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Il paradosso dell’ovvietà
Nonostante le differenze nel linguaggio, le due dichiarazioni del XVIII secolo si basavano entrambe
su un’affermazione della loro ovvietà. Questa affermazione dell’ovvietà crea però un paradosso:
se l’uguaglianza dei diritti è così ovvia, perché è stato necessario fare queste rivendicazioni?
La storia dei diritti umani rischia di diventare la storia della civiltà occidentale, ma come spiegare
l’improvvisa cristallizzazione delle rivendicazioni dei diritti umani alla fine del XVIII secolo?
I diritti umani richiedono tre qualità interdipendenti: 1) devono essere naturali (inerenti agli esseri
umani); 2) uguali (gli stessi per tutti); 3) universali (applicabili ovunque).
Perché i diritti siano diritti umani, tutti gli esseri umani nel mondo devono goderne in egual misura.
I diritti umani diventano significativi quando acquistano contenuto politico (diritti sanciti nel
mondo politico laico). L’uguaglianza, l’universalità e la naturalezza dei diritti hanno trovato
espressione politica diretta per la prima volta nella Dichiarazione di indipendenza americana e nella
Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino (in qualche momento tra il 1689 e il
1776 diritti che erano stati considerati come i diritti di una particolare categoria di persone furono
trasformati in diritti umani, in diritti naturali universali).
CAPITOLO I
TORRENTI DI EMOZIONI. LEGGERE ROMANZI E IMMAGINARE L’UGUAGLIANZA
Nel 1761 Rousseau pubblicò un romanzo epistolare chiamato Giulia, la versione contemporanea di
Abelardo e Eloisa. Il romanzo di Rousseau ebbe un inaspettato successo. Ciò che colpì
maggiormente i lettori fu la facilità con la quale loro riuscirono ad immedesimarsi nei personaggi.
Giulia iniziò i lettori ad una nuova forma di empatia, incoraggiando i lettori in un’identificazione
altamente emotiva con i personaggi del romanzo e permise ai lettori di provare empatia al di là
della classe, del sesso e dei confini nazionali. I lettori del XVIII secolo tendevano ad
immedesimarsi con le persone appartenenti allo stesso ceto sociale, ma ora avrebbero dovuto
tuttavia imparare ad identificarsi empaticamente attraverso confini meno rigidi.
Romanzi ed empatia
Romanzi come Giulia indussero i lettori a immedesimarsi in personaggi comuni che per definizione
il lettore non conosceva personalmente.
I romanzi diffusero l’idea che tutte le persone sono simili in ragione dei loro sentimenti intimi, e
molti diedero particolare risalto al desiderio di autonomia. La lettura dei romanzi creò così un
senso di uguaglianza e di empatia attraverso il coinvolgimento emotivo nella narrazione. Non è
certamente un caso che i tre grandi romanzi epistolari del Settecento (Giulia, ma anche Pamela e
Clarissa di Richardson) siano stati pubblicati poco prima della comparsa del concetto di diritti
dell’uomo.
Naturalmente il concetto di empatia non fu inventato nel XVIII secolo, l’empatia è un concetto
universale perché è radicata nella biologia cerebrale; dipende dalla capacità di comprendere la
soggettività di altre persone e di immaginare che le loro esperienze intime siano simili alle nostre.
Leggendo, l’immedesimazione nei personaggi oltrepassava i limiti sociali tradizionali tra nobili e
comuni cittadini. Senza questo processo di apprendimento, l’uguaglianza non avrebbe avuto
assumere un significato così profondo e avere una sua conseguenza politica.
Nel romanzo epistolare non esiste un punto di vista dell’autore, esterno e al di sopra dell’azione; il
punto di vista dell’autore emerge dalle idee espresse dai singoli personaggi. Questo permise di
accentuare l’identificazione nel personaggio, come se fosse reale e non immaginario. Riusciva a
produrre straordinari effetti psicologici perché la sua forma narrativa favoriva lo sviluppo di un
personaggio, di una persona con una propria interiorità.
Sia uomini che donne, intellettuali e non, si identificavano in Giulia, Clarissa o Pamela,
indistintamente. L’identificazione psicologica che porta all’empatia si verificò senza distinzioni di
sesso. Il romanzo epistolare era in grado di dimostrare che l’individualità dipendeva dalle
caratteristiche dell’interiorità (avere una vita interiore), perché i personaggi nelle lettere esprimono i
loro sentimenti intimi. Dimostrarono che ogni io era dotato di interiorità e quindi in un certo
senso tutti gli uomini erano uguali, perché tutti possedevano allo stesso modo un’interiorità.
Abbrutimento o edificazione?
I contemporanei sapevano, in base alla loro esperienza, che la lettura dei romanzi esercitava effetti
sul corpo e non solo sulla mente, ma discordavano sulle conseguenze. I romanzi non erano
ovviamente ben visti dal clero cattolico e protestante che ne denunciava l’oscenità, la corruzione e
la degradazione morale che diffondevano, anche se non mancò qualche esponente che insistette sul
fatto che i romanzi trattassero argomenti che avevano sempre regnato e più che tentare di vietarli
del tutto, bisognava renderli buoni.
In generale, il pericolo stava proprio nella loro forza di attrazione: insistendo continuamente sulle
seduzioni dell’amore, incoraggiavano i lettori ad agire in base ai loro istinti peggiori, a rifiutare i
consigli dei genitori e della Chiesa, a ignorare le restrizioni morali della comunità.
Ecclesiastici e medici (come lo svizzero Tissot) erano quindi d’accordo nel considerare la lettura dei
romanzi era considerata una perdita di tempo, di fluidi vitali, di religione e di moralità.
Secondo questa tesi, i romanzi stimolavano eccessivamente il corpo, incoraggiavano un
egocentrismo moralmente sospetto e provocavano azioni distruttive dell’autorità familiare, morale e
religiosa.
Significativa è l’ammissione di Diderot, riguardo la lettura dei romanzi. Egli riconosce la capacità
di suscitare identificazione o empatia, la consapevolezza che anche gli altri hanno un io, in altre
parole ha quella che egli stesso ha definito “sentimento interiore” necessario per i diritti umani.
Diderot comprende inoltre che l’effetto del romanzo è inconscio, esercita il suo effetto attraverso il
processo di coinvolgimento nella narrazione e non per mezzo di un moralismo esplicito.
Ancora più importante è la tesi di Henry Home, scritta nell’Element of criticism, in cui ipotizza che
la narrativa in generale crea una specie di presenza ideale o sogno ad occhi aperti. Egli descrisse
questa presenza ideale come uno stato simile alla trance, che fa sì che ogni evento venga percepito
come se avvenisse in sua presenza. L’aspetto più importante è che questa trasformazione
promuove la moralità e apre il lettore a sentimenti che rafforzano i vincoli della società e questo
secondo lui promuove la moralità. Gli individui vengono distratti dai loro interessi privati e spinti a
compiere atti benevoli e generosi. Anche Jefferson, come Home, sosteneva che la narrativa può
infondere sia i principi sia la pratica della virtù.
La continua opposizione tra opinioni cattoliche e non sul romanzo, mise in gioco la valorizzazione
della vita laica ordinaria come fondamento della moralità. Per coloro che criticavano i romanzi,
la compassione per l’eroina di un romanzo stimolava il peggio di un individuo, dimostrando la
degenerazione del mondo laico. Per i sostenitori invece, tale identificazione dimostrava che il
risveglio della passione poteva contribuire a trasformare la natura intima dell’individuo e produrre
una società più virtuosa. I lettori del romanzo erano attirati da esso come se fosse una sorta di
esperienza religiosa sostitutiva. Il lettore imparò a riconoscere l’intensità emotiva dell’ordinario e
la capacità di persone simili a loro di creare autonomamente un mondo morale. I diritti umani
riuscirono a fiorire solo quando gli individui impararono a pensare agli altri come loro pari,
fondamentalmente uguali a loro e ci riuscirono identificandosi con personaggi comuni che
sembravano presenti e familiari, nonostante fossero immaginari.
CAPITOLO II
OSSA DELLE LORO OSSA. L’ABOLIZIONE DELLA TORTURA
Mentre nel 1762 Rousseau introduceva per la prima volta l’espressione “diritti dell’uomo”, a Tolosa
si consumava il processo di Jean Calas, reo di aver ucciso il figlio per impedirgli di convertirsi al
cattolicesimo. Fu condannato al supplizio della ruota. Prima dell’esecuzione, fu sottoposto alla
tortura preliminare per far confessare i complici. Fu legato ad un sistema di carrucole che gli
tiravano le gambe e i piedi con l’intenzione di squassarlo; poi fu costretto a ingoiare litri d’acqua
con la bocca tenuta aperta da due bacchette; dopo aver dichiarato di non aver commesso il delitto e
di conseguenza non aver avuto complici, fu giustiziato. La morte alla ruota non era rapida, ma si
componeva di due fasi. La prima consisteva nel legare il condannato ad una croce a forma di X e
fratturargli gli arti con ripetuti colpi, poi, con l’aiuto di un cappio intorno al collo, disarticolava le
vertebre del collo mentre gli si infliggevano colpi sull’addome con una mazza di ferro. Infine, il
corpo veniva ripiegato su sé stesso e legato ad una ruota di carrozza in cima ad un palo di tre metri.
Il violentissimo processo attirò l’attenzione di Voltaire che in un libro chiamato Trattato sulla
tolleranza in occasione della morte di Jean Calas, usando per la prima volta l’espressione “diritti
umani”, concentrò la sua critica non tanto sulla crudeltà della tortura, ma sul fanatismo religioso (si
trattava di un caso palese di suicidio) ma bensì sui motivi della condanna e sul mancato rispetto
dei diritti umani.
Voltaire, dopo il caso Calas, cominciò la sua pesante critica al sistema di giustizia penale,
definito incivile e arretrato, visto che negli altri paesi la tortura era stata abolita con successo.
Dal 1780 anno della soppressione della tortura imposta alla vittima per confessare, in Francia si
susseguirono una serie di modifiche al sistema di giustizia penale. Nel 1788 fu abolita
provvisoriamente la tortura preliminare mentre l’anno successivo furono soppresse tutte le forme di
tortura. Infine, nel 1792 fu introdotta la ghigliottina allo scopo di rendere più indolore e uniforme
l’esecuzione.
Tortura e crudeltà
La tortura fu introdotta o reintrodotta nella maggior parte dei paesi europei nel XIII secolo, in
conseguenza del ritorno in auge del diritto romano e sull’esempio della Santa Inquisizione cattolica.
Nei secoli successivi, si tentò di codificare e regolarizzare l’uso della tortura giudiziale. Le prime
forme di apertura ad un uso più coscienzioso della tortura provennero dalla Gran Bretagna che con
il Bill of Rights del 1689 proibiva espressamente le pene crudeli a tutti gli uomini, conservando
però la messa al rogo delle donne, abolita solamente nel 1790. Il Bill of Rights non tutelava gli
schiavi, perché non erano considerate persone con diritti giuridici; potevano essere bruciati a morte,
torturati alla ruota o appesi in catene fino al sopraggiungere della morte per inedia.
In Francia la pena capitale era inflitta in modi differenti a seconda delle classi sociali
d’appartenenza e alla gravità del crimine commesso: ai nobili spettava la decapitazione, ai criminali
comuni l’impiccagione, ai colpevoli di lesa maestà la trazione e lo squartamento etc.
Solo a partire dalla metà degli anni ‘60 del XVIII secolo, furono molte le campagne di varia natura
a favore dell’abolizione della tortura dello Stato e a favore di una maggiore moderazione delle
pene. I riformatori attribuirono i risultati alla diffusione dell’umanitarismo illuminista. L’impulso
immediato a riflettere sull’argomento proviene gran parte da “dei delitti e delle pene” di Cesare
Beccaria. Questo libretto pose i riflettori sul sistema di giustizia penale di ogni paese. Beccaria
contestava non solo la tortura e le pene crudeli, ma anche la pena di morte, proponendo un
modello democratico di giustizia.
Beccaria contribuì a valorizzare il nuovo linguaggio del sentimento (non è utile la pena di morte per
l’esempio di atrocità che dà agli uomini, contesta l’inutile crudeltà delle pene strumento del furore e
del fanatismo). Il giurista inglese Blackstone, dopo aver letto Beccaria, fece il collegamento che
sarebbe poi diventato caratteristico del pensiero illuministico: la legislazione criminale deve
fondarsi su principi dettati sempre sulla verità, giustizia, pietà, e sempre conformi ai diritti
imprescindibili del genere umano.
La persona riservata
Dopo il XIV secolo iniziò ad accentuarsi la distinzione tra la separazione dei corpi, gli individui
diventarono più riservati, si abbassò la soglia del pudore e aumentò la spinta sociale verso un
maggior autocontrollo (il libero sfogo delle emozioni e i comportamenti aggressivi divennero
socialmente inaccettabili). Queste modificazioni furono i sintomi superficiali della nascita
dell’individuo autonomo, i cui confini dovevano essere rispettati nelle interazioni sociali.
Possesso di sé e autonomia richiedono sempre più autodisciplina. Queste nuove esperienze
permettono la comparsa della sensibilità stessa (gli amanti dell’opera iniziarono ad ascoltare la
musica in silenzio e ad avere un’esperienza paragonata a quella religiosa). Gli sfoghi collettivi
lasciano il posto a esperienze intime personali più sobrie. La distribuzione degli spazi nelle case
rafforzò questo senso di riservatezza personale (introduzione della camera da letto personale e di
stanze private nelle famiglie più ricche). Le mostre d’arte esibiscono un numero crescente di ritratti
anche di persone comuni. La proliferazione dei ritratti personali assecondò l’idea che ogni persona
era un individuo, cioè unica, distinta, speciale originale, e andava quindi raffigurata come tale.
Diventò importante la verosimiglianza come modo di definire la specificità di ognuno. La
ritrattistica femminile inoltre, evocava sentimenti ed emozioni.
Le passioni e la persona
Per Muyart il peccato originale spiegava l’incapacità degli esseri umani di controllare le loro
passioni. A suo parere le fonti della criminalità erano le passioni, il desiderio e la paura. Queste
passioni soffocavano i sentimenti dell’onore e della giustizia iscritti nel cuore degli uomini dal
diritto naturale
(la Divina Provvidenza conferiva ai sovrani l’autorità suprema sulla vita degli uomini, ed essi la
delegavano ai giudici). Scopo del diritto penale era quindi di prevenire il trionfo del vizio sulla
virtù. I riformatori alla fine invertirono le premesse filosofiche e politiche di questo modello e
proposero invece di coltivare le qualità positive innate nell’uomo attraverso l’educazione e
l’esperienza. Secondo il fisiologo Charles Bonnet, le passioni erano il solo motore dell’essere
sensibile e degli esseri intelligenti. Le passioni erano positive e attraverso l’educazione potevano
essere mobilitate a favore del miglioramento dell’umanità, che era ora considerata perfettibile
anziché innatamente malvagia. Secondo questa dottrina, i criminali potevano quindi essere rieducati
pur avendo commesso errori. La tortura ebbe fine perché la concezione tradizionale del dolore e
della persona andò in frantumi, venendo sostituita da una nuova concezione secondo cui gli
individui possedevano il loro corpo, avevano diritto alla loro riservatezza e all’inviolabilità fisica,
riconoscevano in altre persone le passioni, i sentimenti e le simpatie che essi stessi provavano.
CAPITOLO III
“HANNO DATO UN GRANDE ESEMPIO”. LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI
DICHIARAZIONE: l’atto di affermare o proclamare pubblicamente sotto forma di documento o
atto pubblico.
Perché i diritti devono essere enunciati in una dichiarazione? Perché si avverte la necessità di una
dichiarazione ufficiale? Le campagne per l’abolizione della tortura e delle pene suggeriscono che
una dichiarazione pubblica e solenne sancisce i cambiamenti che si sono verificati negli
atteggiamenti di fondo.
Le dichiarazioni dei diritti nel 1776 e nel 1789 aprirono prospettive nuove (in America
contribuirono a determinare un trasferimento di sovranità da Giorgio III e dal parlamento britannico
a una nuova repubblica e in Francia da una monarchia che pretendeva un’autorità assoluta a una
nazione e ai suoi rappresentanti). La storia del termine dichiarazione fornisce indicazioni sul
trasferimento di sovranità. Il termine inglese “declaration” deriva dal francese “déclaration”. In
Francia il termine era adoperato in relazione con un catalogo di terre che venivano concesse in
cambio del giuramento di fedeltà ad un signore feudale. Nel corso del XVII secolo l’atto di
dichiarazione si legò sempre di più alla sovranità.
Nel 1776 e 1789 i termini carta, petizione e disegno di legge sembrarono tutti inadeguati ad
assolvere il compito di garantire i diritti, Dichiarazione invece aveva un tono meno antiquato e
remissivo e poteva esprimere l’intenzione di rivendicare la sovranità.
Queste dichiarazioni erano al tempo stesso atti conservatori e progressisti. In ciascun caso, i
dichiaratori affermarono di ratificare dei diritti già esistenti e incontestabili. Così facendo
realizzarono un ribaltamento della sovranità e crearono una base completamente nuova per il
governo.
La dichiarazione d’indipendenza affermava che il re Giorgio III aveva calpestato i diritti preesistenti
dei coloni e che le sue azioni giustificavano l’instaurazione di un governo separato. Analogamente i
deputati francesi dichiararono che questi diritti erano stati semplicemente ignorati, dimenticati o
disprezzati. Le dichiarazioni proponevano che da quel momento in avanti tali diritti costituissero il
fondamento del governo, anche se non lo erano stati in passato.
CAPITOLO IV
NON AVRA’ MAI FINE. LE CONSEGUENZE DELLE DICHIARAZIONI
I deputati dell’assemblea nazionale del 1789 cominciarono a porre questioni circa i diritti delle
minoranze. Secondo il conte Clemont-Tonnere, o si istituiva una religione di stato, oppure si
ammettono al voto e alle funzioni pubbliche i fedeli di ogni religione. Le credenze religiose non
dovevano essere motivo di esclusione dal godimento dei diritti politici e che quindi anche gli ebrei
avrebbero dovuto avere pari diritti. Neppure la professione doveva essere motivo di esclusione. Le
discussioni sui diritti tendevano dunque ad avere un effetto a cascata
Già in America, nel 1776 John Adams temé che ciò avrebbe portato ad una estensione e una
richiesta dei diritti anche da parte delle donne, minorenni e meno abbienti.
Ancora prima che la dichiarazione francese fosse scritta, l’abate Sieyes aveva sostenuto la necessità
di distinguere diritti naturali e civili dei cittadini, da un lato, e i diritti politici dall’altro.
Donne, bambini, stranieri e coloro che non pagavano le tasse erano solo cittadini passivi. Solo
coloro che partecipavano alla vita pubblica e alle imprese sociali erano considerati cittadini attivi.
Gli stessi principi vigevano da tempo sull’altra sponda dell’atlantico. Le tredici colonie americane
negavano il voto alle donne, agli afroamericani, agli indigeni americani e ai nullatenenti.
Sicuramente è più facile seguire la cronologia dei diritti in Francia perché i diritti politici furono
definiti dalla legislatura nazionale, mentre nei nuovi Stati Uniti tali diritti vennero disciplinati dai
singoli Stati.
In Francia nell’ottobre del 1789 i deputati approvarono un insieme di decreti che stabilivano le
condizioni per essere ammessi al voto: 1) essere cittadini francesi o esserlo diventati per
naturalizzazione. 2) Aver raggiunto la maggior età. 3) Risiedere nel distretto da almeno un anno.
4) Pagare le imposte dirette. 5) Non essere un servo al servizio domestico. Dando per scontato che
donne e schiavi fossero esclusi.
Col passare dei mesi gli schiavi, grazie all’abolizione della schiavitù, ottennero i diritti politici; il
limite rimase invalicabile per le donne: non ottennero mai pari diritti politici durante la
Rivoluzione (ottennero però pari diritti all’eredità e il diritto al divorzio).
CAPITOLO V
IL DEBOLE POTERE DEL SENSO DI UMANITA’. PERCHE’ I DIRITTI UMANI HANNO
IMPEGATO MOLTO TEMPO A IMPORSI
C’è un lungo intervallo nella storia dei diritti umani che va dalle prime dichiarazioni alla
dichiarazione delle Nazioni Unite nel 1948. I diritti non svanirono, ma le discussioni ora
emergevano quasi esclusivamente all’interno di contesti nazionali specifici. I diritti politici dei
lavoratori, delle minoranze religiose e delle donne continuavano a guadagnare terrendo nel XIX e
XX secolo, ma il discorso dei diritti naturali applicabili a livello universale andò scemando (nuovo
accento posto sulla nazione e sull’idea di patria)
Irrompe il nazionalismo
Nel corso del XIX irrompe il nazionalismo, mutando la discussione sui diritti e creando nuove
forme di gerarchia che alla fine minacciarono l’ordine tradizionale. Le forze nazionalistiche si
espansero dall’Europa, all’America Latina, istituendo nuove entità nazionali. I sentimenti patriottici
offrivano la carica emotiva giusta per sviluppare un nuovo senso di nazione fondato fortemente
sull’etnicità: i patrioti tedeschi diedero per esempio risalto al “volk”, al popolo, che per
caratteristiche innate si distingueva da tutti gli altri. Il nazionalista tedesco Friedrich Jahn scriveva
che le leggi della natura scoraggiavano gli incroci tra razze e popoli e incitava a studiare la storia
della patria, conoscendone i monumenti, le feste popolari. Gran parte dei movimenti nazionalisti
appoggiarono (in un primo momento) forme di governo democratiche, che avrebbero amplificato al
massimo il senso di appartenenza nazionale. Di conseguenza i tradizionalisti inizialmente si
opposero al nazionalismo e all’unificazione italiana e tedesca, come si erano opposti ai diritti
umani.
I primi nazionalisti ritenevano che la l’azione, più che i diritti, servisse da trampolino di lancio per
l’universalismo.
Dopo il 1848 i tradizionalisti cominciarono ad accogliere le richieste dei nazionalisti e il
patriottismo si spostò dalla sinistra alla destra dello spettro politico.
I patrioti interessati a garantire i diritti all’interno delle nazioni si mostrarono propensi a negare i
diritti ad altri gruppi entici. Il problema che si trovarono ad affrontare i nazionalisti erano le barriere
linguistiche che potevano minare l’omogeneità all’interno di uno stato. Nel XIX secolo ogni Stato
nazione ospitava minoranze linguistiche e culturali. La difficoltà di creare o mantenere
l’omogeneità etnica contribuì ad accrescere la preoccupazione riguardo l’immigrazione in tutto il
mondo. In questo nuovo clima protezionistico il nazionalismo assunse un carattere più xenofobo e
razzista e gli ultimi decenni del XIX secolo furono segnati da un crescente antisemitismo.
Esemplare fu l’affare Dreyfus in Francia nel 1894.
Socialismo e Comunismo
Nel XIX secolo anche il socialismo e il comunismo presero forma in risposta diretta alle limitazioni
percepite dei diritti individuali enunciati nella Costituzione. I socialisti e i comunisti volevano
garantire alle classi inferiori l’uguaglianza sociale ed economica, non solo pari diritti politici
(tuttavia anche le organizzazioni socialiste e comuniste finirono per sminuire l’importanza dei diritti
come obiettivo da perseguire). Come il nazionalismo, anche il socialismo si trasformò con il tempo.
Inizialmente puntava alla ricostruzione della società con mezzi pacifici e non politici, ma ad un
certo punto si creò una netta divisione tra chi era favorevole alla politica parlamentare e chi
proponeva il rovesciamento violento dei governi. I socialisti si impegnarono a cambiare le nuove
relazioni sociali create dall’industrializzazione, perché era difficile salire al governo senza che i
lavoratori potessero votare. Quindi i leader socialisti organizzarono fabbriche modello e cooperative
sociali per superare i conflitti e l’alienazione tra i gruppi sociali, permettendo così ai lavoratori e ai
poveri di beneficiare della nuova industria. Molti socialisti diffidavano dai diritti dell’uomo.
Secondo Fourier, costituzioni e i discorsi sui diritti inalienabili erano un’impostura. Egli non
trovava un senso ai diritti del cittadino se ad essi era anche concesso di potersi scegliere la propria
professione
Come lui, molti socialisti iniziarono a citare il mancato riconoscimento dei diritti delle donne come
prova del fallimento delle precedenti dottrine dei diritti. Le donne non avrebbero mai potuto
ottenere l’emancipazione senza l’abolizione della proprietà privata e dei codici giuridici che
proteggevano il patriarcato.
Due fattori modificarono la traiettoria del socialismo: l’avvento del suffragio universale
maschile e la nascita del comunismo. Socialisti e comunisti avevano opinioni diverse riguardo ai i
diritti:
Jaures, illustre socialista sosteneva che uno stato socialista conservi la propria legittimità soltanto
nella misura in cui garantisce i diritti individuali e che pari diritti politici per tutti gli uomini
avrebbero migliorato le condizioni di vita dei lavoratori; sulla linea marxista si collocavano invece i
comunisti sostenendo che la libertà si potesse applicare all’uomo soltanto in quanto essere isolato
non come membro di una classe o di un gruppo. Nel 1918 i bolscevichi adottarono la Dichiarazione
dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato, la quale non enunciava nessun diritto politico o
giuridico, ma aveva lo scopo di sopprimere qualsiasi forma di sfruttamento da parte dell’uomo, di
abolite la divisione in classi della società e di reprimere gli sfruttamenti. Lenin stesso si oppose
all’uguaglianza giuridica in quanto si basava sul diritto borghese: i diritti uguali proteggono la
proprietà privata e quindi favoriscono lo sfruttamento dei lavoratori.
I limiti dell’empatia
Se i Diritti umani continuano ad essere violati è perché si sono rivelati inadeguati al ruolo ad esso
affidato? I tempi moderni evidenziano un paradosso basato sulla da distanza e vicinanza.
Da un lato, il diffondersi dell’alfabetizzazione e il ruolo dei media hanno permesso a un numero
sempre maggiore di persone di immedesimarsi in altre che vivono in luoghi lontani e condizioni
molto diverse. Dall’altro, tipi di violenza ravvicinata non sono né eccezionali né recenti (ricerche
hanno mostrato che quando ci sono le circostanze, personali normali possono essere indotte a
compiere quello che sanno essere sterminio di massa nei pressi del luogo dove vivono).
Se le moderne forme di comunicazione hanno diversificato gli strumenti attraverso i quali si può
provare empatia con gli altri, esse però non sono riuscite ad assicurare che gli esseri umani agiscano
sulla base di tale sentimento. L’ambivalenza riguardo l’efficacia dell’empatia è emersa nel XVIII
secolo. In teoria dei sentimenti morali Adam Smith esamina la relazione di un europeo ad un
terremoto devastante in Cina: per quanto l’uomo europeo possa interessarsene al momento
dell’accaduto, dopo poco tempo egli tornerà a svolgere la sua vita normalmente; se invece sapesse
che l’indomani perderebbe il suo mignolo, non chiuderebbe occhio tutta la notte. L’uomo europeo,
secondo Smith, non sarebbe capace quindi di sacrificare il proprio mignolo per salvare centinaia di
milioni di vite cinesi, perché ciò che governa la sua vita è la ragione (ciò ci permette di contrastare
l’interesse personale deve essere la coscienza). Smith credeva che un misto di richiami razionali ai
principi dei diritti e di appelli emotivi alla compassione potesse rendere l’empatia moralmente
efficace. I critici dell’epoca e attuali affermano che vi deve essere il richiamo ad un dovere religioso
superiore affinché l’empatia funzioni.
Nella metà del XVIII secolo gli scritti e le campagne contro tortura e schiavitù, spinsero il romanzo
gotico (contenete scene di incesti, stupri, torture) anche oltre (come fece il marchese Sade che lo
trasformò in vera e propria pornografia del dolore).
Il concetto di diritti umani si portò dietro gemelli malvagi: la richiesta di diritti universali fece
crescere nuove ideologie delle differenze, i nuovi media aprono alla spettacolarizzazione della
violenza.
Il tentativo di rimuovere dalla crudeltà gli ancoraggi legali, religiosi, giudiziari, la rende più
accessibile come strumento quotidiano di prevaricazione e disumanizzazione.
L’empatia non si è esaurita, è diventata più potente che mai come forza a favore del bene. Ma anche
l’effetto opposto della violenza e della prevaricazione è più potente che mai. I diritti umani sono
l’unico baluardo contro questi mali. La cascata dei diritti non si è esaurita, anche se esiste grande
conflittualità sul come dovrebbe scorrere (il diritto della donna di scegliere rispetto al diritto di un
feto di vivere, diritto di morire con dignità rispetto al diritto assoluto alla vita, i diritti dei disabili,
degli omosessuali, de bambini, degli animali).
L’apparato dei diritti umani, con i suoi organismi internazionali risponde con lentezza, ma al
momento non esiste una struttura migliore per affrontare queste problematiche.
La storia dei diritti umani dimostra che alla fine il miglior modo di difendere i diritti è affidarsi ai
sentimenti e alle azioni di un gran numero di persone che chiedono risposte e che si accordano sul
senso della loro indignazione.
Le dichiarazioni- nel 1776,1789 e 1984, hanno fornito una pietra di paragone, attingendo alla
capacità di riconoscere ciò che non è accettabile e contribuendo a rendere le violazioni ancora più
inammissibili. Conosciamo il significato dei diritti umani perché proviamo costernazione quando
sono violati.