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MITO, TRAGEDIA, FILOSOFIA

Prefazione

1. La sanguinosa magia della mediazione


Con “la montagna magica” di Mann possiamo iniziare a veder la magia che esercita il suo influsso sull’intera
cultura occidentale.
Il protagonista Hans Castorp sogna di essere nella Grecia classica, paradiso perduto dell’armonia e della
bellezza, costituito in realtà da rimandi alla sua terra natale la Germania e all’Italia dove vede tra le altre
cose figure gioiose che definisce figli del sole e del mare anche se notava in questi una comune intesa sotto
cui sembrava celarsi qualcosa che li rendeva irrequieti, il fondamento sotteso a questa unione.
La natura del fondamento è quella di unire per connettere termini che sarebbero incapaci di costituire un
insieme, tale esigenza corrisponde alla mediazione, ovvero quell’elemento che funge da medium che è in
grado di collegare tutti gli umani tra loro e che deve essere nato da un’esperienza o un insieme di
esperienze collettive.
Hans nel proseguo del sogno assiste al sacrificio di un bambino divorato da due streghe che è proprio il
fondamento mediatorio che regge tutta la cultura occidentale: è questo che permette ai figli del sole di
unirsi e che permette alla mediazione di cristallizzarsi, il punto oscuro che permette al sole collettivo di
splendere.
La teoria mimetica di Girard aiuta a capire queste dinamiche: tali aspetti per esso consistono nel ruolo che
l’imitazione svolge per gli esseri umani e che porta gli uomini a combattere violentemente per gli stessi
obbiettivi a meno che si faccia convergere su una vittima che attiri su di se la violenza di tutti.
La spiegazione psicoanalitica del romanzo di Mann appare poco adatta perché egli vuole spiegare il
significato di una cultura e non di un individuo e lo fa dire anche ad Hans al risveglio del sogno quando egli
ammette che sembra che gli uomini sognino in maniera collettiva, ognuno con le proprie peculiarità, ma su
esperienze di comune importanza.
Quello che invece avvicina l’opera di Mann a Freud è l’accettazione di ciò che egli disse nel quarto saggio di
totem e tabù ossia l’acquisizione dell’origine dell’umanità da un accadimento di violenza selvaggia,
l’uccisione del padre primordiale per mano dei figli coalizzati, che lo hanno sbranato e divorato anche se
Mann riconosce che l’importanza non è nella figura del padre in quanto tale la vittima potrebbe essere
chiunque altro.
Quello che Mann avverte è che quella non è un’esperienza sepolta nel tempo ma una struttura latente che
si rende visibile e l’umanità può esistere solo grazie a quella disumanità.

2. Kultur e Zivilisation: un dilemma irrisolto


Girard si esprime sulla questione mostrando come è stato Gesù a mostrare la consapevolezza della vittima
prima di allora priva di dignità e la civiltà europea si è sviluppata in base all’accettazione o al rifiuto di tale
consapevolezza.
In contrapposizione a Cristo c’è Dioniso la divinità feroce che spinge al sacrificio poiché è stato lui stesso
vittima divinizzata: le loro storie sono identiche ma viste da due punti di vista opposti. Dopo l’arrivo di
Cristo quindi qualsiasi visione dionisiaca perde importanza.
Vi è la percezione che il sacrificio, per svolgersi ed esercitare la sua azione culturale, abbia bisogno
dell’occultamento di cui parla Girard, e chi è una qualche forza che sottrae il sacrificio al suo nascondimento
probabilmente la crocifissione.
Mann dà indizi di complicità sacrificale ma forse ciò non è riducibile all’alternativa tra sacrificio e
antisacrificio proposta da Girard: la chiave interpretativa è la distinzione ricorrente nella cultura europea
del tempo tra Kultur, la cultura nell’appartenenza forte etnica e nazionale, e Zivilisation, la civilizzazione di
tipo universale che accomuna le più diverse culture a livello planetario.
La constatazione di Mann è che la Z. combatte la violenza che è necessaria alla K. per esistere facendo così
sgretolare le mediazioni storiche che hanno permesso la dipendenza tra gli uomini, la K. è il legame stesso
tra gli uomini di cui la Z. è il dissolvimento.
La K. comprende un’esperienza d’amore universale ma legato a uomini concreti: amore per la loro vita e
per la loro cultura.
La Z. parla di un amore astratto per l’umanità che ha in realtà portato al terrore della rivoluzione francese,
questa esclude che la partecipazione alla violenza sia il vero passaggio per acquistare consapevolezza e
superarla.
L’unica possibilità è eliminare le ideologie moderne e convivere con k e z dato che la prima è fondamentale
alla definizione e tenuta dell’umano e la seconda per sottrarre le singole culture alla loro delimitazione
violenta.

I. Introduzione gnoseologica - La mediazione come fenomeno originario

1. L’assassinio collettivo di Dio: Nietzsche


Nietzsche nell’aforisma 125 prevede quello che sarebbe stato l’ateismo moderno, ma non si conforma a
quest’idea e viene abbagliato dall’idea che a parlargli non sia Cristo ma la divinità senza nome sacrificata
nella preistoria e destinata a risorgere in quello che Nietzsche spera sia l’eterno ritorno: per questo l’uomo
al mercato dice che sono stati tutti loro lui compreso ad uccidere Dio.
Dio esiste per le stesse ragioni per cui esiste l’uomo, ben lungi quindi da segnare un’epoca nelle mani degli
uomini la morte di Dio si tradurrà di una conseguente inesistenza dell’uomo a cui Nietzsche trova una
soluzione col divinizzarsi stesso degli uomini ma questo significa un sacrificio della razza umana.

2. Le premesse kantiane del pensiero nietzschiano


Nietzsche è stato influenzato dalla critica alla ragion pura di Kant in cui la tesi centrale è che l’uomo non
accede alla realtà direttamente ma attraverso le forme conoscitive della sua mente: la realtà conosciuta di
rivela essere la sfera dell’apparenza o fenomeno che rimane distinta dal noumeno.
Le direzioni del dibattito post-kantiano sono state due:
- L’idealismo tedesco che recupera la conoscenza metafisica attribuendola al soggetto umano visto come
creatore di realtà;
- Nietzsche, Schopenhauer che vedono il noumeno come qualcosa di conoscibile.

L’importanza di Kant del far coincidere la realtà umana con una sfera rigorosamente limitata sta
nell’indagine conseguente sull’identità umana e sulla sua provenienza.
Alla dicotomia tra apparenza e realtà corrisponde quella tra principio apollineo della bella parvenza e
principio dionisiaco dell’intima profondità che ci ha consegnato la differenza tra K. e Z. consegnandoci una
civiltà dalle vuote apparenze.

3. Sulle tracce dell’intuizione intellettuale


Freud vuole portare avanti l’opera di Darwin demistificando la religione come esito dei traumi parentali e
psichici dell’umanità.
Husserl col suo metodo fenomenologico riprende la tensione tra essere e conoscere dissolvendo il dualismo
kantiano tra fenomeno e noumeno nel processo stesso e nella correlazione tra soggetto e oggetto.
In totem e tabù Freud affronta il problema dell’origine dell’essere umano, a cui si avvicina tramite la lettura
di Robertson Smith in cui si narra dell’antico sacrificio del pasto totemico: esperienza collettiva che legava i
partecipanti con un patto di sangue.
L’intuizione intellettuale opposta all’intuizione sensibile è la capacità di guardare sapendo già cosa guardare
guidati dall’oggetto che si guarda con una potenza divina tale da coincidere con l’oggetto stesso.

4. Il contributo di Freud e Durkheim


La forza magica nasce dal fenomeno arcaico che possiede il segreto di tutto, tutto lascia pensare che sia
questo il noumeno performativo da cui proveniamo.
In vita di san Nilo del V secolo è già presente la descrizione del pasto del cammello.
Per Atkinson all’origine della specie c’è uno scenario di violenza collettiva dei giovani maschi contro il
padre, capo dell’orda che sarebbe stata poi corretta dall’amore materno delle femmine verso i loro figli ma
Atkinson sbaglia poiché le femmine solo la causa e non il rimedio della violenza.
La spiegazione di Freud è che il padre modello viene divorato dai maschi che s’identificano finalmente in lui
assumendo parte della sua forza, il pasto totemico rimane come prima festa della storia in ricordo di questo
evento che allo stato biologico non aveva alcun significato e che quindi può essere la prima spiegazione
dell’uomo come essere culturale.
La psicoanalisi ha però condizionato Freud facendogli deformare la sua scena originaria ed egli stesso lascia
aperta la possibilità che il suo mito non sia fondato.

***
Durkheim basa la sua concezione sullo studio dei fatti sociali, intesi come realizzazione collettiva di azioni e
rappresentazioni totalizzanti ed è la religione l’esempio più antico e universale come traspare dai suoi studi
sugli aborigeni australiani.
Per Durkheim le espressioni fondamentali del pensiero umano sono le categorie (nozioni di tempo, spazio,
genere, ecc.), un pensiero capace di tanto non può scaturire dai singoli individui ma dalla collettività alla
quale appartengono e in particolare dalla religione.
La differenza tra il pensatore francese e Kant è che esso crede tale organizzazione a priori non sia interna a
un soggetto formale ed astratto bensì di a un soggetto materiale e concreto, la società.
La religione è la prima rappresentazione che una società umana fa di se stessa trasformandola nello
strumento per definire e comprendere la realtà intera.
La forza genetica del religioso Durkheim crede che risieda in quella elettricità sacrale che risiede negli
aborigeni quando s’incontrano in momenti di vita sociale che non fanno che riprodurre la crisi iniziale sotto
forma di insorgenza rituale di una minaccia che la comunità ha imparato ad allontanare vittoriosamente.

5. Lévi-Strauss e Bataille
Per Lévi-Strauss la cultura organizza in modalità discontinue e significanti ciò che in natura si presenta in
modalità continue e prive di significato: egli pone nella famiglia e nel matrimonio il luogo di passaggio da
natura a cultura.
Il matrimonio è scambio secondo regole fisse in quel campo istintuale e biologico in cui potrebbero
facilmente sorgere le divisioni e le contese: egli non nega che questo possa accadere ma che questo non sia
l’esito normale della cultura.
Il suo errore è però quello di non considerare il dramma da cui hanno preso forma le culture, il punto di
passaggio che sta nel sacrificio.

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Bataille parte dalle tesi di Lévi-Strauss ma obbiettando che egli non riconosce il dramma reale che l’ha
introdotta e l’opposizione violenta che non cessa di alimentarla.
Anch’egli però arriva a pensare come Freud che la scena originaria abbia senso in quanto mai avvenuta.
Per Bataille il matrimonio è più la colonizzazione culturale che sottomette la sessualità animale ai criteri
sociali della produttività e dell’utile: il punto di equilibrio è da cercare altrove il matrimonio è solo un
estremo opposto all’erotismo, cioè alla sessualità di provenienza biologica.
La sessualità è ciò che la cultura rifiuta ma di cui l’umanità non puoi fare a meno: l’erotismo è la
trasgressione all’ordine matrimoniale che le culture arcaiche consentivano in appositi momenti eccezionali
rituali ed orgiastici.
L’uomo moderno vorrebbe far sua l’esperienza della chance, il vivere attimo per attimo in base alla
consapevolezza che la vita non è altro che dispendio irreversibile.
L’analisi bataillana della dimensione erotica conferma una legge più generale valida anche nell’economia,
per cui l’organizzazione centrata sul lavoro e sull’accumulo di ricchezze può reggersi solo se di tanto in
tanto queste ricchezze vengono dissipate e distrutte completamente, fatto che lega l’umano al sacrificio.

6. La teoria mimetica di Girard


Girard definisce il desiderio mimetico o triangolare: l’uomo non sa cosa desiderare quindi serve qualcuno
che funga da mediatore tra lui e il desiderabile ponendosi come modello, egli introduce l’idea di
mediazione ma la identifica col processo desiderativo legato a un modello che diventa il punto focale.
Questa mediazione finisce per far convergere imitatore e modello sul medesimo oggetto, in una doppia
mediazione in cui ognuna delle parti fa da modello all’altra, fino a cancellare l’oggetto iniziale,
trasformando i due in doppi simmetrici e ostili.
Le culture arcaiche percepiscono l’enorme pericolo rappresentato dal desiderio mimetico e dalle sue
degenerazioni violente e proibiscono tutto ciò che possa evocarlo compresi i simboli di doppio.
Nacquero così situazioni in cui l’intera comunità ritualmente si sfogava contro un’unica vittima solitamente
dotata di qualche segno vittimario (difetti fisici), la violenza fisica si scarica su di essa garantendo la pace. Il
sacro non è altro che la violenza espulsa e divinizzata. 
Girard pensa che Totem e Tabù sia l’antecedente del suo programma ma è necessario spogliarlo del suo
apparato psicoanalitico: egli rimane incastrato in considerazione senza dare il primato alla crisi mimetica.
La critica a Lèvi-Strauss è che bisogna pensare alla famiglia in funzione del divieto e non viceversa.
Un errore commesso da Girard è di non considerare valida la teoria di Bataille.
Girard ha più tardi esposto una teoria dell’ominizzazione che costituisce la ripresa di totem e tabù in cui
ipotizza che una specie di primati abbia incrementato i suoi comportamenti mimetici interni
compromettendo l’organizzazione gerarchica che nei mammiferi gregari rende possibile la convivenza. La
crisi mimetica ha portato al potenziamento di un meccanismo già noto nel mondo animale: l’alleanza di due
contendenti contro un terzo che però stavolta si è tradotta in un’alleanza mimetica di tutti contro uno solo. 
La cultura è nata quando l’umano ha imparato a riprodurre le crisi e la loro soluzione in maniera artificiale
elaborando il sacrificio.
Per il transfert di aggressività la vittima è accusata di tutto ció che capita alla comunità appena uccisa per il
transfert di riconciliazione essa è considerata responsabile prodigiosa della pace trasformandosi nella sua
divinità salvatrice.
L’esempio più spettacolare di sostituzione è la monarchia sacra: per qualche motiva la vittima non può
essere sacrificata e viene sacrificato qualcun altro ed essa rimane per tutto il suo mandato come un dio in
terra salvo essere poi sacrificata alla fine di questo.
Il mito è per Girard l’interpretazione che i membri delle società arcaiche davano della violenza collettiva e
della vittima unica.
L’anello intermedio tra il mondo arcaico e tributario e il nostro caratterizzato dalla capacità d’interpretarlo
è il medioevo e la prima età moderna in cui le persecuzioni avvenivano tramite il primo transfert ma
nessuno veniva divinizzato con il secondo transfert, abbiamo quindi dei miti a metà.
La presenza di questa classe testuale è dovuta secondo Girard al retaggio della Bibbia che dà l’unica
alternativa alla dipendenza del fenomeno umano dal suo noumeno sanguinario e coperto, essa si è
schierata come una forza antimitica in difesa delle vittime.
Gesù mostra l’ipocrisia degli scribi che attenti a mostrarsi giusti nei loro atti sono colpevoli di persecuzione
mostrando così come il funzionamento di ogni ordine culturale è succube delle persecuzioni su cui si fonda
e non vede.
Gesù allora viene sacrificato per proseguire lo stratagemma sacrificale di questo mondo ma nella sua
morte, Gesù silenziosamente trionfa, poiché comprova la verità del suo insegnamento.
Questo ha spinto i paesi europei a emanciparsi dagli antichi vincoli del sacro.

7. Un vuoto d’oggetto
L’errore di Girard è dato da un negativismo che è sviluppato dalla visione anoggettuale del mimetismo dove
l’affermarsi del desiderio è reso possibile dal suo distacco rispetto all’oggetto. Girard riduce tutto il
significato al primo omicidio omettendo tutta la nuova dimensione simbolica e semantica della cultura e il
fatto che la cultura sia un oggetto in sé.
Egli è costretto a reintrodurre l’oggetto che è prima istintuale nella condizione animale e poi il risultato
della nuova percezione simbolica senza spiegare il passaggio.
Il cadavere della prima vittima diventa il primo oggetto non istintuale su cui si concentra l’attenzione della
comunità ma Girard non spiega il perché: sia che tale forza sia nel cadavere o nella comunità manca un
elemento che faccia da medium.
Egli poi esalta il significato della tomba che però introduce un ordine culturale già molto avanzato.

8. Le anticipazioni di Durkheim e Freud


In critica a Tarde Durkheim spiega come l’imitazione non è l’essenza dei fatti sociali ne è una conseguenza
ma non è lo stimolo collettivo originario anche per quanto riguarda Girard la pace post vittima non è la
piatta riconciliazione sociale a cui pensa Girard.
Nel parlare della forza costrittiva che contraddistingue i fatti sociali egli sta pensando a quel fattore
poderoso a cui è legata l’esistenza della società umana, una costrizione invisibile e onnipresente in virtù
della quale tutti possono convivere e che è ciò che Fornari chiama mediazione con la differenza che la sua è
legata alla dimensione oggettuale

***
Freud in “Psicologia delle masse e analisi dell’io” è insoddi-sfatto dalla pura descrizione degli autori
analizzati e si spinge ad un’interpretazione per spiegare i fenomeni di massa: in particolare il bisogno di
avere un capo e la capacità di organizzarsi stabilmente in forme gerarchiche.
Egli si occupa quindi più delle masse organizzate (esercito chiesa) che delle folle e si rifiuta di credere che la
suggestione che non ha spiegazione spieghi tutto.
Egli lo spiega con la libido in cui l’oggetto è sottratto e traslato su un oggetto comune come il capo supremo
e introduce l’identificazione che è una forza imperniata sul ruolo del modello con cui si identifica ed è la
forza più originaria di legame emotivo.
Solamente una simile figura divina è in grado di mettere a tacere l’invidia originaria che dividerebbe i
membri della comunità: la conclusione è che il sentimento sociale poggia quindi sul rovesciamento di un
sentimento inizialmente ostile in un legame di tipo positivo avente i caratteri dell’identificazione.

9. Teoria mediatoria o estatico-oggettuale


Gli scenari di Freud e Girard si uniscono quando il primo avanza l’ipotesi che ciò che tiene unito il gruppo
può essere anche una persona odiata o un’idea contro cui opporsi. 
L’ambivalenza tra odio e attaccamento positivo proposta da Freud è l’immagine del double mind di Bateson
che può creare legami distruttivi o creativi ma egli non ha mai riempito di storicità questo concetto.
Questa storicità deriva forse da un’iniziale crisi oggettuale dove viene negato l’oggetto istintuale
(l’accoppiamento) questa coinvolgeva per mimesi tutti gli uomini e si risolveva nella vittima unica. L’oggetto
istintuale così tornava con le nuove soglie di criticità e di controllo spontaneo che la crisi oggettuale aveva
introdotto e non era più un puro oggetto biologico ma anche culturale (oggetto-crisi-oggetto ma l’oggetto è
diverso).
Possiamo immaginare diverse crisi nelle specie preumane fino a una crisi di potenza grandissima che ha
causato l’estinzione di alcuni gruppi e il superamento di altri tramite la soluzione vittimaria.
L’estasi si riferisce alla fuoriuscita irreversibile dell’animale preumano dall’immediatezza della sfera
biologica.
L’evento estatico è l’oggetto stesso, non è la vittima l’oggetto come riduce Girard, esso è la forza mediatoria
tra il gruppo e la realtà simbolicamente connotata.
La potenza delle esperienze mediatorie dell’umanità è pienamente presente, con tutte le sue criticità e
potenzialità, in ogni momento della sua storia, dalle fasi più antiche a quelle più evolute.
La scena viene poi rivissuta con il sacrificio, l’importanza mimetica è innegabile ma successiva alla
mediazione.
Se gli umani si sono avvicinati al fuoco non è sicuramente per i vantaggi che prospettavano di avere ma che
non conoscevano ma perché esso trasformato in ob-iectum svelava tutta la sua importanza magica: magari
per caso un uomo morì nel fuoco e la forza di questo venne sacralizzata.
La sepoltura nella storia era inizialmente destinata solo a pochi individui: animali, giovani e non si fa fatica a
credere che questi fossero le vittime sacrificali.
Nell’homo sapiens il sacrificio senza perdere la sua forza motrice diventa ascendenza sciamanica in cui lo
sciamano col suo smembramento sacrificale diventa il dio ucciso e risorto.

II. Dal mito alla scienza, e ritorno

1. Storia interpretativa del mito


È stato soprattutto il sistematico sviluppo degli studi etnografici del XIX secolo a far interagire l’immenso
patrimonio dei miti appartenenti ai popoli allora classificati come primitivi. Non va scordato che l’intera
civiltà moderna si è costituita a partire da un rifiuto del mito e di tutto ciò che esso rappresentava
recuperato poi dal positivismo ottocentesco.
Un esempio grandioso sono i miti legati al fuoco che si pensa s’inizió ad utilizzarlo in maniera passiva già 1,5
milioni di anni fa per poi arrivare ai miti del fuoco attivo quando s’imparó ad accenderlo.

2. Metamorfosi dei Cureti


Secondo Girard i due miti, il mito dei titani e quello dei Cureti (che aiutano la nascita di Zeus proteggendolo
con la loro danza armata), raccontano l’uccisione di un bimbo indifeso per mano di un gruppo di adulti.
L’idea interpretativa è di partire dalle versioni apparentemente più innocue e normali di un mito al fine di
scavare fino ad arrivare agli strati più interni. I Cureti sono guerrieri armati cretesi legati alle pratiche rituali
dell’iniziazione che protessero Zeus, sulla cima del monte Ida a Creta nell’ambientazione originale,
dall’abitudine di Crono di divorare i suoi figli appena nato.
Strabone con le sue acquisizioni metodologiche e storiche arricchisce di dettagli rituali il più scarno
racconto della Teogonia di Esiodo, dove Rea chiede aiuto ai suoi genitori e di Crono e completa quella di
Appolodoro dove i Cureti si limitano a sorvegliare il bimbo.
La scena è due volte originaria: geograficamente perché o greci sapevano di derivare da Creta e
storicamente per Crono successore di Urano e predecessore di Zeus.
La storiografia di Erodoto culmina col racconto delle due guerre persiane e dell’inopinata vittoria del piccolo
popolo greco contro la superpotenza che stava per ingoiarlo, questo riassume l’atteggiamento difensivo e
reattivo della mentalità greca che trova già espressione nel mito della nascita di Zeus.
Tucidide scrisse l’antefatto esplicativo che fa da premessa alla guerra del Peloponneso “la archaiologia”,
che spiegava gli accadimenti presenti con eventi mitici e sacrali del passato.
Tucidide analizza le notizie riportate oralmente riconducendole con lucidità a fatti economici, geografici e
demografici ma senza avere remore nell’utilizzare notizie provenienti da miti e testi leggendari sempre
esaminati con la propria razionalità.
Il mito dei Cureti è immagine di un giovane popolo greco che viene fagocitato dalle potenze del vicino
oriente, traendone nello stesso tempo partito, poiché zeus resta figlio di Crono.

3. Delitti antichi e sospetti moderni 


Sul padre del mito dei Cureti ricade la dimensione primitiva della più completa distruzione oggettuale, ciò si
avvicina al padre primordiale di Freud anche se la deformazione del padre appare fatta dai figli.
Il parallelo con Freud conferma la sua pertinenza nel presentarci il motivo, ricorrente in ogni cultura, dei
rapporti mai del tutto pacifici tra generazioni, che ogni volta ripropongono il dramma della trasmissione di
una cultura.
Sia i cureti che i giovani di Freud sono adolescenti che devono ancora costituirsi sul panorama di un
potenziale vuoto oggettuale.
Ció che vi è di strano è che i cureti sono armati potentemente nonostante debbano solamente fare rumore
per tenere lontano Crono, il modo per capire la verità di questi miti è analizzarne altri simili.
In un altro mito i Cureti sono fulminati da Zeus perché hanno nascosto suo figlio sotto l’ordine di Era essi
sono quindi legati al trattamento d’infanti divini.
I Cureti sono un’entità di gruppo legati al labirinto cretese luogo dove avvengono le iniziazioni e dove si
effettuano danze concentriche verso il Dio.

4. La danza delle gru


Secondo diverse fonti la danza labirintica è stata celebrata da Teseo e dai suoi compagni nell'isola di Delo
per festeggiare l'avvenuta liberazione e la corda che ogni danzatore tiene in mano rappresenta il filo che
Arianna diede a Teseo per non perdersi e gesto con cui difatto Arianna condanna il fratello Minotauro. Le
sorti della ragazza lasciata su un'isola da Teseo sono in una prima versione quelle di sposarsi con Dioniso e
nella seconda quella d'impiccarsi con una corda che rappresenta sempre il filo che tiene uniti i danzatori. La
choreia di Delo era la danza delle gru, che si svolgeva intorno ad un altare e in cui i danzatori
s'identificavano con questi animali anche per mezzo di travestimenti, questa scena risaliva alla preistoria e
ciò è stato confermato anche da ritrovamenti archeologici. Si possono avanzare varie ipotesi sulle
motivazioni di questa danza: una può essere la rievocazione dei movimenti che questi animali producono
durante la stagione dell'accoppiamento, un'altra dovuta ai grandi stormi in cui si muovono questi uccelli e
che potrebbero rappresentare le masse che accorrono a danzare durante l'accoppiamento funebre, o
anche al tema del volo della vittima lasciata cadere da un burrone. Ciò basta a far capire l'esito finale di
questi arcaici accoppiamenti mascherati, che potrebbero essere stati preceduti dalla morte del compagno
rituale della gru divina. L'Arianna gruiforme minoica doveva accoppiarsi con una divnità maschile e spiccare
un ultimo volo verso l'alto nel cielo e per inversione verso il basso nelle caverne, coordinate che
coincidevano nel monte Ida che unisce il principio femminile della Terra e quello maschile del Cielo.

5. Funzioni duplicatrici
Il labirinto cretese è il teatro dei riti curetici di cui essi sono gli esponenti di gruppo non ancora differenziati,
sono il simbolo narrativo di una capacità di travestimento e duplicazione che Girard collega ai doppi rivali
della sua crisi mimetica.
I Cureti sono una funzione duplicatrice attorno alla quale la società rappresenta se stessa mediante la
proiezione del mito, che esteoflette all’esterno, in una dimensione sacrale e divina, quello che a un certo
stadio di differenziazione, diviene possibile introflettere verso l’interno: nella proto-grecia cretese la Grecia
classica rivisitava se stessa.
La funzione collettiva dei Cureti avviene nelle mitologie di tutto il pianeta secondo forme e nomi diversi.
I rituali ierogamici e labirintici hanno un sanguinoso legame con atti di smembramento e hanno un duplice
risvolto distruttivo/creativo conforme alla struttura doppiovincolare che sfocia nei figli contro il padre o nei
gemelli in un lato in sangue e violenza e dall’altro permette il succedersi generazionale

6. Conferme titaniche
Girard racconta che titani si scagliano contro Dioniso mentre suonano sonagli e dopo averlo accerchiato lo
divorano, Zeus resuscita il figlio e fulmina i Titani: stavolta l’infanticidio è avvenuto. Girard demistifica
completamente i miti cancellando tutte le stratificazioni culturali di cui abbiamo parlato sinora.
Il mito è parte attiva come lo sono le scienze ora delle nuove soglie di riproduzione che ci divengono capaci
di vedere se stesse e che sono conseguenza della mediazione che incarna la genesi stessa che si organizza
intorno a un centro significante.
Dal mito sono derivate le arti figurative, la musica, anche le scienze esatte (ad esempio abilità altissime
nell’osservare eclissi) e la storiografia che diventa narrazione del mito sotto forma di spiegazione.
Se vogliamo giungere al significato mediatorio e oggettuale della mitologia basta osservare la direzione
costante verso la rappresentazione e conoscenza del mondo.
I miti sulla natura sono per la loro antichità e ubiquità i più importanti: le catastrofi naturali possono
corrispondere a catastrofi interne a crisi sociali di cui gli eventi naturali diventano l’espressione simbolica,
particolarmente importanti sono quelli legati ai corpi celesti.

7. Mito e nascita della scienza


Le scienze esatte degli ultimi due secoli si sono sviluppate come tecnica indifferente ai suoi scopi e ai suoi
contenuti perché tecniche lo sono state virtualmente sin dall’inizio solo che prima venivano applicate alla
preparazione e svolgimento del rito: le scienze matematiche e naturali hanno estrinsecato quel carattere di
conoscenze tecniche subordinate a scopi oggettuali od oggettivi esterni perché questa è sempre stata la
loro ragione d’essere.
Questo mostra come le scienze siano molto più vicine all’origine mitica che la filosofia.
Lungo epoche immemorabili sono stati i miti a permettere agli esseri umani di identificare, riconoscere,
spiegare i fenomeni naturali in cui vivevano immersi.
Le scienze umane nelle fasi più antiche erano uguali alle altre scienze, sono sorte come saperi tecnici
inerenti alla società e alle sue mediazioni e avevano il loro potere nella sfera oggettuale divina stesso
potere che avevano le altre scienze e che si scontra con il vuoto oggettuale contemporaneo

8. Mythoi vulcanici
La valenza proto-scientifica e pre-storiografica della mitologia arcaica ci viene testimoniata da molti esempi
di miti su fenomeni naturali (vulcani, inondazioni, ecc.): analogo alla scienza attuale con un grado di
precisione maggiore.
Pindaro ha trasportato in Occidente il mito del mostro Tifone che Zeus punisce sotto i fulmini e
seppellendolo sotto il vulcano siciliano: Catania in quegli anni aveva preso proprio il nome di Etna. Nella
descrizione la lava è descritta come mostruosa e sacra, definizione mantenuta anche da Eschilo.
 
9. La morte di Empedocle
L’Etna esplorato già a quei tempi nei periodi non eruttivi era anche il simbolo del collegamento tra cielo e
terra da cui nacque il famoso mito di Empedocle d’Agrigento che si getta nel cratere per provare il suo
status di sapiente divino dopo aver guarito una malata incurabile in una versione e salvato la città dalla
pestilenza deviando due fiumi nella seconda.
Empedocle era quindi un eroe sciamanico che dà salvezza alla comunità e compie l’ultima fatica ossia il
viaggio nell’aldilà.
Questo mito si è inciso nella memoria culturale collettiva non spiegabile con la semplice volontà di apparire
dal momento l’irreversibilità di questa azione diventa apparizione effettiva, una traccia esperibile e viva
delle mediazioni antiche.
Holderlin descrive l’Etna come inesauribile fonte mediatoria dalla quale il protagonista trae alimento per la
sua mediazione di poeta e sapiente ma esso è noumeno inaccessibile quindi gettarsi in esso è il desiderio di
giungere alle sue profondità mediatorie (questa impossibilità di raggiungerla in vita che sfocia nella follia è
simile alla follia dionisiaca di Nietzsche).

10. Sapienti divini antichi e moderni


Nel suo proemio Empedocle parla a dei cittadini armoniosi come provenienti da una nuova età dell’oro
configurandosi come lo sciamano che è diventato sapiente e predice le guerre e cura i mali ed è agghindato
come le vittime sacrificali poiché si è impadronito del segreto del sacrificio e della sua potenza mediatoria.
Questo passo ci procura la testimonianza di una fase di estrema plasticità, in cui tutti i saperi sono ancora
contigui e trapassano l’uno nell’altro, dentro un crogiolo unitivo che assume la funzione e il nome di
Philosofia.
Bataille paragona l’Etna ad una ferita come lo sono quelle di tutti gli umani nel suo caso la morte del padre
e della fidanzata.

11. Punti ciechi e guarigioni


La mitologia greca mette in luce due piani di elaborazione: il mythos che diventa sapienza perché lo è
sempre stato e una sapienza che torna ad essere mythos perché questa è la sua sorgente e il suo linguaggio
generatore.
Se dovessimo applicare meccanicamente il metodo mitico sostenuto da Girard al mito di Empedocle, cioè
equivarrebbe a postulare che Empedocle sia stato realmente gettato nel vulcano non è esclusa la veridicità
di alcuni sacrifici vulcanici ma è bastato l’utilizzo creativo di strutture narrative e simboliche di provenienza
mitico-rituale ma adattate alle mediazioni sapienziali che caratterizzano la cultura ellenica.
Il sacrificio è come il punto cieco dell’occhio non è una lacuna ma la sorgente generatrice del campo visivo.

VI. Sacrificio ed erotismo nelle baccanti

1. Cortei dionisiaci
La cultura ellenica è un mondo intermedio tra le mediazioni sacrali dell’oriente antico e le successive
mediazioni dell’ebraismo e del cristianesimo ed è capace di rappresentare varcando nuove soglie poiché
passa attraverso l’incalzare di crisi mediatorie e oggettuali.
Le varie guerre fino a quella di Sparta vs Atene hanno caratterizzato la storia della Grecia e hanno reso una
sapienza di tipo performativo e patemico come quella della tragedia privilegiata, è quindi la tragedia
ateniese ad accompagnare questa serie di crisi superate e a sviluppare una meditazione sulla violenza cause
e rimedi.
***
Le Baccanti di Euripide sono la storia più emblematica del ciclo dionisiaco concentrati intorno a due
momenti: l’opposizione di Panteo al culto dionisiaco e la feroce punizione del Dio che si ritorce in maniera
sanguinosa, i due erano tra l’altro cugini.
La nascita della tragedia deve avere a che fare con questo schema antagonistico chiamato Dithyrambos: il
canto del capro, impersonato da uomini travestiti, la cui azione magico-esecutiva conduce al suo sacrificio.
Nella tragedia greca l’atto sacrificale si trasforma in antagonismo con il Dio.
se la tragedia rappresenta i doppi vincoli della cultura e delle sue mediazioni, le Baccanti rispondono
all’intento, non superabile nel contesto antico, di evocarli e descriverli dentro e oltre la rappresentazione su
di essi fondata, intento che crea nuovi doppi vincoli: l’esperienza da cui parte il dramma è quella della crisi
che minaccia di sovvertire ogni ordinamento culturale e sociale e che ci viene fatta rivivere sin dall’inizio.

***
La lunga parodos delle Baccanti ci offre una sintesi mitico-rituale sul dionisismo.
Una sequenza narra poi la nascita del timpano, strumento utilizzato dai Cureti e altri demoni collettivi nei
culti orgiastici e a dominare la scena è Dioniso Bromios il dio delle grida.
Il rituale bacchico consisteva nel raggiungere uno stato di trance che facesse cadere le inibizioni e rendesse
pronti all’esecuzione del sacrificio: di regola le vittime erano animali che rappresentavano incarnazioni di
Dioniso.
In situazioni di crisi forti si doveva tornare a metodi di sacrificio più arcaici: il sacrificio a cui sta
introducendo Euripide parte dalla trasformazione teatrale del sacrificio, ma per evidenziare la forte crisi a
cui nessun sacrificio riusciva a far fronte e per mostrare l’affiorare nel cuore della grecia classica di rituali
praticati di norma con gran riserbo e sopratutto in zone periferiche o selvagge.

2. L’estasi omofagica dalla tragedia alla filosofia


Il procedimento seguito da Euripide era molto inusuale, non si respira più l’atmosfera indeterminata dei
racconti mitici ma direttamente i risvolti rituali del mythos.
Euripide ci descrive per la prima volta nella storia il Phainomenon dionisiaco nella sua cruda sostanza senza
censure: Dioniso raggiunge la suprema altezza quando tocca il punto più basso cadendo al suolo, fa
assaporare la massima dolcezza quando il desiderio di sangue si fa irresistibile.
La thaumazein è uno stato che non ha nulla a che fare con lo stupore psicologico con cui la definiscono i
moderni, è uno stato a cui Husserl si è avvicinato con la sua fenomenologia: esso ha una origine rituale,
dissolve le barriere tra fenomeno e noumeno ed è lo stato di fusione con l’oggetto di un’ammirazione
estatica e religiosa.
Il principio più inquietante e più violento è l’ultimo e primo fenomeno alla radice di ogni fenomeno, la
correlazione ancestrale in cui un oggetto si è manifestato a un soggetto collettivo ad esso rivolto in
un’intenzionalità primordiale, a Heidegger sfugge proprio questa storicità e religiosità della mediazione.
La conseguenza è che Heidegger non si è mai chiesto da dove provenisse la differenza tra l’essere le sue
manifestazioni che si affaccia per la prima volta sulla scenda dell’Occidente con l’idea e l’esperienza di
Parmenide in cui gli esseri viventi nascono dal loro principio per poi tornarvi secondo necessità.
I sacrifici propiziatori che avvenivano prima delle guerre non erano altro che la rappresentazione della
guerra stessa in cui in vincitori esibivano il più grande sacrificio quello voluto dagli dei.
Dionisio incarna quella violenza che è alla base di tutte le società antiche che ha fondato e mantenuto le
mediazioni quella violenza da cui bisognava proteggersi mentre bisognava ricorrersi in quel doppio vincolo
originario delle mediazioni arcaiche.

3. L’apice del sacrificio


Penteo, il discendente della stirpe del drago, nel mito e nella tragedia è l’anti-Dioniso che, come dichiara
con sistematica ambiguità lo Straniero, in lui combatte il Dio illudendosi di scacciare dalla città la frenesia
dionisiaca a cui pensa di essere estraneo ma subirà l’accesso rituale più orripilante e sarà fatto a pezzi da
sua madre Agave e dalle altre baccanti tebane rese folli dal Dio di cui viene anche privato della testa che
viene tenuta dalla madre come un trofeo.
Il tema della sapienza, ricorrente nel testo ad ammonire sugli invalicabili limiti del sapere umano, si
converte di colpo nel tema della parte del corpo che ne è la depositaria e quello che deve far specie è che la
tragedia di Euripide trattata di questi temi come la decapitazione in pieno giorno.
Euripide vuole trasmetterci l’esperienza di un divino che non risale a un’entità definita, a un essere
immortale al quale rivolgersi, ma a un evento che è divino in se stesso, a un atto che è esso stesso dio e che
si riferisce al sacrificio di un preumano per garantire a tutti di diventare umani anche se egli è ancora
troppo legato al rito per osservarlo con rappresentazioni teoriche così esplicite.
La tragedia descrive la macabra realtà dei miti astenendosi dal nominarli solo per decoro.
Dopo aver descritto lo sbranamento di Dioniso ad opera dei Titani, lo scrittore cristiano Firmico Materno,
aggiunge l’epilogo rituale per il quale i suoi sudditi, al fine di placare l’ira del loro re, decidono di
commemorare il triste evento ad anni alterni, sbranando un toro vivo nella foresta e facendogli credere di
farlo per follia divina e non a una volontà criminale.
Penteo viene sbranato dalle donne, tema ricorrente delle molte donne contro un uomo, e nelle ultime fasi
prima del suo sacrificio ha allucinazioni in cui gli pare di vedere doppia la città di Tebe e Dioniso trasformato
in toro

4. Disvelamenti e metamorfosi sacrificali


In ogni azione che si presenta carica di significato come nel sacrificio è essenziale il compito di determinare
chi l’ha compiuto del caput: nelle Baccanti è Penteo stesso.

***
Il timpano è inventato dai Coribanti-Cureti specificamente per il coro delle baccanti e tuttavia in precedenza
è Dioniso in persona a invitare le menadi del suo corteo a usare questi strumenti che presentano la
disposizione spaziale costantemente sottesa dalla tragedia, un cerchio rituale che ruota attorno alla vittima
e si chiude a spirale come nei titani, nei cureti, nella danza del labirinto.
Le Baccanti sono il corrispettivo femminile dei Cureti nel loro rito iniziatico e protettivo.

5. Componenti erotiche nelle Baccanti


Varie sono le componenti erotiche della tragedia: Penteo viene travestito da donna e probabilmente viene
sodomizzato passivamente.
Egli però apprezza il Dio che ha fatto imprigionare e lo descrive con aggettivi di apprezzamento,
apparentemente sembra che Penteo sottometta il Dio dotato di un fisico giovane, con capelli lunghi e
carnagione chiara ma in verità si sta per compiere un’inversione poiché il dio non puó che mostrarsi come
un adulto di fronte al giovane monarca e questo avviene non appena Penteo è vestito da donna e Dioniso
inizia ad apprezzarlo con chiari riferimenti al suo sacrificio che sta per avvenire.
Il testo attira la nostra attenzione sulla crisi oggettuale, destinata a mettere sottosopra ogni cosa e a
perdersi nell’epilogo sacrificale che non ricompone socialmente ma come Penteo resta un macabro
aggregato di pezzi.
Lungi dal negare la centralità dell’oggetto la distruzione oggettuale la presuppone e dimostra con tutta
l’intensità che possono avere solo le distruzioni reali, ed è la tragicità di questa esperienza che il dramma di
Euripide intende farci rivivere.
Con l’inversione dei sessi e tutto quello detto prima Euripide non vuole rendere il sesso u pretesto ma
mostrare quanto pericoloso sia rendere il sesso un pretesto provocando la caduta dell’oggettualità sessuale
e di genere da cui dipende la vita del mondo cittadino ed umano. Penteo si vergogna di essere visto vestito
da donna: il pharmakon era la vittima dello stato che veniva ridicolizzata per le strade prima di essere
uccisa.
Bataille mostra come l’erotismo sia legato al sacrificio e come la crisi che lo prepara e lo rende necessario
arriva ad avere come obiettivo il ripristino della vita quotidiana, nuovamente carica del suo significato che
la quotidianità le sottraeva.
La sessualità umana non è mai un oggetto naturale indipendente dalle mediazioni è la più intensa
motivazione oggettuale degli esseri umani.
7. Il mistero della donna nell’antica Grecia
Eraclito in opposizione ad Omero afferma che il più bello dei generati sarebbe carne alla rinfusa qualora
non fosse il frutto dell’unione tensionale tra principio maschile e femminile, il dispiegarsi dell’armonia
nascosta di tutte le cose al pari del sacrificio.
Per Parmenide è Persefone la cui prima azione fu quella di guidare l’accoppiamento di maschio e femmina
nei due sensi di una duplice direzione di fertilità e poi esprime l’importanza di Afrodite di legare con
l’amore.
L’armonia delle donne presenta una disarmonia costitutiva che fa si che esse vivano nel loro dolore per
assicurare la continuità della vita.
Euripide nelle baccanti descrive una crisi oggettuale della mediazione maschile e femminile.
Al termine delle Baccanti Agave si rende conto di ció che ha compiuto e scappa dalle mediazioni divine che
l’hanno beffata.
Euripide dà dignità alla mediazione femminile lasciando la voce finale ad Agave dopo che essa è stata
mossa da Dioniso per tutta la tragedia

Conclusione: Dall’ellenismo al crollo del moderno

1. Nascita e morte delle mediazioni


Spengler traduce l’eterno ritorno di Nietzsche in una concezione organicistica di storia in cui ogni civiltà,
ogni kultur è legata a un inesorabile ciclo di nascita, sviluppo e decadenza, di cui la Zivilisation è la
manifestazione finale.
Le mediazioni non sono meri prodotti della natura ma risultati dell’interazione fra esperienza umana e
ambiente oggettivo in cui si immergono e attendono la scintilla del significato, esse muoiono quando
qualcosa si spezza nel circuito generatore intercorrente tra loro e sfera oggettuale che le alimenta ma la
morte dell’oggettualità culturale può segnare la creazione di nuove possibilità per la cultura.

2. Alessandro Magno come individuo storico-cosmico


La Grecia è stata incapace di realizzare in se stessa una mediazione universale per superare i confini della
polis.
L’imperialismo di Alessandro è quasi la logica conseguenza dell’imperialismo concettuale del pensiero del
suo precettore Aristotele come in un sillogismo il cui esito perfetto sarebbe stato la conquista dell’impero
persiano. Alessandro diventa l’alter ego di Dioniso saturo di vitalità ma pronto a punire chiunque gli sbarri
la strada. 
Alessandria d’Egitto, la grande capitale dei commerci e della cultura mediterranei è l’immagine della
creatività greca a cui le altre culture si sottomettono: un incontro tra Grecia e Oriente è dovuto anche al
fatto che la penetrazione della cultura greca era già avvenuta in Oriente e soprattutto la civiltà greca aveva
sviluppato i vari prestiti ottenuti dal vicino oriente.
Alessandro accanto al personaggio luminoso e sublime fu un tenebroso omicida in un governo dionisiaco.
L’espansione imperiale del mondo classico avverrà costantemente all’insegna del duplice e spietato
pendolo tra massacri interni e imperialismo esterno e tra pacificazioni interne e massacri esterni
riassumendo ciò che è la natura delle mediazioni politiche.

3. La mediazione di Roma
La mediazione romana nasce dal fratricidio di Remo e dallo sparagmos di Romolo ma non annulla la crisi da
cui è sorto la rilancia in una formula dinamica.
Roma diventa la città del fratricidio costellata da continue guerre civili e la potenza di Roma fu proprio
padroneggiare violenze inaudite che ne confermavano la grandezza.
L’imperatore romano è un guerriero fratricida e impunito che ha trasformato il suo delitto in salvezza della
res publica prima che qualcuno lo uccida allo stesso modo.
Processo inverso del fratricidio interno che garantiva potenza esterna era quello con cui i conquistati
venivano sacrificati in macabri giochi di uccisione durante il trionfo.
La caduta dell’impero romano è dovuta NON allo svuotamento oggettuale interno ma esterno infatti
s’interrompe il costante e ingente alimento di oggetti da distruggere e civilizzare.

La mediazione ebraica e cristiana

La mediazione cristiana si è formata all’interno dell’impero romano fino a prenderne il posto.


È il monoteismo ebraico a conferire alla nozione di Dio quella profondità e pienezza oggettuale che ancora
mancava alla filosofia greca e a introdurre un’esperienza che sbaraglierà le mediazioni troppo sfocate.
La predicazione di Gesù nasce in un contesto fortemente ellenizzato egli é il mediatore unico e autorizzato
del Dio di Israele e gli si avvicina per una libera risposta d’amore che proviene da una situazione di colpa ciò
è da leggere in linea con la dottrina platonica di Eros come mediatore tra umano e divino.
La testimonianza di Gesù manifesta che la mediazione del Dio che lo ha inviato si attua precisamente col
prendere il posto di chi paga il prezzo delle mediazioni degli altri, sovvertendone dall’interno la dipendenza
sacrificale, fatto inevitabile e indispensabile ma che ha portato al vuoto di mediazione da cui nasce il
moderno.

5. Globalitarismo
Per globalitarismo s’intende il nuovo regime totalitario di massa esteso a tutto il pianeta che con
l’economia capitalistica esercita il suo potere incontrastato incarnando le ragioni della democrazia e del
progresso. Tutto sembra dare ragione a quegli intellettuali che attaccavano lo spettro odioso e ipocrita della
Zivilisation.

6. L’acefalo di massa
La ricerca delle mediazioni più varie ed estreme ha portato come osservó Freud nel 1921 a un fenomeno a
una struttura cristallizzante d’identificazione di massa verso un capo prestigioso come è accaduto con esiti
tragici nelle due guerre.
Il capo totalitario diviene uno sciamano per l’uomo comune che nel capo e nel partito può trovare la
mediazione tanto agognata.
È D’annunzio a cogliere i prodigiosi poteri che si racchiudevano nella richiesta implicita di nuove mediazioni
di massa che percorreva le società in crisi dei paesi europei.
Mann riconduce l’esigenza mediatoria delle masse moderne alla sua categoria di magia.
La soluzione cercata nei regimi del dopoguerra è stata quella di neutralizzare la carica smodatamente
sciamanica utilizzandone e perfezionandone la propaganda  e verificatosi sopratutto nella USA così
impegnata a sconfiggere i totalitarismi.
L’acefalo batailliano si è verificato in un potere senza soggetto che non chiude però a delle aperture dal
basso non condizionate dalle logiche del potere che possono sfociare in creatività.

7. Due osservazioni, a dischiudere


L’uomo contemporaneo ha bisogno di rivivere sciamanizzandosi la sua intera esperienza ominizzante e lo fa
con gli stupefacenti e gli eventi sportivi e artistici caratterizzati dall’entusiasmo estatico e la divinizzazione
dei beniamini e rilanciando a livelli esponenziali nella mentalizzazione del sacrificio.
Lo sciamano è la mediazione stessa che s’impone all’umano e lo rende possibile di cui Cristo è l’ultimo
passo verso una mediazione che liberi l’uomo dai riti sciamanici.

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L’orfismo: Il mythos orfico


Il mito dei titani ha una versione più cruda dove Dioniso viene sbranato vivo e non bollito, questa versione
era usata dal movimento orfico come vicenda esplicativa delle origini dell’umanità poiché nell’orfismo gli
umani nascono dalle ceneri dei titani fulminati da Zeus.
Pare quasi un peccato originale simile a quello di ebraismo e cristianesimo.
L’orfismo ha sicuramente influenzato il Fedro e la soteriologia platonica in generale.
Ai tradizionali culti poliadi, caratterizzati dal loro carattere pubblico e collettivo, si aggiungono e si
coordinano culti misterici basati sulle aspettative più individuali di sopravvivenza dopo la morte.
Le più antiche tracce dell’orfismo si ritrovano negli ultimi decenni del VI sec a.c. legate a una riforma
religiosa commisionata da Pisistrato con il compito di mettere in forma scritta i poemi di Omero.
Un’idea è che l’orfismo sia nato dai cosidetti misteri di Eleusi legati al culto di Dioniso ad Eleusi poi
conquistata da Atene.
L’orfismo è il modo creativo con cui lo spirito greco ha plasmato e ridefinito il sapere del mythos verso
nuove mete rappresentazionali e oggettuali di cui vediamo in Platone il risultato estremo.
Secondo il mythos orfico l’umanità è sorta dal dramma della triplice nascita di Dioniso, figlio illegittimo di
Zeus e di Semele, La prima nascita è quando Zeus uccide Semele sottoforma di fulmine e si cuce il bambino
nella propria coscia, la seconda quando questa “gravidanza” giunge al termine: la nascita dalla coscia,
prolungamento del fallo, era dovuto allo staccamento del fallo dal suo portatore per una lacerazione
violenta nello Sparagmos. Il mito è nato trasformando il simbolismo fallico dello smembramento maschile
passando per esperienze d’identificazione mentale con tale vittima e con ciò che l’evento commemorava

Anassimandro:  L’impersonalità ontologica di Anassimandro


È il coro che all’interno della tragedia greca con la sua funzione mediatoria ci fa capire la genesi culturale e
sociale dell’impersonalità tragica, vale a dire la collettività, la vera fonte che fa sorgere le persone che la
compongono e le fa rientrare nel suo seno appena ne termina l’esistenza.
Questa concezione opposta all’individualità moderna delinea due estremi principali il pensiero greco
arcaico e la riflessione contemporanea.

***
La primissima espressione della legge dell’impersonalità tragica risale all’antico filosofo Anassimandro a cui
Empedocle s’ispirò fortemente nella formazione di una legge distributiva presentata nel proemio delle
purificazioni di Empedocle in cui tutti traggono nascita dalle cose verso su cui si dirige per necessità la loro
rovina che coincide con l’archè di Anassimandro da cui gli onta sorgono e in cui ritornano.
Tutti gli onta (gli esseri viventi) sorgono tramite l’intermediazione delle forza agenti del mondo, dal
principio dell’apeiron (il divino), questo è rappresentativo della rotatorietà della poleis in cui ogni cittadino
era uguale e occupava a turno tutte le cariche.

Eraclito: La crisi della polis e il pensiero socratico


Tra il V e il IV secolo la cultura greca conosce una crisi commisurata a quella della polis e che si riflette nello
svuotamento mediatorio.
Particolare è la posizione di Eraclito, aristocratico, che si oppose ai democratici che avevano preso potere
ad Efeso mostrando il fatto che essi hanno individuato il segreto dell’ordine ontologico e cosmico ma si
ribellano sovvertendo gli ordini gerarchici della polis che è il suo microcosmo.

L’impersonalitá tragica e il dibattito della sofistica


Euripide nella sua tragedia utilizza il principio dell’impersonalità tragica che presiede alla formazione e
all’azione sei singoli personaggi e secondo tale principio nessun personaggio può evocare a sè interamente
la verità della fabula.
Ció non garantisce un’omeostasi interna e ricade sulle parti che dovrebbe sussumere facendole venire alla
luce nel momento che le destabilizza fino a distruggerle.
Questa impersonalità è la forza organizzativa che consente al dramma greco di impersonare i suoi
personaggi, nella duplice e ambigua accezione di far loro indossare la maschera.
Secondo Gorgia il miracolo della tragedia è che offre uno spettacolo per cui chi inganna è più giusto e chi è
ingannato è più sapiente: nel primo caso il tragediografo con la sua brillantezza ha una maggiore giustizia
veritativa e chi crede nell’inganno, rispetto a chi non conosce i segreti di tale finzione, dimostra maggiore
sapienza anche fuori dalla scena chi riesce ad ingannare è il giusto per il funzionamento del mondo e chi
viene ingannato riesce a vivere grazie agli inganni condivisi della maggioranza.
Il Fedro di Platone
Non dobbiamo farci sfuggire la svolta che Platone imprime a questo dilemma tra mythoi che avevano dalla
loro la tradizione, ma che di per sè soli rimanevano assurdi e le spiegazioni ingegnose che ne offriva la più
avanzata cultura ateniese da Socrate a Platone e che tuttavia ne facevano cadere ogni funzione mediatoria
e salvifica.
La salvezza non sta nell’auriga o nell’anima come si è spesso detto di Platone ma nell’unità che le varie
componenti mantengono attraverso l’esperienza amorosa vista nella sua pericolosità e nella sua verità
umana. Il mythos corrisponde al medium che permette all’umano di intercettarne il bello. 
In questo Socrate che ci presenta Platone egli interiorizza e trasforma l’antica capacità sciamanica di
introflettere in sè il sacrificio concentrandone e rilanciandone la potenza a un livello trasformato, cambia la
circostanza poiché il filosofo greco raggiunge quella personalità individuale sconosciuta alla mediazione
sciamanica.

La tragedia in Platone
Platone nelle “leggi” ultima sua imponente fatica torna ad argomentare sulla battaglia mediatoria. Il
portavoce platonico si rivolge al legislatore per spiegare i motivi dei drastici provvedimenti di limitazione
alla poesia riferendosi ai poeti tragici che come una fonte si lasciano trapassare dalla narrazione dei fatti
inscenando anche pensieri opposti talvolta: Platone propone quindi una critica alla tragedia.
Egli vorrebbe che il mythos poetico fosse subordinato alla mediazione conoscitiva della sua filosofia per far
si che il poeta non si lasci a rappresentazioni contraddittorie che gli impediscono di padroneggiare il logos.
Nella poesia come nelle tombe secondo Platone si deve tenere una giusta misura che è quella di Dio inteso
come principio mediatorio e unificante.
La novità è che la tradizione collettiva e religiosa non basta, bisogna fornire una ragione interna di ciò che è
medium, risalente al Dio che è metron di tutte le cose tramite la filosofia.
Platone non condanna l’imitazione che si attua nella poesia ma il fatto che questa mimesi si sgancia dalla
sua posizione subordinata e diventa forza incontrollabile in crisi oggettuale permanente che destruttura la
congruenza tra uomo e idee.
Platone vorrebbe che le sue opere fossero usate come strumento di mediazione tra l’uomo e il divino in
quella che è l’unica vera tragedia.
Successivamente l’invidiosa Rea fa divorare Dioniso dai titani, Zeus fulmina i titati e dal fallo unica parte
rimasta fa nascere per la terza volta il figlio.
Gli umani nascono dalle ceneri dei titani e questo spiega la loro natura violenta però essi avevano già
mangiato Dioniso vi è perciò in ogni umano una piccola componente dionisiaca e divina prigioniera nel
corpo che bisognava liberare tramite l’iniziazione orfica: un sacrificio animale in cui si riviveva la vicenda
dell’uccisione e dela successiva vita eterna.
Le stesse idee platoniche vanno interpretate come il principio divino di ogni realtà sussistente come
avveniva all’anima del fedele orfico che riviveva l’esperienza del dio che muore e rinasce

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