Premessa di metodo
Questo scritto non ha velleità di sostituirsi agli inventari del Museo del Risorgimento di Treviso,
inventari che dovrebbero sussistere, copiosi, presso la direzione dei civici musei intitolati a Luigi
Bailo; né ambisce a tesserne compiutamente la storia, in quanto ancora parecchie sono comunque le
zone d’ombra che offuscano una esatta conoscenza. Ha solo la giusta aspirazione di fornire elementi
documentari a ciò utili, setacciando, in ordine d’importanza, in primis i carteggi comunali,
secondariamente i cataloghi delle mostre dedicategli che in questi decenni si sono succedute, infine
la documentazione bibliografica e giornalistica.
1. Prologo
Non sussistono dubbi di sorta sul fatto che il prof. Don Luigi Bailo (1835-1932), bibliotecario
comunale, istitutore del museo trevigiano e suo primo direttore, intendesse, con gli acquisti
effettuati nel corso dei decenni e battendo però anche altre vie, fondare un Museo del Risorgimento
Nazionale nella Marca, per il quale aveva presentato nel 1910 domanda edilizia 1. Quindi un
fabbricato a ciò espressamente destinato non fu solo nelle sue aspirazioni, ma anche nelle sue
realizzazioni. È noto infatti che una delle preoccupazioni maggiori dell’illustre concittadino era
sempre stata quella di reperire degne e capienti sedi cui destinare gli oggetti che andava da decenni
acquistando sul mercato antiquario (sia cose d’arte sia memorie storiche) o di cui sollecitava la
donazione grazie alla fitta rete di relazioni personali con la dirigenza locale.
Se al progetto edilizio si arriva solo relativamente tardi, cioè non prima del 1910, ma in anticipo,
quanto all’assunto, rispetto a tante realtà municipali venete d’allora, l’idea di una sezione patriottica
è concepita dal Bailo fin dalle origini della istituzione museale 2: questa sensibilità e questo omaggio
ai protagonisti delle recenti vicende della storia nazionale, di cui vuol procurare documentazione al
pubblico godimento, traspare nella Relazione del 1882, ove ricorda infatti che il Comm. re Antonio
Pavan donò «di recente una carta topografica della provincia di Nizza con una linea rossa del nuovo
confine tracciata dalla mano del Cavour, e pel Museo la maschera in gesso dello stesso Cavour, la
seconda prova dopo la prima che servì al Vela, scultore». Altro momento di forte concentrazione
1 Comune di Treviso, Archivio storico e di deposito, Archivio generale ante 1928, Sez. XII, C.° N.° 120, 1908,
«Commissione edilizia», fasc. n. 140 del 1910.
2 Scrive egli infatti nella Guida all’Esposizione del 1898 (Bollettino del Museo Trivigiano, numero straordinario,
maggio-giugno 1898, p. 3): «... dal primo momento che iniziai il Museo trivigiano per l’arte, la storia e la coltura del
paese, ho creduto pur mio dovere che tra le trenta stanze a quello dedicate, una almeno ve ne fosse destinata a
raccogliere anche le memorie patriottiche in oggetti; e quest’una, finora piccola, ma pur piena di tante cose anche
per contribuzione di egregi cittadini, che nomino specialmente per far loro onore, il fu cav. Molena Ferdinando
colonnello dei Bersaglieri e il signor F. Bettinzoli già ufficiale dell’Italia Libera ed altri, questa stanza, io spero ora,
crescerà presto. Già da non pochi di quelli che esposero a questa Mostra ebbi la parola che, prima o poi, essi
lascieranno al Museo le cose loro. E li consiglio a farlo, e lo raccomando nell’interesse stesso delle cose e delle loro
memorie». Ma già nel Bollettino del 16 settembre 1888 è fatto cenno a quattro stanze del piano superiore dell'ex
convento degli Scalzi, così ripartite: sezione romana e preromana, medievale, «moderna e patriottica dal 1848 al
1866». Successivamente, a pag. 5 del Bollettino del 1912 (in cui presenta all’attenzione dei cittadini i nuovi locali di
ampliamento del complesso museale) ribadisce esistere una sezione speciale del museo fra il 1888 e il 1890, così
individuata al n. 13: «Oggetti del Risorgimento Nazionale».
intellettuale sul recente passato è la grande Esposizione Nazionale di Torino del 1884, in vista della
quale egli comunica alla Giunta che «al presente si sta registrando le carte e i documenti relativi al
Risorgimento d’Italia» (Relazione morale per l’anno 1883, n. 2790 del 1884). Senza addentrarci
troppo nei dettagli minimi, occorre dire peraltro che la sua abbondante produzione epistolare
fornisce ampia documentazione in tal senso.
Già infatti nella relazione morale alla Giunta per l’anno 1898 (n. 2427 del 1899), al capitolo
relativo all’Esposizione Trivigiana Patriottica 1848 (che fu tenuta nei locali della biblioteca di
Borgo Cavour fra il 28 maggio e il 13 giugno 1898 e che è ancora la più memorabile iniziativa del
genere tentata a Treviso), egli accenna all’arricchimento di opere speciali acquistate per il Museo,
«la cui sezione del Risorgimento Nazionale – avverte con soddisfazione – venne di molto
accresciuta»3. Contestualmente ricorda di aver commissionato, espressamente con destinazione alla
sezione del Risorgimento Nazionale del Museo, due dipinti (costo complessivo lire 280,70) a
giovani pittori trivigiani: 1. La proclamazione della caduta del governo austriaco e della istituzione
del governo provvisorio fatta il giorno 24 marzo 1848 sulle gradinate del Duomo dal podestà
Giuseppe Dr. Olivi (pittore Giuseppe Pavan); 2. La carica dei Dragoni Pontifici sullo stradale di
Cornuda-Onigo contro il battaglione dei Croati il giorno 9 maggio (lavoro a quattro mani dei pittori
– allora neanche ventenni – Giovanni Apollonio e Pietro Murani).
L’articolata mostra4 (ripartita in otto sezioni, che abbracciano il periodo dal tramonto della
Repubblica di Venezia sino alla inaugurazione del monumento all’Indipendenza) fornisce in poco
più di cinquecento lotti espositivi (numerati da 1 a 492, più diciassette numeri bis, ma il totale dei
pezzi, di gran lunga superiore, non è meglio quantificabile) 5 un campionario vastissimo di cose, di
cui il Bailo dichiara all’occorrenza la provenienza. S’intende che, ove si tacciono i nomi dei privati
prestatori (peraltro non numerosi)6, la provenienza è dai depositi comunali, nelle tre articolazioni di:
Biblioteca, Museo, Archivi municipali. Ciò significa che, come a mostra chiusa i pezzi privati
ritornano ai legittimi proprietari, il che Bailo stesso afferma esplicitamente (p. 4: «tutto ciò che fu
affidato, è già disposto per la fedele restituzione»), così gli oggetti pertinenti a ciascuno dei tre
istituti non possono che ritornare ad essi. Per esempio sappiamo dalla corrispondenza del 1898 che
Bailo si fa prestare dal Municipio, avendone chiesta preventivamente autorizzazione ad esporli (n.
3664 del 16/4/1898), e che restituirà il 31 dicembre dello stesso anno (n. 4999 del 26/5/1898), fra
3 A supporto di ciò, si ricorda che nell’introduzione alla Guida del 1898, citata qui sopra, Bailo fa espressamente
riferimento ad acquisti finalizzati alla sezione patriottico-risorgimentale del Museo, quando annota: «In questa
circostanza [cioè nelle pratiche espletate per organizzare la Mostra] che m’adoprai a cercare e raccogliere, se da un
lato mi accertai che ancora qualche cosa c’è […] dall’altro riconobbi per confessione degli interessati stessi che
molte cose erano state da essi distrutte, e pur dopo il 1866, per ignoranza, per incuria, per far, come si dice, nettezza
di stracci da tignuole e di oggetti da Bric-Brac!! E le carte e i documenti, quanti non ne abbiamo trovato dai
fruttivendoli e dai salumai, provenienti dalle vendite dell’immenso deposito Casellati, per la prima e seconda
invasione francese; e della stamperia Longo, per le cose del 1848!»
4 Su cui cfr., da ultimo, E. Lippi, «Il Quarantotto di Luigi Bailo», in: M. E. Gerhardinger e E. Lippi (a cura di),
Risorgimento a Treviso. Opere e testimonianze dalle collezioni civiche [Catalogo della mostra: Museo civico di
Santa Caterina, 10 dicembre 2011 – 4 marzo 2012], Treviso, 2011, p. 14-23.
5 Per es. il n. 123 consta di 6 pezzi diversi; il n. 369 è una raccolta di stampe (ritratti, incisioni, quadretti ed allegorie)
così composita da rendere impossibile la quantificazione dei pezzi, ispirata – come i numeri successivi – dal
proposito di «rappresentare al popolo la storia del nazionale risorgimento» ecc. ecc.
6 Sono prestatori per la mostra: Teresa Torriani Felissent e figlio Sigismondo; Matilde Spineda; Filomena Perazzolo;
Angelica Turazza ved. Mantovani Orsetti; madre e figlie del fu presid. Bortolan; Lina Risbeck e famiglia; Ernesto
Zoccoletti; Giuseppe Mandruzzato; Antonio Monterumici (Padova); Edoardo Baliviera; Francesco Galanti;
Giovanni Scrazzolo, carrozziere in Cornarotta; Ernesto Belloni (lettera al n. 4975 del 25/5/1898); e ancora: Carlo
Liberali; Giulio Olivi; Riccardo Olivi e fam. Prof. [Luigi] Olivi; Natale Romanin; Prof. Casella dell’Istituto Cavour,
fuori la porta omonima (lettera pari numero del 26/5/1898). Dalla Guida risulta prestatore anche l'anziano (sarebbe
morto l’anno successivo) F(austino) Bettinzoli, di cui alla nota 2, all'epoca orologiaio, cognato del noto ingegnere
Annibale Forcellini.
l’altro questi pezzi: il quadro degli stemmi di tutti i podestà di Treviso (n. 409); il ritratto con firma
autografa di Vittorio Emanuele II (n. 471); il ritratto in perle colorate di Manin (n. 264?); il quadro
fotografico dei sindaci che nel 1866 portarono a Torino l’esito del plebiscito delle province venete
liberate (n. 473); la cornice colla corona donata da Garibaldi ai veterani del ’48-49 (n. 258); la
divisa dell’araldo che nel 1838 si era recato a Milano all’incoronazione di Ferdinando I (n. 246); in
pari data restituisce i ritratti di Olivi (n. 387) e di Giacomelli (n. 398) ch’erano stati prelevati in
esecuzione della stessa richiesta dalla stanza del sindaco; a questa data rientrano pure in Pinacoteca 7
i dipinti che aveva concordato con il conservatore Mosè Tonelli: essenzialmente il ritratto della
contessa Prati Grimaldi, eseguito dall’Appiani (n. 422); la Benedizione di Pio IX dal Quirinale di
notte, di Caffi (n. 408); i ritratti su tela di Francesco I (n. 465) e Ferdinando I (n. 466); quelli di
Giovanni Pasquali (n. 467), di Michelandelo Codemo (n. 468) e di Carolina Goujon Molina (n. 469)
eseguiti da Rosa Bortolan8; alcuni ritratti in miniatura di provenienza Grimaldi (n. 453?). Ancora
sappiamo dalla lettera n. 4784 del 20/5/1898 che dall’archivio comunale vennero prelevati per
essere esposti i seguenti documenti: l’atto di capitolazione di Treviso con Welden 13 giugno 1848
(I-4023-1866: n. 205), e la costituzione del governo provvisorio luglio 1866 (I-3079-1866: n. 400):
ma che furono riconsegnati all’economo municipale sempre al 31 dicembre 1898.
Bailo ha dunque una visione molto chiara delle pertinenze e non fa mescolanze di sorta; in pari
tempo, avendo stuzzicato la generosità di soggetti esterni all’amministrazione comunale, si fa
promotore di una sezione speciale in seno al Museo, per la quale spera, con la presente iniziativa,
che molte cose prestate o promesse «resteranno ad arricchire la sezione del Rinascimento [sic!]
Nazionale».
3. Primi doni
7 Va ricordato che la civica pinacoteca, fondata fin dal 1851, aveva allora sede, statuto ed organico propri. Divenuto
bibliotecario (1878), Bailo la ebbe in consegna fino a che non fu nominato un conservatore nella persona del prof.
Mosè Tonelli (1881), il quale nel 1911 si ritirò nella sua città natale, ove morì l’anno stesso. Dopo breve parentesi in
cui fu gestita (in modo del tutto nominale) dal letterato e giornalista Angelo Ricchetti, dal 1912 a tutto il 1914,
Bailo ne ritornò conservatore da marzo 1915 fino al 1931.
8 I primi due donati per la pinacoteca da Luigia Codemo nel 1882 (lettera n. 13542 del 4 novembre); il terzo
pervenuto al comune nel 1872 con l’eredità della sig.ra Carolina Goujon ved. Molina, venne passato alla pinacoteca
nel 1881.
9 Con Attilio Molinari morirono ad Amba Alagi altri due trevigiani: Domenico Ricci e Ignazio Tiretta. Alcuni ricordi
del Ricci arriveranno al Museo del Risorgimento più avanti.
chiaramente che nel Museo trevigiano era già individuata una stanza dedicata al nostro
Risorgimento. Scrive dunque il conservatore: «La quarta cornice, col ritratto e le medaglie, fu
chiusa in vetrina sotto chiave nella stanza del Risorgimento». Si ricordi infatti che al n. 372 della
Guida 1898 viene registrato, oltre alla pietra con iscrizione araba mandata in dono al Museo pure
nel 1895 dall’esploratore della Somalia Giuseppe Candeo, che a sua volta l’aveva ricevuta dal
colonnello Arimondi allora impegnato nella guerra italo-abissina (nella quale Bailo vedeva pure
un’estensione dell’epopea ‛risorgimentale’, ben lungi da ogni valutazione sul nascente colonialismo
italiano)10, il «trofeo di armi abissine e dervische» donate in vita dall’allora foriere maggiore, poi
tenente d’artiglieria ad Agordat, Molinari.
Meritano di essere riferite le motivazioni con cui il trevigiano dott. Silvio De Faveri, con lettera da
Vicenza del 30 dicembre 1903 (assunta a protocollo il 31 col n. 13900), dona al sindaco
Mandruzzato per il Museo civico un brandello della bandiera che, ultima ammainata a Venezia nel
giorno della resa all’austriaco, il patriota di Lonigo Jacopo Silvestri gli aveva legato in morte.
Queste motivazioni sono la migliore giustificazione della nascita e dell’esistenza dei musei del
Risorgimento, che vanno tutelati nella loro specificità e ‛personalità’ la quale non può in alcun caso
essere disattesa o peggio ‛violata’ da considerazioni di natura patrimoniale. Scrive il De Faveri:
L’affetto di un amico – il commendatore Jacopo prof. Silvestri di Lonigo, che assistette allo svolgersi dell’epica
lotta di Venezia contro lo straniero nel 1849, riassunta nel sublime grido di “resistere ad ogni costo” – mi fece
venire in possesso di una sacra reliquia.
Quasi a patto di nuove congiure, di nuove lotte, prima di lasciare Venezia, molti volontari fecero a pezzi, che
distribuirono fra loro, la bandiera, che sventolava sul forte del ponte sulla laguna nel triste momento che il vessillo
tricolore, vinto ma non domo, cedeva il posto al bianco tocco della capitolazione.
Questa reliquia, redatami dal Silvestri, io dono a mezzo di V. S. Ill.ma al Museo patrio di Treviso.
I giovani rinnovino dinnanzi al sacro ricordo il giuro, che ad Esso fecero i loro avi, di amare la patria e servirla,
anche col proprio sangue, perché sia e si mantenga libera e forte, esempio di alti voleri, di incrollabili affetti di
figli per la Madre benedetta.
Con il massimo ossequio mi rassegno
della Sig.ria V.ra Ill.ma
devot.mo ed obbl.mo
Silvio Dr. De Faveri
Fin qui nulla di speciale. Ciò che torna utile al nostro fine è la comunicazione che Mandruzzato fa
al donatore ed al Bailo, confermando al primo che «il prezioso ricordo... verrà conservato nel
Civico Museo, Sezione del Risorgimento», ed invitando il secondo ad assecondarne il desiderio. In
altri termini ‛Museo del Risorgimento’ non è solo una locuzione di comodo usata dal Bailo, ma una
realtà di fatto e di diritto riconosciuta dal massimo magistrato civico.
Nel 1906 la marchesa Giuseppa Bevilacqua di Verona reca in dono al Bailo alcuni effetti del suo
defunto marito, il colonnello dei bersaglieri Ferdinando Molena, onorando così una promessa fatta
dal Molena stesso, il quale, fuoruscito d’origine trevigiana, era stato medico militare nell’esercito
piemontese nel 1848, quindi garibaldino, prima di accedere all’arma dei bersaglieri. Si tratta di
dodici oggetti, fra cui: ritratto in miniatura del colonnello stesso; anello in oro e diaspro verde con
inciso lo stemma sabaudo e il motto Redemptio Italiae, risalente al 1847; le due croci di cavaliere;
la medaglia d’argento al v.m.; quella di bronzo per aver combattuto il brigantaggio nel 1861. Nella
comunicazione al sindaco (n. 7039 del 16/5/1906), Bailo annota: «Tutti i detti oggetti raccolti nella
detta vetrina verranno esposti nel Museo, sezione del Risorgimento nazionale». La Giunta
municipale ratificherà la donazione con p.v. 18/6/1906 n. 7198. Bisogna pur ricordare che alcune
cose il Molena stesso aveva già donato al Museo, e che esse erano state esposte nella Mostra del
10 Prevale in lui con ogni evidenza l’interesse per il ricordo in sé, legato alle personalità trevigiane che si sono distinte
nell’arengo militare quale che sia, per cui sono cimeli da Museo del Risorgimento anche i ricordi del colonnello
Salsa reduce dall’intervento italiano in Cina per contrastare la cosiddetta rivolta dei Boxers.
1898 (Guida, n. 345: spada con fiocco da medico militare nel vecchio esercito piemontese; 356:
cappello con piuma verde di ufficiale dei bersaglieri, tre medaglie e tutta una posizione
documentaria del brigantaggio).
Col 1910 viene il grande ampliamento del museo di Borgo Cavour. In una lunga lettera al
Commissario prefettizio Silvestro Bandarin del 3 ottobre 1910 (n. 14715 del 6/10/1910) Bailo
ricorda le decisioni prese nell’agosto decorso: «un’idea che incontrò la generale approvazione:
dedicare il nuovo edificio a sede del Museo Trevigiano del Risorgimento Nazionale»; ed il 10 di
quel mese, nella ricorrenza centenaria della nascita di Cavour, la cerimonia di deposizione della
prima pietra. «Pensai – prosegue – che anche questa sezione del Museo Trevigiano, che è pur tanta
parte di storia trevigiana, qui avesse a restare sotto la direzione di me che l’aveva iniziata e in più
occasioni di mostre nazionali fatta conoscere, e in questi anni ancora accresciuta di molto», e si
dichiara disposto, se le finanze comunali non fossero sufficienti a coprire la spesa, «a portarne del
mio la civile responsabilità, ben lieto di avere dato alla mia Patria pel Museo del Risorgimento
Nazionale un edificio degno di essa e del soggetto». In altra corrispondenza del 30 novembre di
quell’anno (n. 17590 di pari data) espone che questa terza fabbrica «deve essere destinata a museo
del Risorgimento Nazionale» e che «per tale costruzione il Consiglio Comunale ha votato sul
bilancio 1910 lire 400011, delle quali già tremila riscossi», perorando l’iniziativa presso il
Commissario in questi termini: «non mancai mai di raccogliere nel tempo istesso oggetti, memorie,
illustrazioni ecc. ecc. del Risorgimento Nazionale. Ella – aggiunge – ne ha potuto vedere moltissimi
raccolti o dispersi in più stanze, anche estranee, e non sono tutti; tutti verranno raccolti e ordinati
nel nuovo locale appositamente costruito; e il Museo trivigiano del Risorgimento Nazionale, che
conto venga inaugurato […] pel giugno 1911, non sarà inferiore forse a nessun altro delle venete
città, e Treviso avrà il vanto d’aver costruito, allo scopo, apposito locale; e forse nessun’altra città
italiana, tranne forse Torino colla mole Antonelliana e Roma coi locali assegnati nel Monumento a
Vittorio Emanuele avrà fatto altrettanti...».
In letterina del 13 marzo 1911 (n. 3632 di pari data) Bailo scrive: «Il giorno 17 marzo [ricorrendo
il cinquantenario della proclamazione del Regno d’Italia] conto di mettere su il primo trave del tetto
del fabbricato del Museo del Risorgimento Italiano, di cui il giorno 10 agosto decorso nel
cinquantenario [sic] della nascita di Cavour ho posto la prima pietra […] saranno scoperte le
iscrizioni storiche del nostro Risorgimento; si deporrà nella parte delle fondamenta ancora aperte
una bottiglia col Breve Recordationis...».
Lo stato dei lavori è aggiornato con la comunicazione del 31 maggio 1912, nella quale afferma, al
3° punto, che è «finita o quasi da due parti la decorazione esterna del 3° fabbricato Museo del
Risorgimento» (n. 7551 del 1/6/1912), comunicazione di cui l’assessore Zoppelli prende atto, come
da nota attergata.
Ma è con lunga nota del 1° novembre 1912 (n. 15903), in risposta ad invito sindacale n. 15502 12,
che Bailo rassicura l’amministrazione sulla bontà del progetto e della esecuzione dell’edificio
destinato a Museo del Risorgimento. Scrive infatti l’anziano conservatore:
Parlando dell’edificio terzo: Museo del Risorgimento (poiché non credo che sugli altri tre sia nulla da dire) io ho
fatto fare secondo le istruzioni dell’Officio tecnico fondamenta solidissime a mattoni nel perimetro e bettonata
negli angoli pei pilastri, e al centro per la colonna; e prima di procedere oltre ho provocata l’ispezione del Sig.
Ingegner Capo, e, avuta l’approvazione, ho tirato su d’intesa i muri nello spessore, i perimetrali nuovi, di cent. 40
per tutto il primo piano, e di cent. 26 pel secondo , con rinforzi di lesine agli angoli e ai fori, e feci eseguire i due
solai e il tetto; e quando dubitai che il solaio inferiore non fosse a sufficienza portato da un solo filo armato, che si
suppose per sé bastasse; quando pel troppo spessore del pastone del terrazzo diede segno di cedere, ne aggiunsi
11 Da Bailo riscosse in quattro rate di mille lire l’una, cfr. conto consuntivo 1910.
12 Era preoccupazione del sindaco, per notizie avute forse dall’ufficio tecnico comunale, che le nuove fabbriche del
museo non fossero costruite a regola d’arte.
due laterali, ognuno di pari forza e di miglior esecuzione; e ciò fatto denunziai tutto l’avvenuto all’Officio tecnico
che fece l’ispezione a travi scoperti; e secondo le indicazioni datemi risanai il trave mediano, onde pareva che,
avendo così triplicata la forza, avessi raggiunta una stabilità più che sufficiente, e così venni autorizzato, pur
troppo solo a voce, a procedere alla copertura del pavimento terrazzo e all’orditura del soffitto della scuola 13,
soffitto che per fortuna non fu subito intonacato. Tutto pareva quindi finito, quando quasi due mesi dopo ricevetti
ordine di aggiungere due altri travi ai due solai, né me ne fu determinata la natura e la forza; e risposi subito, che,
sebbene no’l credessi necessario, volentieri il farei per maggior cautela e sicurezza. Subito infatti feci eseguire pel
solaio superiore il rafforzamento mediante un sistema di travi che mi possono giovare a formare il soffitto a
cassettoni alla ducale, rafforzamento sufficiente, calcolato il minor peso del pavimento a tavolato. Sopracedetti
[sic] invece pel solaio inferiore, causa le scuole e in attesa anche che, seccandosi il pastone, calasse il peso; e in
attesa pure di veder se si manifestassero in esso screpolature; e invece è tutta la massa intatta. Ma nell’agosto, al
cessar delle scuole, fatte per lettera all’Officio Tecnico alcune considerazioni, richiesi volesse rifar l’ispezione;
dopo la quale, ricevuta lettera ben ragionata, che se non era proprio necessario, pure considerato lo scarso
coefficiente dei travetti e data la qualità inferiore del moderno legname, era prudenziale aggiungere i due travi, ai
tre già in opera, risposi che così si farebbe senz’altro. Colla stessa lettera chiesi istruzioni sulla forma in legno; e
poiché mi fu tardata la risposta, vedendo anche la difficoltà di far uso del legno, e tenendo conto di quello che il
Sig. Ingegner capo m’aveva detto incidentalmente dell’uso possibile di travi di ferro, mi decisi pel ferro, e ne
trattai l’acquisto al negozio Tramontini14, chiedendo pur con nuova lettera di che spessore dovessero essere; e
quando mi fu il giorno 29 indicato di cent. 20; il giorno 30 erano già sul terreno, e ne diedi avviso all’Officio
Tecnico, aggiungendo che se si dubitasse della capacità de’ miei operai, mi si indicasse pure chi meglio potesse
metterle in opera. Faccio tuttavia notare che per tutto quello che è ferro e statica mi valgo dei consigli e dell’opera
del capomistro Sig. Eugenio Loschi15.
Tutta questa corrispondenza, che prova come io mi sia tenuto sempre in relazione, per le insorgenze o pericolose
o difficili, coll’Officio Tecnico, è passata direttamente con esso, per evitare le noie alla Segreteria generale, e i
maggiori ritardi all’opera. E che io mi dovessi tener sempre in comunicazione coll’Officio Tecnico per la parte
statica m’era stato commesso colla commissione stessa colla quale mi fu demandata la parte artistica, ad esso
riservata la statica. Che se per deferenza mi si lasciarono far i lavori andanti; per i difficili e pericolosi sono
sempre ricorso ad esso, e ho desiderate e provocate le ispezioni che d’altronde sono nel suo diritto e dovere. Ora
dal tenore della Sua nota parrebbe quasi, e lo noto con dispiacere, che io avessi celato difficoltà insorte, o fossi
avverso a una ispezione d’officio che possa assicurar meglio l’opera a cui sono interessato moralmente ed
economicamente.
Credo S.S. Ill.ma conosca la mia prudenza. È mai possibile che celando difetti o difficoltà, dopo i disastri toccati
al Municipio nelle Scuole Gabelli, in quelle di S. Antonino, o altrove, nella Barriera Calvi, io arrischi, per
imprudenze, il mio interesse, perché già sono interessato nell’opera con molte migliaia di lire, o il mio onore,
compromettendo colla mia responsabilità, quella del Municipio che mi deferì tanta fiducia? È vero che io sono
incompetente in statica e ho un capomastro, che non è altro che un mastro muratore; tanto più dunque conscio
della mia responsabilità usai cautele e chiesi consigli, né solo all’Officio Tecnico, ma a quanti amici periti in arte
visitarono queste fabbriche, a tutti, quasi, aperte. Ho la coscienza d’altronde di aver fatto fondamenta solidissime,
di aver impiegato i materiali migliori della piazza, malte quali certo nessuna impresa, di aver fatto fare o riformare
quanto mi fosse risultato o indicato difettoso. Nessuna incrinatura è comparsa nei muri; i due pavimenti percossi
di tutta forza di persona robusta e pesante non rimandano ripercossa. Ho la soddisfazione sopratutto che per le
cautele usate appunto dal mio capo mastro a cui ho fatte le più vive raccomandazioni per la incolumità degli
operai, in cinque anni di lavoro, non è avvenuto il minimo infortunio, e pagate oltre 200 lire in assicurazioni, non
ne riscossi che sette, perché un manuale, a terra, facendo la malta si contuse un dito; mentre tre anni sono, proprio
oggi 1° novembre, col tracollo d’una cornice nelle scuole qui in faccia 16, restarono, morto un uomo e due feriti.
Per tutto questo io sono sicuro che l’ispezione ordinata da S.S. Ill. ma riescirà a mia piena soddisfazione; e lo sono
sicuro, perché quella che ho fatto fare da persona tecnica di mia fiducia e interessata al mio onore, fatta quindici
giorni prima, ma rifatta il giorno 29, quando ricevetti, e le comunicai per suo lume, la nota del Municipio, mi
affidò che tutto è a più che sufficienza per la solidità statica; con che non si toglie che il Municipio sia sempre
padrone di aggiungere ad esuberanza di cautela tutti i maggiori rinforzi che vorrà e sarà molto meglio. Eccole il
tutto a sua tranquillità e mia giustificazione.
Il 6 novembre 1912 Bailo annuncia all’amministrazione che le quattro fabbriche del Museo
costruite su via Caccianiga sono visitabili quanto all’esterno e che l’11 novembre, dopo la rivista
Questo grandioso edificio [i.e. il grande fabbricato del Museo del Risorgimento] condussi innanzi col favor
pubblico e coll’assenso della Amministrazione Comunale di allora, la quale mi mise sull’avviso che essa, durando
e potendo, mi avrebbe secondato e ajutato, che però non poteva assumere responsabilità nella crisi in cui era. Io
continuai tuttavia nella fabbrica e nelle spese, assumendone la responsabilità morale e civile, e nella speranza che
ogni altra amministrazione mi avrebbe assecondato in questo nobile pensiero che Treviso prima forse di ogni altra
città italiana costruisse di fondo un apposito edificio per il Museo del Risorgimento Nazionale. […] Quando
l’anno scorso ebbi conferenza al Municipio colla nuova Amministrazione e riassunsi a voce le idee tante volte da
me comunicate d’officio per iscritto e che qui sono accennate esposi anche il pensiero di questo quarto edificio
[i.e. quello d’angolo a nord-est], in genere lodato e promesso di assecondamento, quanto lo permettessero i mezzi
del Comune. Io dunque ora lo presento effettuato da me con spesa che non eccederà certo i mezzi del Comune,
perché per il concorso dei fondi annui della Deputazione Provinciale e per i risparmi da me fatti nei fondi ordinari
della Biblioteca e del Museo, alla resa dei conti, non risulterà una grande somma; certo di molto minore che se il
Comune avesse condotto l’opera per impresa o per economia.
Io devo qui dunque ringraziare tutte le amministrazioni comunali e la passata e l’attuale, che mi diedero piena
loro fiducia e mi lasciarono libertà di condurre il lavoro a mio modo; la Deputazione Provinciale che mi assentì di
spendere nella fabbrica i fondi che propriamente erano assegnati ad acquisti ecc. ecc.
Ancora nel luglio 1913 da uno scambio epistolare fra Bailo, la civica amministrazione e
l’ingegnere capo Remo Milani apprendiamo come entro la prima decade di quel mese si sarebbe
fatto «il soffitto alla grande aula del Museo del Risorgimento» (lettera n. 8707 del 6 luglio) per
nasconderne le travi e, nonostante che il Milani, chiamato in causa, si dissoci, non essendo – a suo
dire – «assolutamente possibile garantire che le attuali condizioni statiche possano in un vicino
domani subire qualche pericolosa modificazione», la storia ci fa capire come almeno in questo caso
avesse torto.
È perciò una tegola contro la buona fede e le speranze del Bailo il fatto che nel luglio 1914, alla
sua richiesta (27 giugno, n. 8021) di finanziare i fondi necessari all’andamento degli istituti di
cultura superiore, la nuova amministrazione, sul parere negativo della Ragioneria municipale,
richiami il conservatore all’urgenza di render conto dell’arretrato non ancora sanato. Anzi un
passaggio della relazione del Ragionier capo recita: «bisogna ricordare che al prof. Bailo, per
ragioni di bilancio, furono negati fondi per proseguire nei lavori del Museo del Risorgimento ed
altre costruzioni... Egli ha dato corso medesimamente ai lavori. Come, non si sa! Certamente con
mezzi propri e forse col credito. [...] Si potrebbe dire che il Comune è ben fortunato di vedere
espletarsi certi servizi senza nulla spendere» (al n. 8704 del 1914). Il che non significa che
l’amministrazione comunale disconoscesse l’esistenza di un Museo del Risorgimento, tutt’altro! Se
anche il ragionier Francescato ha ben presente la questione, ciò significa che l’amministrazione (la
nuova come la precedente) era pur al corrente di questa iniziativa edilizia, sulla quale veniva –
come abbondantemente visto dalla corrispondenza intercorsa – costantemente aggiornata, anzi ne
aveva ‛metabolizzato’ non solo la progettazione ma anche la realizzazione, né mai aveva
contraddetto sul punto le idee del Bailo, cui chiedeva in buona sostanza di regolarizzare i conti: col
senno di poi possiamo dire che non poteva essere altrimenti, tanto più che essa amministrazione si
sarebbe trovata (il testamento del 1909-1918 infatti avrebbe sanato ogni questione di diritto) titolare
di un’istituzione di enorme entità e complessità senza quasi sborsare una lira! Certo, potendo
contare solo sulle sue risorse economiche, Bailo è costretto a rallentare tutte le opere di rifinitura e
di allestimento delle esposizioni nei nuovi locali.
Ancora nella Relazione dell’8 ottobre 1915 (prot. n. 13406: siamo nel primo anno di guerra) Bailo
avverte: «I lavori del museo, quanto all’esterno dei fabbricati si possono dire già quasi finiti, e il
museo del Risorgimento si sarebbe potuto inaugurare ancora nell’anno in corso, se non fosse
sopravvenuta la guerra, per cui fui consigliato di soprassedere. Invece i lavori di complemento
interno, già quasi finiti, si sono pel momento sospesi, e continuano solo con qualche dì
settimanale...».
Bisogna ricordare che, con la riduzione di Treviso a zona di guerra, i locali del museo-biblioteca
furono requisiti dal militare all’indomani del 24 maggio 1915. La protratta sospensione per gli
eventi, con l’esodo della città dopo Caporetto, lo sgombero delle stanze da ogni opera d’arte, le
manomissioni e i tentativi di furto che pur furono perpetrati dai militi nei locali vuoti o semivuoti 17
finiscono per relegare nel dimenticatoio ogni ambizione di completamento dei lavori intrapresi e già
pronti per l’inaugurazione alla vigilia dell’entrata in guerra. Nell’immediato dopoguerra non si fa
questione se non di riparazione dei danni, di rappezzamenti, mentre incombono altri gravi problemi:
la cessione del palazzetto in Piazza dei Signori, ove era allogata la Pinacoteca, alla Cassa di
Risparmio della M.T.; la coabitazione con l’Asilo Garibaldi e con il Liceo Canova; la necessità di
aule per la Scuola serale e domenicale di arti e mestieri dopo lo sloggio del Liceo; la concentrazione
degli archivi demaniale e comunale antico: sono, questi, continui grattacapi per il Bailo, che, molto
anziano, ha difficoltà – nonostante la tenacia – di far passare le sue idee e le sue proposte al cospetto
di un’amministrazione assai miope per non dire taccagna quale fu la giunta Bricito. E tuttavia,
anche in sordina e nonostante i veti incrociati di Ragioneria ed Ufficio tecnico municipale, nella
sala dedicata al Risorgimento Nazionale prendono ad affluire gli oggetti.
E intanto l’uomo continua ad accumulare ricordi e cimeli destinati ad accrescere il patrimonio del
Museo del Risorgimento (che ormai da tutti è riconosciuto come tale).
Sembra che Bailo avesse una grande frequentazione dei depositi e magazzini comunali all’ex
Raffineria degli zuccheri, come si evince dalla sua corrispondenza ufficiosa. Molti elementi
decorativi per le sue fabbriche egli trasse da essi, né in questi giri di ricognizione gli sfuggì
l’esistenza di un’aquila bicipite austriaca in legno dorato, «rotta e mancante», che si fece affidare
per la sezione del Museo del Risorgimento, come risulta da una letterina all’ingegnere Milani del 15
settembre 1909. Era ben poca cosa, ma funzionale alla sua politica museale.
Con lettera del 13 gennaio 1911 (n. 763, ricevuta e protocollata il 17) Bailo sollecita
l’amministrazione a cedergli la statua di Cavour, con queste motivazioni: «Riconosciuto che nella
sezione del Risorgimento italiano, benché ricca abbastanza per quello che vi ho raccolto più per
acquisti che per doni o altro, pur resterebbe inferiore a quella per esempio di Vicenza, […] il modo
migliore di darle imponenza sarebbe di collocare in una delle grandi sue stanze la statua di Cavour,
che donata con tanta solennità dal Pavan nel 1866 al Municipio, ora giace in luogo quasi indegno,
all’entrata delle scale». La Giunta municipale, assecondando il progetto del conservatore di formare
«un ciclo compiuto di exedra locale e di pensiero nazionale, quale in nessun altro museo», in seduta
20 gennaio 1911 delibera di aderire alla proposta, che contempla l’esecuzione di quattro ulteriori
statue, da dedicarsi rispettivamente a Vittorio Emanuele II, G. Garibaldi, G. Mazzini, D. Manin.
Un paio di settimane dopo infatti (precisamente il 25 gennaio) egli comunica il suo
compiacimento per aver quel giorno stesso «dato commissione della statua in gesso 18 di G.
Garibaldi pel Museo del Risorgimento al giovane scultore Arturo Martini, al quale – precisa – ho
fatto raccomandazione di fare cosa bella e degna. Egli ne ha assunto l’impegno con vero entusiasmo
e con animo grato, anche del sussidio già avuto dall’On. Giunta […] e col sentimento di lasciare
alla Città, prima di partire per Parigi, una cosa che gli faccia onore, entro un mese e mezzo circa,
ritardando così la sua partenza. Il prezzo convenuto è di lire 250». La statua di Cavour cessava di
essere un unicum, ed usciva idealmente dall’isolamento, cui Bailo volle sottrarla, ragionevolmente
17 In relazione ad effrazioni e possibili furti perpetrati nel 1918 e ancora nel 1919 da militari, oltre a quanto denunciato
dal Bailo, occorre segnalare una comunicazione del poeta Giulio Gottardi (1865-1958) al commissario prefettizio
del 25 maggio 1918 (n. 4854), quando scopre un caporale di fanteria infiltratosi nei locali del Museo, mentre un
altro milite sorpreso si dà alla fuga, la porta del Museo napoleonico divelta, scassinato il tiretto del tavolo ivi
ubicato. «Non so quali i furti» conclude Gottardi.
18 Veramente Bailo nella corrispondenza del 1911 non parla di monumento a Garibaldi: non v’è quindi ragione di
scrivere (N. Stringa, Il giovane Arturo Martini, Roma, 1989, p. 150) che questo gesso sarebbe «il primo dei
monumenti mancati di Martini per la sua città essendo il secondo quello del generale Tommaso Salsa ed il terzo
quello ai caduti poi affidato a Stagliano». Sulla scia di Stringa anche Gerhardinger e Lippi (cit. a nota 4), p. 67.
convinto che «collocare questa sola statua non sarebbe esprimere l’intero concetto della storia del
nostro Risorgimento».
Pure nel 1911, con la premessa che «grande è il materiale da me raccolto pel Museo del
Risorgimento anche in fogli volanti stampati», chiede il 12 settembre l’autorizzazione a trasferire
pure al Museo del Risorgimento i doppioni della serie di manifesti del 1848, anche estrapolandone
dalle miscellanee della Raccolta Capitanio (ove andranno copie a mano sostitutive). La Giunta
municipale approva il 13 settembre.
Nel febbraio 1912 Bailo fa conoscere attraverso gli organi di stampa (Gazzetta Trevisana del 13 e
Provincia di Treviso del 14) il dono effettuato da Maria Zanetti: si tratta di un ricamo a fili di lana
colorata su tela che intende riprodurre la cella carceraria di Olmütz ove era stato recluso il fratello
Giovanni Battista.
Il 31 maggio poi (lett. n. 7553 del 1/6/1912) comunica di aver ricevuto «in consegna pel Museo
del Risorgimento Italiano a perpetua memoria del compianto maggior generale Michieli» alcuni
oggetti personali, che Bailo si affretta ad inscrivere nell’inventario del Museo, lett. E 5, pagine 26 e
27, e provvisoriamente a conservare «in una cassella d’un comò della sala delle stoffe, in attesa
della conveniente collocazione nel riordinamento prossimo del Museo nel nuovo fabbricato». Da
parte sua il sindaco Patrese ringrazia del dono il Prof. Adriano Michieli, nipote del defunto,
assicurandolo «che gli oggetti stessi saranno accuratamente conservati nel Museo del Risorgimento
a ricordo dell’uomo che come soldato e cittadino bene meritò del suo Paese»19.
Il 29 agosto 1913, avendo ricevuto dal Municipio un busto in bronzo di Cavour per il Museo del
Risorgimento, comunica il suo proposito di collocarlo nel giardino antistante, nonostante le
perplessità estetiche del sindaco stesso, che lo giudica non armonizzare con la tipologia dei
fabbricati che fanno da sfondo.
Ma è col 1914 che il patrimonio di ricordi risorgimentali si fa d’improvviso molteplice, quando
Bailo si reca a Milano per acquistare per il Museo di Treviso oggetti della Raccolta Napoleonica
Felissent20 posti all’asta dalla casa di vendite Lino Pesaro il 28, 29, 30 aprile. Nella lunga lettera
dell’8 maggio Bailo espone all’amministrazione la ratio dei suoi acquisti, ricordando infine come
«per questa spesa ritorni a Treviso (io credo) quasi un quarto della collezione vera De Félissent;
[…] e questo ritorno credo faccia onore alla città di Treviso e arricchisca di molto il Museo del
Risorgimento» (n. 5827 del 11/5/1914).
Si fa seguire l’elenco degli oggetti acquistati in quell’occasione (sul lato sinistro di ciascuna
colonna il numero di catalogo, sul lato destro il prezzo).
Medailles historiques
319 Couronnement de Napoléon à Milan 10 = 446 Mariage de Napoléon avec M. Louise – Br. 32 mm 4 =
322 Même pièce – Br. 9 = 470 Baptême du Roi de Rome – Br. 10 =
324 Id. id. – Br. 9 = 476 Bataille de la Moscova – Br. 55 millim. 7 =
338 Bataille d’Austerlitz – Br. 41 millim. 7 = 478 L’armée française arrive à Moscou – Br. 3 =
361 Conquête de Naples – Br. 10 = 515 Jérome Napoléon Roi de Westphalie – Br. 42 mm. 4 =
369 Bataille de Jena – Br. 9 = 516 Mort du Général Bertier – Br. 41 millim. 5 =
409 Carolina Bonaparte – Br. 23 millim. 3 = 522 Mort di Général Massena – Br. 40 millim. 6 =
411 Ortensia Bonaparte – Br. 23 millim. 3 = 526 Mort de Napoléon – Br. 52 millim. 6 =
415 Elisa Bonaparte – br. 23 millim. 3 = 531 Mort du Prince Eugène – Br. 50 millim. 4 =
19 Fortunato Michieli (Treviso 1846 – Padova 1912), maggiore generale. Era stato nel 1866 volontario nel 5°
reggimento ‛Lancieri Novara’ e fece carriera militare; ritiratosi a vita privata, fu presidente del Consiglio
d’amministrazione dell’Istituto Turazza (1908-1911), sindaco di Treviso dal 25/4/1907 al 30/4/1908. Legò i suoi
cimeli al museo del Risorgimento. Un suo ingrandimento fotografico in divisa di comandante del 18° reggimento
Cavalleggeri ‘Piacenza’ fu donato dal nipote Adriano Augusto Michieli nel 1912 pel Museo del Risorgimento. – Del
dono fam. Michieli Bailo dà immediata notizia attraverso gli organi di stampa (Gazzetta Trevisana del 1° giugno, e
La provincia di Treviso del 2).
20 Di questa raccolta, nota anche come Museo Napoleonico, che viene passata sotto silenzio nella Guida di Santalena
(1894), si fa parola nel Risveglio Trevisano del 20 novembre 1906, per la visita che allora vi fecero Vittorio
Emanuele III e S.A.I. la principessa Letizia Bonaparte.
663 Republique Cisalpine – Lot de 23 lettres 28 = 664 Republique Italienne – Lot de 6 lettres 4 =
665 Republique Italienne – Lot de 4 lettres 6 = 669 Royaume d’Italie – Lot de 14 lettres 54 =
666 Id. – Lot de 30 id. 16 = 671 Rome – Lot de 9 lettres 4 =
En têtes, placards
693 En-têtes – Lot de 85 placards 21 =
La famille de Napoléon
792 Marie Louise – impératrice – Foglio 4 = 801 Je prie Dieu – petit in foglio 3 =
795 Marie Louise, archid. d’Autriche – Foglio 4 = 802 Napoléon Français Charles Joseph – in 8° 4 =
796 Sa Majesté Marie Louise – Foglio 5 = 803 Le même – in 8° 3 =
799 Sua Maestà Maria Luigia – Foglio 4 = 815 Portrait du Prince Eugène Napoléon – Foglio 6 =
800 Ritratto del re di Roma – In 8° 4 = 818 S.A.I. la Princesse Matilde – lithographie 30 =
Estampes historiques
828 Difesa e liberazione dell’assedio francese di 844 Bataille de Friedland – Foglio 11 =
Mantova
829 Veduta della città e Piazza di Mantova 845 Napoléon visitant le champ de bataille d’Eylau 11 =
830 Prospetto della città di Mantova 31 = 849 Bataille de Leipsick – Foglio 6 =
831 Prospetto della città di Mantova – foglio 30 = 854 Napoléon à Waterloo 20 =
832 Passage du Pont d’Arcole – foglio 11 = 855 Veldslag van Waterloo – Bataille de Waterloo 31 =
Veldslag van Quatre-bras – Bataille etc. – Foglio
837 L’apertura della guerra in Italia il giorno 26-3- 6 = 857 Adieux de Napoléon à son fils 30 =
1799… sotto le mura di Verona
837 Id Id. Id. 7 = 858 Napoléon à Sainte-Hélène dictans ses mémoires 21 =
bis au Général Gourgaud – Lithographie
841 Bataille d’Austerlitz – Foglio 38 = 865 Suite de 16 estampes représentants des 15 =
événements militaires de l’époque Napoléonienne
842 Mort du Prince Louis de Prusse, près de 14 = 870 Revues de l’Armée italienne 21 =
Saalfeld (10-10-1806) – Foglio
843 La Bataille de Jena – Foglio 11 =
Caricatures
882 Collection intéressante de 38 caricatures, texte 9 =
français
Questo per conto del Municipio. Da parte sua Bailo concorda con le sorelle Rita e Sofia Felissent
eredi del conte Gian Giacomo l’acquisto per il Museo, al prezzo di 300 lire, di tutta quella parte
della Raccolta Napoleonica che non era andata all’asta. Si tratta di una quantità considerevole di
pezzi, che Bailo si affretta a prenotare unitamente alle relative vetrine e cavalletti, temendone la
dispersione. Nel riferirne alla Civica Amministrazione (lettera n. 8969 del 20 luglio 1914), egli
parla di «roba» (cioè «oggetti» e «stampe») che, esposta com’era su cavalletti, «riempiva tutta una
grande sala, e in vetrine due stanze». Saranno trasferiti in Museo nel maggio 1915, nell’imminenza
dell’occupazione militare di Villa Corner. Da lettera del 23 maggio 1915 (n. 6974) sappiamo che
Bailo liquiderà soltanto Rita, mentre l’altra metà dell’importo, spettante a Sofia, sarà devoluta, per
accordi con quest’ultima, all’esecuzione di un ritratto del defunto conte da sistemarsi a
complemento della Raccolta Napoleonica da quello fondata: per il pastello, che verrà esposto nel
mese di marzo 1916 in un negozio del Calmaggiore, Giovanni Apollonio riscuoterà 150 lire (lettera
n. 3400 del 19/3/1916). È dunque palese da questa corrispondenza che il ritratto di Felissent ha una
destinazione diversa da quelli dei podestà Olivi e Giacomelli e poi dei sindaci Bianchini e
Mandruzzato: come pertinenza della Raccolta Napoleonica va quindi ad integrare il patrimonio del
Museo del Risorgimento, al pari del ritratto fotografico del generale Michieli (ved. qui sopra, nota
16).
Non si può in linea di massima invece parlare di incrementi della sezione risorgimentale durante i
mesi più cruciali della Grande Guerra, cioè in particolare dopo l’esodo della città dell’inverno
1917/18, quando il problema è inverso: cercar di salvare il salvabile 21. Se infatti le cose d’arte non
21 Ma Bailo non omette di raccomandare al commissario prefettizio (nota del 30 dicembre 1917, n. 1176) di
raccogliere e mettere da parte per il Museo del Risorgimento e per la storia locale e generale di questi mesi dolorosi
fine ottobre, novembre e dicembre 1917, tutti gli avvisi, manifesti ordinanze, sentenze pubblicate in Treviso o quivi
affissi. – Già comunque precedentemente, e cioè all’atto di consegna dei locali al militare per il Concentramento
postale (23 maggio 1916) viene redatto in tutta fretta un verbale-memoria di consistenza, da cui risultano le seguenti
comunali trovano l’attenzione dell’illustre letterato capitano Ugo Ojetti, futuro accademico d’Italia;
se i dipinti della pinacoteca sono affidati al soprintendente Fogolari; e se ai preziosi reperti
bibliografici e documentari della biblioteca comunale provvede il funzionario veneziano Roberto
Cessi22, poi storico e accademico linceo; non c’è certezza di destinazione nella corrispondenza per
quanto riguarda le cose del Museo del Risorgimento. Trattandosi peraltro di cose tutte trasportabili,
è ragionevole credere che esse siano passate a Bologna (e di qui a Castel S. Angelo) o a Pisa 23. E
tuttavia in una lettera del commissario prefettizio Agostino Battistel alla nobile Santina Giacomelli,
datata 20 maggio 1918 (n. 4675), costei viene ringraziata per aver donato al Museo civico «lo
spadino che cingeva nelle occasioni solenni il nonno suo cav. Luigi nob. Giacomelli ultimo podestà
di Treviso» in epoca austriaca. Iniziative interessanti, a nome della sezione risorgimentale del
Museo, Bailo promuove perché resti traccia degli eventi bellici, di portata epocale, di cui il Museo
dovrebbe rogare documenti nella forma notarile del “breve di memoria”, «mentre sono ancora
freschi i ricordi delle persone che vi presero parte», come scrive nel Gazzettino del 3 ottobre 191824,
mentre da una nota in posizione d’archivio (n. 4197, del 8/5/1918) apprendiamo che ha «commesso
al pittore trivigiano Apollonio […] di farmi uno schizzo o bozzetto della carica eroica Reggimento
Novara».
Un fatto importante per la storia delle raccolte museali è la comunicazione che Bailo fa con lettera
del 19 giugno 1918 a Battistel, su richiesta di quest’ultimo. Siamo nel pieno della battaglia del
solstizio, cioè di massima incertezza per i destini del nostro Paese. In sostanza Bailo conferma nella
lettera al commissario prefettizio il contenuto delle sue volontà, quali aveva già stese nero su bianco
quasi nove anni prima, il 24 dicembre 1909, alle pagine 13, 14 e 15 del Quaderno F 6 dei registri
inventari del Museo, e cioè la promessa di una donazione universale mortis causa posta al riparo da
ogni e qualsiasi ricorso, sia da parte sua che dei suoi eredi. È ovvio che in questa donazione sono
inclusi anche gli oggetti di indole patriottica od acquisiti con tale finalità, ancorché le partite con il
municipio non fossero regolarizzate, per il solo fatto di essere od esposti nelle sale del Museo o solo
depositati nelle sue pertinenze, essendo il deposito una prerogativa di cessione incondizionata.
Forse furono queste clausole che spinsero l’amministrazione Bricito, di ritorno dal profugato, ad
affrettare una inventariazione dei beni, la quale per forza di cose si protrasse per parecchi mesi nel
191925.
dislocazioni della raccolta napoleonica: «II. nell’atrio della biblioteca: assito divisorio sul quale stanno appesi quadri
napoleonici grandi e piccoli, i più grandi contati in n. 23 colle cornici e lastre […]; III. Al di fuori della biblioteca
stanza attigua all’ingresso del Museo con porta nell’ingresso Asilo: in questa stanza erano depositati tutti i quadri e
gli oggetti in casse e fuori di casse della Raccolta Napoleonica de Felissent, portati da S. Artemio, e dei quali è
impossibile fare l’inventario e quindi bisognò lasciarli, anche nella fretta e nell’assoluta mancanza di locali in cui
ritirarli, in buona fede; i detti quadri erano in casse e parte lo sono ancora, la maggior parte furono infissi alle pareti
e contati più volte nella difficoltà di contarli hanno dato i sott’esposti numeri 172, 174, 180 e così quelli lasciati
nelle casse non si contarono; piccolo essendo di ciascuno il valore singolo; e così gli oggetti di essa raccolta giacenti
in tre casse da viaggio, lasciate aperte per mancanza di chiavi, e così rilasciato il tutto in buona fede, non potendo
fare altrimenti. Sono tutte cose del Museo». L’emergenza bellica, se da un lato mette in primo piano la grande
congerie di cose ammassate nel compendio architettonico-funzionale museo-biblioteca, dall’altro giustifica il
mancato ordinamento, tecnicamente impossibile ad eseguirsi in poche settimane.
22 Sono agli atti un verbale di asporto del 5 nov. 1917 firmato da R. Cessi e G. Carlo Buraggi (dell’Archivio di Stato di
Torino) di un primo lotto di «atti più antichi ed importanti dell’archivio presso il Museo civico di Treviso», in dieci
sacchi; ed un secondo verbale a firma del Cessi, datato 3 maggio 1918, relativo a 52 sacchi di libri e documenti, 9
cassapanche artistiche, di cui cinque contenenti oggetti d’arte, una contenente pergamene di monasteri e le altre tre
vuote, e 38 cassette contenenti ceramiche. Le cose di questo secondo verbale vennero restituite al municipio di
Treviso il 18 luglio 1919.
23 Sulle peregrinazioni dei reperti museali e bibliografici dagli istituti di cultura trevigiani diretti dal Bailo cfr. S.
Zanandrea, «Conservazione delle opere d’arte, bombardamenti e danni di guerra nella città di Treviso», in: S.
Gambarotto, E. Raffaelli, S. Zanandrea, Fuoco dal cielo. I bombardamenti aerei sulle città del Veneto e i danni al
patrimonio artistico 1915-1918, Treviso, 2008, p. 159-220.
24 La Brigata Treviso. Per le onoranze e per la storia. Sembra di capire che Bailo sia un precursore nel valorizzare la
testimonianza orale.
25 Sulla questione inventariale cfr. S. Zanandrea, «Gli istituti comunali di cultura nella corrispondenza di Luigi Bailo»,
in: Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Comitato di Treviso (a cura di), Quaderni del Risorgimento, n.s.,
3 (2005), p. 39-45.
Al rientro delle raccolte museali e d’arte fra fine luglio e fine agosto di quell’anno
(particolarmente penose le vicende della civica pinacoteca26, la cui sede nella centralissima piazza
dei Signori era andata venduta nel frattempo alla Cassa di Risparmio della Marca Trivigiana, e che
nei nuovi angusti e precari locali di palazzo Zuccareda in Cornarotta ebbe totalmente stravolta la
sua organicità), si pone infatti urgente la questione inventariale, che Bailo, rispettoso della promessa
su cui aveva impegnato il suo onore, non avrebbe certamente affrontata, convinto fosse sufficiente
che ogni cosa ritornata (quindi anche i cimeli del museo del Risorgimento) andasse a rioccupare il
suo posto. Ma col ritorno le pressioni dell’amministrazione Bricito e del soprintendente Fogolari
impongono la redazione degli inventari delle sezioni, per sceverare le cose comunali da quelle di
proprietà del conservatore. Fin dai primi di settembre, alle costole del Bailo la Soprintendenza mette
la dottoressa Eva Tea, che avrebbe avuto un futuro di storico dell’arte a Brera ed alla Cattolica di
Milano; ma che intanto esercita un odioso ruolo ‛fiscale’ di ispettrice fra le stanze e gli anditi, gli
armadi e i tiretti del museo civico. Gli schedoni vergati dalla onesta calligrafia del fido custode
Giovanni Brotto, sotto questa spinta, appaiono la cosa più inutile che la Soprintendenza potesse
pretendere, fatti come sono con finalità puramente numerica per accontentare l’autorità tutoria e
totalmente sprovvisti di qualsiasi parvenza di scientificità anche per l’epoca in cui furono prodotti;
al contrario dei pur farraginosi quadernetti sui quali il Bailo era solito annotare i ‛pezzi’ assicurati
alle civiche raccolte. Solo raramente infatti viene qualificata l’individualità degli oggetti27. Numerati
gli schedoni progressivamente all’interno delle serie inventariali omogenee, queste sono così
classificate:
Autografi e manoscritti
Bottoni d’uniformi militari – Guardia Nazionale – Rep. Francese ecc. ecc. (così la carpetta)
Medaglie
Oggetti e ricordi
Quadri
Sigilli.
Di suo pugno Bailo appone qualche nota di servizio, a beneficio dell’amministrazione civica e
dell’inviata ministeriale, come si riscontra negli schedoni relativi ai dipinti (chiamati «bozzetti») di
Giuseppe Pavan e di Apollonio e Murani fatti eseguire per la mostra storica del 1898 28, nota che
nella sua brevità può dare un’idea dell’articolata complessità del Museo del Risorgimento: sia l’uno
sia l’altro bozzetto «è nella piccola stanza del Risorgimento e andrà nella grande sala. LBailo».
L’ordinamento, quindi, del Museo del Risorgimento progrediva a rilento e in misura non definitiva.
E c’è da credere che tale misura non sarebbe stata colmata ancora per un pezzo, dovendosi sempre
bilanciare gli incrementi patrimoniali con il criterio spaziale nel rispetto dei fondi costitutivi e
dell’ordinamento cronologico. Il problema si acuisce in concomitanza col fatto che nei locali del
Risorgimento sono appena affluiti nuovi cimeli provenienti dal dono Gabriele Fantoni 29, anzi da
quell’ulteriore residuo che le eredi del notaio vicentino vollero conferire al Bailo pel Museo, dopo
la grossa donazione fatta in vita a quello di Vicenza ed un primo lotto di doppioni affidato al
30 Emanuele Del Prà, generale di brigata a riposo, era morto il 14 febbraio 1927 a Treviso nella sua residenza di Villa
Bianca, sul curvone di viale Nino Bixio da cui si diparte la via Siora Andriana del Vescovo. La villa esiste tuttora ed
è attualmente occupata da una struttura sanitaria privata. Egli era stato Capo di Stato maggiore in Libia nel 1911,
colonnello d’artiglieria comandante la brigata Emilia sul fronte italo-austriaco, indi comandante la LIII Divisione
della III Armata nei giorni della battaglia del solstizio (1918), infine comandante la Divisione territoriale di Torino
(1920). A Treviso era nato il 25 maggio 1861.
31 Così egli dichiara nella relazione sull’andamento degli istituti di cultura, presentata nel 1935, p. 26, sulla quale si
tornerà più avanti. Coletti lo chiama ‛Museo delle Battaglie del Piave’.
32 «Formiamo anche il Museo trivigiano della Vittoria», fervorino di Bailo in L'eco del Piave, 19 nov. 1924: poi
rinnovato con nuove argomentazioni anche negli anni successivi, soprattutto dal Gazzettino (10 aprile 1927, 28
aprile e 15 dicembre 1929, 10 maggio e 25 giugno 1930) e dalla Voce fascista (6 novembre 1930, 19, 20, 21 agosto
1931).
33 Altrettanto aveva fatto per il passato sotto l’egida del Museo del Risorgimento, dopo aver quasi abbandonato
l’iniziativa editoriale del Bollettino, forse perché troppo legata ad un’idea di periodicità per assecondare istanze
limitate di portata tutto sommato giornalistica, pubblicando scritti d’occasione come Uno sguardo retrospettivo alla
istruzione pubblica del ginnasio-liceo in Treviso (1924); Il gen. Alessandro Guidotti e il P. Ugo Bassi – Treviso,
maggio 1848 (1924), ecc.
34 Ricordiamo che Presidente di questo Museo delle Tre Vittorie, che aveva un proprio statuto ed era finanziato dalla
Deputazione provinciale, era il generale Augusto Vanzo, altra gloria militare trevigiana.
Il 1928 vede una febbrile attività del Bailo risorgimentista, per non mancare alla duplice
ricorrenza: a. dell’ottantesimo anniversario del 1848; b. del decimo della Vittoria di Vittorio Veneto.
Così annuncia fin dal maggio l’intenzione di ordinare tutta la sezione museale del Risorgimento in
anticipo per il convegno trevigiano della Dante Alighieri (lettera del 4/5/1928, n. 7358), mentre
affida all’anziano pittore Federico Petrin l’esecuzione di due dipinti ad essa destinati: uno che
rievochi la morte del generale Guidotti, l’altro la benedizione impartita dal vescovo Sebastiano
Soldati ai ‛crociati’ in marcia per Vicenza35. Federico Petrin36, detto Valonta, era un onesto artigiano,
pittore decoratore, con cinque figli a carico (tre altri erano morti in tenera e tenerissima età), cui
Bailo commetteva di quando in quando lavoretti per il museo 37. È evidente nella esecuzione che
l’artista, lungi dall’inseguire supposti valori estetici, mira invece a proporre una verità storica quale
gli veniva suggerita dal committente, che infatti s’era speso recentemente (1924) in ricerche ed
argomentazioni circa il giorno ed il luogo esatto dei Passeggi fuori Porta S. Tomaso dove il Guidotti
era stato ferito a morte, per emendare un dato errato che la storiografia continuava a perpetuare38.
Per conto proprio Bailo intende celebrare i fasti del 1848 con una serie di iscrizioni storiche da
apporre in varie località della città e, «sotto il portico del Museo del Risorgimento» in via
Caccianiga, «quella sui fucilati dall’Austria in Treviso» (lettera n. 15675 del 30 settembre 1928),
nonché «la grande iscrizione di quelli di Mogliano che furono fucilati a Mestre» (lettera senza
numero, al Commissario prefettizio E. Lauricella del 30 luglio 1929). Pure nel 1928 fa installare sul
terreno di via Caccianiga, proprio di fronte al Museo del Risorgimento, il cippo funerario di Jacopo
Tasso39, fucilato fuori di barriera Garibaldi (allora Portello) nel 1849; mentre nella stessa
comunicazione riproduce il testo delle iscrizioni storiche fatte dipingere nelle pertinenze del Museo
del Risorgimento.
Sul finire del 1929, in seguito ad accordi con il presidente della cessata Società Veterani e reduci
delle Patrie Battaglie di Treviso, affluiscono al Museo del Risorgimento i sottoelencati oggetti, di
cui Bailo si affretta a dare riscontro in una nota al Commissario prefettizio del 19 novembre (n.
17959), lamentando peraltro che non sono pervenuti: a. bandiera di stoffa, con nastro e bastone
foderato di velluto e lancia di metallo – dono di Garibaldi; b. panno funebre, con lettere metalliche
argentate, 4 cordoni e fiocchi di filo argentato; c. medaglia d’argento con 7 fascette di campagne di
guerra (ma da una nota firmata da Luigi Sorelli apprendiamo che egli ricevette il panno funebre e la
bandiera della cessata Associazione, «da conservare nel Museo del Risorgimento» come suggerito
dal commissario Lauricella).
Inventario degli oggetti della cessata Società Veterani e Reduci P.B. in Treviso
35 Ne dà comunicazione sommaria nella lettera del 30 luglio 1929, senza fare il nome del Petrin, e riepilogando in tal
modo che «Così questo Museo del Risorgimento ha quattro grandi quadri storici di fatti trevigiani del 1848, cioè
oltre questi due, quello in cui sulla gradinata del Duomo il Podestà Giuseppe Olivi il 23 marzo 1848 proclamò la
caduta del Governo austriaco e l’istallamento del Governo provvisorio e l’altro quadro che rappresenta la carica dei
dragoni pontifici nella battaglia di Cornuda». Non fa cenno invece del dipinto di Murani che rievoca la sortita di
Mestre, che non viene menzionato nemmeno nella Guida del 1898.
36 Petrin, non Pedrin, come ripetutamente scrive Gerhardinger (Treviso la città rappresentata. Catalogo [della mostra]
a cura di M.E. Gerhardinger e E. Lippi, Treviso, 2009, p. 87; e All’alba dell’Unità. Il Quarantotto di Luigi Bailo,
Treviso, 2011, p. 9), e sulla sua scia anche Elena Marconato, La raccolta iconografica trevigiana: una preziosa
fonte per la pittura trevigiana, Tesi di laurea discussa presso l’Università Ca’ Foscari, a.a. 2008-2009, p. 320; e
1928, non 1898, come viene dalle medesime studiose datato, sia pure dubitativamente, il dipinto che rievoca la
morte del generale Guidotti. Se così fosse, non si capirebbe come mai il Bailo non inserisca questo dipinto nella sua
Guida alla mostra del 1898 (cfr. sopra, § 2) – Federico Petrin era nato a Treviso nel 1859 e vi morì nel 1942.
37 Da ricevute varie risulta che fu impiegato dal Bailo per dipingere le iscrizioni esterne del Museo, nelle «stanze del
dono Fantoni» e nella sala dei gessi (1929-30), ma anche per il restauro della pala di S. Teonisto (1930); e per
intervento di stuccatura di una terracotta del sec. XV (1928).
38 Cfr. Bailo, Il gen. Alessandro Guidotti..., cit. qui sopra, nota 33, a rettifica di nozioni diffuse dalla storiografia e
memorialistica maggiormente accreditate: F. Borel-Vaucher, Trévise en 1848, Neuchâtel 1854, G. B. A. Semenzi,
Treviso e sua provincia, Treviso 1864, A. Santalena, Treviso nel 1848, Treviso, 1888, e A. Giacomelli, Reminiscenze
della mia vita politica, Firenze, 1893.
39 Cippo che attualmente si trova nel giardinetto di viale Tasso, ai piedi del bastione di Santa Sofia (loc. Ponte della
Gobba).
1. Registro grande; Ruolo matricolare degli appartenenti alla Società Reduci P.B. in Treviso
2. Registro piccolo; con le deliberazioni del Consiglio d’Amministrazione e dell’Assemblea dal 1897 al 1909.
3. Sette buste con carte delle Assemblee e varie (in parte guaste dall’umidità)
4. Tre scatole di cartone con i consuntivi dal 1897 al 1922 (id.)
5. Due medaglie d’argento e una di bronzo, donate dal socio Costantini, con sua fotografia – cornicetta, sotto
vetro: I° d’argento: r° Vittorio Em. II Re d’Italia; v° Guerra per l’indipendenza e l’unità d’Italia; 2° d’argento: r°
Umberto I Re d’Italia; v° Unità d’Italia 1848-1870; bronzo: Venezia, cinquantenario del 1848.
6. Medaglia grande, in metallo biancastro: “Republique Française” commemorativa della battaglia Solferino e
S. Martino, fatta coniare dalla Lega Franco-Italiana in Parigi, per essere consegnata il 29/VI/1909 ai veterani
Franco-Italiani che assistettero alla commemorazione fatta alla Sorbona. Ricevuta dal socio Petrina Antonio,
residente a Parigi e rappresentante la Società Veterani e Reduci di Treviso
7. Medaglia di bronzo: Congresso superstiti patrie battaglie XX Sett. 1906 – Milano – consegnata al Presidente
Sugana colà recatosi.
8. Fotografia, grande, in cornice, sotto vetro, di sessanta soci.
9. In cornice, sotto vetro: 1. Vittorio Em. II; 2. Umberto I; 3. Vittorio Em. III (mancante del vetro); 4. Regina
Margherita; 5. Regina Elena; 6. Giuseppe Garibaldi; 7. Cavour; 8. Mazzini; 9. Manin; 10. Tommaso Salsa; 11.
Sartorelli; 12. Saluto del Ministro ai veterani.
10. In cornice, senza vetro: Fotografie di molti soci (alcune guaste dall’umidità o sbiadite).
11. Tabella in legno, per le cariche sociali.
12. Piccolo scrittoio in ciliegio, con 5 cassetti; panno verde, vecchio e stinto, per copertura.
13. Calamaio piccolo, di ottone in cinque pezzi; tre timbri della Società; piccola urna sferica con piede, in vetro
– due spazzole vecchie per panni; sei sedie vecchie comuni, con sedile di paglia; uno scaffale in legno; targa ovale
in ferro, vecchia, con la scritta: Società Veterani.
14. Vecchia bandiera tricolore, con asta.
15. Due fucili, vecchio modello, con due baionette (arrugginite); due sciabole da ufficiale da cavalleria e una
sciabola per fanteria (arrugginite).
Pure nel novembre 1929 arriva in dono da Roma la lastra di rame della pianta di Treviso, datata
1809, eseguita da Basilio Lasinio, importante per il momento storico che vedeva le truppe
napoleoniche, vittoriose in Germania, entrare nella città di Treviso, «mentre gli Austriaci uscivano
per la porta di S. Tomaso». Il rame, che rappresenta una situazione diversa da quella di poco
posteriore del Salomoni, è destinato, come argomenta Bailo nella lettera del 28 novembre 1929 (n.
18468), al Museo del Risorgimento proprio per questa valenza storica. Donatrice la signora Maria
Lasinio, pronipote di Basilio, attraverso il marito, l’ingegnere romano Tullio di Fausto, per
rinsaldare i legami con la sua città di origine.
Dalla corrispondenza del 1930 emergono iniziative intese ad onorare la memoria di alcuni
trevigiani illustri, fra cui Tommaso Salsa, del quale Bailo fa eseguire ad Antonio Carlini un busto in
gesso (per una spesa iniziale di lire 500)40, «presentato il quale – continua il conservatore –
promuoverò una sottoscrizione pubblica per l’esecuzione in marmo, circa lire 3000, da mettere esso
busto nel Pantheon degli illustri trevigiani» (lettera n. 4755 del 20 marzo); e, ricordando il dono
Fantoni, di cui pendeva ancora il riordino, prosegue: «In quest’anno stesso furono già disposte e
decorate due stanze annesse al Museo del Risorgimento nelle quali verranno disposti gli oggetti e
intendo che sia fatto in un numero speciale del Bollettino del Museo il catalogo di essi doni» (ibid.),
intenzione – quest’ultima – senza seguito; mentre da altra nota, del 7 agosto (al n. 10147)
apprendiamo come egli stia lavorando «a riordinare il Museo del Risorgimento e con esso anche la
raccolta Fantoni donata al Municipio ancora nel 1920 [sic, ma 1919], e non potuta esporre per
mancanza allora di locali e di fondi». Dalla stessa lettera è curioso rilevare come il Bailo richieda in
restituzione dal Municipio alcune sedie «dell’epoca napoleonica, proprietà dell’Ateneo e destinate
alla sala relativa al I Regno d’Italia», il che dà quanto meno idea dell’articolata strutturazione di
questo Museo del Risorgimento, che, scandito cronologicamente, doveva trarre origine documentata
dall’occupazione francese.
Ancora al Museo del Risorgimento, in via provvisoria, Bailo destina il modello in gesso della
targa bronzea eseguita dal Carlini per onorare il Reggimento Lancieri Novara, con l’intenzione di
40 Bailo intendeva – entro i propri limiti – riparare così in qualche modo alla miserevole conclusione della pubblica
sottoscrizione fatta con grande pompa da un comitato per onorare l’illustre militare con un degno monumento.
passarlo successivamente al Museo delle Tre Vittorie, in memoria del ruolo svolto da quel corpo nel
combattimento di Pozzuolo del Friuli il 30 ottobre 1917 (lettera n. 11259 del 5 settembre 1930)41.
Museo delle Tre Vittorie per il quale si pensano varie soluzioni espositive, fra cui i magazzini e il
giardino retrostante Palazzo Zuccareda, liberato dalla Pinacoteca e in predicato di accogliere la sede
federale del Fascio. Bailo riferisce al commissario prefettizio il testo della lettera inviatagli dal
Vanzo, Presidente del Museo, che propone Palazzo Zuccareda scartando invece l’ipotesi di
sloggiare l’Asilo Garibaldi quale condizione imprescindibile per associare il Museo delle Tre
Vittorie a quello del Risorgimento, «perché – sostiene – ho l’impegno fin dalle origini del Museo
coll’assessore di allora al Municipio Angelo Giacomelli e col deputato Antonio Mattei di non mai
pregiudicare quella istituzione, per la quale d’altronde nel 1867 fui io il primo a stampare perché la
si elevasse dalla condizione in cui per la sua origine era» (lettera n. 13888, dell’8 novembre 1930).
Il che quanto meno conforta l’idea che il Museo delle Tre Vittorie fosse istituzione almeno
virtualmente operante, pur se sprovvista di sede fisica.
Sempre sulla scia delle attività del Museo delle Tre Vittorie è il caso di ricordare anche l’acquisto
da parte del Bailo del bozzetto preparatorio della testa del Duca d’Aosta eseguito dal pittore
Apollonio. Ad Apollonio era stato commissionato nel 1919, a spese del Municipio, il grande ritratto
a figura intera del Duca della Invitta, oggi associato al Museo del Risorgimento. Da parte sua Bailo
si era procurato questo bozzetto, di cui dà notizia in lettera del 21 luglio 1931 (n. 9612), corredando
qualche giorno dopo (10 agosto) altra sua nota di una memoria e di un’iscrizione latina pubblicate
sotto gli auspici di quel Museo in onore dello scomparso Emanuele Filiberto di Savoia.
Il 1932 si apre con la notizia che tale Vincenzo Zago, di Quinto di Treviso dona per il Museo una
fascia tricolore di sindaco, con stemma nazionale ricamato e frangia d’argento, che Bailo dispone di
collocare nella sezione del Risorgimento; cui fa seguire qualche giorno dopo il dono di una grande
medaglia in bronzo, coniata in onore di Francesco De Lazara, ultimo podestà del regime austriaco a
Padova (lettere del 19 e 28 gennaio 1932, n. 873).
A giugno Bailo comunica che le due statue del Museo del Risorgimento dedicate a Cavour (dono
Pavan) e a Garibaldi (eseguita da Martini) sono state collocate nell’aula d’ingresso della biblioteca.
(nota del 22/6/1932, n. 8902). Per quanto riguarda la statua di Garibaldi, egli precisa di esporla
dopo oltre vent’anni, avendola ritirata nel 1911 dalla vista del pubblico per ritorsione contro la
censura del segretario comunale (il patriota Andrea Mariano Fontebasso) che lo aveva rimproverato
di sperpero del denaro municipale. «Risposi – commenta Bailo – che io aveva esposto i denari miei
come sempre quando feci di mia iniziativa e a mio rischio». Non a caso la ripropone ai visitatori
oggi, 1932, allorché Martini è diventato una celebrità riconosciuta dalla Quadriennale di Roma,
come per dire: «Vedete che non era denaro sperperato?»
Il 28 ottobre 1932, a novantasette anni, due mesi e venti giorni, Luigi Bailo muore nel suo
appartamento attiguo al civico museo in Borgo Cavour, alle ore 22, per «scompenso cardiaco
broncopolmonite da stasi» secondo il referto del medico Mariano Mandruzzato. Nonostante le
celebrazioni per il decimo anniversario della marcia su Roma, nei giornali viene dato largo spazio
alla notizia ed alla sua figura, dal 29 ottobre (annunzio della morte) al 1° novembre (cronaca del rito
funebre). Il Gazzettino (pagina di Treviso) del 29 ottobre, nel ricordare le sue benemerenze, non
trascura di scrivere anche che egli «è stato uno strenuo promotore della istituzione del Museo del
Risorgimento».
6. Nel dopo-Bailo
All’indomani della morte del Bailo viene conferito un mandato ricognitivo e progettuale degli
41 Già nel Giornale del Veneto del 6 dicembre 1926 egli aveva comunque invitato il Carlini a farne dono al Museo del
Risorgimento.
istituti di cultura ad una commissione straordinaria composta da: Coletti 42, presidente, Botter43,
Michieli44, Gius. Olivi45 e Zanette46, i quali il 12 aprile 1933 espongono in una dettagliata relazione
di quattordici pagine piani di intervento e di ammodernamento a varia scadenza, ma tali da
rivoluzionare sostanzialmente gli spazi del compendio biblioteca-museo. Si lamenta (p. 2) che per
varie ragioni (la più macroscopica è la vicenda bellica) «il museo si trova ora in uno stato
embrionale: vi è un materiale cospicuo per il museo, ma non vi è il museo». Riguardo ai fabbricati
si esprimono riserve sul dedalo di stanze e stanzette, sui dislivelli dei piani, sulla bassezza dei locali
al primo piano; ma l’handicap più grave è l’Asilo infantile che occupa i locali del pianoterra del
secondo chiostro nell’ex convento degli Scalzi: «inconveniente che è necessario rimuovere 47, nel
reciproco interesse delle due istituzioni» (p. 7). Sull’ordinamento del museo si danno solo
indicazioni di massima, fermo restando che esso dovrà essere costituito dalle seguenti sezioni:
«l’archeologica e topografica, nel pianterreno del primo chiostro; quella del Risorgimento, della
Guerra e della Vittoria (sezione che dovrà essere largamente sviluppata) nel pianterreno del secondo
chiostro; quella storica e di arte applicata all’industria, al piano primo» (p. 11). Un paio di mesi
dopo, il 14 giugno, il podestà emana, con deliberazione n. 7839, i nuovi regolamenti degli Istituti
comunali di coltura, che recepiscono le conclusioni di quella relazione, prevedono l’istituzione della
figura unica del conservatore di essi (a titolo onorario e compenso tenuissimo), l’intitolazione al
Bailo del museo, ed accolgono, per questo, l’articolazione nelle seguenti sezioni: a. archeologica, b.
storica topografica, c. di arte applicata alle industrie, d. del Risorgimento, della guerra, della
Vittoria.
Ma, nonostante che con lettera del 22 ottobre 1933 il Coletti, nel frattempo nominato
conservatore48, ritenga, «per ragioni educative, che le sezioni del Risorgimento e della Guerra del
nostro Museo, dovessero essere fra le prime ad essere riordinate e convenientemente collocate», e
42 Per Gianluigi Coletti (poi normalmente Luigi e, in confidenza, Gino), è sufficiente rinviare a: Luigi Coletti cittadino
e storico dell’arte. Atti del convegno di studi nel centenario della nascita, Treviso 30 ottobre 1986, Treviso, 1987; A.
Diano (a cura di), Luigi Coletti. Atti del convegno di studi (Treviso 29-30 aprile 1998), Treviso, 1999.
43 Mario Botter (Treviso 1896 – ivi 1978), figlio di Girolamo, di cui ereditò la passione e l’arte del restauro pittorico,
operò il recupero artistico di casa da Noal (già Milani, 1938), e del salone dei Trecento (1938-39), la scoperta degli
affreschi di S. Caterina in seguito al bombardamento del 7/4/1944 e fece, nel dopoguerra, numerosi interventi su
affreschi di facciata di antiche case trevigiane. Legionario fiumano, è stato vice segretario politico dei Fasci di
combattimento di Treviso (1934). Membro della consulta municipale dal 1931 al 1934. Autore di varie pubblicazioni
d’arte, fra cui: Ornati a fresco di case trivigiane (1955), La villa Giustinian di Roncade (1955), Santa Caterina di
Treviso, chiesa e convento dei Servi (1963), Affreschi decorativi di antiche case trivigiane dal XIII al XV secolo
(1979).
44 Adriano Augusto Michieli (Venezia 1875 – Treviso 1959) nipote di Fortunato, insegnò al ‘Riccati’ e alla Scuola
libera popolare che con Boscolo, Riva, Giacomelli ed altri istituì a Treviso (1905); consigliere comunale clerico
moderato (1914), dimissionario dal 1918 per trasferimento a Cuneo; lasciò numerose pubblicazioni di storia e di
storia della geografia, fortunata la sua Storia di Treviso (Firenze 19371). È stato membro della civica commissione
per le iscrizioni, e più volte commissario (1945-1948 e 1955) e presidente (1939-45, 1948, 1956-1958) del Comitato
trevigiano dell’Istituto per la Storia del Risorgimento. Cavaliere nell’ordine della Corona d’Italia (1920).
45 Giuseppe Olivi (Treviso 1893 – ivi 1942), omonimo del podestà, di cui era pronipote in linea diretta, era figlio di
Luigi, professore di diritto internazionale a Modena. Avvocato, aveva studio professionale con il fratello Silvio.
Volontario nella prima guerra mondiale, ferito nel combattimento del Vasson (Trentino) del 25 agosto 1916,
dichiarato disperso, prigioniero a Mauthausen, rientrò in patria nel 1917. Nel 1919 si stabilì a Genova. Nel 1922
faceva parte del Triumvirato e aveva il comando delle Camicie nere di quella provincia. Mutilato e decorato al
valore militare, fu eletto deputato nella circoscrizione Veneto-Tridentina, nella lista nazionale nel 1924. Fu direttore
politico dell’Eco del Piave.
46 Emilio Zanette (Vittorio Veneto 1878 – Treviso 1971) professore di lettere al ‘Canova’, poi preside all’Istituto
magistrale ‘Duca degli Abruzzi’; autore di numerosi saggi di critica letteraria e di un Dizionario del dialetto di
Vittorio Veneto (1955).
47 La proposta, che va in direzione esattamente opposta a quanto voluto da Bailo, neanche tre anni prima, con lettera
dell’8 nov. 1930 (ved. sopra), viene ribadita pochi mesi dopo dal Coletti con lettera del 22/10/1933, perché, come
ripetuto in una nuova corrispondenza dell’ 8/9/1934, occorrono anche i locali del pianterreno per il collocamento di
sezioni – quella risorgimentale e della guerra – «che sono più suggestive ed efficaci per la coltura e l’educazione
popolari».
48 La deliberazione podestarile del 3 luglio 1933, n. 8767 nominava Coletti conservatore, per un periodo di dodici anni,
e Zanette, Michieli, Olivi e Botter membri della commissione consultiva ordinaria per quattro anni.
che nella lunga relazione del 193549 mostri in vari passaggi (pp. 24-26) uno speciale riguardo per
quello che dovrebbe essere il Museo del Risorgimento, della Guerra e del Fascismo, cui riservare
non meno che l’intera area del secondo chiostro degli Scalzi, sfrattandone l’Asilo Garibaldi,
nell’allestimento del 1938 né è stato possibile impiantare questa sezione, con la quale Coletti
avrebbe sperato «finalmente dare inizio a quel Museo delle Battaglie del Piave […] Museo che
potrebbe divenire importantissimo […] e che in Treviso, cuore della difesa e sentinella d’Italia
nell’anno più tragico della nostra guerra, avrebbe la sua sede naturale»; né l’Asilo Garibaldi ha
trovato nuova e più degna sede. Sono queste le motivazioni ufficiali più gravi in forza delle quali,
con lettera da casa, quindi non ufficiosa, il 22 febbraio 1940, Coletti prega il podestà Candiago di
accogliere le sue dimissioni (n. 5313 di protocollo), pronto a ritirarle poi il 1° marzo, «in seguito a
colloquio avuto col Sig. Podestà», come annota il segretario comunale in margine. Scrive comunque
Coletti:
L’ordinamento da me proposto e da Voi approvato richiedeva una graduale attuazione della quale solo la prima
parte è compiuta. L’ulteriore svolgimento del programma, e cioè Galleria secondaria per le opere d’arte […] e
Museo del Risorgimento, guerra, fascismo, colonie, dipendeva dalla disponibilità dei locali ora occupati
dall’Asilo. […] Ora purtroppo vedo sempre più allontanarsi la possibilità di avere sgombri quei locali; [...] il ricco
materiale che dovrebbe costituire il Museo del Risorgimento occupa i locali della Galleria secondaria e perfino
l’Atrio dell’Ateneo. Inutile ch’io insista sulla necessità dell’istituzione del Museo del Risorgimento».
Negli anni immediatamente precedenti, anche Coletti, alimentando suo malgrado il disagio fisico
dell’accumulo irrazionale, persegue la politica dell’‛accaparramento’50, come dichiara nella lettera
del 20 dicembre 1935 (n. 1372 del protocollo Museo) ove dà notizia delle recenti trattative messe in
atto con la vedova di Tommaso Salsa, signora Ines Barni, per acquisirne i ricordi, promessi anche da
altri congiunti dell’illustre generale con l’intermediazione di Giovanni Comisso, che di Salsa è
nipote. La lettera è importante perché dà la misura di questa politica di Coletti, in ciò non dissimile
da quella del Bailo, ma più mirata: lo scopo è infatti quello di costituire «una importante sezione
coloniale nel Museo del Risorgimento e della Guerra: sezione che ben avrebbe ragione d’esser a
Treviso, dato che appunto il trevigiano Salsa è una delle figure preminenti del colonialismo
italiano». E continua:
Naturalmente tale sezione deve essere inquadrata in quella completa organizzazione del Museo del
Risorgimento e della Guerra che intenderei costituire nei locali del vecchio Museo una volta avvenuto il trasporto
nella nuova sede delle sezioni storico-artistiche.
Sulla istituzione di tale museo ho già altre volte intrattenuto V.S. Ill.ma, chiedendo autorizzazione di massima
alle pratiche preliminari (ricerche e accaparramento del materiale) che non converrebbe ulteriormente ritardare:
ma non ho avuto risposta in proposito.
Poiché, specialmente per quanto riguarda la sezione coloniale, il momento sarebbe propizio, mi pregio
nuovamente pregarla di approvare in via di massima il mio progetto per la istituzione del Museo del Risorgimento
e della Guerra, autorizzandomi alle predette pratiche preliminari.
Autorizzazione che il podestà Fiorioli Banchieri si affretta a dare, tanto più che il momento è
‛propizio’ nella misura in cui da un lato Coletti fa emergere che, oltre ai ricordi Salsa, la sezione
coloniale del Museo del Risorgimento si può già fregiare anche di quelli di Molinari (acquisiti –
l’abbiamo visto – trent’anni prima) e di Angelo Ferretto, dall’altro l’attuale avventura italiana in
Etiopia, che darà a Sua Maestà il duplice titolo di Re e Imperatore, può essere per un verso il
49 In questa relazione, fra l’altro, si riferisce (p. 23) di «molti ricordi di guerra» pervenuti al Museo «da parte del
giovane Ciro [sic!] Boccazzi e dal parroco di S. Lazzaro don Giovanni Rossi». – Sul Gazzettino del 27 febbraio
1935 un trafiletto anticipa già i contenuti del progetto di riassetto del Museo civico, ove è detto, fra l’altro: «Altro
programma sarebbe quello di trasportare Museo e Pinacoteca insieme nei due palazzi di proprietà comunale in via
Canova [i.e. ex Milani ed ex Ravanello, oggi rispettivamente Ca’ da Noal e casa Robegan], lasciando nell’attuale
sede solo il Museo del Risorgimento cui si aggiungerebbe quello della Guerra e del Fascismo» (corsivo nostro).
50 In ogni caso Coletti non può inizialmente non seguire in linea di massima le orme del Bailo, accettando e valutando
offerte d'acquisto. Per es. il 9/10/1933 comunica fra altre cose di aver acquistato per il Museo del Risorgimento una
medaglia di argento al v.m. «appartenuta a un trevigiano» non meglio identificato, per lire 4.
riscatto dell’onta di Adua, per l’altro fonte di nuovi ‛ricordi’.
La corposa relazione sull’andamento degli Istituti, datata 16 marzo 1936, ribadisce le iniziative
prodotte in tal senso e ricorda (p. 7) che sui fondi del Museo si è provveduto al pagamento delle
ultime rate dei busti di Salsa e Vanzo (cui si aggiunge anche il busto in gesso di Luigi Bailo, fatto
eseguire al Carlini); ma anche che
In seguito alla «Mostra degli eroi Trevisani in A.O.», un cospicuo nucleo di ricordi di quei valorosi: Tomaso
Salsa, Molinari, Ferretto, Ricci, sono entrati a far parte del Museo, per generoso dono delle famiglie. Essi
formeranno una sezione coloniale del Museo del Risorgimento e della Guerra […]. Una tale sezione coloniale ha
ben ragione d’essere e acquista particolare significato nella città che ha dato i natali a Tomaso Salsa, e dove
lungamente viveva Raimondo Franchetti.
Il che dà adito a pensare che, con il recente massiccio ingresso di cose etniche, questo Museo
coloniale ambisse non solo a colorarsi di una connotazione etnografica, sia pure secondaria (e il
richiamo al Franchetti ha questa valenza), ma anche, in ciò divergendo sostanzialmente dalle oneste
intraprese del Bailo (il quale pure si era concesso delle libertà rispetto a un museo del Risorgimento
stricto sensu), tentasse con Coletti un aggiornamento in senso fascista ed un aggancio con la
propaganda colonialista. Tecnicamente, Salsa non può essere definito fascista; ma è fascista tutta la
macchina pubblicistica che vi sta attorno: dal monumento (inattuato per sopraggiunte difficoltà
economiche), all’edizione delle lettere, curata per tempo (1935) da Comisso e da Emilio Canevari,
alla sezione coloniale focalizzata sui suoi meriti africani.
Ma tanto trasporto sentimentale e tanta intelligenza progettuale da parte di Coletti non trova
adesione incondizionata nell’amministrazione podestarile, alle prese con difficoltà economiche
insormontabili: così tutte le variabili messe sul tappeto (acquisto di Palazzo Revedin da destinare a
sede della pinacoteca; o alternativamente trasporto di questa nel Palazzo Milani, ribattezzato Casa
da Noal; estromissione dell’Asilo infantile) vengono accolte tiepidamente, e va in porto solo la
destinazione della restaurata Ca’ da Noal a sede di Museo della casa trivigiana, cioè in sostanza
delle arti applicate.
Su queste difficoltà viene ad innestarsi anche la costante pressione del Comitato (allora Consulta)
provinciale del neonato (1936) Istituto per la storia del Risorgimento51.
Vivo Bailo, dell’azione di un Comitato a tutela del Museo del Risorgimento non si sentiva proprio
il bisogno, nonostante che fin dal 1906 la normativa nazionale prevedesse organismi di tale natura e
con tali scopi. Vivo Bailo, il Museo del Risorgimento era una realtà, per quanto ingolfato di roba e
per quanto in continuo divenire. Le mutate ambizioni e politiche culturali e personali – anche a
dispetto della buona volontà e dei vantati crediti 52– diedero la stura a un complesso di conflittualità
essendo prevalente l’interesse a dare finalmente respiro a una pinacoteca che si pretendeva di poter
espandere con depositi ed acquisti mirati, dopo le asfittiche stanzette di Palazzo Zuccareda, a tutto
scapito dei ricordi patriottici che richiamavano sovente alla memoria polvere di soffitte o di cantine.
Nella terza riunione del Consiglio direttivo del Comitato, del 21 ottobre 1936, il presidente
Alfonso Calandri comunica di aver avuto dal podestà promessa «che saranno messe a disposizione
51 Ved. il diligente resoconto di A. Centin, «Il Museo del Risorgimento a Treviso: cronaca di un tentativo», in: Istituto
per la storia del Risorgimento Italiano (a cura di), Il Veneto e Treviso tra Settecento e Novecento, XIV ciclo di
conferenze, Treviso novembre ’93 – maggio ’94, p. 1-11. – Occorre non trascurare il fatto che il Coletti è membro
della Consulta fin dalla sua costituzione e partecipa alle periodiche adunanze: dalla lettura dei verbali sembra che la
sua reticenza fosse un deterrente contro possibili azioni efficaci (d’impulso) che avrebbero messo in crisi la
sostanziale soggezione della Consulta, ma anche il ruolo di Coletti fra questa e l’Amministrazione comunale.
52 Nel 1937 i tentativi di acquisire alla pinacoteca tramite deposito alcuni dipinti dell’Ospedale civile, del Monte di
pietà (allora: dei Pegni), delle Gallerie di Venezia e della Pinacoteca di Brera, ma anche dal Duomo e dalle altre
chiese urbane, ancorché animati da ammirevole coerenza storico-artistica (Coletti voleva in altri termini riportare a
Treviso pezzi che ne erano variamente usciti) si risolsero con un nulla di fatto, come risulta dai carteggi dell’epoca.
della consulta due o tre stanze in maniera da poter ordinare il Museo del Risorgimento nei locali
della [spazio bianco]53 entro il 1938»54. Le continue dilazioni, i frequenti cambi d’interlocutori, il
problema capitale ravvisato nella insopprimibile permanenza dell’Asilo Garibaldi in locali
naturalmente vocati alle istituzioni culturali cittadine, danno la misura da un lato della perseveranza
sì del Comitato, che ogni anno ripropone la questione del destino del Museo del Risorgimento
trevigiano, ogni anno si spende presso la civica autorità per affermare le proprie attribuzioni in
merito; ma dall’altro lato della generalizzata impotenza a percorrere una via sia pure provvisoria.
Per colmo d’ironia, durante il periodo bellico, si arriva a ripresentare in due successive sedute del
Consiglio direttivo del Comitato, rispettivamente il 25 gennaio 1941 e il 17 novembre 1942 (sono
passati quasi due anni nel frattempo senza che sia stata possibile una maggiore assiduità)
praticamente la medesima mozione:
Mai si dimenticò l’assillante problema cittadino e provinciale della sede del Museo del Risorgimento, problema
che la stessa Presidenza Generale vorrebbe al più presto e ad ogni costo risolto. Noi, certi che le nostre Autorità
Comunali faranno tutto ciò che è loro possibile per dare ad esso al più presto un’adeguata soluzione, mai
l’abbiamo perduto e perderemo di vista, sperando che quella soluzione non debba essere lontana (qui il testo del
’42, dopo la parola soluzione, è così modificato: derivi, come ci fu più volte promesso, dalla non lontana
sistemazione in sede più adatta dell’Asilo infantile G. Garibaldi).
Dunque il ‛Garibaldi’, che da quei locali sloggerà soltanto negli inoltrati anni settanta del
Novecento, presentato per decenni come la spina nel fianco dell’amministrazione che impedisce
una qualsiasi risoluzione dell’annoso problema, diventerà, una volta liberati quegli spazi,
assolutamente ininfluente, essendo nel frattempo mutati i bisogni della città. Ma questo negli anni
Ottanta.
8. Guerra
Per ora dobbiamo prendere atto che nel nuovo allestimento (i musei civici nelle due sedi di Borgo
Cavour e di via Canova verranno inaugurati il 6 dicembre 1938 alla presenza del ministro Bottai) le
cose del Museo del Risorgimento non trovano posto. Coletti vive questa lacuna come una personale
défaillance, che nella relazione al podestà Ferrero del 3 settembre 1943 (n. 11114) è naturalmente
costretto a dissimulare in qualche modo, quando scrive: «Il programma di riordinamento degli
Istituti comunali di cultura non ha potuto essere completato, e mi amareggia il pensiero che tale
debba rimanere – e così manca l’opera alla quale ho dato tanta passione – alla scadenza, che si va
approssimando, del mio mandato»55. Di quel programma, preparato nel 1933 come abbiamo visto, il
solo capitolo concluso con piena soddisfazione è quello della riorganizzazione della biblioteca
civica; mentre la riorganizzazione del museo fu solo parziale e limitata alla sezione archeologica,
alla collezione di sculture, alla pinacoteca (queste nella sede di Borgo Cavour); e alle raccolte di
mobilio e di arti minori e industriali (nella Casa Trevigiana di via Canova). È ancora inattuato
invece l’altro versante del programma, riferito alla Galleria secondaria, cioè sussidiaria dedicata ad
opere di pittura di valore estetico minore, ed al Museo del Risorgimento. Poiché dà uno spaccato del
momento in cui fu scritta56, la lettera merita di essere trascritta per larghi squarci.
Tale sospensione – continua Coletti – è stata causata dalla mancanza di locali per il Museo del Risorgimento. I
Apprendiamo da questa lettera che gli oggetti del Risorgimento erano rimasti nei locali adibiti dal
Bailo ai piani superiori dell’area occupata dall’Asilo; ed erano rimasti ben oltre la sua morte, fino
appunto alla rivoluzione colettiana dell’autunno 1943. Senza timore di smentite possiamo affermare
che un Museo del Risorgimento, con una sua sede a Treviso c’era fino al 1943: che al tempo del
Bailo fosse quasi off limits era una scelta tacitamente avallata anche dall’amministrazione civica,
che come sappiamo non aveva titoli sufficienti per sindacare sul suo operato 57. In ogni caso Bailo
non negava visite a persone qualificate, che accompagnava personalmente nei locali delle
esposizioni58; in ogni caso anche Coletti, pur critico sulle soluzioni empiricamente adottate dal suo
precedessore, continuò sia ad acquistare sia ad accettare doni sia ad operare trasferimenti di
materiali e cose da una sezione all’altra (come nel caso dei gessi)59 pur di dare una studiata coerenza
alla ormai consistente sezione risorgimentale.
Dalle ultime parole affidate alla relazione del 1943, si capisce che Coletti mostra di avere il
‛polso’ dei gusti del pubblico, che non può essere privato per troppo tempo della vista di ciò che più
lo coinvolge: le cose del Risorgimento sono il vissuto individuale e collettivo, estraneo a presunti
valori estetici.
Il pensiero e la soluzione provvisoria del Conservatore hanno una rapida attuazione nell’autunno-
inverno del 1943. Beninteso che il ‛Garibaldi’ resta dov’è e che quindi ogni sviluppo al piano
terreno del Museo del Risorgimento è per ora sospeso; va in porto l’opzione di trasloco degli effetti
57 Cfr. S. Zanandrea, «Luigi Bailo fra cultura nazionale e civica amministrazione», in: Atti e memorie dell’Ateneo di
Treviso, n.s., 26 (2008/09), p. 167-182.
58 Cfr. per ciò il libro firme in cui ogni studioso o visitatore stilava di proprio pugno la domanda di ammissione o
forniva il suo biglietto da visita, e dove si trova spesso la registrazione: «accompagnato dal prof. Bailo».
59 Mentre infatti Bailo aveva creato una sezione di gessi assai composita, Coletti intendeva far transitare nella sezione
risorgimentale i bozzetti segnalati nei due concorsi per il monumento di piazza Indipendenza e per il monumento di
piazza Vittoria, ch’erano finiti in Museo dopo l’aggiudicazione. In una nota del 27/5/1943 (n. 6803) relativa agli
sgomberi delle soffitte di biblioteca e museo-pinacoteca, egli scrive precisamente: «Non mi sento in grado di
assumere la responsabilità della distruzione dei gessi che farebbero parte del Museo del Risorgimento, proposta
dall’Ufficio tecnico municipale, per collocare al loro posto (grande atrio della biblioteca) gli oggetti sgombrati».
di questo nell’ampia sala dell’Ateneo, ora adibita a magazzino, e simultaneamente dei quadri
secondari nella sezione della pinacoteca, sistemazione volutamente provvisoria, ma dignitosa, per la
quale tuttavia la relazione non prevede un limite temporale.
Gli impegni di spesa prenotati dall’Ufficio tecnico comunale in data del 26 ottobre 1943 parlano
essenzialmente di riatto di 14 sale del Risorgimento al primo e secondo piano dell’area adiacente al
secondo chiostro dell’ex convento degli Scalzi, finalizzata a questo scopo. La pinacoteca dunque,
cacciata dal palazzetto in piazza dei Signori, transitata per Palazzo Zuccareda in Cornarotta, trova
infine spazio60, allargandosi, nel Museo Bailo, da cui scalza la sezione risorgimentale, con alcuni
adattamenti e la creazione di due nuove partizioni: dei quadri stranieri e degli artisti trevigiani
contemporanei.
Nel silenzio della Consulta (non ci sono sedute per il 1943 e 1944) si deve pensare che
l’emergenza bellica avesse in seno a questa fatto passare in second’ordine la questione del Museo
del Risorgimento, questione che si ripropone dopo il bombardamento del 7 aprile 1944.
Ancora nel 1943, peraltro, si contano due interessanti acquisizioni: le armi di Antoniutti e quelle
di Boccazzi; mentre nel marzo del 1944, alla vigilia quasi del tragico ‛venerdì di Passione’, Coletti
acquista, per la sezione risorgimentale, un bozzetto della pittrice castellana Clotilde Ferrarini
dedicato a Villa Glori, per lire 101,20.
È del 10 agosto 1943 una breve nota (n. 9993) del segretario Sorelli con cui comunica, a nome del
Conservatore, che il concittadino ingegnere Guido Antoniutti (Treviso 1886 – ivi 1975) ha donato
per il Museo «due fucili arabi, a pietra, e due pistole, pure a pietra», una delle quali con ageminatura
sulla canna e impugnatura metallica a sbalzo. «Viene incrementata così – aggiunge Sorelli – la ricca
raccolta di armi di questo Museo». L’amministrazione ringrazia il 14 agosto.
Per quanto riguarda il secondo dono, la vicenda si svolge in due tempi ed ha dell’incredibile.
Appena una settimana dopo l’8 settembre, già in regime di occupazione nazista, in data del 16
settembre 1943 Isaia Boccazzi, chiamato Isotto, ispettore scolastico a riposo abitante in via S.
Nicolò 46, con lettera al podestà (n. 11768 di prot.), ed elenco allegato, offre al Museo civico,
«purché sia fatta nota precisa che esse sono dono [corsivo nostro] del dott. Cino Boccazzi,
sottotenente medico paracadutista al fronte», ventotto armi antiche e di pregio che suo figlio ha
raccolto. L’ispettore ricorda preliminarmente al podestà, forse per ottenere il suo benevolo assenso
al trasferimento di proprietà, che Cino già nel 1934 61 aveva offerto al Museo «molti cimeli di
guerra» (come da nota del Conservatore n. 236/M del 5/2/1934). L’elenco, di pari data, riporta:
Armi antiche di pregio artistico, di proprietà del dott. Cino Boccazzi, S. Tenente medico paracadutista al fronte.
Via san Nicolò 46 Treviso
Elenco delle armi:
Due misericordie del 1600
Un pugnale del 1500
Quattro stocchi di diverse epoche
Tre spadoni
Due antiche baionette
Uno stocco lavorato con custodia di cuoio
Quattro schioppi e spingarde del 1700
Una lancia
60 Ricordiamo che nel frattempo (1924), ancor vivo il Bailo, per la Pinacoteca civica, prima del suo esilio a Palazzo
Zuccareda, era stato studiato da Max Ongaro un progetto di palazzetto in stile neoclassico da occupare parte del
giardino ex ciclodromo sull’area adiacente alle fabbriche del Museo, progetto cassato per il costo eccessivo. Coletti
stesso, come detto, dopo lo sfratto dallo Zuccareda, aveva presentato due soluzioni: Palazzo Revedin in borgo
Cavour, quasi dirimpetto al Museo civico, e Casa da Noal in via Canova.
61 Cfr. più indietro, nota 49; e qui sotto la testimonianza dello stesso Cino Boccazzi. A quell’epoca Boccazzi aveva
appena diciotto anni.
Una zagaglia abissina
Un pistolone
Otto vecchie sciabole (sei di ordinanza del 1870 e due da scherma)
Totale pezzi ventotto
Diversi anni fa ho regalato al Museo di Treviso una raccolta notevole di cimeli della guerra 15/18. Nel 1943,
essendo io al fronte, mio padre depositò in custodia [corsivo nostro] al Museo una mia raccolta di armi antiche (28
pezzi) per sottrarle alle requisizioni tedesche. Di tale atto esiste documentazione e ricevuta in mano al dr. ***
Quattro anni fa diedi al Museo una interessante serie di oggetti di scavo in bronzo da me ritrovati e descritti
anche in due pubblicazioni […]
Ora io vorrei:
ritornare in possesso delle armi antiche provvisoriamente affidate in custodia.
Riordinare ed esporre degnamente il materiale da me donato nel Museo.
Ma, mi dice ***, tutta questa roba e molta altra, è incassata da tanti anni, e continua a girare da un posto
all’altro e attualmente dovrebbe essere ammucchiata a Palazzo dei Ricchi. Non è dunque possibile e questo lo dico
anche nella mia qualità di Ispettore Onorario agli Scavi e Antichità per Treviso, di fare una ricognizione, accertare
se il materiale esiste ancora e in quale stato, cosa è stato disperso dalla guerra, ed esporlo degnamente?
Nel breve carteggio l’assessore di reparto, dopo che il sindaco (7 ottobre) ha riscontrato la nota
Boccazzi, dispone il 15 novembre che venga compilato regolare verbale in quattro esemplari
(rispettivamente da destinare agli atti del Museo civico; da allegare all’inventario del Museo del
Risorgimento; da inviare all’Ufficio economato – patrimonio mobiliare; copia per l’assessore
medesimo) ove si faccia constare la restituzione del materiale che «agli atti in suo possesso risulta»
di proprietà del Boccazzi. Il quale già il 28 ottobre ringrazia per il consenso ad accedere ai depositi
del Museo del Risorgimento in via Tolpada, dove ha potuto reperire le armi «di mia proprietà» 64; ma
segnala anche che quei depositi non sono adatti alla conservazione di «pezzi di notevole valore
62 Pare infatti cadere nel dimenticatoio un primo approccio del Boccazzi di ritornare in possesso delle cose, fatto
presso il direttore del Museo civico del 1959. Ciò si apprende dal verbale della Commissione per il Museo del
Risorgimento del 5/12/1959, dove peraltro il prof. Menegazzi fa verbalizzare che «detto materiale dovrebbe essere
stato donato, a suo tempo, da Boccazzi al Comune» e che propone pertanto «di controllare se vi è qualche traccia di
tale donazione».
63 Della lettera si trascrivono solo i passaggi utili ai nostri fini. I nomi di persone ancora viventi sono sostituiti da
triplice asterisco.
64 Il 21 novembre 1968 si stende verbale di restituzione delle armi (n. 1047 del prot. Mus. 1968): con qualche
incongruenza, perché vi si fa riferimento a una «dichiarazione di deposito, stesa il 18/9/1943 tra il prof. Isotto
Boccazzi e il sig. Luigi Sorelli» (entrambi defunti), «relativa a n.° 23 armi antiche» e si precisa che «i seguenti
pezzi» si trovano privi di qualsiasi indicazione e sono mescolati fra il materiale del Museo del Risorgimento;
vengono elencati e restituiti: 1 misericordia del 1600, 4 stocchi di epoche diverse, 3 spadoni, 2 baionette antiche, 4
schioppi del 1700, 1 pistolone, 3 vecchie sciabole, cioè diciotto pezzi, riconoscendo che «data la difficoltà della
ricerca non sono state reperite alcune armi, indicate nella dichiarazione di deposito» e che esse saranno restituite
«quando sarà possibile una precisa ricognizione del materiale del Museo del Risorgimento». Sembra che tutta questa
storia finisca il 23 gennaio 1969, con la riconsegna al Boccazzi di altri due pezzi, da lui riconosciuti come
appartenenti alla sua raccolta: una scimitarra, «erroneamente indicata nell’atto di deposito come zagaglia» ed una
alabarda, «reperite – ancora una volta – tra il materiale appartenente al Museo del Risorgimento» (n. 77 del prot.
Mus. 1969).
(spade, stocchi, fucili del 1600-1700) purtroppo destinati a progressiva rovina». Propone la propria
collaborazione per il restauro, previo trasferimento nella sede di Borgo Cavour.
L’assessore annuisce alla proposta pure il 15 novembre (n. 33188), dichiarando di poter affidare al
Boccazzi il delicato compito di restauro delle armi del Museo del Risorgimento che nel frattempo
ha fatto prelevare (con nota al direttore del museo civico n. 33189 di pari data) da via Tolpada.
L’occhio clinico dell’Ispettore onorario compendia il risultato del lavoro (di recupero e di restauro)
già in una nota al Sindaco del 17 febbraio 1969, che riproduciamo:
Ho terminato in questi giorni il restauro delle armi antiche reperite nei depositi del Museo Cittadino. Esse erano
in un locale umido alle Scuole Prati e molte erano in pessimo stato di conservazione. L’azione di pulitura e di
restauro mi ha permesso di recuperare oltre un centinaio di pezzi di notevole valore artistico e di antiquariato
(diversi milioni).
Da segnalare una serie di pistole, di cui due coppie e una firmata da Lazzarino Cominazzo, uno dei più grandi
armaioli bresciani del passato. Importantissimo il reperto di una gigantesca spada a 2 mani databile intorno al XI,
XII secolo, di notevolissimo valore e rarità, quasi certamente appartenente al boia di Treviso.
Inoltre una serie di grandi alabarde a falcione, una serie di elmi tutti uguali del 1500, con la rosa dei Loredan, 67
spade del 1600, 1700, di cui 55 in ottimo stato dopo la ripulitura, molto firmate [sic], che costituiscono un
complesso eccezionale per numero e bellezza.
Altri pezzi fra cui 9 fucili di grande pregio compongono la splendida raccolta che ho avuto il piacere (e il
volontario onere) di restaurare.
L’elenco degli oggetti è il seguente:
n. 5 falcioni del 1600
n. 9 alabarde
n. 17 pistole (di cui 2 coppie e tre intarsiate in oro e argento)
n. 8 elmi o morioni
n. 2 corazze (pettorali)
n. 9 fucili (di cui uno a canne soprapposte del 1700, rarissimo)
n. 1 spadone di ferro a 2 mani
n. 67 spade e stocchi del 1600, 1700.
Com’è noto, tanta fatica fu ripagata con una mostra a Casa da Noal nel luglio 1972, curata dallo
stesso Boccazzi.65
Paradossalmente, due guerre mondiali non causarono tanti guai ai materiali del Museo del
Risorgimento quanti invece questo ne subì in tempo di pax Americana.
Senza contare naturalmente l’ingente tributo di vite umane e la ferita enorme al tessuto sociale, le
lesioni e distruzioni diffuse su gran parte del patrimonio immobiliare sia pubblico (Palazzo dei
Trecento) che privato (villa Silvio Coletti in piazza Bersaglio, per dire), il bombardamento del 7
aprile 1944 segnò assai gravemente, in città, luoghi e depositi privilegiati di antica sedimentazione
culturale, quali la biblioteca capitolare, le serie archivistiche (archivio delle soppresse corporazioni
religiose e archivio comunale antico) ricoverate nei locali al primo piano del Museo sul fronte di
Borgo Cavour, il Museo della Casa trevigiana a Ca’ da Noal, con perdite irreparabili 66. Non così il
Museo del Risorgimento, i cui oggetti – come detto – erano ammassati nello stanzone dell’Ateneo,
dove si trovavano ancora alla fine del 1945. Lo sappiamo da una comunicazione del Conservatore
del 26 novembre 1945 (n. 16720), che esprime parere favorevole alla concessione di quella sala per
uso dell’Università popolare, venendo incontro a una richiesta del prof. Antonio Schiavon,
65 Cfr. l’art. (con foto) pubblicato sul Gazzettino del 6/7/1972: «Armi antiche in mostra da oggi a Casa da Noal», con il
catenaccio: «L’allestimento della importante rassegna è stato curato dal dott. Cino Boccazzzi. Fra i pezzi più
significativi uno spadone degli Scaligeri e una spada dei Carraresi».
66 È opportuno ricordare peraltro che per disposizioni di protezione antiaerea, già nel giugno 1940 e nel gennaio 1943
gli oggetti d’arte e la suppellettile libraria di pregio erano stati trasferiti prima a Possagno e poi a Venezia o collocati
in apposito locale antincendio della biblioteca stessa, come informa la nota del Coletti del 2 maggio 1943 (n. 5783 di
prot.), od infine manoscritti ed incunabuli nelle scuole di S. Bona (nota di Sorelli del 26/2/1945, n. 2818).
insegnante di lettere classiche al liceo ‛Canova’, che ne era il presidente. Fra le varie condizioni
imposte da Coletti, oltre alla temporaneità, è lo «sgombero e trasporto in altri locali del Museo di
tutto il materiale del Museo del Risorgimento e di parte della Casa Trivigiana accumulato in essa
sede».
Precedentemente, nella relazione del 30 giugno 1945 (protocollata al n. 9693 il 2/8/1945), Coletti
espone su questioni insolute, al primo punto delle quali pone il Museo del Risorgimento. Essendo
nel frattempo mutato il vertice,67 si trova costretto a riassumere gli antecedenti. Pertanto scrive:
Il Comune possiede raccolte veramente cospicue – sia per acquisti da parte del Prof. Bailo che per doni e lasciti
– di oggetti, carteggi, documenti relativi al periodo del Risorgimento. Da quando ho assunto l’ufficio è stata mia
costante preoccupazione quella di poter ordinare ed esporre tutto codesto materiale, prima esposto solo in parte ed
in modo del tutto inadeguato in locali insufficienti; i quali, per di più, erano indispensabili per un organico
ordinamento della Pinacoteca.
Il Museo del Risorgimento avrebbe dovuto completarsi con quello della guerra 1915-18. Dopo maturo esame
proposi al Municipio l’unica soluzione, a mio avviso, possibile: la sistemazione di questi musei nei locali
dell’Asilo attiguo al Museo. Ciò avrebbe offerti questi vantaggi: ordinamento molto decoroso, unicità di servizio
di custodia, comodità di accesso eventualmente mediante ingresso separato. Mi ripromettevo così di poter
finalmente mettere queste raccolte, di altissimo valore educativo, a disposizione del largo pubblico ch’esse
dovrebbero interessare. Non ultimo vantaggio infine quello di eliminare il costante pericolo rappresentato dalle
cucine e stufe dell’Asilo, sottoposte ai locali nei quali sono esposti i quadri più preziosi della Pinacoteca. Le mie
proposte furono accettate in linea di massima; ripetute le infinite volte ed in ispecie ad ogni cambio di Podestà,
ebbi sempre rinnovate promesse che quei locali ci sarebbero stati destinati; ma tali promesse non ebbero mai
adempimento.
Le medesime proposte rinnovo ancora una volta, facendo presente che il problema si abbina a quello, che pur si
affaccia, di una decorosa sistemazione autonoma dell’Asilo, ora così mal collocato proprio nel mezzo del gruppo
di edifizi destinati a Museo.
In tutto ciò il Comitato provinciale non manca di far sentire la sua flebile voce, come pare dal
verbale dell’adunanza del 18 dicembre 1945, là dove rassicura che «cercherà, per quanto sarà
possibile, […] di ricordare alle Autorità Comunali l’esistenza di un problema del nostro Museo
Storico del Risorgimento su cui e per cui il Comitato stesso ebbe fin da prima della guerra a
presentare una circostanziata relazione e una specifica domanda di locali e di fondi». Ma alla nota
Coletti del 13 novembre (n. 15778) e implicitamente anche a Michieli si risponde che – dopo la
forzata chiusura da bombardamento – l’Asilo deve riaprire, e riaprire nella sua sede storica, «per
insistenti richieste della cittadinanza».
I lavori di messa in sicurezza degli stabili disastrati, per la riattivazione dei servizi, vengono
appaltati con atto di cottimo fin dal 1946 come provvedimenti di riparazione danni bellici; il
completamento del riatto generale dei fabbricati si conclude col verbale di consegna delle opere
eseguite del 18 dicembre 1951; il nuovo allestimento del Museo Bailo, curato ancora da Coletti,
sarà inaugurato il 16 giugno 1952, sempre tuttavia mutilato della sezione risorgimentale, e privato
anche delle sezioni di arti applicate all’industria e della raccolta di storia naturale Zanuzzi,
gravemente depauperata questa col bombardamento di Casa da Noal. Quindi un museo un po’
minimale, ben lungi dal poter vantare quella varietà espositiva che i contemporanei di Bailo gli
riconoscevano e di cui egli andava fiero, anche se poco capito dai suoi stessi concittadini.
All’avvicinarsi del 1948, cioè del centenario delle rivoluzioni europee, che coinvolsero anche
Treviso nell’effimero trimestre di autogoverno (24 marzo – 14 giugno 1848), sia da parte del
Conservatore sia da parte del Comitato s’insiste presso l’assessore municipale avv. Guido Dalla
Rosa per una degna celebrazione dell’evento. Quale migliore risposta all’evento che utilizzare i
mesi del ’47 per riallestire il Museo del Risorgimento? Rispolvera Coletti, nel promemoria
all’assessore, la questione dell’opportunità di «istituire anche» questo museo, riconosciuto «di
primario interesse per la cultura cittadina», ma purtroppo «da anni giacente chiuso in casse».
L’entusiasmo peraltro si raffredda subito in Giunta di fronte alla difficoltà di trasferire il solito Asilo
‛Garibaldi’ nei locali dell’adiacente nuovissimo Istituto magistrale.
E tuttavia anche dopo la guerra si continua a confidare che il Museo del Risorgimento, ancorché
stivato in cassoni confinati nei quattro angoli della città, possa rifiorire, tanto che c’è chi non si
perita di affidargli propri cari ricordi.
Lo fa nel centenario del Quarantotto la scrittrice Antonietta Giacomelli, quando, ultranovantenne,
fra i cari ricordi di famiglia dona il cestino ricamato in carcere dal padre Angelo (1816-1907),
antico patriota ed uomo politico trevigiano, ed i ritratti fotografici dello stesso e del prozio Sante
(1792-1874), mecenate e benefattore della civica pinacoteca.
Lo fa Antonietta Vianello vedova Bevilacqua, la quale dona nel 1951 gli oggetti del padre del
defunto marito, l’avvocato Mariano Bevilacqua (1843-1886), che giovanissimo aveva militato con
Garibaldi, cioè, come annota Sorelli nella sua comunicazione (n. 6335 del 22/3/1951):
ritratto (fotografia)
tunica (Guardia nazionale);
berretto;
medaglia d’argento (campagna 1866);
camicia rossa di garibaldino;
due pistole;
carabina;
diploma di laurea;
diplomi di avvocatura;
opuscolo (in memoria);
spadino da podestà, appartenuto a Luigi Giacomelli68.
Sorelli aggiunge, per maggior cognizione dell’amministrazione, che questi oggetti vanno ad
aggiungersi «a quanto, con religiosa venerazione ha raccolto nella sua lunga vita il Prof. Luigi
Bailo, ed è custodito con la massima cura in questo Museo».
Lo fa nel 1958 Candida Davanzo Della Rovere, in occasione della mostra di Palazzo dei Trecento
«Dal Risorgimento alla Resistenza alla Costituente alla Repubblica», come da nota del bibliotecario
Roberto Zamprogna 16/5/1958 (n. 15951), che elenca ricordi di un altro garibaldino trevigiano:
Francesco Davanzo (Ponte di Piave 1844 – Casalecchio di Reno 1919), padre della donatrice:
In seduta del 3/6/1958, n. 18881, la Giunta municipale accetta i ricordi, assegnandoli al Museo
Storico del Risorgimento.
Infine con nota del 31 marzo 1959 si comunica che certa Margherita Scappin, di Treviso, offre in
vendita per il Museo del Risorgimento un dipinto ad olio (cm. 55 x 76) di Giovanni Apollonio,
rappresentante un episodio della battaglia del Montello, «noto per essere stato ispirato da una
fotografia dal vero trovata sul corpo di un caduto in quella stessa battaglia».
69 La storia di questo reggimento, così tragicamente legata a Treviso, è stata scritta da E. Raffaelli, Quei fanti
biancoazzurri, Treviso, 2008.
70 Cfr. C. P.(egoraro), «Il Museo Storico del 55° Regg. Fanteria», in: Vita cittadina. Rivista mensile del comune [di]
Treviso, a. IV, n. 4 (aprile 1930), p. 87-88.
71 Le lastre in bronzo del monumento sono opera dello scultore Antonio Gentilin.
72 Scrive fra l’altro Bettazzi al Ten. Col. Prati, in data 31/5/1951: «Il museo stesso è stato costituito in gran parte con
oggetti donati dalle famiglie dei morti del reggimento, che sotto la sua bandiera ha raccolto molti e molti trevigiani.
Se pertanto il museo stesso ha un grande valore ideale per Treviso, esso si disperderebbe invece se accolto in un
grande museo in mezzo ad un’infinità di altri oggetti. […] Le superiori autorità darebbero inoltre, con questa
destinazione, un simpatico riconoscimento e premio alla città decorata di medaglia d’oro al v.m.».
73 Per es. n. 176: vetrina con base ad otto gambe contenente il modello del piroscafo Umberto; nn. 177-183, e 186-189:
vetrine con elencazione dei rispettivi contenuti; n. 184: medagliere; a pag. 13 vi è un supplemento descrittivo dei
materiali contenuti nella vetrina inv. n. 179 (elencata a p. 6); nn. 227-286: fotografie di ufficiali incorniciate
singolarmente (al n. 256 foto di Gabriele D’Annunzio con dedica e firma autografa); n. 290: fotografia della visita di
Vittorio Emanuele III al 55° Reggimento, con autografo; nn. 310-327: cartoline ricordo dei vari reggimenti con
cornice; n. 375: parte del bassorilievo in bronzo appartenente al monumento ai caduti del 55° Reggimento; nn. 376-
384: ringhiera in ferro battuto appartenente allo stesso monumento; n. 409: quadro ad olio del pittore Borsato a
ricordo dell’azione di Monte Piana; n. 410: idem a ricordo di Oppacchiasella.
74 Ma sul frontespizio è scritto: «ritirato dagli Istituti di coltura».
un bifoglio, sottoscritto, coi dati di complezione, dal Direttore degli Istituti di coltura Luigi Sorelli
(dante) e dall’Incaricato del Comune, ancora Bruno Longo (ricevente), viene confezionato un
elenco di 210 numeri progressivi, cui corrispondono altrettante etichette, con la declaratoria degli
oggetti, individuali ovvero assemblati per categorie o ancora contenitori di varia foggia e natura col
relativo contenuto. In qualche caso sono riportate anche le provenienze.
Manca un passaggio che sia documentato, ma è da credere, sulla base della premessa narrativa del
verbale di deliberazione della Giunta municipale 9 agosto 1960 n. 23601, che la presa in carico da
parte dell’ufficio Patrimonio delle cose del Museo del 55° Reggimento ne abbia comportato
l’immediato trasferimento al magazzino economale ex Raffineria. Per via indiretta la cosa è
deducibile anche dalla nota del Ragioniere capo municipale del 28/3/1955, ove, ricordando che
«sono ormai trascorsi circa tre anni da quando» il materiale dell’uno e dell’altro museo «venne
ricoverato» nel magazzino di via Cantarane (cioè via S. Liberale), esprime il timore che «il
prolungarsi del deposito finirà col rovinare del tutto i cimeli che già si trovavano in uno stato di
conservazione poco buono».
Altra via invece prendono, con altra suppellettile, i gessi: vengono infatti ritirati dal Museo civico
e depositati nel magazzino dell’ex Fiera campionaria (in viale III Armata), come da nota di scarico
del 29 febbraio 1952 (dante Sorelli, ricevente Longo), che segnala come i bozzetti in particolare
siano rotti in più parti:
bozzetto del monumento al gen. Salsa (la testa staccata dal busto);
bozzetto del prof. Carlini raffigurante la carica dei Lancieri Novara a Pozzuolo del Friuli (con relativo cavalletto
di sostegno);
n. 6 bozzetti per il monumento ai Caduti per l’indipendenza (1° concorso);
n. 18 bozzetti per il monumento ai Caduti in guerra 1915-18 (2° concorso);
bozzetto dell’arch. Brasini per il monumento ai Caduti in guerra 1915-18 (con relativi cavalletti di sostegno);
statua di Camillo Cavour (e relativo piedistallo in legno), dono del comm. A. Pavan;
Qualche sollecitazione a intervenire viene, un paio di mesi dopo, dal colonnello Federico Matter,
presidente dell’Associazione Reduci del 55° Reggimento Fanteria, richiamandosi ai patti del 1951
fra Gregorj e Lorenzotti (lettera del 5 maggio 1955, n. 12585). Cui il sindaco replica il 20 settembre
che «ciò potrà esser fatto solo con l’ampliamento dell’attuale civico museo, indispensabile per
sistemarvi il Museo del Risorgimento del quale farà parte quello del 55 Fanteria». Dopo le spese
sostenute per il riatto, dopo il nuovo allestimento del 1952, ulteriori esborsi per ampliamento
sembrano assai poco probabili, ed infatti il progetto, affidato all’architetto Leonardo Piovesan, non
verrà finanziato. Il destino del duplice museo sembra ormai segnato.
I magazzini economali di via S. Liberale, a breve distanza dai fabbricati del Museo civico, erano
stati da poco ripristinati: benché non direttamente colpiti dai bombardamenti, avevano dovuto infatti
«sopportare lo scuotimento provocato dalle numerose bombe cadute nelle vicinanze»75. Per effetto
del contratto di compravendita 3 giugno 1957 (n. 6969 di Rep.°) con la Cassa di Risparmio della
Marca Trivigiana, andarono demoliti nel 1959 quando l’intera area venne presa in consegna dal
nuovo proprietario. In virtù dello stesso contratto, ma anche per sollecitazioni che venivano da più
parti, cioè, oltre che dal Ragionier capo, anche dal Comitato provinciale dell’Istituto per la storia del
Risorgimento e, d’intelligenza con questo, dal consigliere comunale Marcon, l’amministrazione
civica dovette provvedere a un nuovo trasloco dei due musei ivi ricoverati.
Sempre pensosi dei destini di quei cimeli, i consiglieri del Comitato provinciale in ben quattro
sedute del 1956 versano sull’argomento, rifiutando l’ipotesi di una loro sistemazione presso la Villa
Margherita a S. Artemio, che giudicano troppo decentrata, valutando semmai con maggiore
benevolenza le alternative nei centralissimi locali di via Tolpada (ex scuola ‛Prati’) o di palazzo
Scotti in via Toniolo. Sufficientemente istruito dal Consiglio direttivo del Comitato, di cui è
membro, il consigliere comunale dott. rag. Giobatta Marcon presenta interrogazione al sindaco. Nel
Consiglio comunale del 27 novembre 1956 il dialogo fra costui e l’assessore Luigi Chiereghin non
porta ad alcuna conclusione comune: il primo pensa ad un museo sì modesto, con pochi locali, ma
75 Relazione dell’Ingegnere capo ff. Evandro Angeli del 10/9/1945.
in centro storico e poche cose esposte secondo un principio di importanza; il secondo oppone
l’obiezione che «una cosa autonoma non è assolutamente pensabile», e ventila perciò l’ipotesi della
provvisorietà in alcune stanzette della scuola ‛De Amicis’ o di un affido all’Associazione
combattenti e reduci. All’epoca erano impensabili i fabbricati comunali non presidiati da custode.
L’urgenza di togliere gli oggetti dai locali di via S. Liberale, in predicato di demolizione, senza
tuttavia un’idea precisa della loro fruibilità, ma semplicemente a scopo conservativo, sembra dar
ragione a Chiereghin: nel dicembre 1956 il sindaco Alessandro Tronconi chiede al Provveditore agli
studi di poter «provvisoriamente collocare gli oggetti del Museo del Risorgimento» in quattro locali
nella scuola De Amicis: consenso accordato in via condizionata e temporanea (lettera n. 32691 del
17/12/1956); il 14 febbraio 1957 simultaneamente si fa constare in calce agli elenchi di consistenza
redatti rispettivamente il 10/12/1951 e 14/5/1952 il trasferimento degli oggetti dei due musei dai
magazzini ex Raffineria alla scuola elementare ‛De Amicis’: dismessi dall’economo, vengono presi
in carico dall’addetto ai servizi scolastici, sig. Pietro Coletti, e materialmente vanno ad occupare
quattro stanzette del plesso scolastico dirimpetto alla primitiva sede museale del Risorgimento, in
via Caccianiga, non in spazi espositivi, ma solo di stivaggio.
A questo punto entra in scena il professor Teodolfo Tessari (1916-1982), preside del liceo
scientifico ‛Da Vinci’. Tessari ha all’attivo già importanti studi storici e un grande interesse per i
cimeli risorgimentali, essendone per tradizione di famiglia collezionista. Figlio di un medico di
simpatie mazziniane, che a Treviso aveva animato una Società di studi risorgimentali non
esattamente in linea con il sentimento patriottico dominante, repubblicano lui stesso, Toto Tessari
non figura fra i dirigenti del Consiglio direttivo del Comitato; ma il fatto che il Comune si affidi a
lui per risolvere la questione del Museo del Risorgimento potrebbe significare che non trovava in
seno al Comitato un interlocutore altrettanto benevolo. Si ricordi anche che nel 1957 il presidente
Michieli, ottantaduenne, non versava in buone condizioni di salute e due anni dopo sarebbe morto;
il vicepresidente Chiarelli viaggiava sui settantatre; mentre Tessari aveva solo 41 anni, e quindi
buone energie da spendere.
Di piglio decisionista, Tessari prende la palla al balzo e, permettendolo i suoi impegni didattico-
amministrativi, propone scelte apertamente disgiunte da quelle del Comitato. Che ancora nel 1958 è
arroccato sulla opzione ex scuola ‛Prati’ di via Tolpada, nonostante che il Comune l’abbia destinata
ad altro uso.
Urge prospettare una soluzione, anche per rispondere a un’indagine statistica inoltrata dalla
Prefettura il 6/9/1957: l’Istituto centrale per la Storia del Risorgimento si è infatti rivolto al
Ministero dell’Interno per conoscere le località ove attualmente esistono musei del Risorgimento. Il
sindaco Tronconi dà evasione di tipo interlocutorio, parla di lavori di riordino in corso, di locali
provvisori ecc., in attesa di una scelta espositiva.
Un impegno fattivo dell’amministrazione comunale sembra profilarsi nella seduta di Giunta del
25 ottobre 1957, che prende atto della breve relazione stesa da Tessari il 10 ottobre (n. 32366 di
prot.). Lo studioso vi dà non solo un fermo d’immagine, ma anche alcuni consigli operativi. Scrive:
Ho il piacere di comunicare che si è conclusa la prima fase del lavoro di sistemazione del materiale del Museo
civico del Risorgimento e di quello del 55° regg. Fanteria: si è operata la ricognizione e la ripulitura dei singoli
oggetti. […]
La ricognizione […] ha rivelato che vari oggetti (bandiere, qualche arma, ma soprattutto parti di uniformi,
copricapi, ed altro) sono, come già si sapeva, in pessimo stato e in certi casi ricuperabili solo dopo un esperto e
radicale restauro. Conviene che questo sia fatto data la rarità e l’interesse documentario dei pezzi (quelli ad
esempio dell’assedio di Venezia del 48-49). Altri invece, come la maggior parte delle armi, hanno rivelato, dopo la
perfetta pulitura fatta dai bravi inservienti, stati di conservazione e caratteristiche insospettati dato l’eccezionale
disordine in cui erano lasciati da decenni. Pur senza essere di grande valore, taluni sono rari e qualcuno di epoca
prerisorgimentale, del periodo napoleonico e forse anche veneziano. Se esposte con una precisa cognizione della
loro identità e con adeguata illustrazione, possono rappresentare un notevole interesse. […]
Niente dunque di eccezionale nelle due raccolte ma parecchio bel materiale oltreché molte cose care al cuore
della città e documentario del suo valore e della personalità dei suoi cittadini.
Naturalmente la ricognizione ha confermato la perfetta corrispondenza degli elenchi inventariali e degli oggetti
quali sono stati affidati al consegnatario […]. I vari pezzi sono stati raccolti in casse e cassoni, in involti e spesso
negli stessi mobili dell’ex 55°, adeguatamente ripuliti.
Al mio rientro in sede dalla seconda sessione degli esami di maturità […] conto di iniziare la descrizione
analitica dei singoli pezzi e la loro catalogazione inventariale definitiva che dovrà avere pezzo per pezzo un
minimo di descrizione storico-tecnica sufficiente a farlo apprezzare nel suo vero valore. […]
Comunque, senza voler anticipare conclusioni ancora premature, vale la pena di notificare fin d’ora che dato il
numero e le caratteristiche delle raccolte (cui si dovrà aggiungere le stampe, i quadri, cioè tutta la parte
iconografica attualmente in consegna alla biblioteca civica e che mi permetterò di riconoscere nel gennaio ’58
p.v.) si pensa sia assolutamente impossibile sistemare il Museo nei locali della Scuola De Amicis: esso richiede
locali ampi, bene illuminati e contigui per permettere anche una esposizione illustrativa dello sviluppo
cronologico degli avvenimenti di cui le raccolte sono documento.
Quando si conoscerà quale degno edificio il Comune potrà destinare al risorto Museo, si dovrà affrontare il
problema se fondere o no le raccolte del Museo del Risorgimento e quelle del 55° regg. Fanteria. Esse
indubbiamente spesso si integrano.
Occorrerà adottare un preciso criterio prima di procedere alla definitiva collocazione. [...]
Ben altro abito mentale rispetto a quanto invece delibererà, in modo piccato quanto inconcludente,
nel giugno 1958, mentre va a concludersi la grande mostra di Palazzo dei Trecento, il Consiglio
direttivo del Comitato. Il quale, nell’interpretare alla lettera il disposto dell’art. 2 dello statuto 76
dell’Istituto nazionale,
rilevando con amaro rincrescimento, che il ricco e prezioso materiale storico destinato a Museo del
Risorgimento dall’indimenticabile prof. Bailo solerte raccoglitore di cose patrie, giace tuttora in casse presso le
scuole De Amicis, nonostante le ripetute promesse fatte dal Comune di dare sollecita, definitiva, dignitosa
sistemazione a questa nobile opera culturale cittadina nelle aule delle Scuole Prati;
affermata, come principio di vita, la necessità che lo spirito abbia ragione sempre sulla materia e che duri ed
operi in noi il bisogno di onorare le memorie dei grandi eroi e martiri della nostra Patria, affinché ne venga un
valido insegnamento ed il più sicuro auspicio per un sempre più fulgido avvenire;
fa vivi voti perché sia mantenuta ferma la decisione espressaci dall’Assessore all’Istruzione, di respingere ogni e
qualsiasi proposta di sistemare il Museo del Risorgimento in località lontane dal centro cittadino;
sollecita ancora una volta e con più forza, oggi, che è stata resa di pubblica ragione la cosa, attraverso le pagine
della Rassegna storica del Risorgimento 77, il signor Sindaco del Comune di Treviso, perché secondo la promessa
fatta provveda, con la massima sollecitudine possibile, alla soluzione dell’annoso problema, facendo idoneo posto
al ricordato materiale storico del Museo, nei locali delle scuole Prati, onde sia dato rapido inizio al lavoro di
ordinamento definitivo.
Presto tacitato colla promessa che, non appena conclusi i lavori della nuova scuola ‛Prati’ in corso
sul bastione del macello, si procederà alla sistemazione del museo nella vecchia sede alla Tolpada.
Perché dall’ipotesi scuole ‛Prati’ si passi di punto in bianco all’ipotesi Ca’ dei Ricchi non è
accertato; ma non si deve trascurare che i due ambienti sono parimenti sotto la giurisdizione del
servizio scolastico comunale; che ancora le nuove ‛Prati’ sul torrione di Santa Sofia non sono agibili
e che è in ballo un giro di uffici connessi.
Di fatto, con le celebrazioni del 1959, che vedono il Comitato provinciale agire da protagonista,
ed il prof. Cessi oratore ufficiale a Palazzo dei Trecento (19 aprile), la civica amministrazione pensa
seriamente a una fase operativa per il Museo del Risorgimento, dopo anche la lamentevole lettera
personale di Tessari all’assessore Alberto Boscolo del 29 novembre 1958: la giunta Chiereghin,
76 Dispone l’art. 2 dello Statuto, approvato con D.P.R. 1° marzo 1955, n. 357 (e modificato con D.P.R. 5 settembre
1967, n. 1014; con D.P.R. 30 gennaio 1974, n. 94; infine con D.M. 23 aprile 1994): «L’attività dell’Istituto si esplica
attraverso l’opera della sede centrale e dei Comitati provinciali: a) [omissis]; b) con l’organizzazione e l’incremento
del Museo Centrale del Risorgimento, in Roma, al Vittoriano, e con la creazione, il coordinamento e la sorveglianza
dei Musei locali del Risorgimento secondo il disposto del R. decreto Legge 20 luglio 1934, n. 1226, convertito in
legge con la legge 20 dicembre 1934, n. 2124».
77 Cfr. Rassegna storica del Risorgimento, a. XLVI, fasc. 1 (gennaio-marzo 1957), p. 182-183.
subentrata nel marzo 1959 a Tronconi, prende l’iniziativa di «costituire una commissione 78 per la
istituzione in Treviso di un Museo Storico del Risorgimento», per la sede del quale viene destinato
il palazzo dei Ricchi, una volta liberato dagli uffici dei servizi scolastici. Il 5 dicembre 1959 la
commissione propone alcune scelte, fra cui: il Museo del Risorgimento fa parte dei Civici Musei
come sezione di essi; il criterio di riordinamento deve essere cronologico dal 1797 al 1915/18, «con
particolare riferimento a fatti locali e con accenni all’origine trevigiana della famiglia Bonaparte,
alla battaglia di Cornuda etc.» (proposta Coletti) ed una saletta adibita al periodo napoleonico
(proposta Tessari); mentre l’11 giugno 1960 stabilisce che per il 20 successivo le cose del Museo
del Risorgimento depositate presso la scuola ‛De Amicis’ ed i documenti esistenti presso la
biblioteca comunale vengano trasferiti nel nuovo locale di Ca’ dei Ricchi 79. Da parte sua poi la
Giunta del 9 agosto 1960 (n. 23601, richiamata qui indietro) delibera che vi vengano trasportati
anche i materiali del Museo storico del 55° Regg. Fanteria.
Con atto del 26 agosto 1960 (n. 24593), la Giunta municipale delibera d’urgenza «di istituire il
Museo civico del Risorgimento italiano, con particolare riguardo a fatti ed episodi trevigiani dalla
caduta di Napoleone I alla guerra 1915-1918», con sede nel primo piano di Palazzo dei Ricchi, di
proprietà comunale; e conferma la commissione precedentemente nominata. Dalla premessa
narrativa apprendiamo che i locali disponibili a Ca’ dei Ricchi sono cinque. L’8 settembre 1960, il
Consiglio comunale, nel ratificare la predetta deliberazione di «Istituzione Museo del Risorgimento
Italiano» (n. 26338 di prot.), precisa che «la universalità dei beni destinati al Museo del
Risorgimento costituirà una sezione del Civico Museo di Treviso e avrà la denominazione “Museo
del Risorgimento Italiano”».
La rinnovata Commissione80 si riunisce il 13 giugno 1961, in quella che viene chiamata ora la
sede del Museo del Risorgimento, sostanzialmente per ascoltare la relazione del prof. Tessari, il
quale narra di cinque visite effettuate per la cernita dei materiali; propone quindi: di trasferire a Ca’
da Noal quelli non esponibili; di esporre copie fotografiche dei proclami anziché stampe originali
(suggerimento del bibliotecario Zamprogna); di fornire le descrizioni tecniche delle armi esposte; di
dare sufficiente risalto al plastico col fatto d’armi di Cornuda anche a mezzo di luci mobili.
Assente giustificato, con Pegoraro, Menegazzi, Nando Coletti e Vittorelli, anche Luigi Coletti. Il
professore muore per trombosi cerebrale il 10 settembre 1961; con Luigi Sorelli (che era mancato il
21 febbraio) è stato il traghettatore del Museo del Risorgimento (o, meglio, dei suoi beni) dal fasto
effimero del fascismo alla infausta irresolutezza della neonata Repubblica.
È evidente che la civica amministrazione è alle prese con ben altri problemi; se infatti ancora a
novembre 1963 Tessari si preoccupa di restituire a Pietro Coletti, consegnatario del materiale del
Museo del Risorgimento, già sopra ricordato, gli elenchi ricevuti nel lontano 1956/57 per le sue
spedizioni ricognitive, e se il colonnello Pegoraro, attuale presidente del Comitato, si dissocia dalle
aperture (note da fonte giornalistica) del Municipio verso le associazioni culturali, cui esso
offrirebbe proprio Ca’ dei Ricchi; nella seduta del Consiglio direttivo del Comitato 8 novembre
1964 la novità è che il Consiglio comunale avrebbe destinato quei locali a deposito medicinali
riservando il pian terreno a uso farmacia comunale. L’una e l’altra cosa insieme, come si capirà
poco dopo. Il progetto di restauro e sistemazione di quei locali, redatto dall’Ufficio tecnico
municipale l’11 agosto 1961, ed approvato dal Consiglio comunale in seduta 8 febbraio 1962 (n.
5582), viene accantonato già l’anno dopo; ma ancora nel 1966 non è certo che cosa intenda fare
l’amministrazione del Museo del Risorgimento: si vocifera dell’ex chiesa di S. Caterina (nota
dell’Ing. capo 13/6/1966). Ma è interessante e sconcertante l’inconcludenza che emerge dallo
scambio di informazioni fra il consigliere Alberto Boscolo e l’assessore Demattè nel Consiglio
78 Vengono chiamate a farne parte: avv. Alberto Boscolo, assessore anziano, presidente; geom. Arnaldo Cantoni e avv.
Dino De Poli, assessori; gr. uff. prof. Gian Luigi Coletti; prof. dott. Teodolfo Tessari; dott. Roberto Zamprogna; dott.
Luigi Menegazzi; comm. dott. Cesio Pegoraro; arch. Leonardo Piovesan.
79 Il trasporto verrà fatto in realtà l’11 luglio 1960.
80 La Commissione precedente (di cui a nota 78) era scaduta col vecchio Consiglio comunale. Il nuovo, in seduta
24/5/1961 (n. 16054) nomina dodici persone: vengono confermati Boscolo, Tessari, Coletti, Menegazzi, Pegoraro,
Piovesan, Zamprogna; sono nominati ex novo: Nando Coletti, prof. Tomaso Pietrobon, prof. Gerolamo Vittorelli,
Oddo Celotti, prof. Luigi Mandò.
comunale del 30 giugno 1967 (n. 19856/195), in sede di discussione di bilancio di previsione.
Osserva Boscolo, il quale – come visto – nella Giunta Chiereghin si era occupato della questione:
[…] Anche Treviso ha una storia risorgimentale che si innesta in quella nazionale; e per l’ubicazione [del
Museo] erano state indicate le aule del Palazzo dei Ricchi, dove si è trasportato tutto il materiale […]; dopo aver
fatto tutte queste cose e fornite queste indicazioni, è sorto sempre un qualche ostacolo che ha impedito il sorgere
del Museo del Risorgimento. Prima a causa degli uffici del Piano Regolatore, poi per la sede dell’Azienda
municipalizzata farmacie. […] Noto anche che quando delle persone vengono da altre città, chiedono – è capitato
a me anche di recente – dov’è il Museo del Risorgimento a Treviso. E ho risposto che il Museo del Risorgimento a
Treviso è nella mente di Dio. […] Ora, signor Sindaco, […] desidererei avere anche una risposta precisa al
riguardo, perché indichi i locali e finalmente si possa dar ordine a questa nostra raccolta del Museo del
Risorgimento Italiano e così anche Treviso possa dire di avere un museo del risorgimento. Io la prego anche però
di non rispondermi […] che dal momento che i musei nel loro complesso verranno trasferiti in S. Caterina, anche
il Museo del Risorgimento verrà ivi rintanato perché francamente dovrei rispondere che ci crederei molto poco.
[...]
La risposta dell’assessore Demattè sul punto delude alquanto il consigliere Boscolo, come dirà in
replica il consigliere. Demattè:
Purtroppo come atto di piena lealtà non posso che rispondere che veramente noi non pensiamo ad una
sistemazione, se non alla condizione di avere a disposizione S. Caterina, perché veramente non sappiamo, oggi
come oggi, dove collocare questo Museo, a meno che, stornando dall’idea di S. Caterina tutta una serie di
sistemazioni preliminari, noi non facciamo una ricerca in questo senso di una sede che possa intanto ospitare il
Museo del Risorgimento. Ma vorrei dire che non è solo questo il problema […] per quanto riguarda tutte le nostre
collezioni ed opere d’arte, è stato cominciato un lungo e delicato lavoro di catalogazione. E questo riguarda anche
il materiale del Museo del Risorgimento, il quale era stato inventariato una volta non completamente e
imperfettamente e la catalogazione, in tutti questi passaggi, oltretutto è andata dispersa; comunque non serve oggi
giorno. […] Il nostro interessamento, fino ad ora, è limitato a questo, né altro vedrei sinceramente, benché anch’io
pensi come il consigliere Boscolo che il Museo del Risorgimento meriti in una città come Treviso un posto di
primo piano ed una sede che ne sia veramente degna. Non vedrei d’altra parte una ricollocazione al Palazzo dei
Ricchi, perché oltretutto la sede sarebbe troppo piccola e una delle ragioni per cui fu bloccato è proprio questa. Il
materiale era ivi tutto accatastato riempiva in modo disordinato tutta la stanza; si trattava di materiale non esposto.
Se si fosse dovuto esporlo e disporlo con la dignità dovuta, non ci sarebbe stato lo spazio sufficiente. [...]
Un ulteriore tassello di verità viene fuori dalla replica di Boscolo, quasi profetica:
[…] Prendo atto comunque che del Museo del Risorgimento si riparlerà soltanto quando verrà trasferito a S.
Caterina. Volevo poi farle presente una cosa che secondo me costituisce una lacuna nella sua risposta: che le
raccolte – per lo meno nel periodo in cui sono rimaste sotto il portico del Palazzo dei Ricchi e adesso non so dove
siano – se non sono convenientemente sistemate e protette, ovviamente si deteriorano e del materiale deteriorabile
ce n’è perché io lo conosco, l’ho visto. Volevo anche ricordarle un’altra cosa, che c’è una commissione del Museo
del Risorgimento81 che lei non ha ricordato e che era stata proprio nominata per catalogare le raccolte e per
sistemarle. Il presidente di questa commissione e l’incaricato anzi della sistemazione della catalogazione era il
prof. Tessari. Non so se la commissione sia ancora in vita perché faccio parte anch’io e non sono mai stato
convocato e vorrei sapere se il prof. Tessari abbia tuttora questo incarico.
Si riaffaccia l’ipotesi, pur provvisoria, delle ex scuole Prati, per le quali l’Ufficio tecnico viene
incaricato di produrre i necessari elaborati e calcoli. Il progetto è approvato dal Consiglio comunale
in seduta 29 maggio 1969 (n. 13954/186); ma la cosa non dura che l’espace d’un matin: gli stessi
consiglieri, nella seduta 21 aprile 1970, con la motivazione di dover sopperire alla notevole carenza
di aule scolastiche, approvano un nuovo progetto redatto dall’U.T. il 28/2/1970 con questa nuova
destinazione, revocando il precedente. Finisce così, ingloriosamente, l’illusione del Museo del
Risorgimento coltivata da Tessari, il quale ultimamente si era anche molto defilato.
81 Questa commissione, nominata dal Consiglio comunale del 22/9/1965, era stata allargata fino a 15 componenti.
Questi i nominativi: Baio Attilio, Fontana Enzo, Colussi Sergio, Vittorelli Gerolamo, Tessari Teodolfo, Pietrobon
Tomaso, Pegoraro Cesio, Netto Giovanni, Da Re Elvira, De Conti Ernesto, Zanforlini Giovanni, Celotti Oddo,
Miceli Enzo, Prevedello Mario, Boscolo Alberto.
Due fatti meritano segnalazione fino agli anni Settanta inoltrati: 1. il rinnovo della Commissione
consultiva, che va a sostituire quella nominata nel 1965: votata all’unanimità dal Consiglio
comunale del 26 febbraio 1971 (n. 5882/112)82, praticamente non viene mai convocata; 2. la dolente
nota 29/5/1972 del direttore del Museo dott. Menegazzi sull’arretrato inventariale, fra cui segnala «i
resti (purtroppo gravemente danneggiati nel deposito all’ex scuola Prati) della raccolta di armi e del
Risorgimento, attualmente in locali alla Fiera83». Sembra essere ripreso il costume della dispersione.
Altri due episodi di reviviscenza sono legati alla attività del prof. Giovanni Netto (1922-2007).
Con Netto, insegnante, assessore nella Giunta Chiereghin, storico autorevole, torna in sella il
Comitato provinciale dell’Istituto per la storia del Risorgimento. Eletto presidente del Comitato a
ottobre 1977, egli fa a tempo, perdurando il suo mandato 84, a vedere il riallestimento delle collezioni
e il tramonto del sogno di riapertura. Ha la fortuna di poter interloquire con amministratori sensibili
al problema come l’assessore alla cultura Clara Rosso Coletti; ha la fortuna di potersi affidare a due
consiglieri direttivi che sono anche dirigenti comunali, il prof. Lucio Puttin, direttore della civica
biblioteca, e il prof. Eugenio Manzato, direttore dei Musei civici; ha la fortuna infine di poter
disporre dei locali liberati dall’Asilo ‛Garibaldi’. Già nel 1979 si possono mettere le mani sulle
casse del Museo del Risorgimento, in locali più accessibili: si fa strada l’ipotesi di portare
finalmente a compimento il progetto di Gino Coletti, tanto più che – come avverte Puttin nella
riunione del Consiglio direttivo del 23/3/1980 – «non sembra che il materiale del Museo del
Risorgimento possa trovare collocazione nella nuova sede di S. Caterina». Il 29 aprile 1980 nei
locali adiacenti al chiostro nord dell’ex convento degli Scalzi, viene inaugurata una vasta mostra di
cose del Museo del Risorgimento e del Museo storico del 55° Reggimento Fanteria, associati per
l’occasione in attesa di una definizione dei rapporti fra Comune e Ministero della difesa, che è
proprietario di quest’ultimo.
Il professor Alberto Ghisalberti, illustre cattedratico e presidente nazionale dell’Istituto per la
Storia del Risorgimento Italiano, da Roma scrive a Netto il 24 aprile: «[...] con viva riconoscenza
apprendo che, per Suo merito, Lei ha potuto realizzare l’aspirazione del non dimenticabile dott.
Pegoraro per l’apertura del Museo del Risorgimento trevigiano. [...] la notizia è giunta graditissima
[…]. Ma Treviso è una città che non dimentica le sue gloriose tradizioni» (corsivo nostro); e il 9
maggio, una volta ricevuta la relazione per la Rassegna: «[...] fa veramente piacere riconoscere che
c’è anche chi lavora e capisce che... navigare necesse! Bravo e bravi i Suoi collaboratori!»; e,
richiamandosi a un ricordo personale di vecchio combattente della Grande Guerra, aggiunge: «È
mio orgoglio avere combattuto l’ultima [sic] guerra (l’ultimo anno l’ho trascorso sul Piave, tra
l’ansa di Zenson e Fagarè, varcando il fiume con il mio battaglione di fronte a Salgareda e
ricevendo gli abbracci e i baci delle donne di Oderzo...)».
Nonostante il successo della esposizione permanente, e ancorché siano prossime scadenze
commemorative di non poca importanza e di sicuro richiamo turistico (Caporetto, 1917; battaglia
del Solstizio, 1918), è una vera e propria doccia fredda la decisione dell’amministrazione, a metà
febbraio 1987, di utilizzare quei locali per la biblioteca civica, sfrattata dalla sede di Borgo Cavour
per problemi strutturali. Per il Museo del Risorgimento si fanno varie proposte: alcuni locali di villa
82 Vi fanno parte 14 componenti: Brunetta Ernesto, Bastasi Alessandro, Ramanzini Leopoldo, Netto Giovanni, Giraldo
Bruno, Pegoraro Cesio, Tessari Teodolfo, Concini Guido, Pagnin Antonio, Agrizzi Giovanni, Bolis Roberto, Tessari
Alessandro, Balduzzi Giovanna, Perissinotto Elio. Concini e Pagnin sono espressi dall’Associazione nazionale
combattenti e reduci (in ordine alle cose del Museo del 55° Rgt. Fanteria in consegna al Comune); tutti gli altri
invece sono nominati in modo ripartito fra i vari gruppi consiliari che siedono a Palazzo dei CCC.
83 Si tratta della vecchia scuola elementare ‛Burchiellati’, in località Porto di Fiera, dismessa una diecina d’anni fa ed
ora adibita ad uso residenziale.
84 Rinuncerà il 20 marzo 1993, restando poi sempre, fino agli ultimi tempi, aggiornato sull’attività del Comitato e sugli
sviluppi della vicenda ‛Museo del Risorgimento’ e connessi, grazie all’amichevole confidenza dell’attuale
presidente, colonnello Enzo Raffaelli.
Lattes a Istrana, la cedraia di Villa Margherita a S. Artemio; infine la soffitta della scuola elementare
‛Gabelli’ (viale Cadorna), temporaneamente dismessa. Il progetto esecutivo per quest’ultima
soluzione viene approvato in Giunta il 4 agosto 1987. Il 6 novembre finalmente l’assessore Rosso
Coletti propone in Giunta di nominare una commissione di tre esperti per l’ordinamento dei
materiali nel nuovo sito, integrata dal direttore dei Musei civici. Essi sono: il prof. Umberto Corsini,
dell’Università di Venezia, il prof. Ernesto Brunetta, studioso di storia del Risorgimento, il prof.
Giovanni Netto.
Il 6 agosto 1988 vengono consegnati i locali al Comitato; cominciano ad affluirvi i cimeli, a
disposizione della commissione ordinatrice85. La quale si riunisce in loco il 21-22 febbraio e 4
luglio 1989. Le osservazioni di metodo del prof. Corsini, comunicate con lettera 11 luglio 1989,
meritano di essere riferite per larghi tratti:
1. il materiale visionato è per significanza storica sufficiente per raccomandare che con esso si istituisca in sede
e ordinamento stabile il Museo Civico del Risorgimento;
2. squilibri tra singoli periodi del Risorgimento sono sempre suscettibili di compensazione in progresso di tempo
a mezzo di acquisizioni mirate;
3. per le integrazioni che si rendono necessarie è opportuno ricorrere nell’immediato a riproduzioni
fotografiche;
4. integrazioni, immediate e future, vanno previste se si vuole corrispondere al criterio fondamentale che
presiede alla composizione e all’ordinamento di un Museo storico, perché il Museo non può essere concepito
come una raccolta ed esposizione degli oggetti che casualmente si trovano disponibili, ma come un complesso
organico e ordinato di oggetti che renda possibile la lettura visiva nella successione cronologica di un periodo
storico;
5. la sensibilità dei visitatori è molto mutata rispetto al passato e non è più disponibile ad emozionali entusiasmi
per le ‛patrie memorie’. Un museo del Risorgimento ha senso in quanto rassegna di lettura storica, come
strumento didattico che visualizza nella concretezza degli oggetti esposti la conoscenza di un passato recente e che
attraverso quella conoscenza raggiunge anche una valenza educativa morale e civile, della comunità locale e
nazionale;
6. il pregiudizio di inferiorità dei Musei del Risorgimento periferici rispetto ai grandi musei delle città
protagoniste del processo risorgimentale va totalmente respinto in sede scientifica: come risultante di idee e
avvenimenti manifestatiti sull’intero territorio, ogni punto di quel processo è sia centro che periferia: la
conservazione e conoscibilità della documentazione di quel processo risponde a un’essenziale finalità scientifica.
L’illustre studioso fa seguire una serie di consigli museografici che investono tecniche e strategie
espositive in rapporto agli spazi, selezione dei materiali (con un rigoroso riequilibrio specie nella
scelta degli strumenti bellici): limitare al minimo gli oggetti ‛coloniali’, che eccedono rispetto alla
documentazione inerente il travaglio politico e sociale del nuovo Regno d’Italia; riempire in modo
mirato le vistose lacune del periodo 1866-1914, specie riguardo all’emergenza sociale ed al
fenomeno emigratorio. Siamo agli antipodi di quanto intendeva il Coletti ‛colonialista’ del 1935.
15. Epilogo
Poi anche la scuola ‛Gabelli’ ha pienamente recuperato la sua funzione didattica. Finiscono qui le
opportunità di dare alla città di Treviso il suo Museo del Risorgimento, per le quali si sono spesi
intelligenze (due fra tutti: Tessari e Netto), passione e denari. Il resto è materia di argomentazione
dei nostri giorni86.
85 Cfr. in particolare G. Netto, «Il nostro Museo del Risorgimento ha compiuto cent’anni», in: Istituto per la Storia del
Risorgimento Italiano (a cura di), Il Veneto e Treviso tra Settecento ed Ottocento, X ciclo di conferenze, Treviso,
novembre 1989 – aprile 1990, p. 51-60.
86 Per gli aggiornamenti al 2011 cfr. M. E. Gerhardinger, «Il “fondo risorgimentale” dei Musei Civici di Treviso:
sintesi cronologica, in: M. E. Gerhardinger, E. Lippi, Risorgimento a Treviso (come cit. in nota 4), p. 94. Per le
polemiche innescate in seguito all’aborto anche delle ‛Gabelli’, può essere utile leggere gli articoli giornalistici citati
nella Rassegna stampa qui sotto.
Appendice. Aggiornamenti inventariali. Mostre. Normativa. Rassegna stampa
A. AGGIORNAMENTI INVENTARIALI
Ma gli oggetti del Museo del Risorgimento, affratellato con quello del 55° Fanteria non restano
per tutti questi anni immobili nei loro cassoni; nel frattempo si organizzano mostre; si prestano; si
stornano dagli inventari; si assegnano ad associazioni d’arma che ne richiedono.
Intanto dall’elenco di consistenza dei beni del Museo del Risorgimento redatto nel 1952 occorre
depennare:
n. 135, bandiera del Comune di Treviso in seta bianca e azzurra con nastro e crespo per lutto:
«consegnata all’Economo, 9/8/1960»;
n. 163, bandiera tricolore in stamigna di lana con stemma sabaudo, asta ricoperta di velluto bleu,
con cassettina custodia, appartenente alla Società Reduci delle Patrie Battaglie: «consegnata in data
24/11/1952 all’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci di Treviso»;
n. 177, cassetta contenente soldatini di carta, dipinti e ritagliati a mano, dell’esercito napoleonico
ed alcuni calchi in zolfo di medaglie (raccolta Felissent): «consegnata al dott. Zamprogna, d’ordine
del Ragioniere capo del Comune, 11/11/1954»;
n. 188, busto in gesso finto bronzo di Vittorio Emanuele III: «consegnato in data 24/11/1952
all’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci di Treviso».
B. MOSTRE
Oggetti dell’uno e/o dell’altro Museo sono esibiti nelle seguenti mostre:
1953, Firenze, in occasione del Convegno Storico Toscano (Firenze, 9-12 settembre);
1958, Treviso, Palazzo CCC, 4 maggio-15 giugno, mostra storica “Dal Risorgimento alla
Resistenza alla Costituente alla Repubblica”; catalogo a cura di Teodolfo Tessari e Roberto
Zamprogna; vengono esposti oltre 7500 oggetti provenienti da enti pubblici e da soggetti privati.
Enti pubblici: Biblioteca comunale, Pinacoteca civica, Museo del Risorgimento, Museo civico di
Casa da Noal, Municipio, di Treviso; Museo del 55° Regg. Fanteria; Museo del Risorgimento di
Udine; Museo del Risorgimento Correr di Venezia; Museo della Battaglia di Vittorio Veneto;
Associazione Nazionale Combattenti e Reduci di Treviso; Istituto per la Storia del Movimento di
Liberazione del Veneto in Padova; Museo Storico del 182° Regg. Fanteria “Garibaldi” di Sacile;
Divisione “Folgore”. Privati trevigiani: Fam. Bozzoli; Fam. On. Cappellotto; Fam. Coletti; Fam.
Fabiano; Fam. Frezza; Fam. Jelmoni; Fam. Olivi; Fam. Pagnossin; Fam. Sugana; Fam. T. Tessari;
Aldo Bianchetti; Angelo Bonotto; Cassa di Risparmio della M.T.; On. A. Costantini; On. Dal Pozzo,
Antonio Desiderà; Gaddi; Cesare Gentilin; A. Girotto; Giov. Netto; Bruno Perraro; Col. Pierotti;
Urbano Pizzinato; Luihi Raimondi; Leopoldo Ramanzini; Ida Scappin Menegazzi; Luigi Sorelli.
Non trevigiani: Fam. Vecellio di Auronzo; Silvio Stringari di Venezia. E ancora: Divisione
garibaldina “Nino Nannetti”; Divisione garibaldina “Furlan”; Battaglione “Treviso”; C.L.N. di
Padova; Battaglione garibaldino “Rusalen”; Battaglione garibaldino “Artico”;
1959, Maser (vedi sopra);
1959, Alano di Piave (vedi sopra);
1972, Treviso, Ca’ dei Ricchi, luglio: mostra di armi bianche, a cura di Cino Boccazzi: vengono
esposti oltre un centinaio di pezzi, provenienti dal Museo del Risorgimento e dalle collezioni
civiche (ved. sopra, nota 65);
1980, Treviso, Musei civici, aprile: grande mostra “Esposizione di cimeli e documenti del Museo
del Risorgimento”, a cura dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano – Comitato
provinciale di Treviso, servita da piccolo catalogo provvisorio;
1982, Treviso, Musei civici, novembre-dicembre: mostra “Garibaldi e Treviso”, commemorativa
per il centenario della morte di Garibaldi, a cura dell’Istituto per la Storia del Risorgimento –
Comitato provinciale di Treviso, servita da breve catalogo;
1999, Treviso, Musei civici, 30 aprile-31 luglio: mostra “Treviso austriaca 1813-1866”, a cura di:
Comune di Treviso, Archivio di Stato di Treviso, Istituto per la Storia del Risorgimento – Comitato
provinciale di Treviso, Ateneo di Treviso, servita da un pieghevole;
2007/2008, Treviso, Casa da Noal, 15 dicembre-13 gennaio: mostra “Garibaldi tra mito e storia”,
a cura di: Comune di Treviso, Istituto per la Storia del Risorgimento – Comitato di Treviso, servita
da un pieghevole;
2008/2009, Treviso, Casa da Noal, 31 ottobre-11 gennaio: mostra “La linea della memoria.
Treviso nella Grande Guerra 1915-1918”, a cura dell’Istituto per la Storia del Risorgimento –
Comitato provinciale di Treviso, servita da una Guida alla mostra;
2011, Treviso, Museo civico di Santa Caterina, 19 marzo-3 aprile: mostra “All’alba dell’Unità. Il
Quarantotto di Luigi Bailo”, a cura del Comune di Treviso, servita da piccolo catalogo.
C. NORMATIVA
I Musei civici del Risorgimento e le loro cose sono beni culturali (art. 10 D. Lvo 22 gennaio 2004,
n. 42): ricadono perciò nell’ambito di competenza del Codice dei beni culturali e in quanto
universalità di cose fanno parte, ai sensi dell’art. 822 del Codice civile, dei beni del demanio
culturale: non possono essere venduti, né usucapiti, né formare oggetto di diritti a favore di terzi.
Sono beni di interesse prevalentemente storico (art. 2, co. 2), destinati alla fruizione della
collettività, sempre che non vi ostino ragioni di tutela (art. 2, co. 4); gli enti sono tenuti a garantirne
la conservazione (art. 1, co. 5). Le funzioni di tutela sono attribuite al Ministero per i beni e le
attività culturali; e le regioni e gli altri enti pubblici territoriali cooperano con esso nell’esercizio di
tali funzioni (art. 5). La valorizzazione dei beni è disciplinata dall’art. 6, e comprende anche la
promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione.
La vigilanza sui beni museali compete al Ministero; e, in quanto appartengano agli enti pubblici
territoriali, il Ministero provvede alla vigilanza anche mediante forme di intesa e di coordinamento
con le regioni (art. 18). I soprintendenti possono procedere in ogni tempo, con preavviso non
inferiore a cinque giorni, ad ispezioni volte ad accertare l’esistenza e lo stato di conservazione o di
custodia dei beni culturali (art. 19). I beni non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o
adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare
pregiudizio alla loro conservazione (art. 20, co. 1).
Sono subordinati ad autorizzazione del Ministero: lo spostamento, anche temporaneo, dei beni
culturali mobili, lo smembramento di collezioni, serie e raccolte; mentre lo spostamento di beni
culturali dipendente dal mutamento di dimora o di sede del detentore è preventivamente denunciato
al soprintendente.
La conservazione del patrimonio è assicurata da una coerente, coordinata e programmata attività
di studio, prevenzione, manutenzione e restauro (art. 29 e segg.). Il Ministero può imporre al
proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo gli interventi necessari per assicurare la
conservazione dei beni culturali (art. 32-38). Il Codice disciplina anche la custodia coattiva (art. 43).
Il prestito per mostre ed esposizioni è soggetto ad autorizzazione (art. 48). È vietato, senza
autorizzazione del soprintendente, disporre ed eseguire il distacco di stemmi, graffiti, lapidi,
iscrizioni, tabernacoli, nonché la rimozione di cippi e monumenti, costituenti vestigia della Prima
guerra mondiale (art. 50, co. 2).
I beni culturali immobili e mobili possono essere espropriati dal Ministero per causa di pubblica
utilità, quando l’espropriazione risponda ad un importante interesse a migliorare le condizioni di
tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi. L’esproprio è disciplinato dagli artt. 95-
100.
L’art. 101 definisce museo una struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed
espone beni culturali per finalità di educazione e di studio. L’art. 102 contempla che lo Stato, le
regioni e gli altri enti pubblici territoriali assicurano la fruizione dei beni presenti nei luoghi indicati
all’art. 101 (cioè nei musei), garantendone l’accesso (art. 103), disciplinandone la fruizione e l’uso.
Gli artt. 111 e segg. invece fissano i principi della valorizzazione e le forme di gestione, nonché le
attività di promozione che favoriscono lo studio e la ricerca.
Infine, occorre richiamare la normativa che attribuisce all’Istituto per la Storia del Risorgimento
prerogative circa la creazione, il coordinamento e la sorveglianza dei Musei locali del Risorgimento
(R. D. 20 luglio 1934, n. 1226 convertito il legge con L. 20 dicembre 1934, n. 2124), cioè lo Statuto
approvato con D.P.R. 1 marzo 1955, n. 357 e successive modifiche; ed il regolamento esecutivo,
approvato nella seduta della Consulta del 28 ottobre 1994, che all’art. 9 recita. «I presidenti dei
Comitati assolvono localmente alle funzioni relative alla formazione e alla sorveglianza dei Musei
del Risorgimento».
D. RASSEGNA STAMPA
La bibliografia – veramente esigua – relativa all’argomento, è citata tutta nelle note in calce al
testo.
Segue in ordine cronologico l’elenco di articoli giornalistici che trattano la questione.
Il Gazzettino, 22 aprile 1965: «Figurini militari napoleonici per il Museo del Risorgimento»,
relativo alla collezione Felissent.
Qui Treviso, agosto 1980: «Aperto il Museo del Risorgimento», di M. Vanin.
La Tribuna di Treviso, 24 aprile 1984: «Museo di Treviso, due schegge ricordano il tragico
bombardamento di quarant’anni fa».
La Tribuna di Treviso, 2 agosto 1987: «L’ultimo piano della scuola Gabelli ospiterà il Museo del
Risorgimento».
Il Gazzettino, 13 marzo 1988: «Il museo del Risorgimento in un’ala delle ‛Gabelli’».
La Tribuna di Treviso, 15 giugno 1988: «In arrivo un miliardo per Santa Caterina»; e nel
catenaccio: «Intanto è stata ultimata la sede del Museo del Risorgimento nel sottotetto della
Gabelli».
La Tribuna di Treviso, 6 luglio 1988: «La moderna mansarda delle ‛Gabelli’ ospiterà la nuova
sede».
La Tribuna di Treviso, 29 aprile 1992: «Risorgimento museo cercasi», di A. Castagnotto.
Il Gazzettino, 23 luglio 1993: «Sfrattato il ‛Risorgimento’»; e nel catenaccio: «Le scuole ‛Gabelli’
lasceranno il posto ai corsi universitari di Ca’ Foscari».
Il Gazzettino, 17 aprile 1996: «Il Risorgimento trascurato», di B. De Donà, con catenaccio:
«Telenovela di assicurazioni, impegni e promesse senza risultati».
Il Gazzettino, 2001: «Un Museo sotto chiave pronto al Risorgimento», di F. Bruno.
Sportrevigiano, 9 settembre 2005: «Intitoliamo a Toto Tessari il Museo del Risorgimento», di G.
Renucci.
Il Gazzettino, 16 gennaio 2011: «Cimeli in magazzino, il museo è solo virtuale», di P Calia.
Corriere del Veneto, gennaio 2011: «Il Risorgimento in cantina, appello per salvare un museo», di
Silvia Madiotto.
Il Gazzettino, 23 gennaio 2011: «Quei cimeli risorgeranno», di Paolo Calia.