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Problema di dover decidere di che cosa si occupano l’epica, la filosofia politica, la filosofia della religione,
discipline molto più anziane dell’estetica (che prima del 700 non compare tra le voci dell’enciclopedia
filosofica). L’estetica, senza avere ancora questo nome e senza essere ancora annoverata tra le discipline
filosofiche o insegnata nelle università può essere intesa come filosofia del bello o come filosofia dell’arte. Il
bello può essere inteso in senso metafisico come un bello che esisterebbe di per sé, al di la della nostra
conoscenza di cosa è bello e dei nostri giudizi sui vari oggetti come belli o brutti. Basta poco per capire che
la filosofia dell’arte non necessariamente si occupa di un bello fisico, da sempre si sa che quelle che noi
abbiamo chiamato arti, il bello può essere qualcosa al di fuori del mondo dell’arte. C’è una svolta tra le
riflessioni filosofiche sul bello in cui compare la nozione di ‘gusto’. La nozione di gusto insieme a quella di
genio è qualcosa che non esiste per molti secoli, lungo il periodo della filosofia classica greca, il periodo
della filosofia medievale. Il gusto è una nozione prettamente moderna che diventa tema dell’estetica nel
momento in cui l’estetica nasce come disciplina filosofica.
Se noi guardiamo ciò di cui si è occupata e di ciò che si occupa oggi l’estetica troviamo queste tre diverse
accezioni disciplinari in qualche misura autonome:
1. La filosofia del bello (l’estetica come..)
2. La filosofia del gusto (l’estetica come..)
3. La filosofia dell’arte (l’estetica come..)
che cos’è l’estetica? L’estetica può essere intesa come filosofia del bello in senso metafisico ovvero
oggettivo), un indagine su cosa sia il bello ammettendo che ci sia un bello in se, o che singole cose,
considerate dal punto di vista metafisico, siano belle.
Platone è colui che ha attaccato la nozione di mimesi e le pratiche imitative (queste ultime sono quelle che
portano alla replica di oggetti: dipinti, poesie, descrizioni letterarie..); in realtà Platone non parlando di
mimesi, cioè di imitazione, fornisce una teoria metafisica del bello nell’8° capitolo del Simposio dove c’è un
dialogo platonico della maturità di Platone dove si immagina che diverse persone dell’Atene dell’epoca si
ritrovino in un simposio; il simposio di cui Platone parla è un simposio che coinvolge le personalità più
influenti dell’Atene dell’epoca. I partecipanti mangiano e bevono senza ritegno, ma non si limitano a
questo; infatti sono chiamati a produrre un elogio di Eros (dio dell’amore, nella mitologia romana Cupido),
in questo simposio la figura di Eros non è quella del dio dell’amore, quando Socrate nel 7° capitolo, dopo
tanti elogi ascoltati su Eros, non loda semplicemente Eros in quanto dio dell’amore, perché Eros non è un
dio, è un semidio (di enorme importanza) ma che non va semplicemente lodato. Socrate non presenta
questa sua opinione come propria, la presenta come qualcosa che è stato insegnato da una sacerdotessa di
Eros che intende dirgli la verità: la verità su Eros non permette un semplice elogio del dio (uno dei pochi
casi nel dialogo di Platone in cui Socrate presenta qualcosa che ha preso da altri e non sviluppa i propri
argomenti dialogando con degli interlocutori). Socrate racconta la storia della nascita di Eros che spiega le
sue caratteristiche (del dio), egli nasce nel periodo in cui gli dei vivevano non separati agli esseri umani, in
seguito ai festeggiamenti per la nascita di Afrodite (vera dea dell’amore), durante questa festa, due esseri
umani, si accoppiano. La donna, Penia, è un personaggio umano caratterizzato dal segno della mancanza,
essa è povera e desidera tutto ciò che le manca, (per Platone il desiderio si collega a mancanza: noi
desideriamo ciò che non abbiamo, o desideriamo ciò che abbiamo per paura di perderlo);
dall’accoppiamento nasce Eros che ereditando le caratteristiche dei genitori umani non è ne bello ne buono
(suo padre non è buono e sua madre non è bella, tra le tante mancanze le manca anche la bellezza); non è
un dio in primis perché ha delle carenze, sia in bellezza che in bontà (non essere buoni e belli non equivale
ad essere brutti e cattivi). Eros è segnato dal desiderio di tutto ciò che è bello e buono, non possedendo per
se stesso queste caratteristiche. Eros è ancora presente nell’epoca in cui gli dei vivono separati dagli esseri
umani.
In alcuni casi Eros può esercitare una funzione prelevata proprio per questa sua spinta data dal desiderio
del bello e del buono: può accadere che il desiderio sia rivolto non alla bellezza del corpo ma alla bellezza
dell’anima. Da una funzione più bassa del desiderio si passa a una più alta, dove il desiderio di eternità non
è un desiderio nutrito per una via sessuale, ma è nutrito dal dialogo tra anime belle. Chi cerca l’eternità
trovandosi di fronte a un’anima bella (e non a un corpo bello) si trova davanti a un tipo di verità diverso
rispetto a quello legato al corpo.
Platone sviluppa l’idea che ci possa essere un’eternità guadagnata con le opere personali, l’opera di un
imitatore (pittore, scultore, poeta..) può essere generata da questo desiderio erotico nei confronti di un
interlocutore la cui anima è abbastanza bella di elevare il suo desiderio di eternità, producono opere che si
pongono al di sopra non solo dell’individuo che le ha prodotte ma anche della specie biologica, fino a
generare il desiderio dell’intuizione dell’idea del bello in sé, di un bello metafisico, oggettivo che è l’idea di
bello. L’idea del bello da questo pdv svolge una funzione particolare rispetto alle altre idee perché nasce da
una base che è biologica e naturale, si pone al vertice di una serie di successivi passi di elevazione del
desiderio dell’umano.
In questo discorso non c’entra l’imitazione; coloro che Platone considera imitatori sono quasi mai scultori.
La pratica della scultura in Grecia non è un’arte imitativa, secondo Platone, non vogliono dipingere un
oggetto per farlo sembrare il più possibile simile all’oggetto rappresentato, ma gli scultori sia in età classica
che ellenistica, si ponevano come obiettivo non la raffigurazione più somigliante possibile di un modello,
ma la rappresentazione (scultorea) di quello che era un canone, un esemplare ideale, della bellezza fisica di
un essere umano del tempo.
In questa dottrina dell’Eros platonica si delinea in primis la particolarità dell’idea della bellezza rispetto alle
altre idee, ma introduce anche la nozione di canone. Ci sono delle proprietà come la proporzione tra le parti
del corpo, che vanno a costituire il canone della bellezza umana o di un tipo di essere umano (es. l’ateleta)
per arrivare alla concezione di bellezza ideale e metafisica. Secondo il creazionismo l’oggettività del bello è
garantita dal fatto che il creato è stato appunto creato da un dio unico che investe l’universo di tutte le sue
possibili perfezioni.
Nel rinascimento la nozione di canone ha avuto una forte rinascita, tanto da produrre delle speculazioni sul
canone della bellezza umana (siamo in epoca fortemente patriarcale) maschile, tanto che sono state create
raffigurazioni, es. Vitruvio, che hanno portato alla produzione di diverse schematizzazioni del canone della
bellezza umana maschile.
L’idea di un’oggettività del bello viene invocata in molte riflessioni contemporanee relative all’ontologia
dell’arte rispetto alle arti performative (prevedono la produzione di opere che sono suscettibili a diverse
esecuzioni/interpretazioni, caso esemplare è quello della musica classica occidentale soprattutto o il
teatro).
Mercoledì 30.09
Il secondo modo di intendere l’estetica è come filosofia del gusto, ovvero dell’esperienza estetica (non è la
stessa cosa ma sono strettamente legati); con l’estetica intesa come scienza che riguarda il gusto ci
troviamo in età contemporanea, se noi avessimo parlato a Platone o Aristotele di questioni di gusto,
letteralmente non ci avrebbero capiti.
Il gusto è una facoltà psicologica che le psicologie, ne di Platone ne di Aristoetle e ne di altre scuole della
polis greca riconoscevano, cogliere e apprezzare la bellezza correlata con un sentimento del piacere.
Il gusto p una facoltà psicologica che ricalca uno dei cinque sensi aristotelici, è una facoltà psicologica on
riconosciuta dagli antichi: la capacità di cogliere la bellezza, associando questo coglimento con un
sentimento di piacere, con una sorta di giudizio immediato, non svolgiamo un ragionamento quando
durante il gusto proviamo piacere per qualcosa di bello o brutto (disgusto).
Definito il gusto, se ne può ricostruire la storia partendo almeno dal Rinascimento, ma in un tipo di
letteratura che non è strettamente filosofica, ma è variamente denominata ad esempio come “letteratura
del comportamento” o “letteratura delle belle e delle buone maniere”. Qui vanno ricordati i primi titoli di
questa letteratura (ad esempio “ il libro del cortegiano” di Baldassar Castiglione o “la civil conversazione” di
Stefano Guazzo) che nasce nelle corti italiane, le corti italiane all’epoca del Rinascimento erano considerate
la culla del buon gusto e del bel comportarsi. Questo tipo di letteratura collegato all’etichetta ha conosciuto
un ampia diffusione in ambito europeo, in Francia, Germania e Inghilterra dopo prendendo esempio dalle
corti italiane questi libri sono stati tradotti e hanno dato origine a una letteratura di comportamento locale.
Una svolta fondamentale la si ha, quando all’arrivo di questa letteratura in Spagna (età barocca: 600)
incontriamo un nobile spagnolo Baltasar Gracian che esplicita come base della letteratura del
comportamento il giudizio di gusto e lo lega strettamente a una nozione, quella di genio (anch’essa
moderna) come altra faccia della capacità del giudizio di gusto inteso come buon gusto da coltivare per
poter esercitare le belle maniere nella vita di corte e poi sociale in generale. Da questo punto di vista vanno
ricordate le sue opere ‘oracolo manuale e arte di prudenza’, che affronta il tema del buon comportamento
e dell’etichetta del cortigiano, in una prima parte parla dell’arte del governo, dell’esercizio del buon gusto
rivolto a un politico nobile, nella seconda parte traduce i contenuti della prima e li riferisce agli uomini più
umili appartenenti al ceto borghese; un’altra sua opera, che ha conosciuto grande diffusione, è ‘L'Acutezza
e l'Arte dell'Ingegno’ questo libro non si colloca all’interno del filone della filosofia politica, ma va a toccare
due facoltà dell’animo che non sono state adeguatamente considerate dagli antichi e che trovano il proprio
abito d’applicazione prima nella corte e poi nei ceti borghesi: l’acutezza è quell’intelligenza che intuisce la
differenza e la somiglianza tra gli oggetti, è un tipo di giudizio particolare, qualificabile anche come giudizio
di gusto che coglie delle somiglianze o differenze non immediatamente percepibili tra gli oggetti,
assumendo un valore maggiore e si presta ad essere espressa in modo geniale, principalmente in maniera
metaforica o retoricamente elaborata. Gusto da una parte e genio dall’altra si trovano collegati come due
facce della stessa medaglia.
L’opera di Gracian e l’influsso di questa letteratura del comportamento ha sviluppato la letteratura dei
moralisti francesi che, addomesticandolo, cercavano di applicare la visione di Gracian alle proprie opere (Es.
vedi i saggi di Montaigne, nel 700 in Inghilterra Hutcherson, nel 700 in Germania Knigge). Nel 700 la
ricchezza di questo filone letterario e gli spunti che aveva dato si traduce in due opere filosofiche di estrema
importanza per l’estetica:
1. Of the standard of taste, di David Hume (1757), Hume parte dalla constatazione della individualità del
gusto, del fatto che la facoltà psicologica capace di cogliere una bellezza funziona diversamente in ciascun
individuo umano. Si disputa di gusti rispetto a cose non importanti, ma lo si fa, ed è inevitabile farlo, ad
esempio rispetto ai valori delle opere artistiche e soprattutto letterarie.
Da questo momento in poi il termine ‘gusto’ diventa stabilmente oggetto della riflessione della filosofia al
punto che diventa tema centrale di almeno metà di una delle tre critiche di Kant (la critica del giudizio).
Qui si disputa di una facoltà psicologica che non è oggettiva, il gusto non ha criteri che non siano quelli
dettati dal carattere di chi esprime i giudizi di gusto (io quando giudico che una giacca mi sta bene non
faccio ragionamenti, rispondo immediatamente).
Ancora oggi il discorso del giudizio continua ed è mantenuto in vita da discipline diverse, gli psicologi si
sono impadroniti del problema, tanto che è nata la neuro estetica. Di esperienza estetica si è parlato
recentemente non riferendosi al gusto come facoltà che sta alla base di espressione di giudizi, l’esperienza
estetica si riferisce a qualcosa che avviene a livello psicologico, non è di tipo cognitivo (come il giudizio di
gusto) e non è discutibile o trattabile (a differenza del giudizio di gusto), l’esperienza estetica è qualcosa che
io provo privatamente.
La filosofia del giudizio di gusto conosce un certo sviluppo all’interno della filosofia analitica della seconda
metà del 900, questo soprattutto grazie a un autore, Frank Sibley, che non ha scritto molto ma ha scritto
soltanto di estetica e solo di problemi vicini al problema del gusto, a cominciare dalla questione dei
cosiddetti giudizi estetici; Sibley parla di giudizi estetici sia dal punto di vista dell’analisi del linguaggio con
cui si esprimono i giudizi estetici sia dal punto di vista dei concetti su cui si baserebbe l’espressione
linguistica dei giudizi di gusto; si mantiene legato alla tradizione sostenendo che il giudizio di gusto è
qualcosa che nasce dalla contemplazione in prima persona delle caratteristiche di qualcosa di bello
principalmente di un’opera d’arte, (egli ci dice, ad esempio, che se in un museo in cui entriamo con un
amico, egli che è già stato in un museo, ci dice che nella prossima stanze c’è un opera fatta in un certo
modo questo non ci basta per formulare un giudizio su questa: dobbiamo noi in prima persona vedere
l’opera e allora formuliamo un giudizio di gusto). Nel fare questo Sibley si appoggia principalmente alle
opere inedite dell’ultimo Wittegenstein, come tutti i pionieri dell’estetica analitica, laddove altre opere
inedite di Wittegenstein uscite negli anni 50 del secolo scorso suggeriscono impostazioni ancora diverse del
giudizio di gusto; egli dice che nella conversazione, nel contrasto tra giudizi di gusto, non si usano aggettivi
estetici come questi, si usano ragionamenti veri e propri che si basano su dei criteri. Wittegenstein è
propenso a impostare la questione del giudizio di gusto sui criteri pubblici di correttezza o scorrettezza da
cui derivano tutti i concetti e le parole di cui ci serviamo argomentando un nostro giudizio di gusto, che non
è mai una mera espressione di uno stato d’animo psicologico di piacere di fronte a qualcosa che esibisce
determinate caratteristiche. Wittegenstein, a differenza di Sibley, impostando la questione in questo modo,
non si sofferma troppo sulle opere d’arte, molto spesso in queste sue ‘’conversazioni di estetica’’
esemplifica su casi quotidiani, anche banali, ad esempio sulle proporzioni di altezza e larghezza di una porta
in una determinata stanza. La citazione di Wittegenstein è notevole in primis perché risale agli anni 20, e
queste sue citazioni sono del tutto lontane alla situazione anglofona radicata e in secondo luogo perché a
livello istituzionale l’estetica nei paesi anglofoni trova difficoltà a diffondersi (impiega molto tempo, ad
esempio, ad essere insegnata nelle università, a differenza della Germania, per esempio) ma anche il
termine estetica non viene ben stabilizzato. Estetologi in Gran Bretagna non ce ne sono stati fino ai primi
del 900, quelli che figurano come autori di estetica anteriori al 1900 in Gran Bretagna, erano comunque
autori che raramente erano filosofi, normalmente erano storici e critici d’arte. Quindi quello che sul
continente veniva assegnato come palio dell’estetica filosofica, sulle isole invece veniva segnato come palio
alla storia della critica letteraria/artistica e non della filosofia.
Lunedì 5.10
Il terzo modo per intendere l’estetica è come filosofia dell’arte. Concezione che si forma solo quando sono
mature le prime altre due concezioni (la concezione oggettiva del bello e la concezione di un bello mediata
dal gusto individuale); la storia della formazione della filosofia dell’arte (forse il modo comune in cui
intendiamo la disciplina dell’estetica oggi) è tarda, e non si afferma immediatamente, rispetto alle altre due
ha bisogno di elaborazioni (che iniziano molto presto, ai tempi del dibattito classico tra Platone e Aristotele
sull’imitazione, sulla mimesi). Il momento di svolta è dovuto a un autore come Batteux che nel 1746 scrive
‘’Le belle arti ricondotte ad unico principio’’ (traducibile anche con ‘’le belle arti ridotte a un unico
principio’’); le basi di questo testo sono del tutto aristoteliche, classiche: le arti imitano la natura e la natura
imita l’arte; un altro presupposto è che le pratiche imitative sono genuinamente arti nel senso che sono
tecniche (presupposto antiplatonico: per Platone le pratiche imitative non sono assimilabili alle arti nella
misura in cui non sono tecniche, non hanno dietro di se un sapere di qualche genere); la natura come ci si
presenta immediatamente non è bella, la natura è una concezione non cristiana, se la visione fosse cristiana
la natura sarebbe bella e senza imperfezioni, per Aristotele non è così: nella natura ci sono le malattie, o gli
aborti (tema sul quale Aristotele si concentra molto), per cui il modello dell’artista è la natura bella ma non
quella che cade immediatamente sotto i nostri sensi, è un modello che sta nella nostra testa, prodotto dal
buon gusto e dal genio. Il modello che noi imitiamo di natura bella è un prodotto della nostra fantasia.
Il paradigma di natura bella è dato da Batteux secondo un modello non Platonico, imitare la natura significa
fabbricarci un modello mentale e per esemplificarlo Batteux presenta uno degli aneddoti relativi al pittore
Zeusi (accento sulla e), pittore ben noto a Platone, più che ad Aristotele. Zeusi ha inventato il cavalletto e
inoltre è il protagonista di due aneddoti molto diversi nella loro morale basati su fondamenti storici:
1. Il primo è quello secondo cui Zeusi avrebbe dipinto su una tela appoggiata su un cavalletto un grappolo
d’uva ingannando, con questa sua opera di imitazione, degli uccellini che sarebbero venuti a beccare la tela
come se fosse uva vera.
2. Zeusi, è stato invitato in una città della Magna Grecia, dove avrebbe chiesto di presentargli una dozzina
delle giovani più belle della città perché Zeusi avrebbe in questo modo, mediante la facoltà del buon gusto,
scelto dei singoli particolari della bellezza propria di ciascuna di queste modelle, ognuna naturalmente
imperfetta, per formare un modello che stava nella sua testa. Una volta formatosi nella propria testa
questo modello di bellezza naturale, grazie al suo genio avrebbe dipinto un quadro (perduto) che
raffigurava una natura bella imitata come tale. È un aneddoto molto significativo perché la nozione di
imitazione che sta dietro è del tutto diversa della nozione di imitazione per cui si serve Platone allo scopo di
condannare l’imitazione; considerata in questo modo l’imitazione della natura bella è il principio di tutte le
arti belle.
Con quest’opera nasce la filosofia dell’arte. L’estetica nasce non come filosofia dell’arte, non come filosofia
che conclude il grande dibattito sull’imitazione ma su tutt’altre basi: basi moderne ad opera di un autore
Baumgarten che ha iniziato a tenere lezioni di estetica in sede universitaria e ha scritto il primo manuale
intitolato ‘’Aesthetica’’ nel 1750. Questo manuale viene scritto su basi leibniziane. Per Baumgarten l’estitica
non significa teoria del bello oggettivo, neanche teoria del gusto, e non significa neanche filosofia dell’arte.
Baumgarten sviluppa la propria concezione di estetica indipendentemente dalla concezione di filosofia
dell’arte di Bateaux. L’idea su cui fondare l’estetica di Baumgarten: rileva una teoria della conoscenza
diversa da quella tradizionale perché si occupa della conoscenza procurata dall’aisthesis (termine greco, al
di la del significato principale ‘’sensazione, percezione’’ ma un complesso di facoltà conoscitive che
comprendono non solo i sensi ma anche la memoria, la fantasia..). Ha delle applicazioni di tipo tecnico
diverse: uno di questi campi è quello di fornire delle basi scientifiche ai cultori delle arti belle, che a
differenza di come dice Bateaux non sono comprese in un sistema chiuso ne hanno a che fare sulla nozione
di imitazione della natura bella derivata dalla filosofia classica.
come si rapportano nel panorama attuale queste tre accezioni diverse e autonome di estetica? un autore
può parlare, in riferimento alla filosofia del gusto, di giudizi estetici ma non di filosofia dell’arte.
Venerdì 16.10
Hans Sloane dona a re Giorgio 2° la sua collezione di circa 71.000 oggetti (inclusi circa 40.000 libri
stampati). Il 7 giugno del 1753 il sovrano crea il British Museum, l’atto di fondazione univa altri nuclei,
soprattutto librari: la Cottonian Library e la Biblioteca Harleniana, andando ad arricchire la presenza libraria
in questo museo. Fin da subito viene aperta al pubblico, anche se questa apertura presentava diversi
problemi: difficoltà di accesso spesso legate alla presenza di custodi che dovevano aprire non sempre
disponibili. Ufficialmente dal 1810 è aperta al pubblico gratuitamente, e la storia di questa apertura è
piuttosto interessante.
Il continuo crescere di documenti, di oggetti, fa si che vengono acquistate diverse case nella zona limitrofa
del museo, abbattute e costruite per ampliare l’edificio del museo. Edificio che poi fu ampliato nell’ala
ovest ed est per contenere il continuo aumento delle collezioni (che si arricchiscono anche per gli oggetti
dei viaggi).
1769: apertura degli Uffizi.
La nascita dei musei in quanto musei pubblici è sancita dal fatto che i sovrani cominciano nel 700, sulla
spinta di quel pensiero illuminista, a scegliere di lasciare il controllo personale delle collezioni e demandare
allo stato il compito di occuparsi. Così avviene per le collezioni medicee, che grazie alla volontà di Pietro
Leopoldo di Lorena, le collezioni vengono riorganizzate e divise in base alle specifiche tipologie degli
oggetti. Il primo direttore degli Uffizi fu Giuseppe Pelli Bencivenni (fino al 1793), al suo fianco lavorò Luigi
Lanzi che scrisse La storia pittorica dell’Italia. Dal risorgimento delle belle arti fin presso al fine del 18°
secolo