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Platone 35 – 44
Aristotele 44 – 51
Plotino 59 – 64
Shaftesbury 216 – 217
Burke 247 – 249
Hume 230 – 232
Kant 210 – 213 + 255 – 263
Hegel 321 – 332
Schopenhauer 345 – 350
Freud 411 – 413
Heidegger 450 – 455
Benjamin 468 – 474
Adorno e Horkheimer 474 – 480
Marcuse 480 – 483
➩ “Il mito della caverna”: narra di uomini chiusi in una caverna, gambe e collo incatenati,
impossibilitati a volgere lo sguardo indietro, dove arde un fuoco. Tra la luce del fuoco e gli uomini
incatenati vi è una strada rialzata e un muricciolo, sopra la strada alcuni uomini parlano, portano
oggetti, si affaccendano nella vita di tutti i giorni. Gli uomini incatenati non possono conoscere la
vera esistenza degli uomini sulla strada poiché ne percepiscono solo l'ombra proiettata dal fuoco
sulla parete di fronte e l'eco delle voci, che scambiano per la realtà. Se un uomo incatenato
potesse finalmente liberarsi dalle catene potrebbe volgere lo sguardo e vedere finalmente il
fuoco, venendo così a conoscenza dell'esistenza degli uomini sopra il muricciolo di cui prima
intendeva solo le ombre. In un primo momento, l'uomo liberato, verrebbe abbagliato dalla luce,
la visione delle cose sotto la luce lo spiazzerebbe in forza dell'abitudine alle ombre maturata
durante gli anni, ma avrebbe comunque il dovere di mettere al corrente i compagni incatenati. I
compagni, in un primo momento, riderebbero di lui, ma l'uomo liberato non può ormai tornare
indietro e concepire il mondo come prima, limitandosi alla sola comprensione delle ombre.
I simboli del mito:
Platone insegna come l'amore per la conoscenza (la filosofia stessa) possa portare l'uomo a
liberarsi delle gabbie incerte dell'esperienza comune e raggiungere una comprensione reale e
autentica del mondo. Pertanto il filosofo crede che l’esistenza degli uomini sia come di quelli
nella caverna, quello che l’uomo guarda nella realtà in realtà è la manifestazione insensibile,
incorruttibile di un’idea che ha una realtà ontologica a sé stante, e che è eterna, non variabile e
che rappresenta il modello delle cose reali.
(L’albero che noi vediamo con i nostri sensi è la manifestazione visibile ma imperfetta di un’idea
di albero. Altro esempio è l’idea di sedia è immutabile a differenza delle sue manifestazioni
sensibili, poichè potrebbe rompersi o bruciarsi ma ciò non toglie che se dovessero scomparire
tutte le sedie del mondo, l’idea non scomparirebbe con esse, quindi l’idea resta immutabile,
eterna e incorruttibile. Il vero filosofo è colui che cerca di risalire all’idea generale che fa da base
e non fermarsi alla superficie.)
➩ “Ippia Maggiore”: L’idea di bellezza è il punto di partenza dell’opera. Il dialogo vede come
protagonisti Socrate e Ippia, un sofista che parla di tutto tramite una retorica efficace senza che
le sue conoscenze siano adeguate all’argomento affrontato. Ippia si vanta con Socrate di aver
guadagnato molto denaro con la sua retorica a differenza del secondo, grazie a una sorta di tour
in tutta la Grecia. L’unico posto in cui non ha guadagnato molto è stata Sparta che lo aveva
riconosciuto come impostore.
Socrate allora chiede ad Ippia cos’è il Bello, dato che lui sa tutto e quest’ultimo darà 3 risposte
assurde: (Lo scopo è quello di dimostrare l’incapacità della sofistica di saper dare una risposta ma
anche di intendere il giusto significato delle domande)
1. Ippia risponde a “cos’è bello?” non IL bello, una ragazza.
Socrate in un primo momento finge di essere d’accordo ma poi confronterà la ragazza agli
dei, in modo da valorizzare cos’è davvero il bello. Vale a dire, cos’è quell’attributo che unito
all’oggetto fa si che sia bello?
2. Ippia allora fa riferimento all’oro ma la bellezza non è materiale, è un concetto astratto.
3. In seguito fa un ultimo tentativo e allude al vivere una vita fino alla vecchiaia, in salute, con
onore ecc. Socrate afferma che queste cose sono belle per gli uomini mentre empietà per gli
dei e i loro figli.
A questo punto è Socrate che cerca di dare una definizione di bellezza, avvalendosi di due ipotesi:
BELLO COME APPROPRIATEZZA AD UN FINE - quello che noi chiamiamo bellezza è un fatto
funzionale. (es. il cavallo è bello quando ha una corporatura forte che lo fa sembrare tale) Ci
sono cose utili ma che non sono belle in se, tipo la giustizia, la condanna a morte, il carcere, le
leggi. Ci sono anche cose utili che fanno il male. Se il bello è un mezzo per raggiungere il bene
allora il bello è la causa del bene.
BELLO COME PIACERE PER VISTA E UDITO - è strano pensare ad un piacere unico che è
originato da due sensi distinti. Inoltre il fatto che non c’è un occhio a percepire o un udito a
sentire, non implica che la bellezza non possa esistere. Ci sono posti che non vediamo o
musiche che non abbiamo mai sentito e che sono belli/e indipendentemente dal fatto che le
stiamo vedendo o ascoltando.
L’opera si conclude con una specie di profezia platonica sul destino dell’estetica: “Le cose belle
sono difficili”. In questa fase della vita intellettuale del filosofo il problema del Bello resta irrisolto
e vago però ha il merito di averlo reso come soggetto d’indagine filosofica.
Se il Bello si esaurisce in caratteri visibili come l’utilità, la proporzione ecc, come si fa ad inserirlo
in un quadro metafisico più ampio e a connetterlo con il mondo delle idee? (Iperuranio = sopra il
cielo).
Il suo sforzo è quello di individuare l’idea di bellezza che, a differenza della bellezza sensibile,
alberga nell’Iperuranio e quindi è anche vero che la bellezza sensibile non è solo un riflesso
dell’idea di bellezza ma è anche il solo e unico tramite per l’uomo di contemplare il mondo delle
idee. Se l’uomo accede alla verità (contemplazione delle idee) è reso possibile solo dalla bellezza.
➩ “Fedro”: In questo complicato dialogo, Socrate spiega al giovane Fedro in che modo l’anima
umana percorre i gradi gerarchici della bellezza fino a giungere a quello più importante l’ “amore
filosofico”. Per argomentare al meglio la teoria dell’anima
Platone utilizza il “mito dell’auriga” ➞ viene rappresentata quindi un’auriga alla guida di un
carro trainato da due cavalli alati: uno bianco e di eccellente condotta, immagine dell’anima
volitiva, e uno nero e restio, immagine dell’anima concupiscibile. L’obiettivo dell’auriga è
giungere all’Iperuranio. Il cavallo bianco tira con tutte le sue forze verso la regione sopraceleste,
allo stesso tempo, il carro viene rovinosamente trainato verso il basso dal cavallo nero, emblema
del desiderio delle cose terrestri.
Esiste inoltre una gerarchia discendente di incarnazione dell’anima:
1. AMICO DEL SAPERE E DEL BELLO
2. UOMO DI GUERRA
3. POLITICO
4. FINANZIERE
5. GINNASTA / MEDICO
6. INDOVINO
L’anima prima di calarsi e stabilirsi nel corpo, vive disincarnata contemplando le idee. Una volta
giunta al nostro interno, essa porta con sé il ricordo di quelle, permettendoci dunque di
conoscere le cose nella loro forma perfetta in maniera più o meno vivida, a seconda del tempo
passato in contemplazione. S’introduce quindi anche la teoria della reminiscenza platonica che
coincide con l’idea socratica della maieutica, ossia della capacità di estrarre da sé la verità che,
secondo Platone, è presente innatamente in noi grazie alla contemplazione.
Si può constatare come la qualità dell’esistenza umana è condizionata dalla quantità di sostanza
assorbita dall’anima nella sua precedente vita sovraceleste; nel mondo terrestre sarà poi la
luminosità della bellezza a risvegliare nell’uomo tale ricordo.
La bellezza è l’unica idea di lassù che risplende anche quaggiù, è l’unica parvenza che può
infiammarsi e quindi consentirci la visione della verità poiché mantiene la sua luminosità anche
nelle cose di quaggiù. Le persone più corrotte non usano la bellezza sensibile per accedere a
quella ideale, ma si limitano ad adorare la prima.
➩ “Simposio”: un’altra opera del famoso filosofo dove vi è il solito dialogo tra Socrate e in questo
caso, un gruppo di amici/discepoli. L’argomento in questione è l’Eros e le convinzioni in merito
sono svariate, solo alla fine interviene il filosofo.
C’è un eccessivo allontanamento dalla verità perché gli oggetti reali sono già un allontanamento da
quest'ultima che è l’idea e la pittura di un oggetto reale è l’allontanamento di un allontanamento.
Ecco perché i pittori sono banditi dalla Repubblica ideale di Platone, perché traviatori delle nostre
menti anziché incitatori della verità.
I poeti imitano non ciò che è ma ciò che appare e che dunque spalmano in superficie con le parole,
i caratteri esteriori di ogni singola arte. Producono perciò forme senza contenuto, l’apparenza
delle cose non la loro essenza, la loro semplice immagine non ciò che codesta racchiude.
➞ Platone in un certo senso, riprende una vecchia polemica socratica contro la riproduzione
formale che è incurante dei sentimenti, dei contenuti, dei valori morali che dovrebbe trasmettere
tramite una bella forma. Dal punto di vista morale e sociale l’arte ha effetti deleteri, perchè il
compito dell’uomo saggio è domare le passioni e alimentare quelle virili e forti e non quelle deboli.
La poesia secondo il filosofo si rivolge proprio al secondo, perchè difficile che riesca ad imitare ciò
che tende ad essere simile a se stesso e quindi la varietà. La verità che è sempre uguale a se
stessa, non consente l’esposizione di quella verità. Quella stessa arte che anche Platone ama e
utilizza per le allegorie dei suoi testi è, da un punto di vista politico, lesiva del carattere. Con essa
vede minacciato l’ordine sociale. L’arte per essere efficace deve rappresentare quelle passioni
andando contro lo Stato che vuole uomini forti. E’ convinto pertanto che anche l’amore è una
cosa che deve essere guidata e non libera.
L’ARTE
Il compito dell’arte è mostrare l’universale mentre quello della storia il particolare. Se la
liberazione delle passioni è uno dei fini dell’arte, allora cade il concetto di verità introdotto da
Platone, a cui Aristotele contrappone il concetto di VEROSIMIGLIANZA (Anche i pittori agiscono
nei limiti della verosimiglianza correggendo i difetti dei loro soggetti ma rispettando la
somiglianza nonostante questo possa comportare la cattiva riuscita della loro opera. Allo stesso
modo gli autori di drammi possono enfatizzare alcune caratteristiche del temperamento ma
occorre che la presentazione si incentri non su caratteri particolari ma universali).
Secondo Aristotele ciò che sbaglia Platone è non ritenere l’arte come una riflessione meditata e
quindi filtrata dalla mente dell’artista. Dunque la mimesi sembra quindi albergare in quel
territorio tra realtà e fantasia. La mimesi e quindi l’arte, è una realtà più raffinata il cui valore è
dato maggiormente dalla sua unità e unicità. La realtà invece non ha un’unità organica e quindi è
imperfetta rispetto all’arte.
Il concetto di materia (svalutato dal filosofo) equivale a tutto ciò che è privo di anima, dunque
negazione di bene e verità (= priva di forza pensante). Le singole anime sono parti dell’anima
superiore che si sono aggrappate durante la caduta (come aveva descritto Platone) in un corpo
materiale. Avendo contemplato le idee prima di cadere queste anime possono avere una
comunione con nous e uno ma per farlo, devono ritrovare la loro natura più vera e spirituale,
spogliandosi, allontanandosi dalle loro caratteristiche corporee e dimenticando il mondo dei
sensi. L’uomo quindi è chiamato ad una contemplazione intellettuale che dimentichi la realtà del
mondo, (perché quest’ultima è fatta di riflessi imperfetti dell’idea perfetta e vera) e lo riconnetta
al mondo della vita, della verità e del bene (ossia anima, nous e uno). La contemplazione
intelligibile da origine ad un atteggiamento intellettuale che, intorno al 700 prenderà il nome di
“Ottimismo”. Quest’ultimo coincide con l’idea che le parti brutte della realtà di cui noi facciamo
parte in realtà, in un disegno più grande, possono avere le loro validità e funzione. (Quello che
guardiamo male è perchè non sappiamo interpretarlo, perchè invece di guardare il mondo con
gli occhi della mente lo guardiamo con gli occhi sensibili e poiché i sensi sono ingannevoli, la
realtà del mondo può sfuggirci).
Il processo a ritroso dell’anima individuale verso l’uno/bene , è reso possibile dalla bellezza
(proprio come con Platone). Plotino unisce alle esigenze platoniche quelle della estetica
aristotelica, infatti nella sua dottrina da una parte troviamo il famoso mondo delle idee,
dall’altra difende l’arte.
Come fa Plotino a difendere l’arte dalla condanna platonica?
1. Attinge alla teoria delle idee, poiché l’arte è imitazione della forza creatrice della natura
(come per Aristotele)
2. L’arte esprime un’idea, per questo ha un contenuto di forte verità.
L’arte rappresenta una bellezza ideale che l’artista può creare non tramite occhi e mani ma con
l’idea che infonde alla materia. La bellezza non è mai nella materia. L’arte ci mette in
comunicazione con il mondo delle idee (cosa che non avviene nella contemplazione ordinaria del
mondo sensibile). Dalla bellezza delle idee, siamo portati a cercare una comunione con l’uno.
Dunque tutte le manifestazioni artistiche sono espressione di un’Arte che è l’idea di arte universale
e che governa la realizzazione delle opere artistiche.
➞ Ciò introduce la figura dell’artista che ha doppia natura: una creatura terrena da una parte e
artista dall’altra, esprimendo il suo contenuto spirituale. L’arte è quindi superiore alla realtà ma
inferiore alla pura idea proprio per le sue caratteristiche. Tuttavia se il brano che ascoltiamo è
un’emanazione della musica come idea, ha una sua valenza cioè, rappresentare sensibilmente
un'idea e accedere così alla sua contemplazione intellettuale.
Il riscatto dell’arte avviene in questo modo: attraverso la dimostrazione che l’arte non imita
oggetti naturali (imitazione delle idee) ma imita le idee stesse. E’ quanto di più vicino alla verità
in questo mondo sensibile.
➞ Nel 6° libro della prima Enneade, smonta la tesi pitagorica del bello come ordine e armonia
ossia, tutto è numero. Se l’armonia è ciò che conferisce bellezza, vuol dire che la bellezza è un
qualcosa di composto. Plotino invece pensa che sia qualcosa di più semplice (es. esiste il bello di
un singolo colore, un singolo suono ecc.) e che ciò è bello non deve essere necessariamente di
parti belle. Un carattere singolo della bellezza= luminosità.
Ciò che conferisce la bellezza agli oggetti naturali è la trasfusione di un’idea da parte del
creatore nella materia. Il passaggio da bellezza con forma sensibile e corporea a bellezza con
forma spirituale, viene spiegato in un ulteriore passaggio delle Enneadi. La bellezza è
un’impressione dell’anima quale riconosce e apprezza ciò che le è più simile, vale a dire il
contenuto spirituale dell’arte.
La bellezza è un’impressione dell’anima, cioè fa riferimento a quella sola parte di uomo che può
riconoscere ciò che le è simile.
Come può cogliere l’anima la bellezza?
Attraverso un processo di purificazione che consiste nell’allontanamento dai sensi e dalle
passioni corporali, attraverso le virtù. Secondo il filosofo, ciò è reso possibile da:
- Amore e musica = l’anima dell’uomo passa dalla contemplazione della bellezza corporea
(sensibile) ad incorporea (intelligibile) - (es. ci innamoriamo di un bel viso, ci chiediamo perché ci
faccia questo effetto e quindi siamo portati a voler cogliere il mistero della bellezza in sé).
- Filosofia = la bellezza è qualcosa che Dio ha risposto affinché ci avviassimo alla sua ricerca,
ossia ci rivolgessimo alla contemplazione intelligibile (la bellezza del Cosmo serve a farci
innamorare del suo creatore, ovvero Dio).
Anche negli individui la bellezza autentica è data dalla saggezza, dall’armonia, dalla proporzione
degli elementi spirituali dell’individuo e non dal corpo o dai lineamenti.
Tuttavia tra i “problemi” come, attribuire un significato diverso alla filosofia e usare scelte
metodologiche differenti, vi è il fatto che sono padri fondatori di due colossali correnti ovvero
Platonismo ed Empirismo.
– Qual è la prova che Dio esiste? L’esistenza della perfetta armonia/bellezza all’interno del Cosmo
non può essere casuale.
– Perchè esiste il male in un mondo di bellezza/perfezione? Il filosofo risponde a tale quesito
NEGANDOLO: non è detto che ciò che è male per me lo è anche per gli altri. Se è un male per me
è perchè ho paura.
Il bene e il male, il bello e il brutto sono mescolati. Quelle che ci sembrano “le parti oscure o
imperfette” (cataclismi, malattie, crimini ecc.) in realtà sono funzionali tanto quanto quelle che
appreziamo. Nel dialogo “I Moralisti” (la seconda sezione del 3° libro) si parla proprio di questo,
tramite le figure di Filocle e Teocle. Il primo all’inizio si dimostra scettico ma poi si converte alla
visione del secondo.
Se la natura è opera di Dio non c’è opera dell’uomo che possa superarla, ed è proprio a contatto
con la natura incontaminata che si può percepire meglio la presenza di Dio, poiché l’uomo non
ha toccato o cercato di addomesticare l’assetto della natura. Le parti brutte possono
corrispondere a luoghi abbandonati/isolati che effettivamente hanno un temperamento
malinconico e chi li ama viene considerato uno “squilibrato”. La bellezza è una sorta di scala
ascensionale verso la prima bellezza intelligibile, anche laddove solleva inquietudine/malinconia.
Nel frontespizio dell’opera si nota, quanto il filosofo esprime ciò che ha scritto al suo interno: uno
cosmo perfetto circondato da una catena quella dell’essere per far intendere come le cose sono
legate. L'iscrizione greca “dal tutto uno”, cioè tutte le cose formano il Cosmo. Tutti gli esseri
dipendono dalla struttura del cosmo, questa è l’idea alla base dell’ottimismo di Shaftesbury.
Tutto serve a tutto, ogni cosa del disegno di Dio è volta a miglior fine. L’atto di fiducia del
filosofo si attua attraverso: ragionamento filosofico e comprensione del cosmo, in particolar
modo, della sua bellezza anche quando non sembra tale.
FORME MORTE = sono belle ma non hanno potere creativo (sia prodotti naturali che umani).
FORME FORMATRICI = creano bellezze naturali e/o artistiche (le seconde attraverso l’uomo).
FORMA di BELLEZZA SUPREMA = forma oggetti belli e forme creatrici.
Cogliendo la bellezza si accede alla verità e alla contemplazione di bellezze che portano la
mente a contemplare la bellezza vera, la quale è la fonte. Per fare ciò occorre avere gusto, in
grado di coglierla in modo corretto non confondendo l’ombra della bellezza con la sostanza della
bellezza. Perchè il gusto? Perchè è una facoltà nata dalla cultura e non dalla natura. Un tema che
anticipa l’estetica di Kant, è la contemplazione disinteressata della bellezza non concentrata sul
valore emotivo/spirituale di un’opera d’arte ma su quello materiale.
➞ Quello stesso gusto che sa cogliere la perfezione nelle varie arti possibile che non sa
cogliere quelle più sublimi?
BELLE = danno un piacere estetico, serenità
SUBLIMI = oltre al piacere estetico danno anche inquietudini, paure, timori cioè le parti
inospitali della natura.
➞ Quanto tempo ci vuole per formare un gusto sicuro? Non ci è dato alla nascita e sono
necessari elementi come fatica, impegno e tempo. Nel brano Shaftesbury fa riferimento ai sensi
i quali ci fanno reagire alla sollecitazione realmente bello e non al senso immediato del bello
(quante cose ci piacciono inizialmente e successivamente no, oppure non capiamo un quadro e
quando qualcuno lo spiega/interpreta capiamo molte più cose e quindi di conseguenza cambia
il nostro punto di vista). Vi sono più tipologie di gusto che naturalmente non possono essere
disposte sullo stesso piano: esperti e ingenui.
La prima impressione spesso è molto confusa e ciò ci porta all’errore perché non sappiamo
giudicare, ci affidiamo alla nostra prima reazione istintiva non avendo conoscenze.
➞ In che modo possiamo giungere a una migliore conoscenza e comprensione delle bellezze,
perfino di quelle che non ci sembrano tali? Come non sbagliamo giudizio?
Le parti imperfette in realtà sono belle all’interno dell'organizzazione del tutto (es. nella pittura
abbiamo i chiaroscuro, in musica dissonanze ecc.). Il nostro naturale senso del bello (quello che
ci fa dire se ci piace o meno la cosa) non ha nessun valore per il filosofo perchè è una reazione
soggettiva che può essere completamente errata. I critici invece, al contrario riescono a suggerire
una reazione oggettiva.
➞ In una lettera il cui destinatario è un suo studente che parte per l’Italia, il filosofo dà alcuni
consigli in merito alla coltivazione del proprio gusto:
Non cedere all’occhio e alla fantasia, perché soddisfano solo il valore estetico.
Concentrarsi su quelle che dai critici vengono definiti capolavori.
Riconoscere il valore di un’opera (es. da bambini non capiamo certi apprezzamenti a film,
libro... Ci vuole del tempo.)
Una serie di note intitolata “i piaceri dell’immaginazione” il cui autore è J. Addison, promuove ciò
che afferma Shaftesbury. In parole povere: chiunque si permette di giudicare nonostante non ha
competenze.hume Il piacere o si prova o no ma è anche vero che si può iniziare a provare piacere
per le cose che lo meritano.
C’è un risvolto anche morale del gusto, il quale consente di respingere tutto ciò che disturba la
nostra percezione, contrapponendosi al nostro sentimento estetico. Si delinea la figura dello
“pseudo-virtuoso”, colui che ha aspriazione ad essere uomo di gusto ma non lo è.
c. Leggi che influiscono sul corpo – tutti quegli oggetti che revocano recano minacce alla nostra
sopravvivenza, procurandoci dolore, sono fonti del Sublime. Nessuno vuole una vita di piaceri
se in cambio soffre eternamente perciò il dolore ci spaventa molto di più di quanto il piacere
può allietare. La morte è superiore al dolore. Nel brano vi è un’analisi degli effetti che il dolore
(provato/immaginato = elemento chiave dell’opera)può causare. Quando c’è la cessazione di
un dolore, noi proviamo un piacere.
➞ In quali casi noi testiamo la cessazione di un dolore? Nella vita sicuramente ma quel dolore è
solo immaginario, non è realmente sentito (lo si sta solo contemplando, non vivendo). Il Sublime è
dunque la contemplazione estetica della rappresentazione di eventi, oggetti e fatti che procurano
un “dilettoso dolore” .
➞ Che cosa determina in noi la passione del Sublime? Fin da subito afferma che l’ipotesi che si
possono trovare le cause per cui certi oggetti determinano la passione del Sublime, è una
questione che solo Dio può risolvere (è dunque una critica agli autori precedenti che avevano
cercato di rinvenire questa causa). Un cavallo può essere molto bello per la sua muscolatura ed
emergere fra quelli della sua razza.
Per quanto riguarda gli effetti del Sublime Burke li individua: nell’ammirazione, nel rispetto,
nella riverenza, nello stupore+terrore e nell’amore. Ciò che è grande e Sublime in natura
genera infatti stupore, che è “quello stato d’animo in cui regna un certo grado di orrore”.
Gli effetti del Bello invece è rappresentato da un amore, non inteso come desiderio/lussuria
ma come “una qualità dei corpi che agisce meccanicamente sulla mente umana, tramite i
sensi”.
Si sofferma infine sulle arti della parola, affermando che è in grado di suscitare un maggiore
piacere estetico, rispetto alle altre arti e alla natura. Le parole influenzano perchè “prendiamo
parte vivamente alle passioni degli altri”.
Il gusto si basa su tre livelli di esperienza fondamentali nella vita dell’uomo:
Sensi – il modo di percepire gli oggetti è in tutti simili.
Immaginazione – una specie di potere creatore che però non è capace di creare una cosa del
tutto nuova.
Quest’ultima si ramifica in immaginazione riconoscibile e immaginazione palese date o da
una sensibilità naturale o da un maggiore grado di attenzione. Approfondendo la seconda
opzione, si nota come è necessario l’intervento del giudizio.
Il gusto varia però in relazione al grado in cui tali principi prevalgono nei singoli individui poiché
“mutano notevolmente da persona a persona”.
➞ Altro problema messo in rilievo è la difformità dei giudizi riguardo il gusto, il che porta a
trovare un modo per giustificare la veridicità di quanto detto, contrastando tutte le altre perchè
non assolute. La “regola del gusto” citata nel testo, è necessaria per accordare i sentimenti degli
uomini e stabilisce quali gusti hanno validità o meno. La cosiddetta “filosofia scettica” sostiene
l’impossibilità di trovare una regola simile e che vi è una netta differenza fra sentimento e
giudizio. (ad es. Mi piace una cosa x, il mio sentimento è sempre vero e non sindacabile. Il
giudizio pretende sempre validità ed universalità infatti, se dico che cosa x è bella, sto dicendo un
qualcosa che la riguarda ed esprimendo una sua qualità).
Dal brano emerge il pensiero del filosofo, ovvero come il mettere “due oggetti sproporzionati” a
confronto può diventare ridicolo ( ad es. un confronto fra V. Van Gogh e un’ artista di strada). Le
classiche opere non smettono mai di parlare per chi le consulta, nonostante il corso degli anni e i
cambiamenti della società. Il giudizio dà voce ad una reazione interiore anche se in realtà rileva
qualità negli oggetti (es. il tavolo è rotondo e chiunque dice il contrario si sbaglia). Se viene
affermato che è anche bello, sembra che sia una sua qualità ma la bellezza non è qualità, è
semplicemente la reazione che certe qualità dell'oggetto determinano in me dandomi un piacere
estetico. L’incontro delle qualità con la sensibilità fanno ritenere erroneamente che quell’oggetto
abbia una qualità in sè di bellezza, invece è la risultante di qualità oggettive presenti ( ad es.
colore, forme ecc.) Ogni giudizio di gusto è espressione della reazione sentimentale
dell’individuo.
Tuttavia il filosofo è anche del parere che quella stessa esperienza che, mostra come filosofia e
senso comune si accordano nel sostenere l’impossibilità di trovare la regola del gusto, suggerisce
che vi sono gusti che convergono. Un accordo fra i gusti si può trovare, specialmente tra opere
fortemente distanti per qualità artistica/estetica.
Quello che Hume si accinge a fare è verificare quali sono le condizioni che rendono la critica
affidabile ovvero, il gusto educato quali requisiti deve avere e quali caratteri assumere?
➞ Attraverso 4 condizioni:
1. Regolarità degli organi interni ovvero il perfetto critico deve essere in ottima forma fisica (es.
è come quando siamo malati, preferiamo mangiare un qualcosa rispetto a qualcos’altro,
poichè siamo “compromessi”) per assicurare il perfetto funzionamento della percezione,
perché se falsata si giunge automaticamente ad un giudizio altrettanto falsato. Laddove la
percezione dell’oggetto è ingannevole è ovvio che, nel trasmettere quell’informazione
all’immaginazione, il giudizio che ne consegue è errato. Per quanto la natura umana è
strutturata in modo da reagire più o meno in maniera uniforme alle stesse sollecitazioni,
possono intervenire delle differenze nella sua costituzione, determinando la diversità del
giudizio di gusto (es. dipingo le pareti di un rosso che suppongo piacerà a molti ma laddove la
vista è falsata, quello stesso colore che piace a molti può non piacere ad altri). A livello
antropologico, di pura reazione individuale, le differenze sonp possibili (es. chi ha una gamma
uditiva minore per via di un difetto, probabilmente non può giudicare un brano musicale
poiché alcuni aspetti gli sfuggono).
2. Delicatezza dell’immaginazione – Si tratta di essere più ricettivi e sensibili alla sollecitazione
della bellezza. Hume fa riferimento ad un passo del “Don Chisciotte”, nel quale Sancio Panza
ha una disputa con un interlocutore. Il filosofo invita ad istituire un’analogia fra gusto
spirituale e gusto corporeo e ad estendere l’es. di gusto corporeo al gusto estetico vero e
proprio. Il bello e il brutto, il dolce e l’amaro non sono qualità degli oggetti (nel senso che la
stessa cosa se siamo in buona salute ci appare dolce, altrimenti ci appare l’opposto) ma
semplicemente un incontro tra le qualità dell’oggetto e i nostri organi percettivi. Tuttavia
certe qualità provocano sentimenti di piacere/avversione, quest’ultime non sono spesso
immediatamente visibili, ecco perché è necessaria la delicatezza dell’immaginazione. E’ una
capacità naturale di scindere, riconoscere ed individuare le qualità positive/negative di un
qualcosa che viene sottoposto a giudizio. Se in una composizione in cui ci sono più elementi
mescolati,ne riconosciamo alcuni di qualità altri meno, neghiamo ogni pretesa di squisitezza a
chi non ha la nostra stessa precisione (es. sommelier).
3. Pratica – Le inclinazioni naturali non bastano alla formazione del giudizio di gusto,
intervengono anche la cultura e l’impegno nel renderlo corretto. Spesso il primo ascolto o la
prima lettura di un qualcosa ci lascia un’impressione confusa, invece con calma possiamo
distinguere tutte le bellezze e i difetti che compongono. La pratica è l’attitudine a fare
confronti fra varie eccellenze. Chi non ha una frequentazione assidua e la possibilità di
esercitare il proprio gusto e fare confronti continui, non è qualificato ad esprimere la propria
opinione. (b es. chi non ha mai sentito un brano musicale - per assurdo - gli sembrerà
un’opera d’arte invece e quindi ne rimarrà estasiato, il critico la penserà diversamente e ne
sarà infastidito).
4. Libertà dal giudizio – Spesso abbiamo simpatia/avversione per certi personaggi di un’opera e
ciò condiziona il nostro giudizio, Hume pertanto ci invita ad essere imparziali per verificare in
maniera corretta e vera, la nostra reazione. Il pregiudizio per il filosofo, corrisponde ad una
prigione e ad un elemento antitetico. Addirittura anche laddove provoca piacere, può indurre
a negarlo. E’ solo grazie al buon senso che possiamo arrestarlo, così come con la ragione e
dunque:
Perchè la ragione è così importante?
All’interno del giudizio c’è una componente razionale e valutativa che di fatto, analizza gli
elementi di quell’opera e quindi consente di distinguere bellezze e bruttezze. La ragione è quella
che valuta se fra le varie parti e il fine complessivo dell’opera, c’è coerenza. Qualunque sia la
nostra reazione immediata, la ragione vanta se lo scopo per cui l’opera è stata composta, è stato
pienamente raggiunto. La perfezione della ragione, la chiarezza della concezione e l’essere precisi
nell’analisi, sono operazioni che accompagnano il vero gusto.
Il quadro generale è il seguente, per Kant esistono tre livelli/usi della ragione (intende l’insieme
delle capacità a priori) ovvero:
Noi percepiamo gli oggetti che hanno come frutto le intuizioni empiriche, quest’ultime vengono
trasmesse all’intelletto tramite la sensibilità, formulando così i giudizi. La cosa interessante è che
il primo stadio della nostra conoscenza passa attraverso la percezione, la quale consiste nel
collocare un dato nello spazio e nel tempo.
“Razionale” perché, esclusivamente pertinente a una ragione che non è supportata da nessun
riscontro empirico, vale a dire che Kant distingue 3 facoltà:
La sensibilità con cui riceviamo l’esperienza.
L’intelletto con cui organizziamo e pensiamo quei dati.
La ragione con cui tentiamo di guardare al di là dell’esperienza.
In parole povere:
Da specificare che il termine “estetica” nella “Critica della ragion pura”, ha un significato diverso
rispetto a quello attribuitogli in un’altra opera, cioè “Critica del giudizio”. Il secondo indica
l’ambito in cui si esercita il giudizio di gusto, il primo invece riprende il termine in senso
etimologico.
A priori → pure
A posteriori → empiriche e stabilisce questa distinzione tramite:
➞ Giudizi analitici= “i corpi sono estesi” è un po’ come dire “gli uomini sono mortali”, cioè così
come l’estensione fa parte (e quindi è implicita) dell’idea di corpo, così anche la mortalità. ➞
Giudizi sintetici= A posteriori vuol dire che sono giudizi derivanti dall’esperienza. “I corpi sono
pesanti” è un qualcosa che occorre verificare nell’esperienza, ha un predicato che non è presente
nel soggetto, perché vi sono corpi che non sono pesanti e perciò esso stesso non ha un carattere
universale.
Un problema ulteriormente evidenziato è che vi sono giudizi che hanno caratteri comuni sia a
quelli analitici che sintetici, cioè hanno un carattere universale con un qualcosa che non è presente
nel concetto del soggetto.
➞ Giudizi sintetici a priori = 7+5 fa 12 questo è universalmente vero però il concetto di 7 e 5 non
sono già presenti nel concetto di 12 e viceversa.
➞ Sostanzialmente da un lato, abbiamo una vita fisica dominata dalla necessità e dall’altra, una
morale determinata dalla libertà. La volontà libera è al centro della vita etica, ciò è dimostrato
proprio dalla presenza in noi dell’obbligo morale. La logica che presiede quest’ultimo è fra i
momenti più notevoli del pensiero kantiano: “Se anche la nostra vita morale dipendesse dalla
necessità saremmo tutti Santi o Dio”.
Per loro infatti la conoscenza e il bene coincidono per cui non hanno bisogni di comandi interni
morali, perché compiono naturalmente il bene. Per Kant la volontà è mossa ad agire in virtù di
principi pratici, al di sotto dei quali vi sono delle regole pratiche che servono a metterli in pratica
La libertà di cui tanto parla, ovviamente non è un oggetto che “cade” davanti ai nostri sensi, è
semplicemente un qualcosa che sentiamo, di cui non abbiamo conoscenza e non possiamo dare
una spiegazione. Siccome la vita morale dipende dalla libera volontà, tutte quelle questioni che
non trovano prova in ambito intellettuale, vengono sancite e riabilitate nell’ambito morale.
➞ Esiste una facoltà intermedia e che quindi faccia da ponte, fra ragion pura e ragion pratica?
Si, è il giudizio perché:
Non è conoscitivo, perché le leggi che formuliamo su quell’oggetto non ci dice niente su esso.
E’ puramente soggettivo.
Non è svincolato dai fenomeni come i principi dell’etica, quindi non riguarda la ragion pratica.
Ogni volta che abbiamo una rappresentazione dell’oggetto, non riferiamo la nostra
rappresentazione di esso mediante l’intelletto, cerchiamo di riferire un giudizio in vista della
conoscenza. Facendo ciò esprimiamo un giudizio che classifica, definisce e mette in luce i
particolari (es. se io dico che quel tavolo è bello non dico qualcosa dell’oggetto ma del soggetto)
S’istituisce quindi una relazione tra l’oggetto e le facoltà di chi quell’oggetto lo sta contemplando.
La definizione di bellezza dell'oggetto è riferita solo al soggetto e al suo sentimento di
piacere/dispiacere. Quando asseriamo che qualcosa è bello, il giudizio di gusto assume un
carattere diverso e non legato alla soggettività. Dire invece che qualcosa mi piace è ben diverso,
riguarda solo il mio sentimento per cui non è possibile giudicare. Ovviamente vi possono essere
interlocutori che sostengono il contrario rispetto a quanto dico e quindi come con Hume, bisogna
stabilire il giudizio di gusto. Il filosofo lo fa attraverso 4 momenti: qualità, quantità, relazione e
modalità - precedentemente già citate.
Il giudizio estetico ne risente di questo carattere ibrido perché da un lato, il giudizio di bellezza di
una cosa dipende da un sentimento individuale di piacere o meno, dall’altro il giudizio estetico
(come si è detto nel primo momento) dev’essere disinteressato e allora se non riveste nessun
interesse per la mia persona in particolare, forse riveste un interesse più
generalizzato/universale.
➞ Come viene risolto questo carattere apparentemente antinomico?
Kant opera una distinzione tra:
Quantità logica del gusto affermando che una cosa bella, esprimo un giudizio singolare
pertanto non condiviso da chiunque (giudizio singolare).
Quantità estetica del giudizio di gusto affermando che una cosa è bella, pretendo che ciò sia
condiviso da tutti (giudizio universale).
Il giudizio estetico si limita ad esigere e non a postulare, sulla base del “libero gioco di
immaginazione e intelletto”cioè:
- In campo conoscitivo è fortemente rigoroso (in campo scientifico l’intelletto non lascia che
l’immaginazione intervenga a fantasticare su possibili spiegazioni non confortate dalla verità
- ad es. il mondo così com’è e non come vorremmo che fosse)
- E’ ciò che tiene a freno l’immaginazione
- Si attiene ai dati oggettivi
Nel campo artistico le cose sono diverse, perché l’intelletto sa che ci troviamo di fronte ad una
finzione, perchè creatura dell’immaginazione
Il ruolo dell’intelletto a questo punto, serve solo a fare in modo che l’immaginazione non esca
troppo dai limiti della veridicità, altrimenti la composizione diventa assurdità.
La finalità oggettiva invece riguarda la funzione dell’oggetto cioè, noi abbiamo già il concetto di ciò che
quest’ultimo dev’essere e lo consideriamo buono nella misura in cui realizza quello scopo pratico. Può
essere:
Esterna, riguarda la funzione che l'oggetto realizza.
Interna, è determinata dal concetto di perfezione (altra questione settecentesca con la quale il
giudizio sul Bello spesso era confuso, perché si riteneva che la bellezza fosse perfezione)
Kant spiega come per noi un oggetto è perfetto se configurato in un certo modo ovvero se e solo
se corrisponde all’idea che noi abbiamo. Il giudizio sulla perfezione è un giudizio concettuale
che considera, ancora una finalità oggettiva ma non ha a nulla a che fare con il giudizio di gusto
che invece, è privo di concetto. Il giudizio è estetico è determinato da un sentimento che a sua
volta è determinato dal libero gioco e quindi il giudizio comunica nella speranza che in qualcuno
si attivi quel libero gioco, esattamente come si è avviato in noi. L’utilità dell’oggetto, non è causa
di bellezza perché l’utile è distinto dal Bello e neanche la perfezione è sinonimo di bellezza ma è
cosa distinta, poiché ha ancora a che fare con lo scopo, determinata da un concetto e quindi non
è equiparabile il giudizio sulla perfezione al giudizio sul bello.
Il filosofo introduce 2 nuovi concetti:
Bellezza libera - è oggetto di gusto vero e proprio, è un piacere che sorge in assenza di
concetti o di interesse. La contemplazione avviene indipendentemente dai concetti.
Bellezza aderente - è condizionata, nel senso che uno scopo è riferibile da un lato alla sfera di
conoscere l’intelletto (l’oggetto come deve essere) dall’altro alla sfera del desiderio (legato ad
un mio interesse/vantaggio)
E’ necessità esemplare, cioè risponde a dei principi che non sono fissati a priori, principi che sono
universali ma che non hanno nulla di concettuale.
Inoltre afferma che quando ammettiamo la bellezza di un quadro e proviamo un sentimento per
via del libero gioco, suppongo che anche gli altri guardandolo, provano lo stesso. Dunque il mio
piacere è esemplare nella misura in cui ritengo che quello ch'io provo è un es. di quello che
chiunque può provare nel guardare quel dipinto.
La prima parte del secondo libro è dedicata alla questione del Sublime.
➞ Tra i due ovviamente vi sono differenze, Kant pensa che:
• Il Sublime è l’altra esperienza basilare del giudizio, la quale sorge quando ci troviamo davanti
a qualcosa che ci supera per grandezza e potenza.
• Se il Bello si lega alle idee di forma limitata/controllata, il Sublime invece rimanda ad una
forma informe e quindi illimitata.
• Il sentimento di piacere accompagna il giudizio sul Bello intensificando le forze vitali del
soggetto, al contrario il Sublime genera un’emozione che genera “piacere negativo” (come
diceva Burke), ossia meraviglia e rispetto.
• Il Bello è bello in virtù di certi caratteri qualitativi mentre il Sublime di caratteri quantitativi.
• Il Sublime è diverso dal Bello secondo il modo, in quanto il 2° comporta un sentimento di
agevolazione della vita e quindi è compatibile con l’immaginazione.
• Il piacere del Sublime è indiretto, presenta inizialmente un impedimento delle forze vitali,
successivamente una liberazione di quest’ultime ( la liberazione è intensa tanto quanto forte
è stato l’impedimento iniziale). Tutto questo non ha le caratteristiche del libero gioco
determinate dal Bello MA ha invece il carattere della serietà del libero gioco.
• Nel caso del Sublime, non rileviamo una sorta di finalità predeterminata alla sollecitazione del
nostro sentimento di piacere/dispiacere casomai è il contrario, proprio perché
l'immaginazione è sconvolta ( tanto più questo accade più noi giudichiamo l’oggetto sublime)
Chiamiamo Sublime ciò che è assolutamente grande, a paragone di tutto il resto è piccolo ed è
ciò che anche solo pensarlo ,attesta una facoltà dell’animo di pensare grandezze che superano
qualunque altra di cui abbiamo fatto esperienza attraverso i sensi.
Quando un individuo pensa una misura assoluta al di là della quale il soggetto non può
immaginare una misura maggiore, questa comporta l’idea del Sublime ed è da qui che si origine
la sua emozione estetica. La valutazione matematica non la può causare, poiché esibisce sola la
grandezza relativa mediante la comparazione con altre della stessa specie. La valutazione estetica
esibisce la grandezza assoluta fin dove l’animo può coglierla in un’intuizione.
Fa riferimento a tutte quelle esperienze in cui siamo spettatori della potenza delle natura (es. cataclismi).
Siamo consapevoli che di fronte a tale forza, la nostra resistenza è insignificante (anche se la storia
dimostra come nel corso dei secoli l’uomo è sopravvissuto non grazie al fisico ma al suo essere
razionale).
➞ Qual è la più grande grandezza della natura di cui possiamo fare esperienza attraverso i
sensi? Guardando un cielo stellato, si contempla la grandezza della natura, eppure per quanto sia
quantitativamente estesa la sua grandezza, attraverso la ragione possiamo pensarne una più
grande, poiché l’uomo può pensare all’infinito ( di cui non fa esperienza ma è un’idea della sua
ragione). Dentro di lui c’è la capacità di pensare al immensamente e non al comparativamente
grande, dentro c’è una facoltà che ci fa rivelare forti e superiori, proprio perché vi sono
infinitamente grandezza e infinitamente potenza che gli consentono di superare i limiti fisici e lo
rendono in grado di sperimentare il Sublime che è in sé.
Quando viene definito Sublime un oggetto x, gli attribuiamo un qualcosa che ha per sentimento
la nostra sublimità, evocando in noi la capacità e il pensiero della nostra sublime destinazione
sovrasensibile perchè non è sublime in sé. Non è quindi una qualità degli oggetti ma la
percezione/idea che abbiamo di noi stessi.
Mentre il sentimento del Bello sorgeva dal libero gioco di immaginazione e intelletto, il
sentimento del Sublime nasce dal conflitto di quest’ultimi. La ragione pensa all’infinito,
l’immaginazione non ci riesce e in questo contrasto c’è un dispiacere che si tramuta in piacere ,
perchè nel momento in cui ci si rende conto della grandezza della nostra ragione rispetto a
qualunque grandezza, noi possiamo o farne esperienza attraverso i sensi o immaginarla.
La fonte del piacere estetico, nel caso del Sublime, è dato dal: rendersi conto che solo oggetti di estrema
grandezza e potenza invitano a pensare a questo e dal fatto di scoprire che ogni unità di misura della
sensibilità, qualunque grandezza e potenza della natura la stimiamo piccola e impotente rispetto alle idee
della ragione.
Il giudizio di gusto si occupa soltanto della forma di un oggetto, per tanto l’unica finalità che si
contempla è quella soggettiva (creata per causare un sentimento di piacere/dispiacere). Le
strutture fisica e spirituale, così come le reazioni accomunano tutti gli uomini.
In conclusione affermando la bellezza di un quadro davanti ad un interlocutore, presupponiamo
che anche lui avrà la nostra stessa reazione.
Il testo a cui facciamo riferimento, raccoglie le lezioni tenute dal filosofo e gli appunti degli
studenti. Da esso emerge la netta contrapposizione con Kant, il quale aveva esaminato il
sentimento del Bello e del Sublime occupandosi soprattutto della bellezza naturale, Hegel invece
dichiara il suo esclusivo interesse per l’arte prodotta dall’uomo.
In questa celebre lettera scritta nel periodo in cui si trova a Berna, si legge una dichiarazione
esplicita del proprio disinteresse a proposito della natura.
➞ Cosa fa un concetto?
• Tesi: Dapprima è astratto e ha tutte le caratteristiche che lo contraddistinguono MA ancora
non ha avuto alcun riscontro conoscitivo perciò per verificarlo, occorre che diventi altro da sé.
• Antitesi: Un concetto si materializza in qualcosa che lo rende visibile a se stesso.
• Sintesi: Il concetto torna in sé con piena coscienza.
(es. noi possiamo avere un concetto astratto di volontà, per sapere cos’è dobbiamo muovere un
braccio o una gamba - il concetto si materializza in qualcosa che ce la fa conoscere - dopodichè
possiamo decidere di non usare la nostra volontà - pur avendo coscienza - oppure possiamo
parlare di volontà - non necessariamente tramite dimostrazioni fisiche.)
La realtà materiale, così come la si vede, rappresenta il secondo momento antitetico in cui lo
spirito esce da sé stesso, si materializza in un processo di autocoscienza, per poi tornare alla sua
dimensione spirituale in un processo di acquisita coscienza.
➞ Com’è giunto Hegel a individuare il processo dialettico come costitutivo del reale? In base a
considerazioni puramente logiche cioè, si è accorto che nessun concetto esiste se non in virtù del
proprio contrario (es. se non esistesse il male non avremmo il concetto di bene, lo stesso vale per il
bianco e il nero o la vita e la morte - se il bene non fosse opposto al male sarebbe il male esso
stesso).
Questo movimento di tesi, antitesi e sintesi regge non solo le strutture logiche del nostro reale
(nel modo in cui elaboriamo concetti) ma anche lo studio del reale e quindi dell’esistenza.
➞ Com’è giunto Hegel a stabilire la dimensione dialettica del reale e a fondare su essa la
propria teoria? In base a considerazioni puramente logiche cioè, si è accorto che il processo
dialettico non si applica solo a singole realtà ma ad ogni determinazione (stesso discorso della
domanda precedente). Ogni concetto trova un senso all’interno di quella negazione e
quell’antinomia, perciò il processo tesi-antitesi è fondamentale alla formulazione di un concetto
consapevole, il quale è la sintesi di un momento di verifica della definizione e di un ritorno al
concetto originario, arricchito dall’esperienza in virtù dei primi due momenti.
(es. Io posso avere l’idea astratta di essere il migliore scrittore del mondo, quest’ultima resta tale fin
quando non procedo alla verifica della veridicità di quell’ipotesi - pubblicando degli scritti, ascoltando
giudizi critici ecc.. - al termine di quei momenti posso tornare all’ipotesi di partenza e notare che la mia
affermazione avrà un valore veritativo che nella fase di tesi non poteva avere e, che ora è possibile da quel
movimento antitetico creato dall’uscita dell’ipotesi da se stessa) .
Il momento dialettico sintetizza la struttura che il processo di riflessione segue all’interno della
sua filosofia, la quale procede continuamente per schematizzazioni triadiche.
Disegna l’essere umano, i suoi poteri conoscitivi e come questi hanno avuto uno sviluppo.
L’antropologia rappresenta la tesi, la fenomenologia l’antitesi e la psicologia la sintesi.
E’ ciò che segue all’evoluzione dello spirito soggettivo che nel suo ultimo stadio persegue la
volontà di libertà, la quale trova realizzazione solo nella sfera dello spirito oggettivo (si manifesta
in istituzioni sociali concrete). Hegel descrive l’insieme di individui nei livelli di aggregazione che,
sono altrettante manifestazioni dello spirito ( dalla famiglia alla società civile allo stato).
➞ I 3 momenti in cui si scandisce lo sviluppo dello spirito assoluto il contenuto è lo stesso, è la
forma che cambia:
• Arte ⇨ conosce l’assoluto nella forma dell’intuizione sensibile (1)
• Religione ⇨ tramite rappresentazione
• Filosofia ⇨ tramite concetto puro.
1. L’arte rappresenta la prima fase nella quale lo spirito assoluto procede alla propria
autocoscienza, sarà poi seguita e superata dalla religione prima e dalla filosofia poi. Quest’ultima
non è altro che il vertice del passo conclusivo del ritorno dello spirito a se stesso. Come abbiamo
già detto si avvale dell’intuizione sensibile, ovvero la percezione di un dato reale, per cui è ancora
legata al mondo materiale. Le forme artistiche vivono di una rappresentazione sensibile e quindi
è inferiore a forme più spirituali, quali la religione e la filosofia. Quanto più si allontana dalla
materia tanto più il ricongiungimento con se stesso è vicino.
Ha determinato sia il suo sviluppo sia la sua conclusione, come mezzo di espressione dello spirito
assoluto che troverà una nuova incarnazione nella religione e nella filosofia.
Che ne è dell’arte dopo che ha terminato il suo compito ed è stata superata dalle altre due? L’arte
non è più incarnazione di uno spirito collettivo? Lo spirito che non s’incarna più nell’arte di
conseguenza determina una morte di quest’ultima?
La bellezza artistica è bellezza generata e rigenerata dallo spirito, cioè il contenuto spirituale non è
solo quello che l’artista pone all’interno della sua opera MA è anche ciò che si rigenera nello
spettatore.
Se lo spirito e le sue produzioni sono più in alto della natura e dei suoi fenomeni, così il bello
artistico è superiore alla bellezza della natura. E’ portatrice di spirito anche laddove l’idea che
genera l’opera artistica è cattiva ed quindi è pur sempre spirito per quanto inferiore ad altre
manifestazioni eccellenti.
Ancora una volta all’interno di un metodo dialettico, l’arte di fatto sta nel mezzo fra il sensibile e
l’ideale. Non è puro pensiero, è un qualcosa di incarnato nel sensibile e pur essendo tale, non sta
sullo stesso piano degli altri oggetti sensibili naturali. In un certo senso è un qualcosa di ibrido
dato che, è sensibile MA spirituale, sta fra i sensi e l’intelletto. Il sensibile nell’opera d’arte è
parvenza.
➞ Le condizioni (⬆):
1. Cioè un contenuto passibile di configurazione sensibile e non.
2. In sè stesso un astratto, impossibile da configurare.
3. Vale a dire, la forma è organizzata in maniera tale da esprimere in modo chiaro in un insieme,
quel contenuto che dev’essere passibile di raffigurazione.
Ove le 3 condizione non sono rispettate, si parla di “opere difettose” tuttavia lo sono perché i
contenuti non sono adatti a una configurazione sensibile e non per l’incapacità dell’artista. Un
contenuto indeterminato determina una rappresentazione a sua volta, indeterminata. Le opere
d’arte considerate belle sono tali perchè profonda espressione di una verità interna, è il loro
contenuto a determinare la loro bellezza.
Quello che emerge dall’esame delle 3 forme artistiche, si mostra come si è sviluppata
progressivamente una coscienza del naturale, dell’umano e del divino.
A questo punto procede ad una ricostruzione del percorso storico, geografico, filosofico, culturale,
religioso ecc. che l’arte ha seguito nel farsi man mano incarnazione dei contenuti ideali espressi
mediante una forma.Tale espressione infatti, non dipende solo dalle conoscenze
tecniche/artistiche.
➞ L’arte simbolica:
➢ Esprime contenuti attraverso forme che non sono espressione di quel contenuto MA
alludono a determinate idee.
➢ I soggetti sono spesso animali, quindi oggetti naturali che esprimono contenuti spirituali,
proprio perché quei contenuti non riescono ancora ad esprimersi attraverso una forma propria
(es. voglio esprimere l’idea di coraggio = leone).
➢ Gli elementi naturali sono l’antitesi dello spirituale, per questo l’arte simbolica è posta
come “primo livello”.
➢ E’ doppiamente manchevole perché esattamente come lo spirito assoluto ha, negli uomini
orientali, una forma vaga e indeterminata, così lo sono anche le forme.
➢ E’ una forma d’arte che cerca ancora una forma espressiva di un contenuto.
Dal brano (⬆) emerge che lo spirito assoluto può rivelarsi anche in oggetti che non hanno nulla
della nobile astrazione che i contenuti spirituali meritano. Nella forma d’arte simbolica l’idea si
sforza di esprimersi in maniera autonoma ma non ci riesce e quindi deve attingere ai materiali
fisici e naturali. L’idea non ha ancora trovato la sua forma vera e nel tentativo di rendere la
materia adeguata a se stessa, la forza, la maltratta e da luogo così al Sublime. In questa prima
forma d’arte si assiste ad una ricerca della raffigurazione dell’assoluto. Non a caso il simbolo di
quest'arte è la Sfinge, perchè è il segno del passaggio da arte simbolica (natura) a classica (uomo),
perchè ha parti di entrambi.
➞ L’arte classica:
➞ Dov’è che spirito e materia trovano perfetta corrispondenza? Nel corpo umano perché ogni
moto dello spirito è testimoniato.
Tipicamente il corpo esprime contenuti spirituali (es. emozioni). Perché ci sono queste “bellezze
ideali”? Lo spirito deve esprimersi non attraverso forme semplicemente naturali MA tramite
forme naturali che vengono sottratte ai bisogni di tutto ciò che riguarda la sua vita sensibile e
usate soltanto all’espressione di contenuti spirituali. Questo eleva la bellezza dei corpi nell’arte
greca, rispetto ai corpi naturali della nostra esperienza. L’idea anche in questo caso, assume
delle forme particolari e determinate e di conseguenza lo stesso vale per lo spirito. E’ questo il
motivo per cui avviene quest’ultimo passaggio.
➞ L’arte romantica:
➢ Segna la rottura di quell’equilibrio tra forma e contenuto, realizzato perfettamente dalla
tipologia d’arte precedente.
➢ E’ costituita da una sorta di ritorno al Simbolismo che però è un progresso rispetto all’arte
classica.
➢ Da un lato è definita da un avanzamento (per i contenuti) e dall’altro un arretramento
(per la forma). Perchè? Lo spirito trova un contenuto più ampio e meno particolare ed
individuato. C’è dunque un distacco dalla materia e dalla rappresentazione sensibile e
quest’ultima, pur avendo raggiunto una sorta di perfezione all'interno dell’arte classica, diventa
insufficiente nell’esprimere quel contenuto spirituale. Questo segna il passaggio da arte a
religione.
➞ Dalle parole di Hegel (⬆) affiorano due cose:
• Il perfetto equilibrio tra contenuto e forma si era potuto creare perché il contenuto, cioè
l'antropomorfizzazione del divino (gli dei visti come uomini anche se con poteri particolari).
Nel momento in cui gli dei, anzichè avere l’aspetto umano diventano dei infiniti, onnipotenti e
assoluti, non possono trovare espressione in una forma infinita. Il motivo per cui l’equilibrio si
spezza è che il contenuto non trova più una forma adeguata ad esprimerlo.
• Il rapporto che Hegel istituisce tra arte romantica e simbolica, perché la seconda ha un
contenuto in sé già inadeguato e che non trova una forma che lo esprime. La prima invece, ha
un contenuto al quale non interessa più cercare una forma, sia perché non può trovarla MA
anche perché allo spirito non interessa più manifestarsi attraverso forme sensibili e quindi
fisiche.
Questo segna il passaggio da religione a filosofia. Nell’arte romantica lo spirito si ritira in se stesso
e si allontana dalla realtà esterna e la concepisce come un’esistenza inadeguata, la cui bellezza è
sentita in modi diversi.
• La prima forma d’arte che il filosofo prende il considerazione è l’architettura, la quale come
compito principale ha quello di lavorare la materia inorganica, affinché questa può essere
piegata all’espressione di un contenuto spirituale. C’è un materiale che è preso nella sua
esteriorità immediata e le sue forme sono quelle date in natura (es. le colonne di un tempio
sono la stilizzazione degli alberi). La natura fa resistenza alla spiritualizzazione, l'architettura è
molto materiale (ha a che fare con la pietra, il legno, ecc.) la quale difficilmente può esprimere
contenuti spirituali se non in forma simbolica (es. le piramidi). Si sforza di prendere la materia,
portarla fuori dalla sua mera inorganicità, infatti quello in cui più riesce non è tanto esprime
contenuti spirituali MA creare l’ambiente in cui quest’ultimi possono esprimersi (es. il tempio è
un luogo per il raccoglimento intimo e per rivolgersi agli oggetti assoluti dello spirito)
• La scultura rappresenta una spiritualizzazione della materia tale per cui quel contenuto,
realizzandosi in corpi umani (forme ideali di corpo). Delinea un avanzamento dal piano della
natura a quello dell’uomo. Il contenuto spirituale infinito, ad un certo punto, si concentra
all’interno la rappresentazione della corporeità di individui e quindi non si ha più allusione
simbolica ma piuttosto di una spiritualità incarnata. I due aspetti della forma e dello spirito si
plasmano l’un l’altro e trovano ognuno perfetta espressione, in modo da raggiungere
l’equilibrio senza prevalere (cosa che non avviene nelle altre due forme d’arte).
Per Hegel c’è quindi il tempio, poi la statua e infine i fedeli.
E’ un Dio concepito all’interno della propria interiorità.
Una fede condivisa che evidenzia il contenuto di forme d’arte, le quali mostrano una
successione precisa ( si passa dal più al meno materiale). Perchè? La pittura ha a che fare con i
pigmenti/tele, la musica con i suoni e la poesia con suoni significativi, “segno per le intuizioni”,
cioè strumento per la vocazione di un contenuto spirituale che non è immediatamente nella
parola ma all’interno dell’interiorità del singolo. Il passaggio dalla poesia alla musica inoltre
avviene per via di questa “smaterializzazione”, vale a dire:
• La pittura è materia spazializzata, cioè che occupa un certo spazio e si libera della
tridimensionalità, perciò abbandona un aspetto materiale e acquista una forma di astrazione,
la quale sottolinea una sorta di liberazione dai vincoli della riproducibilità della realtà
materiale. Allo stesso modo la musica segna il passaggio dallo spazio al tempo, qualcosa di più
spirituale quindi.
• E’ vero che noi abbiamo ancora i suoni che sono un elemento fisico (una corda, un tasto ecc.),
tuttavia la visibilità si muta in udibilità e in secondo luogo, il suono rappresenta uno svincolo
dalla fisicità materiale o come lo chiama Hegel “l’incatenamento nel materiale”.
Infatti non sappiamo come sono le cose in sé ma soltanto come ci appaiono (siamo in possesso di
una gamma uditiva definita, al di fuori della quale non sentiamo le frequenze più alte o più basse,
questo non significa che nel mondo ci sono solo i rumori che a noi sembrano di esistere) .
Il filosofo inglese settecentesco G. Berkeley, diceva: “Esse est percepi” letteralmente “non esiste
ciò che non viene percepito” vale a dire: una cosa esiste sempre e soltanto in relazione con
qualcuno che percepisce, altrimenti la sua esistenza non potrebbe essere testimoniata.
Il “principio di ragion sufficiente” opera nella nostra conoscenza, ci consente di ordinare la realtà in
una sorta di sistema e le concatenazioni causali, stabilite dalle scienze.
Ragione ➠ ci libera dall’immediato rapporto con le cose e dalle connessioni causali fra gli
oggetti (es. se faccio una cosa succede questo). Nel considerare il mondo come
rappresentazione, Schopenhauer si è mosso all’interno del mondo materiale e quindi ha
mostrato come le nostre conoscenze ordinarie e scientifiche, compongono una conoscenza
pratica e una concettuale, come se tutto fosse fortemente determinato. Il filosofo si chiede a
questo punto: “Resta qualcosa al di fuori di questa realtà?”. Il 2° libro cerca di rispondere a ciò,
pertanto è più metafisico. Per lui la filosofia occupa il vertice delle scienze MA è più particolare
perché riflette sul senso di tutte le altre.
Le scienze indagano sugli oggetti della natura ma non si chiedono se i principi che seguono sono
giusti. Se la scienza ha a che fare con il mondo fisico, la filosofia invece ha a che fare con i valori.
Essa è la cosa in sé (noumeno) del corpo (es. ogni volta che parliamo, ci muoviamo o che non lo
facciamo, noi agiamo tramite la volontà).
Il filosofo che indaga i contenuti della propria conoscenza, non procede da movimenti puramente
astratti, non è una testa alata senza corpo bensì dal corpo, del quale è perfettamente consapevole
e sa che le sue conoscenze dipendono e trovano fondamento nelle percezioni che il corpo
comunica all’intelletto.
Qual è il modo speciale che rivela il significato di movimenti e azioni del corpo al puro soggetto
conoscente, a partire dal corpo e non escludendolo?
Il filosofo spiega come la volontà persegue i suoi fini tramite la conoscenza, in natura questa stessa
volontà si mostra attraverso “impulsi ciechi, sordi, unilaterali e invariabili”. Se quindi un individuo è
dotato di volontà significa che spesso queste volontà saranno in conflitto, la nostra volontà si
prefigge dei fini che non riesce a conseguire perchè ostacolata dalle volontà degli altri. Si tratta di
un continuo compromesso tra quello che vogliamo e che possiamo fare. Nella sua spinta
irrefrenabile a perseguire i propri fini, la volontà provoca distruzione, dolore e in senso più ampio,
ad una lotta alla vita in cui una specie è costretta a eliminare l’altra.
Da qui nasce la visione pessimistica nei confronti della vita, poiché si tratta di una lotta costituita
da un’infinita insoddisfazione, proprio perché l’uomo giunto al proprio obiettivo, ha il desiderio di
prefissarne uno nuovo e così via. La felicità dunque, sembra un bene irraggiungibile.
➞ “La vita oscilla, come un pendolo, fra il dolore e la noia” , il 1° causato dall’insoddisfazione dei
propri desideri oppure dalla soddisfazione di quest’ultimi che in realtà non portano ad una reale
soddisfazione. La seconda causata da bisogni facilmente soddisfatti. In questi 2 momenti si articola
dunque l’esistenza dell’uomo.
Vista la visione pessimistica, a questo punto ci si chiede: “E’ possibile uscirne?” Schopenhauer è
convinto che in senso filosofico e non scientifico, si può fare. Questa fuga dalla volontà tocca a
coloro che sono isolati dalla massa delle persone ovvero il Genio artistico e il Santo. Le possibili vie
sono tramite estetica e morale, rispettivamente attraverso l’arte e una vita ascetica.
Nella terza parte dell’opera si occupa dell’estetica e dell’arte come appunto, modalità di
allontanamento e di sospensione dell’esercizio della volontà, parlandone in relazione al Genio e
alla “gerarchia delle arti”. Il problema irrisolto nelle prime due sezioni dell’opera, è quello del
rapporto tra i fenomeni e le cose in sé: Che rapporto c’è tra il mondo degli oggetti sensibili/fisici -
sottoposti ad un principio di ragion sufficiente - e la volontà - che è un noumeno inconoscibile?
(Anche qui come in Kant)
➞ C’è qualcosa che fa da ponte tra il noumeno (della volontà) e le rappresentazioni (date dai
fenomeni)?
In questo caso Schopenhauer integra il dualismo kantiano tra fenomeno e noumeno, attraverso
e utilizzando le dottrine platoniche e neoplatoniche. Egli sostiene che la volontà, nel suo
oggettivarsi nel mondo e quindi dando vita a rappresentazioni, passa tramite uno stadio
intermedio che è rappresentato dal mondo delle idee. La volontà dà vita agli oggetti e alle
rappresentazioni, dando a quest’ultime come modelli le idee di cui gli oggetti del mondo della
rappresentazione, sono il riflesso molteplice e mutevole. Ogni volta che la nostra volontà vuole
porre in atto qualcosa, lo fa sulla base di un pensiero (es. voglio affermarmi come un grande
artista, penso ad un dipinto che poi realizzo. Quel dipinto non simboleggia altro che il riflesso
delle idee e del modo in cui la mia volontà l’ha pensato).
Vi sono gli oggetti sensibili conoscibili mediante “il principio di ragion sufficiente”, origine delle
nostre conoscenze comuni e scientifiche. La volontà che in base alle barriere poste da Kant, in
quanto cosa in sé inconoscibile, è davvero qualcosa che possiamo solo sentire in maniera
intuitiva ed immediata.
Tra questi due mondi…
C’è il mondo delle idee, in relazione alle quali si definisce il compito dell'artista, egli nella sua arte
mostra il mondo delle idee a cui ha accesso, non per le vie conoscitive normali MA grazie ad un
rapporto di tipo contemplativo ed intuitivo.
➞ Come giustifica il filosofo che l’arte ha a che fare sia con la sospensione della volontà sia il
mondo delle idee? Per esempio, noi nella nostra vita ordinaria, consideriamo gli oggetti in vista di
un fine - la mia attenzione si sofferma su un coltello perché devo tagliare qualcosa - questo è il
nostro modo di approcciarci alle cose, la cui essenza viene celata proprio dalla loro usabilità ➠
Velo di Maya = considerare le cose non per come sono in sé ma solo come sono per noi.
Di fronte ad un’opera d’arte che raffigura quegli stessi oggetti che nella quotidianità non
consideriamo, non possiamo considerarli solo in vista di un fine MA solamente contemplarli.
➞ Attraverso l’arte interrompiamo il nostro rapporto ordinario con le cose, entrando in un tipo di
rapporto contemplativo. Le cose non sono più ridotte ad oggetti per il soddisfacimento della
nostra volontà MA diventano oggetto di riflessione autonoma e quindi finalizzata al loro senso (es.
guardando due bottiglie di Coca Cola raffigurate, a differenza di quanto avviene comunemente -
cioè berle - possiamo svolgere una riflessione sul loro design, sulla loro forma o sulle società di
massa ➠ si va al di là del Velo di Maya).
Contemplando gli oggetti, dimenticando la nostra volontà e quindi annullandoci come individui
fenomenici diventiamo “individui puri”. Questo tipo di contemplazione consente l’accesso al
mondo delle idee.
➞ Come la volontà è “l’in sé dell’idea”, a sua volta quest’ultima è “l’in sé della cosa particolare” e
dell’individuo che la conosce, entrambi oggettivazione dell’idea. Grazie alla contemplazione
conosciamo l’idea della specie di un oggetto particolare e non semplicemente quell’oggetto.
L’individuo avvalendosi del principio della ragion sufficiente, conosce solo oggetti particolari
invece, il puro soggetto praticante della contemplazione estetica, conosce solo idee.
A questo punto se l’arte viene definita dal filosofo come la contemplazione delle cose,
indipendente dal principio citato poc’anzi, essa diventa la sede di riproduzione delle idee (proprio
perché ripetiamo: il Genio non ha un rapporto uguale a quello degli altri individui e quindi l’arte a
cui dà luogo, riproduce idee afferrate mediante pura contemplazione. “L’unico fine è la
comunicazione di questa conoscenza”).
Mentre la conoscenza comune procede attraverso una catena causale di eventi e pertanto simile
ad una specie di linea orizzontale, ove ogni momento è preparato dal momento precedente e
prepara il momento successivo, la contemplazione estetica dato che si basa su un’improvvisa
intuizione, ha più un carattere momentaneo e pertanto simile ad una specie di linee verticali, in
grado di distruggere improvvisamente il Velo di Maya. Infatti Schopenhauer sostiene che (la
contemplazione estetica) : “Strappa l’oggetto della sua contemplazione fuori dalla corrente del
flusso del mondo e lo tiene isolato davanti a sé”.
Sostanzialmente trovano nella pratica artista una sorta di sollievo, perché almeno possono vedere
(anche se per un periodo transitorio) la verità. Addirittura nell’opera degli artisti, perfino
l’esistenza umana che oscilla tra dolore e noia, può diventare uno spettacolo grandioso.
➞ Il filosofo sostiene che il Genio rende possibile la contemplazione dell’idea al fruitore, il quale a
sua volta deve avere un minimo di genialità per poter seguire l’indicazione data dall’artista.
Il Genio contempla il mondo delle idee MA chi, attraverso l’opera d’arte, sa ascendere a questo
mondo a sua volta, sebbene in forma in minore, possiede un carattere di genialità.
Il sistema delle arti è apparentemente simile a quello hegeliano, con una sola variazione ovvero
che al vertice della gerarchia vi è la musica e non la poesia. La differenza dipende dalle diverse
metafisiche, Hegel istituiva una gerarchia basandosi sull’allontanamento dalla materialità e dalla
presenza di spiritualità nelle varie forme espressive artistiche. Schopenhauer vede invece nella
rappresentazione delle idee, il compito essenziale dell’arte.
➞ Architettura, pittura e scultura sono arti figurative le quali lasciano poi il posto alla poesia. Essa
rappresenta un gradino superiore, poiché raffigura l’uomo e i suoi sentimenti, pensieri e azioni.
Si distingue dalle altre arti anche per l’assenza del suo contenuto mimetico (ad es. se devo
esprimere un’idea universale di tristezza, nel caso della pittura devo delineare un certo corpo e
certi atteggiamenti/lineamenti/attitudini. Nel caso della musica avviene il contrario, esprime la
tristezza che è già un’idea di tristezza universale che poi ritroviamo incarnata in tanti individui
particolari).
Allo stesso tempo l’inconscio diventa un luogo privilegiato per osservare l’uomo nei suoi reali
funzionamenti, infatti si scopre che quest’ultimo è diviso in 2 parti ben distinte:
I ricordi ➪ episodi psichici momentaneamente inconsci che possono essere richiamati e
divenire consci.
Elementi stabilmente inconsci ➪ in virtù della rimozione, la quale può essere attuata
attraverso delle tecniche peculiari.
Come si possono superare quelle barriere che custodiscono quei materiali che abbiamo
immagazzinato all’interno della nostra vita inconscia? In un 1° tempo pensa all’ipnosi, poi scopre il
rilassamento ovvero quel processo nel quale il flusso libero di parole (il racconto del paziente),
crea dei legami involontari col legame rimosso (emerso dai “difetti del discorso”) e ciò consente
allo psicanalista di giungere al coagulo di pensieri rimossi a cui il racconto stesso del paziente
tende.
Lo psicanalista diventa l’oggetto sul quale si trasferiscono i sentimenti contrastanti del paziente
che legano quest’ultimo ai genitori/figure della sua infanzia.
Per Freud l’individuo normale riesce a controllare l’Es senza violare i dettami del Super-Io, creando
una sorta di equilibrio fra la libertà sfrenata e il controllo rigoroso. Lascia fluire le emozioni, sa fin
dove si può spingere senza sentirsi in colpa, sa quello che si può concedere. Se l’Es invece prevale
sul Super-Io, l’uomo cade in comportamenti violenti o lussuriosi per poi arrivare alla creazione di
rimorsi.
Freud è convinto che proprio i materiali rimossi sul fondo dell'inconscio, possono dare segni che
delineano una specie di affacciamento alla superficie di quei materiali che stanno nell’abisso della
psiche.
Anche l’arte può farsi rivelatrice di contenuti inconsci rimossi, per questo avvia un’indagine sulla
funzione che essa può svolgere nel rintracciamento di quest’ultimi. Il frutto delle sue ricerche sono
contenute in un saggio del 1907 dal titolo “Il poeta e la fantasia”. A partire dalla fine del ‘700 fino
ai tempi di Freud, alcune forme espressive anziché tendere ad una bellezza ideale, si concentrano
sulla rappresentazione dei lati più oscuri e segreti dell’uomo e dell’anima, dando vita ad un’arte
che ha per oggetto paure, ombre, desideri di cui si compone la vita psichica.
(es. questo quadro allude alle temperie culturali e artistiche che poi caratterizzeranno l’arte
romantica. Ciò che è raffigurato sono l’incubo e una donna che ha questo “peso” sul ventre.
Oltretutto in inglese incubo equivale a “nightmare” che letteralmente vuol dire cavallo notturno,
infatti non a caso dalla tenda sbuca questo cavallo con gli occhi fiammeggianti).
➞ L’arte romantica traccia una linea di ricerca artistica in contrapposizione all’arte “tradizionale”
la quale, continua a perseguire soggetti e pitture che incarnano momenti di pura bellezza e
serenità. Il quadro è un po’ l’iniziatore mentre l’incubo è la rappresentazione di una parte della
vita psichica che non ha avuto, fino a quel momento molte attenzioni.
Verso la fine dell’800 si afferma quella corrente artistica denominata “Simbolismo” ove vi sono
figure simboliche della figura ambigua e che alludono a contenuti vaghi e indistinti della vita
psichica. In questo dipinto si può distinguere una figura al centro e tante altre attorno che fanno
riferimento alle visioni ( spesso non chiare neanche a noi stessi) che possono popolare i nostri
sogni.
Si nota fin da subito l’influenza di Schopenhauer e come la poetica a cui si ispira l’opera è qualcosa
di molto eccentrico e consolidato. Partendo da ciò Freud si chiede: “Com’è possibile che l’arte
consenta di esprimere e dare forma a contenuti che, nella vita ordinaria tendiamo a non
comunicare e a mostrare? L’arte può rappresentare le profondità dell’anima e nonostante ciò
rimanere tale ed essere apprezzata?”. Se questi contenuti venissero espressi dall’uomo comune,
molto probabile susciterebbe orrore, al contrario nell’arte si può.
Qual è il segreto per cui l’arte può comunicare contenuti orrendi e ciononostante renderli
piacevoli? Questo è il punto di partenza del saggio che è stato citato prima.
La sua indagine cerca risposte dal ruolo dell’arte svolto durante l’infanzia, istituendo un rapporto
tra la fantasia del poeta e il gioco del bambino, il quale mostra dinamiche molto simili a quelli
dell’età adulta.
➞ Che rapporto c’è tra la fantasia e il tempo? Vale a dire com’è scandito l’originarsi, lo
svilupparsi e il concludersi (eventualmente) di una fantasia?
Le fantasie si attivano da un fatto del presente che genera il ricordo di un vecchio desiderio,
proveniente dal deposito delle sensazioni. Nel passato l’individuo sa che la soddisfazione dei
desideri porta alla felicità perciò proietta la realizzazione di questo desiderio presente, nel futuro.
➞ Le 3 fasi a cui Freud allude all’inizio sono proprio queste: passato, presente e futuro.
“Così passato, il presente e il futuro sono come infilati insieme nel filo del desiderio che li percorre”,
cioè il desiderio è SEMPRE presente. Il tutto sottolinea una sorta di struttura del fantasticare e
delinea una tripartizione temporale che poi viene ribadita quando Freud discute della fantasia
artistica vera e propria. A questo punto giunge ad esaminare il rapporto tra arte-gioco del
bambino e arte-adulto insoddisfatto.
➞ Il poeta:
E’ l’adulto che non ha vergogna delle proprie fantasie, traducendole così in opere d’arte, prendendo
spunto o da opere d’arte precedenti o dando sfogo ad una libera creazione.
Ha un rapporto con la fantasia identico a quello c’è tra il bambino e il gioco, vale a dire senza alcun
imbarazzo (quindi quel gioco che era stato represso, ritorna nell’opera d’arte).
Nel descrive l’attività del poeta mostra come ogni creazione artistica e la proiezione di desideri, è
spesso l’eroe di un romanzo che realizza le aspirazioni e i sogni segreti dell’autore.
➞ “Che rapporto c’è tra la fantasia del poeta e la fantasticheria dell’adolescente e quindi
rispettivamente, tra la narrazione poetica e il sognare ad occhi aperti?”
Il primo suggerimento che Freud fornisce è quello di proiettare in un materiale non nascosto e
segreto, sogni e aspirazioni che assumono una forma non individuale (e ciò può essere d’aiuto
all’esposizione e all’espressione) e che vengono poi, affidate ad una terza persona (l’eroe del
romanzo).
In secondo luogo per rispondere alla domanda, decide di prendere in considerazioni non
romanzi celebri ma quelli che predilige il pubblico dunque quelli popolari, in modo da contare
un numero alto di lettori di entrambi i sessi.
Questo genere di romanzi vede il protagonista superare qualsiasi ostacolo nel corso della sua
avventura, segno del modo in cui trovano espressione le fantasie del poeta.
L’analogia tra sogno ad occhi aperti e la fantasia del poeta passa attraverso due momenti: l’Io
osservatore del romanzo psicologico e i tre tempi del poeta.
(Aprendo una piccola parentesi del romanzo psicologico spesso vi è una rivelazione della
personalità esclusivamente dell’eroe, proprio perchè è incarnazione dei sentimenti/desideri
dell’autore. Fa riferimento alla tendenza dello scrittore di scindere il proprio Io, mediante auto-
osservazione, in tanti Io PARZIALI che sono rappresentati da altri personaggi e proiezioni della sua
personalità).
Un’analogia possibile che possiamo considerare tra i due momenti è la seguente: l’opera è
rivelatrice di un ridestarsi nel poeta di un’esperienza precedente da cui nasce il desiderio e che
trova nell’opera creativa. Quest’ultima è la prova tangibile di un desiderio che nell'adolescenza
non trova espressione e si conclude nell’astrazione del sogno ad occhi aperti, mentre invece nel
poeta si realizza in opera creativa. (es. L’impulso alla creatività di Leopardi nasce dal desiderio di
essere amato come poeta/uomo e quindi poter riscuotere ciò che nella vita ordinaria, gli veniva
negato. Lui come molti altri nel corso della storia e non solo in campo poetico).
Queste sono solo le premesse del problema dal quale è partito Freud, vale a dire: “ Come riesce al
poeta la comunicazione di contenuti negati all’uomo comune? - Qual è il mistero dell’arte per cui
riesce a rendere disponibili temi che di solito, sono oggetti di censura sociale e morale nella vita
ordinaria? - Come avviene il passaggio dal disgusto per la fantasia individuale, al piacere per
l’opera d’arte?
Il segreto dell’arte è la liberazione dai sensi di colpa perché nel momento in cui l’artista si
espone così tanto, lo spettatore riesce a ridimensionare i propri rimorsi e a godere del “premio di
allettamento”. E’ così che si conclude l’esame del saggio.
L’interesse per gli aspetti psicologici legati all’arte è stato dichiarato in più saggi, uno dei quali è
“Codice Atlantico” del 1910, in cui analizza l’opera “Sant’Anna, la Vergine e il Bambino” di
Leonardo da Vinci. Ne ricostruisce il significato attingendo alla biografia del suo autore e in
particolare, ad un ricordo d’infanzia:
Quindi ci sono due donne Sant’Anna e la Vergine Maria (rispettivamente madre e figlia) e il nipote
(Gesù).
Leonardo è figlio illegittimo di Piero da Vinci e Caterina, lui giovane e all’apice della carriera invece
lei donna di bassifondi, infatti non si sposano. In compenso più avanti Piero sposa un’altra donna,
la quale essendo sterile, è molto affettuosa nei confronti del figlio. L’artista ha 2 madri,
probabilmente allude a ciò nell’opera in maniera metaforica perché in effetti le due donne, non
sembrano essere madre e figlia MA piuttosto sembrano avere quasi la stessa età. Freud
ricostruisce un aspetto della mitologia orientale per cui la dea della maternità ( Muth) ha un nibbio
nel copricapo che sovrasta la sua testa.
Freud vede la figura di un nibbio nei drappeggi e nelle vesti di Maria. Molto spesso si assiste ad
un’interpretazione in senso psicanalitico, in cui biografia e arte sono strettamente correlate e ciò
consente la comprensione di certi temi/motivi delle singole opere artistiche.
Nel 1° quadro di F.Khnopff “la carezza”, si vede il momento successivo alla risoluzione
dell’indovinello da parte di Edipo, il quale è ambiguo mentre la Sfinge anziché buttarsi nel dirupo (
come afferma la mitologia tradizionale) si fa schiava dell’uomo. E’ una sottomissione che inquieta
il ragazzo, infatti guarda lo spettatore in maniera confusa. Lei invece sembra apparentemente
tranquilla anche se in realtà, la posizione delle zampe posteriori e della coda, fanno pensare ad
uno scatto. Inoltre la sua faccia (così come in molti altri dipinti) è quella della sorella del giovane,
probabilmente per il rapporto “strano” che avevano i due.
Gli altri dipinti appartengono a Klimt ove Giuditta raffigura il lato oscuro della bellezza, di donna
fatale perché nonostante la sua bellezza procura la morte. E’ una donna che ha salvato la sua città
dall’attacco degli Assiri, il comandante di quest’ultimi si era invaghito di lei. Durante il banchetto
l’uomo si ubriaca e lei finisce per tagliargli la gola.
La particolarità sono le mani che in maniera nervosa tengono la testa della vittima dai capelli.
Un quadro che illustra molto bene il clima culturale e artistico che circonda Freud. I turbamenti
dell’anima che trovano espressione artistica e proprio, in quanto trasfigurati in opera d’arte,
conferiscono quel piacere estetico a cui allude Freud.
Questa distinzione viene indagata inizialmente dai filosofi presocratici, i quali hanno visto
nell’Essere la condizione dell’Ente e degli esseri umani. A far cadere tale condizione è stato
Platone con il mito della caverna, ove fa diventare le idee la condizione dell’esistenza degli oggetti.
Nel momento in cui l’idea viene definita come “l’essenza del reale” non è già più Essere, perché a
sua volta è un’entificazione di quest’ultimo, il quale è una condizione astratta e dunque non si può
identificare in qualcosa.
Oblio dell'essere: Per spiegare al meglio l’oblio dell’essere fa uso della “metafora dell’albero” (già
presente in Cartesio) ove:
Il tronco costituisce la fisica,
Le radici rappresentano le basi del sapere,
I rami sono le diverse scienze attraverso i quali il sapere si dirama.
A questo disegno Heidegger aggiunge solo il terreno, il quale corrisponde alla condizione di
esistenza dell’albero.
Il filosofo si sofferma solo sull'ultima: la cosa è l’unione di materia e forma. Ciò gli consente di
raggruppare tutte le cose di cui facciamo esperienza:
COSE NATURALI ➩ Come si dispone il rapporto tra materia e forma? Vi è una forma che è
determinata dal casuale disporsi della materia, non c’è una forma intenzionale. Hanno una
certa forma perché dei soggetti ad alcuni movimenti della materia hanno determinato quella
forma.
OGGETTI D’USO ➩ Come si dispone il rapporto tra materia e forma? E’ predeterminato, poiché
subisce l’azione di una mente che piega la materia a una forma per diversi motivi. Si fonda
sull’usabilità e LO scopo che l’oggetto deve svolgere, infatti la sua funzione non è un qualcosa
di vago perchè il fine è essenziale alla sua esistenza.
OPERE D’ARTE ➩ Come si dispone il rapporto tra materia e forma? Siamo nuovamente in
presenza di un qualcosa di predeterminato, l’unica differenza rispetto al caso precedente è che
ha una materia piegata a una forma in vista di NESSUN scopo. La conformazione della materia
è libera e quindi NON è determinata dall’usabilità.
Cos’è che fa sì che l’opera d’arte non sia equiparabile ad altri oggetti d’uso comune?
La sua particolarità consiste nei valori del simbolico e dell’allegorico. Non è soltanto l’oggetto in sé
ma rimanda a contenuti e valori che vanno oltre il dipinto. Porta l’osservatore oltre se stesso
(allegoria: allo agoureùei) e unisce alla sua esistenza fisica l’incarnazione di un significato, di un
valore (simbolo: symbàllein).
➩ Rapporto tra arte e artista (2): L’essenza dell’arte va ricercata concretamente nell’opera d’arte,
per farlo bisogna analizzare un’opera d’arte concreta. Heidegger sceglie quella di V. V. Gogh “un
paio di scarpe” del 1887.
Perchè la raffigurazione di un paio di scarpe dovrebbe rivelare una verità? Qual è il segreto
dell’arte?
Le cose non artistiche, la cui materia e forma sono scelte in vista di uno scopo, sono oggetti atti a
svolgere una funzione e quindi puro strumento/mezzo. Il mezzo però proprio in virtù della sua
usabilità fa sì che venga considerato. In questo caso: il contadino che indossa le scarpe, non sta ad
interrogarsi sull’essenza delle scarpe, questo avviene solo se si approccia in maniere filosofica e se
quindi, se lo chiede spontaneamente. L’altro modo per giungere al riconoscimento dell’esser
mezzo del mezzo - della loro essenza - è attraverso l’arte).
➩ Per capire a fondo l’esser mezzo del mezzo occorre considerarlo nel suo uso ordinario.
Osservando attentamente questo dipinto in realtà, le scarpe che apparentemente sono disposte in
una posizione casuale e in un contesto non adeguato, molti elementi l’interno logoro, la
pesantezza della calzatura, il cuoio impregnato di sudore) consentono di evocare il mondo dei
contadini sia in maniera simbolica che allegorica.
➩ L’usabilità a sua volta è determinata da un essere ancora più essenziale ovvero la “fidatezza”
(o “Verlassigkeit”) = il nostro rapporto con gli oggetti e la loro usabilità. Essa garantisce che le cose
fanno ciò che devono fare e che svolgono un ruolo all’interno del nostro mondo.
Il tipo di osservazione a cui Heidegger fa riferimento non è empirica ma filosofica, fa sì che quegli
oggetti vengano sottratti alla loro usabilità e disposti in un ambito di contemplazione.
Improvvisamente fa conoscere all’uomo la verità.
Nell’opera d’arte c’è un contrasto non finalizzato a sopprimere l’uno o l’altro, ma a far emergere il
meglio per estendersi oltre i propri limiti, come invece avviene tra materia e uso (ove la prima è
schiacciata dal secondo).
Concetto di “lotta”: L’opera d’arte per sua natura, è ciò che determina una lotta (in senso buono)
fra mondo e terra (materia e forma ricorda).
➩ Tutto ciò avviene perchè il contenuto dev’essere comunicato in maniera efficace, convincente e
immediata. Bisogna essere consapevoli del valore, dell’importanza e della natura della materia,
ma soprattutto significa essere consapevoli della sua esistenza. L’essere opera dell’opera consiste
nella realizzazione di questa lotta, che decreta l'origine e l’essenza per cui l’arte è ciò che è.
PREMESSA
B. vuole evidenziare come per la prima volta ci siano concetti che mettono in luce le esigenze
rivoluzionarie nella politica culturale, concetti che tendono a scardinare la visione tradizionale
dell’arte e che favoriscono la soddisfazione di esigenze rivoluzionarie.
VI CAPITOLO
La fotografia è la prima tipologia di arte in cui il valore di esponibilità supera il valore culturale.
Il valore culturale cerca di prevalere sul nuovo come tema; infatti i principali soggetti delle
prime fotografie sono le persone, i volti. Nel culto e ricordo dei cari, il valore culturale rimane
forte e trova nelle fotografie un rifugio. La persona emana nelle fotografie l’aura che possiede.
Il valore espositivo prevale sul valore culturale quando l’uomo non è più soggetto delle
fotografie. Questa scomparsa segna il passaggio tra un arte di valore espostivo a un valore
ulteriore, il valore politico. Nel 1900, con Atget, nasce l’uso nella fotografia come prova del
processo storico. Nei giornali accanto alle foto compare la didascalia, diversa dal titolo perche
è una vera direttiva, una chiave di lettura di ciò che la persona sta guardando.
CAPITOLO X: L’interprete sa che alla fine avrà contatto con il pubblico, che diventa mercato. Il
cinema però sostituisce la decadenza dell’aura con la creazione della personality, quello oggi
chiamato star system, il culto della star. Il cinema può avere dei punti di collegamento con la
stampa; come essa ha dato possibilità a tantissime persone di scrivere e diventare protagonisti
anche in modo temporaneo, anche il cinema offre questa possibilità, quella di diventare
comparsa.
CAPITOLO XII: Come cambia il rapporto con l’arte e la sua ricezione quando diventa di
massa? La riproducibilità tecnica dell’arte cambia il rapporto esistente delle masse con l’arte.
Più l’arte perde il suo significato sociale e più diventa importante l’atteggiamento dei critici e la
visibilità da parte delle persone. Il cinema è l’unico ambiente dove il giudizio critico e quello
delle masse coincidono; infatti la somma dei singoli viene condizionata fin dal principio. La
pittura invece non è in grado di proporsi a una visione simultanea di più persone, cosa che
invece risulta ovvia per l’architettura, come un tempo era per l’epopea e come oggi lo è per il
cinema. La pittura viene posta in confronto con le masse e in quel momento inizia la vera crisi
di quest’arte; la pittura, anche a parete, è stata ormai coinvolta in questa crisi artistica a causa
della riproducibilità tecnica del quadro.
CAPITOLO XIII: Il cinema si caratterizza per la maniera in cui l’uomo si rappresenta e anche
per il modo in cui esso rappresenta il mondo circostante. Ha arricchito quello che possiamo
definire “il nostro mondo dei sogni”; infatti quello che un tempo non sarebbe stato notato
durante una conversazione, un lapsus, oggi è analizzabile anche se fluisce innavertitamente nel
flusso del percepito. Il cinema è riuscito a cogliere questa sensibilità. La teoria freudiana ha
isolato e reso analizzabili cose di cui prima non avevamo consapevolezza. Mediante le riprese,
svolte in modo diverso, lo spazio e il tempo sono soggetti a dilatazione e contrazione, che non
appaiono mutati, ma volutamente e propriamente “sovrannaturali”.
CAPITOLO XIV: Il Dadaismo era quello che oggi per noi è il cinema in termini di percezioni ed
effetti; cercava, infatti, di ottenere con i mezzi della pittura e della letteratura ciò che noi
ricerchiamo nelle sale cinematografiche. Il Dadaismo sacrificava i valori di mercato alla ricerca
di qualcosa di maggiore significato; infatti i dadaisti attribuivano all’uso mercantile delle loro
opere un peso inferiore rispetto a quello che avrebbero avuto come oggetti contemplativi. Vi
era una degradazione del materiale; come nelle loro poesie e nelle loro opere pittoriche,
annientavano drasticamente l’aura di ciò che producevano. L’opera d’arte diventava scandalo
e dava la possibilità di una distrazione forte, aveva l’esigenza di produrre indignazione. Il
dadaismo realizzava opere come proiettili lanciati sull’osservatore, così come le immagini per il
cinema, ma l’opera rimaneva fissa per creare associazioni nell’osservatore, mentre nel cinema
ciò non è possibile a causa della velocità delle sequenze di immagini: le immagini si dispongono
al posto del pensiero. Per la sua struttura, il cinema perde lo choc fisico che invece nel
Dadaismo è mantenuto mediante le opere.
CAPITOLO XV: La quantità si è ribaltata in qualità: le masse sempre più vaste hanno
determinato un modo diverso di partecipazione. Il cinema, da quando è nato, ha ricevuto
molte critiche; famosa è stata quella di Duhamel che lo ha definito un passatempo da iloti e
creature incolte. Infatti il cinema non esige concentrazione e l’unica luce che accende nel cuore
è quella di diventare una star. E’ la vecchia accusa per cui le masse cercano solo la distrazione,
mentre l’arte ha bisogno del raccoglimento da parte delle masse, ma possiamo considerarlo
solo un luogo comune.
La scuola di Francoforte
La cosiddetta “Scuola di Francoforte” raggruppò una serie di studiosi che, a partire dal 1923, si
raccolsero intorno all’ “Istituto per la ricerca sociale”, creato a Francoforte sul Meno, in Germania.
Quello che caratterizzò l’originalità dell’Istituto fu, indubbiamente, la interdisciplinarità del suo
approccio. Gli studiosi, infatti, attraverso l’apporto dell’economia, delle scienze sociali, della
filosofia, della psicologia, della musica e della letteratura elaborarono una “teoria critica della
società”, detta anche “ricerca sociale” o “filosofia sociale”.
La ricerca di Adorno e Horkheimer prosegue sulla linea segnata dal loro predecessore, con la
differenza che il valore politico dell’arte subisce una variazione nella loro opera, dal titolo
“Dialettica dell’Illuminismo”. Una delle conseguenze germinate da ciò è il concetto di serialità,
ovvero la negazione di un certo tipo di arte che nell’arte contemporanea, diventa uno dei tratti più
distintivi per le rappresentazioni. (es. nelle opere di A. Warhol è evidente come la serialità può
avere una valenza artistica, il pittore si avvale della tecnica della ripetizione la quale, rende uniche
le sue opere). La ripetizione seriale è un qualcosa che connota la contemporaneità, in questo
Benjamin ha visto giusto, dimostrando come la riproduzione tecnica può creare dei moduli
ripetibili nei vari generi, specialmente nell’architettura. Assieme a Fromm, Marcuse, Lowenthal e
Pollock, sono esponenti della “Scuola di Francoforte”, i cui nuclei tematici sono:
Rapporto marxismo-psicanalisi ➢ il tentativo è quello di stabilire dei rapporti fra la seconda e
la teoria critica della società, con l'obiettivo di studiare i meccanismi psicosociali e le origini di
obbedienza e violenza, a livello sia individuale che collettivo.
Analisi dei totalitarismi ➢ Negli anni ‘30 si trovano davanti alla nascita dei regimi fascisti in EU, ciò
scaturisce la seguente domanda: “Questo assetto politico trova le sue radici nel Capitalismo o è
totalmente nuovo?”.
Critica della cultura di massa ➢ All’interno dell’opera di Adorno e Horkheimer, precisamente
nel capitolo sull’industria culturale. (E’ un saggio che si avvale della seguente struttura:
Premessa, Concetto di Illuminismo - cap.1, Odisseo mito o illuminismo - excursus 1, Juliette
illuminismo o morale - excursus 2, l’industria culturale - cap. 4, elementi dell’antisemitismo -
cap. 5 e appunti/schizzi.
➢ CONCETTO DI ILLUMINISMO: L’illuminismo di cui parlano gli autori, non è inteso come il
periodo del ‘700 ma come una concezione negativa del pensiero in continuo progresso che ha
portato gli uomini oltre i limiti consentiti. L’origine è in F. Bacone, il quale sosteneva che la
conoscenza della natura era fondamentale ai fini del suo dominio e sfruttamento “scientia propter
potentiam”, letteralmente “conoscere per governare”. La scienza è fonte di ogni progresso e
quando non rispetta certi limiti, può rendere schiavo l’uomo (ad es. armi di distruzione di
massa/addio alla privacy). Il problema per i 2 autori è mostrare proprio questo, essa nasce per
sconfiggere le false credenze e fornire una spiegazione razionale a proposito dei vari fenomeni,
sostituendosi al mito che, soprattutto per gli uomini antichi era la risposta a tutto (spiegazione più
ingenua). Essa ha un duplice paradosso: nel deridere il suo “rivale” non si è resa conto che,
quest’ultimo era una prima forma di spiegazione scientifica (stessi intenti, metodologie diverse). In
secondo luogo anch’essa è diventata un mito, ciò ha determinato una perdita di ragionevolezza
nella sua concezione e considerazione. E’ l’uomo stesso ad aver creato la propria sventura.
L’Illuminismo vuole rimuovere l’antropomorfismo dalla natura per ricondurre tutto a numeri,
esperimenti e leggi.
- MITO: Per spiegare la condizione dell’uomo fanno riferimento al mito di Ulisse e le sirene,
raccontato da Omero nel 12° libro dell'Odissea. La maga circe avverte il protagonista e il suo
equipaggio, dell’esistenza di creature dai volti di donne bellissime e dal canto irresistibile che,
porta ogni uomo a scendere dalla propria nave per raggiungerle a nuoto. Sono fatali dato che
divorano chiunque arrivi nella loro dimora, per cui Circe consiglia l’utilizzo di tappi ma Ulisse,
personaggio che si distingue per la sua curiosità e astuzia, decide di farli indossare solo al suo
equipaggio. Lui invece si fa legare all’albero maestro della nave. I borghesi sono rappresentati
dalla condizione di Ulisse, anche loro hanno l’arte a portata di mano e dunque, la possibilità di
abbandonarsi al piacere e di essere felici, eppure se ne privano. Si fanno legare più strettamente ai
loro compiti e obblighi produttivi. L’equipaggio invece è la raffigurazione degli operai nella
fabbrica, i quali non hanno accesso al piacere. Continuano a remare e non slegano Ulisse per
salvare se stessi e il loro capitano, proprio come gli operai che si sottopongono a qualsiasi
condizione pur di andare avanti. Ulisse si è legato alla prassi, l’abbandono a oggetti portatori di
piacere, diventano non più condizioni esistenziali MA oggetto di contemplazione, arte per
l’appunto.
➢ L’INDUSTRIA CULTURALE:
Il termine “industria culturale” è un paradigma socio-culturale introdotto e usato per la prima
volta da Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, due filosofi appartenenti alla Scuola di
Francoforte. Il concetto apparve in Dialettica dell'Illuminismo (1947) per indicare il processo di
riduzione della cultura a merce di consumo.
Il 4° capitolo sull’industria culturale non contiene una vera e propria teoria ma una descrizione
critica e dialettica del contemporaneo, attraverso più punti:
1. Lo stato dell’arte e del sapere dopo la rivoluzione tecnica.
2. La nuova capacità di penetrazione dei messaggi culturali.
3. Il rapporto sapere-potere (di tipo commerciale).
4. La revisione del concetto di cultura.
Amusement
L’industria culturale ha trasformato l’arte in divertimento, in intrattenimento. Non è più un’arte
leggera e fine a stessa ma un’arte leggera e finalizzata al consumo. Alla fine l’amusement ha
prevalso sull’arte e la cultura vera e propria. L’amusement è cercato da chi aspira a sottrarsi al
processo lavorativo meccanizzato per essere poi in grado di affrontarlo. L’uomo trova nei prodotti
culturali quelle condizioni che conosce benissimo e quindi non facendo uno sforzo rappresentativo
si gode la rappresentazione divertendosi. Nell’ozio ci si adegua a quel cliche, quello standard nel
quale si è occupati nel resto della nostra vita lavorativa. La meccanizzazione ha assunto nell’uomo
un tale potere che non è in grado di godere altro che della riproduzione del processo meccanico.
(il contenuto è un pretesto). Veniva usato il cartone come mezzo innocente di condizionamento. Il
piacere della violenza inflitta al personaggio rappresentato (in un cartone, es. Paperino) trapassa
in una violenza inflitta allo spettatore, lo svago si trasforma in tensione e sforzo. Il divertimento
rappresenta una fuga, non per fuggire dal reale, ma fuggire da quella resistenza che permane
nell’individuo e che l’ind.cult. cerca di sopprimere. Divertirsi significa non dover pensare e
dimenticare la propria sofferenza anche là dove viene esposta e messa in mostra. Grazie alla
perdita di coscienza da parte del pubblico nasce in questo l’idea (apparente) che il successo possa
arrivare a tutti e che chiunque possa riscattarsi dalla realtà in cui vive spesso per un caso furtunato
che pone l’indivuo dalla parte dei vincenti.
PSEUDOINDIVIDUALITA’
L’individuo nell’industria culturale è illuso, non solo a causa della standardizzazione delle sue
tecniche produttive ma proprio perché l’individualità non trova posto in essa. Anche i personaggi
amati dal pubblico utilizzano dei sistemi che li rendono perfettamente riconoscibili. (l’individuale
ricondotto all’università). Anche le caratteristiche di quei personaggi che riscuotono favore presso
il pubblico in realtà sono frutto di una produzione in serie.
Tema generale: La fine dell’utopia significa che si può passare dal sogno alla realtà. La società
stessa resiste alla propria liberazione. La trasformazione da un certo punto di vista è possibile. C’è
un’enerzia del sistema che tiene vincolato a sé le vittime dello stesso sistema.
Il suo pensiero: confluiscono Marxismo e la teoria freudiana degli istinti. Prende spunto da
entrambi ma li modifica e li corregge secondo il proprio pensiero e sistema. Li interpreta, accoglie
certi spunti e ne rifiuta altri. Per Marcuse è possibile attuare la fine dell’utopia partendo da Marx e
Freud ma deviando dalle conclusioni a cui sono giunti.
Differenza da Freud: in Eros e Civiltà Marcuse mostra come gli istinti di Freud vadano rimeditati in
relazione agli effetti sociali di quella teoria. Freud dice che la civiltà riprimeva gli istinti per vivere in
armonia, in sicurezza. I singoli individui reprimendo questi istinti subiscono l’infelicità e si creano
molti conflitti (=disagio). Secondo Marcuse è possibile nella società a lui contemporanea
mantenere l’assetto e l’ordine sociale senza reprimere gli istinti degli individui e accedere al
principio di piacere. Non è detto che il lavoro debba per forza essere alienante.
Fantasia e utopia
Secondo Freud le forze della psiche opposte al principio della realtà si presentano come relegate
nell’inconscio e operati da questo. La fantasia ha una funzione di importanza decisiva nella
struttua psichica totale. Essa collega gli strati più profondi dell’inconscio con i prodotti più alti della
coscienza (arte), il sogno con la verità.
La fine dell’utopia secondo il filosofo era stata già decretata da Marx e Freud anche se, il primo
aveva svolto una critica contro gli utopisti contrapponendo le proprie dottrine, mentre il secondo
era scettico nell’immaginare un futuro e un progresso dell’umanità. Ragion per cui Marcuse non fa
altro che accogliere certi spunti e respingerne altri, per poi apportare la propria riflessione. Ciò che
il filosofo rimprovera a Marx è il fatto di aver rinunciato ad alcuni sviluppi di pensieri presenti nelle
opere giovanili e, di negare la possibilità di quello che viene chiamato “il regno della necessità”. Lui
crede che il lavoro socialmente necessario sarà sempre una costrizione e una forzatura. Si è
rifiutato di ipotizzare una società in cui il lavoro assume aspetti ludici e organizzato in armonia con
i bisogni essenziali o con le naturali/particolari inclinazioni dell’uomo.
Per quanto riguarda Freud, analizza l’opera “Eros e civiltà” ove afferma che quest’ultima si è
sviluppata sulla base della repressione degli istinti, per vivere in una società giusta, sicura e
tranquilla (es. gli istinti aggressivi o diappropriamento non sono ben accetti, la giustizia dev’essere
amministrata per non arrivare ad uno sfogo, il matrimonio con la successione dinastica ed
ereditaria che frenala monogamia). Il prezzo lo paga l’individuo con l’infelicità (→ conflitti interiori
ed esteriori).
L’arte ha una perdita di forza ed è considerata come un’antagonista del principio di realtà. L’uomo
vive in una dimensione e non c’è posto per un’altra dimensione alternativa di contrasto. In questo
mondo unidimensionale non c’è modo di esprimere dissenso e l’arte non può svolgere la sua
funzione tradizionale (rompere con paradigmi estetici, sociali, morali).
Questo è il punto di partenza di Marcuse, il quale afferma che è vero che la società in origine
doveva necessariamente regolari i propri istinti ma allo stato attuale, può esserci un tipo di
organizzazione non per forza categorica e condizionata. Si possono evitare le barbarie, liberare
ugualmente gli istinti e mantenere l’assetto e l’ordine sociale, subordinando il principio di piacere
a quello di realtà. Questo è solo uno dei punti affrontati nell’opera, ce ne sono altri due ovvero:
Principio di prestazione ➢ vale a dire ciò che l’uomo è chiamato a fare in virtù del proprio
ruolo nella società. La repressione che viene attuata attraverso il primo principio, è legata alla
stratificazione sociale e alla divisione del lavoro.
Principio delle società democratiche e totalitarie ➢ in realtà la prima è uguale alla seconda,
poiché l’apparato produttivo può soddisfare tutti i bisogni dell’uomo ma quest’ultimi sono
artificiali, impedendo così la realizzazione di quelli più essenziali.
A proposito del disagio della civiltà Freud afferma le seguenti parole a cui, l’autore in questione
contrappone il suo pensiero. C’è come un relegare le forze del principio di piacere nell'inconscio,
lasciando operare solo quelle energie conformi al principio di realtà. Una funzione decisiva per la
liberazione degli istinti, può essere realizzata dalla fantasia perchè è l’organo tra inconscio ed
intelletto. Ciò lo si nota anche e soprattutto nell’arte. A questo punto il filosofo mette a confronto
la ragione e la fantasia. La seconda sfugge al principio di realtà ma dato che è minoritaria rispetto
all’altra, è insignificante. E’ la prima su cui si fonda la nostra vita e che consente di dedicare del
tempo eventualmente alla seconda.
L’arte è una fuga dalla realtà, una dimensione alternativa e non costitutiva, libera ma a prezzo
della sua marginalità, purché non disturbi l’azione che i primi due principi richiedono. La fine
dell’utopia potrebbe portare alla realizzazione di una dimensione esistenziale che si muove tra
piacere, sensualità, bellezza, verità, arte e libertà. La visione e l’atteggiamento dell’autore
cambiano, sembra non vedere più con tanta certezza la fine dell’utopia, quindi viene assunta
una visione piuttosto pessimistica (si trovano riferimenti sia ai suoi colleghi sia a Benjamin).
Non c’è più la dimensione della cultura e dell’arte, regno dell’opposizione, trascendenza ed
estraneità. Arte e cultura vengono addomesticate ed inserite pienamente all’interno della
realtà, distruggendo così la loro dimensione di origine. Successivamente mostra come
l’adeguamento dell’arte al reale, è reso molto esplicito dalle forme e dai protagonisti che
assume, i quali anziché rappresentare degli anticonformisti, originali ed emarginati - intesi
come coloro che prendono distanza da uno stato di cose delle quali non si condividono
caratteri, natura e valori - scompaiono, lasciando il posto agli integrati.
Marcuse arriva così a delineare l’“integrazione dell’eversivo”, quel processo in base al quale
l’estetica democratica - libera disponibilità per tutti degli stessi prodotti - assimila a sé tutte le voci
eccentriche, inserendole e assorbendo all’interno della propria universalità. Nel diventare
ingranaggi i contenuti delle arti si adeguano al sistema, entro cui vengono chiamati a farne parte. Il
segno della resistenza che l’arte oppone nelle opere dell’Avanguardia, formano quella “contro-
cultura” che crea l’estraniazione e non l’integrazione e che renderebbe di nuovo l’arte, capace
della comunicazione di contenuti eversivi rispetto ad un sistema dato. Ovviamente la libertà
dell’immaginazione deve fare i conti con il controllo operato dalla ragione
Si arriva alla desublimazione: la perdita di forza e di capacità eversiva dell’arte e della cultura che,
nel diventare popolari, trovano appagamento nell'accettazione e assoggettamento a delle logiche
correnti. L’arte di rottura creava immagini in cui la realtà alternativa poteva tranquillamente
contrapporsi a quella reale ed era tollerabile proprio in virtù dell’edificazione che rendevano
possibile.