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LEZIONE 27 FEBBRAIO

Modulo economico  Pasquale De Muro (ricevimento mercoledì 10-12)

Le domande a cui cercheremo di rispondere sono:


 Perché dovremmo preoccuparci dell’etica in economica o studi aziendali?
Non è una domanda banale perché questo solitamente non avviene, non si usa questa parola, la
usano solo alcuni aziendalisti.
 Anche se l’etica è irrilevante e ce ne occupiamo solo per motivi professionali, l’impresa può
essere considerata etica (responsabilità di natura etica)?
Se fosse vero dovremmo abbandonare questa branca di studio, è la visione tradizionale e ancora
dominante. In questo modulo ci domandiamo se sia giusto: per rispondere a questa domanda
dobbiamo capire cosa sia l’etica.
Possiamo alla luce delle considerazioni etiche, mantenere le ipotesi sugli agenti economici che
abbiamo studiato in materie come microeconomia? Osserviamo comportamenti come quelli
descritte nei testi o ci sono altri modi?
Non è detto che ciò che sia scritto nei libri di testo sia vero.

CASO DI STUDIO (ESEMPIO)  Foto che riguarda un edificio crollato nel 2013 vicino Dhaka,
capitale del Bangladesh (Rana Plaza).
Non era semplicemente un edificio, ma era un edificio che ospitava aziende di abbigliamento, sono
morte più di 1000 persone. La cosa che ci porta a questa materia era il fatto che quelle aziende del
palazzo producessero la maggior parte dei vestiti che indossiamo. Il collegamento è sul fatto che
alcune imprese, anche italiane, producevano e producono (acquistavano come sub fornitori di
queste imprese globali) massicciamente in Bangladesh.
Se un manager crede che in quanto non residente in quel paese, il fatto non lo interessi, allora
crede che l’etica e il business siano due concetti distinti.
Qui siamo in ottica di value chain, con tanti attori in gioco. Le aziende di abbigliamento sono uno
degli attori di questa catena, ma va considerata nel suo complesso per comprendere tutte le varie
responsabilità  vanno oltre le singole responsabilità locali, va oltre le leggi e le norme. È un
discorso che se fosse semplicemente legale diretta, sarebbe solo dei governi locali.
Se allarghiamo il concetto ad un ampio ambito etico, subentrano altre responsabilità, ad esempio
dei committenti.

PAROLE CHIAVE

 Etica  è una branca della filosofia, che si chiama anche filosofia morale. Parlare di etica
significa parlare di VALORI, ma riferito ad un altro ambito, cioè quello che per noi conta.
 Razionalità  inseguire interessi personali e che conducono al funzionamento dei sistemi
economici. Le scelte che fanno le imprese e i consumatori sono razionali: entrambi
massimizzano i loro obiettivi; per le imprese i profitti per i consumatori l’utilità
 comportamento degli agenti economici.
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 Responsabilità  Il concetto è chiaro rispetto ai manager, che sono responsabili verso gli
azionisti. L’unica responsabilità è verso di loro che sono i proprietari dell’impresa. Al contrario,
se abbiamo un approccio etico il concetto di responsabilità solo verso gli azionisti è messo in
discussione, si preferisce il concetto di stakeholders.
 Dovere, obbligazioni, deontologia  queste cose sono state messe in discussione. Non
sempre esiste un’indicazione chiara per quanto riguarda le scelte possibili, perché alcune volte
si aprono delle criticità. Per privilegiare uno stakeholder potrei ottenere conseguenze negative
per un altro.

DEFINIZIONE DI ETICA

L’etica si riferisce allo studio di ciò che è buono o cattivo (giusto e sbagliato). Viene trattato con
domande su buone azioni (cose da fare) nella vita, quali sono le azioni giuste e quali quelle
sbagliate, chi è moralmente una persona buona e come la società dovrebbe essere correttamente
strutturata.
I tre concetti centrali per l’etica sono:
- Bene (vivere bene)
- Giusto
- Dovuto (cosa devo fare)
Non esiste un’unica etica, ma più approcci.

Il consumatore massimizza la sua utilità scegliendo il paniere di beni che preferisce al miglior
prezzo. Quindi è una teoria che assume che per ogni individuo la cosa migliore è quella e se non lo
fai non sei razionale. L’altro fatto interessante che vedremo più avanti è quello che dimostra che
se tutti si comportano così, si raggiunge una situazione di benessere collettivo definita paniere
ottimale.
Quando io assumo che l’impresa deve avere come obiettivo la massimizzazione del profitto, sto
facendo delle scelte etiche; vado in Bangladesh e comprerò il jeans più economico, le signore che
lo lavorano non ci interessano.

Chiariamo alcuni equivoci che creano idee sbagliate.


- Molte imprese fanno azioni filantropiche o beneficienza: questo va bene, ma il concetto di
gestione etica e responsabilità sociale è un’altra cosa.
(esempio Pan di Stelle) che ha la scuola a Dahiri, questo è puro marketing, non c’entra
assolutamente nulla con la value chain, è solo pura filantropia in quanto il cacao non c’entra nulla.
- Discorso sulla sostenibilità  non si parla solo di green marketing, è un aspetto delle varie
responsabilità. Lo sviluppo sostenibile è quello sviluppo che soddisfa i bisogni delle generazioni
attuali senza pregiudicare i bisogni delle generazioni future (equità intergenerazionale).

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LEZIONE ONLINE 12 MARZO

Aspetti fondamentali della teoria economica per la GESTIONE ETICA D’IMPRESA

Nel momento in cui assumiamo che l’etica sia rilevante per le imprese, stiamo andando in
contradizione con ipotesi fondamentali per la teoria economica.
Importante fare riferimento per quello che si è studiato a micro per il comportamento degli agenti
economici, ipotesi di comportamento razionale, fatta in tutti i testi di microeconomia.

Le imprese hanno il solo obiettivo di massimizzare il profitto, questo vuol dire che non c’è alcun
tipo di preoccupazione e attenzione per altri obiettivi che non sono legati al profitto; non ci
riferiamo ai casi di green o white washing, casi in cui la preoccupazione è solo a livello di
comunicazione o filantropico (pan di stelle); non è un interesse genuino.

Questa ipotesi di massimizzazione del profitto deriva da una più generale che coinvolge ogni
agente economico ed è quella dell’ipotesi del comportamento razionale.

Che vuol dire comportamento razionale? Genere comportamenti di natura etica? Esistono e quindi
bisogna capire perché gli economisti rispettano con insistenza questa ipotesi e la condividono in
tutti i contesti.

Dobbiamo capire cosa vuol dire comportamento razionale e se le ipotesi della microeconomia gli
corrispondono.

Comportamento razionale  i criteri attraverso cui gli economisti lo definiscono, (razionale legato
alle scelte) sono 2: non vengono spiegati in maniera estesa
- Coerenza delle scelte dell’agente economico
- Massimizzazione dell’interesse personale

1° osservazione  potremmo avere anche altri concetti di razionalità, non è l’unico possibile, ma è
quello che assumono gli economisti.

COERENZA DELLE SCELTE

Ricordiamo che si assume che ogni consumatore abbia più scelte sui singoli panieri di merci e beni
e quindi è in grado di fare questa scelta.
Avere preferenze vuol dire che io sono in grado di mettere in oridne questi panieri e questi beni
tra il meno e il maggiormente preferito.

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Queste preferenze sono razionali e coerenti quando hanno 2 caratteristiche:

- Complete  il consumatore è in grado di decidere per ogni coppia di panieri e beni quale
preferisce dei due e quindi poi li ordina. Facilmente criticabile pensare che ognuno conti i beni
e li metta in ordine
- Transitive  dati 3 beni qualsisasi, 3 panieri, se io preferisco x a y e y a z allora
necessariamente preferisco x a z e non può essere diverso: vale la regola della transitività.

Queste due caratteristiche vanno insieme.


Questo è un aspetto della razionalità del consumatore.
A proposito di questa idea di coerenza si può dire che da sola questa regola non potrebbe definire
alcuna razionalità perché se una persona ha degli obiettivi non coerenti con le sue scelte.
La scelta razionale dovrebbe richiedere anche una corrispondenza tra obiettivi e come faccio le
mie scelte e quindi la coerenza può essere uno dei requisiti, ma da sola non valuta la razionalità.

MASSIMIZZAZIONE INTERESSE PERSONALE

È stata un’ipotesi centrale in tutte le principali teorie economiche, anche questa sembra un’ipotesi
realistica e accettabile, in quanto tutti siamo interessati al nostro tornaconto personale.
Il problema non è cosa pensiamo noi dell’interesse personale, ma l’idea di massimizzazione ossia
che una volta che ho ordinato tutti i panieri, prendo quello che è più in alto nelle mie preferenze.

La critica a questa ipotesi, fatta molto bene dall’economista premio Nobel 99, è che non ci sia nulla
di male a perseguire i propri interessi personali, il problema è che l’agente sia interessato SOLO
alla massimizzazione dell’interesse personale escludendo ogni altro tipo di obiettivo.
È quindi una scelta razionale, ma non si capisce perché la presenza di altri obiettivi che possono
convivere con questo, siano considerati come non razionali.
Si è razionali solo se faccio scelte coerenti e massimizzo l’interesse.
Si esclude qualsiasi ipotesi etica dall’analisi economica.

L’interesse personale è razionale, ma lo è altrettanto voler evitare che qualche specie animale ad
esempio si estingua.

L’etica ci consente di individuare fattori che non riguardano solo l’interesse personale, ma interessi
che possono far parte della nostra razionalità pur non essendo personali.

Nei libri di testo altre motivazioni sono escluse, le imprese hanno come unico obiettivo quello
dell’interesse personale. Questo spiega come i modelli economici presentati in questi testi siano
più facili da far funzionare se mancano obiettivi di eticità.
Nel caso di conflitto tra difesa di ambiente e interesse personale, prevale quello personale (se ci
sono conflitti).

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Stigler, scriveva a proposito: “viviamo in un mondo di persone ragionevolmente ben informate che
agiscono in modo intelligente nel perseguimento del loro interesse personale”

L’ipotesi fatta fino ad ora deve essere come tutte le ipotesi verificata e confermata dall’analisi
empirica.

Cosa ci dice invece tutta quella branca dell’economia che ha cercato di verificare quale sia il vero
comportamento degli agenti economici: è nata a tal proposito una nuova branca che ha cercato di
testare questa ipotesi, l’hanno fatto utilizzando spesso metodi di sperimental economics, si fanno
esperimenti per capire effettivamente quali comportamenti prevalgano in certe situazioni.

Questi risultati ci dicono che questa ipotesi non è verificata e persegue l’interesse personale in
ogni caso: molto dipende dalle circostanze, c’è una tendenza in certi contesti ad avere
preoccupazioni per altri obiettivi e sono emersi comportamenti ispirati ad altri tipi di obiettivi.
Non è vero quello che Stigler assumeva come un dato di fatto.

Non esiste un obiettivo unico, quando entrano in conflitto potrebbe prevalere altri interessi oltre
quello personale, e poi ci sono comportamenti nell’ambito

Queste ipotesi vanno contro quello che ci dice la microeconomia. Per spiegare questa scelta
dobbiamo fare un altro passo avanti.
Le ipotesi microeconomiche non hanno necessariamente la funzione di descrivere la realtà,
quanto più un carattere normativo.

Nelle scelte non è tanto necessario o possibile dimostrare un’ipotesi, ma è importante che non
venga dimostrata falsa. Occorre fare tentativi per tali dimostrazioni.
Questi studi hanno tutti falsificato quest’ipotesi del comportamento dominato dall’interesse
personale, esistono altre motivazioni che si affiancano e che possono prevalere.

Se questa cosa è vera su qualsiasi agente economico, allora anche l‘ipotesi di massimizzazione del
profitto viene messa in discussione perché deriva dall’ipotesi di massimizzazione dell’interesse
personale.

Quale è il ruolo di questa ipotesi per l’analisi economica? Se non è riflessa nel mondo reale,
perché è mantenuta?
Dobbiamo pensare che le ipotesi di comportamento individuale sono alla base dei contenuti
dell’equilibrio economico generale, e quindi anche la ottima allocazione delle risorse che è
realizzabile perché tutti gli agenti economici si comportano in quel modo, andando più avanti nei
libri di micro si dice anche che all’ipotesi di massima allocazione delle risorse si arriva all’ottimo
paretiano.

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Se tutti gli agenti economici massimizzano il proprio interesse personale, l’interesse sociale è
ottimale e positivo: abbiamo efficienza allocativa (no sprechi) e tutti hanno raggiunto il massimo
livello di utilità e quindi anche una situazione ottimale dal punto di vista sociale.
Possiamo leggere queste ipotesi in senso normativo, dunque stiamo dicendo che gli agenti
economici devono comportarsi in quel modo perché produce risultati ottimali dal punto di vista
dell’efficienza e del benessere.
Potrebbe essere un argomento discutibile il solo interesse personale, ma dal punto di vista sociale
produce risultati ottimali, i migliori possibili.
Agenti economici egoistici producono un mondo che funziona benissimo.

Se considero i comportamenti dal punto di vista dei risultati, guardando alle conseguenze, posso
dire che sono giusti e che questa sia un’etica consequentialistica, decido di valutare un’azione o
una scelta sulla base non del fatto che il comportamento sia giudicabile in sé per sé, ma in base
alle conseguenze che produce a livello sociale (risultati buoni). Non posso dare un giudizio
negativo anzi devo fare in modo che tutti capiscano che questo comportamento è socialmente
giusto.
Non è vero che la teoria microeconomica non ha elementi etici: quello latente è di carattere
utilitaristico.

Le preoccupazioni che vanno aldilà del profitto non hanno ragione di esistere.

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LEZIONE 19 MARZO 2019

Abbiamo parlato del comportamento degli agenti economici razionali e avevamo concluso che
l’ipotesi fatta è che questi agenti perseguono solo l’obiettivo dell’interesse personale: la razionalità
è legata a 2 condizioni:
- Interesse scelte
- Massimizzazione

Quest’ipotesi da un certo punto di vista è anche normativa, cioè non cerca solo di descrivere il
comportamento degli agenti economici, ma piuttosto è una ipotesi che suggerisce come
dovrebbero comportarsi questi per ricevere risultati auspicabili  EFFICIENZA SISTEMA
ECONOMICO  allocazione risorse disponibili ottimale  EFFICIENZA TECNICA/ALLOCATIVA e
stiamo parlando di un concetto di ottimalità per cui ogni altra allocazione produce benessere
inferiore.
Bisogna analizzare queste ipotesi.
Se attraverso il comportamento guidato dal solo interesse personale si può raggiungere
un’allocazione ottimale.

Chi ha fatto questa ipotesi, ha collocato in Adam Smith il primo formulatore di questa ipotesi. Cosa
ha detto? Questa tesi è molto discutibile.

Il concetto di efficienza:
- Tecnica  legato al processo produttivo
- Economica  nessuno può stare meglio senza che qualcun altro stia peggio; riguarda il
concetto di benessere (pareto ottimale)

Adam Smith  ha detto a proposito del comportamento individuale che (testo teoria sentimenti
morali 1790) sebbene i principi della prudenza comune non sempre governino la condotta di ogni
individuo, influenzano sempre la maggioranza di ogni classe e ogni ordine. La prudenza guida la
maggioranza degli individui. La prudenza corrisponde quindi all’interesse personale.
In realtà questa sua interpretazione non è secondo altri studiosi corretta perché Smith sempre
nello stesso testo la prudenza che lui cita è l’unione di 2 qualità che sono:
- da un lato la ragione e la comprensione
- dall’altra l’autocontrollo  in generale non vuol dire interesse personale.

Che cosa dice Smith sul comportamento individuale, sempre nello stesso testo?
Visione dell’individuo di Smith NON ISOLATO  L’uomo secondo gli storici dovrebbe considerare
se stesso come un cittadino del mondo, membro della natura e appartenente all’interesse di una
grande comunità quindi dovrebbe essere disponibile a sacrificare il piccolo interesse personale.

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La prudenza anche se naturalmente va oltre l’interesse personale è tra tutte le virtù quella più
utile agli individui, tuttavia l’umanità, la generosità, la giustizia e lo spirito pubblico sono le qualità
più utili agli altri.
Anticipa il discorso della responsabilità sociale. Dal punto di vista moderno nasce negli anni 80-
90, dal punto di vista filosofico possiamo dire molto prima.

Ulteriore passo quello in cui fa una descrizione del comportamento reale vs quello che
dovrebbero avere.
Spunto preso sempre dalla teoria dei sentimenti morali.
Si parli del comportamento della maggior parte delle persone.
Questo capitolo si chiama “della simpatia”, ma che va interpretato come EMPATIA.
Descrive questo concetto e dice che per quanto egoista possa essere considerato un uomo ci son
secondo Smith alcuni principi nella sua natura che lo fanno interessare alla fortuna degli altri, alle
vicende altrui e a rendere la felicità degli altri necessaria alla propria.

Quando cerchiamo di massimizzare il nostro piacere, in realtà affinchè siamo felici abbiamo
bisogno di vedere che anche gli altri lo siano. Fa parte della natura umana.
Che noi deriviamo dal dispiacere degli altri è una questione di fatto perché questo sentimento
come tutti gli altri sentimenti umani non è assolutamente limitato alle persone virtuose e umane
anche se queste lo possono sentire maggiormente.
Il più grande delinquente e violatore delle leggi della società ha per forza questo sentimento.
Tutti anche se in misura diversa hanno empatia.
Quest’affermazione risulta essere molto importante perché aveva già anticipato una cosa che è
stata confermata scientificamente come vera; in particolare la ricerca biologica del tardo 900.

1 Video sui neuroni specchio, la base dell’empatia.

Naturale propensione umana a riflettere quello che provano gli altri, è impossibile prescindere.
Nella natura umana riflette questo elemento
Sono ipotesi che descrivono il comportamento dell’essere umano in maniera molto semplicistica.
La gente razionale dei libri di microeconomia è autistica perché non rappresenta un
comportamento normale.
L’ipotesi più generale che possiamo fare è quella in cui esista anche una componente di natura
sociale fermo restando che l’interesse personale rimane importantissimo.

2 Video approfondisce la questione sui neuroni specchio.

Ci mettono in empatia con i nostri simili, ci fanno piangere o gioire.


Affinchè l’empatia scatti, io devo come dice Smith o osservare questa situazione oppure ha un
impatto sulla nostra persona molto diretta.

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Per concludere diciamo che le ipotesi attuali della microeconomia fanno riferimento a Smith, ma è
vero che Smith in altri passi ha anche parlato del fatto che alcune nostre azioni siano guidati
dall’interesse personale, ma ciò non vuol dire che sia il sentimento dominante nell’agire
individuale.

LEZIONE 26 MARZO 2020

Documentario sul caffè.

Le catene del valore si allungano e diventano quasi tutte globali; questo vale per alcuni beni di
base che hanno una standard commerciale riconosciuto e spesso quotati nelle borse merci.
Il caffè è uno di questi come lo zucchero: dopo il petrolio è la terza commodities più diffusa nel
mondo. Prodotto importante a livello commerciale e finanziario, ma anche a livello culturale
(Italia).

Il documentario ci permette di capire come funziona la filiale e i problemi etici di questa catena del
valore globale che è localizzata in diversi paesi  crea alcuni problemi di gestione etica che il
consumatore finale non conosce.

LEZIONE 16 APRILE

ADAM SMITH

La ricerca scientifica sui neuroni specchio ha avvalorato (suffragato) i principi di Smith,


dimostrando l’esistenza di una base neurologica per il concetto di empatia.
Nel corso del tempo il concetto di simpathy sostenuto da Smith è stato però perso negli studi degli
economisti. In essi è rimasto solo il concetto legato ai risultati positivi e sociali ottenibili con il
perseguimento dell’interesse personale.

Anche Smith, infatti, sosteneva che molte delle nostre azioni sono in realtà guidate dall'interesse
personale, e alcune di esse effettivamente producono dei risultati positivi per la collettività.
Smith, però, attribuisce questo concetto alla Teoria delle conseguenze non volute.
SI deve innanzitutto specificare che Smith era scettico nei confronti della morale delle persone
benestanti, da lui ferocemente criticati. Molti proprietari ricchi, secondo, lui, perseguono nel loro
naturale egoismo solo i loro insaziabili desideri. Tuttavia, sostiene, molte persone possono
ottenere dei benefici dal loro comportamento, in quanto le azioni di persone possono essere
produttivamente complementari.
Con questa teoria, Smith non aveva intenzione di lodare i ricchi per il bene procurato agli altri, ma
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anzi rafforzare il suo scetticismo nei loro confronti. Sosteneva che gli egoisti e i rapaci sono
guidati, senza volerlo e senza saperlo, sosteneva, da una mano invisibile che fa avanzare
l'interesse della società.
 pur non volendo necessariamente fare del bene, queste persone essendo guidate da una mano
invisibile di fatto fanno progredire gli interessi della società e svolgono un ruolo positivo.

L’interesse personale viene così rivalutato e considerato in base all’effetto positivo che genera
sulla collettività. Ne “La ricchezza delle nazioni” Smith sostiene che “non è dalla benevolenza del
macellaio, del birraio o del fornaio che noi ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal perseguimento
dei loro interessi”. Cioè quando questi commerciati vendono delle cose a noi utili stanno seguendo
i loro interessi e non soddisfacendo i nostri bisogni. Tuttavia, il perseguimento del loro interesse
personale consente a noi di soddisfare i nostri bisogni. Si genera quindi un incontro tra obiettivi di
profitto e arricchimento dei commercianti e la soddisfazione del nostro bisogno di queste merci,
che avviene non a causa della loro umanità ma dall’amore per se stessi ( idea in contraddizione
con la definizione di azienda).
Vale anche il contrario: il consumatore non sta cercando di aiutare il negoziante a perseguire i suoi
interessi di profitto, ma persegue il suo interesse nel comprare carne pane o birra.
Si tratta quindi di una Situazione in cui tutti perseguono l’interesse personale facendo però anche
l’interesse degli altri  ogni individuo è guidato da una mano invisibile che promuove un fine che
non è intenzionale

Secondo Amartya Sen, non si tratta tanto del fatto che alcune conseguenze sono involontarie, ma
che l'analisi causale può rendere gli effetti indesiderati ragionevolmente prevedibili.
Infatti, il macellaio può prevedere che lo scambio di carne con denaro giova benefico non solo a
lui, ma anche al consumatore (l'acquirente di carne), in modo che il rapporto possa funzionare su
entrambe le parti ed essere quindi sostenibile.
Una conseguenza involontaria non deve essere imprevedibile, e molto dipende da questo fatto.
Infatti, a fiducia di ciascuna parte per prosecuzione di queste relazioni di mercato si basa in
particolare sulla previsione o sulla presunzione implicita di tali previsioni.
La lettura dell’esempio del macellaio aiuta a comprendere
- perché e come le normali transazioni di mercato sono effettuate
- perché e come funziona la divisione del lavoro
Tuttavia, nonostante Smith sottolineasse i vantaggi reciproci, non pensava che questi fossero
basati solo sull’amore per se stessi. Al contrario pensava il contrario: l’interesse personale non può
essere l’unica forza che guida scambi mutualmente vantaggiosi perché secondo lui sono
necessarie altre motivazioni per produrre quei risultati. L’interesse personale non può essere alla
base di tutti i risultati che otteniamo.  L’ottimo paretiano necessita di essere inquadrato in un
contesto più ampio in cui l’interesse personale è UNA delle cause, non l’unica forza che guida
l’azione degli agenti economici e produce effetti benefici.
La scorretta interpretazione del pensiero di Smith nei confronti della motivazione e dei mercati, e
l'incuria di questa analisi etica dei sentimenti e dei comportamenti, si inserisce bene nella divisione
dell'economia dall'etica che si è verificata con lo sviluppo dell'economia moderna.
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PRUDENCE, SYMPATHY AND COMMITTMENT (Amartya Sen)
In alcune delle pubblicazioni in economica e politica (ma meno spesso nella filosofia), il termine
"scelta razionale" viene utilizzato per la disciplina della scelta sistematica basata esclusivamente
sul vantaggio personale. Se il vantaggio personale è strettamente definito, allora questo tipo di
modellazione "razionale" renderebbe difficile aspettarsi che le considerazioni di etica, o giustizia, o
l'interesse delle generazioni future avrà molto ruolo nelle nostre scelte e azioni.

La razionalità dovrebbe essere così strettamente caratterizzata?


Se il comportamento razionale include l'astuto perseguimento dei nostri obiettivi, non c'è motivo
per cui l’astuto perseguimento dell’empatia, o l’astuto perseguimento della giustizia, non può
essere visto come esercizi di scelta razionale. Partendo dal comportamento strettamente
interessato è conveniente distinguere tra due diverse strade di partenza, viz., "empatia" e
"impegno".(Sen, Rational fools…).

1) In primo luogo, la nostra concezione dell'interesse personale può includere la nostra


preoccupazione
per gli altri, e l’empatia può quindi essere incorporata nella nozione di benessere della persona,
ampiamente definita.
2) In secondo luogo, andare oltre il nostro benessere ampiamente definito o interesse personale;
possiamo essere disposti a fare sacrifici nel perseguimento di altri valori, come la giustizia
sociale o il
nazionalismo o il benessere comunitario (anche a un certo costo personale). Questo tipo di
partenza, coinvolgendo l’impregno (piuttosto che solo l’empatia), invoca valori diversi dal
benessere
personale o dall'interesse personale (compreso l'interesse personale che comporta la
promozione
dell'interesse di coloro con cui abbiamo empatia).

La distinzione può essere illustrata con un esempio. Se aiuti una persona indigente perché la sua
miseria ti rende molto infelice, sarebbe un’azione basata sull’empatia. Se, tuttavia, la presenza
degli indigenti non ti rende particolarmente infelice, ma ti riempie della determinazione di
cambiare un sistema che pensi sia ingiusto (o più in generale, la tua determinazione non è
pienamente spiegabile dall'infelicità che la presenza degli indigenti crea), allora questa sarebbe
un'azione basata sull'impegno.
In un certo senso, non c'è sacrificio di interesse personale, o di benessere, coinvolto nell'essere
reattivi alle nostre empatie. Aiutare un indigente può farti stare meglio se soffri per la sua
sofferenza.
Il comportamento impegnato può, tuttavia, comportare il sacrificio di sé, poiché la ragione del
vostro tentativo di aiutare è il vostro senso di ingiustizia, piuttosto che il vostro desiderio di
alleviare la vostra sofferenza simpatico. Tuttavia, c'è ancora un elemento del proprio "sé"
coinvolto nel perseguimento dei propri impegni, poiché gli impegni sono propri. Più importante,
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anche se il comportamento commesso può o non può essere favorevole alla promozione del
proprio vantaggio personale (o benessere), tale ricerca non deve comportare alcuna negazione
della volontà razionale della persona.

LEZIONE 23 APRILE

Commitment Adam Smith  pensa che l’individuo debba essere sempre disposto a sacrificare i
suoi piccoli interessi per quelli della comunità più ampia a cui appartiene. Citiamo alcune cose che
ha detto nella slide: “le azioni più umane non richiedono autocontrollo, ma piuttosto
semplicemente uno spirito empatico”. Naturalmente questo vale anche per la generosità.

Smith suggerisce due cose importanti per le scelte motivazionali:


- empatia
- senso di giustizia (senso di appropriatezza delle azioni)

Abbiamo 2 diverse direzioni verso cui Smith ci suggerisce di andare.


Se esistono queste motivazioni per le scelte dei manager e degli azionisti, possiamo considerare
che emergano giustificazioni di carattere diverso.
Nella misura in cui l’impresa svolge attività per il sociale, emerge la RSI.

Bisogna sottolineare la seconda direzione di Smith; pur rimanendo un liberale, ha a cuore l’idea di
giustizia e considera la concordanza tra ciò che sta a cuore alla gente e ciò che sta a cuore

La concezione di Smith considera gli individui come persone che fanno scelte insieme agli
spettatori. Nel momento in cui fai scelte sotto gli occhi degli altri, non le fai individualmente, ma in
merito al pubblico.
Individuo e pubblico non sono dissociati.

Non tutti gli individui sono consapevoli di far parte di una comunità più ampia; ci sono persone che
possiedono uno spirito pubblico più ampio; da questo punto di vista la componente di self interest
è dominante.
Nei secoli successivi le sue analisi sono andate perdute.

È molto importante anche l’aspetto di giustizia, il senso di equità: recentemente c’è stato un
autore che ha richiamato il suo pensiero e ha riconosciuto che le persone siano in qualche modo
tutte dotate di capacità di poteri morali  senso di giustizia e misura di ciò che sia giusto o
sbagliato.

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Riassumendo le varie motivazioni alla base delle scelte possiamo riassumere come il commitment
che comprende il senso di giustizia sia molto ampia e riguardi lo spirito pubblico.
All’interno di questo ampio insieme di valori si pone l’interesse personale; più limitato e che non
deve entrare in conflitto con questi principi.

LEZIONE 30 APRILE 2020

Doveri e conseguenze

Un argomento emerso, ma non approfondito è quello sull’approccio deontologico e quindi il


concetto di dovere.
Su questo si fondano le critiche di Freedman alla RSI in quanto lui e altri hanno sottolineato il fatto
che l’unico dovere che hanno i manager è quello di rispettare il mandato che hanno da parte degli
shareholder e che sia quello di massimizzare il profitto.

2 ipotesi:
- le scelte delle imprese si basano su dovere dei manager verso gli azionisti
- unico interesse degli azionisti è quello di massimizzare il profitto

Analizzeremo l’approccio deontologico emerso anche nel terzo dilemma etico (questione
chirurgo).

Quando parliamo di utilitarismo e massimizzazione dell’utilità, ci si basa su un approccio per cui


contano solo le conseguenze. Quello che si discute è che ci possono essere diversi principi che
guidano le scelte:
- deontologico
- conseguenzialista

Secondo Amartya Sen sarebbe sbagliato seguire i 2 approcci in maniera indipendente e assoluta in
quanto il ragionamento etico dovrebbe tener conto di entrambe.
Quello che dobbiamo cercare di capire è quali siano i nessi tra doveri e conseguenze e come questi
siano legati (importante all’interno delle scelte manageriali).

Questa alternativa è stata considerata un punto cruciale delle scelte manageriali, guardando
doveri, conseguenze e comportamento dei manager in merito a questi 2 approcci.

Il punto di partenza riguarda un discorso già affrontato, ci concentriamo sull’impresa: obiettivi che
questa deve perseguire, non è un individuo, ma un insieme di persone e ha quindi la complessità
di essere un’organizzazione in cui operano agenti economici interni ed esterni.
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L’analisi tradizionale attribuisce all’impresa come obiettivo quello della massimizzazione del
profitto (massimo del profitto).

La priorità al profitto rispetto ad ogni altra cosa è stata sostenuta da 2 elementi molto diversi:
- richiama alla questione deontologica di prima, cioè la cosiddetta responsabilità fiduciaria  gli
azionisti hanno incaricato i manager di svolgere per loro conto la gestione dell’impresa e quindi
gli agenti (manager) hanno una responsabilità fiduciaria che gli impone di max i profitti per gli
azionisti.
- Idea che se tutte le imprese massimizzano i profitti, questo condurrebbe a un ottimo
paretiano: situazione in cui otteniamo massimo benessere possibile per la collettività.

La seconda questione è quella dei vincoli sugli strumenti che posso porre: se vado oltre una logica
in cui conto solo i risultati, nel punto di vista deontologico contano anche i mezzi e non solo i fini.
In alcuni casi potrei decidere, come hanno fatto alcune imprese, di non rispettare alcune
normative per raggiungere i miei scopi. In questo modo raggiungo meglio il mio profitto.

Un altro esempio interessante di mezzi discutibili è quello in cui le imprese fanno pressione
attraverso alcune organizzazioni sui governi per ottenere dei vantaggi.

La terza questione riguarda i vincoli al comportamento  anche questo è un fattore importante


da considerare soprattutto in merito a possibili conflitti tra agenti dell’impresa.

Il problema che si pone è accertare dal punto di vista etico quali siano i diversi interessi personali
in gioco e capire come comportarsi.

La natura delle correnti deontologiche

Fanno riferimento al concetto di dovere mentre quelle consequenzialiste fanno riferimento ai


risultati. Non esistono approcci unici; entrambi hanno in comune il primo sui doveri e l’altro sulle
conseguenze.

Kant  Non c’è una totale esclusione del concetto di risultato perchè l’idea di dovere non è scissa
dalle competenze per compierlo. Le impostazioni deontologiche più chiuse hanno un limitato
focus sulle azioni senza pensare alle conseguenze.

Un caso che si può analizzare è quello dell’usura: in particolare a parte quello che succede nel
nostro Paese, è molto diffusa anche nel Terzo Mondo dove il settore bancario risulta inefficiente.
Questo caso pone dilemmi molto interessanti  piccolo produttore che senza questo credito non
potrebbe svolgere attività economica.

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Se parliamo di questa attività in termini di conseguenze è possibile vederne anche di positive, se
valutiamo l’usura dal punto di vista deontologico dobbiamo condannare quella di interessi
successivi.

Lo stesso discorso vale per le attività di riciclaggio, dubbia origine… abbiamo un caso molto
conflittuario sotto il punto di vista etico.
Le analisi classiche dell’etica degli affari hanno valutato anche le conseguenze delle azioni prese in
esame e quindi abbiamo esempi di analisi che potrebbero essere positive.

LEZIONE 7 MAGGIO

IL PROFITTO E LA RESPONSABILITA’ DEI DIRIGENTI D’IMPRESA

Abbiamo cercato di capire che spesso doveri e conseguenze hanno connessioni importanti e vanno
considerati insieme per effettuare delle scelte.
Applichiamo questo discorso della relazione tra doveri e conseguenze ad un problema specifico
per noi centrale ossia della questione del profitto e della responsabilità dei manager.

Il profitto viene discusso da sempre (tempo dei romani). Citazioni Giovenale e Cesare.
Il profitto crea opportunità economiche e produce benefici per la società; anche Keynes che era
critico con il sistema capitalista osservava che il profitto era il motore che muoveva tutto.

Che relazione c’è tra profitto, doveri e conseguenze? Partiamo dalla consapevolezza che da alcuni
agenti economici nascono benefici per la società. Torniamo su questo problema per capire la
relazione posta nella domanda.
Ci sono 2 modi di vedere la ricerca del profitto:
- Il primo è ricerca dell’interesse personale: perseguimento egoistico del guadagno;
- Rappresenta un incentivo per far funzionare il sistema economico e ottenere buoni risultati.
Anche Smith considera la motivazione del profitto importante affinchè il mercato funzioni bene.

Il teorema fondamentale dell’economia del benessere che ipotizza assenza di esternalità, gli
equilibri concorrenziali che si ottengono con la massimizzazione del profitto corrispondono
esattamente al raggiungimento del “pareto-efficienza”, vale a dire uno stato di cose tale che
nessuno individuo può migliorare la propria situazione senza che peggiori almeno quella di un
altro.

- Ogni stato pareto-efficiente può essere realizzato da un equilibrio concorrenziale modificando


la distribuzione delle risorse e dotazioni iniziali.
- Il risultato rimane tuttavia a nostra disposizione nella visione meno ambiziosa; viene data la
distribuzione iniziale delle risorse e si dimostra che ogni equilibrio ….
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Tuttavia questo risultato di ottimalità paretiana non è poi così rilevante; per esempio può essere
compatibile con un degrado ambientale molto forte (inquinamento ambientale), producendo
esternalità negative che non vengono considerate.
Significa che quella posizione di pareto non è efficiente e genera problemi.
L’equilibrio ha una valenza molto limitata.
In conclusione secondo un’analisi di Sen, non possiamo dimenticare che questi risultati siano
limitati e possano produrre una serie di effetti negativi dal punto di vista socio-economico.

Motivazione consequenzialista del profitto vista è molto debole, soprattutto in termini di


benessere collettivo e impatto ambientale.

Capiamo se l’altra più spesso invocata può ritenersi più forte, ossia quella deontologica, basata sui
doveri.
Massimizzare il profitto sarebbe un dovere dei management.
Il concetto che viene richiamato (articolo Freedman) si chiama meccanismo della responsabilità
fiduciaria  quella che hanno i management verso gli azionisti (dovere).

I manager sarebbero responsabili verso gli azionisti dell’obbligo di massimizzare il profitto; deviare
questa attività è giusto sotto certi punti di vista (ambientale), ma dal punto di vista deontologico
sarebbe una mancanza di responsabilità.
Questa logica che assume il dovere dei manager come giustificazione più importante ha il
vantaggio di non dipendere dalle conseguenze economiche, ma solo dall’impegno che questi
hanno verso i possessori di capitale.

Se guardiamo alla storia di alcune imprese che hanno avuto un comportamento irresponsabile,
spesso si tratta di manager che non hanno tutelato l’interesse degli azionisti (frode) attraverso uso
irresponsabile dei poteri che gli erano stati assegnati dunque questa impostazione ha una ragion
d’essere proprio nei confronti dei manager.
La teoria degli stakeholder invece ipotizza una situazione più complessa e gli azionisti sono solo
una categoria insieme a tutte le altre.
Da questo punto di vista è importante considerare l’importanza degli altri stakeholder tra cui i
lavoratori (sottolineato anche da Smith). Slides 13 e 14.

Nel caso generale non si comprende perché gli azionisti debbano essere considerati preminenti nel
valutare la responsabilità dei dirigenti d’impresa: in un approccio deontologico con al centro il
dovere dei manager, bisogna allargare il concetto di responsabilità fiduciaria dei manager agli altri
stakeholder che vanno aldilà degli azionisti.

Da questo punto di vista il dover considerare gli interessi di diversi gruppi, non è solo una
questione etica, ma anche di efficacia in quanto la responsabilità verso questi diversi gruppi
significa che la loro collaborazione ha effetti sui risultati dell’impresa.

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Il mandato degli azionisti ai manager è un contratto incompleto e andrebbe ricercata nelle
conseguenze positive di questo comportamento i vantaggi che si possono avere in termini di
efficienza.
Non di piò limitare il mandato alla tutela degli azionisti anche se sono loro ad avere una relazione
con il management.
Questa concentrazione sugli azionisti non è giustificata dal punto di vista deontologico e sarebbe
controproducente l’effetto all’interno delle performance aziendali.

Il rifiuto della distinzione tra azionisti e altri operatori coinvolti è stato il punto di forza
dell’efficienza cooperativa che l’industria giapponese ha teso a realizzare:
- Punto di vista della “grande famiglia”  interesse per lavoratori e consumatori

Questa concezione consequenzialista non fa venire meno la responsabilità verso gli azionisti, ma
rafforza l’idea della responsabilità fiduciaria verso i vari stakeholder.
Possiamo aggiungere che dal punto di vista sociale, siccome il benessere dei consumatori e
lavoratori è = benessere collettivo, è interesse della comunità nel suo insieme avere un concetto di
responsabilità fiduciaria più elevato.

Mentre prima avevamo criticato la visione consequenzialista basata sul concetto di efficienza
paretiana, se guardiamo alla responsabilità fiduciaria abbiamo un importante visione della
responsabilità dei dirigenti d’impresa più interessante al fine dei risultati della società.
Profitto importante obiettivo che si affianca ad altri.

In conclusione possiamo dire che la difesa di una particolare interpretazione della responsabilità
fiduciaria va rapportata alle conseguenze del comportamento che ne discende (esempio Olivetti).
L’impostazione ristretta al profitto è inadeguata perché escluderebbe la responsabilità dei
manager verso altri stakeholder che avrebbe conseguenze negative a lungo termine anche per
l’impresa.
Un’impostazione deontologica pura non giustifica un ampliamento degli obiettivi dell’impresa ???

I vincoli all’uso dei mezzi nelle scelte d’impresa

Per quanto il criterio della massimizzazione del profitto possa risultare carente dal punto di vista
dell’analisi consequenziale, è improbabile che le imprese ne prescindano nel loro comportamento.
Sono vincoli particolari da considerare aldilà del criterio della massimizzazione del profitto.
Vincoli ai comportamenti e scelte dei manager.
Abbiamo un intreccio più sugli aspetti giuridici perché quando parliamo di vincoli facciamo
riferimento a vincoli di natura legale.
Alcuni di questi vincoli possono essere imposti tramite la regolamentazione pubblica limitando la
possibilità delle imprese di ottenere il profitto più alto.

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Tuttavia questa possibilità di utilizzare questo strumento può incontrare limiti forti nella possibilità
di imporre il rispetto delle norme.
L’enforcement molto spesso è limitato per problemi di controllori che hanno interesse a non
controllare.

Per esempio uno dei problemi che le banche e le istituzioni finanziarie si trovano ad affrontare è
l’impiego di profitti illeciti depositati da imprese o individui equivoci (riciclaggio).

LEZIONE 14 MAGGIO

RELAZIONE DOVERI E CONSEGUENZE  OBIETTIVI IMPRESA E COMPORTAMENTO MANAGER

MEZZI CHE L’IMPRESA USA PER RAGIGUNGERE I SUOI OBIETTIVI, QUINDI QUALI SONO I MEZZI
ETICI UTILIZZABILI …
I vincoli sull’uso dei mezzi possono essere di varia natura, anche legale. Non tutti i vincoli sono
legali, quelli etici vanno oltre.
Dobbiamo analizzare gli aspetti su cui la regolamentazione non è incisiva: sia ‘efficacia, ma anche
l’enforcement delle regole da parte dell’autorità pubblica è difficile impossibile.
Tutte le azioni la cui efficacia legale è limitata con controlli difficili entrano in gioco norme etiche
che riguardano aspetti relativi alle scelte che fanno le imprese di autoregolamentarsi/etica
comportamento dei manager.
L’altra volta abbiamo fatto l’esempio del riciclaggio del denaro sporco…ci sono esempi anche per
altri settori.
Da questo punto di vista resta il dualismo tra deontologia e consequenzialismo: la prima
imporrebbe alcuni tipi di comportamenti l’altra diversi.
Freedman da priorità alla massimizzazione di profitto sempre otterremo un certo tipo di risposta,
con l’approccio del secondo avremmo un’indicazione diversa per le scelte dell’impresa.
L’aspetto cruciale è la relazione tra deontologia e conseguenze e quindi la relazione tra le
procedure e i risultati che si ottengono.
L’aspetto delle regole di condotta (deontologico) e quello dei risultati di queste imprese non
possono considerarsi fatti disgiunti.
L’esempio del riciclaggio mette in evidenza questo contrasto: un esempio più interessante e
rilevanti in certi paesi è la relazione tra il mondo delle imprese e quello politico  relazione
delicata; le associazioni delle imprese hanno spesso una voce molto forte che influenza le scelte
pubbliche.
Il problema si pone su casi specifiche come imposte sulle imprese, chi può o non può inquinare,
imposte sulla plastica ancora non realizzate…
La regolamentazione giuridica di queste pressioni non è molto efficace e la dialettica è sempre
molto accesa.

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In alcuni paesi la voce delle imprese è più forte e determinante per alcune regolamentazioni in
campo economico, un esempio importante è quando negli anni 90 negli USA le associazioni degli
operatori finanziari convinsero il presidente a liberalizzare l’uso di alcuni titoli considerati
spazzatura, questo creò molto rumore ma questa liberalizzazione passò nel congresso americano e
ebbero successo le pressioni dei lob finanziari: la crisi per alcuni del 2008 partita dai mutui è in
parte dovuta a quella liberalizzazione.
Da questo punto di vista il problema è molto serio perché le conseguenze sul sistema economico
possono essere molto rilevanti, molte persone molti consumatori hanno anche avuto un danno
immenso.
Riprendiamo la nostra vecchia conoscenza Adam Smith che già nel 700 parlava di questo: si occupa
della questione delle pressioni degli operatori economici sul governo in particolare se ricordiamo
scuola economica in Gran Bretagna c’è stato un grande dibattito in parlamento sulle politiche
commerciali (dazi doganali).
Il ricorso a questioni politiche può essere giustificato dal punto di vista etico: così come i manager
rendono conto agli azionisti e sono incaricati di obiettivi ben precisi, allo stesso modo si può
ragionare per il rapporto governo/imprese  persone incaricate a soddisfare il mandato per cui
sono stati eletti e far funzionare il mondo della produzione. Ora questa cosa funziona fino ad un
certo punto in quanto il mondo politico ha mandati più importanti: se guardiamo il tema della
pressione giustificata in tema di conseguenze, dimostrare che una certa politica produce effetti
maggiormente positivi o negativi sul mercato è molto difficile e in alcuni casi impossibile, sebbene
potrebbero esserci benefici senza troppi vincoli sul mercato.
Al contrario molto spesso le imprese cercano di ottenere dal governo monopoli: esempio spiaggia
per stabilimenti balneari. In realtà sappiamo anche che le imprese chiedono che il governo faccia
funzionare il mercato in maniera concorrenziale, ma cercano vantaggi monopolistici nelle azioni
pubbliche.
Un altro esempio riguarda l’influenza del governo sui prezzi: un mercato concorrenziale con certi
risultati richiede che le transazioni avvengano a prezzi non influenzabili dalle imprese (price taker):
ci sono casi come quello delle mascherine in cui la concorrenza è messa a rischio dalle manovre di
prezzo delle imprese, non possiamo immaginare che quel tipo di pressioni siano giustificate dal
punto di vista etico.

CONCLUSIONI

Sen crede che nel business etics questa relazione tra doveri e conseguenze ha un ruolo centrale in
particolare per il comportamento dei manager e le scelte e obiettivi delle imprese.
Abbiamo fatto esempi per vedere che l’affidamento alla deontologia o consequenzialismo danno
risultati eticamente discutibili e abbiamo visto che l’argomento classico di Freedman basato sulla
responsabilità fiduciaria hanno diversi punti deboli.
Quando discutiamo degli obietti dell’impresa e cioè se deve o non deve massimizzare il profitto,
possiamo guardare sia l’aspetto di risultato, ma anche che questo ragionamento non tiene conto
degli aspetti che riguardano diritti umani, povertà, inquinamento e quindi aldilà dell’aspetto della

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massimizzazione di efficienza economica, il ragionamento va integrato con principi etici tipi della
CSR.
È molto rilevante considerare l’intreccio tra doveri e conseguenze e tra intervento pubblico e
interesse privato e quindi tenere presente anche questo di azioni.
In economia dobbiamo considerare un insieme più ampio di conseguenze che va oltre
l’organizzazione delle imprese.

RIPASSO PROGRAMMA

Foto domande.
Ci siamo chiesti se un’impresa può o deve avere responsabilità sociale. Siamo partiti da freedman
che diceva di no (solo massimizzazione), abbiamo spiegato in cosa consiste questa etica, ciò che è
bene e male, giusto e non giusto per quanto riguarda le azioni delle persone e delle organizzazioni.
Abbiamo visto che gli approcci etici sono diversi, a volte portano a conclusioni divergenti.
Esistono dilemmi etici che non hanno soluzioni ottimali e che l’etica non ci da soluzioni, ma ci
indica come va analizzato un problema.
Abbiamo visto, parte + importante, che l’economia tradizionale ipotizza che tutti gli agenti sono
razionali e come tali si comportano in un certo modo (razionalità); abbiamo messo in discussione
questa teoria sulla coerenza delle scelte di interesse personale, sia da un punto di vista logico che
empirico in quanto ci sono tutta una serie di fatti che contraddicono questa ipotesi e quindi
abbiamo introdotto una visione più ampia di comportamento individuale introducendo il fatto che
non è una motivazione adeguata, ma ne esistono altre introducendo motivazioni come empatia,
impegno, vedendo cosa ne pensava Smith e quindi neuroni specchio.
Lezione sul caffè, quello su Rana Platza, responsabilità delle imprese occidentali in tal senso e sulle
catene globali del valore.
Abbiamo concluso con doveri e conseguenze.
Articoli sul business etics.

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