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Eleonora Verzola
Noemi Romano
• MORALITÁ: grado di coerenza della condotta individuale e sociale rispetto ai valori professati
e che ci ispirano. Rappresenta, quindi, il grado di coerenza ad un comportamento morale.
• ETICA: giustificazione razionale delle valutazioni morali. La si può definire come una vera e
propria branca della filosofia che studia i fondamenti razionali che consentono di assegnare, a
determinati comportamenti umani, un giudizio di “buono, giusto o lecito” o di “non buono,
cattivo, ingiusto e illecito”. Questo giudizio che viene dato è quello che noi definiamo il
modello comportamentale. L’etica, quindi, non è altro che un insieme di norme e di valori
che vanno a regolare il comportamento di ciascuno di noi, in relazione anche agli altri
individui della società. Rappresenta, dunque, il criterio che permette a ciascuno di noi di
giudicare i propri e gli altrui comportamenti, valutandoli come positivi o negativi.
Spesso i termini di etica e morale vengono utilizzati in maniera interscambiabile. Se è vero che in
molti casi possono essere sovrapponibili, tuttavia, mentre la morale è l’insieme di norme e valori di
un individuo, di una società o collettività, l’etica, oltre a condividere questo insieme di norme e
valori, contiene anche una riflessione sui valori che professiamo. In pratica, quando parliamo di
morale, questa considera le norme e i valori come dati di fatto scontati e condivisi da tutti. L’etica
cerca, invece, di dare una spiegazione razionale ai valori morali stessi. La morale è differente per
ognuno di noi ma la società deve avere dei valori condivisi su cui si fonda la convivenza in
società.
Da un pdv filosofico, i valori morali sono considerati superiori ad ogni altro principio dell’attività
umana.
Quando parliamo di bioetica, parliamo di una materia a carattere interdisciplinare, che coinvolge
non solo la medicina e la biologia ma molte altre branche, quali: filosofia, filosofia della scienza,
giurisprudenza, biodiritto, sociologia, biopolitica nelle varie accezioni, a seconda delle diverse
visioni morali atee, agnostiche, spirituali o religiose che ciascuno di noi ha.
I soggetti che si occupano di etica sono definiti bioeticisti e sono coloro che cercano di dare
un’interpretazione dei singoli fenomeni biologici sulla base della loro morale e della loro singola
etica. Devono avere una cultura a 360° visto che, come abbiamo detto, la bioetica è
interdisciplinare e coinvolge varie branche della conoscenza.
Storia
Le ragioni della nascita della bioetica sono molteplici:
➢ In primis, dalla tumultuosità del progresso scientifico e tecnologico in medicina e biologia, questo
determina la nascita giornaliera di nuove problematiche etiche, infatti i codici deontologici sono
sempre in evoluzione, bisogna normare il comportamento da tenere per i medici
➢ l’altra ragione è il tramonto del paternalismo medico, cioè il tramonto dell’idea che il medico, in
forza della sua esperienza, conoscenza, istruzione, abbia il diritto di decidere da solo cosa fare, in
nome del bene del malato, senza instaurare un dialogo o addirittura trasgredendo i valori a cui il
malato crede, pur di realizzare quella che ritiene essere la vera ideazione clinica. Questo
atteggiamento priva il malato del suo diritto di autodeterminazione
Fino ad una trentina di anni fa, il medico era il deus ex machina del rapporto medico-pz perché,
forte delle sue conoscenze scientifiche, non veniva contestato dal malato privo di ogni tipo di
conoscenza medica; ora questo tipo di atteggiamento del medico è fuori luogo (lo definirei anche
fuori legge) perché oggi, se un medico opera un percorso diagnostico-terapeutico senza dare
informazioni complete e senza condividere le sue decisioni con il malato, può essere tacciato dal
codice deontologico ma anche da quello penale e civile.
➢ Pluralismo della società: ad oggi, viviamo in una società pluralistica caratterizzata, cioè, dalla
convivenza di molteplici visioni dell’uomo e quindi di molteplici opzioni morali, fedi religiose o fedi
laiche che sono spesso diverse o conflittuali tra loro.
La nascita della bioetica, da un pdv formale, avviene non moltissimi anni fa ma già nelle società
arcaiche è possibile trovare i seguenti 3 elementi:
1. Esigenze di carattere etico che il medico doveva rispettare; il medico aveva un’etica e una
morale propria
2. Significati morali dell’assistenza al malato
3. Decisioni che lo stato doveva prendere nei confronti dei cittadini in merito alla salute pubblica.
-Già nel 1750 a.C., il codice di Hammurabi, influenzato da precedenti descrizioni dei Sumeri, conteneva
delle norme che davano indicazioni e regole sull’attività medica e una prima regolamentazione delle
tasse per l’assistenza sanitaria.
DOMANDA ESAME (cosa c’era prima del codice deontologico? Il giuramento di Ippocrate)
-Successivamente, nel 470 a.C. troviamo il giuramento di Ippocrate (oggi leggermente modificato
anche sulla base delle modificazioni di legge e le evoluzioni giurisprudenziali che ci sono state nel
tempo). In tale giuramento veniva sancito il principio di beneficenza e non maleficenza nei confronti
del pz. Cioè, il medico doveva agire con l’unico scopo di dare un beneficio al pz e mai determinare il
suo male. Quindi, il bene supremo che doveva perseguire il medico era il bene del pz. Questo
potrebbe sembrare scontato, ma ci sono delle situazioni nelle quali il medico, pur pensando di agire
nel bene del malato, non sentendo il volere dello stesso, può errare. In pratica, l’etica generale del
medico è sempre quella dell’azione per il bene migliore del malato ma non possiamo agire sempre per
il bene del malato se non abbiamo il consenso da parte dello stesso. Nel giuramento di Ippocrate le
decisioni del medico erano considerate inappellabili che superavano addirittura la legge.
Questo è ciò che è cambiato: mentre prima il medico aveva l’assoluto potere sul pz e quindi agiva per
il suo bene senza sentire effettivamente se, il bene da lui individuato corrispondesse con il bene
considerato dal pz; oggi non si può non tener conto di quello che vuole il pz.
Il giuramento di Ippocrate, quindi, era fondato su un principio assoluto e sacro che era il bene del pz e
il medico veniva considerato come il custode inappellabile (addirittura al di sopra della legge e di ogni
sospetto), quello che decideva il medico era necessariamente giusto perché questi aveva le
conoscenze scientifiche che non aveva il pz per poter prendere decisioni.
-La prima definizione dell’aggettivo bioetico fu fatta da un pastore protestante pedagogo, Fritz Jahr,
che, nel 1927, riflettendo sul rapporto etico dell’essere umano con le piante e gli animali, parlò di un
imperativo bioetico secondo il quale tutti gli esseri viventi avevano il diritto al rispetto e dovevano
essere trattati non come mezzi ma come fine in sé stessi.
-Nel 1966, poi, Callahan e lo psichiatra Gaylin avevano creato l’Hastings Center con lo scopo di
studiare e formulare delle norme nel campo sia della ricerca che della sperimentazione biomedica,
con l’obiettivo di considerare, oltre che gli aspetti tecnici, anche gli aspetti etici, sociali, legali
all’interno delle scienze mediche e sanitarie. Questo istituto era indipendente, laico, non aveva scopi
di lucro e aveva una attività educativa nei confronti del pubblico in generale e quasi una missione
sociale con lo scopo di affrontare e tentare di risolvere problematiche etiche sollevate dal progresso
delle scienze biomediche e della medicina. In pratica, lo scopo dell’Hastings Center era quello di
educare la popolazione generale sull’importanza e le problematiche etiche di molte scoperte
scientifiche, in modo tale da poter poi elaborare delle direttive per risolvere i problemi morali della
società.
-Dopo Callahan e Gaylin, il primo ad usare il termine di bioetica fu un oncologo statunitense nel 1970,
Potter, il quale pubblicò un articolo sulla rivista dell’università del Wisconsin “Prospettive nella
biologia e nella medicina” con il titolo “Bioetica, la scienza della sopravvivenza”. Nell’articolo, Potter,
sosteneva che, la netta distinzione tra i valori etici e biologici fosse alla base di quel processo
scientifico e biologico indiscriminato che metteva in pericolo l’umanità e la stessa sopravvivenza della
vita sulla terra. L’istinto della sopravvivenza non era sufficiente ed era necessario creare una nuova
scienza che era la bioetica. Potter pensava che ci fosse la necessità di una nuova conoscenza
finalizzata a scoprire la maniera nella quale si potevano utilizzare in modo saggio le conoscenze
tecnico-scientifiche in modo tale da favorire la sopravvivenza della specie umana, migliorare la qualità
della vita attuale e delle generazioni future. Secondo Potter, l’unica soluzione a questa catastrofe che
egli aveva ipotizzato era costruire un ponte tra 2 culture: la cultura scientifica e quella umanistica-
morale.
Secondo Potter la bioetica non doveva focalizzarsi solo sull’uomo ma anche su ogni intervento
scientifico dell’uomo sulla vita in generale, per questo motivo nel 1971, scrisse un secondo libro
“Bioetica, un ponte verso il futuro”, dove raccoglieva vari articoli di argomento bioetico e definiva la
bioetica come quella scienza che avrebbe consentito all’uomo di sopravvivere utilizzando i valori
morali di fronte all’evoluzione dell’ecosistema. Potter aveva pensato che ci fosse questo pericolo di
sopravvivenza dell’intero ecosistema perché aveva colto la sussistenza di una spaccatura tra 2 ambiti
della conoscenza: il sapere scientifico e quello umanistico. La bioetica nasceva, quindi, da un grido di
allarme e da una preoccupazione verso le conseguenze che il processo della scienza biomedica aveva
all’interno della società, un progresso scientifico, non regolamentato da un’adeguata morale, avrebbe
portato alla distruzione dell’umanità sulla terra. Quindi, la bioetica non era altro che la combinazione
della conoscenza biologica con la conoscenza dei valori umani e veniva considerata come un vero e
proprio nuovo tipo di saggezza che avrebbe dovuto indicare la strada per utilizzare la conoscenza
scientifica con finalità di garantire il bene sociale e la sopravvivenza umana.
-Successivamente a Potter ci furono alcuni ricercatori del Kennedy Institute, in particolar modo
Hellegers, che dettero altre molteplici definizioni della bioetica, tutte similari ma ognuna si
caratterizzava per alcune peculiarità. Per esempio, Hellegers, definì la bioetica come una branca
dell’etica dedita allo studio e alla ricerca della biomedicina. In pratica, Hellegers, considerava la
bioetica una scienza capace di fare interagire la medicina, la filosofia e l’etica e, l’oggetto della bioetica
erano gli aspetti etici che sono contenuti all’interno della pratica clinica.
-Successivamente la bioetica è stata considerata, dalla maggioranza degli studiosi, come quella
disciplina che in grado di sintetizzare sia le conoscenze mediche che quelle etiche, offuscando il
concetto di bioetica di Potter che comunque, aveva avuto il ruolo importante di aver compreso
l’importanza della bioetica globale e che comprendeva la biosfera, l’uomo e le interazioni reciproche
tra di loro in modo tale da far nascere quella che poi è stata definita la bioetica ambientale.
-Nel 1978, venne scritte un’enciclopedia della bioetica da Reich che definì la bioetica come uno studio
sistematico della condotta umana nell’ambito delle scienze della vita e della salute, esaminata alla
luce di valori e di principi morali. Forse questa è la definizione più completa della bioetica.
Reich fece una 2° edizione dell’enciclopedia, rimodulando la definizione di bioetica e definendola
come lo studio sistematico delle dimensioni morali delle scienze della vita e della salute con l’impiego
di una varietà di metodologie etiche in una impostazione interdisciplinare (recuperando, quindi, in
parte la definizione originaria di Potter).
-In Italia, nel 1985, è nato, all’interno della facoltà di medicina dell’università Cattolica di Roma, il
primo centro di bioetica italiano e, nel 1992, è nato il primo istituto di bioetica italiano che era
caratterizzato da una prospettiva filosofica influenzata fortemente dalla chiesa che interpretava
determinati atti medici sulla base del personalismo ontologicamente fondato e quindi in sintonia con il
pensiero cattolico. Quindi, è chiaro che il primo istituto di bioetica italiano, essendo nato all’interno di
una università cattolica, era profondamente influenzato dal pensiero cattolico.
Poi ci sono state anche numerose altre definizioni della bioetica:
• alcuni la definirono come l’area di ricerca che, grazie a diverse discipline, pone come oggetto dei
suoi studi, un esame sistematico della condotta umana nel campo della scienza, della vita e dalla
salute. Anche questa definizione abbastanza completa perché fa capire che la bioetica è un
movimento culturale interdisciplinare che viene sempre applicato nel campo della scienza della
vita e della salute.
• altra definizione, data nell’enciclopedia della bioetica del 1995 del Kennedy Institute of Ethics
della Georgetown University of Washington è quella di bioetica come studio sistematico delle
dimensioni morali delle scienze della vita e della salute utilizzando una varietà di metodologie
etiche in un contesto interdisciplinare. Per studio sistematico delle dimensioni morali si intende
visione, decisione e comportamento delle norme morali.
• Altri hanno definito la bioetica come un movimento di idee e di valori che continuamente
cambiano nel corso della storia. È chiaro che non si può avere un’unica bioetica che nasce e
muore in una stessa configurazione ma, come abbiamo detto, la caratteristica della bioetica è
anche la sua capacità di modificarsi sulla base dei cambiamenti non solo scientifici, ma anche dei
cambiamenti di pensiero e quindi della morale dei vari campi del sapere.
Di contro, abbiamo una bioetica laica nella quale la laicità prede il posto dell’interpretazione
religiosa della bioetica. I laici, pur non ponendosi contro alla dimensione religiosa, ritengono che,
nelle scelte bioetiche non si possa imporre una visione da parte dell’essere supremo ma mettono al
centro l’individuo. Quindi, nella bioetica laica, il concetto fondamentale è che gli individui debbano e
possano decidere autonomamente ponderando le proprie scelte di volta in volta. La visione laica è,
ovviamente, del tutto diversa dalla maggioranza delle visioni religiose, in quanto non è influenzata
dai dogmi religiosi ma è molto più aderente alla realtà delle cose e non parte da presupposti
precostituiti che sono i valori religiosi. C’è, quindi, un chiaro contrasto tra la visione etica religiosa e
la visione laica. Per questo nelle visioni laiche viene accettato un pluralismo che invece non viene
rispettato nelle interpretazioni bioetiche delle religioni. Per i laici, la libertà della ricerca, l’autonomia
delle persone e l’equità sono valori irrinunciabili e forti per costruire la base di regole di
comportamento che essi ritengono giuste ed efficaci.
Principi (domanda d’esame)
Quando parliamo di bioetica, in linea generale, 4 sono i principi che devono essere usati come
strumenti e base per dare un giudizio sui problemi che insorgono nell’ambito della biologia e della
medicina e che, chiaramente, devono essere diversamente pesati sulla base di determinate
circostanze.
Qualcuno potrebbe chiedersi, quindi, l’ordine dei medici e a favore o contro i medici?
L’ordine nasce come struttura che tutela l’interesse dei medici e, il vigilare sul decoro professionale e
sul rispetto del codice deontologico, è un modo indiretto di tutelare gli altri iscritti perché se un
collega si comporta in maniera indecorosa, crea un danno agli altri colleghi che si comportano in
maniera adeguata e lo stesso vale per il rispetto del codice deontologico.
Quindi, ricordate che il potere disciplinare viene esercitato dall’ordine per la possibilità, data dalla
legge di vigilare sul decoro e il rispetto del codice deontologico. Se io commetto un omicidio, rispetto
il codice deontologico, ma vado ad incidere sul decoro professionale e, a quel punto, l’ordine ha il
compito di esercitare il proprio potere disciplinare. Nello stesso tempo, quando l’ordine va a
esprimere il proprio parte sulla congruità di un onorario, è un’attività che l’ordine svolge in favore
dei medici, perché raramente l’ordine dei medici non conferma un onorario proposto dal medico,
salvo casi di enorme sproporzione tra la prestazione svolta e l’onorario richiesto.
Storia
-Fu istituito dal governo Giolitti nel 1910, dopo anni di travagli parlamentari e di pressioni sociali.
-Nel 1935, l’ordine dei medici fu soppresso dal regime fascista che trasferì le sue funzioni e compiti
al sindacato fascista di categoria.
-Nel 1946, gli ordini furono ricostituiti dall’Assemblea costituente.
-Nel 1985 da ordine dei medici si è passati a Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri e, ogni
provincia ha un proprio ordine, gli ordini hanno quindi una valenza provinciale. Nel momento in cui
si è deciso di annettere gli odontoiatri ai medici, si realizzava un sistema misto di convivenza unico
con 2 albi professionali ma, all’interno del consiglio direttivo, dei rappresentanti degli odontoiatri.
Oggi l’ordine dei medici è un ente di diritto pubblico, dotato di autonomia gestionale e decisionale,
ha un bilancio proprio, è posto sotto la vigilanza del Ministero della Sanità ed è coordinato dalla
federazione nazionale dei medici e degli odontoiatri che è praticamente, l’ordine dei medici
nazionale che dà delle direttive.
L’iscrizione è assolutamente obbligatoria (tassa di iscrizione a Terni 180€), per poter esercitare la
professione di medico e odontoiatra perché queste professioni rientrano tra le professioni
intellettuali; quindi, sono delle professioni protette per le quali la legge chiede sia un’abilitazione
dello stato sia un’iscrizione specifica ad un albo.Lo stato vuole che ai cittadini sia garantito di essere
curati da persone che abbiano titoli di legge idonei; quindi, l’iscrizione all’albo è un requisito
ineludibile per poter svolgere la professione medico; se non si è iscritti all’ordine e si esercita la
professione medica si può essere accusati di esercizio abusivo della professione medica, l’iscrizione
assume una natura giuridica con cui si perfeziona la qualifica professionale di medico-chirurgo.
L’abilitazione all’esercizio professionale e l’iscrizione all’ordine non fanno che legittimare il medico
ad esercitare l’attività in tutte le branche della medicina ad eccezione di quelle per cui c’è una
normativa specifica che prescriva il possesso di un diploma di specializzazione specifico, tra cui
anestesiologia e rianimazione, radiologia diagnostica (solo gli specialisti in radiologia diagnostica
possono refertare esami radiologici), radioterapia e medicina nucleare. Per poter entrare all’interno
di un’azienda sanitaria è necessario essere in possesso di una specializzazione.
Nei concorsi svolti per una determinata disciplina è quindi necessario avere quel determinato tipo
di specializzazione richiesta o una branca affine, ma sempre la specializzazione ci vuole.
Se, invece, si decide di svolgere un’attività libero-professionale può non essere richiesto alcun tipo
di specializzazione ma poi il mercato fa la selezione perché posso non avere la specializzazione in
ortopedia ma essere un bravissimo chirurgo della mano.
• Il consiglio direttivo è il principale organo collegiale dell’ordine che viene eletto dall’assemblea
degli iscritti e, a sua volta, elegge il presidente dell’ordine.
L’assemblea con una votazione elegge i componenti del direttivo, lo scrutinio è segreto e viene
fatta a maggioranza di voti.
Ha una durata di 3 anni ma, qualora nel corso di questi 3 anni si riducano a meno della metà i
componenti, si procede a fare delle nuove elezioni dei consiglieri eletti in sostituzione di quelli che
hanno cessato, si sono dimessi o sono deceduti che durano fino alla scadenza del periodo residuo.
Il consiglio dell’ordine ha anche il compito di gestione e amministrazione del patrimonio e viene
chiamato approvare spese correnti, spese in conto capitale e a redigere un bilancio. Il consiglio,
poi, deve anche gestire il personale e la pianta organica dell’ordine stesso.
Il bilancio deve essere approvato annualmente dall’assemblea dei soci. Ogni ordine provinciale
stabilisce una tassa annuale obbligatoria.
Presidente, vicepresidente, tesoriere e segretario sono 4 organismi individuali, eletti dal consiglio
direttivo alla sua prima riunione, a scrutinio segreto e a maggioranza semplice dei voti.
Il presidente ha un potere di rappresentanza unitaria dell’ordine e quindi rappresenta tutti i
medici chirurghi e gli odontoiatri che sono iscritti nell’albo provinciale di competenza.
È il presidente che convoca e presiede il consiglio direttivo e l’assemblea degli iscritti ed è
membro di diritto nei consigli provinciali e nel consiglio nazionale della FNOMCEO.
Spetta al presidente l’istruttoria preliminare sui procedimenti disciplinari, riferisce al consiglio per
le deliberazioni su questi procedimenti e nomina le date e i relatori che devono svolgere le loro
funzioni.
Il vicepresidente svolge una funzione vicaria del presidente e può sostituirlo in caso di assenza o
impedimento su delega del presidente stesso. La delega può essere sia circoscritta ad una
determinata materia che avere carattere continuativo ma deve essere specificato l’oggetto della
delega stessa.
Il tesoriere è quello che deve rispondere dell’amministrazione finanziaria e contabile dell’ordine,
quindi ha la custodia dei contanti e dei valori dell’ordine.
Il consiglio può anche disporre che i valori eccedenti un determinato limite siano depositati verso
una cassa o un conto in un istituto di credito.
Il segretario è la seconda figura più importante ed è una figura responsabile della regolazione
dell’andamento dell’ufficio, è il depositario dell’affidamento dell’archivio, dei verbali delle
assemblee del consiglio, di registri delle delibere, del registro di tutti gli atti che vengono
compiuti, il registro dei pareri espressi dal consiglio, ecc.
• Poi ci sono le varie commissioni. Nel 1985, all’interno dei consigli direttivi degli ordini, sono state
previste le istituzioni di varie commissioni. Queste sono divise tra quella dei medici e quella degli
odontoiatri. Le commissioni degli iscritti a loro volta possono gemmare ulteriori commissioni
dedicate a determinate problematiche: per esempio una commissione per la formazione, per la
tutela ambientale del territorio, per le cure palliative, per i rapporti con l’ENPAM. Ognuna
approfondisce uno specifico tema, individuato dal presidente.
• Poi c’è il consiglio dei revisori dei conti che è un organo eletto dall’assemblea degli iscritti, ogni 3
anni e con le stesse modalità con le quali viene eletto il consiglio direttivo.
• CODICE PENALE:
- ART. 50: Il consenso dell’avente diritto
“Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto con il consenso della persona avente diritto,
col consenso della persona che può validamente disporne.”
Questo articolo introduce il concetto del consenso, il consenso non è altro che il lasciapassare della
liceità giuridica dell’atto medico.
Il consenso valido può essere dato da soggetti legalmente ritenuti in grado di intendere e di volere
o dai rappresentanti legali di:
• Minori → chi esercita la potestà genitoriale
• Interdetti → tutore
• Inabilitati→curatore
Questo articolo è molto importante per il medico e rappresenta un’ancora di salvezza perché
consente, in determinate condizioni, di poter trattare un pz che non è in grado di intendere o di
volere per potergli salvare la vita.
In situazioni nelle quali il soggetto non è in grado di intendere e di volere ma c’è la necessità urgente
di effettuare un trattamento senza poter acquisire il consenso né dal soggetto perché è in coma né da
altri perché magari il paziente non ha nominato un fiduciario che possa prendere determinate
decisioni al loro posto il medico è autorizzato ad intervenire se il pz rischia la vita o un grave danno.
Per esempio, se siamo di fronte ad un soggetto incosciente a seguito di un trauma/incidente grazie a
questo articolo possiamo svolgere i trattamenti sanitari che riteniamo adeguati e utili per la sua salute
proprio invocando il cosiddetto “stato di necessità”. Perché quel paziente senza l’intervento sarebbe
destinato ad un grave danno o alla morte.
NB: In questi soggetti è inutile che acquisiamo un consenso fittizio da uno dei familiari perché questo
tipo di consenso non ha alcun valore. I familiari vanno ovviamente avvisati e dobbiamo condividere il
trattamento che dobbiamo mettere in atto per salvare la salute il soggetto stesso da un pericolo
imminente e grave alla persona ma, dal punto di vista giuridico il consenso che noi acquisiamo dai
familiari non ha alcun valore se il pz è legalmente in grado di intendere e di volere.
• ARTICOLI NEL TITOLO 4 DEL CODICE DEONTOLOGICO
INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE, CONSENSO E DISSENSO
Totalmente dedicato all’informazione, alla comunicazione, al consenso e al dissenso. Spiega tutti i concetti
che devono essere noti al medico relativamente a questo argomento.
Ad esempio: soggetto che ha un tumore del colon con una massa tumorale molto ampia, dobbiamo
informare il pz che:
- Ha una neoplasia del colon, a che stadio si trova e qual è la prognosi
- Che proponiamo una radioterapia preoperatoria per ridurre la massa
- che questo intervento terapeutico è una prima fase di un successivo trattamento che dovrà essere
quello della emicolectomia/colectomia che andremo ad effettuare.
- Quali sono i rischi e le complicazioni dell’intervento che possono essere indipendenti dall’operato
del medico o iatrogene.
- Quando poi faremo emicolectomia o colectomia dovremo anche avvertire il soggetto che quella
potrebbe essere solo una prima fase dell’approccio terapeutico perché magari all’intervento
chirurgico potrebbe conseguire una stomia, dobbiamo dire al paziente se questa stomia sarà
temporanea o no, dobbiamo avvertirlo che potrebbe necessitare di un ano artificiale.
- Dobbiamo avvertirlo che una volta stabilizzata la situazione il pz potrebbe dover affrontare un
nuovo intervento di ricanalizzazione
- Dobbiamo dire al pz che dovrà effettuare delle cure chemioterapiche.
Fondamento del consenso è una buona informazione, dobbiamo dare al paziente quindi tutte le
informazioni che sono necessarie per poter farsi un’idea del trattamento proposto, fare una scelta
ponderata valutando personalmente il rapporto costo- beneficio.
Il medico deve adeguare la propria comunicazione alla capacità di comprensione della persona o del
rappresentante legale che si trova davanti utilizzando una terminologia che sia comprensibile,
chiarendo ogni punto e rispondendo a tutte le domande che gli vengono poste.
A volte il pz chiede molto e vuole approfondire mentre altre volte è proprio il pz a chiedere di non
sapere troppe cose perché preferisce affidarsi totalmente alle scelte del medico.
Sulla schiettezza comunicativa si è sempre dibattuto, adesso tutti concordano che bisogna dire tutta
la verità al pz ma bisognerà sempre tenere conto di chi si ha davanti, della sensibilità e della
reattività emotiva della persona, un’attenzione particolare deve essere tenuta per i soggetti ai quali
si deve dare la comunicazione della prognosi grave o infausta. Quando dobbiamo comunicare
prognosi infauste dobbiamo sempre dire la verità senza escludere elementi di speranza per il pz
perché sono poi quelli che consentono al paziente di mantenere una certa compliance per le terapie.
Il medico deve rispettare la riservatezza del pz e comunicare a terzi solo previo consenso del paziente.
A volte il pz stesso non vuole conoscere le informazioni o preferisce che vengano riferite e ad un
parente in particolare, specie ai figli quando si tratta di persone anziane, in questo caso bisogna
accertarsi che il pz sia in grado di intendere e di volere e poi fargli firmare un documento che attesti
questa delega di trasmissione di informazioni ad un altro soggetto, è importante che rimanga in
cartella un documento che attesti che è stata data questa informazione e a chi è stata data.
Normalmente all’interno delle cartelle troviamo dei moduli nei quali i pazienti il pz dichiara a chi si
possono trasmettere le informazioni relative al suo stato di salute, il medico, con il pz ricoverato, deve
raccogliere i nomi delle persone indicate che non vanno mai contattate telefonicamente perché non
siamo in grado di capire ed accertare chi sta dall’altra parte del telefono (dichiararsi il “figlio di” non
indica che poi sia effettivamente il figlio del paziente), in ogni caso dobbiamo verificare che il
nominativo sia tra i nominativi scelti dal pz per ricevere informazioni sul suo stato di salute.
Se il pz non vuole che le notizie sul suo stato di salute vengano comunicate a terzi è importante che
questa volontà sia rispettata in tutto e per tutto.
- ART. 35 (Consenso o dissenso informato):
“L’acquisizione del consenso o del dissenso è un atto di specifica ed esclusiva competenza del medico, non
delegabile.
Il medico non intraprende né prosegue in procedure diagnostiche e/o interventi terapeutici senza la preliminare
acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato.
Il medico acquisisce, in forma scritta e sottoscritta o con altre modalità di pari efficacia documentale, il
consenso o il dissenso del paziente, nei casi previsti dall’ordinamento e dal Codice e in quelli prevedibilmente
gravati da elevato rischio di mortalità o da esiti che incidano in modo rilevante sull’integrità psico-fisica.
Il medico tiene in adeguata considerazione le opinioni espresse dal minore in tutti i processi decisionali che lo
riguardano.”
Non bisogna mai delegare l’acquisizione del consenso e mai intraprendere procedure senza avere il consenso.
Il consenso può essere acquisito in forma scritta e sottoscritta o con altre modalità di pari efficacia quali una
registrazione in cui il pz registri l’informativa e il suo assenso/ diniego.
Il consenso deve essere espresso per ogni singolo atto medico.
Es: soggetto che fa una gastroscopia e gli viene diagnosticato un cancro dello stomaco: va dal chirurgo che decide
di fargli una gastrectomia che potrebbe essere totale o parziale.
Durante l’intervento il chirurgo accerta che all’interno dello stomaco non c’è nessun cancro, dà un’occhiata
all’intestino e trova un cancro del colon. Il chirurgo allora, pensando di fare la cosa migliore per il paziente per
non doverlo risvegliare e acquisire un nuovo consenso, pensando che il paziente sarebbe stato più contento,
sottopone il paziente ad una colectomia senza risvegliarlo e senza acquisire il consenso. L’intervento inizialmente
riesce, poi c’è una complicanza dovuta ad un errore del chirurgo e il pz muore. Al medico è stata contestata la
mancata acquisizione del consenso informato alla colectomia. Oltretutto, la complicanza (l’infarto mesenterico)
sarebbe stata dovuta ad una linfectomia addominale fatta in maniera troppo radicale da andare a creare una
trombosi della mesenterica che poi aveva determinato necrosi intestinale.
Il paziente aveva scelto quel determinato chirurgo perché era “il top” nella chirurgia gastrica, per cui il chirurgo
avrebbe dovuto risvegliare il paziente sia per acquisire il consenso (ovviamente) che per consentire al paziente
stesso di valutare se farsi operare dallo stesso chirurgo (esperto in interventi allo stomaco ma meno per la
chirurgia del colon e farsi operare da un altro chirurgo più esperto del colon)
Un concetto importante è l’informativa nei confronti dei minori, problematica che a tutt’oggi è in
evoluzione perché per legge il soggetto < 18 anni viene considerato non capace di intendere e di
volere ma ormai i ragazzi sono molto emancipati per cui già a 13 anni, soprattutto le ragazze, sono
assolutamente in grado di intendere e di volere per cui il diciamo che per la legge, in ogni caso si ha
necessità della firma degli esercenti la potestà; tuttavia, la legge dice anche che in caso di minore
ritenuto attendibilmente in grado di capire determinate informazioni, l’informazione debba essere
data anche allo stesso minorenne, il medico non deve tenere all’oscuro il minore dei trattamenti
diagnostico-terapeutici programmati. Per cui medico dovrà chiedere il consenso a chi esercita la
potestà ma deve informare il ragazzo e condividere l’informazione ed il consenso su determinati
interventi diagnostico-terapeutici.
In casi di discrepanza nell’accettazione di un trattamento:
- tra il minorenne (praticamente ma non legalmente ritenuto in grado di intendere e di volere) e
chi esercita la potestà,
- tra i genitori se entrambi esercitano la potestà
- tra il medico e il rappresentante legale di un soggetto interdetto (tutore) o inabilitato (curatore)
il medico può rivolgersi al giudice tutelare a cui dovrà fornire una relazione clinica che illustri tutti gli
elementi tecnici, la malattia, la necessità/urgenza del trattamento, le opzioni terapeutiche e il
trattamento proposto con relativi rischi.
Sarà poi il giudice tutelare a fornire consenso o diniego stabilendo l’opzione più vantaggiosa per il pz.
Qualora non ci fosse il tempo di aspettare cosa si fa?
Il giudice tutelare normalmente interviene in pochi giorni ma in relazione alle condizioni cliniche il
medico può procedere tempestivamente alle cure ritenute indispensabili e indifferibili, nei casi di
emergenza/urgenza si può invocare l’art. 54 del codice penale che riguarda lo stato di necessità e ci
dice che per evitare un danno grave o la morte del pz il medico può procedere allo svolgimento della
sua attività diagnostico terapeutica anche senza il consenso dell’avente diritto.
-ART. 38 (Autonomia del cittadino e direttive anticipate)
“Il medico tiene conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento espresse in forma scritta, sottoscritta
e datata da parte di persona capace e successive a un’informazione medica di cui resta traccia
documentale. La dichiarazione anticipata di trattamento comprova la libertà e la consapevolezza della
scelta sulle procedure diagnostiche e/o sugli interventi terapeutici che si desidera o non si desidera
vengano attuati in condizioni di totale o grave compromissione delle facoltà cognitive o valutative che
impediscono l’espressione di volontà attuali.
Il medico, nel tenere conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, verifica la loro congruenza logica
e clinica con la condizione in atto e ispira la propria condotta al rispetto della dignità e della qualità di
vita del paziente, dandone chiara espressione nella documentazione sanitaria.
Il medico coopera con il rappresentante legale perseguendo il migliore interesse del paziente e in caso di
contrasto si avvale del dirimente giudizio previsto dall’ordinamento e, in relazione alle condizioni cliniche,
procede comunque tempestivamente alle cure ritenute indispensabili e indifferibili.”
Il medico deve assistere il pz fino all’ultimo momento, anche quando nessun trattamento
terapeutico è più applicabile deve dedicare i suoi sforzi al miglioramento della qualità e della dignità
della vita, senza mai abbandonare il paziente, bisogna trattare il dolore, alleviare le sofferenze,
sempre rispettando le volontà del paziente (se già espresse in maniera scritta) e la sua dignità.
Il codice deontologico fa anche un riferimento importante alla proporzionalità delle cure, dicendo
che il medico nei confronti del pz incosciente deve in ogni caso proseguire la terapia del dolore e
delle cure palliative perché non abbiamo ancora conoscenza certa se soggetti in uno stato di
incoscienza sentano o meno il dolore. La prima terapia che si mette in atto al pz incosciente è la
terapia antidolorifica.
In questi soggetti bisognerà assolutamente tenere conto delle DAT.
I fondamenti giuridici del consenso erano dunque già presenti prima della legge del 2017 ed erano
già stati totalmente recepiti nel 2014 dal codice deontologico.
Il 20 aprile 2017 è stato approvato come testo unico dalla Camera e il 21/4 è stato trasmesso al
senato il progetto di legge “norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà
anticipate dei trattamenti sanitari”.
Questo inizialmente era un progetto poi è stato trasformato in Legge e parla chiaramente di due aspetti
fondamentali, sia quella del consenso medico sia quello delle DAT:
Questa legge ribadisce la necessità che all’inizio di ogni percorso diagnostico terapeutico debba
essere fornita l’informazione al pz e debba essere acquisito il consenso, ci dice anche che si può
acquisire un consenso anticipatamente sotto forma di DAT.
La legge 219 è composta di 8 articoli:
1 →Consenso informato
2 → Terapia del dolore e divieto accanimento terapeutico e della dignità della fase finale della vita
3 → Minori e incapaci
4 →DAT
5 E 6 → Pianificazione condivise delle cure
7 → Clausola in minoranza finanziaria: tutto quello che viene stabilito da questa legge deve essere fatto a
costo zero.
8 → Relazione alle camere.
LEGGE 219/17
Articolo 1
La presente legge, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli
articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, tutela il diritto alla
vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona e stabilisce che
nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e
informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”.
(TSO e vaccinazioni obbligatorie sono le eccezioni) (domanda)
2) È promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul
consenso informato nel quale si incontrano l'autonomia decisionale del paziente e la competenza,
l'autonomia professionale e la responsabilità del medico. Contribuiscono alla relazione di cura,
in base alle rispettive competenze, gli esercenti una professione sanitaria che compongono l'equipe
sanitaria. In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte
dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo.
3) Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo
completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai
rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle
possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario e
dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi. Può rifiutare in tutto o in parte di
ricevere le informazioni ovvero indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di
riceverle e di esprimere il consenso in sua vece se il paziente lo vuole. Il rifiuto o la rinuncia alle
informazioni e l'eventuale indicazione di un incaricato sono registrati nella cartella clinica e nel
fascicolo sanitario elettronico.
4) Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni alle condizioni del
paziente, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con
disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. Il consenso informato, in
qualunque forma espresso, è inserito nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.
5) Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare, in tutto o in parte, con le stesse forme di
cui al comma 4, qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico
per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Ha, inoltre, il diritto di revocare in
qualsiasi momento, con le stesse forme di cui al comma 4, il consenso prestato, anche quando la
revoca comporti l'interruzione del trattamento. Ai fini della presente legge, sono considerati
trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l'idratazione artificiale, in quanto somministrazione,
su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici. Qualora il paziente esprima la
rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta
al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili
alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei
servizi di assistenza psicologica. Ferma restando la possibilità per il paziente di modificare la
propria volontà, l'accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica e nel
fascicolo sanitario elettronico.
6) Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento
sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità
civile o penale. Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla
deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il
medico non ha obblighi professionali.
7) Nelle situazioni di emergenza o di urgenza il medico e i componenti dell'equipe sanitaria
assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e
le circostanze consentano di recepirla.
8) Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura.
9) Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la
piena e corretta attuazione dei principi di cui alla presente legge, assicurando l'informazione
necessaria ai pazienti e l'adeguata formazione del personale.
10) La formazione iniziale e continua dei medici e degli altri esercenti le professioni sanitarie
comprende la formazione in materia di relazione e di comunicazione con il paziente, di terapia del
dolore e di cure palliative.
11) É fatta salva l'applicazione delle norme speciali che disciplinano l'acquisizione del consenso
informato per determinati atti o trattamenti sanitari.
Quando forniamo un’informazione ci dobbiamo porre allo stesso livello della persona con cui stiamo
parlando (è inutile che ci mettiamo a parlare di pubblicazioni, studi, con insomma un lessico troppo
complesso perché una informazione data con questi termini non ha nessun valore.
Il rifiuto del paziente è importante quanto il consenso, quando ci troviamo in corsia e un soggetto
rifiuta il trattamento che viene proposto, a maggior ragione dobbiamo documentare (per iscritto
nella cartella) il tipo di informazione che abbiamo dato, dobbiamo anche spiegare e mettere quindi
per iscritto e far sottoscrivere. Anche il consenso ovviamente va tenuto in forma scritta.
Il paziente può rifiutare totalmente o in parte la ricezione delle informazioni e deve indicare il
nominativo di un familiare o di una persona fiduciaria che incarica di ricevere al suo posto.
Il paziente, se è in grado di intendere e di volere, può esprimere il nominativo del soggetto che dovrà
esprimere il consenso al suo posto. Bisogna dare al paziente le informazioni che possano spiegare la
migliore scelta possibile.
Il consenso è revocabile, in parte o totalmente, in qualsiasi momento se il soggetto è in grado di
intendere e di volere.
Per la prima volta anche la nutrizione e l’idratazione vengono considerati trattamenti sanitari e
come tali possono essere acconsentiti o negati dal paziente stesso anche se questi trattamenti sono
ritenuti necessari alla sopravvivenza.
Qualsiasi informazione, consenso o diniego deve risultare nella cartella clinica firmata da noi e
controfirmata dal paziente o dal suo rappresentante legale.
È IMPORTANTE è CHE DEVE ESSERE TUTTO SCRITTO E SOTTOSCRITTO e conservato nella cartella
clinica o nel fascicolo sanitario (MMG)
DEVE ESSERE MESSO PER ISCRITTO CHE IL PAZIENTE SIA STATO MESSO NELLA POSIZIONE DI POTER
SCEGLIERE NELLA MANIERA PIU’ SERENA POSSIBILE SE SOTTOPORSI A QUEL DETERMINATO
TRATTAMENTO.
È anche prevista una pianificazione condivisa delle cure, per le malattie degenerative, a
progressione “nota” ed infausta; quando il paziente è ancora in grado di intendere e volere fornisce
indicazioni ai sanitari sulle sue volontà ed indica il nome di un eventuale fiduciario.
Anche questa deve essere scritta e i medici vi si devono attendere; deve presupporre
un’adeguata informazione sulla patologia e qualità della vita e eventuali possibilità terapeutiche e
palliative.
Naturalmente per fare questa pianificazione condivisa delle cure il paziente (o i familiari) vengono
adeguatamente informati sulla possibilità dell’evoluzione nefasta della malattia e su quanto il
paziente possa attendersi in termini di qualità della vita e sulle possibilità cliniche di intervenire e
sulle cure palliative.
Il paziente deve esprimere il proprio consenso riguardo la pianificazione condivisa delle cure e dire
quali siano le proprie disposizioni future e indicare il nome dell’eventuale fiduciario (in forma
scritta/ attraverso videoregistrazioni o dispositivi che consentano anche alla persona che con
disabilità di poter comunicare e devono essere inseriti nella cartella clinica).
La modifica può essere fatta in relazione all’evoluzione della malattia, sia su richiesta del
medico che del paziente.
Qualora, prima dell’entrata in vigore di questa legge siano già state fatte delle DAT depositate nel
comune o presso il notaio, si devono applicare le stesse disposizioni della legge: se uno ha fatto le
DAT prima queste hanno comunque valenza di legge.
-ART. 7 (Clausola di invarianza finanziaria)
Le amministrazioni pubbliche interessate provvedono all'attuazione delle disposizioni della presente
legge nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e,
comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Le modificazioni di queste leggi non devono dare oneri di spesa finanziaria, quindi tutte queste
disposizioni possono essere modificate senza spese aggiuntive.
LEGGE 28 marzo 2001, n. 145 ratifica della Convenzione di Oviedo sulla biomedicina
Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei diritti
dell'uomo e della dignità dell'essere umano riguardo all'applicazione della biologia e della medicina:
Convenzione sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997.
Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle
applicazioni della biologia e della medicina (Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina).
-ART 5: Senza consenso libero e informato dell’avente diritto non si possono effettuare interventi
sanitari di alcun tipo;
-ART. 26: vi possono essere eccezioni, sempre che queste siano consentite dalla legge.
Ogni atto medico-chirurgico, in mancanza di acquisizione del consenso informato, è da considerarsi
illecito e configura una violazione perseguibile:
- In sede penale
- In sede civile
- In sede deontologica
RESPONSABILITÀ NELLA CONDOTTA DEL MEDICO CHE AGISCE CONTRO LA VOLONTÀ DEL PAZIENTE
Illiceità sia penale che civile della condotta del medico che ha operato contro la volontà del paziente,
direttamente o indirettamente manifestata, a prescindere dall’esito trattandosi di una condotta che
realizza una illegittima coazione dell’altrui volere.
Responsabilità penale in mancanza di acquisizione del consenso
Se il medico sottopone il paziente ad un trattamento diverso da quello di cui ha preso il consenso
allora questo intervento se è stato eseguito secondo la legge e si è concluso con esisto fausto allora il
medico non può essere punito. Se invece si è concluso con esisto infausto il medico è penalmente
punibile o con “lesioni personali volontarie” o con “omicidio preterintenzionale”.
Responsabilità civile in mancanza di acquisizione del consenso
Dato che il rapporto medico-paziente è di tipo contrattuale, la violazione dell’obbligo di informazione
dà luogo ad una responsabilità di tipo contrattuale con obblighi risarcitori solo nel caso in cui c’è
esito infausto perché se c’è esito fatto non esiste un danno risarcibile.
Responsabilità deontologica in mancanza di acquisizione del consenso
Ogni atto medico-chirurgico, in mancanza di acquisizione del consenso informato, configura una
violazione al codice di Deontologia Medica, ed è pertanto perseguibile mediante sanzione
disciplinare: - Avvertimento - Censura - Sospensione - Radiazione
Aggiunte
Consenso nel minore
- Tra i 6 e i 7 anni: Il bambino non può esprimere un consenso autonomo
- Tra i 7 e i 13 anni: può essere coinvolto anche se prevale il consenso dei genitori.
- > 14 anni: il bambino è prioritariamente coinvolto anche se il consenso compete legalmente ai
genitori.
In caso di dissenso su questioni di particolare importanza, ciascuno dei genitori e poi può ricorrere
al giudice del tribunale dei minori indicando i provvedimenti che ritiene più idonei. Se il padre o la
madre rifiutano un trattamento ma il figlio la pensa diversamente, secondo la legge di intervento
che non riveste un carattere di urgenza deve essere rimandato finché il minore non avrà 18 anni.
Voi sapete che il nostro sistema giuridico prevede tre gradi di giudizio:
- 1° grado, fatto dai tribunali
- 2° grado, fatto dalle corti d’appello
- 3° grado fatto dai giudici della cassazione
La cassazione è il tribunale di terzo grado, a cui ci si può rivolgere in caso di non accettazione della
sentenza di secondo grado, la cassazione è un tribunale a se stante a sua volta composto da varie
sezioni ed è per questo che una sentenza della cassazione ha un valore giuridico inferiore rispetto ad
una sentenza della cassazione a sezioni riunite, composta da più giudici della cassazione che si
riuniscono ed affrontano un argomento giuridico dettando le regole quindi tale sentenza ha vero e
proprio valore di legge, ma anche le sentenze del tribunale di primo grado quando vanno tutte nella
stessa direzione, cioè l’interpretazione di una legge è univoca fanno giurisprudenza.
Il codice deontologico non ha valore di legge ma l’inosservanza di quanto disposto dal codice
deontologico comporta per il medico l’apertura di un procedimento disciplinare, quindi, ha valore
all’interno del gruppo dei medici e degli odontoiatri. Tuttavia, spesso alcuni giudici dei tribunali
interpretano l’inosservanza del codice deontologico come una vera e propria violazione di legge,
questo ci fa capire quanto sia importante il rispetto del codice deontologico anche per i tribunali.
Lez 3 (15.03.22)
Codice di deontologia medica 2014
Raccolta di leggi/raccomandazioni prescrittive (obbligatorie) che guidano il medico nel lavoro.
Risultato del consenso di giuristi e medici che hanno affrontato i principali temi etici e giuridici.
Bisogna sempre leggerlo perché rappresenta un vademecum dei comportamenti che il medico deve
tenere, pena la possibilità di essere sottoposti a procedimento disciplinare da parte dell’ordine dei
medici. In questo caso la commissione disciplinare commisurerà le eventuali sanzioni disciplinari in
base al caso.
Il codice odierno è stato redatto nel 2014 e sono state apportate delle modifiche:
- Art 54-56 nel 2016
- Art 76 nel 2017
- Art 17 nel 2020 sono stati introdotti degli indirizzi applicativi allegati.
* NB: In alcuni casi il codice deontologico viene preso come linea guida da parte dei giudici che
devono valutare eventuali profili di responsabilità professionale sia civile che penale dandogli quindi
ulteriore valenza.
Il codice deontologico è un codice di comportamento, un corpus di regole di autodisciplina
predeterminate dalla professione, vincolante per gli iscritti all’ordine, la cui condotta professionale
va adeguata su tali norme.
Il medico deve conoscerlo perché in esso ci sono le regole che disciplinano l’esercizio della
professione del medico chirurgo il quale si impegna a tutelare la salute individuale e collettiva.
In realtà il Codice regola anche tutti i comportamenti che vengono assunti dal medico al di fuori
dell’esercizio e quando sono ritenuti rivelanti per il decoro della professione. È stato aggiornato il 18
maggio 2014 dal Consiglio Nazionale della FNOMCeO e si compone di 79 articoli suddivisi in 18 titoli
più la disposizione finale.
- Titolo 1: CONTENUTI E FINALITÀ
- Articolo 1: definizione: è questo articolo che ci spiega che cosa tratta il codice deontologico.
- Articolo 2: potestà disciplinare.
Questo articolo spiega che se il medico non osserva il Codice è illecito disciplinare e
che il medico deve segnalare ogni iniziativa tendente a contrastare il codice.
- Titolo 2: DOVERI E COMPETENZE DEL MEDICO
- Articolo 3: doveri generali e competenze del medico
- Articolo 4: libertà e indipendenza della professione. Autonomia e responsabilità del medico
- Articolo 5: promozione della salute, ambiente e salute globale
- Articolo 6: qualità professionale e gestionale
- Articolo 7: status professionale
- Articolo 8: dovere di intervento
- Articolo 9: calamità
- Articolo 10: segreto professionale
- Articolo 11: riservatezza dei dati personali
- Articolo 12: trattamento dei dati sensibili
- Articolo 13: prescrizione a fini di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione
- Articolo 14: prevenzione e gestione di eventi avversi e sicurezza delle cure
- Articolo 15: sistemi e metodi di prevenzione, diagnosi e cura non convenzionali
- Articolo 16: procedure diagnostiche e interventi terapeutici non proporzionati
- Articolo 17: atti finalizzati a provocare la morte
- Articolo 18: trattamenti che incidono sull’integrità psico-fisica
- Articolo 19: aggiornamento e formazione professionale permanente
- Titolo 3: RAPPORTI CON LA PERSONA ASSISTITA
- Articolo 20: relazione di cura
- Articolo 21: competenza professionale
- Articolo 22: rifiuto di prestazione professionale
- Articolo 23: continuità delle cure
- Articolo 24: certificazione
- Articolo 25: documentazione sanitaria
- Articolo 26: cartella clinica
- Articolo 27: libera scelta del medico e del luogo di cura
- Articolo 28: risoluzione del rapporto fiduciario
- Articolo 29: cessione di farmaci
- Articolo 30: conflitto di interessi
- Articolo 31: accordi illeciti nella prescrizione
- Articolo 32: doveri del medico nei confronti dei soggetti fragili
- Titolo 4: INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE CONSENSO E DISSENSO
- Articolo 33: informazione e comunicazione con la persona assistita
- Articolo 34: informazione e comunicazione a terzi
- Articolo 35: consenso e dissenso informato
- Articolo 36: assistenza di urgenza e di emergenza
- Articolo 37: consenso o dissenso del rappresentante legale
- Articolo 38: dichiarazioni anticipate di trattamento
- Articolo 39: assistenza al paziente con prognosi infausta o con definitiva compromissione dello
stato di coscienza
- Titolo 5: TRAPIANTI DI ORGANI, TESSUTI E CELLULE
- Articolo 40: donazione di organi, tessuti e cellule
- Articolo 41: prelievo di organi, tessuti e cellule a scopo di trapianto
- Titolo 6: SESSUALITÀ, RIPRODUZIONE E GENETICA
- Articolo 42: informazione in materia di sessualità, riproduzione e contraccezione
- Articolo 43: interruzione volontaria di gravidanza
- Articolo 44: procreazione mediamente assistita
- Articolo 45: interventi sul genoma umano
- Articolo 46: indagini predittive
- Titolo 7: RICERCA E SPERIMENTAZIONE
- Articolo 47: sperimentazione scientifica
- Articolo 48: sperimentazione umana 7
- Articolo 49: sperimentazione clinica
- Articolo 50: sperimentazione sull’animale
- Titolo 8: TRATTAMENTO MEDICO E LIBERTÀ PERSONALE
- Articolo 51: soggetti in stato di limitata libertà personale
- Articolo 52: tortura e trattamenti disumani
- Articolo 53: rifiuto consapevole di alimentarsi
- Titolo 9: ONORARI PROFESSIONALI, INFORMAZIONE E PUBBLICITÀ SANITARIA
- Articolo 54: esercizio libero professionale. Onorari e tutela della responsabilità civile
- Articolo 55: informazione sanitaria
- Articolo 56: pubblicità informativa sanitaria
- Articolo 57: divieto di patrocinio a fini commerciali
- Titolo 10: RAPPORTO CON I COLLEGHI
- Articolo 58: rapporto tra i colleghi
- Articolo 59: rapporto con il medico curante
- Articolo 60: consulto e consulenza
- Articolo 61: affidamento degli assistiti
- Titolo 11: ATTIVITÀ MEDICO-LEGALE
- Articolo 62: attività medico-legale
- Articolo 63: medicina fiscale
- Titolo 12: RAPPORTI INTRA E INTERPROFESSIONALI
- Articolo 64: rapporti con l’Ordine professionale
- Articolo 65: società tra professionisti
- Articolo 66: rapporto con altre professioni sanitarie
- Articolo 67: prestanomismo e favoreggiamento all’esercizio abusivo della professione
- Titolo 13: RAPPORTI CON LE STRUTTURE SANITARIE PUBBLICHE E PRIVATE
- Articolo 68: medico operante in strutture pubbliche e private
- Articolo 69: direzione sanitaria e responsabile sanitario
- Articolo 70: qualità ed equità delle prestazioni
- Titolo 14: MEDICINA DELLO SPORT
- Articolo 71: valutazione dell’idoneità alla pratica sportiva
- Articolo 72: valutazione del mantenimento dell’idoneità all’attività sportiva agonistica
- Articolo 73: doping
- Titolo 15: TUTELA DELLA SALUTE COLLETTIVA
- Articolo 74: trattamento sanitario obbligatorio e denunce obbligatorie
- Articolo 75: prevenzione, assistenza e cura delle dipendenze fisiche o psichiche
- Titolo 16: MEDICINA POTENZIATIVA ED ESTETICA
- Articolo 76: medicina potenziativa ed estetica
- Titolo 17: MEDICINA MILITARE
- Articolo 77: medicina militare
- Titolo XVII: INFORMATIZZAZIONE E INNOVAZIONE SANITARIA
- Articolo 78: tecnologie informatiche
- Articolo 79: innovazione e organizzazione sanitaria
- DISPOSIZIONE FINALE
Questo articolo dice innanzitutto che il codice identifica le regole ispirate principi di etica medica che
disciplinano l'esercizio professionale del medico chirurgo e dell'odontoiatra devono essere rispettate dagli
iscritti agli ordini Il codice, in armonia con i principi di umanità, solidarietà e sussidiarietà, impegna il
medico nella tutela della salute individuale e collettiva, vigilando sulla dignità, sul decoro,
sull'indipendenza e sulla qualità della professione.
Il codice regola anche comportamenti assunti al di fuori dell'esercizio professionale quando ritenuti
rilevanti incidenti sul decoro della professione.
(Ad esempio, se un medico commette un omicidio è oggetto di provvedimento disciplinare da parte della
commissione.) Il medico deve conoscere e rispettare il codice indirizzi applicativi allegati.
Il medico deve prestare il giuramento professionale che a parte costitutiva del codice stesso.
I medici sono obbligati a segnalare al proprio ordine regionale qualsiasi comportamento messo in atto
dai colleghi che violi le norme del codice e anche la normale onorabilità del medico stesso.
Doveri e competenze
1 Tutela della vita e della salute dell’individuo e della comunità
2 Trattamento del dolore e sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e della
libertà della persona
3 Non fare nessun tipo di discriminazione tra i pazienti
4 Il dovere non si limita al singolo soggetto ma riguarda anche la salute collettiva, infatti, i
medici devono essere formati – attraverso il corso di laurea – a mettere in atto dei
comportamenti che tutelino sia la salute del singolo sia la salute collettiva. (osservanza del
codice e quindi solidarietà, umanità, sussidiarietà)
5 Avere i 3 requisiti fondamentali per svolgere la professione del medico:
o Aver conseguito la laurea
o Aver conseguito l’abilitazione
o Essere iscritti all’ordine professionale, non si può esercitare senza essere iscritti
6 Attento aggiornamento
7 Attento insegnamento Obbligo
8 Ricerca e fare prevenzione, cura e riabilitazione
9 Esercizio autonomo professione senza influenza (art.4)
10 Dovere di intervento
Art. 4 – Libertà e indipendenza della professione. Autonomia e responsabilità del medico.
“L’esercizio professionale del medico è fondato sui principi di libertà, indipendenza, autonomia e
responsabilità.
Il medico ispira la propria attività professionale ai principi e alle regole della deontologia
professionale senza sottostare a interessi, imposizioni o condizionamenti di qualsiasi natura”
L’attività del medico deve essere caratterizzata dal libero agire e da una certa indipendenza,
autonomia decisionale e responsabilità.
Il medico ha le sue responsabilità ma ha anche una sua autonomia decisionale che trova fondamento
nella cultura scientifica che ha acquisito negli anni di laurea e specializzazione. L’attività del medico
deve essere scevra da condizionamenti, imposizioni ed interessi di qualsiasi natura.
Ci riferiamo ad eventuali condizionamenti sulla prescrizione dei farmaci.
Il medico deve promuovere anche la salute globale, prendendo in considerazione anche l’ambiente
di lavoro e di vita dei suoi pazienti, deve considerare i livelli di istruzione ed equità sociale che
devono costituire la base fondante della salute collettiva.
Il medico ha il compito di collaborare ad attuare politiche di educazione, prevenzione e contrasto
delle disuguaglianze nella salute, deve anche promuovere stili di vita salubri ed informare sui fattori
di rischio correlati agli stili di vita.
Per promuovere la salute della collettività il medico deve comunicare i rischi che un ambiente
malsano può determinare sulla salute del singolo e della collettività.
Il medico ha anche il compito di istruire, soprattutto per quanto riguarda le future generazioni, su
stili di vita adeguati e soprattutto sul rispetto di alcuni parametri che poi vanno ad influire
negativamente sull’ambiente (in generale e in particolare sull’ambiente di lavoro) e
conseguentemente sulla salute dei soggetti stessi.
Il medico deve basare la sua attività su competenze scientifiche basate su principi di appropriatezza
ed efficacia. Ad esempio, se prescrive un farmaco devono esserci degli studi scientifici che facciano
propendere per un vantaggio nella somministrazione di quel determinato farmaco, quindi che sia
efficace ed appropriato.
Per fare questo è necessario che il medico sia in continuo aggiornamento e che non basi le proprie
azioni sulla base di iniziali conoscenze che non sono state adeguatamente revisionate.
Altro compito importante è tenere conto ed avere rispetto delle risorse sia pubbliche che private che
vengono a conseguenza delle proprie prescrizioni mediche. Parliamo di prescrivibilità adeguata alle
risorse pubbliche. Una grande parte del budget della sanità viene usata per le spese farmaceutiche, il
compito del medico è dare il miglior farmaco senza sperperare il denaro pubblico.
In nessun caso il medico deve approfittare del suo status professionale, i medici possono rivestire
cariche pubbliche ma non possono utilizzare queste cariche per trarne vantaggi professionali (ad
esempio farsi pubblicità ed accaparrarsi i pazienti).
Art. 8 – Dovere di intervento.
“Il medico in caso di urgenza, indipendentemente dalla sua abituale attività, deve prestare soccorso e
comunque attivarsi tempestivamente per assicurare idonea assistenza. “
Il medico in caso di urgenza è obbligato a prestare soccorso o ad attivarsi per assicurare assistenza,
indipendentemente dalle proprie abituali attività.
Non intervenire, viola il codice deontologico e anche il Codice penale “omissione di soccorso” con
l’aggravante che l’obbligo di prestare soccorso per un medico è ancora più stringente.
Art. 9 – Calamità.
“Il medico in ogni situazione di calamità deve porsi a disposizione dell’Autorità competente.”
(protezione civile ed ospedali).
Ad esempio, se c’è un grande incidente che coinvolge molti feriti il medico deve mettersi a
disposizione anche fuori dal suo orario di lavoro.
Il medico può trattare i dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute della persona solo con il
consenso informato della stessa o del suo rappresentante legale e nelle specifiche condizioni
previste dall’ordinamento. Quando riveliamo una notizia possiamo violare anche il regolamento della
privacy che è ancora più vincolante del segreto professionale.
Farmaco off-label: prescritto quando tutti i trattamenti previsti dalla farmacopea sono andati e vuoto. Il
codice deontologico dice che per la prescrizione dei farmaci off-label ci deve essere una circostanziale
situazione e che deve essere preventiva all’acquisizione del consenso.
ART. 16 – procedure diagnostiche ed interventi terapeutici non proporzionati
“Il medico, tenendo conto delle volontà espresse dal paziente o dal suo rappresentante legale e dei
principi di efficacia e di appropriatezza delle cure, non intraprende né insiste in procedure
diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati, dai
quali non ci si possa fondatamente attendere un effettivo beneficio per la salute e/o un
miglioramento della qualità della vita.
Il controllo efficace del dolore si configura, in ogni condizione clinica, come trattamento appropriato e
proporzionato.
Il medico che si astiene da trattamenti non proporzionati non pone in essere in alcun caso un
comportamento finalizzato a provocare la morte.”
La cartella clinica è la raccolta di tutti gli elementi che sono stati rilevati e acquisiti in corso di un
ricovero, non solo in ambito ospedaliero, ma anche nel setting della medicina generale in cui vi è la
cartella in cui sono raccolti tutti gli esami strumentali e non effettuati dal pz, i reperti clinici, le
terapie, le vaccinazioni. Quindi, l’importanza della cartella clinica è molteplice:
-clinica: se ben compilata, consente a cui va a valutare il pz per la prima volta, di avere un quadro
della sintomatologia, accertamenti e terapie precedenti;
-medico-legale: rappresenta l’unico strumento che il medico ha a disposizione per potersi difendere
da eventuali richieste di risarcimento e/o denunce penali. La cartella clinica è, infatti, un atto
pubblico e, come tale, ha una importanza e validità probatoria fino a dichiarazione e/o denuncia di
falso (cioè quello che viene scritto nella cartella clinica viene ritenuto veritiero fino a dimostrazione
di falso).
Nella Legge Gelli è scritto proprio che la struttura sanitaria deve assicurare la cartella clinica del
paziente entro massimo sette giorni.
-ART. 27 - LIBERA SCELTA DEL MEDICO E DEL LUOGO DI CURA
-La libera scelta del medico e del luogo di cura costituisce diritto della persona
Si parla del MMG come medico di libera scelta, in realtà, è una scelta semi-obbligata; può, cioè,
essere fatta solo all’interno di un determinato gruppo di medici, quelli convenzionati.
-È vietato qualsiasi accordo tra medici tendente a influenzare la libera scelta della persona
assistita, pur essendo consentito indicare, se opportuno e nel suo esclusivo interesse, consulenti o
luoghi di cura ritenuti idonei al caso.
Spesso si assiste, tra gli MMG che stanno per andare in pensione, della “vendita” dei loro
mutuati (consigliano, cioè, ai propri pz un determinato medico, dietro compenso monetario da
parte dello stesso). Questo comportamento viene stigmatizzato da questo articolo ed è non solo
deontologicamente, ma anche penalmente scorretto.
Il codice deontologico, però, prevede di poter consigliare ai propri pz di fare un accertamento
da un medico piuttosto che da un altro purché tale consiglio sia dettato da una stima per il
collega e non da secondi fini.
Un tempo, negli studi del MMG si trovavano farmaci pieni di farmaci che venivano forniti dai
rappresentanti farmaceutici per pubblicità. Questo fenomeno, con gli anni, si è andato sempre più
riducendo ma, in ogni caso, il medico non può cedere alla cessione di tali farmaci dietro pagamento.
È ugualmente vietato il comparaggio. Per comparaggio si intende una situazione in cui il medico
diventa “compare” del farmacista. Quando il farmacista ha un eccesso di un determinato farmaco
che non riesce più a vendere, si mette d’accordo con il MMG promettendo, al fronte di una
prescrizione di tali farmaci, un compenso. Tale pratica è vietata non solo dal codice deontologico ma
presuppone un reato penale.
-ART. 30 - CONFLITTO DI INTERESSI
-Il medico evita qualsiasi condizione di conflitto di interessi nella quale il
comportamento professionale risulti subordinato ad indebiti vantaggi economici o di altra
natura.
-Il medico dichiara le condizioni di conflitto di interessi riguardanti aspetti economici e di
altra natura che possono manifestarsi nella ricerca scientifica, nella formazione e
nell’aggiornamento professionale, nella prescrizione diagnostico-terapeutica, nella divulgazione
scientifica, nei rapporti individuali e di gruppo con industrie, enti, organizzazioni e istituzioni, o
con la Pubblica Amministrazione, attenendosi agli indirizzi applicativi allegati.
In precedenza, le case farmaceutiche, al fronte della prescrizione di un determinato
farmaco, premiavano i medici promettendo e fornendo dei vantaggi economici, viaggi,
benefit. Questo tipo di comportamento deve essere bandito dal medico stesso. Il conflitto di
interessi si può configurare anche in un quadro di ricerca scientifica.
Tutela dei minori, vittime di abuso o violenza, soggetti con vulnerabilità psichiche o sociali, anziani,
invalidi gravi. A tutti questi si deve garantire tutela completa. Abuso, violenza e maltrattamento,
rappresentano, in alcune condizioni, dei veri e propri reati penali. Il medico è, quindi chiamato a
redigere il referto (nel caso di un libero professionista) o il rapporto (nel caso di pubblico ufficiale).
-Il medico prescrive e attua misure e trattamenti coattivi fisici (contenzione), farmacologici e
ambientali nei soli casi e per la durata connessi a documentate necessità cliniche, nel rispetto della
dignità e della sicurezza della persona
Trattamenti coattivi nel rispetto della dignità e dell’integrità della persona. Per esempio, in psichiatria
si richiede la contenzione (TSO) se la mancata contenzione fosse causa di danno al paziente o a terzi.
È chiaro che, in linea generale, dal punto di vista etico, il medico deve sempre proporre dei
trattamenti che abbiano possibilità di efficacia e il miglioramento soprattutto di qualità della vita.
La tendenza attuale è che misure coattive debbano essere riservate solo ad esclusive situazioni in cui
sia assolutamente necessario e non siano possibili trattamenti diversi da quelli dell’immobilizzazione
fisica e/o farmacologica. Prima di prescrivere tali misure, il medico dovrà documentare il fallimento
di altri metodi alternativi.
Lez.5 (05.04.22)
• TITOLO IV: INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE CONSENSO E DISSENSO
- L’informazione a terzi può essere fornita previo consenso esplicitamente espresso dalla persona
assistita, fatto salvo quanto previsto agli artt. 10 e 12, allorché sia in grave pericolo la salute o la
vita del soggetto stesso o di altri.
- Il medico, in caso di paziente ricoverato, raccoglie gli eventuali nominativi delle persone indicate
dallo stesso a ricevere la comunicazione dei dati sensibili.
Il medico può fornire informazioni ad un parente del pz solo previa autorizzazione scritta da
parte del pz stesso. In caso di mancata autorizzazione, qualsiasi comunicazione può essere
considerata come una violazione del segreto professionale.
Vi è una assoluta centralità del pz (se in grado di intendere e volere) nel prendere le decisioni.
-ART. 36 – ASSISTENZA DI URGENZA E DI EMERGENZA.
Il medico assicura l’assistenza indispensabile, in condizioni d’urgenza e di emergenza, nel rispetto delle
volontà se espresse o tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento se manifestate.
Il medico, in caso di paziente minore o incapace, acquisisce dal rappresentante legale il consenso o il
dissenso informato alle procedure diagnostiche e/o agli interventi terapeutici.
Il medico segnala all’Autorità competente l’opposizione da parte del minore informato e consapevole o
di chi ne esercita la potestà genitoriale a un trattamento ritenuto necessario e, in relazione alle condizioni
cliniche, procede comunque tempestivamente alle cure ritenute indispensabili e indifferibili.
- Il medico non abbandona il paziente con prognosi infausta o con definitiva compromissione dello
stato di coscienza, ma continua ad assisterlo e se in condizioni terminali impronta la propria opera
alla sedazione del dolore e al sollievo dalle sofferenze tutelando la volontà, la dignità e la qualità
della vita.
- Il medico, in caso di definitiva compromissione dello stato di coscienza del paziente, prosegue nella
terapia del dolore e nelle cure palliative, attuando trattamenti di sostegno delle funzioni vitali finché
ritenuti proporzionati, tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento.
In caso di donazione da vivente a vivente (ad es. donazione di rene) ci deve essere un consenso
ultra-informato e firmato per iscritto.
Cosa succede quando c’è la morte cerebrale?
1. Solitamente viene identificato in rianimazione, il medico della rianimazione accerta che un
soggetto possa essere cerebralmente morto e avvisa la direzione sanitaria,
2. La direzione sanitaria ha l’obbligo di convocare immediatamente la “commissione morte
cerebrale” di cui fanno parte: un medico rianimatore, un medico neurologo esperto in
EEG un medico legale che funge da presidente di questo collegio per la morte cerebrale.
Il collegio si instaura su avviso da parte del medico del reparto che ha in cura il pz.
L'accertamento della morte cerebrale si fa sulla base di rilievi clinici e strumentali, i requisiti sono:
• assenza di vigilanza o coscienza
• assenza di riflessi tronco encefalico: corneale, fotomotore, oculocefalico, oculovestibolare,
reazione a stimoli dolorifici nel territorio di innervazione trigeminale, riflesso carenale
• assenza di respiro spontaneo e autonomo (quando all’EGA si rilevi una pCO2 ≥
60mmHg)
• assenza di attività elettrica cerebrale, EEG silente, corrispondente ad un potenziale
elettrico cerebrale inferiore ai 2 microvolt, per la durata di almeno 30 minuti (ad
entrambe le misurazioni di inizio e fine del tempo di osservazione)
• assenza flusso ematico encefalico, valuta con eco-doppler transcranico e dei vasi epi- aortici
se non è possibile effettuare EEG, ad esempio, se il soggetto ha subito un intervento
neurochirurgico con asportazione di uno sportello osseo
Quando vengono riscontrati questi parametri si instaura la commissione che fa due rilievi, al tempo 0
e alla 6° ora negli adulti, nei due rilievi devono essere rilevati i parametri
sopraelencati. L’osservazione si protrae per 6 ore e in caso di danno anossico il periodo di
osservazione (instaurazione della commissione) parte non prima di 24 ore dopo l’insorgenza
dell’insulto anossico, a meno che non ci sia evidenza di assenza flusso ematico cerebrale perché
l’assenza di flusso ematico encefalico si determina perché il cervello reagisce all’insulto
anossico/traumatico determinando un massivo edema cerebrale che comprime i vasi cerebrali e
impedisce al flusso ematico delle carotidi di raggiungere le cellule nervose. (insulti possibili: insulto
anossico, un grave traumatismo, un danno assonale diffuso,
un’emorragia cerebrale massiva, un ictus massivo).
L’osservazione da parte della commissione si fa dunque due volte, all’inizio e alla fine del periodo di
osservazione, poi la certificazione della morte cerebrale deve coincidere con l’inizio
dell’accertamento della morte cerebrale stessa. Il medico legale ha l’obbligo di certificare che tutti i
parametri previsti dalla legge siano soddisfatti e ha anche l’obbligo di fare il certificato necroscopico
in cui risulta che il soggetto è deceduto per morte cerebrale. Nei bambini (1-5 anni) il periodo di
osservazione è più lungo, i rilievi sono a tempo 0 e alla 12° ora Nei neonati con meno di un anno di
vita, il periodo di osservazione è di 24 ore.
L’EEG, invece, viene fatto per 2 volte: al tempo 0 e nei 30 min finali del tempo di osservazione.
-ART. 41 – PRELIEVO DI ORGANI, TESSUTI E CELLULE A SCOPO DI TRAPIANTO (Non letto)
- Il prelievo da cadavere di organi, tessuti e cellule a scopo di trapianto terapeutico è praticato nel
rispetto dell’ordinamento garantendo la corretta informazione dei familiari.
- Il prelievo da vivente è aggiuntivo e non sostitutivo del prelievo da cadavere e il medico,
nell’acquisizione del consenso informato scritto, si adopera per la piena comprensione dei rischi da parte
del donatore e del ricevente.
- Il medico non partecipa ad attività di trapianto nelle quali la disponibilità di organi, tessuti e cellule
abbia finalità di lucro.
Il medico deve promuovere una procreazione cosciente e responsabile, deve quindi fornire alle
coppie una idonea informazione in ambito di sessualità, riproduzione e contraccezione.
Non si può fare una selezione dei geni migliori per creare un super uomo.
Detto solo: Il medico può prescrivere indagini per svelare malformazioni genetiche nel feto, bisogna
informare la paziente sull’attendibilità degli esami che vengono effettuati.
Il medico non prescrive test predittivi a fine assicurativo o occupazionale.
Il medico deve effettuare attività sperimentazione solo per lo scopo del progresso in medicina, a fini
di ricerca scientifica per migliorare le conoscenze, gli interventi preventivi, diagnostici e terapeutici
con il fine unico della tutela della salute e della vita umana.
-ART. 48 – SPERIMENTAZIONE UMANA.
- Il medico propone e attua protocolli sperimentali clinici a fini preventivi o diagnostico- terapeutici su
volontari sani e malati se sono scientificamente fondati la loro sicurezza e il razionale della loro
efficacia.
- La redazione del rapporto finale di una sperimentazione è una competenza esclusiva e non
delegabile del medico sperimentatore.
- Il medico garantisce che il soggetto reclutato non sia sottratto a consolidati trattamenti
indispensabili al mantenimento o al ripristino dello stato di salute.
La sperimentazione sull'uomo deve essere sempre effettuata previa acquisizione di uno specifico
consenso scritto del pz che viene sottoposto a sperimentazione.
Le sperimentazioni devono seguire protocolli scientifici ispirati alla salvaguardia della vita e
dell’integrità psicofisica del soggetto e al rispetto della dignità del paziente.
Nella sperimentazione il consenso è il primum movens e deve sempre essere acquisito a seguito di una
corretta spiegazione del medico che dovrà indicare le finalità della sperimentazione, i risultati
attesi, le possibili complicanze ecc.
Nel minore e nell’incapace (d’intendere e di volere) la sperimentazione è ammessa solo per finalità
preventive o terapeutiche e il medico deve sempre documentare la volontà del minore e tenerne
conto nello svolgimento delle sue attività.
La sperimentazione può coinvolgere soggetti sani o malati e in ogni caso deve avere una base di
sicurezza ed efficacia. Quando si sperimenta un farmaco, la fase 1 riguarda la sicurezza e deve
assicurare che quel farmaco non abbia effetti tossici sui pz. La fase 2 e 3 invece esaminano l’efficacia
della terapia sulla malattia specifica.
Il medico sperimentatore, al termine della sperimentazione dovrà redigere un rapporto in cui esamina i
dati e trae le relative conclusioni con conseguente pubblicazione scientifica.
Sull’animale il medico deve impegnarsi ad effettuare una sperimentazione che rispetti la normativa
attuale, evitando inutili sofferenze è possibile fare obiezione di coscienza
• TITOLO VII: TRATTAMENTO MEDICO E LIBERTÀ PROFESSIONALE
-ART. 51 – SOGGETTI IN STATO DI LIMITATA LIBERTÀ PERSONALE.
- Il medico che assiste una persona in condizioni di limitata libertà personale è tenuto al rigoroso
rispetto dei suoi diritti.
- Il medico, nel prescrivere e attuare un trattamento sanitario obbligatorio, opera sempre nel
rispetto della dignità della persona e nei limiti previsti dalla legge.
Il detenuto deve essere trattato come ogni altro paziente, non deve essere effettuata nessuna violazione
dei suoi diritti.
Anche per quanto riguarda la prescrizione del TSO il medico deve sempre rispettare la dignità della
persona nei limiti previsti dalla legge. Di solito il TSO si fa per la cura di malattie di origine
psichiatrica per tutelare il pz stesso e tutelare la collettività.
Altri due trattamenti obbligatori sono:
- alcune vaccinazioni
- alcune malattie veneree e malattie sessualmente trasmesse e infettive
Il medico non attua mutilazioni o menomazioni a meno che non siano giustificate da fini
diagnostico-terapeutici per il pz.
Davanti alla possibilità che un pz rifiuti di alimentarsi il medico può solo accettare questa
situazione, ha solo l’obbligo di informare il pz delle conseguenze a cui va incontro con un digiuno
prolungato.
Non si può intraprendere nessun tipo di iniziativa costrittiva, sarebbe un TSO ingiustificato.
L’alimentazione è considerata un’attività di cura e, come tale è gravata dalla necessità di acquisire
un consenso valido da parte del paziente.
L’alimentazione artificiale coattiva non è prevista, è un illecito deontologico e penale, il medico si
deve astenere dall’intervento in un soggetto che ha consapevolmente deciso di non alimentarsi.
• TITOLO IX: ONORARI PROFESSIONALI, INFORMAZIONE E PUBBLICITÀ SANITARIA
L’onorario deve essere commisurato alla difficoltà e complessità della prestazione che si effettua,
tutelando qualità e sicurezza della prestazione stessa.
È obbligo del medico comunicare al pz l’onorario antecedentemente alla prestazione professionale,
ci sono anche delle sentenze che sostengono che l’onorario deve esse comunicato in forma scritta. A
volte può essere difficile fare delle previsioni dell’onorario, ad esempio se un medico legale viene
chiamato per effettuare la valutazione di un danno per esiti di un incidente stradale allora bene o
male si può fare un preventivo in base al numero di lesioni, alla quantità di documentazione da
esaminare. Ma diversa è una prestazione in ambito penalistico perché la prestazione non si limita al
redigere una relazione medico- legale, il medico può essere chiamato a partecipare al processo per cui
l’onorario può variare anche in base al numero di udienze a cui deve partecipare.
È fatto divieto di commisurare l’onorario al risultato della prestazione professionale. Qualsiasi
medico voglia esercitare la propria professione è obbligato ad avere una copertura assicurativa per la
responsabilità civile verso terzi sulla base dell’attività svolta.
Questa polizza ha un costo variabile a seconda dell’attività svolta, i chirurghi plastici, gli ortopedici
avranno premi maggiori perché questi sono calcolati sulla base del rischio, maggiore è il rischio di
danno, maggiore sarà il premio da pagare.
È possibile effettuare prestazioni pro-bono fino purché queste non costituiscano un modo per fare
concorrenza sleale con i colleghi, non deve servire da esca per accaparrarsi i pazienti.
Se si fa una certificazione gratuita bisognerebbe riportare che è stata fatta gratuitamente ed ad uso
personale del paziente.
Il medico può promuovere la propria attività fornendo un’informazione sanitaria che sia vera
trasparente, rigorosa, prudente, basata su conoscenze scientifiche e naturalmente non deve
pubblicizzare notizie che possano indurre dei timori infondati. Questo è il motivo per cui ad es alcuni
medici hanno sconsigliato la vaccinazione anti covid PROC. DISCIPLINARI contro medici no vax.
Un caso famoso è il caso Di Bella che invitava i pz a curare le neoplasie con la sua metodologia
portandoli a smettere le terapie classiche.
-ART. 56 – PUBBLICITÀ INFORMATIVA SANITARIA.
- La pubblicità informativa sanitaria del medico e delle strutture sanitarie pubbliche o private, nel
perseguire il fine di una scelta libera e consapevole dei servizi professionali, ha per oggetto
esclusivamente i titoli professionali e le specializzazioni, l’attività
professionale, le caratteristiche del servizio offerto e l’onorario relativo alle prestazioni.
- La pubblicità informativa sanitaria, con qualunque mezzo diffusa, rispetta nelle forme e nei contenuti i
principi propri della professione medica, dovendo sempre essere veritiera,
corretta e funzionale all’oggetto dell’informazione, mai equivoca, ingannevole e
denigratoria.
- È consentita la pubblicità sanitaria comparativa delle prestazioni mediche e odontoiatriche solo in
presenza di indicatori clinici misurabili, certi e condivisi dalla comunità scientifica che ne consentano
confronto non ingannevole.
- Il medico non diffonde notizie su avanzamenti nella ricerca biomedica e su innovazioni in campo
sanitario non ancora validate e accreditate dal punto di vista scientifico, in particolare se tali da
alimentare attese infondate e speranze illusorie.
- Spetta all’Ordine professionale competente per territorio la potestà di verificare la rispondenza
della pubblicità informativa sanitaria alle regole deontologiche del presente Codice prendere i
necessari provvedimenti.
Ricordiamo che uno dei compiti del medico è di promuovere l’educazione sanitaria.
Sarebbe preferibile che un medico eviti di fare pubblicità sia diretta che indiretta della propria
attività professionale o delle proprie prestazioni ma c’è una normativa specifica che riguarda la
pubblicità, ultimamente c’è stata un’apertura da parte dell’ordine dei medici nei confronti
dell’attività pubblicitaria.
Il medico non deve fare una pubblicità della propria attività professionale paragonandole a
quelle di altri professionisti.
La pubblicità informativa sanitaria deve essere sempre effettuata pubblicizzando i titoli
professionali, le specializzazioni, il tipo di attività professionale svolta, le caratteristiche del
servizio offerto e anche gli onorari.
Questa informazione pubblicitaria deve essere sempre vera e corretta, mai equivoca ed
ingannevole o denigratoria di altre attività concorrenti.
È consentita la pubblicità comparativa delle prestazioni mediche o odontoiatriche solo in
presenza di indicatori clinici misurabili certi e condivisi dalla comunità scientifica.
Il medico non deve pubblicizzare notizie sulle ricerche biomediche che non siano state ancora
validate dal punto di vista scientifico, non deve fornire informazioni ingannevoli tali da infondere
speranze che poi si rivelano illusorie.
L’ordine dei medici ha il compito di verificare che la pubblicità sia in regola con la normativa
presente nel codice deontologico e che l’informativa sia veritiera.
In caso contrario l’ordine prenderà dei provvedimenti disciplinari nei confronti di chi l’ha fatta.
Il medico non deve concedere né come singolo né come associazione scientifica patrocinio a forme
di pubblicità finalizzate e commercializzare prodotti sanitari.
Com’è possibile che alcuni dentifrici o prodotti simili siano consigliati da associazioni di medici? Il
prof dice di non sapere con quale escamotage venga fatta questa cosa.
• TITOLO X: RAPPORTO CON I COLLEGHI
-ART 58 - RAPPORTO CON I COLLEGHI (Spesso domanda d’esame)
- Il medico impronta il rapporto con i colleghi ai principi di solidarietà e collaborazione e al reciproco rispetto
delle competenze tecniche, funzionali ed economiche, nonché delle correlate autonomie e responsabilità.
- Il medico affronta eventuali contrasti con i colleghi nel rispetto reciproco e salvaguarda il migliore interesse
della persona assistita, ove coinvolta.
- Il medico assiste i colleghi prevedendo solo il ristoro delle spese.
- Il medico, in caso di errore professionale di un collega, evita comportamenti denigratori e
colpevolizzanti.
Quando un medico non riesce a fare una diagnosi o ad individuare una terapia che porti
beneficio al pz dovrà rivolgersi a colleghi con maggiore esperienza nel campo; dunque, richiede
una consulenza e deve fornire al consulente tutta la documentazione che ha.
Il consulto è un’attività che può essere attivata anche quando il pz è ricoverato in una struttura
pubblica, si può chiedere una consulenza sia di specialisti di altri reparti sia esterni alla
struttura ospedaliera che siano altamente specializzati in determinate patologie.
La richiesta di una consulenza di uno specialista esterno alla struttura spesso non viene vista di
buon occhio dai medici di quel reparto perché viene interpretata come mancanza di fiducia nei
loro confronti ma questo atteggiamento non è corretto perché bisognerebbe essere felici della
presenza di uno specialista con maggiori conoscenze in quel campo specifico perché
può essere vissuta come un’occasione per imparare qualcosa in più e venire a conoscenza di
soluzioni per portare beneficio al paziente. L’interesse primario è quello del paziente per cui
l’interesse del medico non può prevalere, bisogna favorire il consulente.
(il prof racconta un suo episodio personale di un suo amico affetto da s. di Guillan Barrè per
cui richiese una consulenza di un neurologo esterno all’ospedale esperto della patologia)
In ogni caso, quando un paziente richiede un consulto, non ci si può astenere dal fornire tutte
le informazioni necessarie e la documentazione clinica del caso.
Una volta che viene attivata una consulenza, in assenza del medico curante, lo specialista che
effettua la consulenza deve fornire una dettagliata relazione diagnostica e una proposta
terapeutica e deve sottoscriverla.
Anche dopo la consulenza la responsabilità del paziente resta del medico che lo ha in cura,
questo non è obbligato a seguire le indicazioni ricevute ma preferibilmente dovrebbe farlo
perché qualora non le seguisse e la condizione clinica del pz peggiorasse sarebbe oggetto delle
critiche dei familiari del pz (il prof dice i pz se la prendono col medico, credo intenda che
possono denunciarlo).
È sempre meglio acquisire una certificazione da parte dello specialista in maniera da tenerla in
cartella ed uniformarsi alle sue prescrizioni, ovviamente se condivisibili e non in disaccordo con
le proprie opinioni.
-ART. 61 – AFFIDAMENTO DEGLI ASSISTITI.
I medici coinvolti nell’affidamento degli assistiti, in particolare se complessi e fragili, devono
assicurare il reciproco scambio di informazioni e la puntuale e rigorosa trasmissione della
documentazione clinica.
L’attività medico-legale viene considerata al pari delle altre attività mediche e pertanto è sottoposta
al rispetto delle regole contenute nel codice.
Il medico legale può svolgere il ruolo di:
- consulente di parte del pz
- consulente di controparte (quando, per esempio, è il consulente di un’assicurazione)
- CTU (Consulente tecnico d’ufficio)
- Perito (consulente nominato dal giudice terzo in ambito penalistico)
Questo riguarda soprattutto casi in cui per esempio un pz che ha riportato delle lesioni a seguito di
un incidente stradale va dal medico legale per farsi fare una relazione di parte per far accertare il
danno alla persona che ha riportato, questa relazione di parte dovrà poi essere inviata
all’assicurazione che la trasmetterà al suo medico fiduciario che visiterà il pz e dovrà tenere presente
la relazione di parte che è stata presentata. Il consulente dell’assicurazione non deve per forza
confermare la relazione del medico di parte ma deve prenderne atto e tenerla presente, non
considerarla, come a volte succede ad esempio con l’INAIL è un comportamento anti-deontologico
che potrebbe essere meritorio di un provvedimento disciplinare.
Il medico legale che fa una relazione in ambito di responsabilità professionale sanitaria ha l’obbligo
di avvalersi di un clinico, non farlo è un’inadempienza.
Il codice stabilisce anche le incompatibilità del medico legale, esempi:
- Sono il medico curante di un pz e faccio le sue certificazioni, in seguito questo pz chiede il
risarcimento all’assicurazione, l’assicurazione non lo risarcisce e il pz va a fare una causa. Se il MMG
che aveva in cura il pz viene nominato CTU dal giudice del tribunale deve dichiararsi incompatibile.
- Se un medico ha già visitato lo stesso pz per un altro caso e viene nominato CTU deve
dichiararlo al giudice, sarà poi il giudice a decidere se c’è un’incompatibilità o meno.
Se un medico è incompatibile con un caso e non lo dichiara è passibile di provvedimento disciplinare
da parte dell’ordine.
- Recentemente al prof è arrivato un incarico da parte di un giudice che lo nominava CTU per
un caso che era contro una parte che il prof aveva difeso in un altro procedimento. Pur non
essendoci una vera e propria incompatibilità lui si è dichiarato incompatibile per motivi di
opportunità perché ha rappresentato al giudice di aver già svolto il ruolo di consulente di parte per
una delle due parti in causa e dunque non era opportuno che svolgesse il ruolo di CTU nel caso in
oggetto.
Bisogna avere il coraggio di dichiararsi incompatibili anche se non è del tutto ufficiale ma in alcuni
casi è più corretto dichiararsi incompatibili.
Un altro esempio: il prof svolge il ruolo di fiduciario medico legale di alcune compagnie, qualora
fosse chiamato a visitare dei pz che conosce o che sono già stati suoi clienti lui lo comunica alla
compagnia che nomina un altro consulente.
Ricordare sempre che l’incompatibilità è una problematica importante e dà valore alla correttezza
professionale che deve caratterizzare la nostra attività lavorativa.
Ormai quasi non esistono più le visite fiscali, un tempo le svolgeva l’ASL tramite il suo servizio di
medicina legale. Adesso le svolge solo l’INPS che manda i suoi medici a fare visite domiciliari a pz
quando si assentano dal lavoro. Quando il medico va fare la visita deve presentarsi e rendere nota la
sua qualifica e la funzione della visita.
Deve sempre esserci rispetto tra il medico curante (che firma la certificazione per assentarsi dal
lavoro per malattia) e il medico che svolge la visita fiscale.
Poi le conseguenze possono essere diverse, quando si fa una certificazione per malattia il pz
dovrebbe essere in uno stato psicofisico tale da non potersi recare a lavoro in base al giudizio del
curante. Il giudizio del medico fiscale può concordare totalmente con il medico di base o può anche
concordare sulla diagnosi ma avere un giudizio medico legale differente.
L’importante è che ci sia una corrispondenza nella diagnosi, sarebbe brutto se andando a visitare un
pz non riscontrasse la patologia certificata mentre il giudizio medico legale sulla possibilità di
lavorare può essere diverso da medico a medico.
• TITOLO XII: RAPPORTI INTRA E INTERPROFESSIONALI
-ART. 64 – RAPPORTI CON L’ORDINE PROFESSIONALE.
- Il medico deve collaborare con il proprio Ordine nell’espletamento delle funzioni e dei compiti ad
esso attribuiti dall’ordinamento.
- Il medico comunica all’Ordine tutti gli elementi costitutivi dell’anagrafica, compresi le
specializzazioni e i titoli conseguiti, per la compilazione e la tenuta degli Albi, degli elenchi e
dei registri e per l’attività di verifica prevista dall’ordinamento.
- Il medico comunica tempestivamente all’Ordine il cambio di residenza, il trasferimento in
altra provincia della sua attività, la modifica della sua condizione di esercizio ovvero la
cessazione dell’attività. Il medico comunica all’Ordine le eventuali infrazioni alle regole di reciproco
rispetto, di corretta collaborazione tra colleghi e di salvaguardia delle specifiche competenze.
- I Presidenti delle rispettive Commissioni di Albo, nell’ambito delle loro funzioni di vigilanza
deontologica, possono convocare i colleghi iscritti in altra sede ma esercenti la
professione nella provincia di loro competenza, informando l’Ordine di appartenenza al
quale competono le eventuali valutazioni disciplinari.
- Il medico eletto negli organi istituzionali dell’Ordine svolge le specifiche funzioni con
diligenza, imparzialità, prudenza e riservatezza.
Bisogna comunicare tempestivamente cambiamenti di residenza, num di telefono, PEC ecc, comunica
eventuali titoli di studio conseguiti per consentire all’ordine di tenere aggiornati gli Albi dei medici.
È obbligatorio comunicare all’ordini la PEC per evitare che ogni comunicazione debba essere fatta
tramite raccomandata e determinando quindi un risparmio e anche una maggiore velocità di
comunicazione.
È obbligatorio anche comunicare eventuali mancanze di rispetto del codice deontologico o del
decoro della professione stessa.
Il medico eletto negli organi dell’ordine dei medici deve svolgere le proprie funzioni con diligenza,
prudenza, riservatezza e soprattutto imparzialità, non facendo favoritismi.
Il rapporto con le altre professioni sanitarie è importante come il rapporto tra colleghi medici. Deve
essere sempre un rapporto di collaborazione, integrazione e formazione di veri e propri team.
L’infermiere è un elemento prezioso che va sempre rispettato e mai denigrato, la sua collaborazione
è fondamentale per la buona cura del paziente. La mancata collaborazione dell’infermiere in un
reparto è deleteria per il pz e anche per il medico, il medico stesso deve promuovere una formazione
interprofessionale per far si che il team di cura possa funzionare al meglio.
C’è un divieto del codice deontologico di fare da prestanome e favorire l’esercizio abusivo della
professione.
C’era un tempo l’usanza di alcuni odontotecnici che facevano una vera e propria attività
odontoiatrica, aprivano uno studio a nome di un medico che faceva da prestanome e svolgevano
un’attività medica, in questi casi si configura il reato di abuso della professione medica che è rilevante
dal punto di vista penale e anche deontologicamente è scorretto quindi il soggetto può subire
provvedimenti disciplinari che vanno dalla censura, alla sospensione fino alla radiazione.
- Il medico che opera in strutture pubbliche o private, concorre alle finalità sanitarie delle
stesse ed è soggetto alla potestà disciplinare dell’Ordine indipendentemente dalla natura
giuridica del rapporto di lavoro.
- Il medico, in caso di contrasto tra le regole deontologiche e quelle della struttura pubblica o privata
nella quale opera, sollecita l’intervento dell’Ordine al fine di tutelare i diritti dei pazienti e
l’autonomia professionale.
- In attesa della composizione del contrasto, il medico assicura il servizio, salvo i casi di grave
violazione dei diritti delle persone a lui affidate e del decoro e dell’indipendenza della propria
attività professionale.
- Il medico che all’interno del rapporto di lavoro con il servizio pubblico esercita la libera
professione, evita comportamenti che possano indebitamente favorirla.
I rapporti con le strutture sanitarie sono sempre più conflittuali, soprattutto con le strutture
pubbliche perché le private sono migliori, in ogni caso questo tipo di rapporto deve essere
improntato alla massima correttezza.
A volte può accadere che al medico venga chiesto o imposto di violare delle norme deontologiche ma
è importante rifiutarsi di soddisfare queste richieste perché il nostro comportamento deve essere
sempre puntare a garantire la salute del cittadino.
In caso di contrasto tra medico e struttura si può richiedere l’intervento da parte dell’ordine dei
medici.
Ad esempio, se la struttura richiede al chirurgo di dimettere i pz il giorno stesso in cui hanno subito
una colecistectomia, il chirurgo può rifiutarsi e rivolgersi all’ordine dei medici che poi interverrà
presso la struttura.
Le azioni del medico non devono comunque penalizzare il pz, anche in caso di contrasto con la
struttura sanitaria deve essere garantita l’assistenza del pz e poi procedere con le proprie
rimostranze presso l’ordine dei medici o presso il giudice del lavoro.
Il medico che all’interno del rapporto di lavoro con il servizio pubblico esercita la libera
professione, evita comportamenti che possano indebitamente favorirla, questo significa che se un
medico lavora per l’ospedale non può, all’interno della struttura, mettere in atto dei
comportamenti che inducano il pz a rivolgersi allo stesso medico in forma di libero professionista.
Ad esempio è molto frequente che un chirurgo proponga ai suoi pz di operarli presso strutture
private poiché le strutture pubbliche hanno lunghe liste d’attesa, ma questo comportamento è
deontologicamente scorretto.
- Il medico che svolge funzioni di direzione sanitaria nelle strutture pubbliche o private ovvero di
responsabile sanitario di una struttura privata, garantisce il possesso dei titoli e il rispetto del Codice
e tutela l’autonomia e la pari dignità dei professionisti all’interno della struttura in cui opera,
agendo in piena autonomia nei confronti del rappresentante legale della struttura alla quale
afferisce.
- Inoltre, il medico deve essere in possesso dei titoli previsti dall’ordinamento per l’esercizio della
professione ed essere adeguatamente supportato per le competenze relative ad entrambe le
professioni di cui all’art. 1 in relazione alla presenza delle stesse nella struttura.
- Il medico comunica tempestivamente all’Ordine di appartenenza il proprio incarico nonché l’eventuale
rinuncia, collaborando con quello competente per territorio nei compiti di vigilanza sulla sicurezza e
la qualità di servizi erogati e sulla correttezza del materiale informativo, che deve riportare il suo
nominativo.
- Il medico che svolge funzioni di direzione sanitaria o responsabile di struttura non può assumere
incarichi plurimi, incompatibili con le funzioni di vigilanza attiva e continuativa.
Sia le strutture pubbliche che private devono, per legge, avere una direzione sanitaria per cui il
medico che viene chiamato a richiamato a ricoprire questa carica deve essere in possesso dei titoli
per svolgere questa funzione.
La direzione sanitaria svolge un ruolo molto importante soprattutto dal pdv organizzativo e per
questo la specializzazione più aderente è sicuramente la specializzazione in igiene; che costituisce
infatti un titolo preferenziale per ricoprire questa carica.
Il medico comunica tempestivamente all’Ordine di appartenenza il proprio incarico nonché l’eventuale
rinuncia sia presso strutture pubbliche che private.
La direzione sanitaria è l’organo deputato all’organizzazione sanitaria pertanto le disfunzioni
organizzative, che spesso possono determinare danni ai pz, possono ricadere sulla responsabilità della
direzione sanitaria per una mancata diligenza nell’organizzare determinati servizi.
-ART. 70 – QUALITÀ ED EQUITÀ DELLE PRESTAZIONI.
- Il medico non assume impegni professionali che comportino un eccesso di prestazioni tale da
pregiudicare la qualità della sua opera e la sicurezza della persona assistita.
- Il medico deve esigere da parte della struttura in cui opera ogni garanzia affinché le modalità
del suo impegno e i requisiti degli ambienti di lavoro non incidano
negativamente sulla qualità e la sicurezza del suo lavoro e sull’equità delle prestazioni.
Il medico non deve assumere impegni che comportino un eccesso di prestazione tale da pregiudicare la
qualità della sua opera e la sicurezza della persona assistita.
Il medico deve saper rinunciare qualora il carico di lavoro riduca la qualità della prestazione sanitaria che
offre.
La qualità ed equità delle prestazioni deve essere uno dei parametri che il medico deve sempre
rispettare.
Quando si certifica l’idoneità sportiva bisogna in primo luogo proteggere l’integrità psico-
fisica della persona e la sua salute, senza mai redigere certificazioni di comodo.
Bisogna rispettare le norme di legge esistenti per l’espletamento di tali certificazioni, qualora si rediga
una certificazione in assenza dei presupposti psicofisici previsti dalla legge, o senza effettuare gli esami
previsti si è passibili di procedimento penale qualora il soggetto riportasse un danno.
Il giudizio di idoneità alla pratica sportiva deve rispettare le norme di legge e le evidenze
scientifiche. Bisogna comunque informare il pz dei rischi che l’attività sportiva agonistica o non
agonistica può comportare.
- Il medico non consiglia, favorisce, prescrive o somministra trattamenti farmacologici o di altra natura
non giustificati da esigenze terapeutiche, che siano finalizzati ad alterare le prestazioni proprie
dell’attività sportiva o a modificare i risultati dei relativi controlli.
- Il medico protegge l’atleta da pressioni esterne che lo sollecitino a ricorrere a siffatte
pratiche, informandolo altresì delle possibili gravi conseguenze sulla salute.
In passato alcuni medici sportivi prescrivevano ormoni o sostanze dopanti ma questo comportamento è
assolutamente da evitare.
Il medico deve svolgere i compiti assegnatigli dalla legge in tema di trattamenti e accertamenti sanitari
obbligatori e deve curare con la massima diligenza e tempestività l’informativa alle Autorità sanitarie
giudiziarie e ad altre Autorità nei modi, nei tempi e con le procedure stabilite dall’ordinamento, ivi
compresa, quando prevista, la tutela dell’anonimato.
Il TSO deve essere proposto dal medico, sarà poi il sindaco ad avallarlo.
Il TSO è un trattamento teso alla tutela del soggetto stesso e alla tutela di terzi, deve essere messo
in atto in maniera preventiva per evitare danni al pz stesso ed alle persone che lo assistono o che
vengono in contatto con questo.
Il TSO, per legge è mirato solo ed esclusivamente a curare le patologie psichiche del soggetto, non
per altre patologie.
- Il medico, sia in attività di ricerca, sia quando gli siano richieste prestazioni non terapeutiche ma
finalizzate al potenziamento delle fisiologiche capacità fisiche e cognitive dell’individuo, opera nel
rispetto e a salvaguardia della dignità dello stesso in ogni suo riflesso individuale e sociale,
dell’identità e dell’integrità della persona e delle sue peculiarità genetiche nonché dei principi di
proporzionalità e di precauzione.
- Il medico acquisisce il consenso informato in forma scritta avendo cura di verificare, in particolare,
la comprensione dei rischi del trattamento.
- Il medico ha il dovere di rifiutare eventuali richieste ritenute sproporzionate e di alto rischio anche a
causa della invasività e potenziale irreversibilità del trattamento a fronte di benefici non terapeutici
ma potenziativi.
-ART 76 BIS 4 MEDICINA ESTETICA
- Il medico, nell’esercizio di attività diagnostico-terapeutiche con finalità estetiche, garantisce il possesso
di idonee competenze e, nell’informazione preliminare al consenso scritto, non suscita né alimenta
aspettative illusorie, individua le possibili soluzioni alternative di pari efficacia e opera al fine di
garantire la massima sicurezza delle prestazioni erogate.
- Gli interventi diagnostico-terapeutici con finalità estetiche rivolti a minori o a incapaci si
attengono all’ordinamento.
Bisogna sempre essere attenti a valutare le richieste dei pz in questo senso, determinate richieste non
sono sempre giustificate, il medico non deve per forza assecondare il pz, deve mantenere la sua
autonomia decisionale dettata dalla sua professionalità.
Anche in questi casi è importante acquisire un consenso informato in forma scritta, verificando tutte
le caratteristiche che devono essere rispettate per far si che il consenso sia consono ai criteri
precedentemente enunciati.
Non bisogna mai illudere il pz ma concordare insieme la soluzione che si ritiene migliore, operando
sempre nel rispetto della massima sicurezza e della salute del pz.
- Il medico militare, nell’ambito dei propri compiti istituzionali, ha una responsabilità che
non muta in tutti gli interventi di forza armata sia in tempo di pace che di guerra.
- Il medico militare, al fine di garantire la salvaguardia psico-fisica del paziente in rapporto alle risorse
materiali e umane a disposizione, assicura il livello più elevato di umanizzazione delle cure praticando
un triage rispettoso delle conoscenze scientifiche più aggiornate, agendo secondo il principio di
“massima efficacia” per il maggior numero di individui.
- È dovere del medico militare segnalare alle superiori Autorità la necessità di fornire assistenza a tutti
coloro che non partecipano direttamente alle ostilità (militari che abbiano deposto le armi, civili
feriti o malati) e denunciare alle stesse i casi di torture, violenze, oltraggi e trattamenti crudeli e
disumani tali da essere degradanti per la dignità della persona.
- In ogni occasione, il medico militare orienterà le proprie scelte per rispondere al meglio al
conseguimento degli obiettivi e degli intendimenti del proprio comandante militare, in accordo con
i principi contenuti nel presente Codice, fermo restando il rispetto dei limiti imposti dalle normative
nazionali e internazionali nonché da eventuali regole di ingaggio che disciplinano l’operazione
militare.
• TITOLO XVII: INFORMATIZZAZIONE E INNOVAZIONE SANITARIA
-ART. 78 – TECNOLOGIE INFORMATICHE.
- Il medico, nell’uso degli strumenti informatici, garantisce l’acquisizione del consenso, la tutela della
riservatezza, la pertinenza dei dati raccolti e, per quanto di propria competenza, la sicurezza
delle tecniche.
- Il medico, nell’uso di tecnologie di informazione e comunicazione di dati clinici, persegue
l’appropriatezza clinica e adotta le proprie decisioni nel rispetto degli eventuali contributi
multidisciplinari, garantendo la consapevole partecipazione della persona assistita.
- Il medico, nell’utilizzo delle tecnologie di informazione e comunicazione a fini di prevenzione,
diagnosi, cura o sorveglianza clinica, o tali da influire sulle prestazioni dell’uomo, si attiene ai criteri
di proporzionalità, appropriatezza, efficacia e sicurezza, nel rispetto dei diritti della persona e degli
indirizzi applicativi allegati.
• DISPOSIZIONE FINALE
Gli ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri recepiscono il presente Codice, nel quadro dell’azione di
indirizzo e di coordinamento esercitata dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e
degli Odontoiatri e ne garantiscono il rispetto.
Gli ordini provvedono a consegnare ufficialmente il Codice, o comunque a renderlo noto ai singoli iscritti
agli Albi e a svolgere attività formative e di aggiornamento in materia di etica e di deontologia medica.
Le regole del Codice saranno oggetto di costante valutazione da parte della FNOMCeO al fine di garantirne
l’aggiornamento.
Tutti gli ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri recepiscono il codice come un atto di
indirizzo e di coordinamento che viene svolto dall’ordine nazionale dei Medici.
Gli ordini devono garantire il rispetto delle norme riportate nel codice deontologico.
Una cosa importante è che il codice non è una pietra miliare fissa ma è sempre in divenire, ogni volta
che viene aggiornato il medico ha l’obbligo di leggerlo e di modulare la propria attività
professionale nel rispetto assoluto del codice deontologico.
SUICIDIO ASSISTITO – SENTENZA 242 E AGGIORNAMENTO ART 17 CODICE DEONTOLOGICO
Con la sentenza n. 242/2019 del 25 settembre e depositata il 22 novembre riguardo al fine vita
la Corte Costituzionale ha reso il suicidio assistito non più punibile come reato penale in
determinate circostanze. Ha previsto la possibilità di richiederlo nei casi in cui una persona sia
tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (ad esempio, idratazione e alimentazione
artificiale) e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o
psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
A ciò si aggiunge il parere di verifica delle condizioni da parte di una struttura sanitaria pubblica.
Sentenza:
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui non
esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre
2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di
trattamento) – ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione –,
agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una
persona :
- tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale
- affetta da una patologia irreversibile,
- fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili,
- ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli,
sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura
pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente
competente.
Come conseguenza della sentenza il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Medici, dopo un lungo
lavoro della Consulta deontologica medica, ha ritenuto di lasciare libertà di agire in legge e
coscienza ai medici negli specifici casi.
Nella riunione del 6 febbraio scorso i 106 presidenti degli Ordini territoriali che compongono il
Consiglio nazionale della Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo) hanno approvato
all’unanimità il testo di «indirizzi applicativi all‘articolo 17 del Codice di Deontologia medica».
Sui doveri e competenze del medico l’articolo 17 riguarda gli «Atti finalizzati a provocare la
morte»: Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati
a provocarne la morte». Dovrà sempre attenersi ai suoi doveri di tutela della vita, della salute
psico-fisica, del trattamento del dolore, del sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e
dignità della persona.
Viene aggiunto nel Codice deontologico, aggiornandolo, il seguente testo applicativo riferito
solo ai casi previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale, affinché non via sia contraddizione
tra quanto stabilito dalla Corte e il codice deontologico sulla punibilità del medico.
Gli indirizzi applicativi sono: «La libera scelta del medico di agevolare, sulla base del principio di
autodeterminazione dell’individuo, il proposito di suicidio autonomamente e liberamente
formatosi da parte di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da
una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia
pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli (sentenza 242/19 della Corte
Costituzionale e relative procedure), va sempre valutata caso per caso e comporta, qualora
sussistano tutti gli elementi sopra indicati, la non punibilità del medico da un punto di vista
disciplinare».
L’articolo che è stato dichiarato non costituizionale è il 580 del Codice penale
Art. 580. (Istigazione o aiuto al suicidio)
Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in
qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a
dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre
che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.
Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle
condizioni indicate nei numeri 1° e 2° dell'articolo precedente. Nondimeno, se la persona
suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità d'intendere o
di volere, si applicano le disposizioni relative all'omicidio.
Come già anticipato nel comunicato stampa del 25 settembre 2019, la Corte costituzionale ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. nella parte in cui non esclude la
punibilità di chi, in presenza di specifiche e determinate condizioni, agevoli l’esecuzione del
proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi.
Il termine “eutanasia” significa letteralmente “buona morte” (dal greco eu-thanatos) e indica
l’atto di procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di una persona che ne faccia
esplicita richiesta. La Federazione Cure Palliative ne fornisce una spiegazione ancora più
esplicita definendola come “l’uccisione di un soggetto consenziente in grado di esprimere la
volontà di morire”. La richiesta di eutanasia, nei paesi dove questa pratica è lecita, viene
soddisfatta dopo un percorso che permette alla persona di effettuare una scelta consapevole e
libera.
L’eutanasia viene spesso utilizzata come sinonimo di suicidio assistito, sedazione palliativa
profonda e sospensione dei trattamenti, ma tale non è: sulle loro differenze è opportuno porre
massima attenzione.
Il suicidio assistito è l’atto del porre fine alla propria esistenza in modo consapevole mediante
l’autosomministrazione di dosi letali di farmaci da parte di un soggetto che viene appunto
“assistito” da un medico (in questo caso si parla di suicidio medicalmente assistito) o da
un’altra figura che rende disponibili le sostanze necessarie. Di regola avviene in luoghi protetti
dove soggetti terzi si occupano di assistere la persona per tutti gli aspetti correlati all’evento
morte (ricovero, preparazione delle sostanze, gestione tecnica e legale post mortem).
Per quanto le due pratiche siano accomunate dalla volontarietà della richiesta e dall’esito finale,
ci sono almeno due sostanziali differenze tra eutanasia e suicidio assistito:
- l’eutanasia non necessita della partecipazione attiva del soggetto che ne fa richiesta,
mentre il suicidio assistito sì, perché prevede che la persona malata assuma in modo
indipendente il farmaco letale;
- l’eutanasia richiede un’azione diretta di un medico, che somministra un farmaco di regola
per via endovenosa, mentre il suicidio assistito prevede che il ruolo del sanitario si limiti
alla preparazione del farmaco che poi il paziente assumerà per conto proprio.
In entrambi i casi, queste richieste vengono sottoposte alla valutazione di commissioni di
esperti e al parere di più medici, diversi da quelli che hanno in cura il paziente. Solo dopo
un’accurata analisi delle sue condizioni cliniche, della compromissione della qualità della sua
vita e della sua piena libertà decisionale, gli viene data la possibilità di accedere agli interventi,
solo nei paesi in cui sono consentiti (l’Italia non è tra questi).
Infine, la sospensione dei trattamenti viene spesso equiparata ad una forma di eutanasia
passiva, come se la scelta di rinunciare al trattamento implicasse sempre la volontà implicita di
morire. In realtà porre attivamente fine alla propria vita è assai diverso rispetto a scegliere di
rinunciare ad un trattamento, che è infatti è consentito in tutti i paesi europei, a differenza
dell’eutanasia.
Riferimenti normativi
In Italia praticare l’eutanasia costituisce un reato, pertanto è punibile ai sensi dell’articolo 579
(Omicidio del Consenziente) e dell’articolo 580 (Istigazione o aiuto al suicidio). Al contrario il
suicidio assistito, inteso come assistenza di terzi nel porre fine alla vita di una persona malata, è
legittimato, ma non praticato. La sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale ha infatti
individuato quattro requisiti che possono giustificare un aiuto al suicidio:
Con questa legge la sofferenza non è più un aspetto inevitabile di un percorso di malattia, ma è
una dimensione che va affrontata con serietà e sistematicità, in tutte le fasi e in ogni setting
d’assistenza.
L’art. 2, comma 1, lettera a), della Legge 38/2010 definisce le cure palliative come “L’insieme
degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo
nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base,
caratterizzata da un’inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a
trattamenti specifici”.
Le cure palliative sono state definite dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come
"…un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano
ad affrontare problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il
sollievo della sofferenza per mezzo di un’identificazione precoce e di un ottimale trattamento
del dolore e di altre problematiche di natura fisica, psicologica, sociale e spirituale."
Servono quindi a migliorare la qualità della vita residua, non ad un controllo evolutivo della
patologia.
Esse, quindi:
• affermano la vita e considerano la morte come un evento naturale
• non accelerano né ritardano la morte, nulla hanno a che vedere con qualsiasi
forma di accanimento terapeutico o di eutanasia
• provvedono al sollievo dal dolore e dagli altri disturbi
• integrano agli aspetti sanitari, gli aspetti psicologici, sociali e spirituali dell’assistenza
• offrono un sistema di supporto alla famiglia sia durante la malattia, sia durante il lutto
• possono essere applicate precocemente nella malattia, in combinazione con le misure che
tendono a prolungare la vita, come per esempio la chemioterapia e la radioterapia.
Le cure palliative si rivolgono principalmente alle persone giunte alla fase terminale (un
paziente viene considerato in fase terminale quando si pensa che la morte si verifichi nell'arco
di 12 mesi) di ogni malattia cronica ed evolutiva: le malattie oncologiche, ma anche quelle
neurologiche, respiratorie e cardiologiche. Hanno lo scopo di dare alla persona malata la
massima qualità di vita possibile, nel rispetto della sua volontà, aiutandola a vivere al meglio la
fase terminale della malattia ed accompagnandola verso una morte dolce e dignitosa.
Le cure palliative si rivolgono anche alla persona che ancora riceve terapie volte alla risoluzione
della malattia (per esempio la chemioterapia) con il fine di migliorarne la qualità di vita. In
questo caso sono definite cure palliative precoci o simultanee.
Le cure palliative non possono prescindere da una terapia del dolore che spesso si associa alla
cura della persona che sta affrontando l'ultimo periodo della sua vita.
Vengono quindi utilizzati sia metodi farmacologici contro il dolore che non farmacologici di
supporto (psicologici, cognitivi, comportamentali, agopuntura, massaggio, fisioterapia, terapia
occupazionale, meditazione, terapie artistiche, musicoterapia…). Anche alcuni interventi
chirurgici possono essere palliativi, ad esempio la rimozione di masse tumorali che
comprimono strutture vitali e che possono causare dolore al pz.
Il dolore è, infatti, fra tutti i sintomi, quello che più mina l'integrità fisica e psichica del malato e
che più angoscia e preoccupa i familiari, con un notevole impatto sulla loro qualità della vita.
Alcune ricerche cliniche recenti inoltre ripropongono l'utilizzo di sostanze definite sichedeliche
per il trattamento dei disturbi dell'umore propri del fine vita. Tra queste ricordiamo la
cannabis, la dietilamide dell'acido lisergico (LSD) e la psilocibina. I dati ottenuti da questi studi
vanno comunque validati, valutandone attentamente il rapporto rischio/beneficio.
Rete cure palliative
È un’aggregazione funzionale e integrata delle attività di cure palliative erogate in ospedale, in
hospice, a domicilio e in altre strutture residenziali, in un ambito territoriale definito a livello
regionale”Le strutture residenziali per anziani o disabili garantiscono le cure palliative ai propri
ospiti anche avvalendosi delle Unità di Cure Palliative Domiciliari territorialmente competenti.
Per accedere alla Rete locale di cure palliative le procedure variano da regione a regione.
Ovunque però ci si può rivolgere a:
• medico di medicina generale (medico di famiglia)
• medici specialisti ospedalieri
• ASL di riferimento
• associazioni di volontariato
Le cure palliative domiciliari consistono nella presa in carico del malato e della sua famiglia
direttamente a casa. Sono costituite da prestazioni professionali di tipo medico, infermieristico,
riabilitativo, sociale e psicologico, da assistenza farmaceutica e accertamenti diagnostici.
( 1 visita medica alla settimana più 3 visite infermieristiche e specialistiche all’occorrenza)
Tali cure prevedono la pronta disponibilità medica nelle 24 ore e vengono erogate, con
interventi programmati ed articolati sui sette giorni, da una squadra (équipe) di professionisti
esperti delle Unità di Cure Palliative (UCP) in collaborazione con il medico di medicina generale.
L'hospice è un luogo d’accoglienza e ricovero finalizzato a offrire le migliori cure palliative alle
persone malate e ai loro familiari qualora non possano essere effettuate a domicilio. Si tratta di
un luogo d’accoglienza e ricovero, nel quale la persona viene accompagnata nelle ultime fasi
della vita con un adeguato sostegno medico, psicologico e spirituale affinché le viva con dignità
nel modo meno traumatico e doloroso possibile. Prevede anche ricoveri temporanei per il
sollievo alle famiglie impegnate nell'assistenza.
All'interno dell'hospice operano diversi professionisti riuniti in squadra (équipe). L’equipe è
costituita da medico, psicologo, infermiere, assistente sociale, assistente spirituale, assistente
occupazionale e personale volontario con il delicato compito di ascoltare e supportare per
cogliere ogni aspettativa, desiderio e speranza del malato e della sua famiglia.
Gli hospice possono essere gestiti direttamente dalle Aziende sanitarie o da associazioni di
volontariato no profit accreditate presso le Aziende sanitarie locali. [Al loro interno sono
erogate sia prestazioni di ricovero diurno (Day Hospital e Day Hospice) che di ricovero
residenziale. Sono tipicamente costituiti da camere singole con bagno privato, dotate di una
poltrona-letto per l’eventuale presenza di un accompagnatore anche durante la notte.
Ogni camera è dotata di confort quali aria condizionata, televisione e frigorifero. Il malato
stesso, se lo desidera, può personalizzare la camera con oggetti di arredamento portati dalla
propria casa.
L’hospice comprende anche locali comuni, un soggiorno e una cucina dove i parenti dei malati
possono prepararsi bevande e pietanze. Non esistono orari di entrata e di uscita e sono
garantiti anche i pasti per gli accompagnatori.] L’assistenza nell'hospice è gratuita, ma l’accesso
alla struttura avviene attraverso i reparti ospedalieri o tramite richiesta del medico curante, se
il malato si trova a casa. Il personale dell'hospice contatta direttamente il familiare, o il malato,
per definire la data prevista del ricovero. Di norma, gli hospice si dotano di criteri specifici di
valutazione per gestire le priorità all'interno della lista d'attesa.
Generalmente è privilegiata l’assistenza domiciliare piuttosto che quella in hospice (anche se è
prevista l’assistenza in ospedale) perché il supporto della famiglia e la permanenza
nell'ambiente domestico permettono alla persona malata di subire meno traumi.
È comunque sempre offerta particolare attenzione alle aspettative e alle preferenze
del malato e della famiglia.
Le cure palliative in ospedale (domanda) erogate sia in fase precoce o simultanea, sia in fase di
fine vita, sono caratterizzate da:
- Consulenza palliativa, assicurata da un'equipe medico-infermieristica con specifica
competenza ed esperienza.
- Prestazioni in ospedalizzazione in regime diurno o, comunque, erogate in modalità
alternative previste all'interno del sistema organizzativo regionale
- Attività ambulatoriale
- Degenza in hospice qualora tale struttura sia presente nell'ospedale stesso
DM Sanità 739/1994
Articolo 1 → l’infermiere è “l’operatore sanitario responsabile dell’assistenza generale
infermieristica con finalità di assistenza preventiva, curativa, palliativa, relazionale riabilitativa
ed educativa”
DPCM 12 gennaio 2017 di definizione ed aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA),
sono state caratterizzate le cure palliative e la terapia del dolore, con un approccio orientato
alla presa in carico e al percorso di cura, distinguendo gli interventi per livelli di complessità ed
intensità assistenziale.
Sono stati definiti i seguenti livelli di assistenza nell'ambito delle reti di cure palliative e delle
reti di terapia del dolore:
• art. 15 Assistenza specialistica ambulatoriale, con il relativo nomenclatore delle prestazioni di
specialistica ambulatoriale di cui all’Allegato 4, che prevede, per la prima volta, le visite
multidisciplinari per le cure palliative e per la terapia del dolore, inclusa la stesura del Piano di
assistenza individuale (PAI) e le visite di controllo per la rivalutazione del PAI.
• art. 21 Percorsi assistenziali integrati: è garantito l’accesso unitario ai servizi sanitari e sociali,
la presa in carico della persona attraverso la valutazione multidimensionale dei bisogni (VMD),
sotto il profilo clinico, funzionale e sociale e la predisposizione di un Piano di assistenza
individuale (PAI).
L'approccio per percorso rappresenta un’importante novità, con la VMD che concorre a
identificare il malato con bisogni complessi. Questi principi hanno una specifica rilevanza per le
cure palliative e per la terapia del dolore. In particolare, le cure palliative confermate dai LEA in
questa cornice escono dall’orizzonte temporale dell’end stage, estendendo il loro ambito di
applicazione alle fasi precoci della malattia inguaribile a evoluzione sfavorevole.
• art. 23 Cure palliative domiciliari: è stato definitivamente stabilito che tali cure debbono
essere erogate dalle strutture Unità di Cure Palliative domiciliari UCP e non più nell’ambito
dell’assistenza domiciliare integrata. Sono, infatti, le UCP che erogano sia le Cure Palliative di
base che quelle specialistiche, garantendo l’unitarietà e l’integrazione dei percorsi di cura con
un’equipe curante di riferimento sul percorso e non sul setting assistenziale.
Il coordinamento delle cure è puntualmente caratterizzato, all’art. 23, comma 1,lettere a) e b)
e all’art. 21 comma 3, contribuendo a chiarire la responsabilità del rapporto di cura.
• art. 31 Centri residenziali di Cure palliative – Hospice: si garantisce l'assistenza residenziale ai
malati nella fase terminale della vita, in ambito territoriale.
• art. 38 Ricovero ordinario per acuti: le cure palliative e la terapia del dolore sono per la prima
volta espressamente citate come prestazioni cliniche, farmaceutiche, strumentali necessarie ai
fini dell'inquadramento diagnostico e terapeutico, che devono essere garantite durante
l’attività di ricovero ordinario. Il comma 2 stabilisce, infatti, che nell’ambito dell’attività di
ricovero ordinario sono garantite tutte le prestazioni (..) incluse la terapia del dolore e le
cure palliative.
Legge 8 Febbraio 2001 n12: “Norme per agevolare impiego di farmaci analgesici, oppiacei nella
terapia del dolore” ha comportato una semplificazione della prescrizione per i 10 oppiodi più
utilizzati come antidolorifici (Buprenorfina, Codeina, Diidrocodeina, Fentanyl, Idrocodone,
Idromorfone, Metadone, Morfina, Ossicodone, Ossimorfone)
- 2 farmaci oppiacei in una ricetta che dura 30 giorni, possibilità di approvigionamento per il
medico.
TESTIMONE DI GEOVA ED EMOTRASFUSIONE
Per gli Ermellini il diritto al rifiuto è correlato ai principi di autodeterminazione in materia di
trattamento sanitario e libertà religiosa. Medici comunque garantiti innanzi a tali
determinazioni medico con in mano due fiale di sangue per trasfusione
Testimoni di Geova:
- diritto a rifiutare la trasfusione
- Il diritto a rifiutare le cure mediche e principi costituzionali
- Il dissenso all'emotrasfusione
- Le garanzie nei confronti dei medici
È questo il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella
sentenza n. 29469/2020 (sotto allegata) pronunciata a seguito dell'istanza di una donna,
Testimone di Geova, che aveva agito in giudizio per chiedere il risarcimento danni e la
restituzione di quanto corrisposto per l'opera professionale dei medici. In particolare, la
domanda sorge in quanto, in occasione del parto effettuato con taglio cesareo, a seguito di
un'emorragia erano state eseguite trasfusioni di sangue, nonostante la contrarietà manifestata
dalla donna.
Ed è proprio sulla mancata considerazione del dissenso manifestato dalla paziente che sono
stati chiamati a pronunciarsi gli Ermellini, posto che i giudici di merito avevano ritenuto che
non vi fosse stato un espresso, inequivoco e attuale dissenso all'emotrasfusione. In particolare,
si riteneva che avendo la paziente accettato l'intervento di laparotomia esplorativa, ciò
implicava l'accettazione di tutte le sue fasi, ivi compresa la necessità di trasfusioni in caso di
pericolo di vita. Pertanto, per la Corte territoriale sarebbe stato irrilevante accertare
l'eventuale effettivo dissenso rispetto alla trasfusione una volta che la paziente non avesse
ritenuto di rifiutare l'intervento chirurgico connesso alle trasfusioni.
Il diritto a rifiutare le cure mediche e principi costituzionali
Gli Ermellini rammentano, in prima battuta, come il paziente abbia sempre diritto di rifiutare le
cure mediche che gli vengono somministrate, anche qualora tale rifiuto possa causarne la
morte; per essere valido ed esonerare il medico dal potere-dovere di intervenire, tale dissenso
deve essere espresso inequivoco ed attuale. Non é sufficiente, dunque, una generica
manifestazione di dissenso formulata ex ante ed in un momento in cui il paziente non era in
pericolo di vita, ma è necessario che il dissenso sia manifestato ex post ovvero dopo che il
paziente sia stato pienamente informato sulla gravità della propria situazione e sui rischi
derivanti dal rifiuto delle cure (cfr. Cass. 23676/2008).
Premesso come la vicenda esaminata risalga a periodo antecedente alla normativa recata dalla
Legge n. 219/2017 (recante "Norme in materia di consenso informato e di disposizioni
anticipate di trattamento"), la Suprema Corte ritiene che a sostegno del diritto di rifiutare
l'emotrasfusione allegato dalla ricorrente vi sia "un complesso concorso di principi"
rappresentato da quello all'autodeterminazione in materia di trattamento sanitario (art. 32
Cost.), ma anche da quello di libertà religiosa (art. 19 Cost.). Tale osmosi di principi
costituzionali, nel caso di specie non incontra principi di segno contrario suscettibili di
bilanciamento.
Il dissenso all'emotrasfusione
Secondo la Cassazione "la circostanza della necessità dell'emotrasfusione è priva di rilievo ai
fini del insorgenza di un principio da contrapporre a quello dell'autodeterminazione e della
libertà religiosa". In pratica, richiamato il complesso dei principi costituzionali applicabili in
materia, il Collegio ritiene che la paziente aveva il diritto di rifiutare l'emotrasfusione anche
con dichiarazione formulata prima del trattamento sanitario e che l'accettazione
dell'intervento di laparotomia esplorativa non abbia implicato anche l'accettazione
dell'emotrasfusione
Dunque, la dichiarazione anticipata di dissenso all'emotrasfusione, che possa essere richiesta
da un'eventuale emorragia causata dal trattamento sanitario, non dunque essere neutralizzata
dal consenso prestato a quest'ultimo.
Restano naturalmente, per il dissenso espresso prima del trattamento sanitario, le condizioni
fissate dalla giurisprudenza (cfr. Cass. n. 23676/2008), cioè un'articolata, puntuale, espressa e
attuale dichiarazione dalla quale inequivocabilmente emerga la volontà di impedire la
trasfusione anche in ipotesi di pericolo di vita.
Le garanzie nei confronti dei medici
Enunciato il principio che riconosce il diritto del paziente Testimone di Geova a rifiutare
l'emotrasfusione, anche qualora abbia prestato consenso al diverso trattamento che abbia
successivamente richiesto la trasfusione, la Suprema Corte rimanda al giudice di merito
l'accertamento in relazione all'intervento di un informato, inequivoco, autentico e attuale
dissenso della paziente.
Quanto alla responsabilità dei sanitari, dato uno sguardo a quanto stabilito dalla Legge n.
219/2017, la sentenza chiarisce che "la posizione del medico non è esente da garanzie in
circostanze come quella del caso di specie".
In pratica, "prestare il consenso a un intervento chirurgico, al quale è consustanziale il rischio
emorragico, con l'inequivoca manifestazione di dissenso all'esecuzione di trasfusione di sangue
ove il detto rischio si avveri, significa esigere dal medico un trattamento sanitario contrario,
oltre che alle buone pratiche clinico-assistenziali, anche alla deontologica professionale".
Dunque spiega la Cassazione, a fronte di tale determinazione del paziente, il medico non ha
obblighi professionali.
Rapporto medico paziente:
art 20 - 32 cod deontologico titolo terzo
Art. 20 – Relazione di cura.
La relazione tra medico e paziente è costituita sulla libertà di scelta e sull’individuazione e
condivisione delle rispettive autonomie e responsabilità. Il medico nella relazione persegue
l’alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su
un’informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale
tempo di cura.
Da 21 al 25 ruolo e posizione del medico che deve :
- fare solo ciò che gli compete
- fare solo ciò che ritiene giusto fare
- garantire la continuità delle cure (sostituto)
Art 26 cosa inserire in cartella clinica
Art 27 libertà di scelta del medico e del luogo di cura
29-30-31 vietate azioni mediche che comportano vantaggi economici al medico stesso
(farmaci, conflitto di interessi, accordi illeciti nella prescrizione
Art. 32 – Doveri del medico nei confronti dei soggetti fragili.
Il medico tutela il minore, la vittima di qualsiasi abuso o violenza e la persona in condizioni di
vulnerabilità o fragilità psico-fisica, sociale o civile in particolare quando ritiene che l’ambiente
in cui vive non sia idoneo a proteggere la sua salute, la dignità e la qualità di vita. Il medico
segnala all’Autorità competente le condizioni di discriminazione, maltrattamento fisico o
psichico, violenza o abuso sessuale. Il medico, in caso di opposizione del rappresentante legale
a interventi ritenuti appropriati e proporzionati, ricorre all’Autorità competente.
Il medico prescrive e attua misure e trattamenti coattivi fisici, farmacologici e ambientali nei
soli casi e per la durata connessi a documentate necessità cliniche, nel rispetto della dignità e
della sicurezza della persona.
ASCO:
- Impostare un programma di cure
- Fornire info comprensibili
- Spiegare le opzioni di trattamento
- Sottolineare i rischi della patologia e dei trattamenti
- Parlare del fine vita
- Capire se il costo è un problema
- Non giudicare
Principi: giustizia (no abbandono terapeutico) – beneficenza non maleficenza (no eutanasia no
accanimento terapeutico)
– autodeterminazione- integrità morale della professione
Medico libertà di scienza e coscienza ma :
- Gelli bianco → linee guida e piani di assistenza terapeutica o rispetto buone pratiche clinico
assistenziali
COME DARE LA CATTIVA NOTIZIA AL PAZIENTE
COMUNICAZIONE: far capire ad altri il nostro messaggio. La parola viene dal latino
cum-moenia ossia comunicare, far comune. Quindi significa far passare da un corpo ad
un altro, trasmettere, entrare in relazione, condividere. Tutta la vita relazionale, sociale,
può essere vista in termini di comunicazione. C’è uno scambio con chi comunichiamo
attraverso il quale due o più persone, in un determinato contesto, “mettono in comune”
delle informazioni, influenzandosi reciprocamente e questo è un processo interattivo
che si basa sulla relazione. Schema classico della comunicazione: Emittente —
messaggio — ricevente. Il canale è il mezzo usato per comunicare (es. voce, lettera
scritta, video).
Il codice è il modo e deve essere comune ad emittente e ricevente. Attenzione per
cominciare devo usare la stessa lingua e accertarmi di usare parole chiare nel loro
significato. Infatti perché possa esservi comunicazione, il codice usato deve essere
comune ad emittente e ricevente. Il messaggio è il contenuto quindi che cosa voglio
comunicare. ES: Emittente: scrittore Codice: lingua italiana scritta Canale: carta
stampata Messaggio: racconto poliziesco Ricevente: lettori La comunicazione ha uno
schema circolare basato su un continuo rapporto tra emittente e ricevente sulla base di
un reciproco feed-back. Quest’ultimo indica il messaggio di ritorno ossia la reazione del
ricevente al messaggio precedente cioè tutto ciò che il ricevente dice dopo aver avuto il
messaggio: in tal modo l’emittente può avere una misura di quello che l’altro ha capito
e recepito. Il feed-back è continuo tra gli interlocutori, così da caratterizzare la
comunicazione come processo circolare. La comunicazione verbale è rappresentata
dalle parole che fanno il contenuto del messaggio. La comunicazione non verbale è
rappresentata da come dico le parole e conta anche il mio corpo. Muoversi, non
muoversi, le parole o il silenzio, hanno tutti il valore di messaggio e influiscono sugli
altri. Gli altri, a loro volta, consapevolmente o meno, rispondono a questi messaggi e
comunicano anche loro. Anche il fatto di non parlare o non prestare attenzione a chi
parla costituisce un modo di comunicare. Imparare a decifrare i codici del corpo
significa imparare a capire meglio sia noi stessi che gli altri, con il risultato di migliorare
la comunicazione. La comunicazione è percepita attraverso i cinque sensi. Il contenuto
del messaggio è fatto per il 7% dalla comunicazione verbale (formata dalle parole che
costituiscono il contenuto del messaggio) e per il 55% dalla comunicazione non verbale
(che si divide in fisionomica ossia la struttura del corpo e la postura; cinesica ossia
gesti e sguardi; prossemica ossia collocazione nello spazio; paraverbale ossia voce) e
per il 38% dalla comunicazione paraverbale con intonazione, ritmo, volume. Una
notizia è cattiva quando modifica drasticamente ed in modo negativo il punto di vista
del paziente o le sue previsioni per il futuro. L’impatto sul paziente sarà più o meno
devastante a seconda del divario tra le proprie aspettative e la realtà della situazione
clinica. Sotto il profilo emozionale, una cattiva notizia rappresenta l’irruzione di
qualcosa che è imprevisto, minaccioso, di cui non si conoscono esattamente le
implicazioni e che genera incertezza, ansia, paura e angoscia. La cattiva notizia è
prima nella mente di chi la deve fornire, il quale non conosce l’impatto che questa avrà
su chi la deve ricevere; tale impatto può essere di fatto valutato solo quando si conosce
cosa il paziente già sa e cosa egli si aspetta. Le difficoltà, di ordine emotivo, nel dare
cattive notizie attivano negli operatori sanitari alcuni atteggiamenti caratteristici: La
cattiva notizia “non si dice per consentire al paziente di mantenere un elevato livello di
fiducia e di speranza”. In realtà non dire una cattiva notizia favorisce speranze illusorie,
ingenerando confusione, smarrimento, incertezza e insoddisfazione. I pazienti debbono
essere aiutati ad avere speranze rispetto a obiettivi realistici, quali la palpazione del
dolore o il mantenimento di una buona qualità della vita. È dimostrato che una buona
comunicazione genera un miglior adattamento alla malattia e maggiori capacità di
gestire i sintomi. “Si teme che la diagnosi di tumore o una prognosi infausta possano
provocare squilibri emotivi nel paziente o indurlo al suicidio”.
In realtà non ci sono evidenze a supporto di questa tesi e anche se ci può essere una
reazione negativa o l’attivazione di meccanismi difensivi a lungo termine la maggior
parte dei pazienti mostra un buon adattamento.
“ Si preferisce comunicare la diagnosi ai familiari, prima che al paziente, ritengo che la
famiglia possa svolgere un ruolo protettivo nei confronti del malato”. Di fatto, questa
comunicazione parziale ingenera facilmente messaggi trasversali spesso difficili da
gestire per i familiari, ai quali non si può certo chiedere una competenza comunicativa
distaccata e professionale, che solo uno specialista può possedere. 9 Infine entrano in
giorno anche aspetti personali, legati alle proprie paure. Paure verso la sofferenza, la
malattia, la morte, al timore di essere oggetti di biasimo da parte del paziente o
semplicemente alla paura di sbagliare, in un “territorio” per il quale ci si sente incerti
rispetto agli esiti. Dopo il primo impatto alla notizia brutta bisogna far reagire il paziente
meglio grazie all’adattamento. Perché il medico è tenuto a comunicare la diagnosi, il
trattamento o la prognosi di tumore, nel rispetto del paziente? Perché il malato vuole
essere informato Perché fa parte dei compiti professionali del medico (bioetica) Perché
è un diritto della persona, sancito dal punto di vista legislativo. Perché può avere effetti
positivi sul modo di affrontare la malattia. Dare la cattiva notizia consente in un
secondo tempo di aumentare la capacità dei pazienti di affrontare la malattia, di aderire
ai trattamenti e di pianificare meglio il futuro. “Come” dare la cattiva notizia: non è la
quantità di informazione che influisce su questi indici, quanto la modalità con cui le
informazioni sono fornite. Dare cattive notizie è un processo, non un singolo evento. È
utile seguire una corretta sequenza, per raggiungere quattro obiettivi: Raccogliere le
informazioni del paziente, per stabilire quanto è consapevole, le sue aspettative e la
capacità di affrontare una cattiva notizia. Fornire informazioni comprensibili, in accordo
ai bisogni e ai desideri del paziente. Fornire supporto al paziente con interventi che lo
aiutino a reggere l’impatto emotivo e riducano il senso di solitudine indotto dalla notizia.
Sviluppare una strategia condivisa rispetto all’eventuale trattamento. E’ importante
ricordare che “cattive notizie rimangono cattive notizie” e il loro impatto emotivo sarà
sempre rilevante. Proprio l’attenzione a questo impatto, e quindi alle reazioni del
paziente, costituiscono l’elemento cruciale della qualità della comunicazione. Per
comunicare una cattiva notizia va seguito il protocollo di linee guida proposto da
Buckman e riproposto da Baile ed è costituito da sei passi, riassunti nell’acronimo
SPIKES. (Setting- Perception- Invitation- Knowledge- Emotions- Strategy summary)
(Iniziare- Percepire Imitare- Conoscere- Emozione- Sommario).
S: setting. Iniziare, preparare contesto e disporsi all’ascolto non alla comunicazione.
P: perception. Capire il punto di vista del paziente circa la propria situazione quindi
capire cosa sa riguardo alla malattia.
I: invitation ossia invitare il paziente ad esplicitare in che misura vuole essere informato
rispetto alla diagnosi, alla prognosi e sui dettagli della malattia.
K: knowledge ossia fornire informazioni necessarie a comprendere la situazione clinica.
E: emotions ossia facilitare l’ espressione delle emozioni per comprendere la reazione
emotiva e rispondere in modo empatico (identificarsi, immedesimarsi). Ma non puoi
farlo sempre, devi tutelarti e gestirla.
S: strategy summary ossia negoziare una strategia di azioni considerando le
aspettative e risultati raggiungibili. Lasciare spazio ad eventuali domande, riassumere,
verificare comprensione, concludere.
S: creare tempo sufficiente e ambiente riservato (non dare una cattiva notizia per
telefono, in corridoio o in un luogo di passaggio) e se non c’è lo crei tu (tendina tra i
letti), distanza adeguata (non troppo vicino o lontano), non essere interrotti, prepararsi
su cosa dire e ripassare la sua cartella. Di fronte al paziente bisogna: Presentarsi,
sedersi di fronte con calma, mantenere contatto visivo (dà il senso di esclusività della
conversazione) o fisico (il paziente può apprezzare il gesto di toccargli la mano o il
braccio), spiegare motivo del colloquio con un buon tono di voce, chiedere al paziente
se vuole qualcuno vicino (1-2 persone). Chiedendo come si sente gli dimostri interesse.
Nella fase iniziale i messaggi trasmessi attraverso il comportamento non verbale sono
molto importanti perché all’inizio di un’interazione tutti noi decodifichiamo il clima
relazionale primariamente dal comportamento non verbale: direzione dello sguardo,
postura. P: prima di parlare chiedere cosa sa, quali sono le aspettative, le paure,
“cos’ha pensato quando ha fatto RM?”, valutando così il livello di consapevolezza.
Chiedere al paziente come giudica o percepisce la sua situazione clinica. Il livello di
consapevolezza mostrato dal paziente consentirà al medico di stabilire da che punto
partire per comunicare le informazioni che intende fornire. 10 I: devi capire quanto il
paziente vuole sapere e su quali informazioni (chi desidera conoscere solo la diagnosi
o solo la prognosi, oppure entrambe, o le caratteristiche del trattamento; è il livello di
dettaglio dell’informazione). Spesso, già dalle prime due fasi del colloquio, è possibile
comprendere quanto il paziente desideri essere informato. K: il medico espone la
diagnosi (prognosi o cure). Ricordiamo che se la persona è emotivamente coinvolta, la
capacità di recepire dati si abbassa fino ad annullarsi se la persona è molto turbata
dalla notizia. Assicurarsi che l’ascoltatore capisca tutte le informazioni. Si può utilizzare
il “colpo di allerta” e poi fare una pausa. È come dare un preavviso per le cattive notizie
in arrivo: “purtroppo non ho delle buone notizie” “I risultati non sono come abbiamo
sperato..”, dandogli il tempo necessario (la pausa) ad assorbire l’avvertimento.
ATTENZIONE!! Non “addolcire” l’avvertimento, minimizzando la gravità della
situazione. Questi tentativi rischiano di indurre un senso di vaghezza e confusione. E:
emozioni. Una volta affrontato il tempo della diagnosi, del trattamento o della prognosi
ed aver verificato che il paziente abbia compreso il contenuto di ciò, bisogna osservare
la sua reazione emotiva e sollecitarlo a parlarne. Le reazioni emotive possono essere
molto variabili: dal silenzio al pianto, alla rabbia, all’incredulità o la vergogna. La
risposta del medico non potrà consistere in un’automatica rassicurazione, bensì dovrà
essere una risposta articolata lungo alcuni passaggi determinanti: l’osservazione delle
emozioni non verbali manifestate dal paziente; Mostrare di aver capito quelle emozioni
e verbalizzarle: “mi sembra molto spaventato da quello che le ho detto”; “ho dovuto
darle una cattiva notizia. Vuole che parliamo del suo stato d’animo?”; Mostrare al
paziente di identificarsi nei suoi pensieri associati all’emozione: “Cosa la preoccupa in
particolare?”; Dopo aver fatto esprimere al paziente le proprie emozioni, il medico farà
bene a manifestare la sua partecipazione al vissuto del malato con un commento
empatico o una legittimazione: “Lei si aspettava effetti più efficaci dalla chemioterapia e
il fatto di proseguire con le terapie le ha creato uno stato di delusione che è ben
comprensibile”. I paziente guardano al medico curante come ad una delle principali
fonti di supporto psicologico; esplorare le loro emozioni e usare commenti ematici e
legittimazioni è un modo efficace per fornire supporto: riduce il senso di solitudine,
esprime solidarietà, convalida l’esperienza emotiva vissuta dal malato. Il paziente
vorrebbe affrontare le proprie emozioni insieme al medico curante, ma teme di farlo: se
il medico non chiede, il paziente non dice. Anche se affrontare tali vissuti tende a
dilatare il tempo del colloquio, tuttavia consente di prevenire reazioni improprie,
sfiducia, atteggiamenti di rabbia o incompresioni. S: Stategia e sintesi. Quindi è utile
riassumere il quadro clinico, lasciando, tuttavia, spazio ad ulteriori domande e poi
prospettare al paziente che cosa è possibile fare sulla base dei dati clinici disponibili. E
ancora: 1) Prestare attenzione al ruolo che il paziente vuole assumere nel processo
decisionale: Se delega: “lascio al medico ogni decisione” Se è attivo: “Perché mi è stata
prescritta la radioterapia. Importante è anche manifestare l’intento di coinvolgerlo: Con
il paziente delegante: “mi ha detto che preferirebbe non sapere; tuttavia mi farebbe
piacere che discutessimo insieme le sue sensazioni rispetto ai diversi modi in cui
affrontare il suo problema”;
Con il paziente attivo:
1)“Vedo che desidera essere coinvolto nelle decisioni terapeutiche, ora ne discuteremo
insieme”
2) Chiarire il tipo di discussione (es. “l’esame ci dirà se”).
3) Evidenziare le possibili alternative.
4) Discuterne i pro e i contro, mostrando apertura anche verso possibili piani terapeutici
alternativi.
5) Sottolineare anche gli aspetti soggettivi legati alla decisione; ad esempio, facendo
una lista delle priorità che il paziente sente importanti.
6) Verificare se il paziente ha compreso tutto.
7) Esplorare le sue preferenze rispetto alle alternative proposte e dargli, se lo desidera,
l’opportunità di rifletterci, concordando un nuovo incontro in un prossimo futuro. Il
coinvolgimento dei familiari: una relazione terapeutica efficace richiede una buona
alleanza con i familiari, ponendo tuttavia attenzione a non perdere quella con il paziente.
I familiari, come il paziente, possono essere atteggiamenti diversi: Protezione: non
potendo difendere il malato dalla malattia in sè, lo si protegge limitandogliene la
consapevolezza.
Il lutto anticipatorio, foriero di sentimenti di colpa. Senso di colpa per ciò che non è
stato fatto in passato. Pausa per il proprio futuro in relazione alla malattia del
conguinto. Rabbia. Prima di incontrare i familiari: Risolvere eventuali divergente
all’interno del team di persone che segue il paziente, in modo da non fornire
informazioni contrastanti, distorte o manipolabili e avere invece idee chiare su ciò che
si desidera comunica. È utile cercare di coinvolgere il paziente, e solo in un secondo
tempo coinvolgere il familiare, esplicitando la struttura dell’incontro “Prima ascolto suo
marito e le informazioni che desidera fornirmi, quindi, in un secondo tempo, lei inserirà
le aggiunte o le correzioni che riterrà opportune e quindi valuteremo insieme ciò che è
emerso”. Non irritarsi se il familiare interviene troppo spesso nel colloquio col paziente
(anche perché può fornire informazioni preziose).