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ITALO SVEVO (Trieste 1861-1928)

Italo Svevo sin dall’inizio della sua attività letteraria si trova avvolto in una serie di correnti di
pensiero e filosofie che concorrevano. Da un lato il pensiero positivista di Darwin e Marx, dall’altro
l’irrazionalismo con Schopenhauer e Nietzsche, le teorie psicoanaliste di Freud e, infine, la sua
stretta amicizia con James Joyce, con il quale condivideva interessi letterari.
Nell'ambito della letteratura italiana l'opera di Svevo segna proprio il trapasso dal verismo a una
nuova visione e descrizione del reale, più analitica e introversa, svincolata da certe cristallizzazioni
tradizionalmente presenti nella narrativa, quali il personaggio, le ordinate categorie temporali,
l'univocità degli eventi. Al centro delle storie l'autore pone sempre un solo personaggio, al quale
gli altri fan da coro, per lo più antagonista: un individuo abulico e infelice, incapace di affrontare la
realtà e che a essa costantemente soccombe, ma che nello stesso tempo tenta di nascondere la
propria inettitudine, sognando evasioni, cercando diversivi, giustificazioni e compromessi. Già dal
suo nome, che rappresenta l’incontro di due civiltà, capiamo di trovarci avanti ad un personaggio
complesso. Nella sua poetica è forte il concetto di triestinità: Trieste città di incontro culturale di
italiani, sloveni, élite tedesca, comunità ebraiche, costituiva un importante mercato di sbocco. La
stessa Trieste era una città con una cultura autonoma, che se di quella italiana sapeva assorbire gli
aspetti più realistici, si mostrava anche sensibile agli apporti culturali delle correnti slave e
germaniche. Senza questo influsso, non sarebbe potuto nascere il "romanzo analitico" di Svevo: il
romanzo cioè che alla rappresentazione oggettiva dei fatti (Verismo) sostituisce quella di una
complicata e profonda angoscia esistenziale, sostenuta dalla tecnica del monologo interiore, che è
una tecnica di narrazione indiretta e automatica, per cui gli avvenimenti sono presenti solo
attraverso il riflesso ch'essi hanno avuto nella coscienza del protagonista. Della vita dell'uomo gli
interessano non i rapporti sociali, ma gli impulsi più segreti e oscuri, che paralizzano, ovvero gli
aspetti dissociati e contraddittori del pensiero e dell'agire. Nei suoi romanzi appare evidente che la
solitudine e l'alienazione dei protagonisti sono manifestazioni di una "malattia mortale" che
corrode non solo i singoli individui, ma l'intera società borghese, per cui non c'è alcuna speranza
che la situazione possa migliorare. Svevo si inserisce perfettamente in questa scoperta
dell'inconscio (fatta da Freud), che è la strada anche di Proust e di Joyce, ed è questa la vera novità
del suo romanzo. Svevo s'interessò molto di psicanalisi freudiana, che era stata divulgata negli anni
successivi alla I guerra mondiale, ma il suo interesse è caratterizzato da uno spirito polemico e
sottilmente ironico nei confronti di questa nuova disciplina. La psicanalisi viene vista come una
terapia cui il protagonista dell'ultimo romanzo si sottopone scetticamente, per giungere, quasi
contro questa stessa terapia, a ricostruire da solo le motivazioni profonde del suo
comportamento.

Da “LA COSCIENZA DI ZENO”


Il protagonista de La coscienza di Zeno è Zeno Cosini, un ricco triestino che per liberarsi dal vizio
del fumo si sottopone a una cura psicanalitica che consiste nel mettere per iscritto la propria
vita. Però a Zeno manca la prima componente fondamentale per la psicoanalisi: la consapevolezza.
Così il dottor S., che lo teneva in cura, sentendo presa in giro la sua figura e il suo lavoro, lo solleva
dalle sedute e gli propone di scrivere da solo la sua analisi. E così fece, fino a che la scrittura non
diventò l’unica vera terapia. Zeno infatti, pur nutrendo una forte sfiducia nel medico, la recupererà
in sé stesso. Riuscirà da solo, tramite la scrittura ad andare in fondo a tanti problemi e tematiche
scomode, che sarebbe più facile rimuovere. Va anche a toccare implicitamente l’influenza che le
convenzioni sociali hanno sulla persona. Si può dire che, con la stesura de La coscienza di Zeno,
Svevo superi la visione di Freud.
In generale nel romanzo viene trattata la condizione conflittuale dell’uomo del 900, che viene
analizzato in tre momenti: esistenza, società e coscienza. Per ciascun momento emergono nel
personaggio delle nevrosi circa la falsità nei rapporti sociali e l’incomunicabilità. Inoltre è forte la
denuncia verso l’uomo novecentesco, che invece di rafforzare sé stesso, ha rafforzato le
circostanze. Con un pensiero totalmente pessimistico e nichilistico, si rende conto che l’uomo
contemporaneo piuttosto che concentrarsi sulla psiche, si concentra sui mezzi che si rivoltano
contro l’umanità stessa (riferimento alla bomba atomica). Viene quindi fuori un uomo schiavizzato
e vittima di un sistema orientato alle invenzioni, al capitalismo…
Al suo tempo quel progresso veniva considerato positivo, per questo Svevo non venne capito. La
sua fu una sorta di predizione circa l’avvio che il mondo stava prendendo verso l’autodistruzione.

“Prefazione”
Il romanzo si apre con la prefazione scritta dal Dottor S., che funge, insieme al Preambolo a creare
una sorta di cornice agli altri capitoli. È l’unica parte del romanzo in cui la voce narrante appartiene
al dottor S. Le informazioni che ne emergono si possono leggere come una messa in guardia su
quello che poi accadrà: Zeno Cosini, protagonista-autore dell’autobiografia, è un vecchio, malato
di nevrosi, che attraverso la scrittura si prepara alla vera e propria terapia. Le sue memorie, a detta
del dottore, sono un miscuglio di verità e di bugie. D’altra parte nemmeno il dottor S. rispetta la
sua figura professionale: appare un individuo particolarmente dispettoso, vendicativo e attaccato
al denaro, che compie la scorrettezza di pubblicare gli scritti confidenziali del suo paziente senza
consenso.
Si spezza così quel rapporto di fiducia tra lettore e narratore che era tipico del romanzo dell’800: il
dottor S e Zeno per motivi diversi sono narratori inattendibili, peraltro in conflitto tra loro e pronti
a sparlare l’uno dell’altro. Il lettore viene quindi da subito informato del fatto che non si troverà di
fronte a un repertorio di verità solide e certe, ma a un garbuglio di interpretazioni che dovrà
sbrogliare da sé, attraverso ipotesi e congetture soggettive.
L’autobiografia, il ricordare gli eventi della propria vita, cercando di riviverli da un lato in maniera
oggettiva, analizzandoli e sviscerandoli nella loro totalità; dall’altro provando a ricostruire l’evento
e le sensazioni che aveva dato al paziente, costituiscono u a specie di percorso di rinascita e di
catarsi, al fine di comprendere la propria psicologia e la propria forza interna, in modo da elevarsi
ad un grado superiore di identificazioni del proprio io.
Quindi la coscienza di Zeno, sin dalla Prefazione, si presenta come un punto di non ritorno dal
romanzo psicologico. Così avevano fatto anche Joyce con l’Ulisse e Virginia Woolf, Svevo attuerà
una rivoluzione meno appariscente. La sua sintassi è tradizionale, e la sua narrazione, per quanto
non cronologica, può essere seguita senza difficoltà. Ma già da questa Prefazione, si comprende
che alla fine della lettura, sarà impossibile ricostruire un’immagine univoca e razionale della
psicologia del protagonista.
“Preambolo”
Alla Prefazione segue il Preambolo, in cui Zeno è raffigurato nel momento in cui si accinge a
cominciare la sua autoanalisi.
Il protagonista, intenzionato a mettere in pratica le teorie freudiane, cerca di rilassarsi per lasciar
fluire liberamente il suo pensiero, in modo da lasciare che l’inconscio venga a galla, evocando
situazioni del passato, ma il tentativo si rivela fallimentare. Dopo il primo tentativo terminato nel
sonno profondo, Zeno, grazie a una matita che ha in mano, riesce a rimanere sveglio e a vedere
alcune immagini. Ora con la matita in bocca, ora sprofondato nella poltrona, ora nel dormiveglia,
con tono familiare parla con sé stesso, si interroga e si risponde. Anche il secondo tentativo è
fallito e il proposito viene rimandato al giorno successivo. Fin da questa prima presentazione si
rivela l’atteggiamento di ironico distacco con cui il protagonista racconta ciò che gli accade.
L’avvertimento del dottor S. sulla mancanza di veridicità del racconto nella Prefazione e
l’autoironia del protagonista nel Preambolo generano fin dall’inizio del romanzo nel lettore il
dubbio sull’attendibilità del narratore e del racconto.
Il problema del rapporto tra il presente in cui Zeno scrive e il passato rievocato attraverso la
scrittura è il tema ricorrente del romanzo. Quindi è già palese che l’atto del ricordare è un
processo problematico, nel corso del quale il protagonista tenta di sdoppiarsi, di osservare
dall’esterno i liberi percorsi del suo pensiero, ma non riesce a separare gli eventi lontani nel tempo
da quelli che ingombrano la mente nel momento in cui scrive: il ricordo non è quindi un’attendibile
ricostruzione di ciò che è veramente avvenuto, piuttosto una proiezione del presente sul passato.
Un altro motivo ricorrente nella Coscienza di Zeno è il tema tipico del rapporto
"salute"/"malattia". Svevo fa una distinzione tra gli uomini lottatori e gli uomini contemplativi e
attua un capovolgimento del concetto stesso. Per Svevo, i lottatori non sono in prima persona ad
agire, sono involontariamente guidati da questo flusso di forza cieca senza volontà (influenza
schopenhaueriana). Hanno invece paradossalmente più importanza i contemplatori che non si
lasciano andare al flusso. Da qui Svevo definisce i sani e i malati.
SANI---------> lottatori MALATI------> contemplatori
Però per Svevo i veri protagonisti sono i malati. Per S. infatti chi ha preso consapevolezza di sé è
quello forte. Viene ripreso anche il concetto di lotta tra classi e di sopravvivenza del più forte di
Darwin, che in questo caso è il malato.

“Lo Schiaffo”
Il capitolo quarto della coscienza di Zeno fa riferimento a quello che Zeno stesso definirà come
l’evento più importante della sua vita. Emerge il suo rapporto profondamente contraddittorio con
la figura paterna, che non aveva mai saputo affrontare in modo leale, perché sempre ovattato da
quel sentimento di amore incondizionato verso un genitore. In realtà suo padre costituiva il suo
primo antagonista, perché Svevo vedeva in lui una figura solida e ferma sulle sue posizioni,
insomma tutto ciò che lui non si sentiva di essere. Zeno crescendo si renderà conto di avere in
generale astio nei confronti di chi vuole comandare, realtà che si riverserà anche sul Dottor S. Zeno
vedrà nella sua figura l’autorità di suo padre.
“15.4.1890 ore 4 ½. Muore mio padre. U.S. Per chi non lo sapesse US non sta per United States,
ma per ultima sigaretta.” Il tema del fumo è ricorrente: quasi ironicamente scriveva sempre della
sua ultima sigaretta, proprio per la sensazione appagante di quando fai qualcosa per l’ultima volta.
Il padre di Zeno, descritto come un uomo ancorato a solide e comode certezze borghesi, non può
comprendere le tortuosità psicologiche del figlio. Ma quando il vecchio si ammala di un male che
lo condurrà rapidamente alla morte, Zeno si renderà improvvisamente conto di come la sua
presenza gli sia necessaria.
Abbiamo detto del rapporto conflittuale tra Zeno e suo padre, solo che in questo momento del
racconto c’è un capovolgimento: il padre diventa un essere debole e indifeso. Qui Zeno capisce
che, il padre è un rivale necessario, dato che senza di lui Zeno non ha più nessuno a cui indirizzare i
suoi sforzi per migliorarsi, e la sua vita sembra perdere ogni significato. Però i ruoli del forte e del
debole non sono assegnati una volta per tutte, ma scivolano continuamente da un personaggio
all’altro: il padre è indebolito dalla malattia, ma allo stesso tempo dopo la morte e durante il
momento dello schiaffo riacquista una fisionomia potente e temibile; poi ancora torna nel ricordo
del figlio.
In punto di morte il padre sembra voler lasciare al figlio un testamento spirituale, il messaggio
decisivo che non ha mai saputo comunicargli in vita, ma questo atto solenne si risolve in un dialogo
mancato, apparentemente privo di senso.
Il brano ci lascia con l’amaro in bocca, e con il dubbio circa il gesto di suo padre. È una carezza
dolce dedicata a suo figlio prima di andarsene oppure è l’ennesimo schiaffo morale con il quale
intende punire Zeno?
Questa parte del romanzo costituisce una smorzata al sottile umorismo che fa da conduttore
all’intero romanzo, perché costituisce un momento di forte tensione narrativa e di una
drammaticità inconsueta.

“La Tribù”
Il breve racconto scritto da Italo Svevo nel 1897, dal titolo La tribù, è una parabola sul socialismo,
infatti fu scritto per la rivista di Filippo Turati, “Critica sociale”.
Si tratta di un racconto-apologo, cioè una favola con finalità educative, che in forma allegorica
presenta un giudizio piuttosto critico sul presente (infelicità, capitalismo) e soprattutto sulla civiltà
europea, sui suoi meccanismi economici e sociali e sullo scollamento tra diritto e realtà,
proponendo in chiusura la propria morale. La tribù, protagonista del testo, dopo aver
abbandonato la vita nomade, diviene stanziale: si trova così a dover affrontare una serie di
problemi connessi alla propria riorganizzazione. Questioni del genere sono causate dalla mancanza
di un corpus di leggi che doveva essere ricercato. La novità più rilevante è l’istituzione della
proprietà privata, alla base di una visione puramente economica dello sviluppo, che porta alla
divisione in classi sociali, alla disuguaglianza, a lotte interne e prelude a uno stadio ulteriore,
rappresentato dall’industrializzazione. Il modello di riferimento è, naturalmente, l’Europa, patria
del diritto e della civiltà, in cui il giovane Achmed viene mandato a studiare e a conoscere nuove
dottrine e nuovi modelli di società avanzata. Al rientro, tuttavia, le sue conoscenze e i suoi progetti
di sviluppo si scontrano con il tradizionalismo del vecchio Hussein, preoccupato innanzitutto per la
“felicità” della tribù. Perché una volta stanziatisi a terra erano degli schiavi come altri nelle mani di
pochi padroni, mentre prima vivevano da eroi. All’ipotesi di uno sviluppo che deve passare
attraverso l’industrializzazione, le lotte e le lacerazioni sociali per arrivare, infine, a una società più
giusta e di uguali, una sorta di utopia socialista, si contrappone l’idea di cominciare dalla fine: la
tribù, infatti, sceglierà di non percorrere l’intero ciclo di sviluppo della società e, quindi, di sottrarsi
alla spirale del progresso economico. Il racconto si svolge in un non-tempo e un non-luogo che
proiettano la vicenda in una dimensione quasi da favola, in cui l’unico riferimento concreto, pur se
negativo, è l’Europa.
È una sorta di parabola, Svevo vuole rivelare la storia dell’umanità, da un lato investita
positivamente dal progresso, dall’altra schiacciata da contraddizioni.
I personaggi principali incarnano delle caratteristiche ben specifiche: Alì è intelligente perché
rimane imperturbabile dinanzi alle apparenti positività del 900.
Hussein funge da mediatore, essendo quello più tollerante.
Infine, Achmed eroe esploratore che parte per trovare delle novità, che fa da traghettatore da
mondo passato a mondo moderno. È europeizzato, capisce l’importanza del denaro e la lettura in
chiave economica.
Svevo quindi è vicino ad un SOCIALISMO UTOPISTICO, mente critica la SOCIETA’ BORGHESE
INDUSTRIALE. Egli infatti non crede nella lotta di classe e non ha fiducia nella vita politica. Aspira
ad una buona condotta degli uomini e una certa uguaglianza sociale.

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