Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
UTILITARISMO
L’utilitarismo è la filosofia politica che sostiene che l’azione o la politica
moralmente giusta è quella che massimizza l’utilità totale per i membri della società. Si
guarda alla presenza di utilità all’interno della società e non alla distribuzione di essa tra
gli individui. ATTRATTIVE DELL’UTILITARISMO
L’utilitarismo in quanto teoria può presentare due attrattive principali:
Non possiamo ignorare il nostro DOVERE di andare a restituire ciò che ci è stato
dato sulla base della natura speciale dell’obbligo che abbiamo verso chi ci ha dato i soldi in
prestito.
Il venir meno alla promessa, inoltre, dal momento che è un atto moralmente
sbagliato, produce rancore, e questo rancore porta a un abbassamento dell’utilità totale
presente nel mondo. L’esistenza di una promessa crea un rapporto SPECIALE tra due
persone che deve essere posto su un livello superiore rispetto a quello in cui poniamo la
massimizzazione dell’utilità. Inoltre, non andando a soddisfare le promesse, produrremmo
disutilità. Il rispetto degli obblighi e dei contratti in realtà porta a una massimizzazione
dell’utilità, perché se non ci fosse una base superiore sulla quale essi poggiano, non
potremmo vivere in forme di società aggregate.
L’agente U, secondo una concezione dell’utilitarismo generale, dovrebbe stringere la
medesima relazione morale con ogni soggetto, ma questo non è possibile perché esistono
dei rapporti speciali, quali quelli che legano i creditori ai debitori, il marito alla moglie, il
fratello alla sorella, e ognuno di questi rapporti costituisce il fondamento di un DOVERE
superiore.
L’agente U non valuterebbe questi legami come speciali o come differenti, ma
ragiona ritenendo ogni posizione la medesima, portando quindi ai risultati controintuitivi
che abbiamo visto. Se pensassimo in questo modo, non potremmo portare a termine alcun
progetto perché i soldi che utilizziamo per realizzarlo potrebbero, ipoteticamente, produrre
una maggiore utilità se impiegati in altro modo, non rispetteremmo neanche gli obblighi, i
contratti…
Il conseguenzialismo dell’utilitarismo appare quindi TROPPO
SEMPLIFICATO e ridotto all’essenziale, non può essere considerato come un
criterio da applicare sempre e in ogni situazione.
2. Tiene conto di preferenze di cui non si dovrebbe tener conto.
L’utilitarismo non assegna egual peso a ogni individuo, ma a ogni fonte di utilità,
ovvero a ogni fonte di preferenza. Se affermassimo veramente che non importa l’identità e il
tipo di preferenza razionale che deve essere compiuta per andare a ottenere il massimo
livello di utilità, allora potremmo, mediante questa logica, giustificare lo schiavismo in una
società abitata
prevalentemente da bianchi. Se 100k bianchi decidono che a loro dà fastidio
condividere gli spazi con 20k persone nere, allora bisognerebbe attuare la segregazione
razziale per massimizzare l’utilità presente all’interno della società?
Queste preferenze di negare diritti agli altri sono irragionevoli, ma non
disinformate. Gli individui sono a conoscenza delle discriminazioni che le loro azioni
porteranno ma decidono comunque di agire in modo tale da massimizzare l’utilità totale.
Noi siamo portati a pensare che queste preferenze siano illegittime, dal momento
che andiamo a decidere su qualcosa che appartiene a qualcun altro (diritti dei neri), questo
quindi porta all’ottenimento di una utilità SENZA PESO MORALE perché si basa su
preferenze illegittime. Secondo gli utilitaristi non ha senso questa critica perché ciò che
decide cosa è legittimo o meno è semplicemente la distribuzione dell’utilità totale.
• PREFERENZE ESTERNE
Sono le preferenze concernenti i beni, le risorse, le opportunità di cui un individuo
desidera dispongano gli altri. A volte sono frutto di pregiudizi. Una persona
estremamente razzista non desidererà che persone di altre etnie dispongano delle
loro stesse opportunità.
• PRESEFERENZE PERSONALI
Sono le preferenze riguardo i beni, risorse e opportunità di cui un individuo desidera
disporre.
Il principio più profondo dell’utilitarismo è quello dell’uguaglianza. Tutte le persone
hanno uguale importanza da un punto di vista morale. Se le preferenze esterne contano,
allora ciò che mi è legittimamente dovuto dipende da quello che gli altri pensano di me. Se
gli altri mi considerano degno di minore importanza, allora potrò ottenere meno. Ma questo
è INACCETTABILE. L’utilitarismo, allora, NON PUO’ ACCETTARE l’esistenza di preferenze
esterne che vadano a ledere l’uguaglianza degli individui. Se queste non possono essere
accettate, allora le preferenze esterne non devono essere considerate all’interno del calcolo
dell’utilità.
PREFERENZE EGOISTICHE
Un altro tipo di preferenze illegittime è rappresentato da quelle egoistiche. Ignorano
il fatto che anche gli altri hanno bisogno di risorse, perché prediligono una maggiore
quantità di esse per sé stessi. Secondo gli utilitaristi, tuttavia, non si possono individuare le
preferenze egoistiche prima di andare a svolgere i calcoli sull’utilità; quindi, la loro stessa
esistenza non rappresenta un problema.
La maggior parte degli utilitaristi considera accettabile considerare nel calcolo
ANCHE le preferenze egoistiche, perché a esigerlo è proprio il principio di uguale
considerazione. Bisogna ricordarsi che gli utilitaristi non sostengono una distribuzione
equa delle risorse, ma la distribuzione che massimizza l’utilità, e se la distribuzione NON
EQUA → Utilità MASSIMA, allora è giusto che i beni, le risorse e le opportunità siano
distribuite in quel modo.
All’interno dell’Utilitarismo è nato un acceso dibattito riguardo al perché queste
preferenze debbano e possano essere giustificate.
Secondo alcuni le preferenze egoistiche non devono valere, perché una distribuzione
ugualitaria delle risorse porterebbe a una maggiore utilità totale. L’UTILITA’ MARGINALE di
un pezzo di pane per un individuo che sta morendo di fame è di gran lunga maggiore di
quella di una persona che ha già tutte le risorse a propria disposizione, per questo, il dargli
un pezzo di pane, produce un’utilità molto maggiore rispetto a quella che sarebbe stata
prodotta se fosse stato dato al ricco.
Mackie → Se tutti dispongono di un’equa quota di risorse, i beni che possiedo sono
MIEI e nessuno può far valer qualsiasi tipo di diritto su di essi. Le preferenze di chi vuole
ottenere i miei beni sono EGOISTICHE e non devono essere soddisfatte. Lo Stato deve
assicurare una quota equa a tutti per impedire anche la nascita stessa delle preferenze
egoistiche.
• Locke
Abbiamo dato un CONSENSO TACITO, chiunque gode dei privilegi che derivano
dall’esistenza di un governo dà un consenso implicito alla legge ed è quindi vincolato
da essa.
• Kant
CONSENSO IPOTETICO. Una legge è giusta se si può immaginare che sia stata
approvata dall’insieme della popolazione. Ma come fa a produrre efficacia nella
realtà se è ipotetico?
Rawls presenta una possibilità in “Una teoria della giustizia”, ovvero che il modo
corretto di pensare alla giustizia sia chiedersi a quali principi daremmo consenso trovandoci
in una situazione iniziale di UGUAGLIANZA.
Secondo Rawls dobbiamo immaginare di trovarci in una POSIZIONE ORIGINARIA in
cui dobbiamo scegliere le leggi che regoleranno la società, ma ci troviamo davanti un VELO
DI IGNORANZA. Sappiamo che la società presenterà delle minoranze e dei gruppi
svantaggiati, ma non sappiamo la nostra possibile condizione. I principi scelti sarebbero
GIUSTI perché nessuno sceglierebbe per avvantaggiare il proprio genere, gruppo sociale,
gruppo etnico non sapendo che posizione andrà a ricoprire all’interno della società.
In posizione originaria, cosa andremmo a scegliere?
• AUTONOMIA
Sono atti volontari e quindi espressione della nostra autonomia. Gli obblighi hanno
effetto perché noi li assumiamo per nostra LIBERA SCELTA.
• RECIPROCITA’
Entrambi gli individui ottengono un vantaggio reciproco. Noi dobbiamo ripagare altri
individui per i vantaggi che ci generano.
Ma nella realtà non sempre gli accordi sono stipulati in maniera autonoma, oppure
non sempre vi è un godimento reciproco di vantaggi. Il consenso può non sempre essere
SUFFICIENTE a produrre obblighi, mentre in altri casi non è nemmeno presente quando
vengono stipulati dei contratti.
CONSENSO NON SUFFICIENTE – GABINETTO CHE PERDE
Una signora anziana ha il gabinetto che perde. Un idraulico disonesto le propone di
ripararlo per 50 mila dollari; la signora anziana, ignara del prezzo di tale riparazione, decide
di accettare. L’idraulico, una volta scoperto, verrà arrestato per frode, nonostante abbia
fatto firmare un contratto e quindi un accordo teoricamente vincolante che impegnava la
signora al pagamento. Questo caso ci fa capire che:
• Il fatto che un contratto esista non ne garantisce l’EQUITA’. La signora non avrebbe
goduto di un vantaggio pari al vantaggio che avrebbe invece ricevuto l’idraulico.
• Il CONSENSO non basta a creare un’esigenza MORALE vincolante.
In questo caso il consenso non è sufficiente a creare un obbligo morale, perché il
vantaggio ottenuto dall’idraulico è spropositato e non rappresenta un accordo equo
tra parti.
CONSENSO NON NECESSARIO – CASA DI HUME E LAVAVETRI
Hume aveva una casa ad Edimburgo che affittò a un amico. Questo la diede in
subaffitto e l’inquilino decise di far ristrutturare la casa senza dire nulla a Hume.
Hume decide di non pagare i lavori, ma secondo l’impresario questi lavori erano
necessari nonostante non ci fosse il consenso del proprietario della casa.
Il tribunale obbligò comunque Hume a pagare, dal momento che aveva ottenuto un
BENEFICIO e un vantaggio che doveva essere ripagato.
Esistono quindi casi in cui il consenso non è NECESSARIO se è presenta la
reciprocità, ovvero se effettivamente ho ottenuto un vantaggio; a questo punto sarà
necessario andare a ripagare questo vantaggio per far valere la regola della reciprocità.
Ci sono diverse interpretazioni di questa visione: secondo alcuni l’obbligo può
nascere dall’esistenza di vantaggi reciproci, anche se non si poggiano sulla base del
consenso, secondo altri, invece, il consenso è sempre necessario nella stipulazione degli
accordi.
IMMAGINARE IL CONTRATTO PERFETTO
Nella vita reale è impossibile stipulare un contratto o un accordo in cui entrambe le
parti abbiano pari livelli di autonomia e di reciprocità, i vantaggi non sempre sono
propriamente equi e spesso gli individui ricoprono posizioni di potere o di privilegi che gli
consentono di avere un’autonomia maggiore dell’altra parte. Proprio per questo proviamo
ad immaginare un contratto perfetto.
Il contratto perfetto è caratterizzato da due parti dotate di POTERE e COMPETENZA
equivalenti e che si trovano in posizioni identiche. Immaginiamo che il contratto riguardi i
principi di base che devono reggere la nostra società. Un contratto di questo tipo, in cui
nessun individuo si trova in una posizione avvantaggiata di partenza nei confronti dell’altro,
è un contratto che darebbe vita a una società basata su principi GIUSTI, dal momento che
concordati in una situazione di EQUITA’.
Questo è il contratto che immagina Rawls alla fondazione di una ipotetica società
giusta. Se conoscessimo la nostra posizione di partenza saremmo, anche solo
implicitamente, influenzati a scegliere delle regole e dei principi che possano portarci ad
ottenere dei vantaggi nella società sulla base delle nostre caratteristiche ascritte.
Questo è un CONTRATTO REALE nella sua forma PURA, ha una potenza etica
fortissima.
PRINCIPIO DI DIFFERENZA
Dobbiamo innanzitutto porre come principio fondamentale della società il rispetto
dei diritti e delle libertà individuali, non dobbiamo sacrificare tali libertà per ottenere un
maggiore benessere generale.
Fatto salve questo, allora, come potremo gestire le DISPARITA’ ECONOMICHE E
SOCIALI? Quale principio verrebbe scelto in posizione originaria per regolare le disparità?
In una situazione in cui garantire stipendi differenziati possa riuscire a migliorare le
condizioni di tutti gli individui presenti all’interno della società, allora dovremmo optare per
questa scelta. PRINCIPIO DELLA DIFFERENZA → Le disparità sociali vengono consentite se
sono tali da offrire dei vantaggi ai membri meno favoriti della società.
Se immagino una realtà in cui stipendi più alti ai medici consentono anche a coloro
che si trovano in zone rurali di accedere gratuitamente al servizio sanitario nazionale, allora
il principio della differenza viene rispettato in quanto le disparità economiche e sociali
vengono utilizzate e mantenute per elevare lo stato anche di coloro che stanno peggio.
Se un sistema basato sulla DISPARITA’ permette ai membri più poveri della società di
stare meglio
rispetto al caso in cui il sistema fosse basato sulla PARITA’, allora è giusto che
esistano le disuguaglianze perché rispettano il principio di differenza.
Non si deve far dipendere la distribuzione dei redditi dai FATTORI ARBITRARI dal
punto di vista etico.
ARBITRARIETA’ ETICA
Il sistema feudale delle caste viene considerato, ai giorni nostri, come un qualcosa di
inaccettabile, perché distribuiva le opportunità e i redditi sulla base di condizioni ascritte di
nascita. Con il libero mercato questo viene meno perché, almeno apparentemente, tutti
possono, se presentano i requisiti necessari, intraprendere una determinata carriera.
Ma questa possibilità è solamente APPARENTE, in pratica le pari opportunità non
sono GARANTITE.
Chi nasce in una buona famiglia in grado di fornirgli una buona ed elevata istruzione
avrà più possibilità rispetto a chi non si trova nelle stesse condizioni. È un bene che sia
permesso a tutti di entrare in competizione, ma se non tutti si muovono dalla stessa
posizione di partenza, allora questo è inutile. La gara NON è alla PARI.
Il mercato libero come è costituito non permette di poter compiere una gara alla
pari.
• I LIMITE
Società chiusa non posta in rapporto con altre. È un’astrazione che serve per poter
elaborare i concetti di giustizia di Rawls.
• II LIMITE
Si prendono in considerazione solamente i principi che regolano una società bene
ordinata. Non si devono considerare i principi applicabili ad altri tipi di giustizia. È
una teoria IDEALE.
Una concezione della giustizia sociale deve essere considerata come uno STANDARD
rispetto al quale vanno valutati gli aspetti distributivi della struttura fondamentale della
società.
Ma la concezione della giustizia ci porta a giudicare solamente se una società è giusta
o non giusta, non se è illiberale o liberale, efficiente o inefficiente…
Una concezione che porta a considerare ogni aspetto della società è un IDEALE
SOCIALE, ma i principi di giustizia non sono altro che una parte di tale ideale sociale. Non
lo esauriscono. Un ideale sociale è collegato a una concezione della giustizia, ma essa
non è altro che solamente una parte di tale ideale sociale.
Un concetto di giustizia viene definito dal ruolo che i suoi principi hanno
nell’assegnazione di diritti e doveri e nel definire la appropriata ripartizione dei benefici
sociali.
Una concezione della giustizia non è altro che un’interpretazione di questo ruolo.
IDEA PRINCIPALE DELLA TEORIA DELLA GIUSTIZIA
Partiamo dalla teoria del CONTRATTO SOCIALE, astraendola maggiormente. I
principi di giustizia per la struttura fondamentale della società sono oggetto dell’accordo
originario, ovvero quello tenuto in posizione originaria e che quindi porterebbe alla scelta di
principi GIUSTI.
Gli individui, quindi, decidono a priori (posizione originaria) il modo in cui sarà
ordinata la loro futura società e ogni possibile metodo di risoluzione delle controversie.
• I diritti e le libertà fondamentali sono quelle definite dalle istituzioni maggiori della
società
• Quando i principi si riferiscono a persone essi menzionano delle persone
rappresentative, situate in diverse posizioni sociali nella struttura di base della società.
Ciascun individuo rappresentativo in questa situazione preferirebbe una
distribuzione ineguale che gli consente, tuttavia, di stare meglio rispetto a
come starebbe in una situazione di totale uguaglianza di redditi, ricchezza e
così via.
I BENI PRIMARI
Dal momento che la giustizia elaborata da Rawls è una teoria della giustizia come
equità, ma anche come una teoria della giustizia DISTRIBUTIVA, dobbiamo definire cosa
viene distribuito. Rawls non considera come bene da distribuire l’utilità, ma una serie di
BENI che possono essere considerati ESSENZIALI e spettano a ogni persona in quanto libera
e eguale. Questi beni sono chiamati come BENI PRIMARI.
La teoria di Rawls è DEONTOLOGICA, dà preminenza alla giustizia rispetto a qualsiasi
altro fine. Per questo la funzione delle istituzioni è garantire che ciascuno persegua i propri
fini e abbia a disposizione una quantità sufficiente di beni primari.
CHI SONO I MENO AVVANTAGGIATI?
I beni primari sono tutto ciò di cui le persone HANNO BISOGNO ed ESIGENZA in
quanto cittadini e membri cooperanti della società. Si tratta di beni necessari ai cittadini in
quanto persone libere. Rawls distingue principalmente CINQUE tipi di beni primari:
EGUAGLIANZA DEMOCRATICA
Si ottiene combinando il principio dell’equa eguaglianza di opportunità con il
principio di DIFFERENZA. Elimina l’indeterminatezza del principio di efficienza,
identificando una posizione dalla quale devono essere giudicate le ineguaglianze sociali
ed economiche.
Le aspettative di coloro che sono in una posizione migliori sono giuste solo se
funzionano come parte di uno schema che migliora le aspettative ANCHE dei meno
avvantaggiati.
Se andassimo a considerare l’esistenza di individui rappresentativi all’interno della
società, l’esistenza di individui che si trovano in condizioni economiche migliori è giustificata
dal fatto che la loro condizione PRIVILEGIATA consenta loro di portare ad una condizione
migliore anche gli individui rappresentativi che stanno peggio.
Se le aspettative degli svantaggiati sono massimizzate allora non vi è alcuna migliore
distribuzione delle risorse economiche sociali. Questo allora significa che ci troviamo di
fronte al MIGLIOR ASSETTO SOCIALE POSSIBILE.
Uno schema è ingiusto quando le aspettative più alte sono eccessive, non quando
sono più alte.
In questo modo possiamo ottenere un’interpretazione coerente dei due principi di
giustizia elaborati da Rawls. Se viene applicato il principio di differenza in una società in cui
le istituzioni di base sono fondate sui principi di giustizia e permettono la salvaguardia dei
diritti allora si può parlare di una società BENE ORDINATA.
MERITO VS ASPETTATIVE LEGITTIME
In una società ordinata mediante il principio di differenza la distribuzione delle
risorse socioeconomiche non è basata su un merito morale.
Rawls rifiuta ogni forma di meritocrazia, dal momento che ritiene il disporre di una
dote di talenti che vengono considerati importanti dalla società come una pura
CONTINGENZA.
Non si può dare valore morale a una condizione di nascita totalmente contingente;
quindi, la società non deve essere meritocratica. Nessun individuo merita più di altri.
Bisogna introdurre il concetto di ASPETTATIVE LEGITTIME.
Se un individuo è dotato naturalmente di talento superiore e se si impegna, grazie
anche al supporto di un ambiente familiare favorevole, per sviluppare questo talento che
viene particolarmente richiesto dalla società in un dato momento storico, allora ha il diritto
di ottenere un compenso per il proprio impegno, dal momento che legittimamente la
società è organizzata in modo tale da consentire agli individui di ottenere dei vantaggi
maggiori se superate determinate soglie. Questi INCENTIVI esistono, tuttavia, solamente
per poter permettere agli individui di impegnarsi in modo tale da raggiungere posizioni in cui
potranno aiutare i più svantaggiati.
LIBERTARISMO
QUANTA DISEGUAGLIANZA POSSIAMO ACCETTARE? – ARNSPERGER – LIBERTARISMO
L’approccio LIBERTARIO si discosta di molto dall’approccio utilitarista e,
nonostante tragga ispirazione dal pensiero di Locke, solamente dagli anni ’70 si è
diffusa come una vera e propria alternativa all’utilitarismo, soprattutto per l’apporto di
NOZICK.
Il punto di partenza è il riconoscimento della DIGNITA’ FONDAMENTALE di ogni
essere umano, che non può essere sacrificata in nome di un principio o un bisogno di tipo
collettivo.
Una società giusta non è una società con la massima utilità possibile, ma una società
LIBERA.
• Non si pronuncia sull’uso che si impone, da un punto di vista morale, del corpo,
dei talenti e delle capacità di cui ciascuno è proprietario.
Non pone un giudizio morale su nessuno dei comportamenti che possono essere
tenuti da adulti consenzienti. Non vuole rispondere a questioni di tipo morale.
• La proprietà di sé da sola non permette di compiere alcuna azione specifica. Noi
abbiamo piena proprietà di noi stessi, ma per sopravvivere abbiamo bisogno di
respirare aria, abbiamo bisogno di cibo, abbiamo bisogno di spazio.
Non può essere offerto un modello di SOCIETA’ GIUSTA solamente partendo da
questo principio. Bisogna andare ad aggiungere dei principi al principio della proprietà di sé
per poter andare a completare il quadro che stiamo andando a delineare.
CLAUSOLA LOCKIANA → Messa in luce da Robert Nozick. Locke riteneva che una
persona non potesse appropriarsi di un bene se potesse lasciare una quantità sufficiente
agli altri di tale bene, presenti e futuri.
Per Nozick l’acquisizione di una risorsa naturale è illegittima SE e SOLO SE coloro che
vengono privati della possibilità di acquisirla si trovano in una situazione MIGLIORE di
quella in cui si troverebbero nello Stato di natura, dove tutto è accessibile a tutti.
Nozick ritiene che si possa avere fiducia nella acquisizione privata, dal momento che
ha portato a sviluppi e progressi dell’agricoltura ma anche dell’industria che non sarebbero
avvenuti se fossimo stati in Stato di natura.
Per questo, la maggior parte delle acquisizioni iniziali, deve essere considerata
LEGITTIMA.
LIBERTARI DI SINISTRA
Secondo i libertari di sinistra l’acquisizione può essere considerata legittima se e solo
se il proprietario versa una TASSA il cui ammontare corrisponde al valore delle risorse
naturali di cui si appropria. Solamente in questo modo l’acquisizione è legittima.
I tre principi (Proprietà di sé, circolazione proprietà, acquisizione iniziale) offrono una
concezione coerente di quella che sarebbe una proprietà giusta.
La questione fondamentale è sapere se all’interno di una società vengono
RISPETTATI i diritti INDIVIDUALI e fondamentali, non se l’utilità e la felicità sono
massimizzate.
Non c’è alcuna necessità di organizzare la società secondo un criterio di efficienza
economica o di massimizzazione di un dato bene.
La società è giusta se viene rispettata la proprietà di sé, se le transazioni
avvengono in maniera legittima e se inizialmente i beni sono stati acquisiti in maniera
legittima. Non è una teoria conseguenzialista.
Anche se inizialmente stabilissimo una configurazione egualitaria, ci vorrebbe poco
tempo perché questa venga distorta dalle transazioni tra individui a causa della presenza
del libero mercato. La prospettiva libertaria può quindi essere vista come STORICA o
RETROSPETTIVA, dal momento che non bisogna andare a valutare le conseguenze delle
azioni, ma le loro basi storiche.
Per determinare se una situazione è giusta o ingiusta bisogna andare a vedere se si è
sviluppata da un sistema giusto, ovvero in cui il sistema di diritti era valido e funzionante.
PRINCIPIO DI RETTIFICAZIONE
Ovunque volgiamo lo sguardo è possibile che una porzione di territorio abbia
conosciuto una lunga violazione dei diritti. Il terreno sul quale poggia la mia casa potrebbe
essere stato acquisito in maniera illegittima.
È necessario introdurre un principio di rettificazione, complementare agli altri tre,
che determina il modo in cui si dovrebbero rettificare le violazioni passate dei principi.
Una rettificazione adeguata, purtroppo, richiederebbe moltissime informazioni che
non possono più essere ottenute ai giorni nostri. La situazione presente è quindi INGIUSTA.
Dal momento in cui non c’è motivo per perseguire lo status quo delle cose se sono
basate su ingiustizie e violazioni dei diritti, sarebbe giusto AZZERARE il tutto, creando una
TABULA RASA. Bisogna ripartire tutta la ricchezza materiale in maniera egualitaria prima di
effettuare una nuova partenza che permetterà di rispettare i tre principi di libertà.
ISTITUZIONI LIBERTARIE
Secondo il libertarismo l’unico Stato necessario è lo STATO MINIMO, la cui
organizzazione è indispensabile per garantire il rispetto dei diritti di proprietà e la
repressione delle ingiustizie.
Per il resto questo stato non deve intervenire, deve lasciare il mercato e il sistema
libero.
In una società vasta, solamente il CAPITALISMO potrebbe soddisfare questo
modello.
Il socialismo, infatti, porterebbe alla proibizione di atti capitalistici tra adulti
consenzienti, andando quindi a violare il principio della proprietà di sé.
Quasi una sorta di ANARCO CAPITALISMO in cui lo stato è veramente minimo e
non interviene neanche a offrire l’istruzione, la ricerca e la tutela della salute, ma in cui
tutela solo i diritti di proprietà fondamentali.
CRITICHE AL LIBERTARISMO
• EFFICIENZA
Il libertarismo non è conseguenzialista, non si preoccupa delle conseguenze fuorché
siano rispettati i diritti fondamentali degli individui.
Si esclude anche il ricorso alle imposte per finanziare l’istruzione o la sanità
pubblica, dal momento che non si possono costringere adulti consenzienti a pagare
per qualcosa che non userebbero.
Dove starebbe l’efficienza in uno stato libertario? I libertari rispondono dicendo che
l’efficienza non è una loro priorità e, nonostante sia importanti, i diritti individuali
vanno favoriti.
• EGUAGLIANZA
I libertari rifiutano il fatto che nella giustizia sia presente per forza una qualche forma
di eguaglianza che vada al di là dell’eguaglianza dei diritti.
Tutte le possibili interpretazioni del libertarismo sono in realtà compatibili con
diseguaglianze di reddito e di ricchezza, perché, secondo loro, se le proprietà
vengono distribuite rispettando i diritti di proprietà, allora tali disuguaglianze non
solo vengono accettate, ma sono legittime.
Anche in questo caso i libertari affermano di dover privilegiare i diritti
individuali, dal momento che le disuguaglianze rappresenterebbero quasi un
PREZZO della LIBERTA’. • LIBERTA’
Si tratta davvero della libertà? I libertari veramente perseguono la libertà?
Il fascino del libertarismo è proprio quello di sostenere in ogni caso la libertà
individuale, quindi, se venisse tolta la libertà, non avrebbe motivo di esistere.
I critici affermano che la libertà sostenuta dal libertarismo non è altro che una libertà
FORMALE, perché senza disporre dei mezzi per l’esercizio effettivo delle libertà,
queste non sono nient’altro che delle affermazioni formali.
Anche aggiungendo i principi dell’acquisizione iniziale e della circolazione, non si
rendono gli individui in grado di disporre dei mezzi per esercitare tali diritti.
Se viene visto sotto questa luce, il libertarismo appare come la FETICIZZAZIONE dei
diritti naturali.
Esiste, tuttavia, anche lo STATO ULTRAMINIMO, ovvero quello stato che mantiene il
monopolio di uso della forza e che fornisce servizi di protezione solamente agli acquirenti
delle sue polizze di protezione e applicazione dei diritti.
Chi non compra un servizio dal monopolio NON OTTIENE protezione.
A differenza dello stato minimo in cui chiunque, a causa delle tasse, ha diritto a
protezione.
Il termine ridistributivo richiama al tipo di RAGIONI che stanno a favore
dell’ordinamento, piuttosto che l’ordinamento in sé.
Un ordinamento può quindi essere definito come ridistributivo se le principali ragioni
a suo favore sono anch’esse ridistributive.
Dire che un’istituzione che preleva denaro ad alcuni per darlo ad altri è ridistributiva
dipenderà dalle ragioni per cui compie tali azioni e non dalle azioni in sé.
VINCOLI MORALI E SCOPI MORALI
Spesso si pensa che il difetto principale dell’utilitarismo sia la sua concezione troppo
ristretta del bene. Esso non prende in debita considerazione i diritti e la loro non violazione,
non li pone in primo piano come dovrebbe essere fatto.
Tuttavia, anche se applicassimo una sorta di UTILITARISMO DEI DIRITTI in cui
bisogna minimizzare la violazione dei diritti, non andremmo a considerare i diritti nel modo
in cui dovremmo.
Sarebbe una semplificazione eccessiva.
Secondo gli utilitaristi, in alcuni casi, potremmo andare a violare dei diritti per
consentire che mediante tale violazione si salvaguardi un numero maggiore di altri diritti.
Invece di andare a incorporare i DIRITTI nello stato finale da conseguire, dovremmo
porli come dei VINCOLI COLLATERALI sulle azioni da compiere: non bisogna violare i vincoli
collaterali, e non i diritti.
I diritti altrui, in questo caso, funzionano come VINCOLI sul nostro comportamento
diretto a uno scopo. Questo ci proibisce di andare a violare i vincoli morali nel perseguire i
nostri scopi, a differenza della concezione in cui consideriamo i diritti come bene finale, in
cui possiamo violarli in alcuni casi particolari.
Se poniamo i diritti come dei vincoli allora questi non potranno mai essere violati.
Si assuma che un sostenitore dello stato ultraminimo abbia come obiettivo la
minimizzazione della quantità di violazione dei diritti in una società.
Se considerassimo i diritti come bene finale, allora un sostenitore di questo stato
potrebbe in alcune situazioni perseguire il suo scopo mediante violazione dei diritti.
Se poniamo la non violazione dei diritti come VINCOLO ALL’AZIONE questa non
potrà più essere contemplata come mezzo per il raggiungimento di uno scopo.
Questo consente al sostenitore dello stato ultraminimo di affermare che essere
COSTRETTI a contribuire al benessere altrui viola i nostri diritti, mentre il fatto che
qualcuno non ci aiuti non costituisce alcuna violazione dei diritti, dal momento che non ha la
responsabilità di farlo, anche se noi ci troviamo in una condizione maggiormente
svantaggiata rispetto a lui.
PERCHE’ I VINCOLI COLLATERALI?
I vincoli collaterali sull’azione riflettono il principio kantiano di base che gli individui
sono FINI e non dei MEZZI. Non possono essere usati o sacrificati per il conseguimento di
altri fini senza il loro consenso. Gli individui sono, quindi, INVIOLABILI.
A differenza degli attrezzi, che possono essere usati come vogliamo, a meno che non
arrechiamo danno ad altri individui o non rompiamo vincoli posti da altri su attrezzi che non
sono nostri, gli individui sono inviolabili.
Andiamo quindi a considerare quali sono i modi mediante i quali l’inviolabilità delle
persone viene meno, ovvero i modi mediante i quali le persone vengono “usate” come dei
mezzi.
Alla filosofia politica ne interessa un numero limitato, in primo luogo, andiamo a
considerare l’AGGRESSIONE FISICA.
Dal momento che i vincoli collaterali sono INVIOLABILI, quando vengono applicati
agli individui, rendono anche essi stessi inviolabili.
Le persone non possono essere usate in ogni modo possibile, dal momento che
vengono protette e salvaguardate dall’esistenza di questi vincoli inviolabili posti sulle azioni
che possono essere svolte nei loro confronti.
Un vincolo collaterale specifica i modi d’uso, ogni altra modalità è totalmente vietata.
Individualmente ciascuno di noi può scegliere di andare a sopportare dei sacrifici
oppure può scegliere anche di arrecarsi dei danni in vista di un BENEFICIO MAGGIORE o
anche per evitare un danno più grave in futuro.
Possiamo decidere di sacrificare qualcosa per poter ottenere un maggior bene
complessivo. Allora perché non possiamo sostenere, analogamente, che alcune persone
devono sopportare certi costi che vanno a maggior beneficio di altre persone in vista di un
bene sociale collettivo?
Perché non esiste alcuna ENTITA’ SOCIALE. Siamo tutti degli individui differenti e
distinti. E un individuo può decidere di arrecarsi danni. Ha tutta la libertà di farlo, ma nessun
individuo può arrecarsi un danno per andare a contribuire al miglioramento di qualcun altro.
Nessuno può costringere un individuo a rinunciare a qualcosa per darlo ad altri.
L’esistenza di questi vincoli collaterali ci fa capire il fatto che non esiste alcun BENE
SOCIALE COLLETTIVO, non esiste la possibilità di compiere un sacrificio che sia giustificato di
qualcuno di noi per altri, perché non esiste nessun individuo che abbia una maggiore
importanza morale.
VINCOLI LIBERTARI
Chiunque respinga il particolare vincolo collaterale che proibisce l’intervento di un
individuo su un altro, in questo caso dell’aggressione fisica di un individuo nei confronti di un
altro, ha tre alternative:
MACCHINA DELL’ESPERIENZA
Supponiamo che esista una macchina dell’esperienza in grado di procurarci qualsiasi
stato mentale desiderabile. Noi siamo in grado di scegliere da un catalogo vastissimo di
esperienze e di stati mentali che ci permettono di programmare le esperienze che faremo
all’interno della macchina.
Resteremmo collegati a questa macchina per tutta la vita?
Probabilmente no. Perché? Una vita fatta solo di esperienze positive non è una
bella vita? In realtà no.
Noi umani non vogliamo solamente provare dei determinati stati mentali o delle date
esperienze, ma vogliamo agire, vogliamo effettivamente compiere le azioni che ci portano
al raggiungimento di quel dato stato mentale. Non ci basta provarlo. Vogliamo agire
attivamente per ottenerlo.
Una seconda ragione per non collegarsi è che vogliamo ESSERE in un certo modo,
essere un tipo di persona. Se noi ci collegassimo alla macchina dell’esperienza sarebbe
come compiere una specie di suicidio. Noi non saremmo più niente. Noi vogliamo evolverci,
vogliamo essere. Collegandoci alla macchina perdiamo il nostro essere e diventiamo nulla.
Un qualcosa di predeterminato e che può essere controllato dall’esterno.
In terzo luogo, collegarsi alla macchina ci confina in una REALTA’ ARTIFICIALE, a un
mondo in cui non c’è alcun contatto vero con una realtà più profonda o con altri individui.
Molte persone desiderano lasciarsi aperta la possibilità di instaurare questo contatto
profondo.
Siccome la macchina dell’esperienza non soddisfa il nostro desiderio di essere in un
dato modo, possiamo immaginare una MACCHINA DELLA TRASFORMAZIONE che ci
trasformi in qualsiasi tipo di persona vorremmo essere.
Nessuno, dopo essersi trasformato, userebbe la macchina dell’esperienza.
Questo ci fa capire che le persone non ragionano in termini di esperienze o di stati
mentali, ma in termini di vita. Vogliono vivere la propria vita, prendere le proprie decisioni e
decidere cosa fare del proprio corpo e della propria mente in maniera totalmente autonoma
e volontaria.
GIUSTIZIA DISTRIBUTIVA
Lo stato minimo è lo stato più esteso che possa essere giustificato. Qualsiasi stato più
esteso porta alla violazione dei diritti delle persone.
Non esiste una DISTRIBUZIONE CENTRALE, una persona o gruppo autorizzati a
controllare tutte le risorse e a decidere congiuntamente come devono essere ripartite.
In una società libera, persone diverse controllano risorse diverse e nuovi possessi
sorgono dagli scambi e dalle azioni volontarie delle persone.
Gli scambi e le distribuzioni sorgono dalle scelte individuali delle persone.
TEORIA DEL TITOLO VALIDO
Il contenuto della giustizia nei possessi consiste di tre argomenti principali:
Un teorico del titolo valido che basa la propria concezione sull’esistenza di VINCOLI
sulle azioni che possono essere effettuate (vietano in maniera categorica la violazione dei
diritti, soprattutto di proprietà) deve stare attento ai casi in cui non sia possibile ottenere
delle mete senza andare a compiere azioni non comprese nel proprio modello morale.
In questo caso un teorico del titolo valido si troverebbe in una situazione molto
complicata, dovrebbe andare a verificare innanzitutto se vengono rispettati i principi di
acquisizione iniziale e del trasferimento, e successivamente andare ad ipotizzare scenari
ipotetici in cui la distribuzione non si basa su trasferimenti ingiusti mediante il principio di
rettificazione.
Vediamo come questa sia la criticità maggiore della teoria dei titoli validi: il fatto che
molto spesso si trova davanti a delle situazioni NON RISOLVIBILI se non tramite la violazione
dei vincoli morali.
TEORIA LOCKIANA DELL’ACQUISIZIONE
Per Locke i diritti di proprietà su un oggetto privo di possessore hanno inizio quando
qualcuno vi MESCOLA il suo LAVORO.
Se possiedo un barattolo di sugo di pomodoro e lo verso in mare in modo tale che le
sue molecole si mischino con il mare, allora divento il possessore del mare?
Ovviamente no. Locke intende dire che se si lavora su qualcosa in modo tale da
aumentarne il VALORE rispetto a quando quel bene era grezzo, allora si ha titolo (diritto) al
suo possesso. Tuttavia, in alcuni casi, lavorando si va a diminuire il valore di un oggetto.
Perché non andiamo allora a considerare il VALORE AGGIUNTO portato dal nostro valore?
Comunque sia, quando si possiede qualcosa, questo porta a un cambiamento della
nostra situazione ma anche di quella di TUTTI GLI ALTRI. Prima avevano la libertà di usare
quell’oggetto, ora non più. Questo non per forza porta a un peggioramento della loro
condizione. Locke aggiunge una clausola limitativa, ovvero che si può diventare legittimi
possessori se si lasciano agli altri cose SUFFICIENTI e altrettanto buone.
Consideriamo la prima persona Z per cui non sono rimaste più cose sufficienti e
buone. La persona Y che si è appropriata dell’ultima cosa ha peggiorato la situazione di Z.
L’appropriazione di Y non è giustificata dalla clausola di Locke. Dunque, la persona X
che si è appropriata di qualcosa ha lasciato Y in una posizione peggiore, perché ha posto il
termine alle APPROPRIAZIONI AMMISSIBILI. Ma allora anche W ha lasciato X in una
situazione peggiore e, andando a ritroso, potremmo arrivare mediante questo
ragionamento alla prima persona A che ha iniziato il ciclo di appropriazioni.
1) Perché eguaglianza?
2) Eguaglianza di che cosa?
Sono due domande distinte ma sostanzialmente INTERDIPENDENTI.
Non è possibile rispondere alla prima domanda ignorando la seconda.
Se argomentiamo con successo a favore dell’eguaglianza in termini di x (qualsiasi
cosa sia x) allora si è già argomentato a favore di quel tipo di eguaglianza, dove x agisce da
elemento di confronto. Se si respinge la richiesta di eguaglianza di x, allora si argomenta
contro quel tipo di eguaglianza di cui x è l’elemento di confronto.
Se impostiamo l’analisi in questi termini, la domanda 1 sembra coincidere con la
domanda 2.
DIVERSITA’ UMANA ED EGUAGLIANZA DI BASE
Gli esseri umani differiscono gli uni dagli altri sia per le caratteristiche
individuali, sia per le caratteristiche delle società all’interno delle quali vivono e per le
opportunità che offrono. In aggiunta alle differenze di ambiente naturale e sociale e di
caratteristiche esterne, noi ci differenziamo anche per le nostre caratteristiche
personali.
Queste sono molto importanti per delineare diversi tipi di DISEGUAGLIANZE. La
disuguaglianza in termini di una variabile (reddito) può condurci in una direzione diversa
rispetto alla diseguaglianza in termini di un’altra variabile.
I vantaggi e svantaggi di cui le persone godono possono essere giudicati sulla base di
MOLTE VARIABILI, e questo rende necessario affrontare una decisione difficile sulla
prospettiva da adottare.
Se tutte le persone fossero identiche, l’eguaglianza in termini di reddito
consisterebbe e darebbe vita ad eguaglianze nei confronti di ogni altra variabile. Una delle
conseguenze della DIVERSITA’ umana è il fatto che esistano varie dimensioni, all’interno di
ognuna delle quali nascono diversi tipi e definizioni di diseguaglianza e eguaglianza.
DISTRIBUZIONE DEL REDDITO, STAR BENE E LIBERTA’
Differiamo in età, sesso, salute mentale e fisica, abilità intellettuali e così via.
Proprio per questo, considerare la diseguaglianza dei REDDITI come oggetto
fondamentale è un problema. Persone con lo stesso reddito potrebbero avere
diseguaglianza di opportunità di utilizzare quel reddito, oppure potrebbero aver bisogno
per le proprie necessità speciali (disabilità) di una quota di reddito maggiore rispetto alle
altre persone.
Ci sono molte caratteristiche fisiche e sociali che determinano diversi tipi di
diseguaglianza.
Una persona con handicap con un reddito maggiore potrebbe comunque trovarsi di
fronte a difficoltà maggiori e a possibilità minori di spendere quel reddito rispetto a una
persona che non è dotata di quell’handicap.
INSIEMI DI CAPACITA’
Lo star bene di una persona può essere visto in termini di qualità (di sentirsi bene)
dell’essere di quella persona. Pensiamo alla vita come un insieme di FUNZIONAMENTI
composti di stati di ESSERE e di FARE.
Le acquisizioni di una persona sotto questo profilo possono essere viste come il
vettore dei suoi funzionamenti. I funzionamenti rilevanti possono variare da cose elementari
come essere nutriti, essere in buona salute, sfuggire alla morte prematura… fino ad arrivare
ad acquisizioni più complesse come essere felice, avere rispetto di sé e così via.
La tesi di fondo è che i funzionamenti sono COSTITUTIVI dell’essere di una persona,
e che una valutazione dello star bene deve prendere forma di un giudizio su tali elementi
costitutivi.
Uno strano aspetto di Rawls nel “Il diritto dei Popoli” è la sua tendenza ad invocare
argomenti che potrebbero essere facilmente AVANZATI contro la redistribuzione interna
alle nazioni, ma di usarli per scagliarsi contro l’idea di una redistribuzione TRA NAZIONI.
A questo punto Rawls ci invita a considerare l’esempio di due paesi che si trovano
allo stesso livello di ricchezza e hanno una popolazione di dimensioni analoghe.
Il primo paese decide di industrializzarsi, il secondo decide di mantenere una società
rurale.
Dopo qualche decennio, il primo paese è due volte più ricco del secondo.
Dovremmo imporre tasse alla società in via di industrializzazione per trasferire fondi
all’altra?
Secondo Rawls questo è INACCETTABILE. Ma allora come fa a rispondere a coloro
che criticano le tesi di “Una teoria della giustizia” perché trovano inaccettabile che una
persona che si è impegnata e ha “meritato” di avere un reddito alto debba essere tassata
per aiutare i meno avvantaggiati? Non c’è ragione per cui Rawls non vada ad applicare gli
stessi principi che applica all’INTERNO delle società anche tra di esse, sembra quasi che
vada a contraddirsi da solo.
Rawls comunque sostiene che i popoli bene ordinati hanno il DOVERE di sostenere le
società più svantaggiate. Tale dovere, però, si spinge solamente fino alla richiesta di
un’assistenza volta ad aiutare tali società a diventare BENE ORDINATE.
Tra gli aspetti necessari affinché una società diventi bene ordinata c’è quello di
sviluppare una CULTURA ADEGUATA. Tale ipotesi può essere corretta, ma l’enfatizzazione
di questo aspetto lascia totalmente inalterata la situazione reale di tutte quelle persone
che stanno effettivamente morendo.
I principi di giustizia di Rawls, dal punto di vista internazionale, NON CONTEMPLANO
l’aiuto agli individui a meno che non si verifichino condizioni particolari (carestie, violazioni
diritti umani). Ma queste non sono vere soluzioni. In un mondo come il nostro le persone
continueranno a morire, continueranno a soffrire per cause evitabili.
T. POGGE – POVERTA’ MONDIALE E DIRITTI UMANI. TESTO N10
Il DIVIDENDO GLOBALE DELLE RISORSE (DGR) è un piano che prevede che gli Stati
non abbiano pieni diritti di proprietà sulle risorse presenti nel loro territorio, ma che si possa
chiedere loro di condividere una parte di tali risorse.
Anche i paesi più poveri hanno DIRITTO a una quota di tali risorse o del valore
economico corrispondente ad esso. Inoltre, questa quota non influisce in alcun modo sulla
Sovranità statuale, non va a modificare le decisioni interne agli stati che determinano come
utilizzare lo stock di risorse disponibili.
Mediante il DGR si potrebbe quindi raccogliere una somma di valore economico
corrispondente alla quota di risorse stabilite, e questi proventi verrebbero utilizzati per
assicurarsi che ogni essere umano abbia la possibilità di SODDISFARE i propri BISOGNI DI
BASE con dignità.
La proposta del DGR è stata realizzata per mostrare che esistono alternative per
organizzare il nostro ordine mondiale e anche come possibilità concreta per fare in
modo che sempre meno persone si trovino sotto la soglia della povertà assoluta.
DISUGUAGLIANZA RADICALE
Ci sono due modi di concepire la povertà come sfida morale:
10) Le posizioni sociali di partenza degli svantaggiati e degli avvantaggiati sono emerse
da un singolo PROCESSO STORICO pervaso da enormi INGIUSTIZIE.
Le condizioni odierne dei poveri sono sorte da un drammatico periodo di conquiste e
di COLONIZZAZIONE, di schiavitù e genocidio, nel quale le culture e istituzioni natie vennero
distrutte. Le condizioni sociali di partenza nascono quindi su una base di SOPRUSI nei
confronti dei paesi che oggi sono quelli meno avvantaggiati.
Questo terzo approccio è indipendente dagli altri. Gli effetti dei crimini epocali
commessi non possono essere neutralizzati neanche decenni e secoli più tardi.
Alcuni sostenitori dell’attuale distribuzione affermano che, anche se non fosse
esistita la colonizzazione, l’Europa sarebbe, ai giorni nostri, più ricca dell’Africa.
Ma almeno queste popolazioni avrebbero le proprie istituzioni, la propria cultura
natia e non avrebbero subito dei soprusi e degli abusi per poter permettere ad altri popoli di
svilupparsi.
Senza questi crimini, quindi, non esisterebbe la DISUGUAGLIANZA radicale presente
oggi che consta nel fatto che determinate persone sono benestanti e altre estremamente
povere.
• MASSIMA GIUSTIFICATIVA
La generazione attuale deve qualcosa alla prossima perché ha ricevuto qualcosa dalla
generazione precedente.
• MASSIMA SOSTANZIALE
La generazione attuale deve trasmettere alla successiva un capitale almeno
equivalente a quello che ha ereditato dalla generazione precedente.
La teoria della reciprocità indiretta permette di giustificare degli OBBLIGHI verso
delle persone che non ci hanno dato nulla e che potranno in futuro darci meno di quanto
noi daremo loro. Nel caso della reciprocità diretta è il benefattore iniziale che recupera ciò
che inizialmente aveva concesso a qualcun altro. Nella reciprocità indiretta, invece, c’è una
TERZA PARTE che beneficia al posto del benefattore iniziale, dando vita a una catena di
obbligazioni.
Quali sono le possibili criticità di questo tipo di teoria?
Innanzitutto, la massima giustificativa si basa sul fatto che, dal momento che noi
abbiamo ricevuto qualcosa dalla generazione precedente, dovremo dare un qualcosa anche
a quella futura. Questo, quindi, impone un obbligo della generazione presente nei confronti
dei MORTI, ed è proprio quest’obbligo a generare l’obbligo di reciprocità discendente.
Giustificare le politiche di sviluppo sostenibile sulla base di un’obbligazione verso i
morti costituisce una sfida all’idea di NEUTRALITA’ dello Stato rispetto a diverse concezioni
metafisiche.
La massima GIUSTIFICATIVA, inoltre, non è in grado di giustificare gli obblighi della
prima generazione, dal momento che non vi era nessuno prima di loro.
Non avendo ricevuto nulla da nessuno prima di loro, essi non hanno obblighi verso i
posteri. Inoltre, se considerassimo ogni generazione come una PRIMA GENERAZIONE per i
beni da loro inventati o scoperti, saremmo di fronte a una teoria molto problematica.
Forse la critica più importante a questa teoria sta nel fatto che noi non agiamo
sempre per andarci a sdebitare, o per ottenere un guadagno futuro.
Nel caso di una persona disabile, noi sappiamo che questa non potrà restituirci tutto
ciò che le abbiamo dato, ma andiamo comunque a prenderci CURA di lei.
L’idea di reciprocità, quindi, non è pienamente in grado di riflettere le INTUIZIONI di
molti di noi relative non solo alla giustizia intergenerazionale, ma anche a quella in generale.
RECIPROCITA’ INDIRETTA
RISPARMIO →
AUTORIZZATO SPRECO →
VIETATO VANTAGGIO
RECIPROCO
Una teoria basata sul vantaggio reciproco deve mostrare che un agente
RAZIONALE (che agisce per interesse personale) favorirà al meglio il proprio interesse
impegnandosi in un’impresa COOPERATIVA e sottomettendosi a certe regole sociali.
Si basa sull’idea che la cooperazione sociale possa portare a benefici per ciascuno di
noi e quindi siamo portati razionalmente a sceglierla per migliorare le nostre condizioni.
È necessario verificare come l’idea di cooperazione, che fa agire razionalmente gli
individui, possa essere trasposta in un contesto intergenerazionale.
Il fatto che i benefici della cooperazione siano reciproci sembra essere minacciato dal
fatto che le generazioni non vivano nello stesso periodo storico. Non si incontreranno mai.
Se i benefici fossero reali ma favorissero solamente certe generazioni una teoria
del vantaggio reciproco non sarebbe CAPACE di spiegare la pretesa che tutte le
generazioni si sottomettano a una comune regola di giustizia.
Non solo deve essere possibile che i benefici siano reciproci, ma deve anche esserci
una
GARANZIA che la regola della cooperazione venga effettivamente rispettata da ogni
generazione. La non contemporaneità delle generazioni mette in crisi la possibilità di
imporre un rispetto della regola della cooperazione. In che misura una minaccia di
SANZIONI ascendenti o discendenti che vanno a punire la mancata contemporaneità può
risolvere questo problema?
Supponendo sia possibile costruire un modello che risolva tutti questi problemi,
come ci poniamo di fronte alla questione di risparmio e di spreco?
UTILITARISMO
È una teoria AGGREGATIVA perché si interessa dell’utilità totale aggregata.
Ma non si preoccupa minimamente della distribuzione tra i membri della società.
L’utilitarismo nella sua formulazione classica si preoccupa solo della massimizzazione
dell’utilità totale, non si interessa del fatto che alcuni membri verranno sacrificati a discapito
di altri.
All’interno di una teoria intergenerazionale gli utilitaristi non autorizzano solo i
risparmi, ma li RICHIEDONO, poiché l’obiettivo è quello di massimizzare la “torta” di
benessere.
Se decidiamo di non consumare subito tutti i nostri semi ma di piantarne
qualcuno, questo qualcuno frutterà e produrrà di più in futuro. È la stessa logica.
Dobbiamo RISPARMIARE per le generazioni future.
Si instaura una sorta di ALTRUISMO DISCENDENTE, ovvero nei confronti delle
generazioni future, che rischia di accentuare ulteriormente la tendenza al risparmio
generazionale.
La conclusione utilitaristica, tuttavia, diventa preoccupante nel momento in cui ci
rendiamo conto che il numero di generazioni future è INDEFINITO. Saremmo tutti costretti a
un sacrificio per le prossime generazioni, ma se non siamo sicuri di quante generazioni ci
saranno, allora nessuna di queste generazioni future per le quali ci siamo sacrificati
mediante il risparmio sarà avvantaggiata, perché anche loro saranno costrette a
RISPARMIARE.
RISPARMIO →
OBBLIGATO SPRECO →
PROIBITO
CLAUSOLA LOCKIANA
Clausola dalla quale prendono vita le teorie della filosofia politica libertaria,
con tutti i suoi presupposti (rispetto dei vincoli, della proprietà di sé, poco
intervento dello Stato…) Immaginiamo una prima generazione che debba
distribuire la proprietà dei terreni arabili.
1) Ogni generazione deve lasciare alla successiva ALMENO TANTO quanto ciò di cui la
prima (preistorica) generazione si è inizialmente appropriata.
Questa clausola appare ai più come molto deboli, perché la prima generazione
preistorica aveva a disposizione una quantità di beni veramente ridotti. Ogni
generazione sarebbe autorizzata a sprecare, anche tanto, basta rimanere sopra
quella quantità.
Questa formulazione è stata emendata in due modi:
1) Considerare le MODIFICAZIONI NATURALI delle nostre risorse nel corso del tempo.
Consideriamo che la generazione precedente a noi è stata vittima di una glaciazione.
Dovrebbe una generazione futura compensare per la differenza, generata dalle
modificazioni naturali, tra il valore del mondo preistorico e quello attuale? NO.
Per un Lockiano non c’è ragione che sia così. Quello che conta come scenario di
riferimento è la situazione delle persone in mia assenza e non gli scenari naturali.
2) Ogni generazione deve lasciare alla successiva almeno tanto quanto ciò di cui la
prossima generazione avrebbe POTUTO APPROPRIARSI in assenza di ogni
precedente generazione o, preferibilmente, di quanto la generazione a venire
AVREBBE EREDITATO se nessuna generazione precedente avesse causato un
incremento o una deteriorazione netti.
Ma perché dovrebbe la generazione presente farsi carico del costo dei
deterioramenti causati dalle attività delle generazioni precedenti?
Inoltre, se consideriamo che il capitale culturale ereditato dai nostri antenati
aumenti considerevolmente il potenziale produttivo delle risorse naturali che la
generazione successiva avrebbe ereditato, vediamo come questa formulazione
AUTORIZZI LO SPRECO. Bisogna andare a riformulare la teoria lockiana in:
3) Ogni generazione deve lasciare alla successiva almeno tanto quanto ciò di cui la
generazione successiva AVREBBE POTUTO APPROPRIARSI se la generazione attuale
non avesse contribuito, con le proprie azioni, a un miglioramento o peggioramento
netto di quello che la generazione successiva AVREBBE EREDITATO.
Questa interpretazione include il prodotto accumulato dell’attività fisica e
intellettuale delle generazioni che hanno preceduto quella presente. Questo significa che il
risparmio è autorizzato. Ma non andiamo neanche a proibire lo spreco, a patto di non
deteriorare l’ambiente che la prossima generazione erediterà.
Questo significa che ogni deterioramento dell’ambiente causato da EMISSIONI
STORICHE (nostri antenati, non noi) e che condurrà a un clima peggiore per la prossima
generazione non implicherà per noi degli OBBLIGHI PARTICOLARI, perché la clausola
lockiana va a considerare solamente le azioni condotte dalla generazione precedente, non
da quelle che vengono prima.
RISPARMIO → AUTORIZZATO
EGUALITARISMO DI RAWLS
Rawls difende e porta avanti un modello a DUE STADI nel quale si susseguono:
• FASE DI ACCUMULAZIONE
Accumulazione sulla base dei principi simili all’utilitarismo. Risparmio obbligato
volto a stabilire una base per porre delle istituzioni giuste sulle quali si baserà la
società. • FASE DI CROCIERA
Difensione delle stesse teorie della reciprocità indiretta discendente.
Ciò che è preoccupante di questa teoria è che nella fase di accumulazione il
risparmio venga imposto, ma questo non sembra giusto nei confronti dei più
SVANTAGGIATI.
Rawls si difende affermando che il primo principio di giustizia sia più importante del
secondo; quindi, la fase di accumulazione è molto importante perché permette di mettere in
piedi delle istituzioni giuste che portano al rispetto delle LIBERTA’ FONDAMENTALI,
successivamente, una volta ottenuto questo, sarà possibile perseguire forme di eguaglianza
economica.
EGUALITARISMO RIVISITATO
Per rispettare effettivamente le tesi dell’egualitarismo bisognerebbe andare a
rivisitare la teoria di Rawls: nella fase di crociera bisogna VIETARE SPRECO E RISPARMIO.
Se il risparmio fosse consentito, le vittime sarebbero i membri meno avvantaggiati
della società. Trasferire un surplus nel futuro comporta in realtà un sacrificio di eguale
entità per i meno avvantaggiati per i meno avvantaggiati nel presente.
L’unico mondo in cui gli svantaggiati saranno, in futuro, più favoriti, è un mondo
basato su un modello che non solo proibisce lo spreco, ma anche il risparmio.
Anche se tramite il risparmio presente gli svantaggiati del futuro avranno più, in una
concezione di giustizia intergenerazionale dobbiamo ANCHE considerare la condizione dei
meno avvantaggiati della nostra generazione: se imponessimo loro il risparmio, questi
starebbero PEGGIO.
Confrontiamo questo argomento con altri quattro argomenti contro la crescita:
SUFFICIENTISMO DI BRUNDTLAND
La definizione di sviluppo sostenibile di Brundtland non è una GARANZIA
SUFFICIENTE di giustizia intergenerazionale. È quella che ho riportato all’inizio del testo.
Sufficientismo di DALY
I bisogni fondamentali del presente dovrebbero sempre avere la precedenza sui
bisogni fondamentali del futuro, ma i bisogni fondamentali del futuro dovrebbero avere la
PRECEDENZA sulla stravagante LUSSURIA del presente.
Nella misura in cui i bisogni di ciascuno siano stati coperti, questo SUFFICIENTISMO
basato sulla soddisfazione dei bisogni non richiederebbe, ad esempio, che una persona
nata senza un dito debba ricevere compensazioni se quel dito mancante non gli impedisca di
soddisfare i suoi bisogni fondamentali.
Il sufficientismo di Brundtland giustifica lo spreco in misura in cui esso non vada a
compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni.
D’altra parte, autorizzando il risparmio generazionale, non risponde al requisito
egualitario secondo cui il risparmio dovrebbe essere proibito in vista di una preoccupazione
nei confronti dei membri meno avvantaggiati della società.
Gli egualitari della sorte, quindi, rifiuteranno la teoria sufficientista di Brundtland.
Abbiamo visto molte teorie differenti che prendono in considerazione il tema della
giustizia intergenerazionale, ognuna con fattori a favore e fattori a sfavore.
GOSSERIES – INVECCHIAMENTO, LONGEVITA’ INEGUALI E GIUSTIZIA
INTERGENERAZIONALE. N12
Esamineremo in modo ampio i principali problemi di giustizia intergenerazionale che
l’INVECCHIAMENTO delle popolazioni pone. Seguiremo tre fasi:
• COORTE DI NASCITA
Qualsiasi persona nata nel periodo x. Man mano che invecchiamo essa diventa più
piccola fino a scomparire alla morte del suo ultimo rappresentante.
• GRUPPO DI ETA’
Gruppo di persone che hanno una determinata età. Sono sempre continui e
esisteranno sempre. Ci sarà sempre qualcuno che ha 23 anni.
• GRUPPO PERIODICO
Gruppo che condivide un particolare periodo di tempo. È un gruppo effimero. Non
copre l’intera vita dei suoi membri ma solo un periodo della loro vita.
1) Criterio PARENTIARCALE
Guardare a ciò che la generazione precedente ha fatto per i propri genitori e usarlo
come standard.
Questo fa nascere almeno due difficoltà:
• Ciò che i nostri genitori hanno fatto per i loro genitori può essere compatibile con
una varietà di possibili regole di giustizia che non è detto siano compatibili con la
nostra società.
• Ciò che i nostri genitori hanno fatto per i loro genitori potrebbe essere considerato,
anche da loro, come insufficiente. Non è detto ne siano soddisfatti.
2) Criterio CONTRATTUALISTA
Approccio che considera l’esistenza di un contratto tra le generazioni successive in
modo che ciascuna segua la stessa regola della precedente per soddisfare gli obblighi
ascendenti.
Il principale problema di questo criterio è che non considera il CONSENSO, e
soprattutto non porta alla formulazione del contenuto del contratto, ma considera solo la
sua esistenza.
3) Criterio SUFFICIENTARISTA
Non è importante raggiungere l’uguaglianza ma non far scendere le persone al di
sotto di un livello di vita definito in termini assoluti, che non è influenzato da ciò che
i nostri genitori hanno fatto o da ciò che noi vorremmo fare per loro.
In questo modo potremmo lasciare molte persone anziane con poche risorse.
4) Criterio DIVERSITA’
Necessità di rispettare una certa diversità di visioni sulla buona vita all’interno di una
società pluralistica.
Tutti abbiamo una certa visione di cosa consideriamo buono per noi. Alcune persone
desidererebbero avere una vecchiaia sicura, ma altre no.
Allora quale quota di aliquota dovremmo considerare giusta?
In un mondo di longevità elevata prendere sul serio l’intuizione dell’egualitarismo in
vite intere rende DIFFICILE giustificare l’opposizione ad elevate aliquote contributive.
Gli approcci parentiarcali e contrattuali non aiutano molto, l’ultimo criterio sembra
promettente ma non ci potrebbe portare molto lontano.
Andiamo allora ad introdurre il passo successivo della discussione.
Il nostro focus dovrebbe essere quello di ridurre sia la povertà, sia la ricchezza
ECCESSIVA. L’uguaglianza economica non è un ideale moralmente prioritario, il nostro
principale obiettivo deve essere rimediare ai difetti di una società in cui troppi hanno
troppo, e troppi troppo poco. Coloro che hanno un grande reddito, nonché eccessivo,
hanno anche molto potere di influenzare le decisioni politiche di un determinato paese.
L’uguaglianza economica, nonostante sia perseguita da molti, non p moralmente
importante così come la diseguaglianza non è moralmente riprovevole.
Non è importante che tutti abbiano lo STESSO, ma che ciascuno abbia
ABBASTANZA.
Questa particolare alternativa all’egualitarismo si chiama DOTTRINA DELLA
SUFFICIENZA.
L’uguaglianza economica può comunque avere valore politico e sociale, a volte quindi
può avere senso concentrarsi sull’aumentare l’ampiezza dell’uguaglianza.
Inoltre, perseguire l’uguaglianza potrebbe portare al raggiungimento della sufficienza
economica.
Una distribuzione del denaro più egualitaria NON è CRITICABILE.
Uno degli argomenti più spessi usati contro l’egualitarismo è che, se lasciassimo le
persone veramente libere, queste si accorderebbero in modo tale da sviluppare
disuguaglianze col tempo. Una distribuzione egualitaria potrebbe realizzarsi, quindi,
solamente comprimendo certe libertà.
Tuttavia, secondo Frankfurt, il problema principale dell’eguaglianza economica sta
nel fatto che essa distrae le persone dal calcolare le proprie necessità finanziarie alla luce
delle proprie condizioni, ma anzi, le incoraggia a calcolarle sulla base di ciò che hanno gli
altri.
Ma la quantità di denaro disponibile ad un altro non ha nulla a che fare con il reddito
che IO necessito per condurre la vita alla quale io ASPIRO.
L’eguaglianza porta l’individuo a distogliere l’attenzione da ciò che veramente vuole.
Sopravvalutare l’importanza morale dell’uguaglianza economica è dannoso in quanto
ALIENANTE. Ci separa dalla nostra realtà individuale e ci porta a concentrare l’attenzione su
desideri non nostri.
Osservare le condizioni altrui in alcuni casi può essere importante e una stima della
quantità di denaro di cui dispongono gli altri può sempre esser utile, soprattutto nella
misura in cui quella disponibilità economica si traduce in POTERE.
Ma non bisognerebbe basare le stime sulla quantità di denaro che serve agli individui
mediante la comparazione con quanto hanno altri, per i motivi che abbiamo già detto.
Comparare è utile in alcune situazioni, ma non è il metodo principale da usare.
Questo esempio ci fa capire come l’idea che nessuno abbia PIU’ di quanto basta
anche quando non tutti hanno abbastanza sia sbagliata.
Essa trae la sua plausibilità da un’assunzione plausibile, ma falsa: dare risorse a
persone che hanno meno di quanto basta le fa necessariamente stare meglio.
In realtà, dare risorse supplementari a persone che di quelle risorse hanno meno di
quanto basta può, in alcuni casi, NON MIGLIORARE la propria condizione (come
nell’esempio).
Per stare meglio gli individui non devono avere più risorse, devono semplicemente
superare una data soglia di sbarramento. Se essa non viene superata, allora non staranno
meglio.
Ovviamente può essere benefico per un individuo che ha meno avere di più, ma se
non supera tale soglia allora non potrà in alcun modo stare meglio.
La difesa dell’egualitarismo si basa spesso su un’intuizione morale: la disuguaglianza
SEMBRA sbagliata, soprattutto quella economica.
Tuttavia, ragionando, noi non troviamo riprovevole il fatto che un individuo abbia
meno di un altro se entrambi sono ricchi, ma il fatto che coloro che hanno meno hanno
TROPPO POCO.
Quando consideriamo le persone che stanno PEGGIO DI NOI ci troviamo turbati, ma
non dal fatto che hanno meno, ma perché ciò che hanno è veramente esiguo.
Le discrepanze economiche vengono percepite come un problema rilevante dal
punto di vista morale solamente quando le persone che hanno meno NON HANNO
ABBASTANZA.
Se coloro che si trovano nelle posizioni meno avvantaggiate avessero abbastanza non
saremmo turbati, questo ci fa capire che non è la diseguaglianza in sé a turbarci.
Nel tentativo di accrescere il consenso nei confronti dell’egualitarismo gli studiosi
spesso concentrano l’attenzione sulle disparità dei ricchi e dei poveri, e questo fa apparire
moralmente desiderabile un modello che possa permettere la ridistribuzione dei beni e
delle risorse. Ma mostrare che la povertà è INDESIDERABILE non è un argomento a
favore dell’egualitarismo, non ci dice nulla di negativo riguardo alla diseguaglianza
economica.
Noi non siamo stupiti dalla disuguaglianza ma da condizioni di POVERTA’
ESTREME. La disuguaglianza esiste anche tra persone ricche, ma è questa
disdicevole? Certamente no, perché entrambi hanno in abbondanza.
DEFINIZIONE DI ABBASTANZA
Nella dottrina della sufficienza la definizione di ABBASTANZA è legata al
soddisfacimento di uno STANDARD e non al raggiungimento di un limite.
Dire che una persona ha abbastanza denaro è come dire che è soddisfatta di non
avere più denaro di quanto ne ha. Questo equivale a dire che la persona non ritiene che
qualunque aspetto frustrante della sua vita sia dovuto alla mancanza di soldi.
Se una persona è SODDISFATTA della quantità di denaro che ha, nella misura in cui è
scontenta della sua vita non ritiene che possedere una maggiore somma di denaro la possa
aiutare ad essere, in generale, meno scontenta della propria vita.
Abbastanza non equivale, tuttavia, ad avere la somma per tirare avanti. È di più. Le
persone non si accontentano di vivere sul fondo del baratro e faticare per arrivare a fine
mese. Avere quanto basta non è abbastanza secondo il sufficientismo.
• Non è infelice, non prova angoscia e non è in alcuna misura insoddisfatta della vita
• Se la persona è scontenta e insoddisfatta, avere più denaro non la porterebbe ad
essere meno scontenta o insoddisfatta della vita.
È possibile che, ovviamente, a entrambi gli individui che si trovano in due condizioni
differenti di abbastanza (ma equivalenti) non dispiacerebbe disporre di una somma
maggiore di denaro, ma questo non li porterebbe a migliorare o modificare le proprie
condizioni.
Tuttavia, una persona che ha abbastanza denaro sarebbe di certo contenta di
riceverne di più.
Essere SODDISFATTI di una quantità di denaro cosa significa?
Significa che quella persona non sarà portata ad AGIRE ATTIVAMENTE e sforzarsi per
ottenere una quantità di denaro maggiore, dal momento che è soddisfatta della condizione
in cui si trova o consapevole del fatto che il denaro non la renderà più felice.
Nonostante sia possibile che altre condizioni le forniscano una soddisfazione
maggiore, la persona che ha abbastanza non se ne interessa, perché sta comunque bene
nella situazione in cui è. Come è già stato detto, tuttavia, non vuol dire che non è
interessata ad avere più denaro.
La persona che è GIA’ SODDISFATTA del livello di soddisfazione raggiunto non si
preoccupa di certo di massimizzare la propria felicità, o quantità di denaro ottenibile, perché
si trova già nelle condizioni che la rendono in grado di stare bene e di non essere infelice.
Supponiamo che una nostra amica si fidanzi con un ragazzo e se ne innamori. Le
diremmo che dovrebbe lasciarlo perché esistono in circolazione persone più belle?
Ovviamente no. Perché la nostra amica è soddisfatta con quella persona e in quelle
condizioni.
Non è disposta a gettare tutto all’aria per cercare di ottenere un qualcosa di
“migliore”.
Essere soddisfatti di uno stato delle cose non vuol dire che questo sia preferibile a
tutto il resto. La decisione di ACCONTENTARSI delle proprie attuali risorse può poggiare
su una valutazione scrupolosa e condotta in modo molto intelligenze sulla propria effettiva
qualità della vita. Se una persona riconosce che le proprie condizioni non le suscitano né
rancori né rimpianti e neanche la spingono a cambiare, può tranquillamente decidere di
accontentarsi di quello che già ha, dal momento che non varrebbe la pena sforzarsi per
provare a raggiungere posizioni migliori.
Ovviamente esiste un pericolo di valutazione: alcune persone potrebbero
accontentarsi per motivi diversi rispetto al fatto che stiano bene, ovvero per
RASSEGNAZIONE oppure PIGRIZIA.
Dobbiamo quindi andare ad esaminare ogni caso a sé, per capire se effettivamente
quella persona si trova soddisfatta della propria condizione o meno.