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● vita e opere

Nasce nel 1906 ad Hannover (Germania) in una famiglia ebrea che venne
perseguitata dai nazisti. Nonostante ciò, H. Arendt frequenta i corsi di
filosofia a Marburgo, dove lega sentimentalmente con Heidegger, suo
professore; successivamente si sposta a Heidelberg per seguire le lezioni
di Jaspers e sotto la sua supervisione si laurea.
Con la salita al potere di Hitler, H. Arendt si rifugia a Parigi dove stringe
amicizia con il filosofo Benjamin; si trasferisce poi negli Stati Uniti, dove
ottiene una cattedra presso la New School for Social Research di New
York nella quale insegna fino alla morte, nel 1975. La sua produzione è
etico-politica, incentrata nell’analisi e nella critica della società di massa e
dei fenomeni totalitari. Tra le sue opere ricordiamo Le origini del
totalitarismo (1951), Vita activa. La condizione umana (1958) e La banalità
del male. Eichmann a Gerusalemme (1963).

● le origini del totalitarismo (1951)


Poco dopo la fine della guerra l’autrice analizza la struttura e le condizioni storiche in cui il
fenomeno totalitario si è affermato: la sua tesi sostiene che il totalitarismo sia il risultato di
numerosi fattori storico-sociali legati all’affermazione della società di massa.
Per H. Arendt, nella società di massa “tutti gli uomini sono diventati ugualmente superflui”,
perché sono stati ridotti a “individui atomizzati” (=> funzionali al sistema produttivo e di
consumo, ma incapaci di stringere rapporti) e perciò non sanno discernere il bene dal male.
In questa situazione, l’ “ideologia” e il “terrore” rendono possibile il fenomeno totalitario:
● ideologia => tendenza a semplificare e appiattire la complessità di una situazione su
un’unica idea, mediante la quale si restituisce alla realtà unità e coerenza, per quanto
illusorie;
● terrore =>essenza del totalitarismo senza il quale tale fenomeno non si
affermerebbe. Esso toglie agli individui la possibilità di agire tramite il controllo di ogni
aspetto della vita e l’accentramento del potere in un partito unico. In tal modo
previene ogni forma di resistenza. La concretizzazione della politica del terrore sono i
campi di concentramento, in cui si cerca di eliminare “la spontaneità stessa come
espressione del comportamento umano e di trasformare l’uomo in un oggetto”.
E’ possibile individuare due esempi di regimi totalitari: il nazismo e lo stalinismo, i quali si
reggono sul binomio ideologia-terrore e si sono affermati attraverso l’accentramento del
potere, l’annullamento della libertà dei singoli e l’uso dei campi di concentramento.

● la banalità del male (1963)


H. Arendt mantiene nei confronti della religione ebraica un certo laicismo, rifiutando il
sionismo ortodosso e manifestando posizioni critiche nei confronti dello Stato d’Israele. Il
conflitto contro quest’ultimo si inasprì ulteriormente in seguito al reportage stilato dalla
Arendt durante il processo contro il gerarca nazista Adolf Eichmann, accusato di aver
svolto un ruolo fondamentale nella deportazione e nello sterminio degli ebrei. Tale processo
attirò molto l’attenzione poiché si svolse a 15 anni dal processo di Norimberga e perchè era
la prima volta che un criminale nazista veniva giudicato da un tribunale di uno specifico
Stato, quello d’Israele.
Durante il processo, la personalità di Eichmann non venne giudicata dalla Arendt come
capace di di compiere il male assoluto, “gratuito” (=>inflitto senza ragione), ma piuttosto egli
venne delineato come un uomo ordinario, mediocre, banale. H. Arendt perciò sottolinea
come proprio questi individui ordinari compiono le peggiori atrocità. Ad avvalorare la sua tesi
è la costante dichiarazione di innocenza da parte dell’imputato, il quale affermava di aver
solo eseguito gli ordini: questa cieca innocenza quindi lo ha indotto ad azioni malvagie.
Eichmann dunque è colpevole poiché, rinunciando a giudicare autonomamente, ha agito
senza rendersi conto del male che stava commettendo.
Arendt fu accusata di aver offerto una giustificazione ai crimini nazisti, ma in realtà il suo
intento era quello di comprendere i motivi della nascita della Shoah, nella speranza di
impedire la replicazione di tale evento in futuro.

● la condizione umana e l’agire politico (1958)


Tutta la sua opera è percorsa dal tentativo di individuare la specificità dell’agire umano. H.
Arendt individua qui tre dimensioni fondamentali della condizione umana:
➢ la dimensione naturale (vita sulla Terra), corrisponde alla soddisfazione dei bisogni
biologici dell’essere umano (=>lavorare, animal laborans);
➢ la dimensione artificiale, corrisponde alla costruzione di strumenti e artefatti utili a
rendere la vita dell’uomo più confortevole (=>operare, homo faber);
➢ la dimensione politica (organizzazione sociale), qui gli uomini entrano in contatto
fra di loro mediante l’uso della ragione (=>agire, zòon politikòn).
Quest’ultima necessita di uno spazio pubblico in cui realizzarsi, identificato dalla Arendt nella
pòlis greca, luogo d’incontro e di dialogo tra individui liberi e uguali.
H. Arendt afferma che i primi colpevoli della degenerazione della politica sono stati Platone
e Aristotele, i quali hanno subordinato l’azione al pensiero, contrapponendo alla vita attiva il
modello della vita contemplativa. Ciò ha portato quindi a una degenerazione della vita
sociale, perché l’esercizio del pensiero, essendo possibile, è utile e efficace solamente
quando gli uomini vivono in “condizioni di libertà politica” (come era nelle pòlis).

PROCESSO DI NORIMBERGA ESPERIMENTO DI MILGRAM (1961)

nov. 1945 - ago. 1946 (Norimberga) capire fino a che punto l’obbedienza
una parte degli imputati (22 gerarchi all’autorità potesse indurre gli uomini a
nazisti) rinnegò i reati loro attribuiti, un’altra compiere azioni contrarie alle loro
parte affermò di non aver commesso quei convinzioni etiche. Tale esperimento
crimini e la maggioranza si giustificò richiamò l’attenzione degli studiosi sulla
dicendo di aver solo eseguito gli ordini. relazione esistente tra la tendenza a
obbedire agli ordini di un superiore e le
convinzioni etiche e il senso di
responsabilità per le proprie azioni

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