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Il Museo Irpino “apre” a chi ha combattuto

per i Borbone. Il Comitato per il


Risorgimento: «Imbarazzante, proprio nel
giorno dell’Unità»

A 162 anni dalla proclamazione del Regno d’Italia, ad Avellino va in scena "Il Soldato di Gaeta”,
componimento che racconta la storia di un milite dell’esercito duosiciliano. L’evento nelle stesse
sale dedicate a chi ha lottato per il Tricolore, segno che la vulgata revisionista “tira” e gode ancora
di ottima salute

ieri di Riccardo Di Blasi

Da ormai 162 anni, ogni 17 marzo si celebra l’Unità d’Italia. Mostre, dibattiti e convegni
vengono organizzati lungo tutto lo stivale per ricordare il giorno della proclamazione del Regno e i
protagonisti di quella stagione che va sotto il nome di Risorgimento.

Accade ovunque, non ad Avellino. Almeno non al Museo Irpino. Presso il complesso
monumentale del Carcere Borbonico si è infatti scelto di ricordare non chi si è battuto per l’Unità,
ma chi si è battuto affinché l’Italia rimanesse divisa.

Nel comunicato che presenta l’evento in programma per oggi, si legge:

In occasione dei 162 anni dall’Unità d’Italia, il Museo Irpino organizza per venerdì 17 marzo una
visita guidata alla Sezione Risorgimento, nel corso della quale sarà possibile assistere a intermezzi
teatrali tratti da “Il soldato di Gaeta” di Ferdinando Russo. Gli intermezzi saranno eseguiti da
Angeloantonio Aversana e dal gruppo Briganti in…canto.

In pratica, è come se un museo sulla Resistenza organizzasse eventi per celebrare soldati e
caduti di Salò, con sottofondo di canti e cori del Ventennio.

Il Soldato di Gaeta è un lungo componimento di Russo, in dialetto napoletano, che racconta la


storia di un milite sopravvissuto all’assedio dell’ultima città rimasta in mano a Francesco II, Re
delle Due Sicilie: da un lato i piemontesi spietati e senza scrupoli, dall’altro un re generoso e una
regina, Maria Sofia, che corre al capezzale dei feriti.

Che la storia raccontata da Russo sia aderente o meno alla realtà, poco importa (su quei fatti si
dibatte da decenni); nemmeno nulla si può rimproverare a chi la porterà in scena. Piuttosto, appare
quantomeno singolare che un Museo pubblico (di proprietà dall’ente Provincia), ospiti nelle proprie
sale le ragioni dei “nemici” del Tricolore, che peraltro sventola all’ingresso dell’edificio. E pensare
che il Museo vanta anche una ricca sezione dedicata proprio al Risorgimento: «Circa 328 reperti –
si legge sul sito ufficiale– che raccontano le tappe fondamentali dal 1799 al 1861, un percorso
espositivo che narra gli avvenimenti storici di una provincia che ha dato un contributo fondamentale
nella formazione dell’Italia unita».

In realtà non c’è molto da stupirsi, da tempo la storia del Risorgimento è stata travolta da uno
tsunami revisionista.
La vulgata si fonda su una serie di ricostruzioni arbitrarie intorno alle vicende di quegli anni,
tendenti a riabilitare la dinastia borbonica e il brigantaggio. Narrazione ormai nota, familiare anche
ai non addetti ai lavori, che racconta di un Sud pre-unitario prospero, di monarchi generosi e
illuminati, di una spietata guerra coloniale e di occupazione, di piemontesi oppressori combattuti da
briganti considerati alla stregua di partigiani ante litteram.

Contro questa vulgata, che alimenta l’atavico vittimismo dei meridionali, poco hanno potuto
gli storici di professione, impegnati senza successo a smentire fake e ricostruzioni fantasiose (ne
abbiamo accennato qui).

Il genere “tira”, riempie teatri e librerie, ed è probabilmente più affascinante e consolatorio della
storia dei padri della Patria. Accade spesso finanche di assistere a bandiere duosiciliane issate sui
monumenti italiani, oppure a convegni dal sapore neo borbonico con tanto di sindaci in fascia
tricolore.

Sulla programmazione del Museo irpino, qualche polemica ci fu già l’anno scorso, quando al
Carcere Borbonico andò in scena Ruggiti di libertà. Amore e morte a lu tiempo de li briganti: pièce
drammatica in costume ispirata alla vicenda di Antonio Manfra e Mariannina della Bella. In
quell’occasione il Comitato Irpino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano (ente
nazionale di studio e di ricerca), richiamò l’attenzione della Provincia, responsabile di aver
concesso il patrocinio.

Oggi lo stesso Comitato interviene di nuovo. Lo fa con la sua direttrice, Antonella Venezia: «A
questo punto invitiamo non solo l’ente Provincia, ma anche il presidente Buonopane ad una
riflessione e ad una maggiore cautela rispetto a scelte che creano imbarazzo a una terra che ha dato i
natali, tra gli altri, a Francesco De Sanctis, Michele Pironti e Pasquale Stanislao Mancini;
soprattutto in un anno così importante nel quale ricade il 140° anniversario della morte di Sanctis,
che noi celebreremo».

«Ci aspetteremmo - prosegue Venezia - che un ente che rappresenta il territorio sia più attento.
Ovviamente non si intende in alcun modo censurare la rappresentazione, anche se è
un’interpretazione partigiana e non storicamente credibile degli eventi del ’60 e del ’61; così come
lungi da noi voler deplorare uno dei più grandi poeti e intellettuali napoletani come Ferdinando
Russo. Ma un evento del genere, all’interno del Museo Irpino, nel giorno in cui si celebra
l’Unità d’Italia, non sappiamo se rappresenta una provocazione o un atto di comicità surreale.
Ci chiediamo se la Provincia, nel prendere atto delle attività di un Museo di sua gestione e
competenza, ne monitori anche la programmazione. E’ imbarazzante che proprio il 17 marzo si dia
voce al “Soldato di Gaeta”, dove in più punti si accusano i liberali di essere falsi e corrotti, quegli
stessi liberali presenti nella sezione Risorgimento del museo. Liberali come Michele Pironti, per 10
anni rinchiuso nel carcere di Montefusco con Poerio e Settembrini».
Riccardo Di Blasi

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