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PLATONE

Platone tratta della bellezza nel Fedro e nel Simposio, ponendola accanto all’idea dell’amore. In particolare, nel
Simposio considera la bellezza come oggetto dell’amore e mira a determinarne i gradi gerarchici; nel Fedro il filosofo si
concentra sull’amore nella sua soggettività, come aspirazione verso la bellezza ed elevazione progressiva dell’anima
al mondo delle idee, al quale la bellezza appartiene, in quanto sinonimo di bene (secondo la classica tradizione greca
del kalòs kagathòs).

SIMPOSIO
L’amore, in quanto figlio di Penìa (Povertà) e Pòros (Abbondanza, Ingegno), è visto come desiderio di colmare una
grave mancanza; l’amore non ha bellezza e la desidera in quanto essa è il bene che rende felici; la bellezza dunque
rappresenta il fine, l’oggetto dell’Amore. La bellezza ha gradi diversi ai quali corrispondono altrettante forme di amore:
la più bassa forma è la bellezza di un bel corpo, in seguito c’è la bellezza dell’anima, alla quale segue la bellezza delle
istituzioni e delle leggi, e poi la bellezza delle scienze. Al di sopra di tutto c’è la bellezza in sé, il più alto grado, eterna,
superiore al divenire e alla morte, perfetta, sempre uguale a sé stessa, fonte di ogni altra bellezza, a cui corrisponde
l’amore filosofico.

FEDRO
Attraverso il mito della biga alata Platone espone la sua teoria sulla natura dell’anima: una volta arrivata
nell’iperuranio, l’auriga potrà contemplare la «vera sostanza» per un dato tempo, in base a quanto riuscirà a gestire il
cavallo nero; quando, per oblio o per colpa, si appesantirà, perderà le ali e si incarnerà, andando a vivificare il corpo di
un uomo: l’anima che avrà visto di più vivificherà il corpo di un uomo che si consacrerà al culto dell’amore, le anime
che avranno visto di meno si incarneranno in uomini che saranno via via più alieni alla ricerca della verità e della
bellezza. Nell’anima caduta, il ricordo delle sostanze ideali viene risvegliato proprio dalla bellezza, la più evidente e la
più amabile per la sua luminosità; essa farà dunque da mediatrice tra l’uomo caduto e il mondo delle idee, e al suo
appello l’uomo risponde con l’amore, che , sentito e realizzato nella sua autentica natura, si fa guida dell’anima verso
il mondo dell’essere vero.

LA
BELLEZZA

ARISTOTELE
Per Aristotele una cosa è bella quando realizza pienamente il suo scopo, che coincide con la sua forma (>>entelechìa).
Negli enti naturali la finalità è precostituita, dal momento che in natura la forma è la condizione adulta, che si ottiene
quando l’individuo può essere considerato la realizzazione piena dell’universale.

Nell’enunciare i tratti che per Aristotele definiscono il bello, bisogna citare innanzitutto l’organicità: la bellezza
caratterizza sempre un «intero» (hòlon), ovvero un insieme organico e strutturato in maniera armoniosa.
Per il filosofo inoltre il bello presenta sempre un «ordine» (tàxis) e una «misura» (mèghetos):
• Il primo consiste nella corretta disposizione della parti di un oggetto;
• La seconda nelle adeguate dimensioni delle suo componenti.
Le considerazioni tratte da Aristotele, però non si riferiscono ai meri tratti esteriori, che solo in alcuni enti appaiono
subito armonici e attraenti, ma fanno riferimento all’adeguatezza alla forma, che è un elemento concettuale,
percettibile attraverso l’intelletto: quando si coglie nell’individuo la forma, si prova piacere e si ottiene conoscenza.
Nella concezione aristotelica del bello risultano indisgiungibili l’apporto dei sensi e quello dell’intelletto,
l’immediatezza e la riflessione.

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