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DEONTOLOGIA

Il termine “Deontologia” deriva da “deon”, che significa “dovere”, e “logos”, che significa
“scienza”. A differenza dell’etica e della morale, la deontologia rappresenta un insieme di
regole, che indicano come comportarsi in quanto membri di un corpo sociale: il codice
deontologico. La deontologia, dunque, riguarda i comportamenti da tenere nell’esercizio
delle prestazioni. Ma perché studiare questa materia?
Perché prendere coscienza di alcuni concetti nuovi e confrontarli con quelli già posseduti
(morale soggettiva) aiuta a comprendere come:
1. Agire
2. Porsi
3. Vivere ed interagire
4. Affrontare situazioni problematiche
5. Approfondire alcune norme giuridiche
L’etica rappresenta una branca della filosofia. Il termine fu introdotto da Aristotele, Platone e
Socrate: l’uomo agisce per un fine che è la felicità, intesa come felicità mediata dalla ragione,
capacità specifica dell’uomo. Essere persone etiche è, dunque, un dovere di fedeltà all’essere
persone umane: è necessario guardare agli altri come esseri dotati di ragione, senza basarsi
sulle differenze culturali, religiose o etiche.
L’infermiere è chiamato ciascun giorno a vivere l’etica, perché in ogni momento deve saper
adottare un modello di comportamento pratico, relativo anche alle piccole cose di tutti i
giorni.
Secondo il filosofo Toulmin, l’etica rappresenta un sapere pratico e non teoretico, di cui non
è una mera applicazione. Hegel intendeva con “etica” l’aspetto più oggettivo della condotta,
mentre con “morale” l’aspetto più soggettivo (per esempio, l’intenzione del soggetto e la sua
disposizione interiore). Da sempre, dunque, l’etica rappresenta qualcosa di immutabile e
universale. Tuttavia, l’esperienza dimostra, a volte, come sia vero il contrario: davanti ad una
stessa situazione, i comportamenti “etici” assunti risultano essere estremamente differenti da
persona a persona (può essere il caso dell’aborto o dell’eutanasia).
Gli elementi costitutivi dell’etica sono:
1. La legge morale naturale
2. La coscienza
3. La libertà

La legge morale naturale


Secondo Aristotele questa rappresenta un insieme di princìpi morali universali, che la ragione
morale dell’uomo trova naturalmente e spontaneamente, a partire dal proprio modo di essere
e di vivere. Si tratta, dunque, di legge, perché sono princìpi, norme; è morale, perché relativa
al bene e al valore che fa percepire alla persona ciò che realmente vale; è naturale, poiché
innata in ogni uomo.

La coscienza
E’ l’uomo che riflette e prende consapevolezza di sé stesso, delle proprie possibilità e, in base
alla propria riflessione, opera determinate scelte; rappresenta, dunque, la dimensione
soggettiva della moralità. La coscienza si forma attraverso 2 sollecitazioni: i rinforzi positivi
e negativi, come l’influenza dei genitori o degli amici; l’attività cognitiva individuale, cioè il
codice di comportamento soggettivo, personale.
La coscienza, quindi, è condizionata da molteplici aspetti:
1. Ignoranza: Non conoscere i termini del problema, i valori in gioco, oltre a far
agire in modo errato, può anche portare ad agire in modo non sicuro;
2. Emozioni: Forti emozioni spingono a compiere atti e gesti che superano, per
intensità, la nostra volontà, possono accecare la ragione di una persona, facendole
assumere atteggiamenti sbagliati;
3. Paura: Può confondere e togliere lucidità a chi sta compiendo l’azione in una
determinata situazione. E’ opportuno non farsi un alibi della paura: questa può, sì,
far adottare comportamenti che in altre situazioni non sarebbero stati mai
considerati validi, ma ciò non implica il fatto di poter agire, sapendo che in futuro
l’azione sarà giustificata;
4. Carattere: Può essere considerato un condizionamento abituale che ognuno deve
conoscere, per poterlo tenere sotto controllo.
Altri condizionamenti possono essere rappresentati da quelli che non sono dentro di noi, ma
che in qualche modo influenzano le nostre decisioni, come:
1. La famiglia
2. La società
3. I mass media, che infondono nel cittadino un senso di non fiducia nelle strutture
ospedaliere.
In aiuto della coscienza, invece, intervengono i cosiddetti criteri di discernimento (cioè quei
criteri che permettono di scegliere):
1. Bene maggiore: La nostra coscienza deve essere rivolta sempre alla ricerca del bene
maggiore. Nella valutazione di quale sia il bene maggiore, devo tener presente i valori
e le abitudini del paziente;
2. Male minore: Quando non abbiamo la possibilità di eseguire il bene maggiore, ogni
nostra azione inesorabilmente costituisce un male per il paziente. Il nostro obiettivo è,
quindi, quello di limitare il male (male minore);
3. Bene presunto: Si deve agire in relazione al bene presunto quando la capacità di
identificare il bene dal male risulta impossibile. L’azione, pertanto, deve presumere la
realizzazione di un bene anche se, teoricamente, potrebbe esiste un bene ancora
maggiore;
4. Duplice effetto: Si verifica quando, ad un’azione, si associa un secondo effetto non
voluto, ma inevitabile. Per esempio, è frequente che particolari farmaci (morfina)
provochino pesanti effetti collaterali (riduce il dolore, ma provoca un deterioramento
della capacità respiratoria);
5. Cooperazione al male: Si verifica quando l’individuo non agisce in prima persona,
compiendo un male, ma si trova a cooperare con un altro. Su un piano etico egli è
colpevole come colui che agisce.
Alla coscienza, in fase decisionale, si lega sempre la responsabilità dell’atto. Un atto può
ritenersi completamente responsabile solo quando la coscienza di chi agisce CONOSCE cosa
sta facendo. Pertanto la persona deve avere la conoscenza del valore in gioco e la volontà e
libertà dell’atto che va a compiere.
Esiste, poi, una responsabilità a monte che rende volontarie quelle azioni che non lo sono,
rispetto alla causa che provoca il danno. Per esempio, le azioni che il soggetto non avrebbe
desiderio di compiere ma che, rispetto all’azione, potevano essere previste. Gli aspetti che
vanno tenuti in considerazione per valutare se il proprio comportamento sia buono o cattivo,
e dai quali deriva il grado di responsabilità, sono:
1. L’oggetto dell’azione: è ciò che ci si accinge a fare. Di per sé l’oggetto dell’azione è
generalmente neutro, ossia né buono né cattivo; è l’intenzione, il motivo per cui lo si
esegue, che gli attribuisce una connotazione morale;
2. L’intenzione del soggetto che compie l’azione: è lo scopo che l’azione intende
perseguire (buona o cattiva);
3. Le circostanze: in questo ambito rientrano tutti quegli elementi che connotano meglio
la situazione come buona o cattiva.

Prima del 1834, non esistevano concetti che parlavano o trattavano di deontologia, a parte il
giuramento di Ippocrate, che vedeva nell’attività medica una disciplina espletata come un
impegno ad interessarsi nel dolore altrui. La deontologia è “quel settore dell’arte e della
scienza che ha per suo oggetto il fare in ogni occasione ciò che è conveniente”. Il compito
della deontologia consiste, dunque, nella distribuzione degli obblighi derivanti da fonti
diverse, nello stabilire quale debba ottenere la preferenza e quale debba rinunciarvi. Non
riguarda, infatti, la tecnica, ma i comportamenti, che si caratterizzano in quanto rispondenti a:
1. Il principio di correttezza: si riferisce alle doti personali di buona educazioni;
2. Il principio di riservatezza: si riferisce a ciò che riguarda informazioni e dati
strettamente personali del paziente;
3. Il principio di informativa e veridicità: devono essere fornite in modo esaustivo tutte
le informazioni richieste dalla persona assistita;
4. Il principio di colleganza: implica l’impegno a rispettare i colleghi anche in caso di
opinioni contrastanti;
5. Il principio di dignità e decoro professionale: riguarda l’indossare una divisa, che
trasmette un messaggio dal punto di vista professionale, ma allo stesso tempo
rappresenta un vero e proprio decoro nei confronti dei colleghi. La divisa differenzia
ed evidenzia la professione: è necessario, per questo motivo, indossarla con dignità e
decoro.
Il codice deontologico, dunque, rappresenta l’insieme delle norme della condotta
professionale. Manifesta le esigenze etiche di una professione e rappresenta lo strumento
attraverso il quale il professionista si presenta alla società. Il codice deontologico è, infatti,
destinato ai: destinatari della professione, colleghi, altri professionisti, se stessi (come
professionisti).

Nel 1999, la legge 42 ha dato una serie di disposizioni in materia di professioni sanitarie:
“Il campo di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie è determinato dai contenuti
dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici
dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici
codici deontologici”.
La violazione delle norme deontologiche prevede l’intervento da parte del Collegio
Provinciale d’appartenenza, che stabilisce le sanzioni, quali:
1. Avvertimenti (Richiamo verbale)
2. Censura (Richiamo scritto)
3. Sospensione dell’esercizio professionale (da 1 a 6 mesi)
4. Radiazione dall’Albo (prevista in caso di veri e propri reati)
Il codice deontologico non è un codice etico, ma uno strumento indirizzato all’orientamento e
alla realizzazione di comportamenti personali accettati dalla professione, che consente a
qualunque infermiere la possibilità di esprimere il proprio progetto etico in modo
differenziato.
I codici deontologici
Esistono 5 codici deontologici, scritti rispettivamente:
1. Nel 1960 (Primo codice deontologico, che nasce in seguito alla necessità di indicare le
coordinate etiche con le quali operare);
2. Nel 1977;
3. Nel 1996 (Ricerca l’alleanza con l’individuo assistito, un contatto infermiere-
cittadino);
4. Nel 1999;
5. Nel 2009 (quello attuale).

Codice Deontologico del 1960:


E’ il primo codice deontologico mai scritto. Si compone di soli 11 articoli. E’ interessante
notare come utilizzi un linguaggio prescrittivo, orientato a costruire un’immagine di un
infermiere disciplinato.
Nell’articolo 6 si sottolinea il rapporto leale con il medico. Interessante osservare come si
faccia più riferimento al rapporto dell’infermiere col medico, rispetto che al rapporto fra
infermiere e assistito. (Pongono i rapporti con i medici su un piano di “pongono i rapporti
con i medici su un piano di leale collaborazione eseguendo scrupolosamente le prescrizioni
terapeutiche e sostenendo nel malato la fiducia verso il medico e verso ogni altro personale
sanitario” personale sanitario).
Nell’articolo 9, invece, viene sottolineato come gli infermieri debbano onorare la propria
professione: anche qui il paziente è messo in secondo piano; non è necessario onorare il
paziente, ma la professione in sé. Tuttavia, è fondamentale sottolineare come venga, in
quest’articolo, esposto un concetto estremamente moderno: l’infermiere deve aggiornarsi,
riguardo ai metodi, alle malattie, ecc. (hanno il dovere di onorare la propria professione: sia
loro cura aggiornarsi e perfezionarsi continuamente e abbiano un esemplare comportamento
nella vita privata).
Nell’articolo 4 si spiega come gli infermieri non debbano abbandonare il posto di lavoro,
senza che ci sia la certezza della sostituzione.
L’articolo 5 espone come l’infermiere debba osservare il segreto professionale, rispettandolo
in tutto e per tutto. E’, infatti, vietato trasferire le informazioni che l’infermiere ha visto,
inteso o semplicemente intuito. (Essi osservino il segreto professionale in base ad intima
convinzione al di sopra di ogni obbligo giuridico. Il segreto si estende a tutto ciò che i
professionisti siano venuti a conoscere nell’esercizio della professione: non solo quindi a ciò
che gli fu confidato, ma anche a ciò che essi hanno veduto, inteso o semplicemente intuito).

Codice Deontologico del 1977:


E’ il secondo codice deontologico e anche questo è composto da soli 11 articoli.
Nella premessa si dice: l’infermiere svolge una professione al servizio della salute e della
vita (notare, quindi, come qui non si faccia più riferimento al servizio nei confronti del
medico, ma alla responsabilità che l’infermiere ha verso la vita e la salute). E’ chiamato non
solo ad assicurare una qualificata assistenza infermieristica, ma anche a dare risposte
professionali nuove per favorire, con la collaborazione di tutto il personale sanitario, il
progresso della salute nel paese.
Nell’articolo 4: l’infermiere promuove la salute del singolo e della collettività, operando
contemporaneamente per la prevenzione, la cura e la riabilitazione
Nell’articolo 6 viene spiegato come l’infermiere, nella sua autonoma responsabilità, debba
collaborare attivamente con i medici per la tutela dei cittadini, sia nella programmazione sia
nel funzionamento delle strutture. Per esempio, non possiamo considerarci passivi rispetto ai
costi che un’azienda ospedaliera deve mantenere.
Se le risorse vengono utilizzate in modo irresponsabile, risulterà necessariamente impossibile
poter dare a tutti la giusta cura.
Nell’articolo 1 viene esposto come l’infermiere sia al servizio della vita dell’uomo.
Importantissimo, dunque, sottolineare questo concetto, poiché finalmente, l’infermiere non è
più al servizio del medico, ma della vita dell’assistito. (L’infermiere è al servizio della vita
dell’uomo: lo aiuta ad amare la vita, a superare la malattia, a sopportare la sofferenza e
affrontare l’idea della morte).
Nell’articolo 11 viene enunciato come l’infermiere possa affermare e difendere il suo diritto
all’obiezione di coscienza, di fronte alla richiesta di particolari interventi, i cui contenuti etici
risultino contrastanti la sua morale (per esempio, nel caso di eutanasia o di aborto artificiale).

Codice deontologico del 1999 o patto infermiere-


cittadino:
Estremamente interessante notare come il codice deontologico del 1996, anche chiamato
patto infermiere-cittadino, sia scritto in prima persona: è l’infermiere stesso a parlare
direttamente all’assistito. Io, infermiere, mi impegno nei tuoi confronti, a:
1. Presentarmi al nostro primo incontro, spiegarti chi sono e cosa posso fare per te;
2. Sapere chi sei, riconoscerti, chiamarti per nome e cognome;
3. Farmi conoscere, attraverso la divisa e il cartellino di riconoscimento;
4. Darti risposte chiare e comprensibili o indirizzarti alle persone e agli organi
competenti;
5. Fornirti informazioni utili o rendere agevole il tuo contatto con l’insieme di servizi
sanitari;
6. Garantirti le migliori condizioni igieniche e ambientali;
7. Favorirti nel mantenere le tue relazioni sociali e familiari;
8. Rispettare il tuo tempo e le tue abitudini;
9. Aiutarti ad affrontare in modo equilibrato e dignitoso la tua giornata, supportandoti
nei gesti quotidiani di mangiare, lavarsi, muoversi, dormire, quando non sei in grado
di farlo da solo;
10. Individuare i tuoi bisogno di assistenza, condividerli con te, proporti le possibili
soluzioni, operare insieme per risolvere i problemi;
11. Insegnarti quali sono i comportamenti più adeguati per ottimizzare il tuo stato di
salute nel rispetto delle tue scelte e stile di vita;
12. Garantirti competenza, abilità e umanità nello svolgimento delle tue prestazioni
assistenziali;
13. Rispettare la tua dignità, la tua insicurezza e garantirti la riservatezza professionale;
14. Ascoltarti con attenzione e disponibilità quando hai bisogno;
15. Starti vicino quando soffri, quando hai paura, quando la medicina e la tecnica non
bastano;
16. Promuovere e partecipare ad iniziative atte a migliorare l’assistenza infermieristica;
17. Segnalare agli organi e figure competenti le situazioni che ti possono causare danni e
disagi.

All’interno delle 17 dichiarazioni del “patto” si possono distinguere 2 categorie tematiche:


1. L’identità. Nelle voci 1 e 3, per esempio, l’infermiere fornisce tutte le indicazioni per
essere identificabile sia sotto il profilo personale (cartellino, divisa ...) sia sotto quello
professionale. Nella 2° voce, invece, si sottolinea l’impegno dell’infermiere a
riconoscere il paziente come identità, come individuo, persona che l’infermiere
intende conoscere e con cui si impegna ad iniziare una proficua relazione.
2. La responsabilità. In questo ambito si possono distinguere 3 insiemi: quello legato
all’assistenza, quello legato alla formazione e quello della collaborazione con altri
organi.

Codice deontologico del 2009


Il codice non rappresenta un’agenda del “che fare”, ma “Di chi siamo chiamati ad essere”
nel servizio ai cittadini. Deve indicare i principi e i valori professionali (l’insieme
significativo di orientamenti morali, ideali, convinzioni e comportamenti ritenuti importanti
da un determinato gruppo di professionisti), quali elementi imprescindibili per la definizione
di qualsiasi comportamento professionale.
1. Articolo 1: “L’infermiere è il professionista sanitario responsabile dell’assistenza
infermieristica”. Si sottolinea quanto l’infermiere è professionista sanitario non più
ausiliario ma elemento fondante dell’autonomia professionale.
2. Articolo 4: “L’infermiere presta servizio secondo principi di equità e giustizia,
tenendo conto dei valori etici e culturali, nonché del genere e delle condizioni sociali
della persona”. Quando si richiama a principi di equità e giustizia nell’aspetto
organizzativo dell’assistenza tiene conto dei bisogni di ciascuno e li soddisfa secondo
un’eguale presa in carico della persona a lui affidata.
3. Articolo 5: “Il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e dei principi etici della
professione è condizione essenziale per l’esercizio della professione infermieristica”.
La visione olistica dell’assistenza è missione storica e moderna. L’individuo, nel
momento in cui si ammala, paradossalmente, perde il “rispetto dei suoi diritti”: non
sempre può ed è in grado di esprimerli. L’infermiere è colui che passa molte ore
vicino al paziente, diventando “la sua voce”.
4. Articolo 8: “L’infermiere, nel caso di conflitti determinati da diverse visione etiche, si
impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. Qualora vi fosse e persistesse una
richiesta di attività in contrasto con i principi etici della professione e con i propri
valori, si avvale della clausola di coscienza, facendosi garante delle prestazioni
necessarie per l’incolumità e la vita dell’assistito”. Avvalersi della clausola di
coscienza ed assumersi la responsabilità delle proprie scelte significa essere in grado
di motivarle, di giustificarle, in quanto azioni liberamente intraprese, nei confronti dei
destinatari ultimi, ovvero i cittadini e in generale la società, i colleghi e anche le
istituzioni per cui si lavora. L’obiezione di coscienza (o clausola di coscienza),
contenuta nel codice deontologico, deve potersi esercitare non solo nei casi
esplicitamente previsti dall’ordinamento giuridico, ma anche in tutti i casi che
sollevino difficoltà di ordine deontologico ed etico. In altre parole, il no pronunciato
verso azioni e gesti che contraddicono il significato riconosciuto di assistenza
infermieristica, dovrebbe essere giustificata anche solo in base a convincimenti
personali, protetta sia sotto il profilo deontologico che giuridico. L’affermazione
della clausola di coscienza ricorda ed educa al fatto che ogni azione professionale
infermieristica ha una valenza etica, che la riflessione sui valori e la loro
concretizzazione non può essere delegata. Tutela, infine, il professionista e garantisce
il rispetto del principio di autonomia dell’infermiere, garantendo la dialettica tra
libertà e dignità della persona assistita e libertà e dignità dell’infermiere. Il fatto che il
professionista debba comunque farsi garante delle prestazioni necessarie
all’incolumità e la vita dell’assistito impedisce “l’abuso” di tale opzione (nel senso
che l’infermiere non può avvalersi di questa clausola, senza avere giusti fondamenti
su cui basarsi), che non può essere di comodo o di opportunismo.
5. Articolo 10: “L’infermiere contribuisce a rendere eque le scelte allocative, anche
attraverso l’uso ottimale delle risorse disponibili”. Si mira ad aumentare l’efficacia,
l’efficienza e la produttività del sistema anche in termini di utilizzo delle risorse.
L’infermiere che è parte attiva, vigila affinché le scelte siano guidate da principi etici.
6. Articolo 11: “L'infermiere fonda il proprio operato su conoscenze validate e aggiorna
saperi e competenze attraverso la formazione permanente, la riflessione critica
sull'esperienza e la ricerca. Progetta, svolge e partecipa ad attività di formazione.
Promuove, attiva e partecipa alla ricerca e cura la diffusione dei risultati”. E’
fondamentale aggiornare la propria conoscenza, adattandola alle nuove scoperte e
metodi, così da permettere alle persone malate la migliore assistenza possibile.
7. Articolo 13: “L’infermiere assume responsabilità in base al proprio livello di
competenza e ricorre, se necessario, all’intervento o alla consulenza di infermieri
esperti o specialisti. Presta consulenza ponendo le proprie conoscenze ed abilità a
disposizione della comunità professionale”. Quando l’infermiere sa di non possedere
una particolare competenza, ha l’obbligo di chiedere all’esperto, per evitare danni alla
persona assistita.
8. Articolo 14: “L’infermiere riconosce che l’interazione tra professionisti e
l’integrazione interprofessionale sono modalità fondamentali per far fronte ai bisogni
dell’assistito”. L’aumento della complessità degli interventi assistenziali, dovuto sia
all’invecchiamento della popolazione che all’incremento delle patologie cronico
degenerative, ha reso fondamentale lavorare in equipe richiedendo una maggiore
interazione e integrazione fra le varie figure sanitarie.
9. Articolo 15: “L’infermiere chiede formazione e/o supervisione per pratiche nuove o
sulle quali non ha esperienza”. Tale articolo richiama la costante attenzione
dell’infermiere a misurarsi, consapevole dei propri limiti, rispetto all’efficacia dei suoi
interventi assistenziali tale articolo richiama la costante attenzione dell’infermiere a
misurarsi consapevole dei propri limiti, rispetto all’efficacia dei suoi interventi
assistenziali.
10. Articolo 18: “L’infermiere, in situazioni di emergenza-urgenza, presta soccorso
e si attiva per garantire l’assistenza necessaria. In caso di calamità si mette a
disposizione dell’autorità competente”. L’infermiere è chiamato, prima ancora di
qualsiasi legge o regolamentazione aziendale, ad una responsabilità individuale.
Pertanto, il mettersi a disposizione della comunità e/o delle autorità competenti, in
caso di calamità, è per l’infermiere un’intima convinzione, che va al di sopra di ogni
obbligo giuridico.
11. Articolo 19: “L’infermiere ascolta, informa, coinvolge l’assistito e valuta con
lui i bisogni assistenziali, anche al fine di esplicitare il livello di assistenza garantito e
facilitarlo nell’esprimere le proprie scelte”.
12. Articolo 22: “L’infermiere conosce il progetto diagnostico-terapeutico per le
influenze che questo ha sul percorso assistenziale e sulla relazione con l’assistito”.
L’infermiere, ponendo attenzione alla comunicazione verbale e non verbale, ai
messaggi, alle informazioni provenienti dall’assistito, impara a conoscere le influenze
che il piano terapeutico produce su quella persona.
13. Articolo 23: “L’infermiere riconosce il valore dell’informazione integrata
multi professionale e si adopera affinché l’assistito disponga di tutte le informazioni
necessarie ai suoi bisogni di vita”. E ’doveroso evidenziare che ottenere il consenso
ad interventi terapeutici, non consiste in una pura e semplice sottoscrizione di un
foglio di carta.
14. Articolo 26: “L’infermiere assicura e tutela la riservatezza nel trattamento dei
dati relativi all’assistito. Nella raccolta, nella gestione e nel passaggio di dati, si limita
a ciò che è attinente all’assistenza”. Un atto di leggerezza e superficialità può creare
talvolta situazioni critiche nella quotidianità, quando i dati riferiti non sono
strettamente legati all’aspetto assistenziale. La trasmissione dei dati costituisce un
aspetto critico del nostro operare.
15. Articolo 27: “L’infermiere garantisce la continuità assistenziale anche
contribuendo alla realizzazione di una rete di rapporti interprofessionali e di una
efficace gestione degli strumenti informativi”.
16. Articolo 28: “L’infermiere rispetta il segreto professionale non solo per
obbligo giuridico, ma per intima convinzione e come espressione concreta del
rapporto di fiducia con l’assistito”.
17. Articolo 29: “L’infermiere concorre a promuovere le migliori condizioni di
sicurezza dell’assistito e dei famigliari e lo sviluppo della cultura dell’imparare
dall’errore. Partecipa alle iniziative per la gestione del rischio clinico”.
18. Articolo 30: “L’infermiere si adopera affinché il ricorso alla contenzione sia
evento straordinario, sostenuto da prescrizione medica o da documentate valutazioni
assistenziali”.
19. Articoli 34 e 35: “L’infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e
alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti
necessari”. Inoltre, “L’infermiere presta assistenza qualunque sia la condizione clinica
e fino al termine della vita dell’assistito, riconoscendo l’importanza della palliazione e
del conforto ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale”.
20. Articoli 36, 37 e 38: “L’infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei
limiti agli interventi che non siano proporzionali alla sua condizione clinica e coerenti
con la concezione da lui espressa sulla qualità della vita”. Inoltre, “quando l’assistito
non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene conto di quanto da lui
chiaramente espresso in precedenza e documentato”. Infine, “non attua e non
partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte, anche se la richiesta proviene
dall’assistito”.
21. Articolo 40: “L’infermiere favorisce l’informazione e l’educazione sulla
donazione di sangue, tessuti e organi quale atto di solidarietà e sostiene le persone
coinvolte nel donare e nel ricevere”.
22. Articolo 45: “L’infermiere agisce con lealtà nei confronti dei colleghi e degli
altri operatori”.
23. Articoli 48 e 49: “L’infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, di fronte a
carenze o disservizi, provvede a darne comunicazione ai responsabili professionali
della struttura in cui opera o a cui afferisce il proprio assistito”. Inoltre, “nell’interesse
primario degli assistiti, compensa le carenze e i disservizi che possono
eccezionalmente verificarsi nella struttura in cui opera. Rifiuta la compensazione,
documentandone le ragioni, quando sia abituale o ricorrente o comunque pregiudichi
sistematicamente il suo mandato professionale”.
24. Articolo 50: “L'infermiere, a tutela della salute della persona, segnala al
proprio Collegio Professionale le situazioni che possono configurare l’esercizio
abusivo della professione infermieristica”.

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