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Lucrezia donna di virtù

È passata alla storia come una «dark lady» perversa. Invece fu moglie mite e devota ai suoi tre mariti. E la sua bellezza
malinconica le valse sublimi amori platonici. Mostre e convegni cercano di restituirle l'onore perduto
Panorama 22-2-220
Giorgio Ierano

Non ha mai avvelenato nessuno. Non ha mai ucciso nessuno. Non era affatto una lussuriosa: fu anzi, fin troppo
devota ai tre mariti che il padre le impose, per ragioni politiche, e che forse non meritavano tanto rispetto.
Eppure Lucrezia Borgia, donna mite e remissiva fino al sacrificio di se stessa, sempre vittima della volontà
altrui, è passata alla storia come una «dark lady» capace di ogni misfatto, un'avvelenatrice, una perversa.
Certo, sulla figura di Lucrezia si è riverberata l'aura luciferina della famiglia: fin troppo spregiudicato il padre
Rodrigo, il nobile spagnolo fatto Papa col nome di Alessandro VI, e assai esperto di inganni e di veleni il
fratello Cesare. Tuttavia, vi è qualcosa di misterioso nella tenace persistenza della leggenda nera di Lucrezia
Borgia.
Tutti i grandi criminali della storia sono stati, a torto o a ragione, riabilitati: Nerone è diventato buono,
Cleopatra si è trasformata in donna onesta, Torquemada in un giudice clemente. Solo Lucrezia, l'innocente
Lucrezia, è rimasta, nella fantasia popolare, confinata nell'inferno dei reprobi. Seguendo le sue tracce su
Internet, ci si imbatte in pornostar che si fregiano del suo nome o in siti specializzati in perversioni sadomaso.
Forse non basterà neppure Monica Bellucci, che vestirà i panni di Lucrezia in un kolossal hollywoodiano, per
salvare la figlia di Papa Alessandro dal suo inferno. Anche perché a Hollywood, come al solito, sbagliano
tutto. Che c'entra Bellucci? Lucrezia, la mite Lucrezia, aveva occhi chiarissimi e lunghi capelli biondi.
Toccherà dunque alla città di Ferrara restituire a Lucrezia l'onore perduto nel tritacarne della storia. Il comune,
infatti, ha proclamato il 2002 «anno di Lucrezia Borgia». Convegni, concerti, mostre, spettacoli renderanno
onore a colei che dal 1502 al 1519 fu signora di Ferrara. E che, esattamente mezzo millennio fa, entrava nella
città estense, vestita di ermellino e di raso dorato, con un corteo di cavalieri spagnoli, vescovi romani e
cortigiane papaline, aperto da ottanta trombettieri e chiuso da due buffoni, per sposare il futuro duca Alfonso
d'Este. Erano gli anni in cui alla corte estense viveva Ludovico Ariosto, che nell'Orlando Furioso cantò la
«bellezza e onestà» di madonna Lucrezia. Le celebrazioni ferraresi tenteranno di far rivivere l'atmosfera di
quella corte dominata dalla bellezza malinconica di Lucrezia. Il culmine sarà tra l'estate e l'autunno con, a
luglio, uno spettacolo teatrale per la regia di Luca Ronconi (protagonista Mariangela Melato) e a ottobre una
grande mostra sull'arte fiorita intorno alla corte estense e alla dinastia dei Borgia.
Ferrara fu l'estremo approdo di Lucrezia. Ci arrivò che aveva solo 22 anni, ma con alle spalle una vita più che
fosca. A 13 anni era andata in sposa a Giovanni Sforza, signore di Pesaro: così aveva voluto il padre, Papa
Alessandro VI, in nome della ragion di stato. E sempre la ragion di stato indusse poi Alessandro Borgia a
strappare la figlia dal marito per consegnarla nelle mani del principe napoletano Alfonso di Bisceglie. Il
pretesto fu che Giovanni Sforza era impotente: non era vero, ma quando lo zio Ludovico il Moro, d'intesa col
Papa, suggerì perfidamente a Giovanni di smentire la calunnia accoppiandosi con Lucrezia davanti a una
commissione di prelati, il signore di Pesaro preferì rinunciare alla moglie.
Ad Alfonso, comunque, andò peggio. Quando i Borgia decisero di liberarsi anche di lui, usarono vie meno
tortuose: gli mandarono alcuni sicari, poi, siccome non voleva proprio morire, lo fecero strangolare nel suo
letto. Artefice di questo misfatto sarebbe stato Cesare, il duca Valentino, fratello di Lucrezia: un flagello di
Dio per molti, ma modello del principe ideale, capace di «bellissimi inganni», per Niccolò Machiavelli. Non
stupisce questa disparità di giudizi, fatale nella politica come nella storiografia, spesso il proseguimento della
politica con altri mezzi. E, comunque, è capitato anche in tempi più recenti che la calunnia, lo scandalo
sessuale e persino l'omicidio siano stati strumento di lotta politica.
Fatto sta, però, che calunnie e scandalo finirono per ricadere proprio sulla più innocente dei Borgia, Lucrezia.
Per screditare Papa Alessandro e il Valentino, la parte avversa sostenne che Lucrezia era amante di entrambi.
«Lucrezia: figlia, moglie e nuora di Alessandro» recitava uno slogan dell'epoca. Il materiale per la leggenda
nera era già pronto. Tanto che, quando Papa Borgia adocchiò Alfonso d'Este come futuro genero, questi parve
intimorito dall'alone sulfureo che circondava la fanciulla. D'altra parte, persino il Papa, non certo un moralista,
aveva qualche esitazione: Alfonso era noto per la sua fame continua di avventure sessuali, meglio se con
donne facili. Il Papa avviò perciò trattative per avere garanzie che Alfonso passasse nel letto coniugale almeno
la notte. «El dormire la notte con Madonna Lucrezia» era il requisito minimo. Di giorno, Alfonso poteva
fare quello che gli pareva. E lo fece, infatti, per tutti i 16 anni del suo matrimonio con Lucrezia, fino alla
morte per parto di quest'ultima, a 39 anni.
Eppure, per Lucrezia, gli anni ferraresi, se non felici, parvero almeno più sereni dei precedenti. A corte tutti la
guardavano come un'avventuriera, benché portasse addirittura il cilicio sotto la veste principesca e si fosse
fatta terziaria francescana. Ma lei, che conosceva il greco alla perfezione, si consolava della rozzezza del
marito con le adulazioni e le galanterie dei letterati di corte. Uno di questi, Ercole Strozzi, fu forse troppo
galante, e finì ammazzato: Alfonso, che poco si fidava dei Borgia, faceva sempre spiare Lucrezia. Meno
incauto fu invece Pietro Bembo, letterato finissimo e grande umanista. L'amore tra Pietro e Lucrezia è
testimoniato da un epistolario ardente, anche se spesso cifrato e comprensibile solo a loro due. «Io niuna cosa
penso, miro, onoro se non voi, e s'io potessi morto volarvi intorno con lo spirito non vorrei più vivere»
scriveva il Bembo, tra le cui carte fu ritrovata poi una ciocca dei capelli biondi di Lucrezia, ora conservata
all'Ambrosiana di Milano.
«Nella cupezza della corte estense, dove le facevano pesare il suo passato» ha scritto Maria Bellonci nella sua
biografia di Lucrezia «arrivava il Bembo e subito tutto si faceva chiaro, le catene perdevano il loro peso: egli
la festeggiava con tranquilla sicurezza, non vedendo su lei l'ombra ambigua dei Borgia». Fu un amore
folgorante, sebbene molto platonico. Pietro e Lucrezia, tra una lettera e l'altra, si videro pochissimo, una
manciata di giorni. Ma forse, scriveva ancora Bellonci, «solo in quei giorni Lucrezia ebbe il coraggio di essere
felice».

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