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KYMLICA – INTRODUZIONE ALLA FILOSOFIA POLITICA CONTEMPORANEA –

UTILITARISMO
L’utilitarismo è la filosofia politica che sostiene che l’azione o la politica
moralmente giusta è quella che massimizza l’utilità totale per i membri della società. Si
guarda alla presenza di utilità all’interno della società e non alla distribuzione di essa tra
gli individui. ATTRATTIVE DELL’UTILITARISMO
L’utilitarismo in quanto teoria può presentare due attrattive principali:

• L’obiettivo che gli utilitaristi promuovono, ovvero il raggiungimento del massimo


aggregato di utilità totale, non dipende dall’esistenza di Dio e non ha basi
metafisiche.
Non è una teoria che si pone su una BASE METAFISICA, bensì è laica.
Tutti gli individui hanno il diritto di perseguire la felicità e l’utilità, non importa quale
religione perseguono, se sono figli di Dio, se sono atei o così via.
• È una teoria CONSEQUENZIALISTA. Questo vuol dire che rifiuta ogni posizione
moralmente assunta arbitrariamente. Non è possibile definire in modo arbitrario
cosa è moralmente positivo e cosa è moralmente negativo.
Ogni azione che non produce effetti negativi non può essere giudicata come
negativa e solamente le azioni che effettivamente producono degli effetti positivi
possono essere considerate moralmente positive. Secondo l’utilitarismo bisogna
quindi perseguire quelle azioni che portano al raggiungimento dell’utilità maggiore
possibile.
Trovare la situazione moralmente giusta significa misurare i cambiamenti della
situazione in termini di BENESSERE UMANO, non fare appello a criteri arbitrari.
In base a queste attrattive potremmo dire che il benessere umano è il bene da
ricercare all’interno della società e che le regole morali vanno valutate in base alle
CONSEGUENZE che esse producono sul benessere umano, non in base a dei criteri
moralmente prestabiliti.
L’atto moralmente migliore è quindi quello che MASSIMIZZA l’utilità totale, in
questo caso la felicità umana.
DEFINIZIONE DELL’UTILITA’ UMANA
La prima definizione di utilità è stata quella che faceva coincidere la maggiore utilità
con la maggiore felicità per il genere umano → Concezione EDONISTICA del benessere
umano. Tuttavia, con il passare del tempo, molti filosofi che aderiscono all’utilitarismo,
hanno deciso di non accettare questa visione, portando alla creazione di QUATTRO
POSIZIONI DISTINTE.

1. UTILITA’ COME EDONISMO DEL BENESSERE


Il massimo bene umano è rappresentato dall’esperienza o dalla sensazione del
PIACERE, visto come l’unico bene fine a sé stesso.
Questa concezione è stata quasi subito rigettata, dal momento che è molto riduttiva
e porta ad assumere che gli umani ricerchino solamente il piacere, cosa non vera.
Obiezione di Nozick: anche se potessimo essere collegati a una macchina che in ogni
secondo ci fa vivere una vita piena di felicità e piacere, ma non reale, noi
probabilmente non sceglieremmo di essere collegati a tale macchina, perché questa
non sarebbe la vita vera. Da qui capiamo come all’uomo non interessi solo il
piacere, ma ci siano altri beni che gli forniscono un’utilità.
Inoltre, esistono definizioni molto diverse di piacere. Ciò che è piacevole per me
potrebbe non esserlo per un altro individuo.
2. UTILITA’ COME STATO MENTALE NON EDONISTICO
Ci sono molte esperienze apprezzabili, non solo quelle che ci danno piacere. Scrivere
una poesia non per forza ci dà piacere, allora perché esistono i poeti?
L’utilitarismo promuove TUTTE LE ESPERIENZE APPREZZABILI.
Obiezione di Nozick: ci collegheremmo alla macchina dell’esperienza se fosse in
grado di produrre non solo piacere, ma ogni possibile stato mentale?
La risposta sarebbe ancora negativa, all’uomo non interessa stare in un dato stato
mentale, ma compiere le azioni che lo portano ad avere esperienze che lo inducono
a quello stato.
All’uomo non interessa sentire una data emozione, ma vivere.
Vediamo come questa concezione dell’utilità non sia realistica.
3. UTILITA’ COME SODDISFAZIONE DELLE PREFERENZE
Incrementare l’utilità degli individui significa soddisfare le loro preferenze,
qualunque esse siano. Tutti sono invitati a soddisfare le proprie preferenze per
massimizzare l’utilità. Critica: non sempre la soddisfazione delle preferenze
contribuisce al benessere. Se la nostra soddisfazione delle preferenze porta ad
arrecare danni ad altri, questo porta a una diminuzione della utilità totale, non di
certo alla massimizzazione di essa.
Le preferenze rispecchiano le CREDENZE che abbiamo nei confronti delle
cose che riteniamo valga la pena di avere, ma queste credenze possono
essere sbagliate. Una volta che compiamo le azioni che ci portano alla
soddisfazione della preferenza, potremmo renderci conto che in realtà stiamo
danneggiando altri o noi stessi.
Al massimo potremmo dire che l’utilità aumenta soddisfacendo le preferenze che
NON SI BASANO sulle credenze sbagliate.
4. UTILITA’ COME SODDISFAZIONE DELLE PREFERENZE INFORMATE
Il benessere viene quindi visto come la soddisfazione delle PREFERENZE INFORMATE,
ovvero quelle preferenze che si basano su informazioni complete ed esatte sulle
azioni che vengono compiute. Sono le cosiddette PREFERENZE RAZIONALI.
Critica: Innanzitutto, è molto difficile andare a misurare la quantità di benessere che
la soddisfazione delle preferenze razionali porta all’individuo. In secondo luogo,
come facciamo a stabilire quali sono, per ogni persona, le preferenze razionali? E
soprattutto, esse portano a un miglioramento o peggioramento della vita
dell’individuo anche se l’individuo non è a conoscenza che siano state realizzate (se
mia moglie mi tradisce e non lo so, questo peggiora la mia situazione, che io ne sia
consapevole o meno. Se fosse così, infatti, la mia preferenza razionale sul fatto che
mia moglie sia fedele si basa in realtà su una falsità, perché mia moglie non è fedele,
anche se io non lo posso sapere.)
Alcuni, sulla base di questo, hanno affermato che è allora inutile considerare
l’utilitarismo come una possibile teoria della filosofia politica. Ma non è vero.
L’atto moralmente giusto è quello che MASSIMIZZA L’UTILITA’, ma se noi non
riusciamo a trovare quale sia questo atto, allora non vuol dire che la concezione di moralità è
sbagliata, ma che l’uomo ha difficoltà a trovare quale sia effettivamente l’atto che porta alla
massimizzazione di essa. Non possiamo respingere l’utilitarismo in base alla definizione che
dà di utilità, ma dobbiamo respingerlo sulla base delle INDICAZIONI sui metodi di
MASSIMIZZAZIONE dell’utilità.
MASSIMIZZAZIONE DELL’UTILITA’
Secondo il conseguenzialismo dovremmo agire per massimizzare l’utilità delle
persone, ma in un mondo in cui le risorse sono LIMITATE, in più le preferenze possono
essere in contrasto tra di loro, questo appare quindi quasi impossibile.
Scopo dell’utilitarismo → Massimizzare l’utilità totale. Come si massimizza l’utilità
totale?
Mediante la soddisfazione delle PREFERENZE INFORMATE DEGLI INDIVIDUI.
Ma queste preferenze possono essere in contrasto tra di loro, come si risolve questo
contrasto? Si vanno semplicemente a soddisfare le preferenze che non sono in contrasto
con la massimizzazione, quelle che invece portano ad un abbassamento di essa non vengono
soddisfatte. NON ESISTE alcun gruppo PRIVILEGIATO nel calcolo della massimizzazione,
non conta l’identità di chi ha le preferenze, ma interessa solamente che esse portino
all’obiettivo finale.
Non solo gli individui devono agire in questo modo (utilitarismo morale), ma anche le
istituzioni politiche (utilitarismo politico), il quale scopo dev’essere quello di prendere
provvedimenti sulla base di ciò che porterebbe alla massima utilità a livello sociale.
Secondo alcuni critici l’utilitarismo propone un conseguenzialismo molto
semplificato e poco attraente.
I principi utilitaristici possono essere applicati in modo diretto o in modo indiretto.
Esistono varie concezioni ma secondo i critici nessuna di queste è pienamente
soddisfacente.
Iniziamo ad analizzare l’utilitarismo come procedura DECISIONALE GENERALE.
L’agente moralmente responsabile è l’agente U, una persona che decide come
spendere le proprie risorse calcolando gli effetti delle varie azioni possibili sull’utilità
complessiva. Visione quasi abbandonata anche dagli utilitaristi, ma che può essere usata
come critica generale.
Immaginiamo effettivamente di essere gli agenti U e di poter stabilire quale atto
produca la massima utilità, dovremmo in questo caso basare le nostre azioni su questi
calcoli utilitaristici? 1. Questa procedura non tiene conto degli OBBLIGHI SPECIALI che
abbiamo verso particolari persone.
Scegliendo le azioni da compiere, l’agente U considera ogni persona sulla stessa
posizione, questo quindi esclude che si possano avere rapporti morali SPECIALI con i
parenti, con gli amici, con la fidanzata, con i propri genitori e così via, ma le nostre intuizioni
e la nostra esperienza ci dicono che questo è CONTROINTUITIVO, naturalmente sembriamo
infatti portati a stabilire degli obblighi speciali nei confronti delle persone con cui abbiamo
relazioni differenti.
Se noi stipuliamo un prestito con una persona, riteniamo di dover ridare a quella
persona i soldi che ci sono stati prestati, dal momento che è nato tra di noi un rapporto
speciale.
Secondo l’utilitarismo, tuttavia, se con quel denaro qualcun altro (ad esempio
un’associazione benefica) potesse fare qualcosa di migliore, noi dovremmo dare il denaro a
quell’individuo. Anche questo esito è naturalmente CONTROINTUITIVO, noi dobbiamo
porre il rifspetto dei diritti prima del calcolo effettivo dell’utilità. È necessario che, per
vivere all’interno di una società aggregata, vengano rispettati i diritti differenziali che
nascono da ciascuna singola fattispecie, anche se, agendo in maniera differente, potrei
andare a produrre un’utilità maggiore.

Non possiamo ignorare il nostro DOVERE di andare a restituire ciò che ci è stato
dato sulla base della natura speciale dell’obbligo che abbiamo verso chi ci ha dato i soldi in
prestito.
Il venir meno alla promessa, inoltre, dal momento che è un atto moralmente
sbagliato, produce rancore, e questo rancore porta a un abbassamento dell’utilità totale
presente nel mondo. L’esistenza di una promessa crea un rapporto SPECIALE tra due
persone che deve essere posto su un livello superiore rispetto a quello in cui poniamo la
massimizzazione dell’utilità. Inoltre, non andando a soddisfare le promesse, produrremmo
disutilità. Il rispetto degli obblighi e dei contratti in realtà porta a una massimizzazione
dell’utilità, perché se non ci fosse una base superiore sulla quale essi poggiano, non
potremmo vivere in forme di società aggregate.
L’agente U, secondo una concezione dell’utilitarismo generale, dovrebbe stringere la
medesima relazione morale con ogni soggetto, ma questo non è possibile perché esistono
dei rapporti speciali, quali quelli che legano i creditori ai debitori, il marito alla moglie, il
fratello alla sorella, e ognuno di questi rapporti costituisce il fondamento di un DOVERE
superiore.
L’agente U non valuterebbe questi legami come speciali o come differenti, ma
ragiona ritenendo ogni posizione la medesima, portando quindi ai risultati controintuitivi
che abbiamo visto. Se pensassimo in questo modo, non potremmo portare a termine alcun
progetto perché i soldi che utilizziamo per realizzarlo potrebbero, ipoteticamente, produrre
una maggiore utilità se impiegati in altro modo, non rispetteremmo neanche gli obblighi, i
contratti…
Il conseguenzialismo dell’utilitarismo appare quindi TROPPO
SEMPLIFICATO e ridotto all’essenziale, non può essere considerato come un
criterio da applicare sempre e in ogni situazione.
2. Tiene conto di preferenze di cui non si dovrebbe tener conto.
L’utilitarismo non assegna egual peso a ogni individuo, ma a ogni fonte di utilità,
ovvero a ogni fonte di preferenza. Se affermassimo veramente che non importa l’identità e il
tipo di preferenza razionale che deve essere compiuta per andare a ottenere il massimo
livello di utilità, allora potremmo, mediante questa logica, giustificare lo schiavismo in una
società abitata
prevalentemente da bianchi. Se 100k bianchi decidono che a loro dà fastidio
condividere gli spazi con 20k persone nere, allora bisognerebbe attuare la segregazione
razziale per massimizzare l’utilità presente all’interno della società?
Queste preferenze di negare diritti agli altri sono irragionevoli, ma non
disinformate. Gli individui sono a conoscenza delle discriminazioni che le loro azioni
porteranno ma decidono comunque di agire in modo tale da massimizzare l’utilità totale.
Noi siamo portati a pensare che queste preferenze siano illegittime, dal momento
che andiamo a decidere su qualcosa che appartiene a qualcun altro (diritti dei neri), questo
quindi porta all’ottenimento di una utilità SENZA PESO MORALE perché si basa su
preferenze illegittime. Secondo gli utilitaristi non ha senso questa critica perché ciò che
decide cosa è legittimo o meno è semplicemente la distribuzione dell’utilità totale.

Bisogna andare a ridefinire l’utilitarismo e le scelte del nostro agente U, perché


chiaramente, secondo la visione corrente, senza andare a rispettare le regole basate sui
contratti e andando a compiere scelte che possono portare a pesanti discriminazioni, non si
può ottenere un’utilità totale che vada a soddisfare la società e il consequenzialismo
utilitaristico.
Sembrerebbe che, quando l’agente U vada a massimizzare l’utilità, in realtà la
minimizzi, dal momento che non rispetta queste regole BASILARI della moralità.
Esistono gli utilitaristi della REGOLA che sostengono che il test dell’utilità non vada
applicato alle singole azioni, bensì alle regole che le indirizzano.
Se la cooperazione sociale esige il rispetto delle regole, allora le scelte che
massimizzano l’utilità sono anche quelle che vanno a rispettare le regole necessarie per
vivere in aggregato. Secondo questi utilitaristi, il problema dell’agente U non è quello di
determinare le azioni che massimizzano l’utilità, ma le REGOLE che la massimizzano.
Per questo, è meglio andare a rispettare i diritti e i rapporti speciali per poter
rendere fattibile la convivenza civile con altri individui all’interno della società.
Secondo alcuni, tuttavia, l’utilitarismo della regola confluisce nell’utilitarismo
dell’ATTO, dal momento che le regole possono essere molto minuziose da risultare
equivalenti ad atti. In realtà, però, non è detto che le regole che vengono determinate a
livello di una società non vadano a discriminare le minoranze, anzi, è probabile che lo
facciano, andando ad aumentare il grado e il livello di paura delle minoranze nei confronti
delle maggioranze, e il grado e il livello di disprezzo delle maggioranze nei confronti delle
minoranze.
Proprio per questo è necessario non solamente tenere conto degli OBBLIGHI
SPECIALI, ma anche delle PREFERENZE ILLEGITTIME, che non devono guidare la scelta delle
regole.
Obblighi speciali + Preferenze Illegittime > Massimizzazione dell’utilità.
Con queste correzioni l’utilitarismo sembrerebbe applicabile, ma in questo modo
andremmo a sostenere la filosofia utilitaristica usando metodi NON UTILITARISTICI, dal
momento che non poniamo come scopo principale il raggiungimento dell’utilità totale
massima.
Gli utilitaristi, tuttavia, affermano che solamente facendo così si potrà raggiungere
UTOT Max. L’utilitarismo è un criterio di CORRETTEZZA MORALE, l’utilitarismo è ancora
ritenuto valido perché afferma che l’atto giusto deve massimizzare l’utilità, ma non che
dobbiamo
deliberatamente cercare di massimizzarla ad ogni costo, ed è possibile operare
meglio e ottenere un’utilità maggiore senza seguire dei criteri utilitaristici. Diventiamo
UTILITARISTI INDIRETTI.

Tuttavia, anche i risultati a cui si giunge applicando l’utilitarismo indiretto sono


controintuitivi. Per gli utilitaristi non bisogna tenere conto delle preferenze ingiuste non
perché moralmente sbagliate, ma semplicemente perché sono controproducenti. Non
sono meno legittime, semplicemente portano a un’utilità minore e quindi sono considerate
meno importanti. Secondo gli utilitaristi indiretti andiamo a massimizzare l’utilità
utilizzando principi non utilitaristici, ma allora non sarebbe più conveniente andare ad
abbandonare in principio l’utilitarismo come teoria della filosofia politica?

DUE DIFFERENTI CONCEZIONI DELL’UTILITARISMO

1. UGUALE CONSIDERAZIONE DEGLI INTERESSI


Ogni individuo ha degli interessi differenti e questi possono essere conflittuali.
Secondo molti, gli interessi dei singoli individui meritano l’eguale peso. Moralmente
la vita di ogni singola persona ha lo stesso valore; quindi, non c’è motivo per dare
importanze diverse a decisioni di individui diversi.
Dobbiamo dare uguale peso e considerazione agli individui perché in tal modo
trattiamo le persone come uguali e diamo loro uguale dignità.
Le azioni moralmente corrette sono quelle che MASSIMIZZANO L’UTILITA’, ma lo
scopo diretto del criterio (trattare le persone da eguali) non è la massimizzazione.
Visto che dobbiamo trattare le persone come eguali perché è moralmente corretto,
questo ci porta a dare uguale peso agli interessi di tutti; quindi, non dobbiamo
considerare gli interessi dei singoli ma, in aggregato, quelli che massimizzano
l’utilità.
2. UTILITARISMO TELEOLOGICO
Questa visione è differente dalla prima, perché pone come obiettivo la
massimizzazione.
L’utilitarismo si deve occupare degli STATI DELLE COSE, non delle persone. Se
mettere al mondo tante persone fa aumentare l’utilità, allora bisogna farlo,
senza andare a preoccuparsi del modo in cui staranno queste nuove persone.
Definisce il giusto in termini di massimizzazione del bene, quindi di conseguenza ogni
individuo conta ugualmente. Mentre con la prima interpretazione facevamo un
percorso inverso.
Secondo Rawls l’utilitarismo è una teoria di questo tipo, ovvero teleologica.
Ma perché dovremmo considerare la massimizzazione del bene un DOVERE
MORALE? Un dovere rivolto verso chi? Non possiamo di certo avere un dovere nei
confronti degli stati delle cose, visto che è un rapporto che si instaura tra individui.
Se considerassimo la massimizzazione come dovere, dovremmo considerare
questo dovere nei confronti degli individui, ma allora ritorneremmo alla prima
interpretazione, ovvero al fatto che ogni individuo merita l’eguale peso e per
questo ci interessiamo alla max.
Se vogliamo fare nostra questa interpretazione, la massimizzazione dell’utilità deve
essere vista come un IDEALE NON MORALE. Le persone diventano un mezzo
mediante il quale andare a massimizzare il bene.
Quando si ragiona in termini di bene, e non del rispetto degli individui, allora si esce
dalla moralità, dal momento che non vi è nulla di morale nel modo in cui si considera
un bene. Gli umani diventano semplicemente dei PRODUTTORI e CONSUMATORI
di bene, togliendo ogni principio di moralità da essa.
Per questo motivo questa interpretazione ha veramente pochi sostenitori, perché
spoglia totalmente la teoria utilitaristica delle attrattive iniziali e della propria
intrinseca moralità.
È quindi preferibile che l’utilitarismo venga interpretata come quella particolare
teoria della filosofia politica che porta a considerare gli INDIVIDUI come eguali e, in quanto
tali, ciascun individuo ha il diritto di ottenere lo stesso peso all’interno del calcolo dell’utilità.
In base a questo, dal momento che ogni individuo ha lo stesso peso, è preferibile
andare a scegliere dei criteri e delle regole che portano a una MASSIMIZZAZIONE
DELL’UTILITA’, nel rispetto dell’uguaglianza degli individui e delle loro identità.
CONCEZIONE INADEGUATA DELL’UGUAGLIANZA
Se vogliamo utilizzare l’utilitarismo come teoria politica, dovremo allora
utilizzare la prima interpretazione. Ma questo, come abbiamo già visto, può portare a
giustificazioni di scelte che danneggiano dei gruppi di persone per ottenere un’utilità
maggiore.
Proprio per questo dobbiamo andare a distinguere DIVERSI LIVELLI DI
UGUAGLIANZA.
Pur mirando a trattare le persone da eguali, infatti, l’utilitarismo viola molte delle
nostre intuizioni morali. Per questo bisogna distinguere diversi TIPI DI PREFERENZE e solo
alcuni di queste hanno un peso morale che può essere considerato legittimo:

• PREFERENZE ESTERNE
Sono le preferenze concernenti i beni, le risorse, le opportunità di cui un individuo
desidera dispongano gli altri. A volte sono frutto di pregiudizi. Una persona
estremamente razzista non desidererà che persone di altre etnie dispongano delle
loro stesse opportunità.
• PRESEFERENZE PERSONALI
Sono le preferenze riguardo i beni, risorse e opportunità di cui un individuo desidera
disporre.
Il principio più profondo dell’utilitarismo è quello dell’uguaglianza. Tutte le persone
hanno uguale importanza da un punto di vista morale. Se le preferenze esterne contano,
allora ciò che mi è legittimamente dovuto dipende da quello che gli altri pensano di me. Se
gli altri mi considerano degno di minore importanza, allora potrò ottenere meno. Ma questo
è INACCETTABILE. L’utilitarismo, allora, NON PUO’ ACCETTARE l’esistenza di preferenze
esterne che vadano a ledere l’uguaglianza degli individui. Se queste non possono essere
accettate, allora le preferenze esterne non devono essere considerate all’interno del calcolo
dell’utilità.

PREFERENZE EGOISTICHE
Un altro tipo di preferenze illegittime è rappresentato da quelle egoistiche. Ignorano
il fatto che anche gli altri hanno bisogno di risorse, perché prediligono una maggiore
quantità di esse per sé stessi. Secondo gli utilitaristi, tuttavia, non si possono individuare le
preferenze egoistiche prima di andare a svolgere i calcoli sull’utilità; quindi, la loro stessa
esistenza non rappresenta un problema.
La maggior parte degli utilitaristi considera accettabile considerare nel calcolo
ANCHE le preferenze egoistiche, perché a esigerlo è proprio il principio di uguale
considerazione. Bisogna ricordarsi che gli utilitaristi non sostengono una distribuzione
equa delle risorse, ma la distribuzione che massimizza l’utilità, e se la distribuzione NON
EQUA → Utilità MASSIMA, allora è giusto che i beni, le risorse e le opportunità siano
distribuite in quel modo.
All’interno dell’Utilitarismo è nato un acceso dibattito riguardo al perché queste
preferenze debbano e possano essere giustificate.
Secondo alcuni le preferenze egoistiche non devono valere, perché una distribuzione
ugualitaria delle risorse porterebbe a una maggiore utilità totale. L’UTILITA’ MARGINALE di
un pezzo di pane per un individuo che sta morendo di fame è di gran lunga maggiore di
quella di una persona che ha già tutte le risorse a propria disposizione, per questo, il dargli
un pezzo di pane, produce un’utilità molto maggiore rispetto a quella che sarebbe stata
prodotta se fosse stato dato al ricco.

Mackie → Se tutti dispongono di un’equa quota di risorse, i beni che possiedo sono
MIEI e nessuno può far valer qualsiasi tipo di diritto su di essi. Le preferenze di chi vuole
ottenere i miei beni sono EGOISTICHE e non devono essere soddisfatte. Lo Stato deve
assicurare una quota equa a tutti per impedire anche la nascita stessa delle preferenze
egoistiche.

Hare → Le risorse inizialmente assegnate a me NON SONO MIE in realtà. Se c’è


qualcun altro che può farne un miglior uso, per andare ad aumentare l’utilità totale, allora
devo cedergliele. È giusto ridistribuire le risorse se così possiamo soddisfare degli scopi
maggiori. Secondo Hare è giusto sacrificare i propri desideri e la propria volontà per uno
SCOPO MAGGIORE.
Se io impedissi la realizzazione di un’utilità maggior per mantenere il possesso delle
mie risorse, allora sarei io che impedirei il trattamento egualitario nei confronti degli altri.
(Esempio Giardino)
Vedendo la situazione ipotizzata da Hare con i nostri occhi, se noi impedissimo ai
nostri vicini con giardino di utilizzare il nostro giardino per scopi comuni, in realtà, non
compiremmo nulla di sbagliato, ma sarebbero loro a non rispettarci in quanto individui
eguali.
Se noi possediamo GIA’ una QUOTA DI RISORSE, non è legittimo avanzare pretese
morali sulle risorse di altri perché riteniamo di poter generare più felicità.
Secondo i critici le preferenze egoistiche vanno escluse sin dal PRINCIPIO, perché
andandole a considerare allora si andrebbe a generare un’incapacità di mostrare uguale
considerazione degli individui, soprattutto nel caso in cui la distribuzione delle risorse sia
equa.
L’utilitarismo potrebbe apparire attraente perché considera gli individui come uguali,
ma il fatto che vengano considerate le preferenze esterne ed egoistiche lo rende meno
appetibile di altre teorie che si basano invece, ad esempio, sull’equità.
L’utilitarismo ha portato ad un’ECCESSIVA SEMPLIFICAZIONE della convinzione che
il benessere dei nostri simili sia degno di sollecitudine morale.
Esso, nella sua forma più pura, non può essere applicato, ed è proprio per questo che
si è andato a SNATURARE, perdendo la sua natura iniziale e andando a diventare un
utilitarismo indiretto, che ha però portato, forse, a una situazione in cui l’utilitarismo stesso
ha perso la sua identità. Mediante l’utilitarismo non vengono neanche specificate le varie
uguaglianze: l’uguaglianza delle opportunità può comunque produrre disuguaglianze (di
reddito), queste sono accettabili? Da questa analisi dell’utilitarismo capiamo come abbia
totalmente perso la sua NATURA INIZIALE e come la base sulla quale si pone, ovvero l’idea
che ogni individuo abbia eguale peso, sia troppo astratta per poter andare a creare una
teoria CONSEQUENZIALISTA di filosofia politica.
POLITICA E UTILITARISMO
Se applicato alla politica sembrerebbe che l’utilitarismo potrebbe giustificare il
SACRIFICIO dei membri più deboli per poter ottenere benefici a livello aggregato, ma in
realtà è nato come critica alla società inglese. I primi utilitaristi erano veramente
rivoluzionari.
Gli utilitaristi contemporanei sono molto CONFORMISTI, nel rispetto della morale
vigente. Sostengono di dover sostenere la morale corrente anche se ci sono buone ragioni e
dimostrazioni che, comportandosi in maniera differente, l’utilità verrebbe massimizzata e
aumenterebbe. Alcuni utilitaristici, riprendendo il concetto di utilità marginale, sostengono
che per massimizzare l’utilità sia necessario ridistribuire i redditi, mentre altri ritengono che
il capitalismo crei ricchezza.
Vediamo come, ai giorni nostri, abbia totalmente perso la sua natura iniziale e non
sia più in grado di definire una POSIZIONE POLITICA UNIVOCA.
EGUALITARISMO
SANDEL, GIUSTIZIA. – TESTO 2
Essendo nati in un paese, non abbiamo sottoscritto un contratto sociale per
diventare cittadini di quel paese. Allora perché siamo portati a rispettare la legge?

• Locke
Abbiamo dato un CONSENSO TACITO, chiunque gode dei privilegi che derivano
dall’esistenza di un governo dà un consenso implicito alla legge ed è quindi vincolato
da essa.
• Kant
CONSENSO IPOTETICO. Una legge è giusta se si può immaginare che sia stata
approvata dall’insieme della popolazione. Ma come fa a produrre efficacia nella
realtà se è ipotetico?
Rawls presenta una possibilità in “Una teoria della giustizia”, ovvero che il modo
corretto di pensare alla giustizia sia chiedersi a quali principi daremmo consenso trovandoci
in una situazione iniziale di UGUAGLIANZA.
Secondo Rawls dobbiamo immaginare di trovarci in una POSIZIONE ORIGINARIA in
cui dobbiamo scegliere le leggi che regoleranno la società, ma ci troviamo davanti un VELO
DI IGNORANZA. Sappiamo che la società presenterà delle minoranze e dei gruppi
svantaggiati, ma non sappiamo la nostra possibile condizione. I principi scelti sarebbero
GIUSTI perché nessuno sceglierebbe per avvantaggiare il proprio genere, gruppo sociale,
gruppo etnico non sapendo che posizione andrà a ricoprire all’interno della società.
In posizione originaria, cosa andremmo a scegliere?

• Di certo non l’UTILITARISMO. Potrebbe capitarci di appartenere a una minoranza


oppressa, nessuno vorrebbe rischiare di trovarsi in tale posizione.
Non vogliamo trovarci vittime della persecuzione religiosa o discriminazione razziale.
• Ma neanche il puro LIBERTARISMO economico, in cui potremmo essere ricchissimi o
estremamente poveri.
Secondo Rawls da questa posizione originaria scaturirebbero DUE PRINCIPI DI
GIUSTIZIA

• Vengono assicurate a tutti i cittadini le LIBERTA’ FONDAMENTALI.


Ha la precedenza sulle considerazioni di utilità sociale e di benessere.
• Eguaglianza SOCIALE ed ECONOMICA.
Non dobbiamo essere tutti uguali ma è possibile consentire delle disuguaglianze in
modo tale da andare ad avvantaggiare i membri più svantaggiati della società.
LIMITI ETICI DEI CONTRATTI
Se le condizioni in cui due o più individui che stipulano un contratto non sono giuste,
allora neanche il contratto potrà essere considerato equo da un punto di vista morale. Le
persone che stipulano il contratto potrebbero trovarsi all’interno di posizioni di potere
differenti, potrebbero avere diverse abilità di trattativa oppure una parte potrebbe trovarsi
su una posizione maggiormente privilegiata.
Per questo motivo, l’esistenza di un contratto NON GARANTISCE l’equità delle
condizioni stabilite.
Il fatto che però non siano equi non ci consente di VIOLARE tali contratti a nostro
piacimento.
Si può essere obbligati ad adempire a un contratto anche se tale contratto è iniquo.
Consideriamo il caso in cui l’obbligo sia basato sul CONSENSO.
Stipulo un accordo con una persona. Catturami delle aragoste e ti darò 100 euro.
Se io dopo 5 minuti dall’aver stipulato l’accordo decido di non volerle più, tu potresti
comunque avere diritto ad ottenere la somma di denaro che ti sarebbe spettata sulla base
del consenso iniziale nella stipulazione del contratto?
Il consenso è in grado di creare obblighi, o è necessario anche godere di qualche
VANTAGGIO? Nella realtà i contratti hanno valore dal momento che si basano su:

• AUTONOMIA
Sono atti volontari e quindi espressione della nostra autonomia. Gli obblighi hanno
effetto perché noi li assumiamo per nostra LIBERA SCELTA.
• RECIPROCITA’
Entrambi gli individui ottengono un vantaggio reciproco. Noi dobbiamo ripagare altri
individui per i vantaggi che ci generano.
Ma nella realtà non sempre gli accordi sono stipulati in maniera autonoma, oppure
non sempre vi è un godimento reciproco di vantaggi. Il consenso può non sempre essere
SUFFICIENTE a produrre obblighi, mentre in altri casi non è nemmeno presente quando
vengono stipulati dei contratti.
CONSENSO NON SUFFICIENTE – GABINETTO CHE PERDE
Una signora anziana ha il gabinetto che perde. Un idraulico disonesto le propone di
ripararlo per 50 mila dollari; la signora anziana, ignara del prezzo di tale riparazione, decide
di accettare. L’idraulico, una volta scoperto, verrà arrestato per frode, nonostante abbia
fatto firmare un contratto e quindi un accordo teoricamente vincolante che impegnava la
signora al pagamento. Questo caso ci fa capire che:

• Il fatto che un contratto esista non ne garantisce l’EQUITA’. La signora non avrebbe
goduto di un vantaggio pari al vantaggio che avrebbe invece ricevuto l’idraulico.
• Il CONSENSO non basta a creare un’esigenza MORALE vincolante.
In questo caso il consenso non è sufficiente a creare un obbligo morale, perché il
vantaggio ottenuto dall’idraulico è spropositato e non rappresenta un accordo equo
tra parti.
CONSENSO NON NECESSARIO – CASA DI HUME E LAVAVETRI
Hume aveva una casa ad Edimburgo che affittò a un amico. Questo la diede in
subaffitto e l’inquilino decise di far ristrutturare la casa senza dire nulla a Hume.
Hume decide di non pagare i lavori, ma secondo l’impresario questi lavori erano
necessari nonostante non ci fosse il consenso del proprietario della casa.
Il tribunale obbligò comunque Hume a pagare, dal momento che aveva ottenuto un
BENEFICIO e un vantaggio che doveva essere ripagato.
Esistono quindi casi in cui il consenso non è NECESSARIO se è presenta la
reciprocità, ovvero se effettivamente ho ottenuto un vantaggio; a questo punto sarà
necessario andare a ripagare questo vantaggio per far valere la regola della reciprocità.
Ci sono diverse interpretazioni di questa visione: secondo alcuni l’obbligo può
nascere dall’esistenza di vantaggi reciproci, anche se non si poggiano sulla base del
consenso, secondo altri, invece, il consenso è sempre necessario nella stipulazione degli
accordi.
IMMAGINARE IL CONTRATTO PERFETTO
Nella vita reale è impossibile stipulare un contratto o un accordo in cui entrambe le
parti abbiano pari livelli di autonomia e di reciprocità, i vantaggi non sempre sono
propriamente equi e spesso gli individui ricoprono posizioni di potere o di privilegi che gli
consentono di avere un’autonomia maggiore dell’altra parte. Proprio per questo proviamo
ad immaginare un contratto perfetto.
Il contratto perfetto è caratterizzato da due parti dotate di POTERE e COMPETENZA
equivalenti e che si trovano in posizioni identiche. Immaginiamo che il contratto riguardi i
principi di base che devono reggere la nostra società. Un contratto di questo tipo, in cui
nessun individuo si trova in una posizione avvantaggiata di partenza nei confronti dell’altro,
è un contratto che darebbe vita a una società basata su principi GIUSTI, dal momento che
concordati in una situazione di EQUITA’.
Questo è il contratto che immagina Rawls alla fondazione di una ipotetica società
giusta. Se conoscessimo la nostra posizione di partenza saremmo, anche solo
implicitamente, influenzati a scegliere delle regole e dei principi che possano portarci ad
ottenere dei vantaggi nella società sulla base delle nostre caratteristiche ascritte.
Questo è un CONTRATTO REALE nella sua forma PURA, ha una potenza etica
fortissima.
PRINCIPIO DI DIFFERENZA
Dobbiamo innanzitutto porre come principio fondamentale della società il rispetto
dei diritti e delle libertà individuali, non dobbiamo sacrificare tali libertà per ottenere un
maggiore benessere generale.
Fatto salve questo, allora, come potremo gestire le DISPARITA’ ECONOMICHE E
SOCIALI? Quale principio verrebbe scelto in posizione originaria per regolare le disparità?
In una situazione in cui garantire stipendi differenziati possa riuscire a migliorare le
condizioni di tutti gli individui presenti all’interno della società, allora dovremmo optare per
questa scelta. PRINCIPIO DELLA DIFFERENZA → Le disparità sociali vengono consentite se
sono tali da offrire dei vantaggi ai membri meno favoriti della società.
Se immagino una realtà in cui stipendi più alti ai medici consentono anche a coloro
che si trovano in zone rurali di accedere gratuitamente al servizio sanitario nazionale, allora
il principio della differenza viene rispettato in quanto le disparità economiche e sociali
vengono utilizzate e mantenute per elevare lo stato anche di coloro che stanno peggio.
Se un sistema basato sulla DISPARITA’ permette ai membri più poveri della società di
stare meglio
rispetto al caso in cui il sistema fosse basato sulla PARITA’, allora è giusto che
esistano le disuguaglianze perché rispettano il principio di differenza.
Non si deve far dipendere la distribuzione dei redditi dai FATTORI ARBITRARI dal
punto di vista etico.

ARBITRARIETA’ ETICA
Il sistema feudale delle caste viene considerato, ai giorni nostri, come un qualcosa di
inaccettabile, perché distribuiva le opportunità e i redditi sulla base di condizioni ascritte di
nascita. Con il libero mercato questo viene meno perché, almeno apparentemente, tutti
possono, se presentano i requisiti necessari, intraprendere una determinata carriera.
Ma questa possibilità è solamente APPARENTE, in pratica le pari opportunità non
sono GARANTITE.
Chi nasce in una buona famiglia in grado di fornirgli una buona ed elevata istruzione
avrà più possibilità rispetto a chi non si trova nelle stesse condizioni. È un bene che sia
permesso a tutti di entrare in competizione, ma se non tutti si muovono dalla stessa
posizione di partenza, allora questo è inutile. La gara NON è alla PARI.
Il mercato libero come è costituito non permette di poter compiere una gara alla
pari.

Concezione Meritocratica → La competizione è giusta e accettata solamente se tutti


partono dalle stesse posizioni di partenza e hanno le stesse possibilità di sviluppare i propri
talenti. Le ripartizioni avverranno, successivamente, sulla base dei talenti.
Secondo Rawls questo non è giusto, perché la gara verrebbe vinta da CHI CORRE PIU’
VELOCE. Ma l’avere talenti che permettono di vincere questa gara è un qualcosa di
totalmente aleatorio, non decidiamo noi di nascere intelligenti o stupidi, di nascere con o
senza talenti. La società meritocratica pone alla base del successo una caratteristica
ARBITRARIA di nascita.
È una condizione viziata per lo stesso motivo per cui lo è quella LIBERTARIA, pone le
basi del principio distributivo su fattori che sono arbitrari. Allora come possiamo fare per
correggere questo? Dovremmo svantaggiare coloro che “corrono” più veloci?
INCUBO EGUALITARIO
Racconto di fantascienza in cui si è effettivamente raggiunta l’uguaglianza mediante
un sistema di Handicap posti nei confronti di coloro che hanno delle caratteristiche innate
(intelligenza, superiorità fisica) migliori della media della popolazione.
Incubo in cui coloro che, non per loro scelta, sono nati con delle caratteristiche
migliori degli altri, sono costretti a vivere con degli handicap pesantissimi per adeguarsi alla
società. Ma questa non è la soluzione di Rawls.
Secondo Rawls la soluzione è quella di introdurre un principio di differenza,
che pone un CORRETTIVO alla distribuzione ineguale di talenti senza porre degli
handicap ai più dotati. Il principio di differenza porta a incoraggiare coloro dotati di
maggiori talenti di svilupparli, tenendo presente che i compensi ottenuti
appartengono non a loro ma alla COMUNITA’.
Il principio di differenza porta a considerare le differenze di talenti come un
vantaggio non per gli individui ma per la COMUNITA’, chi è stato privilegiato per natura non
ha meritato di trovarsi in una posizione di partenza più favorevole di altri, ma non deve
neanche essere svantaggiato a causa di questo. La soluzione è quella di organizzare la
società in modo tale che i loro talenti contribuiscano a migliorare la condizione dei MENO
FORTUNATI.
Soltanto il principio di differenza evita di fondare la distribuzione del reddito e della
ricchezza su fattori moralmente arbitrari e contingenti.
OBIEZIONE N.1 – GLI INCENTIVI
La prima obiezione imposta al principio di differenza è quella riguardo agli incentivi.
Se chi è dotato sviluppa i propri talenti per aiutare i meno fortunati, che fine fanno
gli INCENTIVI?
Perché dovrebbe sviluppare i propri talenti e impegnarsi se non ottiene nulla in
cambio per sé? Se un chirurgo paga tasse altissime, perché allora decide di impegnarsi per
diventare chirurgo?
Rawls risponde dicendo che, anche con il principio di differenza, continuerà ad
esistere la DISPARITA’ dei REDDITI. Gli incentivi sono necessari dal momento in cui portano
gli individui ad impegnarsi maggiormente e quindi a contribuire maggiormente al
miglioramento della società e della condizione dei più poveri. Se sono necessari affinché le
persone si impegnino, allora bisogna introdurli.
Le differenze di reddito sono giuste SOLO SE stimolano un impegno maggiore e SOLO
SE questo, a sua volta, porta al miglioramento della condizione dei MENO FORTUNATI.
Non c’è nulla di morale che ci dice che un medico debba guadagnare più di un
operaio.
OBIEZIONE N.2 – L’IMPEGNO
La seconda obiezione si basa sul fatto che le persone non ottengono i propri risultati
solamente in base alle caratteristiche di nascita, ma anche in base all’impegno che ci
mettono per raggiungerli. Coloro che ottengono i compensi se lo meritano non solo perché
hanno talenti, ma anche perché ci hanno messo tantissimo impegno per raggiungere quei
risultati.
Secondo Rawls anche l’impegno dipende dall’AMBIENTE DELLO SVILUPPO.
Innanzitutto, le persone con più talenti saranno spronate di più, e questo le porterà
ad impegnarsi maggiormente rispetto alle persone che non vengono incoraggiate.
Ci sono persone che nascono in ambienti molto sfavorevoli e che, anche se hanno
talenti, non possono svilupparli perché magari devono andare a lavorare o contribuire al
guadagno familiare. Secondo alcuni studi i primogeniti sono più portati ad impegnarsi, ma
nessuno può dire che nascere primogeniti sia un proprio MERITO.
Proprio per questo l’impegno NON PUO’ costituire un fattore di merito morale.
Esempio di Michael Jordan: è vero, si è impegnato molto per diventare una leggenda
del basket, ma ci sono altre persone che si sono impegnate 10 volte tanto. Allora l’impegno
non è fondamentale.
RESPINGERE IL MERITO MORALE
La giustizia distributiva NON RIGUARDA la compensazione del merito morale. La
giustizia in quanto equità respinge che la distribuzione debba essere svolta per merito
morale.
Noi non ci meritiamo la posizione in cui ci siamo trovati quando siamo nati, è pura
casualità. Il concetto di merito per il nostro ambiente familiare e caratteristiche di nascita
non si applica.
Questo vuol dire che chi lavora sodo non ha diritto a compensi? No.
Rawls introduce i DIRITTI ACQUISITI SULLE ASPETTATIVE LEGITTIME, diritti che
possono essere acquisiti purché vengano rispettate delle determinate regole.
Secondo alcuni, aumentare le tasse dei ricchi li priva di qualcosa su cui vantano un
diritto morale, secondo altri invece questo è giusto perché le persone non hanno diritti
morali a godere di vantaggi.
La giustizia DISTRIBUTIVA non si occupa di premiare la virtù o il merito morale, ma
piuttosto mira a soddisfare le ASPETTATIVE LEGITTIME che sorgono una volta stabilite le
regole del gioco. Una volta che i principi della giustizia fissano i termini e le regole per la
cooperazione sociale, le persone hanno DIRITTO di godere dei benefici che si guadagnano
osservando le regole. Ma se lo stesso sistema che gli offre dei diritti sulle aspettative
legittime li obbliga a pagare delle tasse alte per sostenere la popolazione più povera, questi
non potranno lamentarsi, perché sta scritto nelle regole del gioco.
Se non avessero voluto pagare tasse alte non avrebbero dovuto raggiungere tali
posizioni.
Infatti, il fatto che io possegga dei talenti che mi permettono di raggiungere
posizioni più elevate all’interno della società NON DIPENDE interamente da me, ma dalla
lotteria genetica. Inoltre, le doti che una società apprezza sono ARBITRARIE. Potremmo
essere degli artisti abilissimi ma se le nostre abilità non sono richieste non avremo
successo, mentre ne avremmo avuto molto nel medioevo quando i ricchi richiedevano
l’esecuzione di ritratti.
Il fatto che le mie abilità fruttino molto o poco dipende dall’epoca in cui viviamo.
Spesso chi ha successo dimentica il fattore aleatorio dell’importanza data dalla
società alle posizioni che loro hanno raggiunto. Il fatto che la società apprezzi o meno dei
talenti non è né merito né colpa nostra, ma una situazione arbitraria.
Abbiamo quindi il DIRITTO di ottenere i benefici che derivano dalle regole del
gioco, ma non abbiamo il MERITO di ottenere questi benefici, perché il fatto che io disponga
o meno delle abilità che fruttano all’interno di una data società e il fatto stesso che io abbia
potuto svilupparle sono fattori completamente arbitrari e aleatori, che non dipendono da
me.
È proprio questa la differenza tra le legittime aspettative e il merito morale.
LA VITA È INGIUSTA
Secondo Rawls la vita è ingiusta, ma non bisogna accettare questo come dato di fatto
e imparare a conviverci. Infatti, il modo in cui stanno le cose NON DETERMINA il modo in
cui DOVREBBERO ESSERE. C’è sempre una possibilità di cambiamento, non bisogna
accettare il modo in cui stanno le cose solamente perché sono così da molto tempo.

JOHN RAWLS – UNA TEORIA DELLA GIUSTIZIA


La giustizia è il primo requisito delle ISTITUZIONI SOCIALI. Leggi e istituzioni devono
essere abolito o riformate se sono ingiuste. La giustizia nega che la perdita della libertà
possa essere giustificata da maggiori benefici goduti da altri o a livello comune.
Le ingiustizie sono accettabili solamente quando la loro mancata esistenza
genererebbe situazioni ancora più ingiuste.
È necessario andare a costruire una TEORIA DELLA GIUSTIZIA. Perché?

Considero la società come un’associazione più o meno autosufficiente di persone che


riconoscono delle norme che regolano la loro interazione. Supponiamo che queste norme, in
genere, siano cooperative. Nonostante si basi su norme cooperative, la società è
caratterizzata da innumerevoli CONFLITTI e da IDENTITA’ DI INTERESSI.
Esiste un conflitto di interessi perché le persone non sono indifferenti rispetto al
modo in cui, all’interno di una società, vengono distribuite le risorse e i beni a disposizione.
Una teoria è necessaria per andare a scegliere i modelli che possano andare a
costruire una società in cui questi conflitti di interessi possano essere ridotti al minimo.
Una società è BENE ORDINATA quando:

1) I principi di giustizia vengono accettati da ogni membro


2) Le istituzioni soddisfano in modo generale questi principi accettati universalmente
In mezzo a una società in cui ciascun individuo ha un’identità differente e persegue
scopi e interessi diversi, è necessario che ci sia una concezione CONDIVISA di giustizia.
Il concetto di giustizia è diverso dalle CONCEZIONI DI GIUSTIZIA, dal momento che
possono esistere, all’interno della stessa società, tante concezioni di giustizia differenti che
creano conflitto. Una società ben ordinata è una società in cui tutti condividono la stessa
concezione di giustizia.
Ovviamente una società non si basa solamente sulla giustizia, ma anche
sull’efficienza e la stabilità. Ma efficienza e stabilità possono essere raggiunte con facilità
solamente andando ad organizzare la società attorno a dei principi di GIUSTIZIA condivisa,
dal momento che, solamente in questo modo, si potrebbero ottenere degli schemi
cooperativi stabili e condivisi tra tutti i membri.
OGGETTO DELLA GIUSTIZIA
L’oggetto principale della giustizia è andare a regolare la struttura della società, o
meglio, il modo in cui le istituzioni sociali distribuiscono i DIRITTI e DOVERI fondamentali.
Le istituzioni sociali MAGGIORI sono quelle che determinano la costituzione politica
e gli assetti economici-sociali di una società. Nelle società contemporanee, queste istituzioni
distribuiscono doveri e diritti in modo tale da creare gravi DISUGUAGLIANZE, dal momento
che pongono le persone su livelli di benefici e di privilegi differenti che non consentono di
organizzare una società equilibrata.
Dobbiamo quindi applicare i principi della giustizia sociale a queste istituzioni
fondamentali.
Innanzitutto, bisogna considerare i principi di giustizia di Rawls come quei principi
che devono essere applicati all’interno di una società alle istituzioni sociali maggiori. Sono
validi in questo contesto. È probabile e possibile che, se applicati in sfere di rapporti privati o
internazionali tali principi risultino non validi.
LIMITI DELLA DISCUSSIONE

• I LIMITE
Società chiusa non posta in rapporto con altre. È un’astrazione che serve per poter
elaborare i concetti di giustizia di Rawls.
• II LIMITE
Si prendono in considerazione solamente i principi che regolano una società bene
ordinata. Non si devono considerare i principi applicabili ad altri tipi di giustizia. È
una teoria IDEALE.
Una concezione della giustizia sociale deve essere considerata come uno STANDARD
rispetto al quale vanno valutati gli aspetti distributivi della struttura fondamentale della
società.
Ma la concezione della giustizia ci porta a giudicare solamente se una società è giusta
o non giusta, non se è illiberale o liberale, efficiente o inefficiente…
Una concezione che porta a considerare ogni aspetto della società è un IDEALE
SOCIALE, ma i principi di giustizia non sono altro che una parte di tale ideale sociale. Non
lo esauriscono. Un ideale sociale è collegato a una concezione della giustizia, ma essa
non è altro che solamente una parte di tale ideale sociale.
Un concetto di giustizia viene definito dal ruolo che i suoi principi hanno
nell’assegnazione di diritti e doveri e nel definire la appropriata ripartizione dei benefici
sociali.
Una concezione della giustizia non è altro che un’interpretazione di questo ruolo.
IDEA PRINCIPALE DELLA TEORIA DELLA GIUSTIZIA
Partiamo dalla teoria del CONTRATTO SOCIALE, astraendola maggiormente. I
principi di giustizia per la struttura fondamentale della società sono oggetto dell’accordo
originario, ovvero quello tenuto in posizione originaria e che quindi porterebbe alla scelta di
principi GIUSTI.
Gli individui, quindi, decidono a priori (posizione originaria) il modo in cui sarà
ordinata la loro futura società e ogni possibile metodo di risoluzione delle controversie.

GIUSTIZIA COME EQUITA’ → I principi di giustizia guidano la scelta delle forme di


governo che possono essere istituite e specificano ogni tipo di cooperazione sociale
possibile.
Viene chiamata come equità perché i principi di giustizia scelti sono quelli selezionati
in posizione originaria, in cui abbiamo uno status quo e delle posizioni eque tra individui.
Ovviamente la posizione originaria va considerata semplicemente come una
condizione puramente IPOTETICA, simile allo Stato di Natura. (Vedo TESTO N2 per
definizione di essa) In questa posizione abbiamo un CORRETTO status quo iniziale.

1) Scelta concezione giustizia basata su principi universalmente condivisi in


posizione originaria all’interno di una società chiusa
2) Scelta costituzione, legislativo, organizzazione politica sulla base dei principi
Se le istituzioni sociali che regolano la società rispettano i principi, allora possono
essere dette EQUE, perché sono le istituzioni sociali che potrebbero essere state scelte
anche in una ipotetica posizione originaria in cui ogni individuo si trova in una condizione di
equità.
Uno degli obiettivi principali è quindi determinare con chiarezza quali principi
verrebbero scelti nella POSIZIONE ORIGINARIA, in modo tale da poter giudicare qualsiasi
istituzione in termini di equità, comparandola a tali principi generalmente condivisi.
SCELTA IN POSIZIONE ORIGINARIA
Appare veramente improbabile il fatto che in posizione originaria vengano scelti
dei principi UTILITARISTICI, perché nessuno vorrebbe trovarsi nella posizione di essere il più
sfavorito in una società che non si preoccupa della distribuzione dei beni ma solamente della
massimizzazione dell’utilità.
Non verrebbero scelti neanche dei principi LIBERTARI dal momento che, ad esempio,
non potrebbero costringere le persone a versare imposte nei confronti dei più svantaggiati.
Le persone in posizione originaria, quindi, sceglierebbero:

1) Eguaglianza nell’assegnazione dei DIRITTI e DOVERI FONDAMENTALI


2) Ineguaglianze sociali e economiche accettate SOLO SE producono BENEFICI
COMPENSATIVI per ciascun membro della società, in particolare di coloro che sono
meno avvantaggiati.
I maggiori benefici di qualcuno non sono un’ingiustizia se contribuiscono al
miglioramento dei membri più svantaggiati della società, ad esempio mediante il pagamento
di imposte molto alte. Dal momento che il fatto di avere talenti o meno e il fatto di poterli
sviluppare essendo nati in un ambiente favorevole sono CONTINGENZE ARBITRARIE, è
necessario ricercare una concezione della giustizia che non si basi su criteri di arbitrarietà
morale.
La giustizia come equità consta di due parti:

1) Interpretazione della SITUAZIONE INIZIALE e del problema di scelta in essa


2) Insieme di PRINCIPI che si suppone siano materia d’accordo
La teoria della giustizia come equità è una teoria CONTRATTUALISTA, dal momento
che i principi di giustizia sono quelli che verrebbero scelti, su pari livello di autonomia e
reciprocità, da persone che si trovano in delle condizioni e posizioni eque.
Se questi principi sono il risultato di un accordo allora vuol dire che essi devono
anche essere resi PUBBLICI, ogni cittadino deve essere a conoscenza di essi.
Ma la teoria della giustizia non è una teoria contrattualista COMPLETA.
Innanzitutto, non si propone di andare a regolare ogni singolo rapporto all’interno di un
sistema etico, ma solamente i rapporti sorti sulla base dei principi che caratterizzano il
sistema di giustizia.
Solamente in seguito, se la teoria della giustizia si rivelerà efficace, allora potrà
essere estesa la sua interpretazione anche ad altri aspetti dell’organizzazione sociale.
Inoltre, non è completa perché regola solo i rapporti tra umani, non tra uomo e
animale e uomo e natura, dal momento che non sorgono da dei contratti sociali.

Paragrafo sulla Posizione Originaria → Già spiegato nel testo n.2


(Accordi scelti in posizione originaria, descrizione di essa, perché sono equi, come
vengono scelti) UTILITARISMO CLASSICO
Lo scopo di Rawls è quello di costruire una teoria della giustizia che possa opporsi
all’utilitarismo in ogni sua forma e interpretazione.
Secondo l’utilitarismo l’ordinamento morale di una società è quello che consente di
raggiungere il massimo livello di utilità totale possibile.
Ognuno di noi è in grado di prevedere i possibili costi e i possibili benefici di ogni
nostra azione mediante un calcolo e, molto spesso, sceglieremo il corso di azione che ci
permette il massimo livello di benefici con il numero minore di costi.
Perché allora una società non dovrebbe agire in questo modo se naturalmente siamo
portati, in quanto individui, a ragionare in maniera di massimizzazione di utilità?
Secondo le interpretazioni più recenti, l’utilitarismo afferma che il livello di UTILITA’
MASSIMA può essere ottenuto mediante la soddisfazione delle PREFERENZE RAZIONALI e
INFORMATE di ogni singolo individuo, partendo dalla concezione di base che tutti gli
individui hanno un eguale peso nel calcolo dell’utilità.
Il principio di scelta della società è il principio per l’individuo esteso alle istituzioni
politiche.
È una teoria TELEOLOGICA
Il bene è definito indipendentemente dal giusto, e il giusto è definito in funzione
del bene, ovvero della massimizzazione dell’utilità.
Sono giuste le istituzioni che si pongono come obiettivo la massimizzazione
dell’utilità. I giudizi riguardo al BENE sono totalmente indipendenti, quindi, dal
giusto e dal concetto di giusto.
Sono quindi possibili giudizi sul bene senza fare riferimento al giusto, ma non sul
giusto senza fare riferimento al bene. Le teorie teleologiche si distinguono quindi tra loro
sulla base della definizione del bene che porta alla definizione di giusto.
Il modo in cui l’utilità derivante dalla soddisfazione o ottenimento di un bene è
distribuita tra gli individui non è importante. La distribuzione corretta è quella che consente
l’utilità totale massima, non una distribuzione equa. Non esiste distribuzione migliore di
quella che rende UTOT MAX.
Il metodo più razionale di elaborare l’UTILITARISMO è quello di adottare il principio
di scelta razionale per un solo uomo ed estenderlo alle istituzioni della società. Per questo,
per molto tempo, l’utilitarismo è apparso ai più come una teoria politica soddisfacente e
razionale. L’utilitarismo, tuttavia, non prende seriamente la DISTINZIONE TRA LE PERSONE
e potrebbe portare a molti scenari drammatici, quali quelli che portano alla possibile
giustificazione di posizioni totalmente ingiuste, come lo schiavismo o la segregazione razziale
(spiegato nel testo sull’utilitarismo).
Proprio per questo è necessario elaborare una teoria della giustizia basata su principi
che permettano di distanziarsi da questa teoria politica.

LEGGERE RAWLS – TESTO N.5


I DUE PRINCIPI DI GIUSTIZIA
La prima enunciazione dei principi che verrebbero scelti in posizione originaria è:

1) Ogni persona ha eguale diritto al più esteso schema di libertà fondamentali


compatibilmente con un simile schema di libertà per gli altri
2) Le ineguaglianze sociali ed economiche devono essere combinate in modo da
essere
a) ragionevolmente previste a vantaggio di ciascuno
b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti
Questi principi, come già detto, devono essere la base della concezione della giustizia
come equità sulla quale si basa una società e sulla quale si basano le istituzioni sociali e
politiche.
Tra le libertà fondamentali le più importanti sono la libertà POLITICA, di PAROLA, di
PENSIERO, la libertà della PERSONA, il diritto alla PROPRIETA’ PERSONALE. Queste libertà
devono essere eguali.
Il secondo principio ci dice che la distribuzione della ricchezza e del reddito non
dev’essere per forza egualitaria, ma deve essere vantaggiosa per ciascuno.
In termini di forza e importanza: Primo Principio > Secondo Principio
Violazioni dei diritti fondamentali non possono essere giustificati con un
miglioramento delle condizioni economiche e sociali. Le libertà fondamentali possono
essere limitate solamente se in conflitto con altre libertà fondamentali, e non con altri
modelli di distribuzione sociale/economica.
L’ingiustizia non è l’ineguaglianza, ma l’ineguaglianza che NON CONTRIBUISCE al
miglioramento delle condizioni dell’intera società e soprattutto di coloro che stanno peggio.
Assumiamo di distribuire i beni sociali (diritti, libertà, reddito, ricchezza…) in
maniera egualitaria per poter costituire una situazione iniziale e andiamo ad analizzare le
condizioni in cui si trovano tutti i membri della società.
Se una distribuzione non egualitaria dei beni permettesse a degli individui di stare
meglio e agli individui più svantaggiati di stare meglio rispetto alla condizione egualitaria,
allora questa sarebbe da favorire.
EGUALITARIA: A ha 10 e B ha 10
NON EGUALITARIA: A ha 25 e B ha 14 è preferibile questa distribuzione alla
prima
L’unico limite a questo tipo di distribuzione è il fatto che essa non possa essere
favorita rispetto alla tutela dei diritti fondamentali, che sono sempre posti in primo piano.

I principi si applicano alle istituzioni fondanti della società, e questo ha delle


conseguenze:

• I diritti e le libertà fondamentali sono quelle definite dalle istituzioni maggiori della
società
• Quando i principi si riferiscono a persone essi menzionano delle persone
rappresentative, situate in diverse posizioni sociali nella struttura di base della società.
Ciascun individuo rappresentativo in questa situazione preferirebbe una
distribuzione ineguale che gli consente, tuttavia, di stare meglio rispetto a
come starebbe in una situazione di totale uguaglianza di redditi, ricchezza e
così via.

I BENI PRIMARI
Dal momento che la giustizia elaborata da Rawls è una teoria della giustizia come
equità, ma anche come una teoria della giustizia DISTRIBUTIVA, dobbiamo definire cosa
viene distribuito. Rawls non considera come bene da distribuire l’utilità, ma una serie di
BENI che possono essere considerati ESSENZIALI e spettano a ogni persona in quanto libera
e eguale. Questi beni sono chiamati come BENI PRIMARI.
La teoria di Rawls è DEONTOLOGICA, dà preminenza alla giustizia rispetto a qualsiasi
altro fine. Per questo la funzione delle istituzioni è garantire che ciascuno persegua i propri
fini e abbia a disposizione una quantità sufficiente di beni primari.
CHI SONO I MENO AVVANTAGGIATI?
I beni primari sono tutto ciò di cui le persone HANNO BISOGNO ed ESIGENZA in
quanto cittadini e membri cooperanti della società. Si tratta di beni necessari ai cittadini in
quanto persone libere. Rawls distingue principalmente CINQUE tipi di beni primari:

1) DIRITTI E LIBERTA’ DI BASE


Libertà di pensiero, di coscienza e tutto il resto. Tutti i diritti e le libertà considerati
essenziali e inviolabili per la convivenza sociale aggregata.
2) LIBERTA’ DI MOVIMENTO, LIBERA SCELTA DI OCCUPAZIONE
Sullo sfondo di opportunità differenziate che permettano di perseguire molti fini.
3) POTERI E PREROGATIVE DELLE CARICHE E POSIZIONI DI AUTORITA’
4) REDDITO E RICCHEZZA
Intesi come mezzi dotati di valore di scambio che permettono di perseguire scopi.
5) BASI SOCIALI DEL RISPETTO DI SÉ
Aspetti delle istituzioni di base indispensabili perché i cittadini abbiano il rispetto in
sé stessi e perseguano i propri fini in base al rispetto di sé.
I due principi di giustizia permettono di giudicare la struttura in base alla
distribuzione di quote di beni primari che spettano ai cittadini.
In una società bene ordinata i membri meno avvantaggiati sono coloro che
appartengono alla classe di reddito i cui membri hanno ASPETTATIVE PIU’ BASSE.
I beni primari sono ciò di cui le persone libere hanno bisogno in quanto cittadini e
sono perfettamente compatibili con la teoria della giustizia in quanto equità.
Bisogna tuttavia specificare che ad essere bene primario non è l’atteggiamento
individuale del rispetto di sé, ma le sue basi sociali.
Se fosse l’atteggiamento individuale questo non avrebbe una valenza oggettiva,
mentre, rendendo come bene primario la BASE SOCIALE dell’atteggiamento, si può
estendere tale bene a ogni individuo libero in quanto cittadino che abita una società
governata dai principi di giustizia e da istituzioni che esse stesse si basano sui principi di
giustizia.

IL PRIMO PRINCIPIO DI GIUSTIZIA

Critica di Hart → Non è chiaro, leggendo solamente il primo principio di giustizia,


quali libertà debbano essere garantite e in che misura debbano essere protette.
Rawls ha risposto dicendo che la lista e i limiti delle libertà sono ricavabili dai fini
preminenti che i cittadini perseguono all’interno di un modello politico in quanto liberi ed
eguali.
Ha evitato di specificarle nel principio per non ancorarle a una definizione di bene
SOSTANTIVO. La distribuzione dei mezzi per godere delle libertà, tuttavia, è espressa dal
secondo principio e non dal primo.
IL CONCETTO DI LIBERTA’
Ogni libertà può essere definita riferendosi a tre elementi:

1) Gli agenti quali esseri liberi


2) Restrizioni o Limitazioni da cui sono liberi
3) Ciò che sono liberi di fare o di non fare
Descrizione generale di libertà: Questa o quella persona è libera da questo o quel
vincolo di fare o di non fare questo o quello.
Nel caso in cui considerassimo i vincoli come restrizioni legali e costituzionali (leggi),
la libertà si presenta come una struttura delle istituzioni che definiscono DIRITTI E DOVERI.
Le persone hanno libertà di fare una cosa quando sono libere da certi vincoli che
riguardano il farla o il non farla, e quando il farla o il non farla è protetta dall’interferenza di
altre persone.
Non soltanto deve essere permesso di fare una cosa, ma il governo deve anche non
creare ostacoli e deve proibire agli altri individui di intervenire nella libertà di quella persona
di fare quella cosa.
Dobbiamo ricordarci che le libertà fondamentali vanno affermate come un
SISTEMA, devono essere sempre tutte affermate, tutelate e protette.
Molto spesso la salvaguardia di una data libertà prevede la LIMITAZIONE di
un’altra, questo non è un problema se non si va a compromettere la data libertà nel suo
nucleo fondamentale.
Ci sono quindi due possibili violazioni del primo principio:
• INEGUAGLIANZA DELLA LIBERTA’
Alcuni gruppi godono di maggiore libertà di altri gruppi di persone
• ESTENSIONE DELLA LIBERTA’
La libertà è meno estesa di quanto dovrebbe essere
VALORE DELLA LIBERTA’ VS LIBERTA’
La libertà è rappresentata dal sistema globale delle libertà.
Il valore della libertà per le persone e i gruppi dipende dalla loro capacità di
promuovere i propri fini all’interno della struttura definita dal sistema.
Il valore della libertà non è lo stesso per tutti. Alcuni hanno maggiore ricchezza e
autorità, quindi maggiori mezzi per raggiungere i propri scopi.
La struttura di base deve MASSIMIZZARE il valore che ha per i meno avvantaggiati lo
schema globale della eguale libertà condivisa da tutti.

LE RAGIONI DELLA PRIORITA’ DELLA LIBERTA’


Una società bene ordinata è una società effettivamente regolata mediante una
concezione pubblica della giustizia, condivisa da tutti i membri della comunità in cui i
membri di essa si concepiscono come persone LIBERE ed EGUALI.
Ciascuno sa quindi di avere diritto a eguale considerazione nel determinare i principi
mediante i quali la struttura di base della società dev’essere governata.
Le persone in posizione originaria sono mosse da una GERARCHIA degli INTERESSI.
In primo luogo, devono garantire gli interessi di ORDINE SUPERIORE e gli SCOPI
FONDAMENTALI. La precedenza viene attribuita alla libertà, l’acquisizione dei mezzi per
realizzare altri desideri ha invece uno scopo subordinato.
Se non c’è libertà allora non può neanche venirsi a creare una distribuzione
ottimale delle risorse a causa delle differenze di status presenti all’interno della società.
Una volta che la distribuzione delle risorse diventa soddisfacente per tutti i membri
della società, gli interessi superiori diventano regolativi per la stessa società.
Le persone vogliono esercitare CONTROLLO sulle leggi e sulle regole che
governano il loro associarci, o prendendo parte direttamente alle vicende o tramite
dei loro rappresentanti. Questo ci fa capire il perché sia più importante il primo
principio rispetto al secondo.
Potremmo chiederci se, anche quando i bisogni essenziali sono soddisfatti, le
persone continuino ad interessarsi della loro posizione relativa nella distribuzione della
ricchezza.
Potrebbe comunque persistere una situazione in cui ognuno vuole migliorare la
propria condizione, tale da portare la società stessa a spingere verso a un progresso che
potrebbe portare a porre maggiore enfasi e maggiore attenzione al secondo principio
rispetto che al primo. Rawls risponde che, se tutti, all’interno di una società bene ordinata,
hanno a disposizione, chi più chi meno, i mezzi per poter compiere i propri scopi e per far
valere le proprie libertà, non esisterà alcun tipo di interesse di questo tipo.
In una società bene ordinata la necessità di aumentare il proprio status sociale ed
economico è soddisfatta, in realtà, dall’esistenza delle numerose libere comunità
consentite proprio dal fatto che sono tutelate le eguali libertà.
In una società giusta, la base del RISPETTO DI SÉ non è la propria quota di reddito,
sia essa assoluta o relativa, ma la distribuzione dei DIRITTI e delle LIBERTA’ fondamentali.
E dal momento che tale distribuzione è uguale, ciascuno possiede un uguale status
garantito.

Le disuguaglianze economiche, se in funzione del miglioramento della società nel suo


complesso, non generano problemi nel rispetto di sé: ciò che genera problemi è la
INEGUAGLIANZA CIVILE. Non è tanto importante ottenere un’eguaglianza economica ma
ottenere un’eguaglianza dei diritti, dal momento che questa è più facile da ottenere ed è
posta come obiettivo principale di un ordinamento giusto e bene ordinato.
Rawls, inoltre, afferma che non è detto che questi principi di giustizia da lui delineati
siano universali: è possibile che in altri tipi di società o in altri tipi di ordinamento ne
vengano adottati degli altri. Non è incompatibile con le teorie di Rawls.

SECONDO PRINCIPIO DI GIUSTIZIA


Andiamo a riprendere la definizione del secondo principio di giustizia

1) Le ineguaglianze sociali ed economiche devono essere combinate in modo da essere


a) ragionevolmente previste a vantaggio di ciascuno
b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti
Le espressioni a vantaggio di ciascuno e egualmente aperte a tutti sono molto
ambigue. Possono essere interpretate in diversi modi.

SISTEMA DELLA LIBERTA’ NATURALE


La prima parte del principio va intesa come il principio di efficienza da applicare alla
base della società.
La seconda parte va intesa come un sistema sociale in cui le carriere sono aperte ai
talenti.
Il sistema della libertà naturale afferma che una struttura di base che soddisfa il
principio di EFFICIENZA e in cui le cariche sono aperte ai dotati condurrà a una
distribuzione GIUSTA. Ma cos’è il principio di efficienza? Non è altro che il principio di
ottimizzazione PARETIANA formulato in modo tale da poter essere applicato alla
struttura di base.
Afferma che una configurazione è efficiente ogni volta che non può essere cambiata
in modo da far stare meglio alcuni membri senza fare star peggio al tempo stesso altri
individui.
Dobbiamo assumere che questo sia il punto di vista di coloro che erano in posizione
originaria. Un assetto di diritti e doveri è EFFICIENTE solo se è impossibile cambiare le
regole per aumentare le aspettative di un gruppo di individui senza danneggiare nessun
altro individuo rappresentativo.
Fino a quando il sistema è efficiente non c’è motivo di occuparsi della distribuzione.
Tutti gli assetti efficienti vengono considerati, da questa interpretazione, egualmente
GIUSTI. Naturalmente questa interpretazione sembra bizzarra, nessuno supporterebbe che
un solo uomo possa possedere tutto, ma neanche che la schiavitù non possa essere abolita
solamente perché il miglioramento delle condizioni dei neri andrebbe a peggiorare quelle
dei bianchi schiavisti.
Questo ci mostra come il principio di efficienza non possa fungere da solo come una
concezione della giustizia, deve essere in qualche modo INTEGRATO.
Nel sistema della libertà naturale esso viene limitato da alcune ISTITUZIONI DI
SFONDO, nel caso in cui le limitazioni abbiano successo, allora la distribuzione efficiente
viene considerata giusta. Se dobbiamo accettare come giusto e non soltanto come
efficiente il risultato, dobbiamo accettare la BASE su cui viene determinata nel tempo la
distribuzione iniziale dei beni.

La distribuzione iniziale, in questa interpretazione, è regolata dagli assetti impliciti


nella concezione delle CARRIERE APERTE ai talenti.
Questi assetti presuppongono uno sfondo di eguale libertà e una libera economia di
mercato. Essi richiedono un’EGUAGLIANZA delle opportunità, tutti devono possedere gli
stessi diritti ad accedere alle stesse posizioni di mercato.
Ma dato che non vi è una tendenza a preservare l’eguaglianza o la similarità delle
condizioni sociali, in ogni periodo di tempo la distribuzione dei beni è fortemente
influenzata dalle contingenze naturali e sociali.
L’ingiustizia più evidente di questo sistema sta nel fatto che permette che le quote
distributive siano eccessivamente influenzate dai fattori moralmente arbitrari, quali il
talento, le contingenze sociali e causali, il fatto di essere nati in una famiglia ricca e così via.
INTERPRETAZIONE LIBERALE
L’interpretazione liberale tenta di correggere l’influenza dei fattori
moralmente arbitrari aggiungendo la condizione del principio dell’EGUAGLIANZA
DI OPPORTUNITA’. Si va a modificare la seconda parte del secondo principio di
giustizia.
Le posizioni non devono essere solamente aperte in senso FORMALE, ma tutti
dovrebbero effettivamente avere le stesse possibilità di raggiungerle e ottenerle.
In ogni settore della società dovrebbero esservi eguali prospettive di successo per
tutti coloro che sono dotati e motivati allo stesso modo.
Le aspettative di coloro che hanno stesse abilità non dovrebbero essere influenzate
dalla classe di appartenenza.
Cerca di mitigare l’influenza che le contingenze sociali e il caso naturale hanno sulle
quote distributive. Per ottenere questo risultato è necessario imporre alcune condizioni
strutturali fondamentali al sistema sociale. Gli assetti di libero mercato devono essere posti
all’interno di una struttura di istituzioni politiche che regoli le tendenze degli eventi
economici e che assicuri le condizioni sociali necessarie per ottenere un’equa uguaglianza.
Anche questa concezione, tuttavia, appare carente. Se elimina l’influsso delle
contingenze sociali, permette che la ricchezza sia distribuita in base ai TALENTI.
Ma anche il fatto di possedere talento o meno dipende dalla lotteria naturale: non
scegliamo noi se nascere intelligenti o stupidi, più abili o meno abili.
Anche l’impegno è comunque fortemente influenzato dall’ambiente familiare di
appartenenza. Quindi, anche l’interpretazione liberale non è sufficiente e soddisfacente.
ARISTOCRAZIA NATURALE
L’ideale aristocratico si applica a un sistema aperto e la situazione vantaggiosa di
coloro che sono favoriti è considerata giusta SOLO nel caso in cui coloro che stanno sotto
ricevono di meno quando coloro che invece sono più favoriti ricevono essi stessi meno.
In questo modello andiamo ad applicare giustamente il PRINCIPIO DI DIFFERENZA,
ma ci basiamo ancora sulle contingenze naturali di nascita, dal momento in cui andiamo a
considerare un’eguaglianza formale, che però è fortemente influenzata dalla lotteria
genetica.
Non possiamo essere pienamente soddisfatti fino a quando non raggiungiamo il
modello dell’EGUAGLIANZA DEMOCRATICA.

EGUAGLIANZA DEMOCRATICA
Si ottiene combinando il principio dell’equa eguaglianza di opportunità con il
principio di DIFFERENZA. Elimina l’indeterminatezza del principio di efficienza,
identificando una posizione dalla quale devono essere giudicate le ineguaglianze sociali
ed economiche.
Le aspettative di coloro che sono in una posizione migliori sono giuste solo se
funzionano come parte di uno schema che migliora le aspettative ANCHE dei meno
avvantaggiati.
Se andassimo a considerare l’esistenza di individui rappresentativi all’interno della
società, l’esistenza di individui che si trovano in condizioni economiche migliori è giustificata
dal fatto che la loro condizione PRIVILEGIATA consenta loro di portare ad una condizione
migliore anche gli individui rappresentativi che stanno peggio.
Se le aspettative degli svantaggiati sono massimizzate allora non vi è alcuna migliore
distribuzione delle risorse economiche sociali. Questo allora significa che ci troviamo di
fronte al MIGLIOR ASSETTO SOCIALE POSSIBILE.
Uno schema è ingiusto quando le aspettative più alte sono eccessive, non quando
sono più alte.
In questo modo possiamo ottenere un’interpretazione coerente dei due principi di
giustizia elaborati da Rawls. Se viene applicato il principio di differenza in una società in cui
le istituzioni di base sono fondate sui principi di giustizia e permettono la salvaguardia dei
diritti allora si può parlare di una società BENE ORDINATA.
MERITO VS ASPETTATIVE LEGITTIME
In una società ordinata mediante il principio di differenza la distribuzione delle
risorse socioeconomiche non è basata su un merito morale.
Rawls rifiuta ogni forma di meritocrazia, dal momento che ritiene il disporre di una
dote di talenti che vengono considerati importanti dalla società come una pura
CONTINGENZA.
Non si può dare valore morale a una condizione di nascita totalmente contingente;
quindi, la società non deve essere meritocratica. Nessun individuo merita più di altri.
Bisogna introdurre il concetto di ASPETTATIVE LEGITTIME.
Se un individuo è dotato naturalmente di talento superiore e se si impegna, grazie
anche al supporto di un ambiente familiare favorevole, per sviluppare questo talento che
viene particolarmente richiesto dalla società in un dato momento storico, allora ha il diritto
di ottenere un compenso per il proprio impegno, dal momento che legittimamente la
società è organizzata in modo tale da consentire agli individui di ottenere dei vantaggi
maggiori se superate determinate soglie. Questi INCENTIVI esistono, tuttavia, solamente
per poter permettere agli individui di impegnarsi in modo tale da raggiungere posizioni in cui
potranno aiutare i più svantaggiati.
LIBERTARISMO
QUANTA DISEGUAGLIANZA POSSIAMO ACCETTARE? – ARNSPERGER – LIBERTARISMO
L’approccio LIBERTARIO si discosta di molto dall’approccio utilitarista e,
nonostante tragga ispirazione dal pensiero di Locke, solamente dagli anni ’70 si è
diffusa come una vera e propria alternativa all’utilitarismo, soprattutto per l’apporto di
NOZICK.
Il punto di partenza è il riconoscimento della DIGNITA’ FONDAMENTALE di ogni
essere umano, che non può essere sacrificata in nome di un principio o un bisogno di tipo
collettivo.
Una società giusta non è una società con la massima utilità possibile, ma una società
LIBERA.

PRINCIPIO DELLA PROPRIETA’ DI SÉ


Una società è libera solamente se si definisce un SISTEMA COERENTE DI DIRITTI
DI PROPRIETA’. Se la libertà significa poter fare quel che si vuole, ovviamente essa deve
essere limitata e deve essere esercitata nel rispetto della libertà di ciascun altro individuo.
Ciascun individuo ha PIENA PROPRIETA’ di sé. Possiamo fare, con il nostro corpo,
qualsiasi cosa riteniamo migliore o preferiamo, perché nessun altro ha diritto di possederlo.
È esclusa anche la proibizione dell’eutanasia, prostituzione, della bestemmia, del
commercio d’organi a condizione che non venga esercitata alcuna coercizione nel
compimento di queste azioni.
Ogni individuo ha quindi piena libertà di sé, ma esistono tre restrizioni ad essa:

• Nessuno ha il diritto di ridursi in SCHIAVITU’.


Ci si può autodistruggere ma non vendersi in schiavitù, l’esistenza di uomini
non liberi è incompatibile con una società libera.
• PATERNALISMO accettabile per i bambini.
Il paternalismo non è accettabile nei confronti di nessun altro adulto, ma i
bambini possono vedere la propria libertà ristretta nei casi in cui venissero messi, in
futuro, nella condizione di poter godere della totale libertà di sé.
• RESTRIZIONE della libertà di sé a coloro che minacciano quella degli altri.
Una società libera non può accettare che circolino assassini e pedofili liberamente.
CRITICHE AL PRINCIPIO DI LIBERTA’ DI SE’
La libertà di sé è tuttavia, da sola, incompleta. Perché?

• Non si pronuncia sull’uso che si impone, da un punto di vista morale, del corpo,
dei talenti e delle capacità di cui ciascuno è proprietario.
Non pone un giudizio morale su nessuno dei comportamenti che possono essere
tenuti da adulti consenzienti. Non vuole rispondere a questioni di tipo morale.
• La proprietà di sé da sola non permette di compiere alcuna azione specifica. Noi
abbiamo piena proprietà di noi stessi, ma per sopravvivere abbiamo bisogno di
respirare aria, abbiamo bisogno di cibo, abbiamo bisogno di spazio.
Non può essere offerto un modello di SOCIETA’ GIUSTA solamente partendo da
questo principio. Bisogna andare ad aggiungere dei principi al principio della proprietà di sé
per poter andare a completare il quadro che stiamo andando a delineare.

PRINCIPIO DI CIRCOLAZIONE DEI DIRITTI DI PROPRIETA’


È possibile divenire legittimi proprietari di un bene acquistandolo per mezzo di una
TRANSAZIONE VOLONTARIA con la persona che lo possedeva o anche creandolo senza
utilizzare altro che beni acquisiti mediante transazioni volontarie.
Anche questo principio richiede delle restrizioni e delle precisazioni per poter essere
applicato. Prima di tutto il principio della PROPRIETA’ DI SÉ prevale sul principio di
CIRCOLAZIONE: una donna che partorisce un bambino non ha la proprietà su quel bambino
solo perché lo ha “prodotto” lei.
Una transazione volontaria si può avere solamente se le informazioni che abbiamo
sono corrette. Se le informazioni a nostra disposizione sono invece inesatte o errate, allora
ci troviamo di fronte a una FRODE. Dobbiamo disporre delle informazioni esatte per
compiere delle scelte volontarie.
DIRITTO DI ACQUISIZIONE INIZIALE
Ci deve pur essere un periodo in cui i beni non erano proprietà di nessuno.
Tale principio di acquisizione iniziale non riguarda solo i beni o le materie prime, ma
anche le idee.
La sua versione più semplice è quella del “Chi prima arriva, meglio alloggia”.
Se una risorsa naturale non è ancora stata rivendicata da nessuno, il primo che arriva
ne può legittimamente rivendicare la proprietà, diventando il suo PROPRIETARIO
LEGITTIMO.
I libertari, con il tempo, hanno deciso di limitare questo diritto imponendo delle
condizioni su di esso più o meno strette.

CLAUSOLA LOCKIANA → Messa in luce da Robert Nozick. Locke riteneva che una
persona non potesse appropriarsi di un bene se potesse lasciare una quantità sufficiente
agli altri di tale bene, presenti e futuri.
Per Nozick l’acquisizione di una risorsa naturale è illegittima SE e SOLO SE coloro che
vengono privati della possibilità di acquisirla si trovano in una situazione MIGLIORE di
quella in cui si troverebbero nello Stato di natura, dove tutto è accessibile a tutti.
Nozick ritiene che si possa avere fiducia nella acquisizione privata, dal momento che
ha portato a sviluppi e progressi dell’agricoltura ma anche dell’industria che non sarebbero
avvenuti se fossimo stati in Stato di natura.
Per questo, la maggior parte delle acquisizioni iniziali, deve essere considerata
LEGITTIMA.
LIBERTARI DI SINISTRA
Secondo i libertari di sinistra l’acquisizione può essere considerata legittima se e solo
se il proprietario versa una TASSA il cui ammontare corrisponde al valore delle risorse
naturali di cui si appropria. Solamente in questo modo l’acquisizione è legittima.

I tre principi (Proprietà di sé, circolazione proprietà, acquisizione iniziale) offrono una
concezione coerente di quella che sarebbe una proprietà giusta.
La questione fondamentale è sapere se all’interno di una società vengono
RISPETTATI i diritti INDIVIDUALI e fondamentali, non se l’utilità e la felicità sono
massimizzate.
Non c’è alcuna necessità di organizzare la società secondo un criterio di efficienza
economica o di massimizzazione di un dato bene.
La società è giusta se viene rispettata la proprietà di sé, se le transazioni
avvengono in maniera legittima e se inizialmente i beni sono stati acquisiti in maniera
legittima. Non è una teoria conseguenzialista.
Anche se inizialmente stabilissimo una configurazione egualitaria, ci vorrebbe poco
tempo perché questa venga distorta dalle transazioni tra individui a causa della presenza
del libero mercato. La prospettiva libertaria può quindi essere vista come STORICA o
RETROSPETTIVA, dal momento che non bisogna andare a valutare le conseguenze delle
azioni, ma le loro basi storiche.
Per determinare se una situazione è giusta o ingiusta bisogna andare a vedere se si è
sviluppata da un sistema giusto, ovvero in cui il sistema di diritti era valido e funzionante.
PRINCIPIO DI RETTIFICAZIONE
Ovunque volgiamo lo sguardo è possibile che una porzione di territorio abbia
conosciuto una lunga violazione dei diritti. Il terreno sul quale poggia la mia casa potrebbe
essere stato acquisito in maniera illegittima.
È necessario introdurre un principio di rettificazione, complementare agli altri tre,
che determina il modo in cui si dovrebbero rettificare le violazioni passate dei principi.
Una rettificazione adeguata, purtroppo, richiederebbe moltissime informazioni che
non possono più essere ottenute ai giorni nostri. La situazione presente è quindi INGIUSTA.
Dal momento in cui non c’è motivo per perseguire lo status quo delle cose se sono
basate su ingiustizie e violazioni dei diritti, sarebbe giusto AZZERARE il tutto, creando una
TABULA RASA. Bisogna ripartire tutta la ricchezza materiale in maniera egualitaria prima di
effettuare una nuova partenza che permetterà di rispettare i tre principi di libertà.
ISTITUZIONI LIBERTARIE
Secondo il libertarismo l’unico Stato necessario è lo STATO MINIMO, la cui
organizzazione è indispensabile per garantire il rispetto dei diritti di proprietà e la
repressione delle ingiustizie.
Per il resto questo stato non deve intervenire, deve lasciare il mercato e il sistema
libero.
In una società vasta, solamente il CAPITALISMO potrebbe soddisfare questo
modello.
Il socialismo, infatti, porterebbe alla proibizione di atti capitalistici tra adulti
consenzienti, andando quindi a violare il principio della proprietà di sé.
Quasi una sorta di ANARCO CAPITALISMO in cui lo stato è veramente minimo e
non interviene neanche a offrire l’istruzione, la ricerca e la tutela della salute, ma in cui
tutela solo i diritti di proprietà fondamentali.

CRITICHE AL LIBERTARISMO

• EFFICIENZA
Il libertarismo non è conseguenzialista, non si preoccupa delle conseguenze fuorché
siano rispettati i diritti fondamentali degli individui.
Si esclude anche il ricorso alle imposte per finanziare l’istruzione o la sanità
pubblica, dal momento che non si possono costringere adulti consenzienti a pagare
per qualcosa che non userebbero.
Dove starebbe l’efficienza in uno stato libertario? I libertari rispondono dicendo che
l’efficienza non è una loro priorità e, nonostante sia importanti, i diritti individuali
vanno favoriti.
• EGUAGLIANZA
I libertari rifiutano il fatto che nella giustizia sia presente per forza una qualche forma
di eguaglianza che vada al di là dell’eguaglianza dei diritti.
Tutte le possibili interpretazioni del libertarismo sono in realtà compatibili con
diseguaglianze di reddito e di ricchezza, perché, secondo loro, se le proprietà
vengono distribuite rispettando i diritti di proprietà, allora tali disuguaglianze non
solo vengono accettate, ma sono legittime.
Anche in questo caso i libertari affermano di dover privilegiare i diritti
individuali, dal momento che le disuguaglianze rappresenterebbero quasi un
PREZZO della LIBERTA’. • LIBERTA’
Si tratta davvero della libertà? I libertari veramente perseguono la libertà?
Il fascino del libertarismo è proprio quello di sostenere in ogni caso la libertà
individuale, quindi, se venisse tolta la libertà, non avrebbe motivo di esistere.
I critici affermano che la libertà sostenuta dal libertarismo non è altro che una libertà
FORMALE, perché senza disporre dei mezzi per l’esercizio effettivo delle libertà,
queste non sono nient’altro che delle affermazioni formali.
Anche aggiungendo i principi dell’acquisizione iniziale e della circolazione, non si
rendono gli individui in grado di disporre dei mezzi per esercitare tali diritti.
Se viene visto sotto questa luce, il libertarismo appare come la FETICIZZAZIONE dei
diritti naturali.

ROBERT NOZICK – ANARCHIA, STATO E UTOPIA. TESTO N.6


Lo Stato guardiano notturno è spesso chiamato con il nome di STATO MINIMO,
ovvero quello stato che si limita a proteggere i suoi cittadini dalla violenza, furto e
frode. Come? Mediante l’imposizione di tasse che devono essere pagate soprattutto
dai più abbienti per permettere a tutti i cittadini di godere degli stessi diritti.
È quindi un modello RIDISTRIBUTIVO dal momento che impone il pagamento da
parte di alcuni per far ottenere dei diritti ad altri individui.

Esiste, tuttavia, anche lo STATO ULTRAMINIMO, ovvero quello stato che mantiene il
monopolio di uso della forza e che fornisce servizi di protezione solamente agli acquirenti
delle sue polizze di protezione e applicazione dei diritti.
Chi non compra un servizio dal monopolio NON OTTIENE protezione.
A differenza dello stato minimo in cui chiunque, a causa delle tasse, ha diritto a
protezione.
Il termine ridistributivo richiama al tipo di RAGIONI che stanno a favore
dell’ordinamento, piuttosto che l’ordinamento in sé.
Un ordinamento può quindi essere definito come ridistributivo se le principali ragioni
a suo favore sono anch’esse ridistributive.
Dire che un’istituzione che preleva denaro ad alcuni per darlo ad altri è ridistributiva
dipenderà dalle ragioni per cui compie tali azioni e non dalle azioni in sé.
VINCOLI MORALI E SCOPI MORALI
Spesso si pensa che il difetto principale dell’utilitarismo sia la sua concezione troppo
ristretta del bene. Esso non prende in debita considerazione i diritti e la loro non violazione,
non li pone in primo piano come dovrebbe essere fatto.
Tuttavia, anche se applicassimo una sorta di UTILITARISMO DEI DIRITTI in cui
bisogna minimizzare la violazione dei diritti, non andremmo a considerare i diritti nel modo
in cui dovremmo.
Sarebbe una semplificazione eccessiva.
Secondo gli utilitaristi, in alcuni casi, potremmo andare a violare dei diritti per
consentire che mediante tale violazione si salvaguardi un numero maggiore di altri diritti.
Invece di andare a incorporare i DIRITTI nello stato finale da conseguire, dovremmo
porli come dei VINCOLI COLLATERALI sulle azioni da compiere: non bisogna violare i vincoli
collaterali, e non i diritti.
I diritti altrui, in questo caso, funzionano come VINCOLI sul nostro comportamento
diretto a uno scopo. Questo ci proibisce di andare a violare i vincoli morali nel perseguire i
nostri scopi, a differenza della concezione in cui consideriamo i diritti come bene finale, in
cui possiamo violarli in alcuni casi particolari.
Se poniamo i diritti come dei vincoli allora questi non potranno mai essere violati.
Si assuma che un sostenitore dello stato ultraminimo abbia come obiettivo la
minimizzazione della quantità di violazione dei diritti in una società.
Se considerassimo i diritti come bene finale, allora un sostenitore di questo stato
potrebbe in alcune situazioni perseguire il suo scopo mediante violazione dei diritti.
Se poniamo la non violazione dei diritti come VINCOLO ALL’AZIONE questa non
potrà più essere contemplata come mezzo per il raggiungimento di uno scopo.
Questo consente al sostenitore dello stato ultraminimo di affermare che essere
COSTRETTI a contribuire al benessere altrui viola i nostri diritti, mentre il fatto che
qualcuno non ci aiuti non costituisce alcuna violazione dei diritti, dal momento che non ha la
responsabilità di farlo, anche se noi ci troviamo in una condizione maggiormente
svantaggiata rispetto a lui.
PERCHE’ I VINCOLI COLLATERALI?
I vincoli collaterali sull’azione riflettono il principio kantiano di base che gli individui
sono FINI e non dei MEZZI. Non possono essere usati o sacrificati per il conseguimento di
altri fini senza il loro consenso. Gli individui sono, quindi, INVIOLABILI.
A differenza degli attrezzi, che possono essere usati come vogliamo, a meno che non
arrechiamo danno ad altri individui o non rompiamo vincoli posti da altri su attrezzi che non
sono nostri, gli individui sono inviolabili.
Andiamo quindi a considerare quali sono i modi mediante i quali l’inviolabilità delle
persone viene meno, ovvero i modi mediante i quali le persone vengono “usate” come dei
mezzi.
Alla filosofia politica ne interessa un numero limitato, in primo luogo, andiamo a
considerare l’AGGRESSIONE FISICA.
Dal momento che i vincoli collaterali sono INVIOLABILI, quando vengono applicati
agli individui, rendono anche essi stessi inviolabili.
Le persone non possono essere usate in ogni modo possibile, dal momento che
vengono protette e salvaguardate dall’esistenza di questi vincoli inviolabili posti sulle azioni
che possono essere svolte nei loro confronti.
Un vincolo collaterale specifica i modi d’uso, ogni altra modalità è totalmente vietata.
Individualmente ciascuno di noi può scegliere di andare a sopportare dei sacrifici
oppure può scegliere anche di arrecarsi dei danni in vista di un BENEFICIO MAGGIORE o
anche per evitare un danno più grave in futuro.
Possiamo decidere di sacrificare qualcosa per poter ottenere un maggior bene
complessivo. Allora perché non possiamo sostenere, analogamente, che alcune persone
devono sopportare certi costi che vanno a maggior beneficio di altre persone in vista di un
bene sociale collettivo?
Perché non esiste alcuna ENTITA’ SOCIALE. Siamo tutti degli individui differenti e
distinti. E un individuo può decidere di arrecarsi danni. Ha tutta la libertà di farlo, ma nessun
individuo può arrecarsi un danno per andare a contribuire al miglioramento di qualcun altro.
Nessuno può costringere un individuo a rinunciare a qualcosa per darlo ad altri.

L’esistenza di questi vincoli collaterali ci fa capire il fatto che non esiste alcun BENE
SOCIALE COLLETTIVO, non esiste la possibilità di compiere un sacrificio che sia giustificato di
qualcuno di noi per altri, perché non esiste nessun individuo che abbia una maggiore
importanza morale.

VINCOLI LIBERTARI
Chiunque respinga il particolare vincolo collaterale che proibisce l’intervento di un
individuo su un altro, in questo caso dell’aggressione fisica di un individuo nei confronti di un
altro, ha tre alternative:

1) Respingere TUTTI i vincoli collaterali


2) Fornire una spiegazione differente del perché ci sono vincoli collaterali morali posti
sulle azioni piuttosto che una struttura massimizzante diretta a uno scopo
3) Accettare l’idea base della SEPARATEZZA degli individui ma affermare che aggredire
un’altra persona è compatibile con questa idea di base
La forma della MORALITA’ include F (vincoli collaterali morali posti sulle azioni).
La migliore spiegazione del fatto che la moralità consiste in F è p (affermazione del
fatto che gli individui sono distinti).
Da p segue un particolare contenuto morale, vale a dire il VINCOLO
LIBERTARIO. p è quindi la spiegazione di F, la forma della moralità.
Il contenuto morale ottenuto da questa spiegazione centrato sul fatto che vi sono
individui distinti, ciascuno con la sua PROPRIA VITA da vivere, non sarà un vincolo libertario
COMPLETO.
Proibirà il sacrificio di uno per l’altro. Sarebbero necessari dei passi ulteriori per
arrivare alla proibizione, ad esempio, dell’aggressione paternalistica.
Per questo ci si deve concentrare sul fatto che siamo DISTINTI e ciascuno di noi ha
una propria vita da VIVERE che non deve dipendere da nessun altro, tenendo tuttavia
presente che tali vincoli posti sulle azioni non permettono l’elaborazione di una teoria
completamente libertaria.
MINACCE INNOCENTI
In realtà il vincolo libertario non proibisce l’uso della violenza o della forza per
difendersi da una minaccia, anche se si tratta di una controparte innocente che non merita
punizioni.
LA MINACCIA INNOCENTE è chi innocentemente si trova ad essere l’agente causale
in un processo in cui sarebbe l’aggressore se fosse stato lui a scegliere di diventare tale
agente.
Ha quindi dei comportamenti apparentemente aggressivi senza però scegliere di
averli.
Secondo Nozick le minacce innocenti devono essere considerate andando a utilizzare
dei principi
differenti. Una teoria libertaria completa, quindi, deve anche elaborare dei PRINCIPI
DIFFERENZIATI per poter andare a gestire la situazione delle minacce innocenti.
Lo stesso vale per gli SCUDI INNOCENTI, coloro che si trovano in una situazione
tale da subire danni se vengono utilizzati i soli mezzi disponibili per poter fermare la
minaccia. È lecito fare loro consapevolmente del male?

MACCHINA DELL’ESPERIENZA
Supponiamo che esista una macchina dell’esperienza in grado di procurarci qualsiasi
stato mentale desiderabile. Noi siamo in grado di scegliere da un catalogo vastissimo di
esperienze e di stati mentali che ci permettono di programmare le esperienze che faremo
all’interno della macchina.
Resteremmo collegati a questa macchina per tutta la vita?
Probabilmente no. Perché? Una vita fatta solo di esperienze positive non è una
bella vita? In realtà no.

Noi umani non vogliamo solamente provare dei determinati stati mentali o delle date
esperienze, ma vogliamo agire, vogliamo effettivamente compiere le azioni che ci portano
al raggiungimento di quel dato stato mentale. Non ci basta provarlo. Vogliamo agire
attivamente per ottenerlo.
Una seconda ragione per non collegarsi è che vogliamo ESSERE in un certo modo,
essere un tipo di persona. Se noi ci collegassimo alla macchina dell’esperienza sarebbe
come compiere una specie di suicidio. Noi non saremmo più niente. Noi vogliamo evolverci,
vogliamo essere. Collegandoci alla macchina perdiamo il nostro essere e diventiamo nulla.
Un qualcosa di predeterminato e che può essere controllato dall’esterno.
In terzo luogo, collegarsi alla macchina ci confina in una REALTA’ ARTIFICIALE, a un
mondo in cui non c’è alcun contatto vero con una realtà più profonda o con altri individui.
Molte persone desiderano lasciarsi aperta la possibilità di instaurare questo contatto
profondo.
Siccome la macchina dell’esperienza non soddisfa il nostro desiderio di essere in un
dato modo, possiamo immaginare una MACCHINA DELLA TRASFORMAZIONE che ci
trasformi in qualsiasi tipo di persona vorremmo essere.
Nessuno, dopo essersi trasformato, userebbe la macchina dell’esperienza.
Questo ci fa capire che le persone non ragionano in termini di esperienze o di stati
mentali, ma in termini di vita. Vogliono vivere la propria vita, prendere le proprie decisioni e
decidere cosa fare del proprio corpo e della propria mente in maniera totalmente autonoma
e volontaria.

GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA
Lo stato minimo è lo stato più esteso che possa essere giustificato. Qualsiasi stato più
esteso porta alla violazione dei diritti delle persone.
Non esiste una DISTRIBUZIONE CENTRALE, una persona o gruppo autorizzati a
controllare tutte le risorse e a decidere congiuntamente come devono essere ripartite.
In una società libera, persone diverse controllano risorse diverse e nuovi possessi
sorgono dagli scambi e dalle azioni volontarie delle persone.
Gli scambi e le distribuzioni sorgono dalle scelte individuali delle persone.
TEORIA DEL TITOLO VALIDO
Il contenuto della giustizia nei possessi consiste di tre argomenti principali:

1) PRINCIPIO DI GIUSTIZIA NELLE ACQUISIZIONI


Appropriazione di cose non possedute. Ciò include i processi mediante cui cose prive
di possessore possono essere possedute.
2) PRINCIPIO DI GIUSTIZIA NEI TRASFERIMENTI
Mediante quali processi una persona può trasferire qualcosa che possiede a qualcun
altro?
3) PRINCIPIO DI RETTIFICAZIONE
Necessario dal momento che esistono delle ingiustizie nel mondo.
Esiste anche il principio importantissimo della PROPRIETA’ DI SÉ.
Se il mondo fosse del tutto giusto, l’argomento della giustizia dei possessi potrebbe
essere risolto da queste due clausole e sarebbe tale che gli unici metodi per avere TITOLO a
un possesso sarebbe quello di rispettare o il principio di giustizia nelle acquisizioni o quello
di giustizia nei trasferimenti.
Una distribuzione è giusta se deriva da un’altra distribuzione giusta con MEZZI
LEGITTIMI, che sono specificati dal principio di giustizia nei trasferimenti.
I mezzi di transizione tra situazioni, se legittimi, preservano la giustizia anche nel
trasferimento.
Non tutte le situazioni reali, tuttavia, sono generate in conformità ai principi nei
possessi.
Vi sono persone che ne derubano altre o che esercitano pressione per ottenere degli
scambi.
Quest’ingiustizia porta alla necessità di stabilire un terzo principio, quello di
RETTIFICAZIONE. Il principio di rettificazione usa informazioni STORICHE per ricostruire
le ingiustizie compiute in epoche passate e fornisce tramite esse una descrizione dei
possessi nella società.
Il principio di rettificazione ci porta ad ottenere una stima di ciò che sarebbe
accaduto se le date ingiustizie non si fossero verificate all’interno della società.
Dal momento che il libertarismo considera gli individui in quanto coloro che
formano, da singoli, la società, se l’insieme dei possessi di ognuno si basa sui tre principi,
allora la distribuzione totale dei possessi è giusta.

PRINCIPI STORICI E PRINCIPI A STATO FINALE


La teoria della giustizia distributiva basata sul titolo valido è STORICA, dal momento
che considera giusta una distribuzione che è sorta su delle basi giuste (rispetto dei principi
di possesso). Coloro che invece utilizzano dei principi che si basano su dei modelli
distributivi non si interessano dei processi che hanno portato a un possedimento, ma se
queste distribuzioni rispettano il loro MODELLO prefissato mediante il quale giudicano se la
distribuzione è giusta.
La maggior parte delle persone non accetta i principi a SEZIONE NEL TEMPO
ATTUALE, dal momento che considerano molto importante i processi che hanno
portato un determinato individuo a possedere una quota di possessi.
I principi astorici sono anche definibili come principi a STATO FINALE. Secondo i
sostenitori di questi principi (utilitaristi e egualitari) non serve a nulla andare a giudicare le
situazioni passate. Secondo i sostenitori del libertarismo invece è molto importante basare
la concezione della giustizia distributiva su dei PRINCIPI STORICI.
PRINCIPI BASATI SU UN MODELLO
Esistono anche dei principi basati su un MODELLO, ovvero tutti quei principi secondo
i quali le distribuzioni devono variare in funzione di una certa dimensione o variabile
ritenuta naturale.
Un esempio di un modello tale è quello basato sul MERITO MORALE.
Questi principi possono basarsi sulla storicità, ma introducono un fattore aggiuntivo,
ovvero il fatto che esista un’unità di misura naturale secondo la quale distribuire i possessi: il
merito.
È un principio storico basato su un modello che specifica una distribuzione basata su
quel modello.
Il principio del TITOLO VALIDO non è, tuttavia, basato su un modello. Non c’è una
dimensione naturale che produca la distribuzione giusta secondo questo principio.
Nonostante questo, non dobbiamo preoccuparci, anche senza un modello possiamo
andare a comprendere la validità dei possessi, mediante l’analisi storica dei processi che
hanno portato alla prima acquisizione di un bene e ai suoi trasferimenti.
La gente potrebbe accettare una distribuzione basata su un principio che non
presuppone l’esistenza di un modello distributivo? Sì. Il problema non è la non esistenza del
modello, ma il fatto che la distribuzione è GIUSTA. Se la distribuzione fosse ingiusta le
persone non la accetterebbero, ma il problema si basa sulla giustizia e non sulla mancanza di
un modello. Ovviamente se i trasferimenti si basassero tutti su motivazioni irrazionali le
persone farebbero molta fatica ad accettarli, è chiaro che ci troveremmo più a nostro agio in
un sistema in cui i trasferimenti sono svolti in base a qualche RAGIONE.
Ci deve essere una FINALITA’ o un SENSO in base al quale qualcuno trasferisca un
possesso. In una società capitalista la maggior parte dei trasferimenti sono INTELLEGIBILI
e quindi vengono considerati giusti dal momento che vengono comprese le basi di essi.
Il sistema dei titoli validi è difendibile quando è costituito dagli scopi individuali
di transazioni individuali. Non è richiesto alcuno scopo di ordine superiore né un
modello distributivo. Le cose vengono al mondo già ASSOCIATE alla gente che ha
titolo valido su di esse.
Da ciascuno per come sceglie (principio dei trasferimenti), a ciascuno per come è
scelto (principio di acquisizione iniziale).
COME LA LIBERTA’ SCONVOLGE I MODELLI
Supponiamo si realizzi una distribuzione non basata sul titolo valido, chiamiamola
D1.
Supponiamo sia la nostra distribuzione possibile preferita.
Supponiamo che Wilt Chamberlain sia richiesto dalle squadre di basket, questo gli dà
il potere di ottenere 25 centesimi dal prezzo di ciascuno biglietto venduto.
La stagione ha inizio, la gente va allo stadio lasciando cadere ogni volta 25 centesimi
in una cassetta destinata a lui. A fine stagione guadagna 250mila dollari da questo.
Abbiamo una nuova distribuzione D2.
Ha titolo a questo reddito? Sì, perché ciascuna di quelle persone ha scelto di dargli
25 centesimi. Allora la transizione da D1 a D2 è avvenuta in maniera legittima, le persone
hanno scelto liberamente di trasferire parte del reddito a Chamberlain.
Vediamo da questo come nessun principio basato su un MODELLO (a stato finale)
possa essere attuato ininterrottamente senza continue interferenze da parte della gente.
Le persone vorranno comunque soddisfare altri bisogni non contemplati da quella
distribuzione iniziale e porteranno a continui cambiamenti della distribuzione iniziale.
Per mantenere un modello si deve continuamente interferire andando a impedire
alla gente di modificarlo. Bisogna andare contro alle volontà degli individui per mantenere
stabile un principio basato su un modello. Ma questo va contro ogni ipotesi libertaria.
Qualsiasi modello VERRA’ SOVVERTITO dalle azioni volontarie dei singoli
individui nel tempo. Solamente i modelli molto deboli potrebbero resistere, dal
momento che verrebbero soddisfatti dalla teoria del titolo valido.
LA TESI DI SEN
Si supponga che i diritti individuali siano interpretati come il diritto di scegliere
quale di due alternative debba ottenere un rango più alto in un ordinamento sociale
delle alternative. Se un’alternativa è unanimemente preferita a un’altra allora va
posta più in alto.
Consideriamo due individui differenti, A, in grado di
decidere tra (X e Y) B, in
grado di decidere tra (Z e W)
A: Preferisce W a X a Y a Z
B: Preferisce Y a Z a W a X
Nell’ordinamento sociale W è preferito a X in ogni caso e Y è sempre preferito a Z, ma
gli individui hanno opinioni diverse rispetto alla posizione, ad esempio di X rispetto a Y.
A preferisce X a Y, ma B preferisce qualsiasi alternativa a X. Nonostante questo, dal
momento che A sceglierà di preferire X a Y. B invece preferirà Z a W nonostante A preferisca
tutto a Z.
Non esiste, in base a questo modello, un modo per soddisfare ogni preferenza dei
due individui.
Questo ci fa capire come noi dobbiamo andare a considerare i diritti individuali come
dei VINCOLI stabiliti sulle azioni che ci portano a compiere delle SCELTE SOCIALI,
escludendo date alternative e definendone altre.
Non devono determinare la posizione delle alternative ma devono VINCOLARE le
scelte su esse.
La tesi di Sen ci fa nuovamente capire come i modelli non possano funzionare dal
momento che verranno continuamente interferiti dalle scelte e dalle azioni individuali.
RIDISTRIBUZIONE
I principi basati su un modello permettono alle persone di scegliere di consumare per
sé stesse ma non per altri, quelle risorse di cui hanno titolo all’interno di un modello
distributivo D1.
La distribuzione D1 non deve tuttavia vedere interferenze.
Questo ci fa capire come i principi distributivi basati su un modello non danno alla
gente quanto danno i modelli basati sul titolo valido.
I principi di giustizia basati su modelli hanno bisogno di continue attività
RIDISTRIBUTIVE, dal momento che anche partendo da una distribuzione che combacia
perfettamente con i principi su cui si basa il modello, gli scambi liberi delle persone
all’interno della società porteranno al distanziamento da tale modello.
È quindi necessario un continuo lavoro regolativo da parte dei governi e delle
istituzioni. Come? Ad esempio mediante la tassazione di coloro che producono un reddito
maggiore.
Tuttavia, secondo la tesi di un libertario, la tassazione dei guadagni si trova sullo
stesso livello del LAVORO FORZATO.
Prelevare i guadagni di n ore di lavoro equivale a rubare n ore di quella persona,
equivale a costringere quella persona a lavorare n ore per gli scopi non di sé stesso, ma di
altri.
Alcuni trovano queste affermazioni ASSURDE.
Ma il sistema che preleva a una persona il salario di un numero di ore, a un libertario,
appare identico a un sistema che costringe una persona a lavorare quel numero di ore.
Consideriamo un sistema che pone tasse solamente al di là di un guadagno che viene
considerato pari alla sussistenza. Per guadagnarsi da vivere non bisogna pagare tasse, ma se
si vuole avere più del necessario si potrà lavorare di più. Nessuno è tuttavia costretto a
lavorare queste ore extra sulle quale verrà imposta una tassazione.
L’individuo che decide di lavorare di più accetta il fatto che gli verrà prelevato
denaro, chi decide di non lavorare ore extra. L’individuo che decide di lavorare meno dà
un maggiore valore al proprio tempo libero, perdendo un guadagno extra.
Ma se è illegittimo per un sistema costringere i propri cittadini al lavoro forzato,
allora, anche in questo sistema, è illegittimo prelevare loro dei BENI per darli ad altri,
anche se più bisognosi. Sembra anche ingiusto porre solamente su alcuni il peso della
tassazione, mentre a coloro che vengono soddisfatti più facilmente non viene sottratto nulla.
Se si vuole venire meno a questo problema bisognerà andare a elaborare dei modelli
molto COMPLICATI e di certo non basati su modelli a stato finale, ma storici.
Il nucleo centrale della proprietà di X è il poter fare QUALSIASI COSA SI VOGLIA con
X.
I diritti di proprietà sul mio coltello mi consentono di lasciarlo dove voglio, tranne nel
tuo petto. Ogni persona ha il diritto di decidere di fare qualsiasi cosa con sé stesso e con
cosa possiede, senza però andare a coinvolgere altri individui senza il loro consenso.
Questo ci fa capire perché i libertari pongano veramente tanta attenzione non solo
sul possesso di beni esterni, ma anche sul possesso di sé.
Con il mio corpo posso fare qualsiasi cosa, con qualche limitazione (non ridursi a
schiavitù).

I principi basati su un modello di giustizia distributiva permettono alle persone di


APPROPRIARSI di possessi o di azioni delle altre persone. Di carpire il frutto del loro lavoro.
Il processo con il quale uno Stato, ad esempio, mi costringe a lavorare per un numero
di ore extra per fare in modo che io possa pagare un ammontare di imposte, lo rende
COMPROPRIETARIO di me stesso. Dà allo stato un diritto di proprietà su di noi. Inaccettabile
per libertarismo.
Tutti questi principi di giustizia istituiscono una parziale proprietà da parte di altri
sulle persone, sulle loro azioni e sul loro lavoro.

Un teorico del titolo valido che basa la propria concezione sull’esistenza di VINCOLI
sulle azioni che possono essere effettuate (vietano in maniera categorica la violazione dei
diritti, soprattutto di proprietà) deve stare attento ai casi in cui non sia possibile ottenere
delle mete senza andare a compiere azioni non comprese nel proprio modello morale.
In questo caso un teorico del titolo valido si troverebbe in una situazione molto
complicata, dovrebbe andare a verificare innanzitutto se vengono rispettati i principi di
acquisizione iniziale e del trasferimento, e successivamente andare ad ipotizzare scenari
ipotetici in cui la distribuzione non si basa su trasferimenti ingiusti mediante il principio di
rettificazione.
Vediamo come questa sia la criticità maggiore della teoria dei titoli validi: il fatto che
molto spesso si trova davanti a delle situazioni NON RISOLVIBILI se non tramite la violazione
dei vincoli morali.
TEORIA LOCKIANA DELL’ACQUISIZIONE
Per Locke i diritti di proprietà su un oggetto privo di possessore hanno inizio quando
qualcuno vi MESCOLA il suo LAVORO.
Se possiedo un barattolo di sugo di pomodoro e lo verso in mare in modo tale che le
sue molecole si mischino con il mare, allora divento il possessore del mare?
Ovviamente no. Locke intende dire che se si lavora su qualcosa in modo tale da
aumentarne il VALORE rispetto a quando quel bene era grezzo, allora si ha titolo (diritto) al
suo possesso. Tuttavia, in alcuni casi, lavorando si va a diminuire il valore di un oggetto.
Perché non andiamo allora a considerare il VALORE AGGIUNTO portato dal nostro valore?
Comunque sia, quando si possiede qualcosa, questo porta a un cambiamento della
nostra situazione ma anche di quella di TUTTI GLI ALTRI. Prima avevano la libertà di usare
quell’oggetto, ora non più. Questo non per forza porta a un peggioramento della loro
condizione. Locke aggiunge una clausola limitativa, ovvero che si può diventare legittimi
possessori se si lasciano agli altri cose SUFFICIENTI e altrettanto buone.

Consideriamo la prima persona Z per cui non sono rimaste più cose sufficienti e
buone. La persona Y che si è appropriata dell’ultima cosa ha peggiorato la situazione di Z.
L’appropriazione di Y non è giustificata dalla clausola di Locke. Dunque, la persona X
che si è appropriata di qualcosa ha lasciato Y in una posizione peggiore, perché ha posto il
termine alle APPROPRIAZIONI AMMISSIBILI. Ma allora anche W ha lasciato X in una
situazione peggiore e, andando a ritroso, potremmo arrivare mediante questo
ragionamento alla prima persona A che ha iniziato il ciclo di appropriazioni.

La posizione di un individuo può peggiorare in seguito all’appropriazione in due


modi:

1) Perdendo l’opportunità di migliorare la situazione


2) Non essendo in condizione di usare liberamente ciò che prima poteva usare
Qual è in tutto questo il ruolo della PROPRIETA’ PRIVATA?
Essa aumenta il prodotto sociale affidando i mezzi di produzione a coloro che li
sanno usare, viene incoraggiata la sperimentazione, fornisce fonti alternative di
occupazione e così via. La proprietà privata sembra avere veramente tantissimi vantaggi.

I sostenitori della proprietà privata hanno comunque bisogno di una TEORIA su


come abbiano legittimamente avuto origine i diritti di proprietà. Devono mostrare il perché
le persone abbiano il diritto di possedere privatamente e in maniera esclusiva quei beni.
CLAUSOLA LIMITATIVA
Una qualsiasi teoria della giustizia adotterà una clausola limitativa più debole di
quella lockiana. La clausola limitativa comprende solamente un particolare modo di
peggiorare la condizione di altri: l’APPROPRIAZIONE TOTALE.
Non è possibile appropriarsi totalmente di un bene o di un possedimento. Se lo si
fa la base sulla quale si ha la proprietà è illegittima, se non viene pagata una tassa altissima
che va a risarcire il peggioramento delle condizioni degli altri individui presenti all’interno
della società. Ovviamente è praticamente impossibile che un solo individuo si appropri o
acquisti
completamente l’intero stock di un bene, perché avrebbe un prezzo troppo alto o per
impossibilità fisiche, per questo la clausola viene applicata veramente in pochi casi.
Nel caso in cui la clausola limitativa non venisse rispettata allora sono concepibili
delle LIMITAZIONI ai diritti di proprietà.
Il fatto che qualcuno sia proprietario della DISPONIBILITA’ TOTALE di qualcosa che è
necessario agli altri per continuare a vivere non implica che la sua appropriazione abbia
lasciato le persone ad un livello peggiore di quello base.
Consideriamo un ricercatore medico che sintetizza una sostanza per curare ogni
malattia. Se questo decide di non vendere o di non fornire la sostanza, non va a peggiorare
la situazione degli altri, che potrebbero in ogni caso appropriarsi delle sostanze chimiche per
produrre la medicina e crearla se ne fossero in grado. Sarebbe illegittimo appropriarsi di tutti
i materiali chimici per farla.
Anche i brevetti sono accettabili. Il fatto che un inventore abbia la proprietà
esclusiva di ciò che ha creato non priva gli altri di un qualcosa, perché quell’oggetto non
esisterebbe senza quel determinato individuo che l’ha creata.
DISEGUAGLIANZA
(testi 7/9/10)

AMARTYA SEN – LA DISEGUAGLIANZA. TESTO N7


Posto che la giustizia richiede una qualche eguaglianza, ci si chiede cosa una
comunità politica debba assicurare a tutte le persone. Eguaglianza di CHE COSA? Due
interrogativi centrali per l’analisi dell’eguaglianza sono:

1) Perché eguaglianza?
2) Eguaglianza di che cosa?
Sono due domande distinte ma sostanzialmente INTERDIPENDENTI.
Non è possibile rispondere alla prima domanda ignorando la seconda.
Se argomentiamo con successo a favore dell’eguaglianza in termini di x (qualsiasi
cosa sia x) allora si è già argomentato a favore di quel tipo di eguaglianza, dove x agisce da
elemento di confronto. Se si respinge la richiesta di eguaglianza di x, allora si argomenta
contro quel tipo di eguaglianza di cui x è l’elemento di confronto.
Se impostiamo l’analisi in questi termini, la domanda 1 sembra coincidere con la
domanda 2.
DIVERSITA’ UMANA ED EGUAGLIANZA DI BASE
Gli esseri umani differiscono gli uni dagli altri sia per le caratteristiche
individuali, sia per le caratteristiche delle società all’interno delle quali vivono e per le
opportunità che offrono. In aggiunta alle differenze di ambiente naturale e sociale e di
caratteristiche esterne, noi ci differenziamo anche per le nostre caratteristiche
personali.
Queste sono molto importanti per delineare diversi tipi di DISEGUAGLIANZE. La
disuguaglianza in termini di una variabile (reddito) può condurci in una direzione diversa
rispetto alla diseguaglianza in termini di un’altra variabile.
I vantaggi e svantaggi di cui le persone godono possono essere giudicati sulla base di
MOLTE VARIABILI, e questo rende necessario affrontare una decisione difficile sulla
prospettiva da adottare.
Se tutte le persone fossero identiche, l’eguaglianza in termini di reddito
consisterebbe e darebbe vita ad eguaglianze nei confronti di ogni altra variabile. Una delle
conseguenze della DIVERSITA’ umana è il fatto che esistano varie dimensioni, all’interno di
ognuna delle quali nascono diversi tipi e definizioni di diseguaglianza e eguaglianza.
DISTRIBUZIONE DEL REDDITO, STAR BENE E LIBERTA’
Differiamo in età, sesso, salute mentale e fisica, abilità intellettuali e così via.
Proprio per questo, considerare la diseguaglianza dei REDDITI come oggetto
fondamentale è un problema. Persone con lo stesso reddito potrebbero avere
diseguaglianza di opportunità di utilizzare quel reddito, oppure potrebbero aver bisogno
per le proprie necessità speciali (disabilità) di una quota di reddito maggiore rispetto alle
altre persone.
Ci sono molte caratteristiche fisiche e sociali che determinano diversi tipi di
diseguaglianza.
Una persona con handicap con un reddito maggiore potrebbe comunque trovarsi di
fronte a difficoltà maggiori e a possibilità minori di spendere quel reddito rispetto a una
persona che non è dotata di quell’handicap.

INSIEMI DI CAPACITA’
Lo star bene di una persona può essere visto in termini di qualità (di sentirsi bene)
dell’essere di quella persona. Pensiamo alla vita come un insieme di FUNZIONAMENTI
composti di stati di ESSERE e di FARE.
Le acquisizioni di una persona sotto questo profilo possono essere viste come il
vettore dei suoi funzionamenti. I funzionamenti rilevanti possono variare da cose elementari
come essere nutriti, essere in buona salute, sfuggire alla morte prematura… fino ad arrivare
ad acquisizioni più complesse come essere felice, avere rispetto di sé e così via.
La tesi di fondo è che i funzionamenti sono COSTITUTIVI dell’essere di una persona,
e che una valutazione dello star bene deve prendere forma di un giudizio su tali elementi
costitutivi.

CAPACITA’ DI FUNZIONARE → Varie combinazioni di funzionamenti che la persona


può acquisire. Insieme di vettori di funzionamenti e riflette la libertà di un individuo di
condurre un certo tipo di vita piuttosto di un altro. Un funzionamento rilevante per X
potrebbe non esserlo per Y.
Se i funzionamenti acquisiti (stati di essere e di fare) costituiscono lo star bene, allora
la capacità di acquisire funzionamenti costituirà la LIBERTA’ di stare bene di una
determinata persona. Molti ritengono che sia giusto che gli individui siano dotati della
libertà di stare bene.
Lo star bene ACQUISITO dipende dalla CAPACITA’ DI FUNZIONARE.
La vita è composta da una serie di scelte, ma queste scelte devono essere libere e
basate su delle opzioni valide. La possibilità di avere a disposizioni molte scelte rende più
ricca la vita dell’individuo.
Per questo la capacità di funzionare è considerata da alcuni rilevante nel giudizio
sociale, dal momento che non solo è importante soddisfare i funzionamenti dell’individuo
ma anche che esso si trovi nella condizione di poter combinare tali funzionamenti in
maniera soddisfacente.
I funzionamenti sono gli ELEMENTI COSTITUTIVI dello stare bene e le capacità
riflettono la libertà di ciascun individuo di perseguire e ricercare tali elementi costitutivi.
UTILITA’ VS CAPACITA’
Esser felice può esser visto come un funzionamento importante, ma non è l’unica
cosa che conta. Se la valutazione dell’utilità viene svolta in base al piacere o alla felicità,
questo porterebbe a tralasciare moltissimi funzionamenti che secondo la visione di Sen sono
invece rilevanti a costruire un giudizio riguardo all’eguaglianza in una società.
Se prendiamo come criterio l’APPAGAMENTO DEI DESIDERI finiremmo con lo
scegliere un metodo particolare di valutare le capacità e i funzionamenti. Questo è grave in
un contesto di radicate DISEGUAGLIANZE in cui le persone più svantaggiate potrebbero
anche essere rassegnate alla loro situazione e quindi non avere molti desideri da appagare,
dal momento che li considerano irrealistici. Molto spesso questi non si sforzano molto per
appagare dei possibili desideri.
Questo ci fa capire come una valutazione della società mediante un’ottica utilitarista
ci porti a sottovalutare molti aspetti e quindi a non ottenere un quadro fedele alla realtà.
L’esercizio di valutazione delle CAPACITA’ non può essere ridotto al sommare le
utilità generate da esse, qualsiasi sia l’unità di misura selezionata.
SINGER – ONE WORLD, TESTO N9
L’11 Settembre 2001 è stato un giorno che non verrà mai dimenticato da nessun
occidentale, il giorno dell’attentato al World Trade Center.
Si stima siano stati raccolti 1,3 miliardi di dollari per le vittime dirette e indirette
della vicenda. Si stima anche, tuttavia, che l’11 settembre 2001 sono morti circa 30k
bambini per cause evitabili quali la malnutrizione e la mancanza delle più basilari cure
sanitarie. È circa dieci volte il numero dei morti per l’attentato.
Non vi fu alcuna valanga di denaro nei confronti delle associazioni benefiche.
Sono più di UN MILIARDO le persone in condizioni di estrema povertà. Le
donazioni private ammontano a circa 20 dollari per famiglia.
Gli abitanti di New York che risiedevano a Manhattan Sud ricevettero 5300 dollari a
famiglia. Il divario tra queste due somme è veramente simbolico e può farci capire un
aspetto della natura umana: la sfera della PREOCCUPAZIONE termina ai confini della
NAZIONE.
Noi poniamo gli interessi dei nostri concittadini al di sopra del resto. Ci interessa
maggiormente che coloro che hanno la nostra stessa nazionalità abbiano da mangiare,
piuttosto che gli altri. Mentre agiamo in questo modo, sosteniamo comunque che tutti gli
umani hanno egual valore e devono tutti godere degli stessi diritti, nonché condanniamo le
espressioni razziste provenienti da certe persone.
LA PREFERENZA PER CIO’ CHE È NOSTRO
Abbiamo visto come nei nostri fatti sia implicito il fatto di FAVORIRE I NOSTRI
SIMILI.
Ma chi sono i nostri simili? La definizione di simile cambia ovviamente da epoca a
epoca. Nell’Inghilterra Vittoriana si sosteneva l’ideale per il quale bisognava dare la priorità
prima ai propri connazionali e poi ai “neri o ai gialli”.
Nella Germania Nazista non era concepito alcun aiuto nei confronti delle “razze
diverse”.
Il fatto che la definizione di simile sia differente da epoca storica a epoca storica, ma
anche dal contesto sociale e geografico, ci fa capire come non sia così autoevidente.
Dobbiamo trovare un diverso test per stabilire se abbiamo obblighi speciali nei
confronti di chi ci è vicino e soprattutto nei confronti dei nostri connazionali.
ETICA E IMPARZIALITA’
Assumiamo un modello ideale opposto, secondo cui né l’etnia né la nazione
determinano il valore della vita e delle esperienze di un essere umano.
Perché un giudizio possa valere come giudizio MORALE, deve essere
universalizzabile, questo vuol dire che il parlante deve essere disposto a prescrivere che
si conformi a ogni possibile situazione reale e ipotetica, anche quelle in cui è tra coloro
che risultano svantaggiati.
Un modo per decidere se esistano doveri speciali verso i nostri simili consiste nel
chiedersi se l’idea di avere questi doveri può essere giustificata da un punto di vista
imparziale.
Esempio di Godwin: Sta andando a fuoco un edificio. Al suo interno vi sono un
benefattore dell’umanità e una cameriera. Possiamo salvare solo una persona. Salveremmo
ovviamente il benefattore. Facendo così soccorreremmo anche tutte le persone che
verrebbero salvate dal suo lavoro. Afferma che anche fosse stato lui al posto della cameriera,
avrebbe scelto di morire.
Nel 1971 milioni di bengalesi rischiavano di morire a causa dei massacri dell’esercito
pakistano. Consideriamo la situazione in cui, andando a lavoro, troviamo un bambino che
sta affogando in un laghetto. Se lo salvassi mi infangherei le scarpe e mi sporcherei tutto,
dovrei quindi tornare a casa a cambiarmi e arriverei in ritardo a lavoro.
Sarebbe grottesco lasciare morire il bambino per non sporcarmi le scarpe.
Nei confronti dei rifugiati bengalesi eravamo di fronte alla stessa situazione:
affrontando un costo limitato avremmo potuto salvare la vita di quelle persone.
La maggior parte di noi ha un SURPLUS DI REDDITO che spendiamo per cose frivole,
ma parte di questo reddito potrebbe essere dedicata a donazioni e offerte nei confronti di
associazioni benefiche che vanno ad aiutare le condizioni di queste persone.
Se ci troviamo nelle condizioni di farlo ma non lo facciamo, possiamo dire di essere
come quella persona che non salverebbe la bambina pur di non sporcarsi?
Non fa alcuna differenza se aiutiamo una persona a 10 kilometri o a 1000 chilometri.
Entrambe le persone hanno EGUALE DIGNITA’ e DIRITTO di ricevere aiuto.
Il grado di certezza riguardo al fatto che l’aiuto arrivi alla persona è ovviamente
maggiore con una persona vicina, e ciò è vero, ma è un problema diverso.
Ciò che è stato contestato è che l’obbligo di aiutare uno SCONOSCIUTO STRANIERO
sia lo stesso di quello di aiutare uno SCONOSCIUTO CONNAZIONALE. Per molti, infatti, non è
così.
Secondo i critici dell’IMPARZIALISMO, i nostri desideri reali non tendono al bene
della specie, ma al bene di coloro che ci sono VICINI.
Inoltre, viene anche detto dai critici che la maggior parte delle relazioni che
stringiamo nella nostra vita richiedono degli atteggiamenti PARZIALI, non imparziali
(genitori, figli, amanti, amici…). Nessuno si comporterebbe allo stesso modo con un amico
e con un estraneo.
Secondo gli imparzialisti, tuttavia, una corretta moralità esige che nulla che sia
umano sia da noi considerato indifferente, per questo dovremmo trattare tutti allo STESSO
MODO.
Questo è veramente difficile, se non impossibile.
HARE (Utilitarista) afferma che è spesso IMPOSSIBILE calcolare le conseguenze di
ogni decisione che prendiamo a causa del nostro coinvolgimento personale in ogni
situazione.
Per questo necessitiamo di avere dei principi che ci possano guidare nella
quotidianità e di cui dobbiamo essere consapevoli senza necessitare eccessive riflessioni su
di essi.
Quando riflettiamo riguardo alla natura delle intuizioni morali e se siano corrette o
meno, andiamo a spostarci sul livello CRITICO della morale, che può essere utilizzato come
banco di prova per le nostre intuizioni morali, tra cui anche gli obblighi speciali che si
suppone dobbiamo avere nei confronti delle persone che ci sono vicino.

VALUTARE LE PREFERENZE PARZIALI


L’amore dei genitori nei confronti dei figli esprimono dimostrazioni molto profonde
che sono radicate nella storia e natura dell’uomo in quanto mammifero sociale. È possibile
ritrovare questo legame genitore – figlio in ogni cultura e società.
Ma dire che un certo comportamento è universale e si radica nella nostra storia
evolutiva NON SIGNIFICA affermare che non dovrebbe essere modificato.
Tuttavia, anche se noi decidessimo che i genitori non si devono occupare dei figli in
modo parziale, troveremmo tale parzialità molto difficile da sradicare.
Finiremmo col riconoscere che la maggior parte dei genitori favorisce i propri figli in
modi che NON possono essere GIUSTIFICATI in termine di eguale considerazione degli
interessi e imparzialità.
Se dovessimo impegnarci nel rendere il rapporto genitori – figli imparziale, è molto
probabile che andremmo a causare sensi di colpa e profonda ansia nei genitori.
I vantaggi portati dall’imparzialità servirebbero a bilanciare tutta questa infelicità?
Probabilmente no. Anche i bambini soffrirebbero nel non avere un rapporto parziale
coi genitori. Esiste una giustificazione condivisa nel fatto che tale legame parziale sia
accettabile.
Andando a considerare l’amore e l’amicizia, rapporti parziali con altri umani, ci
rendiamo conto di quanto essi siano NECESSARI. Nessuna persona è in grado di vivere una
vita soddisfacente senza avere legami particolari, superiori, con altre persone. Di qualsiasi
tipo, ma parziali. Anche la loro esistenza è quindi giustificata.
Andiamo adesso a considerare l’idea secondo la quale i BIANCHI dovrebbero
prestare più attenzione ai bianchi, ovvero ai membri della propria etnia.
Tesi del genere hanno suscitato molto fascino in epoche passato, trovando
giustificazioni simili all’accettazione dei legami parentali e sentimentali.
Tuttavia, è anche noto come idee razziste abbiano causato DANNI ENORMI, nonché
alcuni tra i peggiori crimini del secolo scorso.
Il parzialismo lungo linee razziali rappresenta un qualcosa a cui dobbiamo opporci in
ogni misura, dal momento che la sua abolizione porta solamente a vantaggi e ad evitare il
ripetersi di crimini.
Tuttavia, il fatto che delle risposte siano INTUITIVE e quindi ampiamente condivise
non prova che siano in ogni caso giustificate. Né la base biologica né la base culturale di esse
ci forniscono un buon motivo per erigerle a fondamento della nostra moralità.
Rispondere in modo intuitivo non è andare a sondare la base critica della moralità.
Quindi, andando effettivamente a riflettere nuovamente sui rapporti che nascono in
una famiglia, capiamo che è necessario un certo grado di PARZIALITA’, ma non più di
quanto strettamente necessario per poter andare a promuovere i valori menzionati.
Ad esempio, non dovremmo andare a soddisfare ogni desiderio dei nostri figli anche
se ne fossimo in grado, soprattutto vivendo in paesi del cosiddetto primo mondo.
Dovremmo crescere i figli sulla consapevolezza che altri si trovano in condizioni
PEGGIORI e che è possibile andarli ad aiutare riducendo le spese inutili e facendo delle
rinunce di consumo. In questo modo i nostri figli potrebbero anche imparare a riflettere
criticamente sullo stile di vita tipico di un paese sviluppato in un modello capitalista e sulle
sue ripercussioni.

Da questa prospettiva, l’intuizione secondo cui abbiamo un dovere di GRATITUDINE


nei confronti di coloro con i quali abbiamo delle relazioni particolari non costituisce una
indipendente verità morale, ma un qualcosa di DESIDERABILE in quanto stimola la
cooperazione sociale.
Una volta che si riconosce un obbligo di gratitudine è impossibile escludere i genitori
dalla cerchia di benevolenza, dal momento che hanno reso moltissimi servizi ai figli.
Lo stesso vale per gli amici e gli amanti che di certo hanno aiutato i loro amici o
fidanzati in molti modi; quindi, è chiaro che questi avranno una gratitudine nei loro
confronti.
La categoria di VICINI GEOGRAFICI può essere inquadrata nello stesso modo. La
vicinanza geografica non ha alcun fattore rilevante dal punto di vista morale, se non per il
fatto che essendo vicini è più facile stringere amicizie, e quindi cooperare, ottenere servizi,
essere grati e stringere relazioni parziali a causa di questa gratitudine.
Lo stesso vale per i parenti: la misura in cui abbiamo OBBLIGHI nei loro confronti
varia in base alle relazioni che abbiamo stretto con loro. Se una lontana cugina che non
sentiamo da 20 anni ci chiede un prestito, noi non abbiamo alcun obbligo nei suoi confronti.
Ma questo dipende anche dal contesto sociale e culturale in cui viviamo.
Quindi, capiamo come la gratitudine sia un fattore evolutivo e che è un qualcosa
di desiderabile solamente perché è necessaria una cooperazione sociale in questo tipo di
società. La gratitudine e gli obblighi nascono laddove ci vengono forniti dei SERVIZI.
IMPORTANZA DELLO STATO NAZIONE – COMPATRIOTI COME FAMIGLIA ESTESA
Vi possono essere ragioni imparziali che ci permettono di dare la precedenza ai nostri
compatrioti? Secondo alcuni sì, dal momento che la CITTADINANZA costituisce una sorta di
estensione del fatto di essere parenti, almeno alla lontana.
La cittadinanza viene concepita come quella caratteristica di coloro che presentano
caratteristiche ASCRITTE AFFINI (stessa razza, stessa etnia), che quindi sono una sorta di
famiglia.
Se noi respingiamo questa concezione di cittadinanza molto antiquata, è difficile
difendere la necessità di dover dare la priorità ai propri connazionali e concittadini.
COMUNITA’ FONDATA SULLA RECIPROCITA’
Potremmo immaginare di avere obblighi speciali nei confronti dei nostri concittadini
perché tutti noi partecipiamo ad un certo genere di IMPRESA COLLETTIVA.
Essere cittadini di uno stato significa essere inserito in una comunità fondata sulla
RECIPROCITA’.
Sulla base di questa prospettiva, gli aiuti che gli americani hanno versato nei
confronti dei loro concittadini dopo l’11 settembre sono perfettamente giustificabili. Così
come anche il contribuire all’aiuto degli americani meno abbienti mediante il pagamento di
tasse, anche alte.
Ma è possibile dire che questa reciprocità sia una condizione SUFFICIENTE per
anteporre i propri connazionali agli abitanti di altre zone del mondo?
Nella maggioranza dei casi l’essere cittadino di un paese è pura CASUALITA’, non è
detto che tutti siano legati ai valori o alle tradizioni tipiche di quel paese. Alcuni possono
rifiutarli.
Non vi è motivo di pensare che, ad esempio, se accettassimo cittadini stranieri nel
nostro paese, questi non desidererebbero collaborare e partecipare in una comunità
reciproca di aiuto.
COMUNITA’ IMMAGINATA
La reciprocità da sola non è sufficiente a sorreggere la tesi che noi abbiamo obblighi
speciali verso i nostri concittadini.
Dobbiamo introdurre l’idea del fatto che una nazione sia una comunità politica
IMMAGINATA che vive solo nelle menti di coloro che si sentono cittadini dello stesso paese.
Noi siamo convinti di condividere istituzioni e valori con i nostri concittadini ma in
realtà la comunità non è reale e interpersonale dal momento che non incontreremo mai
tutti i nostri concittadini.
Il fatto di avere obblighi speciali di reciprocità può quindi essere parte di ciò che
comporta formare e mantenere stabile tale comunità immaginata. Dal momento che non è
reale, è necessario che esistano questi obblighi.
Se questo è vero e se l’idea moderna di nazione pone le basi su una comunità di cui
immaginiamo di far parte, allora è anche possibile immaginare di fare parte di una
comunità DIFFERENTE. E questa comunità differente non per forza dev’essere un’altra
nazione, ma una comunità globale. I confini nel corso del tempo si modificano, ed è possibile
che in futuro tali confini immaginati si estendano a tal punto da immaginare una
COMUNITA’ GLOBALE, che renderà tutti vincolati ad avere obblighi speciali nei confronti di
ogni altro abitante del globo.
L’EFFICIENZA DELLE NAZIONI
Se siamo ricoverati in ospedale è meglio che si prenda cura di noi un particolare
medico esperto piuttosto che un medico qualsiasi. Allo stesso modo, è meglio che sia uno
specifico Stato ad assumersi la responsabilità di PROTEZIONE e promozione degli interessi
degli individui che vivono all’interno del suo territorio. Se viene promosso da una nazione,
sarà più EFFICIENTE.
Pur essendo possibile che a parità di condizioni risulti più efficiente il fatto che gli
Stati si occupino dei propri cittadini, questo non vale nel caso in cui la ricchezza sia
distribuita in modo INEGUALE, soprattutto nei casi in cui sia così ineguale tale che una
coppia benestante in un paese possa spendere per andare al cinema più di quanto molte
persone in altri paesi hanno a disposizione per sopravvivere in un anno.
In queste circostanze l’argomento dell’efficienza ci fa capire come in realtà sia
necessario aiutare coloro che si trovano al di fuori della nostra nazione.
GIUSTIZIA NEGLI STATI E TRA GLI STATI
Ci sono tre ragioni per cui è più importante impedire che le disuguaglianze
economiche diventino più grandi all’interno di una società, piuttosto che tra società:

1) L’uguaglianza politica interna può essere negativamente influenzata dalla


disuguaglianza economica interna
2) La disuguaglianza non è negativa in sé, ma in misura in cui porta a relazioni di
oppressione
3) Ricchezza e povertà possono essere poste in natura comparativa tra di loro
Le prime due ragioni, tuttavia, sono venute sempre meno con l’espansione ed
estensione della globalizzazione e dei rapporti economici globali. È possibile che esistano
rapporti di OPPRESSIONE anche tra nazioni, e non solo all’interno di esse, così come è
possibile che cambiamenti economici in stati esteri portino al peggioramento delle
condizioni politiche in un altro stato.
Ammettiamo comunque che sia possibile che esistano motivi che permettano di dare
la priorità al fatto di evitare disuguaglianze economiche all’interno di una data società.
Ma perché dovremmo pensare che l’eliminazione delle gravi disuguaglianze
economiche tra tutti gli abitanti del mondo non sia MENO DESIDERABILE della sua
eliminazione in una società?
Talvolta, addirittura, siamo in grado di diminuire la disuguaglianza tra le nazioni e
anche interno alle nazioni. Se ponessimo delle tasse nei confronti delle nazioni più ricche in
modo tale da aiutare quelle più povere, gli introiti di queste imposte porterebbero alla
diminuzione delle disuguaglianze all’interno dei paesi poveri ma anche tra paesi poveri e
paesi ricchi.
Potremmo comunque, anche nei paesi ricchi, migliorare la condizione dei meno
avvantaggiati con le tasse, ma in realtà è preferibile la prima opzione, perché andremmo
non solo a diminuire le disuguaglianze interne, ma anche quelle esterne.
Nella situazione attuale noi abbiamo verso gli stranieri DOVERI SUPERIORI rispetto a
quelli che abbiamo nei confronti dei nostri concittadini. Perché?
Perché la riduzione del numero di esseri umani che vivono in POVERTA’ ASSOLUTA
ha la priorità rispetto alla riduzione del numero di persone che vivono in povertà RELATIVA.
RAWLS E IL DIRITTO DEI POPOLI
In “Il diritto dei Popoli” Rawls afferma che le società più avvantaggiate abbiano
OBBLIGHI nei confronti delle società che lottano per emergere.
Rawls ci chiede di considerare un mondo in cui esistono solo DUE SOCIETA’, ciascuna
delle quali soddisfa i principi di giustizia di “Una teoria della giustizia.”
In questo modello l’individuo rappresentativo dei più svantaggiati della società A sta
PEGGIO dell’individuo rappresentativo dei più svantaggiati nella società B.
A questo punto possiamo notare che è possibile una ridistribuzione che consenta di
migliorare le sorti dell’individuo più svantaggiato della società A, in modo tale da diminuire il
dislivello tra società.
Dovremmo quindi preferire questa seconda distribuzione alla prima? No. Perché il
diritto dei popoli è INDIFFERENTE tra le due distribuzioni secondo Rawls.
Le posizioni assunte da Rawls in “Il diritto dei Popoli” e “Una teoria della giustizia”
sono totalmente differenti. Se in “Una teoria della giustizia” descrive inaccettabile il fatto
che un individuo sia avvantaggiato dalle condizioni di nascita, in questo caso ritiene
indifferente il fatto di nascere in un paese piuttosto che un altro, quando anch’essa è una
condizione ARBITRARIA.
Nella posizione originaria del “Diritto dei popoli” le parti che deliberano non
prendono in considerazione l’utilitarismo classico come metodo di ordinamento
internazionale, questo perché, secondo Rawls, i popoli non accetterebbero un tale principio
dal momento che nessuno sarebbe disposto ad ammettere che, per massimizzare l’utilità,
i benefici di un altro popolo possano SUPERARE i sacrifici imposti a sé.

Uno strano aspetto di Rawls nel “Il diritto dei Popoli” è la sua tendenza ad invocare
argomenti che potrebbero essere facilmente AVANZATI contro la redistribuzione interna
alle nazioni, ma di usarli per scagliarsi contro l’idea di una redistribuzione TRA NAZIONI.
A questo punto Rawls ci invita a considerare l’esempio di due paesi che si trovano
allo stesso livello di ricchezza e hanno una popolazione di dimensioni analoghe.
Il primo paese decide di industrializzarsi, il secondo decide di mantenere una società
rurale.
Dopo qualche decennio, il primo paese è due volte più ricco del secondo.
Dovremmo imporre tasse alla società in via di industrializzazione per trasferire fondi
all’altra?
Secondo Rawls questo è INACCETTABILE. Ma allora come fa a rispondere a coloro
che criticano le tesi di “Una teoria della giustizia” perché trovano inaccettabile che una
persona che si è impegnata e ha “meritato” di avere un reddito alto debba essere tassata
per aiutare i meno avvantaggiati? Non c’è ragione per cui Rawls non vada ad applicare gli
stessi principi che applica all’INTERNO delle società anche tra di esse, sembra quasi che
vada a contraddirsi da solo.
Rawls comunque sostiene che i popoli bene ordinati hanno il DOVERE di sostenere le
società più svantaggiate. Tale dovere, però, si spinge solamente fino alla richiesta di
un’assistenza volta ad aiutare tali società a diventare BENE ORDINATE.
Tra gli aspetti necessari affinché una società diventi bene ordinata c’è quello di
sviluppare una CULTURA ADEGUATA. Tale ipotesi può essere corretta, ma l’enfatizzazione
di questo aspetto lascia totalmente inalterata la situazione reale di tutte quelle persone
che stanno effettivamente morendo.
I principi di giustizia di Rawls, dal punto di vista internazionale, NON CONTEMPLANO
l’aiuto agli individui a meno che non si verifichino condizioni particolari (carestie, violazioni
diritti umani). Ma queste non sono vere soluzioni. In un mondo come il nostro le persone
continueranno a morire, continueranno a soffrire per cause evitabili.
T. POGGE – POVERTA’ MONDIALE E DIRITTI UMANI. TESTO N10
Il DIVIDENDO GLOBALE DELLE RISORSE (DGR) è un piano che prevede che gli Stati
non abbiano pieni diritti di proprietà sulle risorse presenti nel loro territorio, ma che si possa
chiedere loro di condividere una parte di tali risorse.
Anche i paesi più poveri hanno DIRITTO a una quota di tali risorse o del valore
economico corrispondente ad esso. Inoltre, questa quota non influisce in alcun modo sulla
Sovranità statuale, non va a modificare le decisioni interne agli stati che determinano come
utilizzare lo stock di risorse disponibili.
Mediante il DGR si potrebbe quindi raccogliere una somma di valore economico
corrispondente alla quota di risorse stabilite, e questi proventi verrebbero utilizzati per
assicurarsi che ogni essere umano abbia la possibilità di SODDISFARE i propri BISOGNI DI
BASE con dignità.
La proposta del DGR è stata realizzata per mostrare che esistono alternative per
organizzare il nostro ordine mondiale e anche come possibilità concreta per fare in
modo che sempre meno persone si trovino sotto la soglia della povertà assoluta.
DISUGUAGLIANZA RADICALE
Ci sono due modi di concepire la povertà come sfida morale:

1) DOVERE POSITIVO di aiutare persone in grave difficoltà


2) DOVERE NEGATIVO di non perpetuare le ingiustizie
Il dovere positivo è molto facile da dimostrare. Esistono persone che stanno molto
male, molto peggio di noi, e che potremmo aiutare senza fare particolari sforzi.
Molti pensano, tuttavia, che tali ragioni morali siano MOLTO DEBOLI e discrezionali;
quindi, non si sente impegnata a perseguire tali cause, perché preferiscono sostenerne delle
altre.
Dal momento in cui il dovere positivo ha una base morale debole, dobbiamo
concentrarci su quello negativo. Andiamo a definire la DISUGUAGLIANZA radicale in cinque
modi:

1) Gli svantaggiati stanno molto male in termini assoluti


2) Stanno molto male anche in termini relativi
3) La disuguaglianza è impervia. È difficile o impossibile migliorare la propria sorte.
4) La disuguaglianza è pervasiva: concerne la maggior parte o tutti gli aspetti della vita.
5) La disuguaglianza è evitabile: gli avvantaggiati potrebbero migliorare le
condizioni.
Queste cinque condizioni potrebbero convincere i privilegiati ad aiutare i meno
avvantaggiati, creando una base morale che porti a rendere l’estirpare la povertà mondiale
un DOVERE.
Queste cinque condizioni, tuttavia, fanno appello ancora al dovere positivo.
Non donare e non aiutare i poveri viola i doveri positivi, ma non quelli NEGATIVI. Se
io non dono, non vado ad alimentare le ingiustizie. Non vado a perpetrare la loro condizione
di miseria.
Devono allora essere soddisfatte altre condizioni. Esistono come minimo tre possibili
approcci alla questione, che fanno appello a tre differenti MOTIVI di ingiustizia.

1) Effetti della condivisione delle istituzioni sociali


2) Esclusione dall’uso delle risorse naturali non compensata
3) Effetti di una storia comune e violenta
APPROCCIO POLITICO – EFFETTI ISTITUZIONI CONDIVISE
Questo primo approccio aggiunge tre condizioni alle cinque iniziali:

6) L’ordine istituzionale è progettato dagli avvantaggiati e imposto agli svantaggiati


7) Quest’ordine è implicato nella perpetrazione della disuguaglianza radicale
8) La disuguaglianza radicale non può essere rintracciata in fattori extra sociali
I poveri globali vivono in un sistema mondiale di Stati interconnessi mediante una
rete globale di rapporti economici e politici. Il fatto che esistano delle istituzioni che
vengono condivise e che abbiamo imposto ai paesi più svantaggiati ci rende profondamente
legati, con un nesso causale, alla loro MISERIA.
Ovviamente è impossibile andare ad annullare l’interdipendenza globale. Dobbiamo
quindi preoccuparci di come i paesi sviluppati abbiano il controllo, grazie alla FORZA
MILITARE ed economica, sulle norme condivise e quindi hanno anche la responsabilità dei
loro effetti.
Siamo vittime di un’illusione: dal momento che il sistema economico e politico
globale ci avvantaggia in quanto cittadini di un paese ricco, pensiamo che avvenga lo stesso
in ogni altro Stato. Reputiamo quindi che le cause della povertà siano locali. Ma non è così.
Certamente, una cultura della CORRUZIONE pervade il sistema politico ed
economico di molti paesi in via di sviluppo, ma questa cultura è collegata dal fatto che i
paesi benestanti abbiano permesso le proprie imprese di CORROMPERE i funzionari
stranieri.
Nulla è estraneo dall’ordine istituzionale imposto, che perpetra la disuguaglianza.
I paesi benestanti hanno, da sempre, disegnato il sistema internazionale per i
PROPRI INTERESSI.
La condizione 8 è chiara: la povertà dipende dalle condizioni sociali degli individui. Se
fossero nati in un altro paese o in un’altra classe sociale non sarebbero in tali condizioni.
Questo primo approccio può essere presentato mediante una veste
CONSEQUENZIALISTA oppure CONTRATTUALISTA, ma in entrambi i casi il pensiero centrale
è che le istituzioni sociali internazionali devono essere valutate in base agli effetti che
producono.
Nel presente ordine internazionale miliardi di individui nascono in posizioni sociali di
partenza che offrono loro prospettive di vita estremamente basse.
Dal momento che la loro miseria potrebbe essere ridotta mediante il rispetto del
dovere negativo, potremmo andare a modificare le ISTITUZIONI fondanti di tale società.
Dal momento che esistono alternative al nostro modello istituzionale, non è
concepibile l’esistenza della povertà per il mantenimento dei privilegi di pochi: abbiamo il
DOVERE MORALE di contribuire allo sradicamento di essa e, se non lo facessimo, la colpa
non sarebbe altro che nostra.

APPROCCIO ECONOMICO – ESCLUSIONE USO RISORSE NON COMPENSATA


Questo approccio aggiunge in sostituzione di 6-8 solamente una condizione:

9) Gli avvantaggiati traggono un guadagno significativo dall’uso delle risorse naturali, i


cui benefici sono in gran parte negati, senza indennizzo, agli svantaggiati.
I ricchi usano la maggior parte delle risorse mondiali e lo fanno senza ripagare il
danno causato. Anche se lo facessero, come nel caso del commercio dei combustibili fossili,
i soldi finirebbero nelle mani dei ricchi rappresentanti le élite dei paesi poveri, non in mano
allo Stato.

Questo è giustificato dal capitalismo che afferma che promuovono i diritti di


appropriazione. Locke, nello Stato di Natura, assume che esista un vincolo che non
permetta l’appropriazione di un bene se non si lascia una quantità sufficiente di esso ad altri.
Tuttavia, questa clausola può essere revocata con consenso universale. Se tutti
acconsentono alla loro modifica, allora le regole di convivenza possono essere modificate.
Oggi l’affermazione di Locke è di certo FALSA. Miliardi di persone nascono in un
mondo in cui tutto è già stato appropriato e in condizioni tali da non permettere loro di
poter ottenere un’istruzione che gli consenta di ottenere un lavoro che permetta loro di
acquistare, con denaro, dei beni.
Tutto ciò che guadagnano è volto alla SOPRAVVIVENZA.
Gli effetti del deterioramento dell’ambiente, inoltre, sono sentiti in misura
particolare dai poveri.
I cittadini e i governi dei paesi ricchi violano un DOVERE NEGATIVO quando, in
collaborazione con le élite dei paesi poveri, escludono coercitivamente i poveri dalla loro
quota di risorse.
APPROCCIO STORICO – EFFETTI DI UNA STORIA COMUNE E VIOLENTA
Viene aggiunta, anche in questo caso, una condizione:

10) Le posizioni sociali di partenza degli svantaggiati e degli avvantaggiati sono emerse
da un singolo PROCESSO STORICO pervaso da enormi INGIUSTIZIE.
Le condizioni odierne dei poveri sono sorte da un drammatico periodo di conquiste e
di COLONIZZAZIONE, di schiavitù e genocidio, nel quale le culture e istituzioni natie vennero
distrutte. Le condizioni sociali di partenza nascono quindi su una base di SOPRUSI nei
confronti dei paesi che oggi sono quelli meno avvantaggiati.
Questo terzo approccio è indipendente dagli altri. Gli effetti dei crimini epocali
commessi non possono essere neutralizzati neanche decenni e secoli più tardi.
Alcuni sostenitori dell’attuale distribuzione affermano che, anche se non fosse
esistita la colonizzazione, l’Europa sarebbe, ai giorni nostri, più ricca dell’Africa.
Ma almeno queste popolazioni avrebbero le proprie istituzioni, la propria cultura
natia e non avrebbero subito dei soprusi e degli abusi per poter permettere ad altri popoli di
svilupparsi.
Senza questi crimini, quindi, non esisterebbe la DISUGUAGLIANZA radicale presente
oggi che consta nel fatto che determinate persone sono benestanti e altre estremamente
povere.

UNA PROPOSTA MODERATA


Lo Status Quo potrebbe essere cambiato in un modo riconosciuto da tutti e tre gli
approcci. La proposta dimostra come la povertà radicale possa essere ricondotta alla
struttura dell’ordine economico globale (condizione 7) e anche che la condizione 5 sia
vera. Potremmo modificare lo status quo ma non lo facciamo. Quindi la povertà è
evitabile.
La proposta di Pogge si formula sul secondo approccio (economico): chi fa un uso
spropositato delle risorse del pianeta dovrebbe COMPENSARE chi, involontariamente, ne
fa un uso ridotto. Da qui nasce la proposta del Dividendo Globale delle Risorse, che
tuttavia, non andrebbe a concepire le risorse globali come proprietà comuni, dal momento
che lascerebbe ogni governo libero di decidere come utilizzare la quota di risorse
disponibili come preferisce.
È possibile che, una volta debellata la disuguaglianza radicale, sia sufficiente un DGR
MOLTO RIDOTTO per poter bilanciare le tendenze centrifughe del sistema.
All’inizio potrebbe essere necessario uno sforzo maggiore per ACCELERARE i tempi di
estirpazione della povertà globale, ma successivamente il DGR potrebbe essere ridotto,
perché gli effetti di lungo termine sarebbero comunque molto importanti.
È chiaramente possibile estirpare la fame nel mondo in POCHI ANNI attraverso un
DGR basato sull’imposizione delle imposte sulle sostanze inquinanti.
Il DGR dovrebbe essere FACILE da comprendere e applicare, anche da stimare nella
sua portata, questo aiuterebbe a tenere bassi i costi di raccolta dei fondi e in questo modo
avrebbe anche un impatto LIEVE sui PREZZI dei beni.
Dovrebbe, inoltre, concentrarsi su quelle risorse il cui uso sarebbe importante
scoraggiare per la tutela ambientale (petrolio, carbone, combustibili fossili).
Lo scopo del DGR è quindi quello di rendere i bisogni essenziali degli umani
soddisfabili con dignità all’interno di ogni paese e classe sociale. È necessario che i fondi
versati siano trasferiti in maniera trasparente per evitare favoritismi politici.
Bisogna anche considerare che ci sono paesi poveri in cui i GOVERNI stessi
favoriscono la povertà perché in tale modo riescono a controllare meglio la popolazione.
Purtroppo, in questi casi, bisognerà destinare maggiori fondi ai paesi che li
utilizzerebbero in modo EFFICACE, nonostante non sia colpa della popolazione se il loro
governo è corrotto.
Sono fondi che devono essere mandati dove verranno usati per lo scopo prefissato.
Un BUON GOVERNO genera prosperità tramite il sostegno del DGR e questo gli
permette di ottenere anche maggiore sostegno e di ridurre la possibilità di colpi di stato.
Il DGR non deve essere tuttavia considerato come un’azione di GENEROSITA’ dei
paesi benestanti nei confronti dei paesi più poveri, ma è semplicemente il rispetto di un
DOVERE MORALE negativo che questi paesi hanno, a partire dall’usurpazione delle risorse
naturali.
Ma, dal momento che il DGR è al di là dei benefici politici o economici che i paesi
benestanti potrebbero ottenere, molti di questi paesi potrebbero rifiutarsi di partecipare.
È necessario creare un sistema di SANZIONI decentralizzate che vanno a colpire i
paesi che non ottemperano i propri obblighi. Ad esempio, gli altri paesi potrebbero porre
dazi sulle importazioni nei confronti di quei paesi che non partecipano agli obblighi del DGR.
Nessun paese trarrebbe vantaggio dall’imposizione di dazi nei suoi confronti.
ARGOMENTO MORALE PER LA RIFORMA PROPOSTA
Illustrando come il Dividendo Globale delle Risorse sia realizzabile abbiamo anche
dimostrato come la povertà sia effettivamente sradicabile ed evitabile a un costo molto
limitato.
Se una società o un sistema sociale coordinato da un ordine istituzionale
condiviso presenta radicali diseguaglianze, allora questo ordine è INGIUSTO e
richiede una giustificazione. La giustificazione dovrebbe dimostrare una delle
seguenti tesi:

a) La condizione 10 non è soddisfatta (condizione storica), forse perché la presenta


disuguaglianza si è sviluppata a partire da condizioni eque.
b) La condizione 9 non è soddisfatta (economica), gli svantaggiati hanno uso libero
delle risorse naturali comuni
c) La condizione 8 non è soddisfatta (condizione extra sociale) perché la disuguaglianza
radicale esistente è riconducibile a fattori extra sociali (disabilità, handicap genetici o
calamità naturali) che incidono diversamente su persone differenti
d) La condizione 7 non è soddisfatta (ordine perpetra disuguaglianza) perché qualsiasi
alternativa all’ordine è IMPRATICABILE, dal momento che non può essere mantenuta
nel tempo, oppure non può essere istituita in modo MORALMENTE ACCETTABILE,
NON MIGLIOREREBBE le condizioni degli svantaggiati, presenterebbe molti
INCONVENIENTI.
Il genere umano è interconnesso e governato da un ordine globale comune, in base
al quale si perpetrano le disuguaglianze radicali, visto che è così, questo ordine deve essere
giustificato.
Come? Nello stesso modo in cui vengono giustificate le disuguaglianze.
Tuttavia, questo ordine globale non può essere giustificato con le condizioni che
vanno dalla a alla c, ma neanche dalla d, visto che sono POSSIBILI RIFORME alternative che
portano a uno sradicamento della povertà e delle disuguaglianze dalla società.
Allora, l’attuale ordine globale NON può essere GIUSTIFICATO, quindi è ingiusto.
La povertà globale esistente rivela allora una profonda INGIUSTIZIA, è necessario
che venga allora estirpata. Bisogna anche andare a riconoscere una forte responsabilità
condivisa in questa ingiustizia, dal momento che molti di noi contribuiscono ai danni che tale
ordine produce, perpetrando ingiustizie e respingendo alternative di comportamento che
potrebbero portare, se non allo sradicamento, a una riduzione drastica di tali forme di
povertà.

LA PROPOSTA DI RIFORMA È REALISTICA?


Il DGR è senza dubbio praticabile. Ma è realistico? Se alcuni paesi quali l’USA o EU
decidessero di non partecipare sarebbe comunque praticabile?
Anche se questa speranza non fosse realistica è importante insistere sul fatto che la
povertà è risolvibile e che se non contribuiamo a risolverla siamo moralmente implicati nella
sua perpetrazione.
Tuttavia, questa speranza non sembra neanche così tanto irrealistica, dal momento
che le convinzioni MORALI possono avere effetto anche all’interno dell’arena POLITICA.
Essa è fortemente influenzata dalle convinzioni morali dei cittadini: se esistesse una forte
mobilitazione morale, si potrebbe porre pressione sui governi per l’attuazione di un piano
volto ad estirpare la povertà globale.
Ma l’estirpazione della povertà, nonostante di primo impatto sembri un qualcosa che
riguarda solamente i paesi che si trovano in condizioni difficili, sarebbe un qualcosa di
positivo per l’intera società globale. Perché? Perché i paesi poveri e in via di sviluppo sono
costretti a usare metodi molto poco innovativi di sviluppo, portando quindi a un forte
inquinamento e a un peggioramento delle condizioni ambientali: questo sarebbe evitabile
con il DGR.
Inoltre, crescendo, potrebbero concepire le istituzioni internazionali come delle
gabbie, e potrebbero rappresentare una minaccia per i paesi che li hanno oppressi da
decenni e da secoli, sviluppando armi nucleari.
È sempre più anche nel NOSTRO INTERESSE aiutare questi paesi, anche perché,
finché non ci sarà una scolarizzazione diffusa, che dipende dall’abbassamento della povertà,
sarà sempre più difficile che tali paesi verranno governati da istituzioni DEMOCRATICHE.
Il mantenimento di queste disuguaglianze e di questa condizione di estrema povertà
è quindi un pericolo non solo per i paesi che sono direttamente coinvolti, ma anche per
quelli benestanti. Per la realizzazione di un futuro PACIFICO è necessario attuare delle
misure di contenimento della povertà, altrimenti si rischia di andare incontro a un mondo
invivibile sotto ogni aspetto.
GIUSTIZIA INTERGENERAZIONALE
(11/12)

GOSSERIES – TEORIE DELLA GIUSTIZIA INTERGENERAZIONALE, UNA SINOPSI.


TESTO N11
Da molto tempo ci troviamo ad affrontare la minaccia della possibilità
dell’esaurimento delle risorse naturali e del deterioramento dell’ambiente.
Nonostante il progresso tecnologico, infatti, dipendiamo ancora molto dall’ambiente,
come possiamo affrontare questo scenario da un punto di vista filosofico?
Come possiamo istituire una teoria della giustizia INTERGENERAZIONALE?
Il concetto di SVILUPPO SOSTENIBILE è molto di moda.
Secondo la definizione di Brundtland: consiste nello sviluppo che soddisfa i bisogni
del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro.
Per affrontare i problemi ambientali sarebbero necessarie anche altre dimensioni,
quali la giustizia internazionale e interspecifica, nonché quella locale e quella di genere.
Dobbiamo quindi sempre rimanere consapevoli della SPECIFICITA’ della dimensione
intergenerazionale per evitare di spiegare problemi che devono essere spiegati con altre
concezioni di giustizia, differenti da essa.
Inoltre, dobbiamo anche ricordarci che la giustizia internazionale non solo va a
trattare i problemi ambientali, ma anche altri problemi fondamentali quali la gestione del
DEBITO PUBBLICO, il finanziamento delle PENSIONI e molti altri.
La giustizia tra generazioni può quindi essere intesa in molti modi e alcuni sono
migliori di altri.
CASSETTA DEGLI ATTREZZI
Prima di andare ad elaborare nuove teorie bisogna andare a vedere se quelle già
esistenti sono in grado di spiegare la giustizia intergenerazionale e se ci forniscano un
VOCABOLARIO sufficiente per andare ad affrontare le questioni trattate.
Un primo PUNTO DI PARTENZA potrebbe essere quello del fare riferimento a regole
per l’uso degli spazi comuni da parte di UTENTI SUCCESSIVI.
Basti pensare a quando andiamo in un bagno pubblico e troviamo dei cartelli con
scritto “Per favore, lasciate il bagno pulito come quando eravate entrati…”
Queste sono regole che possono essere utilizzate come dei punti di partenza.
Un altro punto di partenza potrebbe essere il guardare alla NATURA delle
obbligazioni tra generazioni attraverso i concetti derivanti dal DIRITTO PRIVATO,
concentrandosi sull’idea di proprietà e i vari tipi di contratto che da essa derivano.
BURKE si riferisce all’idea di una partnership tra “coloro che sono vivi, quelli che sono
morti e quelli che dovranno ancora nascere.”
L’approccio preso da Gosseries, tuttavia, sarà differente. Porta l’individuo a
confrontare differenti teorie filosofiche della giustizia lungo DUE LINEE.
Bisogna andare a considerare solamente la DIMENSIONE del paniere da trasmettere
alla prossima generazione, e non la sua composizione. Il paniere costituisce un capitale
(tecnologico, ambientale, culturale, relazionale).
Inoltre, proporrà una tavola riassuntiva basata sui RISPARMI (una generazione
trasferisce alla prossima più di quanto essa aveva) e sugli SPRECHI GENERAZIONALI (una
generazione trasferisce alla prossima meno di quanto essa aveva). Questi concetti verranno
collegati a tre modalità di azione: AUTORIZZAZIONE, PROIBIZIONE, OBBLIGAZIONE.
RECIPROCITA’ INDIRETTA
La teoria della RECIPROCITA’ INDIRETTA è stata discussa principalmente da Barry.
È basata innanzitutto sulla reciprocità, ovvero sul fatto che le persone hanno
l’obbligo di restituire agli altri ciò che da loro hanno ricevuto.
Nella versione della RECIPROCITA’ DISCENDENTE (nei confronti di coloro che stanno
sotto noi, in questo caso le generazioni future) essa si scompone in due massime:

• MASSIMA GIUSTIFICATIVA
La generazione attuale deve qualcosa alla prossima perché ha ricevuto qualcosa dalla
generazione precedente.
• MASSIMA SOSTANZIALE
La generazione attuale deve trasmettere alla successiva un capitale almeno
equivalente a quello che ha ereditato dalla generazione precedente.
La teoria della reciprocità indiretta permette di giustificare degli OBBLIGHI verso
delle persone che non ci hanno dato nulla e che potranno in futuro darci meno di quanto
noi daremo loro. Nel caso della reciprocità diretta è il benefattore iniziale che recupera ciò
che inizialmente aveva concesso a qualcun altro. Nella reciprocità indiretta, invece, c’è una
TERZA PARTE che beneficia al posto del benefattore iniziale, dando vita a una catena di
obbligazioni.
Quali sono le possibili criticità di questo tipo di teoria?
Innanzitutto, la massima giustificativa si basa sul fatto che, dal momento che noi
abbiamo ricevuto qualcosa dalla generazione precedente, dovremo dare un qualcosa anche
a quella futura. Questo, quindi, impone un obbligo della generazione presente nei confronti
dei MORTI, ed è proprio quest’obbligo a generare l’obbligo di reciprocità discendente.
Giustificare le politiche di sviluppo sostenibile sulla base di un’obbligazione verso i
morti costituisce una sfida all’idea di NEUTRALITA’ dello Stato rispetto a diverse concezioni
metafisiche.
La massima GIUSTIFICATIVA, inoltre, non è in grado di giustificare gli obblighi della
prima generazione, dal momento che non vi era nessuno prima di loro.
Non avendo ricevuto nulla da nessuno prima di loro, essi non hanno obblighi verso i
posteri. Inoltre, se considerassimo ogni generazione come una PRIMA GENERAZIONE per i
beni da loro inventati o scoperti, saremmo di fronte a una teoria molto problematica.
Forse la critica più importante a questa teoria sta nel fatto che noi non agiamo
sempre per andarci a sdebitare, o per ottenere un guadagno futuro.
Nel caso di una persona disabile, noi sappiamo che questa non potrà restituirci tutto
ciò che le abbiamo dato, ma andiamo comunque a prenderci CURA di lei.
L’idea di reciprocità, quindi, non è pienamente in grado di riflettere le INTUIZIONI di
molti di noi relative non solo alla giustizia intergenerazionale, ma anche a quella in generale.
RECIPROCITA’ INDIRETTA

RISPARMIO →

AUTORIZZATO SPRECO →
VIETATO VANTAGGIO
RECIPROCO
Una teoria basata sul vantaggio reciproco deve mostrare che un agente
RAZIONALE (che agisce per interesse personale) favorirà al meglio il proprio interesse
impegnandosi in un’impresa COOPERATIVA e sottomettendosi a certe regole sociali.
Si basa sull’idea che la cooperazione sociale possa portare a benefici per ciascuno di
noi e quindi siamo portati razionalmente a sceglierla per migliorare le nostre condizioni.
È necessario verificare come l’idea di cooperazione, che fa agire razionalmente gli
individui, possa essere trasposta in un contesto intergenerazionale.
Il fatto che i benefici della cooperazione siano reciproci sembra essere minacciato dal
fatto che le generazioni non vivano nello stesso periodo storico. Non si incontreranno mai.
Se i benefici fossero reali ma favorissero solamente certe generazioni una teoria
del vantaggio reciproco non sarebbe CAPACE di spiegare la pretesa che tutte le
generazioni si sottomettano a una comune regola di giustizia.
Non solo deve essere possibile che i benefici siano reciproci, ma deve anche esserci
una
GARANZIA che la regola della cooperazione venga effettivamente rispettata da ogni
generazione. La non contemporaneità delle generazioni mette in crisi la possibilità di
imporre un rispetto della regola della cooperazione. In che misura una minaccia di
SANZIONI ascendenti o discendenti che vanno a punire la mancata contemporaneità può
risolvere questo problema?
Supponendo sia possibile costruire un modello che risolva tutti questi problemi,
come ci poniamo di fronte alla questione di risparmio e di spreco?
UTILITARISMO
È una teoria AGGREGATIVA perché si interessa dell’utilità totale aggregata.
Ma non si preoccupa minimamente della distribuzione tra i membri della società.
L’utilitarismo nella sua formulazione classica si preoccupa solo della massimizzazione
dell’utilità totale, non si interessa del fatto che alcuni membri verranno sacrificati a discapito
di altri.
All’interno di una teoria intergenerazionale gli utilitaristi non autorizzano solo i
risparmi, ma li RICHIEDONO, poiché l’obiettivo è quello di massimizzare la “torta” di
benessere.
Se decidiamo di non consumare subito tutti i nostri semi ma di piantarne
qualcuno, questo qualcuno frutterà e produrrà di più in futuro. È la stessa logica.
Dobbiamo RISPARMIARE per le generazioni future.
Si instaura una sorta di ALTRUISMO DISCENDENTE, ovvero nei confronti delle
generazioni future, che rischia di accentuare ulteriormente la tendenza al risparmio
generazionale.
La conclusione utilitaristica, tuttavia, diventa preoccupante nel momento in cui ci
rendiamo conto che il numero di generazioni future è INDEFINITO. Saremmo tutti costretti a
un sacrificio per le prossime generazioni, ma se non siamo sicuri di quante generazioni ci
saranno, allora nessuna di queste generazioni future per le quali ci siamo sacrificati
mediante il risparmio sarà avvantaggiata, perché anche loro saranno costrette a
RISPARMIARE.

Un fattore che potrebbe attenuare il risparmio è il fatto dell’UTILITA’ MARGINALE


DECRESCENTE. Una persona che ha tanto di un certo bene darà sempre meno valore
all’aumento di tale bene. Se abbiamo quindi un bene extra che ci darebbe poca
soddisfazione, dovremmo darlo a qualcuno che ha di meno di quel bene per aumentare la
sua utilità e quindi l’utilità aggregata.
Introducono anche il TASSO DI SCONTO SOCIALE. Se è positivo, a un’unità di
benessere futuro sarà conferito meno valore di quello conferito alla stessa unità prodotta
oggi.
Perché potrebbe essere positivo? Ad esempio, se si ha paura che un dato bene non
esista più in futuro, il tasso di sconto sociale su di esso sarà positivo.
Vediamo quindi come, nonostante, queste correzioni, l’utilitarismo porti a delle
soluzioni abbastanza sacrificali non solo di alcuni membri della popolazione, ma anche delle
generazioni passate nei confronti di quelle future.

RISPARMIO →

OBBLIGATO SPRECO →
PROIBITO
CLAUSOLA LOCKIANA
Clausola dalla quale prendono vita le teorie della filosofia politica libertaria,
con tutti i suoi presupposti (rispetto dei vincoli, della proprietà di sé, poco
intervento dello Stato…) Immaginiamo una prima generazione che debba
distribuire la proprietà dei terreni arabili.

• Alcuni libertari sosterrebbero il “Primo arriva, meglio alloggia”.


Questi sono i libertari di DESTRA, dal momento che non appartengono a nessuno,
impongono la clausola del primo servito.
• Altri imporrebbero la clausola lockiana. Sono i libertari di SINISTRA.
Lo stato iniziale delle risorse è quello di una proprietà collettiva. Le cose possono
essere appropriate solo se vengono lasciati per gli altri cose “sufficienti e altrettanto
buone”.
Una teoria libertaria che utilizza la clausola lockiana dovrà definire il CONTENUTO di
essa e applicarlo al contesto intergenerazionale. Tre possibili interpretazioni:

1) Ogni generazione deve lasciare alla successiva ALMENO TANTO quanto ciò di cui la
prima (preistorica) generazione si è inizialmente appropriata.
Questa clausola appare ai più come molto deboli, perché la prima generazione
preistorica aveva a disposizione una quantità di beni veramente ridotti. Ogni
generazione sarebbe autorizzata a sprecare, anche tanto, basta rimanere sopra
quella quantità.
Questa formulazione è stata emendata in due modi:

1) Considerare le MODIFICAZIONI NATURALI delle nostre risorse nel corso del tempo.
Consideriamo che la generazione precedente a noi è stata vittima di una glaciazione.
Dovrebbe una generazione futura compensare per la differenza, generata dalle
modificazioni naturali, tra il valore del mondo preistorico e quello attuale? NO.
Per un Lockiano non c’è ragione che sia così. Quello che conta come scenario di
riferimento è la situazione delle persone in mia assenza e non gli scenari naturali.

La teoria viene allora riformulata nella sua seconda formulazione:

2) Ogni generazione deve lasciare alla successiva almeno tanto quanto ciò di cui la
prossima generazione avrebbe POTUTO APPROPRIARSI in assenza di ogni
precedente generazione o, preferibilmente, di quanto la generazione a venire
AVREBBE EREDITATO se nessuna generazione precedente avesse causato un
incremento o una deteriorazione netti.
Ma perché dovrebbe la generazione presente farsi carico del costo dei
deterioramenti causati dalle attività delle generazioni precedenti?
Inoltre, se consideriamo che il capitale culturale ereditato dai nostri antenati
aumenti considerevolmente il potenziale produttivo delle risorse naturali che la
generazione successiva avrebbe ereditato, vediamo come questa formulazione
AUTORIZZI LO SPRECO. Bisogna andare a riformulare la teoria lockiana in:

3) Ogni generazione deve lasciare alla successiva almeno tanto quanto ciò di cui la
generazione successiva AVREBBE POTUTO APPROPRIARSI se la generazione attuale
non avesse contribuito, con le proprie azioni, a un miglioramento o peggioramento
netto di quello che la generazione successiva AVREBBE EREDITATO.
Questa interpretazione include il prodotto accumulato dell’attività fisica e
intellettuale delle generazioni che hanno preceduto quella presente. Questo significa che il
risparmio è autorizzato. Ma non andiamo neanche a proibire lo spreco, a patto di non
deteriorare l’ambiente che la prossima generazione erediterà.
Questo significa che ogni deterioramento dell’ambiente causato da EMISSIONI
STORICHE (nostri antenati, non noi) e che condurrà a un clima peggiore per la prossima
generazione non implicherà per noi degli OBBLIGHI PARTICOLARI, perché la clausola
lockiana va a considerare solamente le azioni condotte dalla generazione precedente, non
da quelle che vengono prima.

RISPARMIO → AUTORIZZATO

SPRECO → PROBITO MA SOLO IN ALCUNI CASI

EGUALITARISMO DI RAWLS
Rawls difende e porta avanti un modello a DUE STADI nel quale si susseguono:

• FASE DI ACCUMULAZIONE
Accumulazione sulla base dei principi simili all’utilitarismo. Risparmio obbligato
volto a stabilire una base per porre delle istituzioni giuste sulle quali si baserà la
società. • FASE DI CROCIERA
Difensione delle stesse teorie della reciprocità indiretta discendente.
Ciò che è preoccupante di questa teoria è che nella fase di accumulazione il
risparmio venga imposto, ma questo non sembra giusto nei confronti dei più
SVANTAGGIATI.
Rawls si difende affermando che il primo principio di giustizia sia più importante del
secondo; quindi, la fase di accumulazione è molto importante perché permette di mettere in
piedi delle istituzioni giuste che portano al rispetto delle LIBERTA’ FONDAMENTALI,
successivamente, una volta ottenuto questo, sarà possibile perseguire forme di eguaglianza
economica.

RISPARMIO → OBBLIGATORIO FASE DI ACCUMULAZIONE E AUTORIZZATO IN

CROCIERA SPRECO → PROIBITO

EGUALITARISMO RIVISITATO
Per rispettare effettivamente le tesi dell’egualitarismo bisognerebbe andare a
rivisitare la teoria di Rawls: nella fase di crociera bisogna VIETARE SPRECO E RISPARMIO.
Se il risparmio fosse consentito, le vittime sarebbero i membri meno avvantaggiati
della società. Trasferire un surplus nel futuro comporta in realtà un sacrificio di eguale
entità per i meno avvantaggiati per i meno avvantaggiati nel presente.
L’unico mondo in cui gli svantaggiati saranno, in futuro, più favoriti, è un mondo
basato su un modello che non solo proibisce lo spreco, ma anche il risparmio.
Anche se tramite il risparmio presente gli svantaggiati del futuro avranno più, in una
concezione di giustizia intergenerazionale dobbiamo ANCHE considerare la condizione dei
meno avvantaggiati della nostra generazione: se imponessimo loro il risparmio, questi
starebbero PEGGIO.
Confrontiamo questo argomento con altri quattro argomenti contro la crescita:

1) La crescita, nella misura in cui condurrebbe a DISEGUAGLIANZE internazionali,


sarebbe ingiusta.
2) L’adozione da parte di uno Stato di una politica di incoraggiamento della crescita
economica è contraria al principio per il quale lo Stato dovrebbe rimanere neutrale
per quanto riguarda le diverse concezioni della vita buona.
3) La crescita è FUTILE dal punto di vista del perseguimento di concezioni della vita
buona realmente dotate di valore.
4) La crescita non è SOSTENIBILE al tasso corrente. Mobilita troppe quantità di risorse
fisiche.
L’egualitarismo intergenerazionale qui evidenziato presenta un argomento molto
differente, sebbene anch’esso si riferisca a una preoccupazione relativa alla giustizia.
Da un punto di vista INTRAGENERAZIONALE, un terremoto deve dare titolo a una
compensazione da parte di coloro che non hanno subito i danni, in modo da mitigare le
conseguenze negative derivante da esso nei confronti di coloro che ne sono stati
direttamente colpiti.
Secondo un EGUALITARIO DELLA SORTE ogni svantaggio che dipende da circostanze
al di là del controllo della persona dovrebbe generare una compensazione da parte del resto
della società. Inoltre, se gli svantaggi dipendono dalle SCELTE delle persone, il loro costo
dovrebbe essere assunto dalle persone che hanno assunto quelle scelte.
Se fossimo in grado di predire l’occorrenza e la magnitudine di eventi futuri e se
fossimo in grado di dimostrare che la generazione futura sarebbe condizionata da loro
sebbene noi non ne saremmo minimamente colpiti, la generazione presente avrebbe
l’OBBLIGO di RISPARMIARE in modo da assicurare che la prossima generazione, a causa
delle circostanze di tali eventi, non si trovi in circostanze più sfavorevoli della presente.

RISPARMIO → OBBLIGATORIO FASE 1, PROIBITO FASE 2 SE NON ALCUNE


CIRCOSTANZE
SPRECO → PROIBITO FASE 1, PROIBITO FASE 2 SE NON ALCUNE CIRCOSTANZE

SUFFICIENTISMO DI BRUNDTLAND
La definizione di sviluppo sostenibile di Brundtland non è una GARANZIA
SUFFICIENTE di giustizia intergenerazionale. È quella che ho riportato all’inizio del testo.
Sufficientismo di DALY
I bisogni fondamentali del presente dovrebbero sempre avere la precedenza sui
bisogni fondamentali del futuro, ma i bisogni fondamentali del futuro dovrebbero avere la
PRECEDENZA sulla stravagante LUSSURIA del presente.
Nella misura in cui i bisogni di ciascuno siano stati coperti, questo SUFFICIENTISMO
basato sulla soddisfazione dei bisogni non richiederebbe, ad esempio, che una persona
nata senza un dito debba ricevere compensazioni se quel dito mancante non gli impedisca di
soddisfare i suoi bisogni fondamentali.
Il sufficientismo di Brundtland giustifica lo spreco in misura in cui esso non vada a
compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni.
D’altra parte, autorizzando il risparmio generazionale, non risponde al requisito
egualitario secondo cui il risparmio dovrebbe essere proibito in vista di una preoccupazione
nei confronti dei membri meno avvantaggiati della società.
Gli egualitari della sorte, quindi, rifiuteranno la teoria sufficientista di Brundtland.

RISPARMIO → AUTORIZZATO, TRANNE ALCUNI

CASI SPRECO → AUTORIZZATO, TRANNE ALCUNI CASI

Abbiamo visto molte teorie differenti che prendono in considerazione il tema della
giustizia intergenerazionale, ognuna con fattori a favore e fattori a sfavore.
GOSSERIES – INVECCHIAMENTO, LONGEVITA’ INEGUALI E GIUSTIZIA
INTERGENERAZIONALE. N12
Esamineremo in modo ampio i principali problemi di giustizia intergenerazionale che
l’INVECCHIAMENTO delle popolazioni pone. Seguiremo tre fasi:

1) Popolazione con longevità elevata senza eterogeneità di longevità.


2) Introduzione di disuguaglianze di longevità all’interno di ogni generazione. 3)
Longevità nuova generazione superiore a quella della vecchia.
Faremo un discorso sulla base della GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA tra GENERAZIONI, in
particolar modo i problemi che vengono sollevati dell’INVECCHIAMENTO delle nostre
popolazioni. All’interno di questo tema ci concentreremo principalmente sulla dimensione
delle interazioni FORMALIZZATE dai sistemi di sicurezza sociale e di istruzione.
È necessario non lasciarci ingannare dalla nozione di invecchiamento. In inglese è
aging. Non vuol dire diventare vecchi, ma connota un avanzamento di età, senza
riferimento a fasi della vita particolari come in italiano.
Invecchiamento → Aumento dell’ETA’ CRONOLOGICA di una popolazione nel
tempo. Dobbiamo andare a considerare l’aumento dell’età cronologica e non di quella, ad
esempio, economica.
Esistono infatti possibilità del fatto che un AUMENTO dell’età cronologica
media può essere associato a una RIDUZIONE dell’ultima fase della nostra vita, cioè
della vecchiaia. Perciò, parlare di avanzamento o allungamento delle nostre società è
più illuminante, ma continueremo comunque a parlare di invecchiamento.
In questa analisi ci concentreremo solamente sulla GIUSTIZIA
INTERGENERAZIONALE, nonostante ci siano molti altri tipi di sfere della giustizia importanti
ai giorni nostri, quale la giustizia che tratta le disparità di genere o la giustizia globale delle
immigrazioni.
Ciò che avrà un ruolo centrale sarà la giustizia tra le persone di vita BREVE e di vita
LUNGA. Abbiamo quindi un problema di LONGEVITA’ DIFFERENZIATA.
Distinguiamo tre dimensioni legate al concetto di GENERAZIONE:

• COORTE DI NASCITA
Qualsiasi persona nata nel periodo x. Man mano che invecchiamo essa diventa più
piccola fino a scomparire alla morte del suo ultimo rappresentante.
• GRUPPO DI ETA’
Gruppo di persone che hanno una determinata età. Sono sempre continui e
esisteranno sempre. Ci sarà sempre qualcuno che ha 23 anni.
• GRUPPO PERIODICO
Gruppo che condivide un particolare periodo di tempo. È un gruppo effimero. Non
copre l’intera vita dei suoi membri ma solo un periodo della loro vita.

ALTA LONGEVITA’ ED EGUAGLIANZA TRA VITE INTERE


Immaginiamo un mondo con elevata longevità. Non ci sono disuguaglianze
significative nell’aspettativa di vita in ogni generazione, ma neanche tra generazioni
differenti.
In una società in cui sappiamo che vivremo più a lungo, avremo una tendenza al
RISPARMIO; quindi, accumuleremo eredità per i posteri più alte rispetto ad altri tipi di
società.
Tuttavia, le persone dovranno aspettare molto tempo per beneficiare di
tali eredità. La nostra domanda deve portarci a capire COSA DEVE un gruppo di
età a un altro.

D1: Esiste un argomento di giustizia contro un’aliquota contributiva ELEVATA in un


mondo SENZA DISUGUAGLIANZE di longevità?
Il tasso di dipendenza (d) aumenta quando aumenta la proporzione di persone
dipendenti rispetto alla popolazione attiva. Se Npd ↑ e L rimane uguale, allora d aumenta.
Quando il tasso di dipendenza aumenta, l’aliquota contributiva dovrà essere più
ELEVATA, perché per lo stesso numero di persone che pagano contributi, aumenta il
numero dei beneficiari. È quindi necessario aumentare le tasse sul lavoro.
Ma è un’aliquota contributiva alta più INGIUSTA di un’aliquota bassa?
Non tutte le disuguaglianze sono ingiuste. Noi ci preoccupiamo delle disuguaglianze
non quando sono ISTANTANEE, ma quando sono PERSISTENTI.
Ad esempio, in una società in cui tutti muoiono a 80 anni, non è ingiusto escludere
dal voto tutte le persone al di sotto dei 18 anni, perché queste avranno le stesse speranze
di vita. Noi dobbiamo preoccuparci solamente delle DISUGUAGLIANZE TRA VITE INTERE.
EGUALITARISMO TRA VITE INTERE
Alcuni potrebbero pensare che aliquote alte imposte al gruppo degli attivi siano
ingiuste.
Ma in che senso sono ingiuste se queste aliquote vengono imposte a tutti allo stesso
modo?
La prima strada possibile è la seguente. L’egualitarismo in vite intere rappresenta una
sfida per coloro che si preoccupano di definire un giusto livello di trasferimento
ASCENDENTE.
Un trasferimento ascendente è un trasferimento che va da una generazione più
giovane verso una più anziana. Un trasferimento discendente segue il processo opposto.
Una teoria generale della giustizia INTERGENERAZIONALE pone al centro gli obblighi
discendenti tra, per e in termini delle COORTI DI NASCITA. Ma le teorie che si basano sugli
obblighi discendenti, nonostante pongano in rapporto generazioni differenti, non ci dicono
nulla riguardo gli obblighi ascendenti. Non ci dicono nulla sulla quota contributiva che
potremo richiedere, ad esempio, ai nostri figli.
La definizione di ciò che dobbiamo ai nostri genitori non può essere derivata dalla
visione degli obblighi discendenti che pongono la base delle teorie di giustizia
intergenerazionale.
Questo ci fa capire quanto sia COMPLICATO elaborare una teoria che integri allo
stesso tempo degli obblighi discendenti e ascendenti intergenerazionali.

La nostra seconda strada torna a concentrarsi sui trasferimenti ascendenti,


ponendoci di fronte a quattro possibilità. Guardando solo agli obblighi ASCENDENTI,
contribuendo alla pensione dei nostri genitori, ci aspettiamo che anche i nostri figli
contribuiscano alla nostra.

1) Criterio PARENTIARCALE
Guardare a ciò che la generazione precedente ha fatto per i propri genitori e usarlo
come standard.
Questo fa nascere almeno due difficoltà:

• Ciò che i nostri genitori hanno fatto per i loro genitori può essere compatibile con
una varietà di possibili regole di giustizia che non è detto siano compatibili con la
nostra società.
• Ciò che i nostri genitori hanno fatto per i loro genitori potrebbe essere considerato,
anche da loro, come insufficiente. Non è detto ne siano soddisfatti.

2) Criterio CONTRATTUALISTA
Approccio che considera l’esistenza di un contratto tra le generazioni successive in
modo che ciascuna segua la stessa regola della precedente per soddisfare gli obblighi
ascendenti.
Il principale problema di questo criterio è che non considera il CONSENSO, e
soprattutto non porta alla formulazione del contenuto del contratto, ma considera solo la
sua esistenza.

3) Criterio SUFFICIENTARISTA
Non è importante raggiungere l’uguaglianza ma non far scendere le persone al di
sotto di un livello di vita definito in termini assoluti, che non è influenzato da ciò che
i nostri genitori hanno fatto o da ciò che noi vorremmo fare per loro.

In questo modo potremmo lasciare molte persone anziane con poche risorse.

4) Criterio DIVERSITA’
Necessità di rispettare una certa diversità di visioni sulla buona vita all’interno di una
società pluralistica.
Tutti abbiamo una certa visione di cosa consideriamo buono per noi. Alcune persone
desidererebbero avere una vecchiaia sicura, ma altre no.
Allora quale quota di aliquota dovremmo considerare giusta?
In un mondo di longevità elevata prendere sul serio l’intuizione dell’egualitarismo in
vite intere rende DIFFICILE giustificare l’opposizione ad elevate aliquote contributive.
Gli approcci parentiarcali e contrattuali non aiutano molto, l’ultimo criterio sembra
promettente ma non ci potrebbe portare molto lontano.
Andiamo allora ad introdurre il passo successivo della discussione.

D2. Esiste un argomento di giustizia contro un’aliquota di contribuzione elevata in un


mondo in cui ci sono DISEGUAGLIANZE di LONGEVITA’?
Viviamo in un mondo con differenze significative di longevità all’interno di ogni
generazione. Essa è eterogenea non solo tra paesi poveri e ricchi, ma anche tra uomini e
donne, persone con condizioni socioeconomiche differenti e così via.
Dobbiamo, in questo contesto, considerare la LUNGA VITA come un VANTAGGIO.
I costi associati ad un tasso di dipendenza alto possono essere elevati sia in termini di
salute sia in termini di vecchiaia. Ci sono diverse opzioni alle quali ci troviamo davanti:

• AUMENTO CONTRIBUTO ANNUALE


Possiamo andare ad aumentare l’onere annuale per chi lavora in modo da non
andare ad aumentare i tempi di contribuzione e lasciare inalterata la condizione degli
anziani.
• RIDUZIONE BENEFICI ANNUALI
Possiamo scegliere di ridurre i benefici annuali per gli anziani.
• AUMENTARE PERIODO DI CONTRIBUZIONE
Lasciando inalterato l’onere attuale e la condizione degli anziani, è necessario
aumentare il periodo di contribuzione, facendo entrare prima le persone sul mercato
del lavoro oppure facendole uscire dopo.

A questo punto dobbiamo andare a combinare vari elementi per analizzare la


situazione:

• L’egualitarismo in vite intere ci invita a non limitarci a confrontare solo momentanee


disuguaglianze tra gruppi di età.
• Ci sono differenze significative tra le longevità e dobbiamo prenderle sul serio nel
valutare le politiche pubbliche relative al versamento dei contributi.
• Abbiamo tre opzioni principali: aumentare i contributi, ridurre i benefici, aumentare
periodo di contribuzione.
Ogni volta che aumentiamo il peso di una politica nel confronto delle persone più
GIOVANI, andiamo ad arrecare un danno ai giovani che avranno vita breve.
Immaginiamo una persona che contribuisca per 30 anni al sistema pensionistico e
che muore pochi mesi prima di andare in pensione. Non avrà tratto alcun beneficio.
Se a questo consideriamo anche che le persone che vivono meno, di norma,
appartengono alle classi SOCIOECONOMICHE svantaggiate, il problema appare presto
peggiore.
DILEMMI DI UNA SOCIETA’ CON LONGEVITA’ ETEROGENEA ED ELEVATA

• Lemma 1: Se prendiamo sul serio la richiesta di uguaglianza in vite intere e


l’eterogeneità delle longevità, non possiamo concentrare troppo sulle PERSONE
ATTIVE PIU’ GIOVANI l’onore legato ai costi dell’alta longevità.
• Lemma 2: Se prendiamo sul serio la necessità di garantire una qualità di vita minima
indipendentemente dall’età, non possiamo concentrare troppo sugli ANZIANI PIU’
POVERI l’onere legato ai costi dell’alta longevità.
Tutti noi che siamo preoccupati della crescente invisibilità degli anziani dobbiamo
anche preoccuparci delle vite di tutte quelle persone giovani che non arriveranno neanche a
godere della propria anzianità.
Una possibilità per evitare di far pesare troppo ai giovani e anche agli anziani più
poveri il costo dell’alta longevità è quella di aumentare la RIDISTRIBUZIONE all’INTERNO di
ogni gruppo di età.
Ciò può essere fatto riducendo il divario tra i livelli pensionistici.
Questo provvedimento va ad applicarsi all’età anziana, a coloro che quindi hanno già
raggiunto quel gruppo di età. Non pesa sulle persone più giovani.
Poiché abbiamo introdotto differenze di longevità, abbiamo un motivo per NON
AUMENTARE troppo le aliquote di contribuzione delle persone attive, dal momento che
peserebbero troppo sulle spalle delle persone con vita breve.
L’aliquota versata deve essere comunque sufficiente rispetto alle esigenze degli
anziani, soprattutto tenendo in considerazione gli anziani più poveri.
D3. Esiste un argomento di giustizia contro un’aliquota contributiva alta e
CRESCENTE in un mondo con DISUGUAGLIANZE di longevità?
In questo modello aggiungiamo l’INVECCHIAMENTO della popolazione.
L’età media della prossima coorte di nascita tende ad essere MAGGIORE della
nostra. Questo è principalmente dovuto a vari fattori, tra cui un aumento della longevità
media. Supponiamo anche che la crescita della longevità sia COSTANTE.
Questo fattore introduce una nuova disuguaglianza: la disuguaglianza di longevità
TRA generazioni. È molto importante da tenere conto.
Da un lato, le disuguaglianze dell’aspettativa di vita interne di ogni generazione ci
invitano a non mettere il peso della contribuzione sui più giovani, dall’altro, le disparità di
vita tra le generazioni sono tali che i GIOVANI tenderanno a vivere DI PIU’ degli ANZIANI.
Ci sorprende vedere che l’invecchiamento delle generazioni finisca per MITIGARE
anziché aggravare il problema della giustizia tra persone di vita breve e quelle di vita lunga.
SUFFICIENTISMO
(8)

HENRY FRANKFURT – SULLA DISUGUAGLIANZA, TESTO N8


La diseguaglianza dei redditi non apparirebbe come un problema se tutti
raggiungessero almeno una SOGLIA LIMITE. Il problema sta nel fatto che ci sono molte
persone in condizioni di estrema povertà, e non che ci siano persone con quote di reddito
differente.
Molte persone hanno troppo, godono di troppi beni e di una ricchezza spropositata.
Se li compariamo a coloro che invece hanno troppo poco, il nostro assetto economico
appare quasi come RIPUGNANTE e DISGUSTOSO.

Il nostro focus dovrebbe essere quello di ridurre sia la povertà, sia la ricchezza
ECCESSIVA. L’uguaglianza economica non è un ideale moralmente prioritario, il nostro
principale obiettivo deve essere rimediare ai difetti di una società in cui troppi hanno
troppo, e troppi troppo poco. Coloro che hanno un grande reddito, nonché eccessivo,
hanno anche molto potere di influenzare le decisioni politiche di un determinato paese.
L’uguaglianza economica, nonostante sia perseguita da molti, non p moralmente
importante così come la diseguaglianza non è moralmente riprovevole.
Non è importante che tutti abbiano lo STESSO, ma che ciascuno abbia
ABBASTANZA.
Questa particolare alternativa all’egualitarismo si chiama DOTTRINA DELLA
SUFFICIENZA.
L’uguaglianza economica può comunque avere valore politico e sociale, a volte quindi
può avere senso concentrarsi sull’aumentare l’ampiezza dell’uguaglianza.
Inoltre, perseguire l’uguaglianza potrebbe portare al raggiungimento della sufficienza
economica.
Una distribuzione del denaro più egualitaria NON è CRITICABILE.
Uno degli argomenti più spessi usati contro l’egualitarismo è che, se lasciassimo le
persone veramente libere, queste si accorderebbero in modo tale da sviluppare
disuguaglianze col tempo. Una distribuzione egualitaria potrebbe realizzarsi, quindi,
solamente comprimendo certe libertà.
Tuttavia, secondo Frankfurt, il problema principale dell’eguaglianza economica sta
nel fatto che essa distrae le persone dal calcolare le proprie necessità finanziarie alla luce
delle proprie condizioni, ma anzi, le incoraggia a calcolarle sulla base di ciò che hanno gli
altri.
Ma la quantità di denaro disponibile ad un altro non ha nulla a che fare con il reddito
che IO necessito per condurre la vita alla quale io ASPIRO.
L’eguaglianza porta l’individuo a distogliere l’attenzione da ciò che veramente vuole.
Sopravvalutare l’importanza morale dell’uguaglianza economica è dannoso in quanto
ALIENANTE. Ci separa dalla nostra realtà individuale e ci porta a concentrare l’attenzione su
desideri non nostri.
Osservare le condizioni altrui in alcuni casi può essere importante e una stima della
quantità di denaro di cui dispongono gli altri può sempre esser utile, soprattutto nella
misura in cui quella disponibilità economica si traduce in POTERE.
Ma non bisognerebbe basare le stime sulla quantità di denaro che serve agli individui
mediante la comparazione con quanto hanno altri, per i motivi che abbiamo già detto.
Comparare è utile in alcune situazioni, ma non è il metodo principale da usare.

L’eguaglianza distoglie anche l’attenzione da due problemi filosofici importanti:

1) Comprendere in cosa consistono quelle considerazioni di maggiore importanza


2) Elaborare nei dettagli un apparato concettuale che possa guidare e stimolare le loro
ricerche in modo affidabile.
Una teoria dell’uguaglianza appare molto più semplice da articolare di una teoria
della sufficienza. È più facile andare a dividere una quota in parti uguali piuttosto che andare
a definire quanto di quella parte sia abbastanza per ciascun individuo.
Molti potrebbero decidere di optare per delle teorie dell’uguaglianza semplicemente
per poter andare a ottenere un metodo più SEMPLICE di organizzazione.
Esistono anche molti argomenti a favore dell’eguaglianza economica ma la maggior
parte di questi sono argomenti non INTRINSECI, non dicono che l’eguaglianza è giusta in
quanto tale, ma perché potrebbe contribuire a portare ad altri miglioramenti interni alla
società. Viene giustificata e riempita di valore in modo indiretto.
Altri argomenti a favore dell’uguaglianza economica possono basarsi
sull’introduzione del concetto di UTILITA’ MARGINALE DECRESCENTE.
Questo ci dice che un’uguale distribuzione di denaro massimizza l’utilità aggregata,
perché:

a) Per ogni individuho, l’utilità del denaro diminuisce al margine


b) Le funzioni di utilità sono identiche per ogni individuo in riferimento al denaro.
Questo ci dice che la distribuzione più corretta di denaro è quella per la quale
tutte le funzioni di utilità rispetto al denaro sono soddisfatte allo stesso modo. Inoltre,
avere più di un altro individuo risulterebbe inutile, perché non si godrebbe dello stesso
vantaggio del quale potrebbe godere un individuo che possiede meno (UMa decrescente).
Ma questo concetto non tiene conto dell’inflazione o di altre caratteristiche del
mercato. Se si preleva ai ricchi per dare ai poveri, l’offerta di beni per il consumo non
aumenta, mentre la domanda di beni da parte di altri aumenterà, quindi i prezzi
saliranno, ma questo influenzerà maggiormente coloro che erano molto poveri e
soprattutto la classe media, che rischierebbe di scendere sotto la soglia della povertà,
mentre influenzerà poco i molto ricchi.
Comunque sia, sia a) che b) sono assunzioni false e arbitrarie. Innanzitutto, è
evidente che le funzioni di utilità per il denaro di individui diversi sono ESTREMAMENTE
DIVERSE.
Alcune persone traggono semplicemente più piacere dalle cose che altre.
Per quanto riguarda la condizione A, invece, non è detto che a una persona molto
ricca non interessi arricchirsi ancora ulteriormente, basti pensare a tutte le persone
miliardarie che giorno dopo giorno continuano a fare investimenti per poter guadagnare
somme sempre maggiori. Anche se il piacere derivante dalle attività è certamente
decrescente, l’avere somme di denaro sempre maggiori permette di dedicarsi ad altre
attività più appaganti.
Inoltre, gli individui in molti casi sono portati al RISPARMIO in modo tale da
accumulare una somma di denaro che gli permette di raggiungere una SOGLIA DI UTILITA’
che consente loro di accedere a un bene che prima non potevano adoperare. Il dollaro che li
porta a superare tale soglia darà loro un’utilità maggiore rispetto a tutti gli altri soldi
accumulati, perché è QUEL dollaro che gli permette di ottenere quel particolare bene tanto
desiderato.
A difesa degli argomenti dell’utilità marginale, tuttavia, si afferma che per una
persona che si comporta in modo RAZIONALE, l’utilità marginale del denaro all’accumularsi
di esso debba necessariamente diminuire, perché maggiore è il reddito meno soddisfacenti
sono le cose ulteriori che si possono acquistare con uguali aumenti di reddito.
Se ho 10 euro e passo ad averne 20, questo aumento ha una maggiore importanza di
un aumento che mi porta dall’avere 1000 euro ad averne 1010.
Secondo Frankfurt il livello di soddisfazione che una persona ricava da un certo bene
può variare considerevolmente a seconda che possieda o meno certi altri beni.
La soddisfazione che si può trarre da una determinata spesa può essere aumentata
se sono già state fatte ALTRE SPESE.
ESEMPIO POPCORN E BURRO
Suppongo che una porzione di popcorn costi quanto una quantità di burro.
Immaginiamo un consumatore razionale che adora il popcorn imburrato, trae poca
soddisfazione dal mangiare solo i popcorn ma di certo più di quella che ricava dal
consumare burro. Questo consumatore acquisterà il popcorn non imburrato piuttosto che
il burro se decide di comprare uno dei due beni senza poterli acquistare entrambi.
Ora, se il suo reddito aumenta, potrà comprare sia popcorn che burro. La
soddisfazione che ricava sarà molto più grande della somma delle soddisfazioni che sarebbe
in grado di trarre dai due beni presi separatamente, perché, anche in questo caso, esiste un
effetto SOGLIA.
Questo ci fa quindi capire chiaramente come non è vero che l’utilità marginale
diminuisca in ogni caso, soprattutto quando l’accumulo di denaro è necessario al
raggiungimento di una soglia. Inoltre, non è detto che quando un individuo aumenta il
proprio reddito sviluppi delle esigenze nuove che prima non aveva, perché può essere che
quell’individuo volesse comunque comprare quel determinato bene ma non potesse perché
a quell’epoca il bene poteva essere fuori dalla sua portata, non perché non lo volesse.
Abbiamo quindi dimostrato come una eguale distribuzione non porti
necessariamente alla massimizzazione dell’utilità aggregata, ma possiamo anche
affermare che in alcuni casi agisca in modo da MINIMIZZARLA.
Supponiamo di avere 40 risorse da dividere tra 10 individui. Ciascun individuo
necessita di ricevere almeno 5 risorse per poter sopravvivere. Cosa facciamo?
Siamo costretti a dover dare 5 risorse a 8 persone, non permettendo la
sopravvivenza di due. È lo scenario meno tragico, dal momento che, se scegliessimo una
distribuzione egualitaria, daremmo a tutti 4 risorse, causando la morte di tutti gli
individui del gruppo.
In condizioni di FORTE SCARSITA’ l’eguaglianza può risultare dannosa, non solo
poco utile.
Immaginiamo la stessa situazione ma ci sono 41 risorse al posto di 40. Cosa
dovremmo fare con la risorsa extra? Un’unità addizionale della risorsa in questione NON
MIGLIORERA’ la situazione di coloro che non hanno alcuna risorsa. Quella persona morirà
anche se diamo a lei la risorsa. Si potrebbe tranquillamente metterla da parte oppure
buttarla, come darla a una delle persone che sono già destinate a sopravvivere.

Questo esempio ci fa capire come l’idea che nessuno abbia PIU’ di quanto basta
anche quando non tutti hanno abbastanza sia sbagliata.
Essa trae la sua plausibilità da un’assunzione plausibile, ma falsa: dare risorse a
persone che hanno meno di quanto basta le fa necessariamente stare meglio.
In realtà, dare risorse supplementari a persone che di quelle risorse hanno meno di
quanto basta può, in alcuni casi, NON MIGLIORARE la propria condizione (come
nell’esempio).
Per stare meglio gli individui non devono avere più risorse, devono semplicemente
superare una data soglia di sbarramento. Se essa non viene superata, allora non staranno
meglio.
Ovviamente può essere benefico per un individuo che ha meno avere di più, ma se
non supera tale soglia allora non potrà in alcun modo stare meglio.
La difesa dell’egualitarismo si basa spesso su un’intuizione morale: la disuguaglianza
SEMBRA sbagliata, soprattutto quella economica.
Tuttavia, ragionando, noi non troviamo riprovevole il fatto che un individuo abbia
meno di un altro se entrambi sono ricchi, ma il fatto che coloro che hanno meno hanno
TROPPO POCO.
Quando consideriamo le persone che stanno PEGGIO DI NOI ci troviamo turbati, ma
non dal fatto che hanno meno, ma perché ciò che hanno è veramente esiguo.
Le discrepanze economiche vengono percepite come un problema rilevante dal
punto di vista morale solamente quando le persone che hanno meno NON HANNO
ABBASTANZA.
Se coloro che si trovano nelle posizioni meno avvantaggiate avessero abbastanza non
saremmo turbati, questo ci fa capire che non è la diseguaglianza in sé a turbarci.
Nel tentativo di accrescere il consenso nei confronti dell’egualitarismo gli studiosi
spesso concentrano l’attenzione sulle disparità dei ricchi e dei poveri, e questo fa apparire
moralmente desiderabile un modello che possa permettere la ridistribuzione dei beni e
delle risorse. Ma mostrare che la povertà è INDESIDERABILE non è un argomento a
favore dell’egualitarismo, non ci dice nulla di negativo riguardo alla diseguaglianza
economica.
Noi non siamo stupiti dalla disuguaglianza ma da condizioni di POVERTA’
ESTREME. La disuguaglianza esiste anche tra persone ricche, ma è questa
disdicevole? Certamente no, perché entrambi hanno in abbondanza.
DEFINIZIONE DI ABBASTANZA
Nella dottrina della sufficienza la definizione di ABBASTANZA è legata al
soddisfacimento di uno STANDARD e non al raggiungimento di un limite.
Dire che una persona ha abbastanza denaro è come dire che è soddisfatta di non
avere più denaro di quanto ne ha. Questo equivale a dire che la persona non ritiene che
qualunque aspetto frustrante della sua vita sia dovuto alla mancanza di soldi.
Se una persona è SODDISFATTA della quantità di denaro che ha, nella misura in cui è
scontenta della sua vita non ritiene che possedere una maggiore somma di denaro la possa
aiutare ad essere, in generale, meno scontenta della propria vita.
Abbastanza non equivale, tuttavia, ad avere la somma per tirare avanti. È di più. Le
persone non si accontentano di vivere sul fondo del baratro e faticare per arrivare a fine
mese. Avere quanto basta non è abbastanza secondo il sufficientismo.

Una persona ha abbastanza denaro quando:

• Non è infelice, non prova angoscia e non è in alcuna misura insoddisfatta della vita
• Se la persona è scontenta e insoddisfatta, avere più denaro non la porterebbe ad
essere meno scontenta o insoddisfatta della vita.
È possibile che, ovviamente, a entrambi gli individui che si trovano in due condizioni
differenti di abbastanza (ma equivalenti) non dispiacerebbe disporre di una somma
maggiore di denaro, ma questo non li porterebbe a migliorare o modificare le proprie
condizioni.
Tuttavia, una persona che ha abbastanza denaro sarebbe di certo contenta di
riceverne di più.
Essere SODDISFATTI di una quantità di denaro cosa significa?
Significa che quella persona non sarà portata ad AGIRE ATTIVAMENTE e sforzarsi per
ottenere una quantità di denaro maggiore, dal momento che è soddisfatta della condizione
in cui si trova o consapevole del fatto che il denaro non la renderà più felice.
Nonostante sia possibile che altre condizioni le forniscano una soddisfazione
maggiore, la persona che ha abbastanza non se ne interessa, perché sta comunque bene
nella situazione in cui è. Come è già stato detto, tuttavia, non vuol dire che non è
interessata ad avere più denaro.
La persona che è GIA’ SODDISFATTA del livello di soddisfazione raggiunto non si
preoccupa di certo di massimizzare la propria felicità, o quantità di denaro ottenibile, perché
si trova già nelle condizioni che la rendono in grado di stare bene e di non essere infelice.
Supponiamo che una nostra amica si fidanzi con un ragazzo e se ne innamori. Le
diremmo che dovrebbe lasciarlo perché esistono in circolazione persone più belle?
Ovviamente no. Perché la nostra amica è soddisfatta con quella persona e in quelle
condizioni.
Non è disposta a gettare tutto all’aria per cercare di ottenere un qualcosa di
“migliore”.

Essere soddisfatti di uno stato delle cose non vuol dire che questo sia preferibile a
tutto il resto. La decisione di ACCONTENTARSI delle proprie attuali risorse può poggiare
su una valutazione scrupolosa e condotta in modo molto intelligenze sulla propria effettiva
qualità della vita. Se una persona riconosce che le proprie condizioni non le suscitano né
rancori né rimpianti e neanche la spingono a cambiare, può tranquillamente decidere di
accontentarsi di quello che già ha, dal momento che non varrebbe la pena sforzarsi per
provare a raggiungere posizioni migliori.
Ovviamente esiste un pericolo di valutazione: alcune persone potrebbero
accontentarsi per motivi diversi rispetto al fatto che stiano bene, ovvero per
RASSEGNAZIONE oppure PIGRIZIA.
Dobbiamo quindi andare ad esaminare ogni caso a sé, per capire se effettivamente
quella persona si trova soddisfatta della propria condizione o meno.

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