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ITALO SVEVO

Aronne Ettore Schmitz nacque nel 1861 a Trieste, all’epoca ancora fiorente porto dell'Impero asburgico. Lo sviluppo
economico della città aveva attirato molte persone, ed essendo inoltre un territorio di confine, Trieste divenne una città
dove convivevano diverse lingue, culture (italiano, tedesco, sloveno) e religioni. Lo pseudonimo Italo Svevo richiama
la sua duplice identità culturale, italiana e tedesca, lasciando appositamente in ombra le radici ebraiche per evitare le
frequenti esperienze negative dovute all’antisemitismo (sebbene educato come ebreo, non fu mai praticante e si convertì
per sposare la moglie cristiana). Avviato dal padre al commercio, studiò per quattro anni in un collegio in Germania e
terminò gli studi commerciali a Trieste; dopo il fallimento dell'impresa familiare nel 1880, si impiegò in banca fino al
1899, dedicandosi anche a collaborazioni editoriali e all'insegnamento nell’istituto dove fu allievo.

Nel 1896 sposò, nonostante la contrarietà della madre di lei, la cugina Livia Veneziani e nel 1899 entrò nella ditta del
suocero (che aveva fatto fortuna inventando una vernice per impermeabilizzare le chiglie delle navi) a causa di
difficoltà economiche e debiti da saldare (dovuti al tentativo di investire in borsa). Negli anni successivi lavorò
duramente e viaggiò molto per affari, anche all’estero; la necessità di imparare l’inglese per lavoro gli diede l'occasione
di conoscere James Joyce, che risiedeva allora a Trieste.

Svevo entrò in contatto per la prima volta con la psicanalisi quando un suo parente si fece curare da Freud in persona e,
incuriosito, ne lesse gli scritti da cui trasse ispirazione per i suoi romanzi.

Ettore era grande lettore ed appassionato di letteratura e, nonostante questa passione non veniva vista come un possibile
sbocco lavorativo, egli esordì come commediografo, poi pubblicò due novelle sull' "Indipendente": Una lotta (1888) e
L'assassino di via Belpoggio (1890). A sue spese fece stampare i romanzi: Una vita (1892) e Senilità (1898), ma senza
fortuna; pertanto, si promise di non scrivere ma, non riuscendovi, decise di dedicarsi alla scrittura solo per diletto.

Dopo la Grande guerra, però, pubblicò nel 1923 La coscienza di Zeno. Grazie all'interessamento di Joyce il giornale di
critica letteraria francese “Le navire d’argent” lanciò l'opera nel 1926, garantendole un successo internazionale. In
Italia, invece, il "caso Svevo" esplose grazie a Montale, che scrisse un articolo sull’”Esame”; nonostante non fu per lui
semplice trovare un editore per i suoi romanzi, ebbe più fortuna con la commedia (Terzetto spaccato) ed i racconti
(Vino generoso, La madre e Una burla riuscita). Negli ultimi anni Svevo scrisse alcuni racconti e abbozzò un quarto
romanzo, Il vegliardo, rimasto incompiuto per la morte in un incidente stradale vicino a Treviso, il 13 settembre 1928.

I GRANDI TEMI

 La città di Trieste era pervasa da una visione degli uomini e delle cose estremamente concreta e spregiudicata,
dovuta anche ai rapporti commerciali e ai contatti con persone molto diverse. Perciò, la figura dello scrittore non
era ben accetta; da qui proviene l'anti-letterarietà dell'opera di Svevo, il suo sguardo realistico, acuto ed
incantato.
 Il conflitto fra attività economica e vocazione letteraria si riflette nella sua opera nella forma di due modelli di vita
opposti: la lotta per il successo e la ricerca della tranquillità dell'animo. Egli sente l'ambiente sociale come estraneo
e ostile e non riesce ad aderire a quel modo di pensare. Questo disagio esistenziale nasce da un bisogno di stima,
calore e attenzione che quell'ambiente non gli offre.
 Svevo fu il maestro dell'arte dell'introspezione, aveva la capacità di indagare i meccanismi di difesa, le strategie di
autoinganno e la mente dei suoi personaggi. Egli fu un precursore della psicanalisi, e in Senilità anticipò la
scoperta freudiana dell'inconscio, intuendone esistenza, funzione e linguaggio.
 Con Svevo nasce un nuovo personaggio: l'inetto, predestinato alla sconfitta perché incapace di tenere testa agli
altri, e non per un destino avverso come in Verga. Questa figura, per indole, è priva di astuzia e senso pratico, non
sa approfittare delle occasioni ed è paralizzato dalla sua coscienza.
 Nella Coscienza di Zeno Svevo matura una visione che contempla il riscatto dell'inetto; Rivaluta l'imperfetto
perché solo chi non è contento di se stesso è spinto a migliorarsi e progredire.
 Per Svevo la vita somiglia ad una malattia, senza cure e mortale. Chi pensa di essere arrivato all'ultimo stadio del
suo sviluppo si adagia nella convinzione di essere sano e lascia spazio all'accelerazione della malattia.
Paradossalmente, solo chi è convinto di essere malato può correggersi e avvicinarsi alla salute.

LA COSCIENZA DI ZENO (1923)

Il romanzo si compone di otto capitoli. Nella Prefazione il dottor S. annuncia che pubblicherà per vendetta
(atteggiamento assolutamente non professionale) i quaderni autobiografici che aveva prescritto al suo paziente Zeno
Cosini come preludio alla terapia psicanalitica, in seguito da lui abbandonata. Zeno, dopo un breve Preambolo in cui
dichiara di voler fare «un po' ordine» nel suo passato, redige cinque quaderni a tema sui capitoli più importanti della
propria esistenza (Il fumo, La morte di mio padre, La storia del mio matrimonio, La moglie e l'amante, Storia di
un'associazione commerciale). L'ordine cronologico degli eventi è spesso alterato da sovrapposizioni, ripetizioni o
anticipazioni; inoltre, sono continue le incursioni del tempo presente dello Zeno scrivente nella narrazione degli eventi
passati dello Zeno personaggio: il tempo del romanzo è dunque fluttuante. Nell'ottavo capitolo (Psico-analisi), infine,
Zeno dichiara di avere abbandonato la cura, condanna la terapia psicanalitica come fallimentare e proclama la propria
guarigione.

La psicanalisi costituisce l'innesco narrativo e il quadro scientifico di riferimento del romanzo. Nel Preambolo Zeno
riferisce di aver letto un trattato di psicanalisi prima di scrivere la propria autobiografia: nei capitoli 3-7 l'io narrate
ripercorre quindi il proprio passato in chiave psicanalitica alla luce del complesso di Edipo, in cui crede di riconoscere
la matrice della malattia di cui soffre e costruisce il racconto autobiografico come un caso clinico da manuale.
Nell'ultimo capitolo, invece, scritto dopo la cura, Zeno passa alla forma diaristica (dunque un tipo di scrittura "sincera")
e definisce esplicitamente le teorie freudiane una «ciarlataneria», priva di ogni valore conoscitivo.

Giunto alla conclusione di non essere affatto malato, Zeno vorrebbe riavere i suoi quaderni per riscriverli da capo.
Poiché questa possibilità gli è negata, spetta al lettore rileggere il racconto autobiografico rintracciando in esso i segni
della sanità di Zeno. In effetti, il bilancio della sua vita è positivo su tutti i fronti: in amore trova una moglie adorabile e
riesce a conciliare la vita matrimoniale e la relazione con l'amante; sul lavoro fa fortuna dopo lo scoppio della Grande
guerra; nonostante l'ossessione per i propri disturbi, gode di una salute di ferro. Anche lo schema edipico viene
rovesciato: è il padre la figura debole, emotivamente bloccato e incapace di svolgere il ruolo di genitore. Il trionfo finale
di Zeno sulle altre figure maschili (in particolare sul cognato Guido Speier, suo grande rivale) è sancito da Ada (la
donna amata da Zeno e infelicemente sposata a Guido), che lo definisce «il migliore uomo della nostra famiglia». La
liquidazione della psicanalisi è così compiuta.

CAPITOLO 1 – PREFAZIONE

Il primo capitolo del romanzo "La coscienza di Zeno" consiste nella prefazione scritta dal dottor S., lo psicanalista di
scuola freudiana, che ha avuto in cura Zeno, che in poche righe spiega che ha deciso di divulgare le memorie del suo
paziente per vendetta, dato che quest'ultimo ha abbandonato la cura.

CAPITOLO 2 – PREAMBOLO

Da questo capitolo in poi la narrazione è fatta da Zeno che è, dunque, sia il protagonista che il narratore.

Il secondo capitolo del romanzo rappresenta l’introduzione del protagonista in cui Zeno raccoglie l’invito del suo
psicanalista, Dott. S. di scrivere la sua autobiografia come cura, in modo da facilitare la riemersione dei ricordi remoti e,
dopo aver letto un libro sulla psicoanalisi, decide di scrivere le sue memorie in cui rievoca i passi significativi della sua
vita.

Non si tratta di un vero diario perché́ il tema della narrazione non è la vita del protagonista ma la storia della sua
malattia, e le tappe che Zeno ripercorre sono quelle della sua malattia dell’anima. Le malattie che lo affliggono sono
l’inettitudine e l’incapacità di vivere pienamente che qui diventano una patologia psicologica, una nevrosi che si
manifesta attraverso il senso di insoddisfazione costante, l’angoscia, la paura incontrollabile, il conflitto costante con
l’ambiente che lo circonda.

CAPITOLO 3 – IL FUMO

Zeno inizia il suo diario partendo dal vizio del fumo che mette in evidenza la sua nevrosi basata sul continuo rinviare
ciò che si ripromette di fare.

Zeno da giovane è stato il classico perdigiorno, appartiene ad una famiglia borghese benestante, ed è animato da buoni
propositi, quali studiare seriamente e sistemarsi, che naturalmente vengono sempre disattesi e rinviati. Questo aspetto
della nevrosi di Zeno, il rimandare, è la materia del capitolo sul fumo.

Il protagonista, fumatore incallito, fin da giovanissima età, racconta del proprio pigro dipendere dal vizio del fumo, e
dei suoi ricorrenti, quanto inutili, tentativi di liberarsene.

Ogni sigaretta (che quasi sempre accompagna un avvenimento importante, triste o lieto che sia), si ripromette Zeno,
sarà l’ultima e perciò è carica di speranza di un futuro di forza e salute. Egli riempie il suo taccuino (e in realtà ogni
superficie, anche i muri) con le scritte “ultima sigaretta” e le rispettive date. In realtà, ogni volta, dopo aver assaporato
con estremo piacere e soddisfazione, proprio per il fatto che sarà quella definitiva, l’ultima sigaretta, a quella ne
seguono altre in un rincorrersi di decisioni prese e subito dopo disattese, emblematiche della sua vita improntata sulla
mancanza di volontà e sull’incapacità di perseguire fino in fondo un proposito. Emergono in questo capitolo i temi
fondamentali del romanzo: la continua irresolutezza, la malattia della volontà, lo smascheramento degli artifici
dell’inconscio, l’inettitudine, l’autoironia.

CAPITOLO 4 – LA MORTE DEL PADRE

Il capitolo “La morte del padre” racconta del rapporto conflittuale con il padre, ricco di silenzi e fraintendimenti.

La figura paterna in quanto figura che incarna la maturità suscita odio in Zeno, anche se egli non lo confessa neppure a
se stesso, rimuovendo questo sentimento per adeguarsi alle convenzioni borghesi in base alle quali il sentimento filiale
deve essere inevitabilmente di amore e rispetto.

Zeno si sofferma con particolare attenzione sugli ultimi giorni di vita del genitore, quando in punto di morte, per un
equivoco, questi colpisce con uno schiaffo il figlio, sigillando con un ultimo malinteso il legame tra i due.

Zeno interpreta l’episodio come intenzionale volto a infliggergli un’ultima punizione. Questa interpretazione trova la
spiegazione nel senso di colpa di Zeno per l’avere desiderato la morte del padre, nonostante Zeno non voglia
ammetterlo.

CAPITOLO 8 – LA LIQUIDAZIONE DELLA PSICO-ANALISI

Al termine del romanzo Svevo cambia genere letterario, passando dalle memorie autobiografiche, che tendono a
costruire una immagine coerente dell’io (talvolta poco attendibile), a pagine di diario, più frammentarie e sincere, un
libero sfogo dei sentimenti.

Nella conclusione del racconto Zeno, sebbene fosse stato dichiarato guarito, ha sospeso la terapia durata sei mesi e
rifiuta e condanna con disprezzo la psicoanalisi che non gli ha arrecato alcun beneficio ed è anzi stata fonte di nuove
malattie dell’animo. Decide perciò di scrivere per liberarsi del male causato da quella che definisce una “sciocca
illusione”. Egli contesta la psico-analisi da un punto di vista teorico: ne critica la presunzione dell’uomo di voler
spiegare tutti i fenomeni come effetti della ricerca del piacere; ironizza anche sul complesso di Edipo diagnosticatogli,
poiché è una malattia che vanta antenati mitologici.

Dal punto di vista pratico, la psico-analisi non lo fece guarire, ma lo fece stare peggio di prima, anche perché è una
terapia che pretende di guarire senza prescrivere rimedi, ma solo individuando la causa prima della malattia.
Critica, infine, anche la tecnica della confessione (ovvero l’affioramento del trauma infantile che sta all’origine del
disturbo attraverso sogni, immagini etc.), poiché si basa sulla sincerità, che Zeno rivela essere assente tra lui e il dottore.
Egli afferma di aver inventato un sogno per dimostrare di aver compreso il complesso edipico, nel quale si spartiva le
parti inferiori della madre con il padre, prendendone il piede sinistro (sinistra=perversione, peccato). Il dottore aveva
creduto alla sua farsa ed in questo modo Zeno liquida la psicanalisi.

CAPITOLO 8 – LA TEORIA DEI COLORI COMPLEMENTARI

Una sera, osservando il tramonto, Zeno osserva il verde smeraldo e poi chiudendo gli occhi nota che sulla retina si
produce il suo colore complementare, un rosso smagliante. Quando riapre gli occhi, dopo un istante di verde smeraldo,
il rosso smagliante invade tutto il cielo. Zeno pensa di aver scoperto il modo di tingere la natura, proiettandovi il colore
formatosi nella retina.

Queste pagine offrono la chiave interpretativa del romanzo: il fenomeno ottico di tingere la natura è come un avviso
per il lettore che le memorie di Zeno sono una ricostruzione non genuina ma filtrata della sua vita.

Il rosso smagliante formatosi nella retina è il colore dell’Edipo irrisolto, ma non costituisce il vero colore della vita di
Zeno, è il suo contrario e perciò è uno stravolgimento del colore autentico. Di conseguenza, il verde smeraldo e il colore
oggettivo della salute e della serenità; infatti, nelle ultime pagine Zeno afferma di essere sempre stato sano, e se potesse
riscrivere la sua autobiografia la riscriverebbe in modo differente, non “in rosso” ma “in verde”. Inoltre, l’istante di
verde smeraldo prima che il rosso invada il cielo è paragonabile a quelle pagine che lasciano intendere che Zeno sia un
uomo sano; sono indizi non recepiti, nemmeno da Zeno stesso.

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