio è relativo al cinematismo del tipo presentato
in figura 18.2 e ad una parete avente le dimensioni geometriche: l = 5.00 ml, t = 0.50 ml, h = 3.5
ml; il peso specifico della muratura è pari a 1600 daN/ mc. La parete ha la sua quota di base
319
Q = 3.5 ml, in quanto situata al secondo piano di un edificio di due piani con interpiano di
3.50 ml e quindi altezza totale 7.00 ml. L’edificio preso in esame è situato in zona 2, su suolo
di categoria C mentre il fattore d’ importanza è uguale ad 1.
La forza in sommità P1 = 8125 daN è posta a distanza d = 0.40 ml dal bordo esterno della
parete.
Il peso proprio della parete vale: P2 = 0.50 · 3.50 · 5.0 · 1600 = 14000 daN, e quindi risulta:
Σ Pi = 22125 daN.
Si vuole in via preliminare verificare la parete in assenza di tirante.
Il moltiplicatore di collasso, utilizzando la (18.14) con T = 0, risulta:
Risultando a*0 < ad la verifica non è positiva e quindi è necessario un tirante in sommità, che
viene disposto a 50 cm dal bordo superiore della parete, in modo che risulti hT = 3.00 ml.
Si vuole ora determinare il valore T*, valore di T per il quale la (18.6) è soddisfatta come
eguaglianza. Applicando la (18.17), risulta:
h
(P1 h + P2 ) e*
α 2 52937.5 ⋅ 0.889
T = ( a d - oM
*
g) = (0.3534 - 0.143) = 3301 daN
e* hT g 3.00
320
a*0/ad SLU
a*g/g
Diagramma a*g/g - a*0/ad
Fig. 18.4
T* SLU
ag/g
Diagramma ag/g - T*
Fig. 18.5
321
Infine si vuole controllare la variazione del rapporto a*0/ad e di T* al variare del parametro ag.
Un opportuno programma di calcolo consente questo controllo, riportato nelle figure 18.4 e
18.5.
Dal diagramma di figura 18.4 si nota che il rapporto a*0/ad assume un valore > 1 solo in zona
4, mentre dal diagramma di figura 18.5 si può constatare che il rapporto ag/g = 0.100 rappre-
senta un limite oltre il quale è necessaria la presenza di un tirante.
In effetti il valore di ag che corrisponde a ad = a*0 in assenza di tirante, valutato analiticamen-
te, risulta: ag = 0.101 g.
Fig. 18.6
Per ipotesi la risultante dei carichi verticali N è applicata nel baricentro della sezione supe-
riore della parete; la cerniera C2 si forma nel punto di tangenza della curva delle pressioni
(relativa ai carichi distribuiti verticali ed orizzontali dei quali in figura si mostrano le risul-
tanti) con un lembo esterno della parete.
La parete risulta suddivisa in due corpi di altezza h1 ed h2, collegati dalla cerniera C2. Le altez-
ze dei due corpi sono messi in relazione con l’altezza h della parete, nella forma:
x-1 h
h1 = h ; h2 =
x x
322
Assegnata una rotazione virtuale θ1 = 1 al corpo 1, i parametri del cinematismo risultano così
definiti:
h
θ2 = 1 = x - 1 ;
h2
h h x-1 t
δ1x = 1 = ; δ1y = ;
2 2 x 2
h x-1 h
δ2x = θ2 2 = = δ1x
2 x 2
t t t
δ2 y = θ1 t + θ2 = t + (x - 1) = (1 + x)
2 2 2 (18.18)
t
δNy = δ 2y = (1 + x)
2
Il peso proprio della parete vale: P = γm · l · t · h, dove con γm si indica il peso specifico della
muratura e con l la lunghezza della parete. Il peso dei corpi 1 e 2 si può esprimere in funzio-
ne del peso P e della incognita x:
x-1 P
P1 = P ; P2 = .
x x
P1 P2
x = (x-1) ; x = 1
P P
che sostituite nell’espressione relativa ad αo (x), consentono di scrivere:
N
(x-1) + (1 + x ) (1 + x)
t P
α o (x) =
h x-1
Tale ultima formula si pone poi nella forma:
N
2x + (1 + x)x
t P
α o (x) =
h x-1 (18.19)
323
Il valore di x si ricava con la condizione:
dα o (x )
= 0
dx
cui corrisponde αo(x) = min; noto x, si ricava poi la quota h1 della sezione di frattura.
Ricordando la formulazione della derivata del rapporto tra due funzioni:
con opportuni passaggi si arriva alla conclusione che l’annullarsi della derivata prima di αo(x)
porta all’equazione di secondo grado:
P
x 2 - 2x - (1 + 2 ) = 0
N
la cui radice positiva fornisce il valore di x:
N+ P
x = 1 + (2 ) (18.20)
N
Trovato quindi x ed αo(x) con la (18.19), la massa partecipante al cinematismo si determina
con la (18.2) tenendo presente che in questo caso risulta δ1x = δ2x. L’accelerazione spettrale è
fornita dalla (18.4) mentre per la verifica allo SLD ed allo SLU si utilizzano rispettivamente le
(18.5) e (18.6).
Lo sforzo nel tirante T si ottiene dalla condizione di equilibrio alla rotazione del corpo 2
rispetto alla cerniera C2, da cui si ricava:
t P
T = (N + P2 ) + αo ( N + 2 ) (18.21)
2 h2 2
Da notare che il termine αoN che compare nella (18.21) non è stato evidenziato nella figura
18.6 in quanto direttamente assorbito dal tirante che si trova alla stessa quota.
L’esempio numerico che si presenta è relativo alla parete del paragrafo precedente che, oppor-
tunamente tirantata, è in condizione di sicurezza nei riguardi del meccanismo di ribaltamen-
to. Si vuole controllare se la parete stessa è in condizione di sicurezza anche relativamente al
cinematismo che può nascere per rottura interna. Si ricorda che le dimensioni geometriche
della parete sono: l = 5.00 ml, t = 0.50 ml, h = 3.50 ml; il peso specifico della muratura è pari
a 1600 daN/mc. La parete ha la sua quota di base Q = 3.50 ml ed è un elemento strutturale di
un edificio di altezza H =7.00 ml,in zona 2, su suolo di categoria C. La parete è soggetta ad
un carico verticale in sommità, che in questo esempio viene indicato con N, concentrato nel
baricentro di tale sezione; risulta N = 8125 daN. Oltre a tale carico, la parete è soggetta al peso
proprio ed alle azioni sismiche orizzontali.
Il peso proprio P = 14000 daN e quindi N + P = 22125 daN.
La (18.20) consente di trovare il valore di x = 3.334. Le altezze h1 ed h2 dei due corpi si valu-
tano con le relative formule presentate in precedenza:
3.334 -1 3.50
h1 = 3.50 = 2.45 ml. ; h 2 = = 1.05 ml.
3.334 3.334
324
I pesi propri dei due corpi sono quindi:
3.334 - 1 14000
P1 = 14000 = 9800 daN ; P2 = = 4200 daN.
3.334 3.334
g ⋅ 1427
e* = = 1
14000
L’accelerazione spettrale assume quindi il valore:
αo
a *o = g = 0.921 g
e*
Risultando a*0 > ad, la parete è in condizioni di sicurezza relativamente ad un cinematismo per
rottura interna. Lo sforzo T nel tirante si determina con la (18.21):
0.25 4200
T = (8125 + 4200) + 0.921 (8125 + ) = 12352 daN
1.05 2
Il meccanismo illustrato si può presentare anche nel caso di una parete pluripiano a spessore
costante vincolata alla base nella struttura di fondazione ed in sommità con tirante o cordolo,
mentre ai piani intermedi i solai non sono in grado di costituire vincolo. In tale situazione val-
gono le formulazioni precedenti, con h pari all’altezza totale H dell’edificio.
325
18.3.3. Cinematismo per ribaltamento composto di parete monopiano
Quando la parete ortogonale all’azione sismica è irrigidita da una parete trasversale, con
ammorsatura efficace tra le due pareti, il meccanismo di ribaltamento coinvolge anche una
parte della parete trasversale. La dimensione del cuneo di distacco è funzione della qualità
della muratura, della eventuale presenza di aperture nel muro trasversale e della posizione di
tali aperture.
In mancanza di aperture, l’osservazione dei danni provocati dal sisma su pareti che si sono
trovate in tale situazione porta a concludere che l’angolo β che definisce il cuneo di distacco
può variare tra i 15° ed i 30° in funzione della qualità della muratura (figura 18.7).
In tale figura si è indicata anche la presenza di un eventuale tirante.
Fig. 18.7
326
La (18.1) nel caso in esame assume la forma:
h 2 t l
α o P + P1 h + (N + N1 ) h-P + P1 (t + c ) + N ⋅ d + N1 (t + d c )-T ⋅ h T = 0
2 3 2 3
da cui:
t l
P + P1 ( t + c ) + N ⋅ d + N1 ( t + d c ) + T ⋅ h T
2 3
αo = (18.22)
h 2
P + P1 h + ( N + N1 ) h
2 3
In assenza di tirante, nella (18.22) si pone T = 0.
La massa partecipante al cinematismo e la relativa frazione di massa si valutano con le (18.2)
e (18.3), che in questo caso assumono la forma:
2
h 2
P + P1 h + (N + N1 ) h
2 3
M* = (18.23)
h 2 2
2
g P + P1 h + (N + N1 ) h 2
2 3
g M*
e* =
( P + P1 + N + N1 )
h 2
P + P1 h + (N + N1 ) h
zR = 2 3
P + P1 + N + N1
a *o ≥ a d
h 2 *
α oM P ⋅ + P1 ⋅ h + (N + N1 )h e
2 3
T = (a d - * g )
*
(18.24)
e hT g
327
Si presenta, come esempio numerico, la parete già proposta al paragrafo 18.3.1, ma in questo
caso irrigidita da una parete ortogonale ben ammorsata di spessore tc = 0.70 ml.
Si ricorda che le caratteristiche geometriche della parete sono:
l = 5.00 ml; t = 0.50 ml; h = 3.50 ml.
Ipotizzando un angolo β = 20°, la lunghezza lc risulta: lc = 3.50 · tg β = 1.2739 ml.
La muratura ha peso specifico pari a 1600 daN/ mc. I carichi agenti sono:
P = 0.50 · 3.50 · 5.00 · 1600 = 14000 daN; P1 = 0.5 · 0.70 · 1.2739 · 3.50 · 1600 = 2497 daN;
N = 8125 daN applicato a distanza d = 0.40 ml; N1 = 0
Il totale dei carichi verticali risulta pari a (P + P1 + N + N1) = 24622 daN.
Il moltiplicatore αo in assenza di tirante si valuta con la (18.22), ponendo T = 0:
Risultando a *o < a d la verifica risulta negativa. Per impedire l’innesco del cinematismo si
rende necessario un tirante che viene posto alla quota hT = 3.00 ml.
Il tiro minimo T*, che soddisfa la (18.6) sotto forma di eguaglianza, si determina con la
(18.24):
0.154 58763.83 ⋅ 0.899
T* = (0.353 g - g) = 3204 daN
0.899 3⋅ g
328
18.3.4. Ribaltamento di parete con due piani
Nel caso di parete con due piani come quella di figura 18.8, in assenza di tiranti, possono inne-
scarsi due distinti tipi di cinematismi:
a) ribaltamento dell’intera parete di altezza h1 + h2, intorno alla cerniera C1 che può formar-
si nello spigolo inferiore situato a quota 0.00.
Fig. 18.8
b) ribaltamento della parte superiore della parete di altezza h2 intorno alla cerniera C2 che
può formarsi nello spigolo a quota h1.
Il meccanismo più pericoloso sarà naturalmente quello cui corrisponde la più piccola accele-
razione spettrale a*0.
Si consideri per primo il cinematismo di ribaltamento dell’intera parete intorno alla cerniera C1.
Assegnata una rotazione virtuale unitaria θ = 1 in tale cerniera, i parametri del cinematismo
che interessano sono così definiti:
h1 h
δ1x = ; δ N1x = h1 ; δ2X = h1 + 2 ; δN2x = h1 + h 2
2 2
La (18.1) in questo tipo di cinematismo assume la forma:
h h
α o P1 1 + P2 (h1 + 2 ) + N1 ⋅ h1 + N 2 (h1 + h 2 ) +
2 2
t t
- P1 1 + P2 2 + N1 ⋅ d1 + N 2 ⋅ d 2 + T1 ⋅ h T1 + T2 ⋅ h T2 = 0
2 2
329
e quindi:
t1 t2
P1 + P2 + N1 ⋅ d1 + N 2 ⋅ d 2 + T1 ⋅ h T1 + T2 ⋅ h T2
2 2
α =
o h1 h2 (18.25)
P1 + P2 (h1 + ) + N1 ⋅ h1 + N 2 (h1 + h 2 )
2 2
Il cinematismo in esame si verifica in assenza di tiranti, quindi nella (18.25) si deve porre
T1 = T2 = 0.
La massa partecipante al cinematismo e la frazione di massa si determinano con le (18.2) e
(18.3) che per questo tipo di cinematismo assumono la forma:
2
h1 h2
P1 + P2 (h1 + ) + N1 ⋅ h1 + N 2 (h1 + h 2 )
2 2
M* =
h1 2
2
h (18.26)
g P1 + P2 h1 + 2 + N1 ⋅ h12 + N 2 ( h1 + h 2 )
2
2 2
g M*
e* =
( P1 + P2 + N1 + N 2 )
L’accelerazione spettrale di attivazione del cinematismo si determina quindi con la (18.4).
La quota zR cui è applicata la risultante delle azioni orizzontali risulta:
h1 h2
P1 + P2 (h1 + ) + N1 ⋅ h1 + N 2 (h1 + h 2 )
2 2
zR =
( P1 + P2 + N1 + N 2 )
Il valore Z da inserire nella formula di regolamento che porta alla determinazione dell’acce-
lerazione di progetto ad, risultando Q = 0, sarà: Z = zR.
La verifica è positiva se, in assenza di tiranti, risulta verificata la (18.6):
a *o ≥ a d
330
t1 h2
P1 + P2 + N1 ⋅ d1 + N 2 ⋅ d 2 + T2* ⋅ h T2 )
2 2
αo 1 =
h1 h2 (18.27)
P1 + P2 (h1 + ) + N1 ⋅ h1 + N 2 (h1 + h 2 )
2 2
L’accelerazione spettrale si può considerare somma dell’accelerazione spettrale corrispon-
dente ad α01 e del contributo per ora incognito del tirante 1.
La (18.6) scritta come eguaglianza assume la forma:
α o1 T1* ⋅ h T 1
a *o = g + g = ad
e* h1 h2
P1 + P2 (h1 + ) + N1 ⋅ h1 + N 2 (h1 + h 2 ) e*
2 2
Tale ultima relazione consente di ricavare l’incognita:
h1 h2
P1 + P2 (h1 + ) + N1 ⋅ h1 + N 2 (h1 + h 2 )
α o1 2 2
T1* = (a d − g) e* (18.28)
e* hT 1 ⋅ g
Si propone, come esempio numerico, una parete a due piani del tipo di figura 18.8, con le
seguenti dimensioni geometriche:
l = 5.00 ml; t1 = 0.70 ml; t2 = 0.50 ml; h1 = h2 = 3.50 ml.
La posizione dei tiranti è così definita:
hT1 = 3.00 ml; hT2 = 6.50 ml.
Il peso specifico della muratura è: γm = 1600 daN/mc.
I valori del peso proprio per i due elementi di parete di altezza h1 ed h2 sono rispettivamente:
P1 = 1600 · 5.0 · 0.7 · 3.5 = 19600 daN; P2 = 1600 · 5.0 · 0.5 · 3.5 = 14000 daN.
I carichi verticali N1 ed N2 sono:
N1 = N2 = 8125 daN
mentre le distanze d1 e d2 sono:
d1 = 0.60 ml; d2 = 0.40 ml.
L’edificio, di cui la parete presa in esame è uno degli elementi strutturali, è situato in zona 2
su suolo di categoria C mentre il fattore d’ importanza è uguale ad 1.
Con queste caratteristiche, il tronco di parete di altezza h2 viene a trovarsi nella stessa situa-
zione della parete monopiano presentata come esempio al paragrafo 18.3.1.
La somma dei carichi verticali agenti risulta: P1 + P2 + N1 + N2 = 49850 daN.
In assenza di tiranti, applicando la (18.25), risulta:
331
La relativa frazione di massa è:
g ⋅ 4028.88
e* = = 0.793
49850
L’accelerazione spettrale assume quindi il valore:
0.096 ⋅ g
a *o = = 0.121 g
0.793
La quota zR di applicazione della risultante delle azioni orizzontali è valutata di seguito:
193112.5
zR = = 3.87 ml.
49850
Risultando a *0 < a d , in assenza di tiranti la verifica è negativa e quindi la presenza dei tiran-
ti è necessaria. Il valore minimo T*2 del tiro nel tirante 2 si determina con la condizione di
sicurezza per il cinematismo b). Tale cinematismo, studiato al paragrafo 18.3.1, fornisce con
gli stessi dati di progetto del caso ora in esame: T*2 = 3301 daN. Il moltiplicatore dei carichi
αo1 si determina con la (18.27):
3301 ⋅ 6.50
α o1 = 0.096 + = 0.207
193112.5
Il valore minimo del tiro T*1 nel tirante 1, con la (18.28), risulta:
0.207 193112.5
T1* = (0.286 - )g 0.793 = 1274 daN
0.793 3⋅ g
Volendo operare un controllo sui risultati trovati, si può con la (18.25) determinare un valore
di αo che tenga conto dei valori trovati per T*1 e T*2; a tale moltiplicatore deve corrispondere
una accelerazione spettrale a *o = a d .
332
Direzione dell’azione orizzontale
Fig. 18.9
Si consideri quindi una parete muraria di lunghezza l, altezza h e spessore t, soggetta ad azio-
ni orizzontali sismiche nel piano; l’osservazione sperimentale rileva tre possibili meccani-
smi di collasso, dipendenti evidentemente dalla resistenza a trazione della muratura (figura
18.9).
333
Fig. 18.10
con le murature superiori solo in tale punto. In pratica è buona norma, a vantaggio di stabilità,
considerare la forza N applicata a distanza k l dal bordo destro, con k compreso tra 0.75 ed 1.0.
Lo sforzo T nel tirante che sostiene le pareti ortogonali alla parete di figura, si pone nella
forma:
T = α0 q’ - q’’
con α0 q’ e q’’ che si definiscono come segue. Il termine α0q’ rappresenta il rapporto tra il
momento ribaltante MR delle pareti sostenute dalla parete in esame e l’altezza h del tirante
rispetto al centro di rotazione del cinematismo; il termine q’’ rappresenta il rapporto tra il
momento stabilizzante MSM della sola muratura relativo alle pareti sostenute e l’altezza h. Si
ha quindi:
M R M SM
T = α o q' - q" = -
h h
Assegnata una rotazione θ virtuale unitaria, i parametri del cinematismo che interessano sono:
2 1
δ xP = h ; δyP = l ; δx = h ; δN = k l
3 3
La 18.1 assume quindi la forma:
2 1
αo ( P ⋅ h + N ⋅ h + q' ⋅ h ) - ( P ⋅ l + N ⋅ k l + q" ⋅ h ) = 0
3 3
1
(P⋅ l + N ⋅ k l + q" ⋅ h )
αo = 3
2 (18.29)
( P ⋅ h + N ⋅ h + q' ⋅ h )
3
La massa partecipante al cinematismo si valuta con la (18.2) che in questo caso si presenta
nella forma:
334
2
2
P ⋅ 3 h + N ⋅ h
1
M* = (18.30)
2 2 g
P h + N ⋅ h2
3
Determinata la massa partecipante, la frazione di massa partecipante deriva dalla (18.3), con
ΣPi = P + N. L’accelerazione spettrale di attivazione del meccanismo si valuta poi con la
(18.4). La quota zR di applicazione della risultane delle azioni sismiche sarà:
2
(P⋅ h + N⋅h )
zR = 3
P + N
Fig. 18.11
Come esempio numerico, si presenta l’insieme delle due pareti di figura 18.11, site al 2° piano
di un edificio di due piani, ubicato in zona 2, fondato su suolo di categoria C e con fattore
d’importanza pari a 1.
Il peso specifico della muratura è pari a 1600 daN/mc.
La parete 1, investita dal sisma ortogonalmente al proprio piano, è stata analizzata al para-
grafo 18.3.1 per il cinematismo di I° modo. Per la sicurezza rispetto ad un tale cinematismo
è risultato necessario inserire un tirante. Si vuole ora controllare la sicurezza della parete 2
rispetto al cinematismo di II° modo. Adottando per la parete 1 la simbologia di figura 18.2, si
determina in via preliminare l’azione T trasmessa dalla parete 1 alla parete 2, tenendo presente
che P1 = 8125 daN e P2 = 14000 daN.
Si ha quindi:
(P1 ⋅ h + P2 ⋅ 0.5 h ) (P1 ⋅ d + P2 ⋅ 0.5 t )
α o q' = α o = 15125 α o ; q" = = 1929
h h
335
La parete 2 presenta le dimensioni geometriche che si rilevano in figura.
La parete stessa ha un carico in testa N = 5000 daN, situato a distanza kl = 0.75 · 4.2 = 3.15 ml.
Il peso P della mezza parete interessata al cinematismo risulta P = 5880 daN.
Il valore di αo si determina con la (18.29):
2
(5880 ⋅
⋅ 3.50 + 5000 ⋅ 3.50)2
3 1
M =
*
2
= 1065 daN sec 2 / m
2 g
5880 ⋅ ⋅ 3.500 + 5000 ⋅ 3.50 2
3
1065 ⋅ 9.81
e* = = 0.960
(5880 + 5000)
0.365 g
a *o = = 0.380 g
0.960
2
5880 ⋅ ⋅ 3.50 + 5000 ⋅ 3.50
zR = 3 = 2.87 ml
(5880 + 5000)
336
δx1 = δx 2 = δx3
Fig. 18.12a/b
nella fascia stessa di lesioni che porterebbero a separare i diversi maschi murari, impone a tali
maschi uguale spostamento orizzontale in sommità.
In figura 18.12a si presenta, come esempio, una parete composta da tre maschi murari.
θ1 h1 = θ2 h 2 = θ 3 h 3
quindi risulta:
h1 h
θ2 = θ1 ; θ 3 = 1 θ1
h2 h3
Il cinematismo viene presentato in figura 18.12b. I parametri significativi di tale cinematismo sono:
2 1 2 h 1 2 h 1
δ xP1 = h1 ; δ yP1 = l1 ; δxP 2 = h1 ; δyP2 = 1 l2 ; δ xP 3 = h1 ; δ yP3 = 1 l3 ;
3 3 3 h2 3 3 h3 3
h1 h
δ x1 = δx 2 = δ x3 = h1 ; δN1 = k l1 ; δN2 = k l2 ; δ N3 = 1 k l3
h2 h3
337
La (18.1) in questo caso si presenta nella forma:
1 h1 1 h1 1 h1 h1
P1 l1 + P2 l2 + P3 l3 + N1 ⋅ kl1 + N 2 kl2 + N 3 kl3 + q" h1
3 h2 3 h3 3 h2 h3
αo =
2
(P1 + P2 + P3 ) 3 h1 + (N1 + N 2 + N 3 ) h1 + q' h1
in cui P1, P2, P3 sono i pesi delle rispettive mezze pareti; risulta quindi:
1 h1 1 h1 1 h1 h1
P1 l1 + P2 l2 + P3 l3 + N1 ⋅ kl1 + N 2 kl2 + N 3 kl3 + q" h1
3 h2 3 h3 3 h2 h3
αo =
2
(P1 + P2 + P3 ) h1 + (N1 + N 2 + N 3 ) h1 + q' h1 (18.31)
3
La massa partecipante al cinematismo si determina con la (18.2) che, nel caso in esame, si
presenta nella forma:
2
2
(P1 + P2 + P3 ) 3 h1 + (N1 + N 2 + N 3 ) h1
1
M* =
2
2 g
(P1 + P2 + P3 ) h1 + (N1 + N 2 + N 3 ) h12 (18.32)
3
2 2 2
P1 ⋅ h1 + P2 ⋅ h 2 + ∆y 2 + P3 ⋅ h 3 + ∆y 3 + ( N1 + N 2 + N 3 ) ⋅ h1
3 3 3
zR =
(P1 + P2 + P3 + N1 + N 2 + N 3 )
338
La (18.31) fornisce il valore di αo:
2.0 1.5 1.0
2500 ⋅ 3 + 940 ⋅ 2.0 ⋅ 3 + 830 ⋅ 1.5 ⋅ 3 + 8000 ⋅ 1.5
αo = +
2
4270 ⋅ 3.0 + 24000 ⋅ 3.0 + 15000 ⋅ 3.0
3
αo = 0.3601.
2836.93
e* = g = 0.984
( 4270 + 24000)
L’accelerazione spettrale di attivazione del cinematismo assume il valore:
0.3601
a *o = g = 0.366 g
0.984
4
2500 ⋅ 2 + 940 ⋅ (1 + 1.50) + 830 ⋅ + 1 + 24000 ⋅ 3.00
3
zR = = 2.88 ml
4270 + 24000
339
18.5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE SULL’ANALISI CINEMATICA
I meccanismi di I° e II° modo presentati non sono ovviamente esaustivi rispetto a tutti quelli
ipotizzabili negli edifici in muratura. Tuttavia la presentazione fatta nei paragrafi precedenti
consente di individuare una metodologia generale di analisi che volta per volta deve essere
specificata per il tipo di cinematismo che si prende in esame.
È opportuno sottolineare che in mancanza del piano rigido, come spesso accade per gli edifici
esistenti ed in particolare per gli edifici storici, l’analisi strutturale si può configurare in alcu-
ni casi come una analisi per singole pareti eventualmente costituite da più maschi murari.
A conferma di tale affermazione la normativa prevede, sempre in assenza del piano rigido, la
ridistribuzione del taglio fra i maschi complanari collegati da cordoli o catene ovvero facenti
parte di una stessa parete. In tal caso, nella valutazione dei limiti consentiti per la ridistribu-
zione, Vpiano si deve intendere come somma dei tagli nei maschi complanari ovvero apparte-
nenti ad una stessa parete. Si è voluto ricordare quanto sopra per legittimare l’uso di modelli
piani parziali, in presenza di solai deformabili, circostanza che spesso si verifica nell’analisi
dello stato di fatto. Inoltre le verifiche, per pareti investite dal sisma ortogonalmente al pro-
prio piano medio, possono essere effettuate separatamente.
Il concetto di analisi globale va considerato nello spirito espresso nel paragrafo 18.1.
Resta comunque da garantire l’assenza di spostamenti relativi tra le pareti tali da provocare sfi-
lamenti delle travi di solaio o dissesti dovuti ad eccesso di deformazione. Contro questi effetti
possono essere assunti specifici provvedimenti come cordolature, ancoraggi, ecc. L’analisi cine-
matica lineare, con i suoi modelli piani semplici, rappresenta quindi in molti casi un valido stru-
mento di analisi sia per gli edifici esistenti nel loro complesso nello stato di fatto, sia per la veri-
fica di vulnerabilità nei confronto di meccanismi di I° o II° modo che si possono ipotizzare.
340
La definizione di regolarità di un edificio esistente resta quella già vista per gli edifici nuovi,
salvo che per il requisito relativo ai solai che viene così sostituito:
“i solai sono ben collegati alle pareti e dotati di una sufficiente rigidezza e resistenza nel loro
piano.”
Quanto sopra esposto circa la valutazione dell’azione sismica è valido in generale.
È tuttavia data facoltà alle Regioni per gli interventi di adeguamento, di ridurre fino al 65 %
i livelli di protezione sismica e quindi le azioni di progetto. In tal modo si ottiene un miglio-
ramento controllato della vulnerabilità che “tenga conto della specificità delle tipologie
costruttive del proprio territorio”.
Inoltre per i beni culturali tutelati è sempre possibile limitarsi a soli interventi di migliora-
mento; è in ogni caso richiesta la valutazione dell’accelerazione al suolo corrispondente a cia-
scuno degli stati limite previsti, sia nello stato di fatto che dopo l’esecuzione di eventuali
interventi.
La modellazione della struttura ai fini della valutazione della sicurezza, per la normativa, deve
far riferimento ad un comportamento sismico globale e quindi seguire le stesse modalità espo-
ste per gli edifici di nuova costruzione.
Tuttavia la normativa sismica, a proposito degli aggregati edilizi, afferma tra l’altro quanto
segue:
– occorre definire una unità strutturale oggetto di studio, mettendo in evidenza le azioni che
su di essa possono essere trasmesse da unità strutturali prossime ad essa ovvero in ade-
renza;
– per individuare l’unità strutturale da studiare, si deve considerare in modo preminente il
comportamento strutturale unitario di tale parte di aggregato in relazione ai carichi agen-
ti sia statici che dinamici;
– è quindi essenziale rilevare la tipologia costruttiva e mettere in evidenza gli elementi
costruttivi comuni e ricorrenti nella unità strutturale, al fine di operare una scelta degli
interventi che risulti congruente (per quanto possibile) con l’originario assetto strutturale;
– l’unità strutturale dovrà in ogni caso presentare continuità dalla copertura al piano terra
nei riguardi del flusso dei carichi verticali e risulterà delimitata da spazi aperti, da giunti
strutturali ovvero da edifici adiacenti realizzati con diverse tipologie strutturali o con
materiali diversi o anche in epoche diverse.
Lo studio di una unità strutturale con i metodi utilizzati per gli edifici isolati, con una model-
lazione approssimata dell’interazione derivante dagli edifici adiacenti, assume significato
convenzionale, quindi si ritiene ammissibile una valutazione delle prestazioni sismiche che
essa può fornire con procedure approssimate.
Le procedure semplificate individuate dalla normativa sono descritte di seguito.
In presenza di solai sufficientemente rigidi, la verifica convenzionale dell’unità strutturale
allo SLU e allo SLD può essere sviluppata, anche per edifici con più di due piani, a mezzo del-
l’analisi statica non lineare riferita a ciascun interpiano dell’edificio considerato separata-
mente dagli altri e trascurando inoltre la variazione dello sforzo assiale nei maschi derivante
dall’azione sismica.
Escludendo le unità strutturali d’angolo o di testata ed anche le parti di edificio non vincola-
te o non adiacenti ad altre unità strutturali, gli effetti torsionali possono essere trascurati, con-
siderando che i solai abbiano solo possibilità di traslare nella direzione sismica.
In presenza di solai deformabili, la procedura si può sviluppare attraverso l’analisi delle sin-
gole pareti o sistemi di pareti complanari costituenti l’edificio, soggette ai carichi verticali
agenti su di esse ed all’azione sismica nella direzione parallela alla parete. In tale metodolo-
gia, l’analisi e verifica di ciascuna parete o sistema di pareti si effettua con le stesse modalità
341
esposte per gli edifici in muratura ordinaria di nuova edificazione; la verifica a taglio diago-
nale sostituisce la verifica a taglio per scorrimento.
Quanto sopra esposto nel caso di edifici con solai deformabili legittima, a giudizio degli auto-
ri, l’impiego di modelli semplificati anche per edifici isolati, almeno in alcuni casi.
Così ad esempio nell’analisi dello stato di fatto i modelli semplificati 2D possono essere adot-
tati se non è realistico ipotizzare un comportamento globale della struttura.
Al contrario nell’analizzare lo stato di progetto degli interventi, che devono tendere tra l’al-
tro a realizzare per quanto possibile un comportamento d’ insieme dell’edificio, sono oppor-
tuni modelli globali dell’edificio stesso. Resta compito del progettista giudicare se l’ipotesi di
piani rigidi è realistica.
a – Edifici categoria 1)
Il modello 3D dell’edificio può essere analizzato con l’analisi statica lineare, non lineare
ovvero con l’analisi dinamica modale. In alternativa, nell’analisi, si possono utilizzare due
modelli piani separati, uno per ciascuna direzione principale.
b – Edifici categoria 2)
Il modello 3D dell’edificio può essere analizzato con l’analisi statica non lineare ovvero con
l’analisi dinamica modale.
Nel caso di analisi statica non lineare al sistema di forze 2 definito al paragrafo 11.4.2 è oppor-
tuno sostituire modelli più sofisticati (metodi evolutivi).
Un primo modello può essere costituito da forze proporzionali alla prima forma modale, ma
modificando tale forma modale ad ogni step in cui si modifica la matrice di rigidezza per il
progressivo degrado della struttura.
Un secondo può essere costituito da forze proporzionali alla forma modale equivalente, valu-
tata considerando tutti i modi la cui massa partecipante complessiva nella direzione del sisma
sia superiore all’85% della massa totale. Al piano i, l’ampiezza della forma modale equiva-
lente si valuta con l’espressione:
nm
φ eq,i = ∑
(φ ki g k )2
k=1
342
dove
nm è il numero di modi considerato;
φki è l’ampiezza del modo k al piano i;
gk è il fattore di partecipazione al modo k.
Anche in questo secondo caso le forme modali si modificano con il progressivo degrado della
struttura.
c – Edifici categoria 3)
Si possono utilizzare modelli 2D di tutte le pareti o insiemi di pareti giacenti in uno stesso
piano, la cui dimensione maggiore è nella direzione considerata per il sisma, soggette a forze
derivanti dai pesi relativi all’area d’influenza del modello.
I modelli 2D sopra definiti possono essere analizzati con l’analisi statica lineare con una suf-
ficiente approssimazione se regolari in altezza. In ogni caso sono da preferire l’analisi statica
non lineare o l’analisi dinamica modale. Nel caso di analisi statica non lineare e modelli non
regolari in altezza, sono da preferire i metodi evolutivi.
d – Edifici categoria 4)
La presenza di uno o più piani rigidi impone un modello 3D. Le forze vanno applicate nei
baricentri delle singole pareti.
Si può utilizzare l’analisi statica non lineare o l’analisi dinamica modale. Nel caso di analisi
statica non lineare sono da preferire i metodi evolutivi.
Una sintesi di quanto esposto è contenuta nella tabella di figura 18.13.
343
Nell’analisi della fase di progetto si possono avere le possibilità presentate di seguito.
a – Edifici categoria 1)
Vale quanto detto per l’analisi dello stato di fatto.
b – Edifici categoria 2)
Vale quanto detto per l’analisi dello stato di fatto.
c – Edifici categoria 3) e 4).
Il modello 3D deve comprendere gli elementi deformabili di piano presenti in origine o inse-
riti nella fase di progetto per migliorare il comportamento d’insieme dell’edificio (ad esem-
pio croci di S. Andrea nel piano orizzontale). Le forze sono applicate nei baricentri delle
masse delle singole pareti. La non regolarità innesca moti torsionali per cui nella analisi sta-
tica non lineare è opportuno riferirsi a sistemi di forze fisse o adattative che tengono conto di
tutti i modi significativi.
Una sintesi di quanto esposto è presentata nella tabella di figura 18.14.
344
19
Il progetto di consolidamento
346
19.2. INTERVENTI PROVVISORI DI SALVAGUARDIA DELLA SICUREZZA
Opere provvisorie a salvaguardia della sicurezza di un organismo architettonico possono esse-
re effettuate con funzione:
– precauzionale, in attesa dell’intervento di consolidamento, prima che si manifesti l’even-
to temuto (in particolare l’evento sismico);
– preliminare di riparazione provvisoria e salvaguardia della sicurezza, dopo un evento
sismico (o di diversa natura) e la conseguente manifestazione di danno;
– preliminare di salvaguardia della sicurezza in corso d’esecuzione dell’intervento di con-
solidamento stesso.
Occorre specificare che, con riguardo al sisma, le funzioni indicate possono coesistere o
sovrapporsi in relazione alla eventualità di repliche ravvicinate del fenomeno sismico (ciò che
rende l’intervento provvisorio quasi equivalente ad un intervento di consolidamento).
I mezzi impiegati sono, da un punto di vista logico, gli stessi ai quali fare ricorso2 per l’inter-
vento di consolidamento ma con le varianti rese possibili o necessarie da:
– maggiore libertà di azione, per il carattere di provvisorietà (peraltro talora pressoché defi-
nitivo!) e di urgenza;
– immediatezza di reperimento e semplicità di installazione di materiali e mezzi d’opera,
stante la rapidità d’esecuzione quasi sempre richiesta dalle condizioni di rischio e dalla
possibilità di repliche (nel caso di eventi sismici) o di progressione del dissesto.
Si provvederà pertanto alla posa in opera o all’esecuzione di:
– puntelli, in legno o metallici, di sostegno (disposti verticalmente a sostenere pesi di parti
costruttive) oppure di contrasto (inclinati oppure orizzontali, ad assorbire le spinte pre-
senti o previste) oppure a funzione mista;
– tiranti metallici o catene, per collegare elementi murari o per assorbire le spinte esercita-
te da archi e volte;
– cerchiature metalliche, per collegare le pareti dell’intero fabbricato o per rinforzare sin-
goli elementi strutturali;
– speroni e contrafforti murari, per contrastare la tendenza al ribaltamento di singole pareti
o di spigoli e cantonali esterni;
– tamponatura, per intasamento, di vani nella muratura per aumentare le sezioni resistenti;
avendo, ovviamente, cura di riportare le azioni di contrasto su elementi di provata solidità:
pareti murarie in buone condizioni o il terreno stesso, opportunamente preparato. Si osserva,
ad esempio, che nel caso illustrato in figura 15.22 i contropilastri di rinforzo poggiano sul
muro perimetrale del cortile sul quale poggiano le stesse colonne originarie; il principio è vali-
do tanto per interventi provvisori quanto per quelli definitivi.
Un esempio di opere provvisionali è riportato nella foto della fig. 19.1 relativa ad un centro
urbano del Salento; la salvaguardia contro il ribaltamento delle pareti di facciata è effettuata
mediante una coppia di contrafforti murari, in blocchi di calcestruzzo e malta cementizia,
disposti su soletta di fondazione unica e localizzati sul fronte di un ampio slargo e mediante
sistemi di puntelli, in legno o metallici, a contrasto col fabbricato antistante sul fronte strada-
le. Si osserva che quest’ultimo sistema chiama in causa un organismo edilizio non coinvolto
2 La stessa interdizione all’uso può costituire di per sé un intervento di salvaguardia. Spesso infatti i sovrac-
carichi d’esercizio costituiscono una parte preponderante dei carichi totali (ad esempio, per un solaio in
legno oppure per volte murarie ribassate e leggere) su strutture di orizzontamento in grado di soddisfare la
sicurezza per i soli carichi permanenti.
347
dai dissesti, del quale va accertata l’attitu-
dine a sopportare le eventuali forze addi-
zionali provenienti dal contrasto in atto: un
metodo tanto più delicato in zona sismica
in quanto può comportare rilevanti intera-
zioni per diverso comportamento dinamico
dei due organismi collegati dai puntelli.
La configurazione statica di una puntella-
tura deve essere, per quanto possibile,
riconducibile ad una struttura reticolare:
una struttura soggetta ad un regime di sfor-
zi assiali e dotata di una rigidezza elevata
con pesi modesti. Come precauzione anti- Fig. 19.1
sismica, pertanto, la puntellatura deve pre-
sentarsi come una struttura reticolare spa-
ziale o comunque configurata in modo da
risultare efficace per azioni sismiche
comunque dirette.
Per ottenere il risultato detto, i punti di
contrasto con l’opera da proteggere devo-
no essere localizzati nei nodi di giunzione
degli elementi costituenti la puntellatura.
Gli elementi compressi, poi, non devono
risultare troppo lunghi. L’immediata effi-
cacia della puntellatura si ottiene con
un’opportuna messa in tensione inserendo,
nei punti di contatto, elementi di forzatura Fig. 19.2
(cunei di legno, ancoraggi a vite, ecc.)
dotati di adeguate piastre di ripartizione al
contatto con la muratura.
Nella foto della figura 19.2 è riportato un
sistema di puntellamento di un arco in
muratura di mattoni, costituito da una rudi-
mentale capriata triangolare in legno posta
a contrasto di sommità con la sezione di
chiave dell’arco ed intestata nei muri d’im-
posta dell’arco stesso. La struttura muraria
è ulteriormente puntellata sul quarto di
sinistra mediante contrasto al centro del
puntone e rinvio sulla catena (Borgo di
Tragliata, Roma). Si osservino l’efficacia e
l’elementarità dell’intervento, effettuato
con rozze travi di legno anche incurvate e
non complanari tra loro.
Nella figura 19.3 è infine riportato il siste-
ma di cerchiatura apposto su un fabbricato
di modeste proporzioni sito in frazione di
Preci (Perugia) dopo il sisma del 1997. La
cerchiatura è effettuata con fune in trefoli Fig. 19.3
348
d’acciaio, morsetti, tenditori; agli spigoli, tavole in legno provvedono alla necessaria funzio-
ne di ripartizione dell’azione di contrasto esercitata dalla fune.
Si rileva anche l’effetto locale, verticale ed orizzontale, operato dal travetto di copertura.
Fig. 19.4
3 Il progetto esecutivo è stato eseguito nel 1998 da Benedetti, Boscotrecase, Miarelli Mariani, Piccarreta. I
lavori sono stati ultimati nel settembre 2003.
349
intervento, di protezione antisismica e di adeguamento impiantistico, conseguente alle mani-
festazioni sismiche del 1997 e completato nel settembre del 2003.
Le caratteristiche di questo palazzo risultano dalla compenetrazione di più corpi di fabbrica,
edificati, o completati, in epoche diverse; di maggiore spicco, fra questi, il corpo trecentesco
prospettante sulla via Baldassini, riprodotto nel disegno di figura 19.5.
Conformato a torre a pianta all’incirca quadrata, il corpo trecentesco si eleva da una sorta di
basamento longitudinale sottostante la piazza che unisce, su questo fronte, i due palazzi e si
prolunga verso l’alto con una struttura perimetrale muraria, di forte spessore, in pietra squa-
drata e con un pilastro centrale in pietra da taglio. I muri perimetrali ed il pilastro centrale
costituiscono il sostegno per le strutture di orizzontamento composte, per ciascuno dei tre
livelli successivi, da sistemi di volte a crociera nervate organizzate su quattro campi e con
costituzione in pietra squadrata per il primo di tali livelli ed in mattoni agli altri due4.
Il pilastro risponde con sezioni via via crescenti al progressivo aumento dei carichi dal piano
della copertura all’imposta sulle massicce strutture murarie del primo livello. La figura 19.6
mostra l’organizzazione del corpo trecentesco al livello di sommità (intradosso delle volte di
sottotetto) ed al sottostante terzo livello (figura 19.7): è rilevabile il diverso “respiro” negli
ambienti, conseguente all’avvenuta suddivisione del terzo livello.
L’altezza complessiva del corpo a torre è di 35 m circa dal piano stradale; la copertura è a tetto
a due falde, con linea di colmo longitudinale, cioè parallela all’asse stradale detto, e con termi-
nazione a timpano delle due pareti trasversali. Lungo i due spigoli che prospettano sulla piazza,
la muratura presenta la conformazione “a pettine” per una ripresa costruttiva mai realizzata.
Gli altri corpi di fabbrica, variamente conformati, sono siti più a monte rispetto al corpo a
torre e, stante l’acclività del sito si estendono a minore profondità nel terreno. Quest’ultimo
consiste in una formazione di conglomerato di ottime caratteristiche al punto da essere stato
utilizzato come materiale da cava: ciò ha portato, nel tempo, alla formazione di un’ampia rete
di cunicoli nel sottosuolo urbano a tutt’oggi in parte non conosciuta.
La figura 19.8 mostra la sommità del corpo trecentesco a torre del palazzo; la figura 19.9 riporta
il prospetto laterale dei corpi di fabbrica siti più a monte, che presentano conformazione e costitu-
zione diverse; sulla sinistra sono visibili i ponteggi addossati all’edificio a torre, durante i lavori.
La figura 19.10 mostra la torre trecentesca al piano della piazza, con la caratteristica disposi-
zione a pettine, di attesa, dei blocchi di spigolo.
L’organizzazione complessiva del palazzo è illustrata nelle planimetrie di rilievo ante operam
di figura 19.11 e di figura 19.12 che si riferiscono, nell’ordine, al piano posto alla quota di via
Baldassini (primo livello) ed al piano della piazza (terzo livello).
La struttura muraria del primo livello prosegue su tutto il fronte stradale fino a terminare, in
maniera speculare, sotto il Palazzo dei Consoli ove si ripetono le stesse massicce strutture
murarie del Palazzo Pretorio.
La planimetria al piano della piazza evidenzia la presenza, nella torre trecentesca, delle strut-
ture murarie poste a sostegno degli orizzontamenti a volta inseriti nel terzo livello originario.
Il pilastro ottagonale rimane inglobato, nella parte inferiore, nella intersezione muraria delle
nuove strutture.
4 Nel seguito l’organizzazione altimetrica del corpo trecentesco farà riferimento alla seguente nomenclatura:
– primo e secondo livello, la parte che si sviluppa fra il piano di via Baldassini ed il piano della piazza,
per circa 16 m di altezza;
– terzo e quarto livello, la parte che si sviluppa al di sopra del piano della piazza, per circa 19 m di altezza.
Come descritto nel seguito, il terzo livello è stato ulteriormente suddiviso, mediante orizzontamenti a volte
murarie a botte e muri intermedi inglobanti la parte inferiore del pilastro centrale. La foto di figura 19.7 si
riferisce alla parte superiore del terzo livello; il prospetto di figura 19.5 mostra il successivo inserimento
di finestre nel tessuto murario originario.
350
Fig. 19.5
351
Fig. 19.6
Fig. 19.7
352
Fig. 19.8
Fig. 19.10
Fig. 19.9
353
Via Baldassini
Fig. 19.11
354
(Via Baldassini)
Fig. 19.12
355
Fig. 19.13
quattro livelli altimetrici complessivi, due al di sopra del piano della piazza ed altri due al di
sotto; caratteristica è la configurazione costruttiva del secondo, terzo e quarto livello consi-
stente in quattro pareti perimetrali di forte spessore ed un pilastro centrale, tutti sorreggenti ad
ogni orizzontamento un sistema di quattro volte a crociera nervate impostate sulle pareti e
convergenti sul pilastro.
A tale fabbricato a torre corrispondeva, in posizione più a monte e planimetricamente sfalsa-
ta, un secondo fabbricato, a pianta marcatamente allungata e disposta ortogonalmente all’as-
se stradale detto. Probabilmente più antico rispetto alla torre trecentesca e risultato di modifi-
che ed aggiunte varie, tale fabbricato venne accorpato ad essa con una successione di opere
aggiuntive: identificabili in una struttura muraria ad arco rivolta verso valle, figura 19.9, inse-
rita fra gli spigoli contrapposti dei due fabbricati ed in un loggiato angolare sul fronte rivolto
verso la piazza ed in quota con questa (riportato nella planimetria settecentesca del Ghelli),
poi tamponato a costituire un fabbricato addossato ai precedenti (catasto gregoriano del primo
ottocento), completato infine successivamente. Il loggiato, dissimmetrico, comprendeva: tre
arcate sul fronte della torre, un’arcata d’angolo, una sola arcata sul fronte del palazzo di
356
Fig. 19.14b
Fig. 19.14
Fig. 19.15b
Fig. 19.15a
357
Fig. 19.16a
358
Fig. 19.16b
359
Fig. 19.17
360
monte; il completamento consistette nella parte corrispondente ad altre due arcate (cieche) a
proseguire sul fronte di monte e nel proseguimento in altezza.
La figura 19.14 mostra le caratteristiche dei due fronti sulla piazza (si veda anche la planimetria
di figura 19.12), prima dell’esecuzione dell’intervento, in particolare prima della riapertura delle
due arcate tamponate poste ai lati della scalinata centrale. Si distinguono le caratteristiche del
loggiato originario rispetto alla parte di completamento, che ne riproduce la conformazione.
Il risultato di questa progressione costruttiva è, dunque, un vero e proprio complesso edilizio,
articolato sia volumetricamente che in rapporto ai materiali ed alle epoche costruttive.
All’interno del palazzo si rilevano numerose modifiche: dall’inserimento, nell’ambiente del
terzo livello, di pareti e di un nuovo orizzontamento intermedio, a quota +5,00 m in figura
19.16a, su volte murarie (disposto a ridurre l’altezza complessiva del pilastro, rimasto inglo-
bato all’interno di una delle pareti), a tamponatura di porte e finestre esistenti ed apertura di
nuove nel tessuto murario, a sostituzioni di orizzontamenti esistenti con nuove strutture,
all’inserimento di catene a soffitto ed a pavimento dell’ambiente al quarto livello della torre
trecentesca, al rinforzo di parti strutturali con elementi di cemento armato.
Quanto a questi ultimi, tutti eseguiti nel secolo scorso, i più rilevanti sono così costituiti; al
piano della piazza, un consistente sistema di travi sorrette da un pilastro e poste a sostegno
della rampa muraria di accesso ai piani superiori (localizzati in figura 19.12 sono riprodotti in
figura 19.15a); al piano di copertura della torre trecentesca, una robusta trave di colmo pog-
giata sulla sommità del pilastro centrale e dei due timpani murari contrapposti a sorreggere il
sistema di falsi puntoni delle due falde del tetto (mostrata, durante una delle fasi di interven-
to in copertura, nella foto di figura 19.15b); al piano di copertura dell’edificio di monte e del
corrispondente fabbricato accostato, un sistema di solai latero-cementizi per le falde del tetto.
La configurazione raggiunta nel secolo scorso è sinteticamente rappresentata nella sezione
verticale trasversale schematica di figura 19.16a e nella planimetria di riferimento della figu-
ra 19.16b, relativa al piano sopra la piazza (cioè al calpestìo della parte superiore del terzo
livello del palazzo), che mostra qualitativamente la consistenza delle pareti murarie dei vari
corpi di fabbrica.
Per l’edificio di monte, si evidenzia la forma allungata planimetricamente, con la presenza di
una sola parete trasversale intermedia (figura 19.16b), interessata da porte e rientranze tam-
ponate; la parete termina al sottostante piano della piazza, ove è sostenuta da un arco a conci
di pietra squadrata (figura 19.12), e manca completamente al piano sottostante. L’edificio di
collegamento, addossato agli altri due, privo di significative pareti trasversali, presenta oriz-
zontamenti a volta, oppure in legno, ed ancora in profilati metallici e tavelloni o in c.a.
Nelle tre immagini di figura 19.17 sono visibili (in alto) la sommità della torre trecentesca,
ripresa dai giardini del Palazzo Ducale siti più a monte, con le falde di copertura dei due altri
edifici costituenti il Palazzo Pretorio ed un particolare (in basso) della riapertura e restauro di
una delle finestre ogivali del corpo di fabbrica sito più a monte, mostrata prima e dopo i lavori.
La sezione verticale e la planimetria delle figure 19.16 evidenziano le diverse profondità delle
fondazioni dei vari corpi di fabbrica. Al piano della piazza l’originario loggiato angolare, poi
sopraelevato; al piano di via Baldassini (cioè 16 m più in basso) la torre trecentesca; ad una
quota intermedia (circa 6 m dal piano della piazza) l’edificio di monte.
361
Il quadro generale dei dissesti, estensione e conferma dei danni, più lievi, subiti all’epoca del
precedente sisma del 1984, si presentò subito chiaro nella sua formazione qualitativa ma
anche di non immediata interpretazione nella sua consistenza quantitativa, in rapporto alla
marcata articolazione costruttiva del complesso architettonico nel cui ambito assume specifi-
ca rilevanza il corpo trecentesco a torre: a pianta quasi quadrata (lati di 19 m sul fronte stra-
dale e 17 m circa in direzione controterra), impostato su un massiccio basamento (3 m di spes-
sore delle pareti), sviluppato su tre successivi livelli caratterizzati tutti dal sistema costruttivo
precedentemente descritto. Le pareti perimetrali, a partire dal secondo livello, sono in pietra
squadrata con spessore di 1,40 m; il pilastro centrale è in pietra da taglio con sezione ottago-
nale di forma e dimensioni crescenti verso il basso (fino a risultare inscritta in un quadrato di
lato pari a 1,10 m circa).
A fronte di questa complessità di costituzione si pone l’apparente semplicità di conformazio-
ne dell’edificio più a monte, di forma compatta e pianta allungata (all’incirca un rettangolo
con lati di 8 m e di 18 m), sviluppato su quattro livelli complessivi: tre sopra il piano della
piazza, per circa 14 m di altezza, uno al di sotto, per circa 6 m. Le pareti, in pietra squadrata,
sono disposte lungo il perimetro e solo ai due livelli superiori sono (male) collegate da una
parete trasversale intermedia, fortemente manomessa e sorretta da un arco in pietra alla quota
del primo livello sulla piazza.
Per quanto riguarda il quadro fessurativo generale risultava quasi indenne il corpo trecente-
sco a torre che, al di là di isolate formazioni fessurative e di una consistente e continua cadu-
ta di granuli di malta dai giunti d’intradosso delle volte a crociera al terzo e quarto livello,
potè proseguire la propria utilizzazione relativamente agli ambienti situati nel primo e secon-
do livello e nella parte più bassa del terzo, tutti dotati di autonomo accesso dai corrisponden-
ti piani stradali o dalla piazza.
Viceversa lesioni, fratture e distacchi si erano manifestati, numerosi e marcati, nell’edificio
più a monte e nelle parti a ridosso dei fabbricati più antichi, in cui erano disposte le scale di
accesso ai piani superiori (corpi di monte e di collegamento). Alle localizzazioni e distribu-
zioni tipiche degli effetti da sisma (lesioni e distacchi agli innesti delle pareti murarie, frattu-
re localizzate nei maschi murari di ridotta estensione, lesioni e sconnessioni a pavimento ed
a soffitto di solai, volte e controsoffittature nonché nei muri divisori, talora, questi, a consi-
stenza di tavolato) erano sovrapposte formazioni più fantasiose sulle facce intonacate di alcu-
ne pareti, frutto della sottostante tessitura muraria.
La specifica situazione del palazzo presentava pertanto una notevole complessità d’approc-
cio, non tanto in termini di valutazione del danno quanto in merito all’interpretazione com-
pleta del quadro fessurativo ed alla valutazione dei residui margini di resistenza delle struttu-
re murarie, in rapporto a:
– costituzione in più corpi di fabbrica, scarsamente collegati fra loro e dalle caratteristiche
fortemente differenziate;
– diversità tipologiche, con presenza di volte a crociera anche nei livelli più alti del corpo
trecentesco a torre e di arcate murarie ed orizzontamenti in legno nel corpo più a monte;
– effetti delle spinte prodotte dalle strutture a volta, sia dai pesi sia dalle componenti di acce-
lerazione da sisma;
– forti differenze nelle quote d’imposta delle fondazioni sul terreno: al piano della piazza
per il corpo di collegamento, al piano stradale di via Baldassini per la torre trecentesca, a
quota intermedia per il corpo più a monte;
– diversa costituzione delle strutture di copertura dei vari corpi di fabbrica: in legno, forte-
mente deteriorate, per la torre, in solai di cemento armato o in travi metalliche per gli altri
corpi di fabbrica;
362
– disomogeneità costitutive, più o meno marcate, delle pareti murarie conseguenti alle suc-
cessive operazioni di apertura e chiusura di vani, nonché di ampliamento dei corpi di fab-
brica con tecniche e materiali costruttivi anche differenti.
Particolarmente vulnerabile si presentava il fabbricato più a monte, insieme con la corrispon-
dente parte di fabbrica costruita a ridosso, frutto di esecuzione a più riprese e di variazioni
(apportate anche in tempi relativamente recenti, per migliorare la funzionalità degli uffici
comunali). Trattasi peraltro della parte più interessante, dal punto di vista delle emergenze sto-
riche, appena individuate sotto l’intonaco durante le varie fasi di indagine e rimesse intera-
mente in luce all’atto esecutivo, sinteticamente consistenti nella presenza di una serie di arca-
te successive inglobate nella parete muraria sul fronte di via XX settembre, al piano della piaz-
za, e di un camino, al piano sovrastante, tra le due finestre ogivali tamponate; di una scala a
spessore di muro fra la scalinata laterale ed il piano della piazza, nella parete di facciata lon-
gitudinale; della tessitura in blocchi di pietra della volta a soffitto del livello sotto la piazza,
con esecuzione in due distinte fasi cronologiche evidenziate da un giunto in conci squadrati.
Dichiarato parzialmente inagibile e spostate in buona parte le funzioni amministrative in altra
sede, il complesso architettonico del Palazzo del Podestà evidenziò non solo i limiti della pro-
pria funzionalità strutturale, ma anche i contenuti storico-costruttivi puntualmente portati alla
luce parte nella successiva fase progettuale e, soprattutto, in corso d’opera.
Per l’edificio di monte, di forma allungata, si tratta di operare con riguardo all’accelerazione
orizzontale, in specie alla componente trasversale, intervenendo a:
– migliorare le connessioni murarie lungo gli spigoli ed in corrispondenza degli orizzonta-
menti;
363
– assorbire la spinta della volta a botte al calpestio del piano della piazza;
– interrompere lo sviluppo delle due pareti longitudinali prolungando verticalmente il muro
trasversale intermedio fino al piano di fondazione.
Sotto quest’ultimo punto di vista occorre rilevare che, nell’ambito di una generale utilizza-
zione pubblica dell’intero complesso architettonico, si specifica una destinazione ad uffici con
accesso al pubblico prevalente nell’intero edificio di monte; ciò ne impone una più accentua-
ta protezione dal sisma così come la presenza più numerosa di emergenze ed affioramenti
architettonici ne impone una specificità di interventi, tesi alla restituzione ed alla valorizza-
zione.
Pertanto, in generale, ove possibile sono stati privilegiati, per la ricostituzione delle malte e
per la risarcitura delle lesioni, interventi locali con scarnitura e successiva ricostituzione dei
giunti mediante malta di caratteristiche analoghe all’esistente o con rifacimenti a scuci e cuci,
in luogo di estese operazioni di iniezione.
Invece nello specifico dei singoli corpi di fabbrica si è operato anche con tecniche forti e rela-
tivamente estese. Nell’edificio di monte, ad esempio, a fronte di semplici irrigidimenti di
piano dei solai in legno effettuati con diagonalature in piatti d’acciaio sotto-pavimenti anco-
rate ai muri, figura 17.17, o di sigillatura di giunti di malta nelle apparecchiature murarie a
vista, è stato fatto ricorso a cuciture armate degli spigoli murari, a getto di solette armate sulle
volte, a sottofondazione con micropali, figura 17.3, ad inserimento di nuove pareti trasversa-
li resistenti al sisma. Sono state privilegiate, per converso, tecniche poco invasive e di accen-
tuata reversibilità, moderatamente estese (inserimento di catene metalliche sotto-pavimento,
sigillatura di giunti di malta nelle apparecchiature murarie degradate di pareti e di volte, appli-
cazione nell’estradosso di volte di fibre aramidiche), per la torre trecentesca. Per quest’ulti-
ma, in particolare gli interventi di legatura di sommità e di riduzione del carico sul pilastro
centrale sono stati effettuati, in combinazione, ai piani di copertura e di sottotetto, con la
seguente articolazione:
a) sostituzione dell’esistente struttura lignea della copertura (correnti e terzere su falsi punto-
ni impostati ad un estremo su una parete di perimetro ed all’altro poggianti sulla trave di
colmo in cemento armato, in avanzato stato di degrado e malaccortamente puntellati con-
tro l’estradosso delle sottostanti volte di sottotetto, figure 15.40 ÷ 15.43) con una nuova
ossatura di acciaio e legno, poggiante soltanto sulle sole pareti di perimetro e costituita in
modo da realizzare un elemento quasi indeformabile nel piano di ogni falda, figura 19.18;
b) inserimento, nella sommità delle pareti perimetrali, di una cordolatura continua a parzia-
le spessore di muro, in grado sia di operare un efficace collegamento delle pareti e dei tim-
pani murari sia di ripartire i carichi e le azioni sismiche della copertura;
c) rinforzo delle volte di sottotetto mediante applicazione all’estradosso di fasciature in fibre
aramidiche ben collegate anche ai muri e sigillatura d’intradosso dei giunti di malta, in
corso di applicazione nella foto della figura 19.19.
364
La serie sopra descritta di operazioni ha poi consentito di eliminare sia la pesante trave di
colmo gravante anche sul pilastro centrale (figura 19.15b) sia l’esistente rinfianco di spiana-
mento al sottotetto; tenuto anche conto dell’avvenuta redistribuzione del peso della copertura
(con effetti insignificanti sulle massicce pareti perimetrali, ma non esigui per il pilastro cen-
trale), la riduzione del carico alla sommità del pilastro è risultata pari a circa il 10% del cari-
co totale all’imposta sulle strutture murarie del primo livello: quindi con incidenza ancora più
marcata ai livelli superiori, ove più ridotta è la sezione del pilastro.
Per quanto riguarda l’imposta del palazzo sul terreno, al maggiore collegamento dei vari corpi
di fabbrica, a tutti i piani al di sopra della piazza, sono stati fatti corrispondere la unificazio-
ne altimetrica ed il rinforzo generale delle fondazioni, tutte portate alla quota di base della
torre trecentesca mediante micropali, figura 17.3. La figura 17.2 mostra l’intervento al piano
fondale della torre consistente in un solettone armato. Infatti alle buone caratteristiche del ter-
reno facevano riscontro da un lato elevati valori delle pressioni di contatto già per soli carichi
verticali e dall’altro la probabile presenza, puntualmente riscontrata in corso d’opera, di cavità
di varia estensione ed ampiezza: frequenti nel sottosuolo del centro storico, ma ad oggi indi-
viduate solo parzialmente.
Rispetto al progetto, le variazioni in corso d’opera resesi necessarie sono consistite in adatta-
menti qualitativi di talune operazioni previste (essenzialmente riguardanti la costituzione e gli
ancoraggi delle catene sotto-pavimento nella torre trecentesca) o anche, ma limitatamente,
quantitativi. Ulteriori variazioni sono necessariamente conseguite a quelle emergenze archi-
tettoniche frutto degli interventi stessi, quindi non prevedibili, in tutto o in parte, nella fase
progettuale.
Tali risultano le operazioni effettuate, al piano seminterrato dell’edificio di monte ed al sovra-
stante piano della piazza, in merito a:
– restituzione dell’accesso alla scala, entro lo spessore del muro di facciata longitudinale, di
comunicazione fra il primo tratto di via Lucarelli e gli ambienti al piano della piazza;
– restituzione a vista d’intradosso della volta di soffitto nel piano seminterrato, con messa
in evidenza dell’apparecchiatura a spigoli vivi nel giunto trasversale;
– restituzione a vista, nell’ambiente al piano della Piazza, dell’apparecchiatura muraria ad
arcate tamponate nel muro di facciata su via XX Settembre;
operazioni tutte indirizzate alla lettura diretta dell’organismo costruttivo e quindi finalizzate
ad una possibile definizione storica di trasformazioni edilizie non ancora documentate.
L’eliminazione dall’ambiente seminterrato dell’edificio di monte della vecchia centrale ter-
mica a gasolio, portata nel sottotetto e trasformata in una nuova centrale tecnologica, ha con-
sentito di recuperare l’intero locale seminterrato, reso a doppia altezza e con accesso a tre
distinti livelli: dal palazzo stesso, al piano della piazza, e, dall’esterno, nel primo tratto ed a
metà sviluppo della scalinata di via Lucarelli.
Operazioni viceversa previste già in fase progettuale sono state:
– sul fronte di via XX Settembre, al primo piano, la riapertura delle due originarie finestre
ogivali con reintegrazione dei conci asportati per eseguire una prima architravatura e con-
ferire la forma rettangolare alle due finestre, comunque poi richiuse (figura 19.17);
– al piano della piazza, riapertura, in posizione simmetrica rispetto alla scalinata di accesso
ai piani superiori del palazzo, di due delle quattro arcate tamponate dell’originario log-
giato in muratura di mattoni (figura 19.20).
Quest’ultima operazione, frutto anche di un precedente intervento, teso ad abbattere le bar-
riere architettoniche mediante un collegamento meccanizzato fra la piazza e la sottostante via
Baldassini, ha comportato il rinforzo dei corrispondenti massicci pilastri, costituiti a sacco, sui
365
Fig. 19.18 Fig. 19.19
Fig. 19.20
366
20
Cerchiature e contenimenti
di pilastri: analisi del beneficio
20.1. INTRODUZIONE
L’attitudine di un pilastro murario (non snello) a sopportare carichi verticali, nello stato
monoassiale di tensione da essi indotto, è determinata dalla resistenza a compressione dello
specifico materiale che lo costituisce. Tale resistenza è rappresentata dalla tensione di rottura
definita come visto in precedenza nel paragrafo 15.4.2, al termine delle tre fasi di comporta-
mento: lineare, con accorciamento verticale e dilatazione trasversale all’incirca proporziona-
li al carico agente, non lineare, con innesco di lesioni verticali e con deformazioni assiali e
trasversali via via più pronunciate, a rottura, con esasperazione sia delle lesioni che delle
deformazioni1.
Un sistema di contenimento trasversale applicato ad un pilastro murario, per parte o per l’in-
terezza della sua estensione verticale, introduce, nel materiale della struttura rinforzata, uno
stato triassiale di tensione che innalza la resistenza a compressione propria del materiale stes-
so2. Gli elementi di contenimento esplicano la propria funzione attraverso pressioni trasver-
sali sulla superficie di contatto con la muratura (oppure per aderenza, se operanti dall’interno
per mezzo di perforazioni armate) e sono soggetti a sforzi di trazione.
In queste condizioni il limite di resistenza del pilastro viene raggiunto per:
– esaurimento della resistenza a compressione, ancorché maggiorata, del materiale murario
che perviene alla rottura per schiacciamento con sistema di contenimento integro (in gene-
rale è il caso di sistemi rigidi di cerchiatura, in barre e fasciature metalliche);
– esaurimento della resistenza del materiale murario alle pressioni di contatto localmente
esercitate dagli elementi cerchianti, per eccessiva concentrazione in corrispondenza degli
spigoli del pilastro;
– esaurimento della resistenza a trazione degli elementi cerchianti, con conseguente schiac-
ciamento della muratura del pilastro (in generale è il caso di fasciature fibrorinforzate, con
unico o doppio avvolgimento sul pilastro).
Il consolidamento a mezzo di cerchiature costituisce un provvedimento di tipo attivo oppure
di presidio a seconda che l’effetto cerchiante si esplichi all’atto del montaggio (mediante
messa in forzatura di tipo meccanico o termico) oppure si manifesti a seguito delle espansio-
ni laterali sotto carico del materiale cerchiato: espansioni, come visto, quantitativamente rile-
vanti nella fase non lineare di comportamento.
Nel seguito ci si riferisce specificamente al contenimento operato a mezzo di cerchiature o
fasciature esterne.
1 Secondo tale definizione il materiale muratura viene ad essere rappresentato da un materiale ideale (conti-
nuo, omogeneo, isotropo) equivalente: a questa rappresentazione si farà riferimento anche nel seguito.
2 Trattasi di un sistema di rafforzamento tradizionalmente impiegato nella conformazione di cerchiature metal-
liche disposte a forzare e distribuite, con un conveniente interasse, lungo il pilastro per l’estensione voluta.
Si vedano gli esempi riportati in 17.3.5.
20.2. APPROCCIO SPERIMENTALE
L’effetto di contenimento è stato studiato sperimentalmente su campioni cilindrici o prisma-
tici di varie natura e dimensioni, soggetti a carico assiale e rinforzati con fasciature in FRP
avvolte a tutta altezza.
Nel caso di elementi in conglomerato cementizio semplice o armato, provini cilindrici con
altezza doppia del diametro, i risultati delle prove sono qualitativamente mostrati nei dia-
grammi comparativi della figura 20.13 che si riferisce alle deformazioni assiali e trasversali in
funzione della tensione agente.
Sono state considerate tre serie di campioni, rispettivamente: (a) non rinforzati, (b) rinforzati
con fasciature su unico strato di avvolgimento, (c) rinforzati con fasciatura su tre strati.
Nei due casi indicati di rinforzo, la resistenza a compressione aumenta rispettivamente del 10%
e del 100% circa con aumento di duttilità. Lo stato ultimo è determinato dalla rottura per tra-
zione della fasciatura oppure dal distacco della sovrapposizione dei nastri di rinforzo.
Il comportamento di elementi murari è stato analizzato su campioni prismatici a base quadra-
ta, in mattoni pieni, semplici o rinforzati. Per altezza doppia della dimensione di base e per
fibre disposte in doppio strato sull’intera altezza, lo stato ultimo è stato raggiunto rispettiva-
mente per schiacciamento della muratura o per strappo della fasciatura in corrispondenza
degli spigoli; l’aumento di resistenza ottenuto mediante fasciatura con FRP è valutabile fra il
50% ed il 70% circa a seconda delle caratteristiche della fasciatura. Maggiori aumenti di resi-
stenza si possono ottenere operando un raccordo degli spigoli, per evitare le concentrazioni di
tensioni nella fasciatura in corrispondenza delle piegature ad angolo retto; ad esempio, rico-
prendo gli spigoli con angolari di acciaio dotati di opportuna curvatura si può ottenere un ulte-
riore aumento del 20% circa.
Fig. 20.1
368
20.3. IMPOSTAZIONE ANALITICA
Lo studio dell’effetto di contenimento trasversale (confinamento) sulla resistenza di colonne e
pilastri murari, soggetti essenzialmente a compressione, può essere svolto4 a partire dalle capa-
cità portanti ultime nelle due condizioni, attuale e rinforzata, espresse come in figura 20.2:
Nuo = Ao fmdo
Nuc = Ao fmdc
Fig. 20.2
in cui Ao è l’area della sezione trasversale, fmdo è la resistenza ultima di progetto a com-
pressione monoassiale ed fmdc è la resistenza ultima di progetto dell’elemento confinato, sog-
getto a tensioni orizzontali di compressione F’1. Risulta:
fmdc = fmdo + K1 F’1
relazione di dipendenza della resistenza dell’elemento confinato in funzione del valore assun-
to da F’1, tensione efficace di contenimento. Il coefficiente K1 di incremento della resistenza
assume valori variabili in rapporto a:
– qualità del materiale da contenere;
– tipologia di rinforzo applicata;
– valore della tensione efficace di confinamento.
Ad esempio, per provini cilindrici di conglomerato cementizio rinforzati con fasciature di FRP
si può porre:
K1 = 3,5 (F’1/fc) exp (-0,15)
Per la muratura, in analogia, si può porre
K1 = 2,4 (F’1/fmdo) exp (-0,17)
Queste relazioni mostrano che il beneficio ottenibile con questo tipo di rinforzo è leggermen-
te meno che proporzionale al valore assunto dalla tensione efficace F’1.
L’effetto di contenimento è pieno per sezioni di forma circolare e per fasciature a tutt’altezza
e perde efficacia per sezioni diverse dalla circolare, in particolare per sezioni quadrate o ret-
tangolari: infatti l’effetto di contenimento si manifesta soltanto in corrispondenza degli spi-
goli – cioè dove è presente una curvatura trasversale della fasciatura – e si estende su una
parte, di area Ac, della sezione effettiva (figura 20.3).
4 Nella formulazione presentata in: A. Borri – A. Grazzini, “Criteri e metodologia per il dimensionamento
degli interventi con FRP nel miglioramento sismico degli edifici in muratura”. Atti del XI Congresso nazio-
nale ANIDIS, Genova, 2004.
369
Per rappresentare questo effetto si può introdurre il rapporto:
Ke = Ac/Ao minore dell’unità e considerare una pressione trasversale equivalente:
f1 = Ke F’1
Le aree Ac sono delimitate da parabole uscenti dagli spigoli con tangente a 45° e sono defi-
nite in funzione di un rapporto di forma rf che è il rapporto fra i due lati.
I valori calcolati sono riportati nella tabella 20.1 che mette in evidenza:
– la pratica perdita di effetto del contenimento per sezioni rettangolari troppo allungate (rap-
porto fra i lati maggiore di 3);
– il vantaggio, sempre più marcato quanto più la sezione è allungata, del ricorso all’arro-
tondamento degli spigoli.
Fig. 20.3
Tabella 20.1
Sezione “a” Valori di Ke K e ,c
rf
Sezione “b” Sezione “c” K e ,b
1 0.476 0.687 1.44
1.2 0.467 0.673 1.44
1.4 0.446 0.653 1.46
1.6 0.417 0.629 1.50
1.8 0.383 0.602 1.57
1
2 0.345 0.574 1.66
2.2 0.305 0.544 1.78
2.4 0.262 0.533 2.03
2.6 0.218 0.480 2.20
2.8 0.173 0.448 2.59
3 0.120 0.414 3.45
Per quanto riguarda la valutazione della tensione di confinamento f1, si addebita lo stato ulti-
mo alla rottura della fasciatura; considerata quindi una sezione circolare rinforzata con fibre
di resistenza a trazione fu e spessore t (fig. 20.4) si ha5:
370
Fig. 20.4
L’espressione può essere estesa al caso di sezione rettangolare, con spigoli vivi o smussati,
introducendo un coefficiente di normalizzazione della tensione f1, kg, pari a:
kg = f1/f1c
in cui le tensioni f1 ed f1c sono rispettivamente agenti sulla sezione in oggetto e su una sezio-
ne circolare avente diametro d pari al lato della sezione quadrata di figura 20.3; noto quindi
il valore di kg per la sezione in studio si ottiene f1 = kg · f1c.
Nella tabella 20.2 sono riportati i valori di kg per le sezioni di tipo più frequente, al variare dei
seguenti parametri:
– rapporto di forma, rf;
– tipo di sezione;
– raggio di curvatura r0 degli eventuali smussi.
Tabella 20.2
VALORI DI Kg
Sezione Sezione “b” Sezione “c”
rf
“a” ki = 1 ki < 1 r0 ki = 1 ki < 1
b/2 1 1
b/3 0.90 0.72
1 0.71 0.15 b/5 0.82 0.49
b/8 0.78 0.36
b/10 0.76 0.32
b/2 0.43 0.29
b/3 0.40 0.22
2 1 0.225 0.048 b/5 0.38 0.16
b/8 0.37 0.13
b/10 0.37 0.12
b/2 0.27 0.14
b/3 0.26 0.11
3 0.105 0.022 b/5 0.25 0.08
b/8 0.24 0.07
b/10 0.24 0.07
371
Il coefficiente correttivo Ki che compare nella tabella tiene conto della concentrazione degli
sforzi negli spigoli ed è determinato sperimentalmente; può essere posto pari a 1 quando negli
spigoli sono inseriti accorgimenti (per esempio angolari metallici) atti a ridurre tale concen-
trazione.
Attribuito il collasso alla rottura della fasciatura di rinforzo, l’espressione del carico ultimo
assume la forma:
Nu = A· (fmd0 + 2k1kekgρrfu)
dove A è l’area della sezione, fu è la tensione di progetto di rottura del nastro applicato e ρr è
il rapporto d’armatura ridotto definito come:
t
ρr =
b
con t spessore del nastro e b dimensione caratteristica della sezione. La formula è di agevole
applicazione e consente, una volta desunti i coefficienti k1, kg, ke, di determinare il carico ulti-
mo dell’elemento rinforzato sotto l’ipotesi di rottura del nastro.
Attribuito invece il collasso alla resistenza a compressione dell’elemento murario, l’espres-
sione del carico ultimo assume la forma
Nu = Afmd0(1+2k1kekgv0ρrn)
dove con n si è indicato il rapporto di omogeneizzazione fra i due materiali (n = Ef/Ee) e con
v0 è indicato il valore in condizioni ultime del rapporto fra le deformazioni assiale e trasver-
sale. Come si è osservato in precedenza, le determinazioni sperimentali forniscono per v0 un
valore molto maggiore del corrispondente elastico, specificato in 0,7 da alcuni autori.
372
APPENDICE A
Norme tecniche
per le Costruzioni – D.I. 14.09.05
A.1. PREMESSA
In data 23 settembre 2005 è stato pubblicato, nel Supplemento Ordinario alla G.U. n. 222 il
Decreto Interministeriale 14.09.05 di approvazione delle Norme Tecniche per le
Costruzioni {9}. Tali norme tecniche sono in vigore a partire dal 23.10.2005.
Le norme citate contengono alcune novità rispetto a quanto prescritto per gli edifici in mura-
tura in zona sismica dalla {4} e sono, in alcuni punti, più restrittive rispetto a tale ultima nor-
mativa.
Nel seguito, verranno illustrate le più importanti novità e diversità con la {4}, naturalmente
relativamente agli edifici in muratura in zona sismica.
In ogni caso, per la progettazione in zona sismica, al secondo capoverso del par. 5.7.1.1 la {9}
recita come segue:
Si vuole ora fornire una visione sintetica degli argomenti in cui sono state introdotte delle
diversità rispetto alla {4}.
Tutto quanto elencato sopra verrà analizzato in dettaglio nei successivi paragrafi.
Per le strutture esistenti, considerando l’analisi costi-benefici, i maggiori costi necessari per
una riabilitazione strutturale portano ad accettare livelli di affidabilità minori.
Per gli stati limite di servizio, per i quali è essenziale considerare la reversibilità o meno del
374
fenomeno da evitare, i limiti di affidabilità sono legati al caso specifico. In tabella A.3 si for-
niscono valori del tutto indicativi. Si ricorda che, in presenza di sisma, lo stato limite di ser-
vizio da considerare è lo SLD.
Tabella A.3 Limite superiore della probabilità di
collasso annua (SLE)
Costo relativo
di misure migliorative Pc
della sicurezza
Alto ≤ 1 x 10 -1
Basso ≤ 1 x 10 -2
375
Il sistema di attestazione 2+ è la certificazione del controllo di produzione in fabbrica, men-
tre il sistema 4 si basa sull’autodichiarazione del produttore.
La durabilità della malta è garantita dall’assenza di sostanze organiche o grassi o terrose o
argillose.
La resistenza media a compressione fm è il parametro che caratterizza le prestazioni meccani-
che di una malta; in base a tale parametro le malte sono classificate con una sigla composta
dalla lettera M e da un numero che indica la resistenza fm espressa in N/mm2. Tale classifica-
zione è presentata nella tabella A.5.
Classe M 2,5 M5 M 10 M 15 M 20 Md
Resistenza a
compressione 2.5 5 10 15 20 d
N/ mm2
d è una resistenza > 25 N/mm2, dichiarata dal produttore
Tabella A.6
376
Tabella A.7 Valori della fk per murature in elementi artificiali pieni o semipieni (N/mm2)
Resistenza caratteristica Tipo di malta
a compressione fbk
dell'elemento N/mm2 M15 M10 M5 M2.5
Resistenza caratteristica a
Tipo
compressione fbk fvk0
di malta
dell'elemento
≤ 15 ≤ M15 0.2
La resistenza caratteristica a taglio fvk si valuta poi come già visto al paragrafo 3.1.2, con la
relazione:
con σn tensione normale media dovuta ai carichi verticali agenti nella sezione da verificare.
Per le murature formate da elementi semipieni o forati vale la limitazione esposta in tale para-
grafo.
377
A.4.3. Muratura costituita da elementi resistenti naturali - Caratteristiche meccaniche
Come già visto al paragrafo 3.2.1, si assume convenzionalmente, per la resistenza caratteri-
stica a compressione degli elementi resistenti fbk, il valore:
Tabella A.10 Valori della fk per murature in elementi naturali in pietra squadrata
Resistenza caratteristica Tipo di malta
a compressione fbk
dell'elemento N/mm2 M15 M10 M5 M2.5
La resistenza a taglio in assenza di tensioni normali fvk0, in fase di progetto si può desumere
dalla tabella A.11 riferita a murature in elementi naturali in pietra squadrata.
Resistenza caratteristica a
Tipo
compressione fbk fvk0
di malta
dell'elemento
M15, M10, M5 0.1
≤3
M2.5 0.1
quindi con la stessa formulazione relativa alla muratura costituita da elementi artificiali.
378
A.5. ALTEZZE MASSIME CONSENTITE IN ZONA SISMICA
Nella {9}, per quanto riguarda le altezze massime consentite, in zona sismica di categoria 1
scompare la distinzione tra edifici in muratura ordinaria ed armata contenuta nella {4} e viene
prescritto quanto segue:
per le zone sismiche di categoria 1, è fissata una altezza massima pari a due
piani dal piano di campagna, ovvero dal ciglio della strada. Il solaio di coper-
tura del secondo piano non può essere calpestio di volume abitabile.
Per le altre zone classificate sismiche l’altezza massima degli edifici dovrà
essere opportunamente limitata, in funzione delle loro capacità deformative e
dissipative e della classificazione del terreno.
Per non pessima consistenza del terreno si può ritenere che le altezze massime previste dalla
{4} per le categorie da 2 a 4, riportate al paragrafo 5.1 di questo volume, siano limitazioni
accettabili.
I regolamenti locali e/o le norme di attuazione degli strumenti urbanistici possono introdurre
ulteriori limitazioni alle altezze degli edifici in relazione alla larghezza stradale.
GK + ∑ (ψ
i
2i Q Ki )
Rispetto alla analoga fornita dalla {4}, riportata al paragrafo 10.3, si evidenzia il minore valo-
re che compete alle scale (0.3 in luogo di 0.8).
La modifica apportata dalla {9} nella valutazione dei carichi gravitazionali da considerare
nella determinazione dell’azione sismica porta comunque ad un incremento del taglio alla
base dell’edificio rispetto a quanto prescritto dalla {4}.
Tuttavia per gli edifici in muratura, in cui sono preponderanti i carichi dovuti ai pesi delle
pareti rispetto ai sovraccarichi sui solai, specie se tali sovraccarichi sono quelli usuali di un
edificio per abitazioni, tale incremento è modesto ma deve essere comunque considerato.
379
A.7. COEFFICIENTI PARZIALI DI SICUREZZA PER LA MURATURA ORDINARIA
E PER LA MURATURA ARMATA
A.7.1. Muratura ordinaria
Da notare che il coefficiente γd, che non compare per l’acciaio impiegato nelle costruzioni in
c.a. e quindi si deve considerare pari ad uno, penalizza fortemente le costruzioni in muratura
armata. Le verifiche di sicurezza a pressoflessione ed a taglio si eseguono poi così come illu-
strato al capitolo 13.
1. scadenza della vita di servizio a partire dalla fine della costruzione ovvero
dalla data del collaudo statico;
380
Tale condizione costituisce una novità rispetto alla {4}.
La {9} poi introduce e definisce quattro tipi di intervento:
1) intervento di consolidamento;
2) intervento di riparazione;
3) intervento di adeguamento;
4) intervento di miglioramento.
Le condizioni per cui è necessario procedere ad interventi di adeguamento o miglioramento e la
loro definizione, sono sostanzialmente quelle previste dalla {4} in presenza di azione sismica.
381
Taglio alla base:
Fh = 0.2894 · 1172326 = 339271 daN.
Tabella A.13
zi Wi Tagliante
Wi zi Forza di piano
Impalcato zi Wi -------- di piano
(daN) (ml.) Fi (daN)
∑ zj Wj (daN)
Si vogliono ora verificare allo SLU le pareti 1 e 6 al piano terra, tenendo conto dei coefficien-
ti parziali di sicurezza definiti dalla {9}.
PARETE 1
l = 240 cm; t = 40 cm.
Vd = 0.0353 · 167702 + 0.0353 · 110093 + 0.0348 · 61476 = 11945 daN;
Md = 11945 · 3.25 · 0.5 = 19410 daNm;
Pd = 25437 daN; σ0 = σmed = 2.65 daN/cm2.
382
PARETE 6
l = 440 cm; t = 40 cm.
Vd = 0.0827 · 167702 + 0.0826 · 110093 + 0.0821 · 61476 = 28010 daN;
Md = 28010 · 3.25 · 0.5 = 45516 daNm;
Pd = 60913 daN; σ0 = σmed = 3.46 daN/cm2.
VERIFICHE PARETE 1
Pressoflessione:
2.65 2.65 1
M u = (240 2 ⋅ 40 ⋅ ) (1 - ) = 2 daNm > M d
6843
2 0.85 ⋅ 25.83 100
Taglio per scorrimento:
e = Md/Pd = 0.76 ml: u = 1.2 – 0.76 = 0.44 ml; l’= 3 u = 1.32 ml.
25437
σn = = 4.82 daN/cm 2 ; fvk = fvk0 + 0.4 σ n = 3.93 daN/cm 2
40 ⋅ 132
3.93 1
Vt = 132 ⋅ 40 = 8646 daN < Vd
2 1.2
- sezione non verificata.
VERIFICHE PARETE 6
Pressoflessione:
3.46 3.46 1
M u = (440 2 ⋅ 40 ⋅ ) (1 - ) = 112858 daNm > M d
2 0.85 ⋅ 25.83 100
Taglio per scorrimento:
e = Md/Pd = 0.75 ml: u= 2.2 – 0.75 = 1.45 ml; l’= 3 u = 4.35 ml.
60913
σn = = 3.5 daN/cm 2 ; fvk = fvk0 + 0.4 σ n = 3.40 daN/cm 2
40 ⋅ 435
3.40 1
Vt = 435 ⋅ 40 = 24650 daN < Vd
2 1.2
- sezione non verificata.
Per entrambe le pareti non è soddisfatta la verifica a taglio. Poiché la variazione di taglio da
apportare alle pareti 1 e 6 rientra nei limiti specificati al paragrafo 11.3.1, si può procedere
alla redistribuzione del taglio sulle pareti in grado di sopportare un incremento del taglio stes-
so. Comunque per la parete 1, per la quale la differenza tra Vd e Vt è sensibile, si può preve-
dere un intervento locale di rafforzamento.
383
Le corrispondenti tensioni caratteristiche, di snervamento fyk e di rottura ftk devono risultare:
Si assumono le resistenze di progetto fd per la muratura ed fyd per l’acciaio così come pre-
sentato rispettivamente al paragrafo A.7.1 e A.7.2.
Le verifiche allo SLU a pressoflessione nel piano, a taglio ed a pressoflessione fuori del piano,
si possono perseguire con le metodologie illustrate al capitolo 13.
Di seguito si presentano alcuni esempi numerici relativi a tali verifiche.
260
εyd = = 1.3 ‰
2 ⋅ 10 5
L’aggiornamento comporta modeste variazioni nel software in grado di produrre i domini m
– n. Di seguito si ripete l’esempio del paragrafo 13.2.5 considerando un acciaio B 450 nelle
stesse quantità di armatura indicate.
Risulta quindi:
82 1
0.85 fd = 0.85 = 29.04 daN/cmq
2 1.20
acciaio B 450 - As = A’s = 4.62 cmq
4500 1
fyd = = 2600 daN/cmq;
1.15 1.50
384
Nella figura A.1 si presenta il dominio relativo a tale verifica.
Fig. A.1
Risulta:
N0 = 30 · 290 · 29.04 = 252648 daN.
40000 500000
nd = = 0.1583 ; m d = = 0.0682
252648 252648 ⋅ 2.90
Il punto P è rappresentativo delle condizioni di progetto; l’orizzontale per P interseca la fron-
tiera nel punto P1, rappresentativo delle condizioni ultime. La coordinata orizzontale di P1
vale: mu = 0.118; il momento ultimo è quindi:
Mu = 252648 · 2.90 · 0.118 = 86456 daNm
la verifica è soddisfatta.
385
PARETI CON ARMATURA DIFFUSA
Si ripropone la parete dell’esempio di figura 13.10, armata come risulta dalla stessa figura ma
con barre di acciaio B450, verificata secondo la {9}.
I valori delle caratteristiche di sollecitazione di progetto sono:
Con tale posizione dell’asse neutro si escludono dalla verifica sia il secondo ferro da 12,
molto prossimo all’asse neutro, che il primo e terzo φ 12 (uno compresso e l’altro teso) più
prossimi a tale asse.
Con queste precisazioni, la prima iterazione fornisce:
Si ha quindi:
0.6753
M u = 58832 ⋅ (1.5 - ) + 2600 ⋅ 4 ⋅ (1.5 − 0.1) + 2600 ⋅ 4 ⋅ (2.9 - 1.5) +
2
+ 2600 · 1.13 · ( 2.5 - 1.5 ) + ( 2.1 - 1.5 ) + (1.7 - 1.5 ) = 102792 daNm
386
fvk 1
Vt ,M = dt
γ m γ R ,d
in cui i coefficienti parziali di sicurezza assumono i significati ed i valori già precisati nel cita-
to paragrafo A.7.1.
Come esempio numerico si vuole trovare il taglio ultimo per la parete di figura 13.10 con
armatura orizzontale 1 φ 10 passo 40, realizzata con materiali aventi le caratteristiche speci-
ficate di seguito.
82 1
MURATURA: fk = 82 daN/cmq; fd = = 34.16 daN/cmq ; fvk0 = 2.0 daN/cmq;
2 1.2
50000
σn = = 5.75 daN/cmq ; fvk = 2.0 + 0.4 · 5.75 = 4.3 daN/cmq;
290 ⋅ 30
fd in direzione orizzontale: 8 daN/cmq.
Il taglio agente Vt,d deve comunque risultare ≤ al taglio Vt,c definito dalla (13.13):
l’armatura totale è:
As = 4.0 · 2 + 6 · 1.13 = 14.78 cmq.
Si ha quindi per la (13.15):
50000 + 2600 ⋅ 14.78
x = = 12.69 cm
29.04 ⋅ 300 ⋅ 0.8
Il valore di Mu si ricava con la (13.14b):
Mu = 29.04 · 300 · 0.8 · 12.69 · (15 – 0.4 · 12.69) 1/100 = 8777 daNm.
387
APPENDICE B
Norme Tecniche
per le Costruzioni – D.M. 14.01.08
B.1. PREMESSA
In data 4 febbraio 2008 è stato pubblicato, nel Supplemento Ordinario alla G.U. n. 30, il
Decreto ministeriale 14.01.08 di approvazione delle Norme Tecniche per le Costruzioni
{10}. Tali Norme Tecniche saranno in vigore, salvo proroghe, a partire dal 30.06.2010. Per i
soli edifici di interesse strategico e per le opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli
eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, la {10} è in
vigore dalla data di pubblicazione sulla G.U. Nel seguito la normativa {10} viene indicata
come NTC 2008, per distinguerla dalla {9} indicata come NTC 2005.
Le NTC 2008 contengono alcune novità rispetto a quanto prescritto per gli Edifici in muratu-
ra in zona sismica dalla {9} e sono, in alcuni punti, del tutto innovative.
Nel seguito, verranno illustrate le più importanti novità e diversità con la {9}, naturalmente
relativamente agli Edifici in muratura in zona sismica.
Si vuole ora fornire una visione sintetica degli argomenti in cui sono state introdotte delle
diversità rispetto alla {9}.
1) Definizione di: Vita nominale – Classi d’uso – Periodo di riferimento per l’azione sismica.
2) Possibilità di utilizzare il metodo di verifica alle tensioni (tensioni ammissibili) in alcuni
casi particolari.
3) Malte ed elementi per muratura portante.
4) Altezze massime consentite in zona sismica.
5) Azione sismica.
6) Variazione dei coefficienti parziali di sicurezza nelle verifiche, per la muratura ordinaria
e per la muratura armata.
7) Edifici esistenti.
In particolare la procedura di valutazione dell’azione sismica è del tutto nuova e basata sulle
potenzialità offerte dalla definizione dettagliata della pericolosità sismica italiana di recente
prodotta e messa in rete dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
Tutto quanto elencato sopra, verrà analizzato in dettaglio nei successivi paragrafi.
VR = VN ⋅ CU
Il coefficiente CU è funzione della classe d’uso, secondo quanto definito nella seguente tabella.
390
In definitiva gli intervalli di valori da assumere per VR sono riportati nella tabella B.3.
Tabella B.3 Intervalli di valori per VR
Valori di VR
Vita Nominale
Classe d’ uso
VN
I II III IV
≤ 10 35 35 35 35
≥ 50 ≥ 35 ≥ 50 ≥ 75 ≥ 100
≥ 100 ≥ 70 ≥ 100 ≥ 150 ≥ 200
391
Tabella B.5 Resistenza caratteristica a taglio fvko
Resistenza caratteristica a compressione fvko
Tipo di elemento resistente Classe di malta
fbk dell’elemento (N/mm2) (N/mm2)
fbk > 15 M10 ≤ M ≤ M20 0.30
Laterizio pieno e semipieno 7.5 < fbk ≤ 15 M5 ≤ M < M10 0.20
fbk ≤ 7.5 M2.5 ≤ M < M5 0.10
fbk > 15 M10 ≤ M ≤ M20 0.20
Calcestruzzo; Silicato di calcio;
Cemento autoclavato; 7.5 < fbk ≤ 15 M5 ≤ M < M10 0.15
Pietra naturale squadrata. fbk ≤ 7.5 M2.5 ≤ M < M5 0.10
La resistenza caratteristica a taglio fvk, definita come resistenza all’effetto combinato delle
forze orizzontali e dei carichi verticali agenti nel piano del muro, si ricava dalla nota formula:
con σn tensione normale media dovuta ai carichi verticali agenti nella sezione.
Per gli elementi resistenti artificiali semipieni e forati si conferma la limitazione:
con fbk valore caratteristico della resistenza degli elementi in senso orizzontale e nel piano del
muro.
Per le altre zone l’altezza massima degli edifici deve essere opportunamente
limitata, in funzione delle loro capacità deformative e dissipative e della clas-
sificazione sismica del territorio.
Per quanto riguarda gli edifici in muratura armata, non viene presentata nessuna limitazione
particolare, ma viene genericamente prescritto:
Per le altre tipologie strutturali (cemento armato, acciaio, etc.) l’altezza mas-
sima è determinata unicamente dalle capacità resistenti e deformative della
struttura.
Per una consistenza del terreno non pessima un utile riferimento resta quanto previsto circa le
altezze massime dalla {4} per le zone da 2 a 4, riportato al par. 5.1 di questo volume.
I regolamenti locali e/o le norme di attuazione degli strumenti urbanistici possono introdurre
limitazioni all’altezza degli edifici, in funzione della larghezza stradale.
392
Tale procedura si basa, come già accennato, sulla definizione di pericolosità sismica, così
come presentata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).
La pericolosità sismica di un sito rappresenta la probabilità, che in un fissato lasso di tempo,
in detto sito si verifichi un evento sismico di entità almeno pari a un valore prefissato. Tale
intervallo di tempo viene assunto pari al periodo di riferimento VR e la probabilità è indicata
con il nome “probabilità di eccedenza o di superamento nel periodo di riferimento” e con il
simbolo PVR.
Le azioni sismiche di progetto, da determinare con le procedure delle NTC 2008, sono basa-
te sulla definizione convenzionale della pericolosità sismica, riferita ad un sottosuolo rigido
(di categoria A) con superficie topografica orizzontale (di categoria T1, secondo quanto defi-
nito in seguito).
Tale pericolosità viene indicata come pericolosità sismica di base.
Le ordinate dello spettro elastico in accelerazione Se(T) sono quindi definite in funzione del
periodo di riferimento VR e di un prefissato valore della probabilità di eccedenza PVR.
In definitiva la {10}, a proposito delle forme spettrali da considerare, stabilisce quanto segue.
Ai fini della presente normativa le forme spettrali sono definite, per ciascuna
probabilità di superamento nel periodo di riferimento PVR, a partire dai valo-
ri dei seguenti parametri su sito di riferimento rigido orizzontale:
ag accelerazione orizzontale massima al sito;
Fo valore massimo del fattore di amplificazione dello spettro in accelerazione
orizzontale;
TC* periodo di inizio del tratto a velocità costante dello spettro in accelerazio-
ne orizzontale.
In allegato alle presenti norme, per tutti i siti considerati, sono forniti i valori
di ag, Fo e TC* necessari per la determinazione delle azioni sismiche.
Da notare che il valore massimo del fattore di amplificazione Fo è variabile con la pericolo-
sità sismica del sito e non più costante e pari a 2.5 come nelle precedenti normative.
Il valore di ag si ricava direttamente dai dati forniti dall’INGV, ed è relativo alla pericolosità
di riferimento. I valori di Fo e TC* sono invece valutati con l’intento di approssimare al meglio
gli spettri di risposta elastica in accelerazione, velocità e spostamento dovuti alla pericolosità
di riferimento con gli analoghi spettri ricavabili con l’applicazione della Normativa 2008.
393
4
∑ dp i
i
p= i=1
4
∑ d1 i
i=1
dove
p è il valore del parametro considerato, nel punto di interesse;
pi è il valore del parametro considerato, nel punto i della maglia contenente il punto di inte-
resse;
di è la distanza del punto di interesse dal punto i-esimo della maglia considerata.
Per tutte le isole, con esclusione della Sicilia, Ischia, Procida, Capri gli spettri di risposta
sono definiti in base a valori di ag, Fo e TC* uniformi su tutto il territorio di ciascuna isola.
394
colarmente utile come riferimento progettuale per alcune tipologie strutturali (strutture con
isolamento e dissipazione di energia) e, più in generale, nel quadro complessivo della pro-
gettazione antisismica.
I quattro stati limite SLO, SLD, SLV e SLC corrispondono nell’ordine ad azione sismica crescen-
te, e quindi anche ad un evolversi in senso crescente del danneggiamento dell’insieme strut-
tura, elementi non strutturali ed impianti.
La Norma attribuisce, ai quattro Stati Limite sopra definiti, le probabilità di superamento nel
periodo di riferimento PVR riportate in tabella B.6.
Tabella B.6 Probabilità di superamento PVR al variare dello stato limite considerato
Stati Limite PVR: Probabilità di superamento nel periodo di riferimento VR
SLO 81%
Stati limite di esercizio
SLD 63%
SLV 10%
Stati limite ultimi
SLC 5%
Qualora la protezione nei confronti degli stati limite di esercizio sia di priori-
taria importanza, i valori di PVR forniti in tabella devono essere ridotti in fun-
zione del grado di protezione che si vuole raggiungere.
L’Ingegneria sismica fornisce poi la formula per valutare il periodo di ritorno del terremoto
TR, parametro secondo cui sono tabellate le grandezze ag, Fo e TC* nei nodi del reticolo di rife-
rimento.
La citata formula è:
VR CU • VN
TR = - =-
ln (1- PVR ) ln (1- PVR )
In tabella B.7 sono riportate le espressioni di TR in funzione di VR ottenute con tale ultima for-
mula, per valori di PVR variabili per i diversi stati limite come da Tabella B.6.
Tabella B.7 Valori di TR espressi in funzione di VR
Stati Limite Valori in anni del periodo di ritorno TR al variare del periodo di riferimento VR
Stati limite di SLO 1 30 anni ≤ TR = 0.60 VR
Esercizio (SLE) SLD TR = VR
Stati limite SLV TR = 9.50 · VR
Ultimi (SLU) SLC TR = 19.50 · VR ≤ 2475 anni 1
1 I limiti inferiore e superiore di TR fissati in tabella sono dovuti all’intervallo di riferimento della pericolosità sismica oggi disponibile.
395
I fattori che influenzano la risposta sismica locale sono:
– effetti stratigrafici
– effetti topografici.
Tali effetti vengono conglobati in un coefficiente amplificativo S, ottenuto come prodotto di
un coefficiente SS di amplificazione stratigrafica e di un coefficiente ST di amplificazione
topografica:
S = SS ⋅ ST
Terreni dei sottosuoli C o D per spessore non superiore a 20 m, posti su substrato di riferimento (con
E
Vs,30 > 800 m/s).
I parametri Vs,30, NSPT,30 e cu,30 hanno i significati visti al par. 10.1, entro i primi 30 m di profondità.
Le profondità sono riferite, per le fondazioni superficiali, al relativo piano d’imposta; per le fondazioni su pali, il riferimento è relativo
alla quota di testa dei pali.
Oltre alle categorie innanzi elencate, vengono prese in considerazione due categorie aggiun-
tive descritte in tabella B.9.
Tabella B.9 Categorie aggiuntive di sottosuolo
Categoria Descrizione
Depositi di terreni caratterizzati da valori di Vs,30 inferiori a 100 m/s (ovvero 10 < cu,30 < 20 kPa), che
S1 includono uno strato di almeno 8 m di terreni a grana fine di bassa consistenza, oppure che includo-
no almeno 3 m di torba o di argille altamente organiche.
Depositi di terreni suscettibili di liquefazione, di argille sensitive o qualsiasi altra categoria di sottosuolo
S2
non classificabile nei tipi precedenti.
Per sottosuoli appartenenti ad una delle categorie S1 ed S2 le azioni sismiche saranno defini-
te con specifiche analisi, specie se si possono prevedere fenomeni di collasso nel terreno per
la presenza di terreni suscettibili di liquefazione e/o di argille di elevata sensitività.
396
Anche il periodo TC relativo allo spettro elastico riferito al sito di progetto è influenzato dalla
categoria di sottosuolo in esame. Il legame con il valore TC* relativo al suolo rigido di riferi-
mento si esprime come segue:
TC = CC ⋅ TC*
L’Ingegneria sismica fornisce la possibilità di valutare i valori dei coefficienti SS e CC nel sito
di interesse, in funzione dei valori di Fo e TC* del sottosuolo di riferimento (cat. A).
Naturalmente risulta SS = CC = 1 per sottosuolo di categoria A.
In tabella B.10 si forniscono le formule relative alla valutazione dei coefficienti SS e CC per
le varie categorie di sottosuolo.
Tabella B.10 Espressioni di SS e CC
Categoria sottosuolo SS CC
A 1.00 1.00
ag
B 1.00 ≤ 1.40 – 0.40 · Fo · ≤ 1.20 1.10 · (Tc* )- 0.20
g
ag
C 1.00 ≤ 1.70 – 0.60 · Fo · ≤ 1.50 1.05 · (Tc* )- 0.33
g
ag
D 0.90 ≤ 2.40 – 1.50 · Fo · ≤ 1.80 1.25 · (Tc* )- 0.50
g
ag
E 1.00 ≤ 2.00 – 1.10 · Fo · ≤ 1.60 1.15 · (Tc* )- 0.40
g
I coefficienti di amplificazione topografica, relativi alle varie categorie, sono riportati nella
tabella B.12.
Tabella B.12 Valori massimi del coefficiente di amplificazione topografica ST
Categoria topografica Ubicazione dell’opera o dell’intervento ST
T1 --- 1.0
T2 In corrispondenza della sommità del pendio 1.2
T3 In corrispondenza della cresta del rilievo 1.2
T4 In corrispondenza della cresta del rilievo 1.4
397
La variazione spaziale del coefficiente di amplificazione topografica è defini-
ta da un decremento lineare con l’altezza del pendio o rilievo, dalla sommità
o cresta fino alla base dove ST assume valore unitario.
T 1 T
0 ≤ T < TB Se(T) = a g ⋅ S ⋅ η ⋅ Fo + 1-
TB η ⋅ Fo TB
TB ≤ T < TC Se (T) = ag ⋅ S ⋅ η ⋅ Fo
T
TC ≤ T < TD Se (T) = ag ⋅ S ⋅ η ⋅ Fo C
T
T ⋅T
TD ≤ T Se (T) = ag ⋅ S ⋅ η ⋅ Fo C 2 D
T
nelle quali
η fattore che tiene conto di un coefficiente di smorzamento viscoso equivalente ξ,
espresso in punti percentuali, diverso da 5 (η = 1 per ξ = 5):
η = 10 / (5 + ξ) ≥ 0.55;
398
Fo fattore che esprime l’amplificazione spettrale massima, su suolo di riferimento
rigido orizzontale, che assume un valore ≥ 2.2;
T periodo di vibrazione dell’oscillatore semplice;
TB, TC, TD periodi che separano i diversi rami dello spettro.
Il prodotto ag ⋅ Fo caratterizza la pericolosità sismica del sito.
Si ricorda che il periodo TC relativo allo spettro elastico riferito al sito di progetto si valuta,
in funzione del valore TC* relativo al suolo rigido di riferimento, con la relazione:
TC = CC ⋅ TC*
TB = TC /3
ag
TD =T4.0
B = TC+/31.6
g
Se si confronta la formulazione fornita per lo spettro elastico dalle NTC 2008 con le analo-
ghe formule proposte dalle precedenti normative, riportate come formule da 10.1.1 a 10.1.4,
si nota che il fattore di amplificazione fisso 2.5 di queste ultime è sostituito da un fattore Fo
variabile il cui valore minimo è pari a 2.2.
La struttura delle formule è poi equivalente anche per la 10.1.1 che potrebbe apparire a prima
vista diversa. Si ha infatti:
T T 1 T
a g ⋅ S 1 + ( η ⋅ 2.5-1) = a g ⋅ S ⋅ η ⋅ 2.5 + 1-
TB TB η ⋅ 2.5 TB
Per meglio illustrare la procedura per la determinazione dei parametri necessari a definire lo
spettro elastico, si presenta ora un caso concreto.
Si voglia definire lo spettro elastico, per lo stato limite di danno SLD e per lo stato limite di
salvaguardia della vita SLV, per un edificio da progettare nel Comune di Napoli.
L’edificio, regolare in pianta ed in altezza, è di tipo 2, rientrando tra le opere ordinarie; la clas-
se d’uso è la II, in quanto si prevedono nell’edificio normali affollamenti (edificio per abita-
zioni). La vita nominale e la vita di riferimento coincidono, in quanto il coefficiente d’uso CU
assume valore unitario:
VR = VN = 50 anni
TR = VR = 50 anni
I valori dei parametri ag, Fo e TC* , valutati come media pesata dei valori rilevati nei quattro ver-
tici della maglia del reticolo di riferimento contenente il punto rappresentativo della città di
Napoli e relativi a TR = 50 anni, risultano:
399
ag = 0.06 ⋅ g; Fo = 2.338; TC* = 0.312 sec.
TC ag
TB = = 0.145 sec; TD = 4.0 + 1.6 = 1.84 sec.
3 g
Con i valori dei parametri così trovati, posto η = 1, si può ora definire lo spettro elastico.
Risulta:
ag ⋅ S ⋅ η ⋅ Fo = 0.06g ⋅ 1.2 ⋅ 1.0 ⋅ 2.338 = 0.168g
T 1 T
0 ≤ T < 0.145 sec Se(T) = 0.168g + 1 -
0.145 2.338 0.145
0.434
0.434 sec ≤ T < 1.84 sec Se (T) = 0.168g
T
0.434 • 1.84
1.84 sec ≤ T Se (T) = 0.168g
T2
VR 50
TR = - =- = 475 anni
ln(1- PVR ) ln(0.9)
I valori dei parametri ag, Fo e TC* , valutati come media pesata dei valori rilevati nei quattro ver-
tici della maglia del reticolo di riferimento contenente il punto rappresentativo della città di
Napoli e relativi a TR = 475 anni, risultano:
400
Il coefficiente di amplificazione S ha il valore: S = 1.2.
Il coefficiente CC, per suolo di cat. B, risulta:
Con i valori dei parametri così trovati, posto η = 1, si può ora definire lo spettro elastico.
Risulta:
ag ⋅ S ⋅ η ⋅ Fo = 0.168g ⋅ 1.2 ⋅ 1.0 ⋅ 2.378 = 0.479g
T 1 T
0 ≤ T < 0.155 sec Se(T) = 0.479g + 1-
0.155 2.378 0.155
0.464
0.464 sec ≤ T < 2.272 sec Se (T) = 0.479g
T
0.464 • 2.272
2.272 sec ≤ T Se (T) = 0.479g
T2
TC
TC ≤ T < TD Sve (T) = ag ⋅ S ⋅ η ⋅ Fv ⋅
T
TC • TD
TD ≤ T Sve (T) = ag ⋅ S ⋅ η ⋅ Fv ⋅
T2
In tali relazioni T e Sve rappresentano periodo di vibrazione e accelerazione spettrale vertica-
le ed Fv è il fattore di amplificazione spettrale massima, che sostituisce il fattore di valore fisso
3.0 delle precedenti normative. Il valore di Fv è al contrario variabile con ag ed Fo, secondo la
relazione:
401
ag
0.5
Fv = 1.35 ⋅ Fo ⋅
g
Salvo più accurate determinazioni, per i parametri SS,TB, TC e TD si confermano i valori delle
precedenti normative, specificati al par. 10.2.2, che si riportano di seguito.
Tabella B.13 Parametri relativi allo spettro elastico di risposta della componente verticale
Categoria di suolo SS TB TC TD
A, B, C, D, E 1.0 0.05 s 0.15 s 1.0 s
Per il coefficiente topografico ST si possono assumere i valori riportati nella tabella B.12,
salvo più specifiche analisi.
T
2
SDe(T) = Se(T) ⋅
2π
solo a condizione che il periodo di vibrazione T non superi i valori TE indicati nella tabella B.14.
Tabella B.14 Valori dei parametri TE e TF
Categoria sottosuolo TE [sec.] TF [sec.]
A 4.5 10.0
B 5.0 10.0
C, D, E 6.0 10.0
Per valori del periodo di vibrazione > TE, lo spettro di risposta è definito dalla seguente for-
mulazione:
T - TE
T E < T ≤ TF S De(T) = 0.025 ⋅ ag ⋅ S ⋅ TC ⋅ TD ⋅ Fo ⋅ η + (1- Fo ⋅ η)
TF - TE
T > TF S De(T) = dg
con dg valore massimo dello spostamento orizzontale del terreno, valutabile con l’espressione:
dg = 0.025 ag ⋅ S ⋅ TC ⋅ TD
q = q0 ⋅ KR
402
in cui:
q0 rappresenta il valore massimo del fattore di struttura, funzione del livello di duttilità atte-
so, della tipologia strutturale e del rapporto αu/αl, già definito al par. 10.2.3.
KR rappresenta un fattore riduttivo funzione della regolarità in altezza della costruzione. I
valori da assumere per KR sono: KR = 1 per costruzioni regolari in altezza; KR = 0.8 per
costruzioni non regolari in altezza.
In particolare per le costruzioni in muratura ordinaria o armata, i valori di q0 da considerare
sono riportati nella successiva tabella B.15.
I parametri αu ed αl sono già stati definiti al par. 10.2.3. Per le costruzioni in muratura ordi-
naria o armata regolari in pianta, in mancanza di analisi specifiche per la valutazione del rap-
porto αu/αl, si possono adottare i seguenti valori:
• Costruzioni in muratura ordinaria ad un piano αu/αl = 1.4
• Costruzioni in muratura ordinaria a due o più piani αu/αl = 1.8
• Costruzioni in muratura armata ad un piano αu/αl = 1.3
• Costruzioni in muratura armata a due o più piani αu/αl = 1.5
• Costruzioni in muratura armata progettate con la gerarchia delle resistenze αu/αl = 1.3.
Per costruzioni non regolari in pianta, i valori da adottare per il rapporto αu/αl si ottengono
come media tra 1.0 ed il valore sopra indicato, corrispondente alla tipologia costruttiva in
muratura di interesse.
Per la componente verticale dell’azione sismica q = 1.5 per qualunque tipologia strutturale o
materiale, con esclusione dei ponti per i quali si deve assumere q = 1.0.
403
B.6.6. Combinazione dell’azione sismica con le altre azioni
Le NTC 2008 stabiliscono che le verifiche agli stati limite ultimi e di esercizio devono esse-
re effettuate, per le costruzioni civili ed industriali, con la seguente combinazione della azio-
ne sismica con le altre azioni:
G1 + G2 + P + E + ∑ψ Q j
2j kj
dove
G1 peso proprio degli elementi strutturali;
G2 peso proprio degli elementi non strutturali;
P pretensione e precompressione;
E azione sismica per lo stato limite in esame;
ψ2j coefficiente di combinazione che fornisce il valore quasi permanente dell’azione variabile Qj;
Qkj valore caratteristico dell’azione variabile Qj.
Gli effetti dell’azione sismica saranno valutati tenendo conto delle masse associate ai seguen-
ti carichi gravitazionali:
G1 + G2 + ∑ψ Q j
2j kj
Le NTC 2008 definiscono con maggiore dettaglio i valori dei coefficienti ψ2j, riportati nella
tabella B.16.
dE = ± µd dEe
404
con
µd = q per T1 ≥ TC
µd = 1 + (q – 1) ⋅ TC/ T1 per T1 < TC
Deve comunque risultare µd ≤ 5q – 4.
405
Si segnala infine che non è possibile giustificare in questa sede alcune delle formulazioni pre-
sentate. Si rimanda quindi per maggiori approfondimenti, se necessari, ai testi specializzati.
Si precisa ancora che le formule relative alla precedente normativa restano valide se non in
contrasto ovvero sostituite dalla formulazione presentata in questa Appendice B. Occorre
semplicemente considerare γI = 1 nelle formule relative alla precedente normativa, in quanto
nella valutazione di ag nelle NTC 2008 già si tiene conto della “importanza” dell’edificio
attraverso la vita nominale ed il coefficiente d’uso.
Tabella B.17 Valori del coefficiente γM in funzione della classe di esecuzione e della categoria degli elementi
resistenti
Classe di esecuzione
Materiale
1 2
Muratura con elementi resistenti di categoria I, malta a prestazione garantita 2.0 2.5
Muratura con elementi resistenti di categoria I, malta a composizione prescritta 2.2 2.7
Muratura con elementi resistenti di categoria II, ogni tipo di malta 2.5 3.0
I controlli necessari per la assegnazione della classe di esecuzione sono riportati in dettaglio
nello stesso par. 4.5.6.
La categoria di appartenenza degli elementi resistenti è stata definita nella tabella A.6 del par.
A.4.2.1 di questo volume.
Per le costruzioni in muratura in presenza di sisma, al par. 7.8.1.1 delle NTC 2008, è speci-
ficato che il coefficiente parziale di sicurezza γM da utilizzare è in ogni caso pari a 2.0. Si
ripristina quindi, in questo caso, quanto prescritto dalla normativa {4}.
Nel caso di muratura armata, si conferma il valore del coefficiente parziale di sicurezza per
l’acciaio γS = 1.15.
406
B.8.2. Verifiche agli Stati limite di Esercizio
Le verifiche per tali stati limite si sviluppano, per gli elementi strutturali delle costruzioni di
classe III e IV, in termini di resistenza.
Allo scopo di limitare i danneggiamenti strutturali, per tutti gli elementi strutturali, compresi
nodi e connessioni tra gli elementi, il valore delle sollecitazioni di progetto Ed, con azioni
sismiche per lo SLD e relative al corrispondente spettro elastico in cui si sia posto η = 2/3, sia
inferiore alla relativa resistenza di progetto Rd valutata con riferimento a situazioni eccezio-
nali. Si precisa, che per situazioni eccezionali, il coefficiente γM si può assumere pari a 1/2 di
quello che si assume in situazioni normali.
Per gli elementi non strutturali le verifiche si sviluppano in termini di contenimento del
danno.
Tali verifiche, per le costruzioni di classe d’uso I e II, consistono nel controllare che, sotto l’a-
zione sismica di progetto, gli elementi costruttivi non strutturali non devono subire danni che
comportino una temporanea inagibilità della costruzione.
Per le costruzioni civili ed industriali, se la inagibilità temporanea può essere determinata da
spostamenti di interpiano eccessivi, la verifica si sviluppa come segue.
Occorre controllare che, per effetto dell’azione sismica di progetto per lo SLD, gli spostamen-
ti d’interpiano per gli elementi strutturali e non strutturali dr siano inferiori ai seguenti limiti:
a) per tamponamenti collegati rigidamente alla struttura che interferiscono con la deforma-
bilità della stessa
dr < 0.005 h
407
Per le costruzioni semplici ricadenti in zona 2, 3, 4 non è obbligatorio effet-
tuare alcuna analisi e verifica di sicurezza.
408
peratura), significativo degrado e decadimento delle caratteristiche mec-
caniche dei materiali, azioni eccezionali (urti, incendi, esplosioni), situa-
zioni di funzionamento ed uso anomalo, deformazioni significative imposte
da cedimenti del terreno di fondazione;
• provati gravi errori di progetto o di costruzione;
• cambio della destinazione d’uso della costruzione o di parti di essa, con
variazione significativa dei carichi variabili e/o della classe d’uso della
costruzione;
• interventi non dichiaratamente strutturali, qualora essi interagiscono,
anche solo in parte, con elementi aventi funzione strutturale e, in modo
consistente, ne riducano la capacità o ne modifichino la rigidezza.
Queste prescrizioni sono generali, quindi valide per tutte le tipologie costruttive.
In particolare per le costruzioni in muratura soggette a sisma, viene richiamata la necessità di
considerare sia i meccanismi locali che quelli d’insieme.
a) sopraelevare la costruzione;
b) ampliare la costruzione mediante opere strutturalmente connesse alla
costruzione;
409
c) apportare variazioni di classe e/o di destinazione d’uso che comportino incre-
menti dei carichi globali in fondazione superiori al 10%; resta comunque
fermo l’obbligo di procedere alla verifica locale delle singole parti e/o ele-
menti della struttura, anche se interessano porzioni limitate della costruzione;
d) effettuare interventi strutturali volti a trasformare la costruzione mediante
un insieme sistematico di opere che portino ad un organismo edilizio diver-
so dal precedente.
Il progetto di adeguamento, riferito alla costruzione nel suo complesso, dovrà essere comple-
to delle verifiche, dopo l’intervento, riferite all’intera struttura.
La realizzazione di cordoli in sommità, con conseguente variazione di altezza dell’edificio,
non viene considerata sopraelevazione o ampliamento se il numero di piani non cambia e se
non sia verificata una delle condizioni c) o d). In questo caso non è richiesto l’adeguamento,
necessario invece nel caso contrario.
Per quanto riguarda gli interventi di riparazione, la precedente normativa prescriveva che tali
interventi dovevano essere tali da ripristinare la sicurezza al livello precedente al danno o al
decadimento (par. A.8). Le NTC 2008 invece prevedono che gli interventi di riparazione siano
tali da non provocare “sostanziali modifiche al comportamento delle altre parti della struttu-
ra nel suo insieme” ed inoltre prevede che gli interventi producano “un miglioramento delle
condizioni di sicurezza preesistenti”. Nel caso di carenze strutturali non risolte con gli inter-
venti, si dovrà “indicare le eventuali conseguenti limitazioni all’uso della costruzione”.
FC = 1 + ∑F
k =1
Ck
410
Tabella B.18 Fattori parziali di confidenza FCk
Per la prima tipologia di modelli il fattore di confidenza si utilizza riducendo moduli elastici
e resistenze.
Per la seconda tipologia di modelli il fattore di confidenza si utilizza secondo due modalità:
a) riducendo la capacità della struttura;
b) riducendo l’accelerazione corrispondente allo stato limite preso in esame.
Da notare che nella {12} si prescrive che, nel caso si siano svolte indagini sulle proprietà mec-
caniche della muratura, si potranno considerare valori del fattore parziale FC3 inferiori a 0.12
a condizione che nel modello di valutazione si sia tenuto conto della resistenza a compres-
sione della muratura.
Per quanto riguarda il fattore di struttura q, per gli edifici esistenti le Istruzioni {11} consi-
gliano quanto segue.
Il valore da utilizzare per il fattore q è:
– q = 2.0 αu/αl per edifici regolari in elevazione;
– q = 1.5 αu/αl negli altri casi.
Il valore del rapporto sarà pari a αu/αl = 1.5, in assenza di più precise valutazioni.
Si ricorda che per gli edifici esistenti la definizione di regolarità in pianta è quella presentata
al par. 5.2 per gli edifici nuovi, con esclusione del requisito d) che viene così sostituito:
d) i solai sono ben collegati alle pareti e dotati di una sufficiente rigidezza e
resistenza nel loro piano.
411
Gli interventi dovranno avere le seguenti finalità:
– riparazione di eventuali danni presenti;
– riduzione delle carenze dovute ad errori grossolani;
– miglioramento della capacità deformativa (“duttilità”) di singoli elementi;
– riduzione delle condizioni che determinano situazioni di forte irregolarità
degli edifici, in termini di massa, resistenza e/o rigidezza anche legate alla
presenza di elementi non strutturali;
– riduzione delle masse, anche mediante demolizione parziale o variazione
della destinazione d’uso;
– riduzione dell’impegno degli elementi strutturali originari mediante l’in-
troduzione di sistemi d’isolamento o di dissipazione dell’energia;
– riduzione dell’eccessiva deformabilità degli orizzontamenti;
– miglioramento dei collegamenti degli elementi non strutturali;
– incremento della resistenza degli elementi strutturali verticali resistenti,
tenendo eventualmente conto di una possibile riduzione della duttilità glo-
bale per effetto di rinforzi locali;
– realizzazione, ampliamento, eliminazione di giunti sismici o interposizione
di materiali atti ad attenuare gli urti;
– miglioramento del sistema di fondazione, se necessario.
Tali prescrizioni sono generali, quindi valide per qualunque tipologia costruttiva.
Per quanto riguarda specificamente le strutture in muratura, devono essere analizzate e per-
seguite le seguenti finalità:
– miglioramento dei collegamenti tra solai e pareti o tra copertura e pareti e fra
pareti confluenti in martelli murari ed angolate;
– riduzione ed eliminazione delle spinte non contrastate di coperture, archi
e volte;
– rafforzamento delle pareti intorno alle aperture.
Sono poi necessari opportuni interventi sulle parti non strutturali ed impianti, oltre che per
ragioni funzionali, quando tali parti sono potenzialmente pericolose in caso di sisma per la vita
degli occupanti o per i danni che si possono produrre nei beni contenuti nella costruzione.
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{2} Normativa tecnica per le costruzioni in zona sismica e connessa classificazione sismica del territo-
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{4} Ulteriori modifiche ed integrazioni all’Ordinanza del Presidente del C.M. n. 3274 del 20.03.2003.
Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 3.05.2005 n. 3431.
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{5} Eurocodice 6
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{6} Eurocodice 8
Indicazioni progettuali per la resistenza sismica delle strutture.
Uni, Milano 1998
{7} Building Seismic Safety Council NEHRP
Guidelines for the Seismic Rehabilitation of Buildings, FEMA – 273
Federal Emergency Management Agency, Washington 1997
{8} American Society of Civil Engineers
Prestandard and Commentary for the Seismic Rehabilitation of Buildings, FEMA – 356
Federal Emergency Management Agency, Washington 2000
{9} Norme Tecniche per le Costruzioni.
Decreto Interministeriale 14.09.2005, pubblicato sulla G.U. n. 222 del 23.09.2005 e relativo supple-
mento n. 159 in pari data.
{10} Norme Tecniche per le Costruzioni
Decreto Ministeriale 14.01.2008, pubblicato sulla G.U. del 04.02.2008 e relativo supplemento n. 30 in
pari data.
{11} Istruzioni per l’applicazione delle “Norme tecniche per le costruzioni” in cui al D.M. 14.01.2008
Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici – Bozza aggiornata al 07.03.2008.
{12} Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12.10.2007
Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri per la valutazione e la riduzione del rischio sismico
del patrimonio culturale con riferimento alle norme tecniche per le costruzioni. Pubblicato sulla G.U. n.
24 del 29.01.2008.
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