Come nota il grande critico R. Luperini, negli ultimi 25 anni si è fatta largo una rilettura di D’Annunzio quale
anticipatore di una poetica di tipo postmoderno, tanto per il riuso di materiali e stili della tradizione, quanto
per la riduzione della storia a dato prevalentemente mitico-estetico; una simile interpretazione è tra le varie ragioni
che hanno riacceso e riattualizzato l’interesse per D’Annunzio. Possiamo sviluppare questa intuizione a due
livelli.
Livello estetico….
Il termine postmoderno è usato per connotare la condizione antropologica e culturale conseguente alla crisi e
all’asserito tramonto della modernità nelle società del capitalismo maturo, entrate circa dagli anni 1960 in una
fase caratterizzata dalle dimensioni planetarie dell’economia e dei mercati finanziari, dall’aggressività dei
messaggi pubblicitari, dall’invadenza della televisione, dal flusso ininterrotto delle informazioni sulle reti
telematiche. In connessione con tali fenomeni, la condizione culturale postmoderna si caratterizza soprattutto per
una disincantata rilettura della storia, definitivamente sottratta a ogni finalismo e provvidenzialismo,1 e per
l’abbandono dei grandi progetti elaborati a partire dall’Illuminismo, dando luogo, sul versante creativo, più che
a un nuovo stile, a una sorta di estetica della citazione e del riuso, ironico e spregiudicato, del repertorio di forme
del passato, in cui è abolita ogni residua distinzione tra i prodotti ‘alti’ della cultura e quelli della cultura di
massa.2 Ora l’ “officina dannuziana”, cioè il suo caratteristico modo di lavorare attraverso cui il poeta leggeva,
raccoglieva con la sua prodigiosa memoria, e rielaborava e ricreava qualcosa di nuovo, produceva alla fine testi
che sono un susseguirsi di citazioni/allusioni, dei prodotti estetici di alto valore, ma privi di un contenuto “forte”.
In questo senso D’Annunzio, scrittore di successo che si sperimentò in vari generi (anche in quelli popolari come
il cinema), può essere considerato un post-moderno ante litteram.
1
Viene quindi rifiutata tanto la visione cristiana (la storia si compie nell’Eternità), quanto quella marxista (la storia si compie nel Sol
dell’Avvenire che segue la Rivoluzione).
2
Un prodotto culturale postmoderno è sia la pubblicità della carta igienica Foxy, in cui al prodotto di consumo quotidiano è
accostata la figura di Dante poeta, sia il capolavori di U. Eco “Il Nome della rosa”, in cui l’incessante concatenarsi di citazioni e
allusioni dotte –tanto che il romanzo è di difficile comprensione- è fine a se stesso e porta il lettore al “nulla” della biblioteca che
brucia e al detto latino che fa da fil rouge (Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus ossia “la rosa primigenia esiste solo nel
nome, possediamo soltanto nudi nomi”).