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CAMBOGIA macchina di morte dei Khmer rossi

Affermare che pochi decenni fa è avvenuto uno dei più sconcertanti massacri di massa - ossia
un vero e proprio genocidio - sotto gli occhi indifferenti dell'occidente sembra essere
un'enormità, eppure questo è stato e finalmente con qualche colpevole e ingiustificabile ritardo
se ne comincia a parlare. Ed è ancora una volta la casa editrice Feltrinelli a pubblicare un dvd
con tanto di libro allegato ("S 21, la macchina di morte dei Khmer rossi. Cambogia, dentro lo
sterminio", euro 14,90) entrambi straordinari, tanto dal punto di vista documentario quanto da
quello cinematografico. Si tratta di un'opera realizzata dal regista cambogiano Rithy Panh che
con coraggio e determinazione esemplari è andato alla ricerca di ex-Khmer, tuttora in libertà,
dando loro la parola e accompagnandoli negli stessi luoghi dove torturarono, assassinarono,
stuprarono, seviziarono e annientarono migliaia di persone: tutto a confronto con alcuni
sopravvissuti che con una calma imprevedibile hanno messo a nudo le responsabilità di quegli
aguzzini, che tutto confermano e tutto minuziosamente descrivono. Occorre qualche decina di
minuti per entrare nello spirito del documentario soprattutto perché sembra inverosimile ciò a
cui si assiste, superati però i quali lo scenario si fa a quel punto concreto e allucinante. Resta
infatti piuttosto sconcertante assistere alle confessioni in diretta di questi carnefici che
spiegano con "naturalezza" annichilente come torturassero, ammazzassero e violentassero;
ricorre la "giustificazione" che essendo loro molto giovani ed essendo stati indottrinati in quel
modo dal partito comunista (l'"Angkar", ovvero l'Organizzazione) all'epoca di Pol Pot,
ritenevano perciò essere del tutto "naturale"quel loro comportamento. Ma a questo punto
incalzano le accuse di alcuni sopravvissuti - le vittime dei quattro anni di governo di Pol Pot
avvenuto tra il 1975 ed il 1979 furono due milioni - che replicano loro chiedendo se la capacità
umana di discernere tra bene e male non fosse stato affar loro, oppure se di fronte a tanta
crudeltà e violenza nessuno - seppur giovane - si fosse mai domandato il perché di quelle
migliaia di assassini. C'è una frase che su tutte sconcerta: era divenuto infatti evidente che a
quel punto il nemico dei Khmer rossi fosse stata l'intera Cambogia. Il delirante progetto della
rivoluzione di Pol Pot e dei suoi criminali complici, Dhuc su tutti, era quello di vuotare le città a
partire dalla capitale Phnom Penh per deportare l'intera popolazione nelle campagne al fine di
creare una comunità rurale: a tale proposito furono inviati nei campi indiscriminatamente
vecchi, bambini, donne gravide e persone che non avevano la più pallida idea di come si
lavorasse la terra quali insegnanti, medici, operai o impiegati. Ed era sufficiente avere un paio
di occhiali per essere presi a randellate dai Khmer rossi in quanto ritenuti intellettuali indi
"nemici del popolo". Durante la deportazione la gente moriva spossata cammin facendo per le
strade, mentre i cadaveri venivano lasciati ai lati delle medesime quali monito per quella
disperata teoria umana. Nel film si raccontano inoltre dettagliatamente dozzine di episodi che
di umano non hanno più nulla, compreso il fatto di come a centinaia di prigionieri legati fosse
stato completamente asportato il sangue fino alla morte: fatti senza spiegazioni razionali a cui
oggi qualcuno cerca disperatamente di dare una risposta "logica". A tal proposito scrive
Marcello Flores: "A ciò si aggiunge il colpevole silenzio, quando non parziali e grottesche
giustificazioni dell'accaduto, di una parte della sinistra e di parecchi intellettuali, che erano stati
in prima fila nella battaglia degli anni precedenti contro la condotta americana nella guerra del
Vietnam". Senza contare inoltre che la stessa America nonché l'alleata Gran Bretagna
sostennero Pol Pot con armi addirittura fino al 1991, o con sconcertanti dichiarazioni di
sostegno a suo favore definendolo per via dei loro interessi "artefice della resistenza
cambogiana". A nulla servì inoltre un coraggioso film di denuncia di questo orrore ("Urla del
silenzio") uscito nel 1984: troppi interessi legavano ancora gli USA alla Cina Comunista, tanto
che venne pure ignorato un rapporto con mille pagine di testimonianze sulle violenze di Pol Pot
e dei suoi complici assassini. Pol Pot è morto nel 1998 a Anlong Veng detenuto dai suoi stessi
Khmer in seguito a dissidi interni e ad anni di latitanza, mentre Dhuc (Kaing Khek Ieu) fu
arrestato il 9 maggio 1999; da anni si attende un processo internazionale per i crimini compiuti
dai comunisti cambogiani e l'unico accusato sarà proprio lui in quanto come scrive Francesco
Sisci su La Stampa del 1 agosto 2007 "gli altri invecchiano tranquilli nelle loro case".
Straordinario come l'Occidente non si avveda di simili tragedie e di simili massacri
scientificamente organizzati, come peraltro quello che anche al presente e proprio ora avviene
sotto gli occhi indifferenti di tutti: il genocidio dei "Laogai", ovvero i campi di concentramento
cinesi nei quali - coperti dal segreto di Stato - sono attualmente detenute cinque milioni di
persone calcolate per difetto, e nei quali si stima ne siano morte circa venti milioni. Così
scrivono Antonio Brandi e Maria Vittoria Cattania nel loro pamphlet ("I Laogai. I campi di
concentramento nella Cina del Terzo millennio"; reperibile scrivendo a:
fondazionelaogai@libero.it): "Non dimenticateli, parlatene. Oggi si parla tanto dei lager nazisti
(chiusi) ed anche dei Gu-Lag (chiusi) ma molto poco dei LAOGAI, tuttora operanti.
Probabilmente, la ragione è che gli interessi finanziari, internazionali, che sfruttano il lavoro
forzato cinese sono molto forti. Nonostante ciò, numerosi detenuti sono stati liberati, grazie
alla pressione mondiale. La speranza è l'ultima risorsa del detenuto. Per questo è
importantissimo parlare, scrivere e diffondere la conoscenza dei LAOGAI". Oggi in Cina i reati
puniti con la pena di morte sono addirittura sessantotto e dai condannati vengono estratti
fegati, reni e cornee poi venduti sul mercato internazionale anche via internet spesso senza
consenso di vittime o parenti. Pestaggi, torture, omicidi, indottrinamento forzato, esecuzioni di
massa, repressione religiosa, lavoro forzato, mutilazioni, persecuzioni, elettroshock,
psicofarmaci, stupri, fucilazioni proprio come fu in Cambogia, però "hic et nunc" qui ed ora: ci
pensino magari i nostrani pacifisti.

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