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Pubblicato domenica 16-6-18 su Libero

CURZIO MALAPARTE
Adesso lo ricordano. Adesso se ne ricordano. Finalmente, bisogna
dire.
Visto che son trascorsi centoventi anni dalla nascita e che l’Italia e
la Toscana hanno +fatto sempre una certa fatica a celebrarlo come
merita.
Ma adesso, a dare un’occhiata al calendario delle iniziative che
il Comune della sua Prato ha messo in porto per i prossimi giorni,
c’è da esser soddisfatti. E se lui vede e giudica, di sicuro sarà p
resente nel Mausoleo del l’amato Monte Spazzavento, a ghignare
con un fantasmatico “grazie!”.
E allora viva Kurt Suckert, tedesco di Toscana (figlio di un tintore
sassone emigrato a Prato), arci italiano, arci
-
toscano, arci
-
fascista appassionato e
pro
v
ocato
re, arci
-
antifascista problematico e paradossale, poi quasi
comunista, poi quasi cattolico,
sempre, anche sul punto di crepare
nell’Anno Domini 1957, mirabilmente sprezzante, con l’Io caricato al
massimo e con tanto di sputacchi riservati a tutti i conform
isti che mai e
poi mai capiranno come genio e sregolatezza ardentemente avvinti
appartengano a pochi e
come quei pochi abbiano
tutto il diritto e tutto il
dovere di essere sfrontati e insopportabili. Come era Malaparte,
alfiere di
uno spregiudicato neo
-
bar
occo, grott
esco, surreale, fiorito di inven
tiva
meravig
liosa e mostruosa e destinato a
mandato in bestia chi della libertà
e dell’intelligenza ha una paura dannata. E’ allora è venuto il
momento di
dire sul muso a tutti i critici stitici che ignorano dove
stiano di casa
fantasia e creatività che Malaparte, al pari del Narciso del
“Novellino”, era “molto bellissimo” e lo sapeva e ci marciava. Sin da
quando, sedicenne,
nel fiammeggiare della Grande Guerra, si arruolò nella Legione
Garibaldina destinata alle Argonne e qui fece indigestione di
sovversivismo e combattentismo rivoluzionario. Poi strepitò nelle
italiche piazze, accanto a Filippo Corridoni e al Duce, “socialista
tricolore”, perché anche l’Italia facesse esplodere i suoi umori sui
campi di battaglia .
Così, si arruolò volontario nella Brigata “Cacciatori delle Alpi”,
conquistandosi un bel po’ di medaglie ma beccandosi anche una
bella provvista di gas iprite che gli danneggiò irreparabilmente i
polmoni. Malaparte nasce qui, in campo, sul campo, maledett
amente toscano e maledettamente scorretto, al pari del suo
“pamphlet”, “Viva Caporetto!”, poi ribattezzato “La rivolta
dei santi maledetti”, con cui gridò a piena voce che bisogna
mandare al
diavolo l’Italia degli alti comandi, della retorica patriottarda,
dei pescicani,
degli “armiamoci e partite”, dei politicanti con le chiappe
perennemente
appiccicate al sacro scranno. Basta. La nuova Italia doveva ripartire
dalla rivolta popolare dei fanti miseri e pieni di pidocchi, dalla
oscura dignità del popolo che si fa carne e sangue per la patri
a vera contro la patria delle mummie, da chi sapeva che cos’erano,
“davvero”, la trincea, l’attesa, la paura, l’assalto, la morte. Da chi si
meritava “un’altra patria” . Ecco, l’”immaginario” di Malaparte
, le sue battaglie con “Strapaese” e poi con “Stracittà”, il suo
fascismo scomodamente esibizionista, così vanesio, così
irritante, e il suo antifascismo di confinato di lusso (perché
Mussolini,
detestando il rompiscatole, ammirava il combattente intellettuale
che
parlava sch
ietto)
: insomma, tutta la vita di Malaparte, per dirla in sintesi,
fu la cerca di “un’altra patria”. Un’altra Italia che un po’ ci fu, un po’
andò
a puttane, e lui, Curzio, puttaneggiò un po’ con tutti perché non
voleva
essere dimenticato, perché voleva c
h
e la sua gloria restasse
intatta,
passando dal regime di Pinco a quello di Pallino
. Puttaneggiò perché nel
suo carattere c’era la voluttà feroce di “piacere dispiacendo”.
Puttaneggiò, ma la sua penna, intrisa di policromi veleni, raccontò
la “decadenza” dell’Italia, dell’Europa, dell’Occidente come nessuno
aveva fatto prima. E’ un grande scrittore (l’ha capito Adelphi che da
anni va riproponendo tutte le sue opere, alla faccia dei menzionati
critici stitici che, ad esempio, in ogni manuale scolastico di st
oria della letteratura, massacrano Malaparte con una ferocia invida
e livida), quello che intreccia cronache, squarci lirici, incubi, docum
enti, emozioni e riflessioni e un’interminabile rassegna di spasmi
onirici, in libri come “Kaputt” e “La pelle”. E’ un grande scrittore,
“nostro”, nel senso pieno, con tutti gli attributi,
quello che, in una lettera inviata a Prezzolini nel ’46, si mostra
schifato dell’atteggiamento di Alberto Moravia e consorte Elsa
Morante.
Ai due che strillavano “E’ una fortuna che l
’Italia abbia perso la guerra”,
Malaparte replica che no, lui non è d’accordo, lui, che aveva risalito
il

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