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In una concezione utilitaristica della pena questa si giustifica solo come mezzo di difesa e prevenzione
sociale.
Toerie strutturali: per spiegare i fenomeni sociali è necessario escludere ogni riferimento alle disposizioni e
alle motivazioni individuali e studiare le condizioni strutturali in cui gli individui sono posti e che ne
determinano le scelte;
Teorie dell’azione: per spiegare i fenomeni sociali è necessario partire dal punto di vista degli attori, dal
significato che questi danno al loro agire e alle loro strategie (individualismo metodologico)
ß
I teorici che riprendono l’impostazione di Beccaria si situano all’interno del paradigma dell’azione.
Un’azione è razionale quando l’attore sociale, di fronte a diversi corsi d’azione intraprende quello che, a
proprio giudizio, darà il risultato migliore.
Un’azione razionale viene determinata da:
1. esame di vincoli/opportunità;
2. scelta tra le opportunità ritenute tali (credenze) in base a regole sociali (che indicano quali opportunità è
giusto/lecito cogliere in certe situazioni) e/o desideri
Quindi:
a) l’azione è uno strumento per realizzare determinati fini;
b) gli individui scelgono l’alternativa secondo loro migliore;
c) nessun individuo è in grado di raccogliere tutte le informazioni possibili per scegliere l’azione
migliore né di prevedere con certezza gli esiti di quanto scelto.
È possibile definire un’azione deviante come razionale, se questa appare ad un attore, in base al proprio
ordine di preferenze, la scelta più adeguata per raggiungere determinati fini.
In particolare tre teorie hanno applicato questa impostazione allo studio della devianza:
La teoria della scelta razionale
La teoria delle attività abituali
La teoria degli stili di vita
I teorici della scelta razionale elaborano un modello di spiegazione del processo decisionale che conduce un
individuo a compiere un reato.
Partono dalla elaborazione economica di Becker (i criminali, così come i consumatori nel libero mercato, sono
attori razionali mossi dal desiderio di massimizzare il proprio benessere).
Ne individuano i limiti e la adattano al tema della devianza rilevando due assunti fondamentali:
1) La razionalità dell’uomo è limitata;
2) I vantaggi che le persone possono ottenere dal loro comportamento non sono solo
strumentali;
Il processo decisionale del criminale deve essere scomposto in due distinti momenti:
1. le decisioni di coinvolgimento (relative alle scelte di essere coinvolti, continuare o desistere nell’attività
criminale)
2. e le decisioni di evento (sono di carattere strategico, tattico, finalizzate a commettere uno specifico reato).
ß
I teorici della scelta razionale si focalizzano sulle decisioni di evento, differenziandosi dalla maggior parte
delle teorie criminologiche.
Rilevanza particolare è assegnata alla situazione in cui si prendono certe decisioni e si sceglie di agire in un
determinato modo.
Il focus è posto sulle variabili di contesto, peculiari della situazione nella quale l’attore sceglie, e non già sulle
motivazioni o inclinazioni ad agire degli individui astrattamente considerati.
Ne consegue che si interviene per modificare la struttura di opportunità.
Questa teoria cerca di spiegare la variazione nello spazio e nel tempo dei tassi di criminalità e di
vittimizzazione.
Le attività abituali sono quelle attività che facciamo regolarmente per soddisfare i nostri bisogni e
che nel caso si verifichi la convergenza di alcune caratteristiche possono mettere in contatto gli aggressori con
le vittime.
Vengono dunque individuate le condizioni minime perché possa svilupparsi l’evento:
• una persona disposta a commettere un reato;
• un bersaglio interessante, sia esso un bene da danneggiare o sottrarre o un individuo da aggredire;
• l’assenza di un guardiano in grado di impedire la commissione del reato;
E di conseguenza individuati i criteri che spiegano la variabilità dei tassi di criminalità e vittimizzazione:
• Prossimità;
• Remuneratività;
Accessibilità;
Se il criminale è un individuo razionale che infrange le norme per massimizzare i benefici ricavabili dalla
propria azione,allora le politiche di contrasto della criminalità devono fare in modo che le conseguenze del
comportamento criminale procurino un danno maggiore dei benefici che si possono ottenere con tale atto.
Quindi si alzano i costi del comportamento criminale.
Secondo queste teorie di impostazione utilitaristica i comportamenti criminali si possono prevenire attraverso
due strumenti:
La punizione (l’efficacia deterrente della pena);
La prevenzione situazionale;
I principi della certezza, prontezza e severità della pena sono gli elementi fondamentali di ogni strategia di
prevenzione della criminalità che si fondi sulla deterrenza.
I potenziali criminali e i criminali condannati, essendo attori razionali, eviterebbero di infrangere le norme
penali - o di ritornare ad infrangere le norme - per la paura delle conseguenze.
• Certezza e prontezza à la sanzione è conosciuta e la probabilità di essere sanzionati elevata;
• Severità à costi del reato sono elevati e quindi è più vantaggioso mantenere una condotta conforme;
L’efficacia della pena varia in relazione a:
• natura dell’atto (se strumentale o espressivo)
• grado di coinvolgimento nel delitto come stile di vita da parte del criminale.
Ne consegue che:
la pena ha maggiore efficacia quando l’atto è strumentale e il potenziale reo ha un basso livello di
coinvolgimento nel delitto come stile di vita;
la pena ha minore efficacia quando l’atto è espressivo (es.. danneggiamento, violenza) e il potenziale reo ha un
alto livello di coinvolgimento nel delitto come stile di vita (es. subculture criminali)
È possibile ampliare l’efficacia deterrente della sanzione operando sull’efficacia deterrente del controllo
sociale informale.
Il danno alla propria reputazione sociale, la disapprovazione dei familiari e degli amici, l’esclusione
dal gruppo l’eventuale perdita di un lavoro, possono rappresentare conseguenze importanti che influenzano
significativamente la scelta di mantenere una condotta non deviante.
Il paradigma sociale I
- Durkheim e la Scuola di Chicago
Nel corso del XIX secolo emerge una visione che considera la devianza - come ogni altro
comportamento - un prodotto sociale, un “fatto sociale”.
Il “paradigma sociale” che raccoglie numerosi contributi che si rifanno ad una stessa concezione
di fondo rispetto a quali sono le motivazioni alla base del comportamento deviante.
Il paradigma sociale, rifiutando la spiegazione utilitarista, individua le radici del comportamento
deviante in quelle condizioni (sociali, materiali ed ambientali) che gli individui non possono controllare e
che li predispongono a certi comportamenti.
prima caratteristica importante che distingue il paradigma sociale
prendere in considerazione non più solo la criminalità, ma di focalizzare l’attenzione sulla devianza in
generale.
La differenza tra devianza e criminalità:
Devianza àil concetto di devianza può essere definito in diversi modi, in questo caso si
fa riferimento in generale a quei comportamenti che violano sia le norme giuridiche che
quelle sociali e che per le loro particolari caratteristiche verranno definiti come “social
problems” dagli autori della Scuola di Chicago.
Criminalità à si definiscono come criminali tutti quei comportamenti che infrangono
una norma di legge (la criminalità è un sottoinsieme della devianza).
All’interno del paradigma sociale possiamo ritrovare tre importanti tradizioni teoriche:
La prima interpretazione sociologica della devianza nella società industriale ad opera
di Durkheim
Il contributo teorico e metodologico della Scuola di Chicago
La teoria struttural-funzionalista
Secondo Durkheim: il crimine è “un atto che offende gli stati forti e definiti della coscienza collettiva. In
altri termini, non bisogna dire che un atto urta la coscienza comune perché è criminale, ma che è criminale
perché urta la coscienza comune. Non lo biasimiamo perché è un reato, ma è un reato perché lo
biasimiamo”
Si propone una concezione relativistica della criminalità in base alla quale un atto può essere
considerato deviante solo facendo riferimento al contesto storico, sociale e culturale in cui si manifesta.
La concezione relativistica della devianza: qualche esempio
Relatività in base alla situazione:
Un uomo e una donna che hanno un rapporto sessuale in un parco pubblico rischiano
di essere accusati del reato di atti osceni in luogo pubblico, mentre a casa non
compierebbero nessun atto illegale.
Relatività in base allo status di chi compie l’atto:
Uccidere in guerra un nemico vestendo una divisa militare non è considerato omicidio
Relatività in base alla cultura o al gruppo sociale cui si fa riferimento:
La mutilazione genitale femminile in alcune culture è considerata una pratica religiosa
e rituale
Relatività storica
Fino al 1978 l’aborto era considerato un reato in Italia
La devianza è un concetto relativo ma è anche universalmente presente in tutte le società.
La devianza è un “fatto sociale normale”, presente in tutte le societàà “il reato non si riscontra soltanto
nella maggior parte delle società di questa o quella specie bensì in tutte le società di tutti i tipi”.
La criminalità e la devianza, nella misura in cui non sorpassino “un certo livello”, svolgono una funzione
sociale specifica:
Per il mantenimento della coesione sociale à attraverso il riconoscimento e la punizione
dei criminali si rinsalda la forza della coscienza collettiva e l’identificazione dei membri
della società con i valori di riferimento
Come fattore di mutamento sociale àla trasgressione diffusa dell’ordine morale condiviso può portare in
diversi casi ad un cambiamento degli orientamenti normativi.
Se la devianza è un fenomeno sociale normale e funzionale, ciò che deve essere considerato un fatto
sociale patologico è il rapido incremento del tasso di devianza nell’ambito di una determinata società.
Cosa spiega l’aumento del tasso della devianza per Durkheim è l’anomia.
L’anomia (da a-nomos, ovvero “mancanza di regole”) è la deregolamentazione che avviene nella società
quando i legami sociali si indeboliscono e la società stessa non è più in grado di regolare i sentimenti e le
attività degli individui.
Durkheim sviluppa il concetto di anomia nel suo studio sul suicidio (Durkheim, 1897). In questo testo,
egli studia l’andamento dei tassi di suicidio ed elabora una tipologia del suicidio (egoistico; altruistico;
anomico).
L’uomo ha bisogno di un’autorità morale che regoli la sua condotta e agisca da freno: quando una
società non agisce più come potere che regola il comportamento dei suoi membri e non è più in grado di
imporre loro alcun limite, si cade in una condizione di anomia.
La condizione di anomia è il fatto sociale che spiega l’aumento dei tassi di criminalità.
La prospettiva teorica di Durkheim è la prima spiegazione della devianza che focalizza l’attenzione sui
meccanismi sociali che inibiscono il comportamento deviante.
Secondo questa prospettiva teorica (teoria del controllo sociale) non ci si deve interrogare sulle ragioni
per cui le persone diventano criminali, ma spiegare come i membri di una società vengano inibiti
dall’adottare comportamenti devianti.
Secondo Durkheim gli uomini sono esseri viventi i cui desideri non sono limitati né dalla costituzione
organica (come gli animali) né da quella psicologica, ma la società è l’unica forza che può porre dei limiti
alle inclinazioni egoistiche degli individui.
Alcuni studiosi del secondo dopoguerra hanno ripreso ed elaborato la teoria del controllo sociale
durkhemiana.
• La teoria del controllo sociale di Travis Hirshi
• La teoria del controllo sociale informale di Sampson e Laub
Parte dall’assunto che l’uomo è un essere egoista, il cui comportamento sarebbe orientato al perseguimento dei
propri interessi se non vi fosse la società a contenerlo. Quando il legame con la società è debole o assente, si ha
il comportamenteo deviante.
Secondo Hirschi i legami sociali sono caratterizzati da quattro elementi:
Attaccamento à rappresenta l’essenza dell’interiorizzazione delle norme. Quanto più un individuo è
legato ad amici parenti etc.. Tanto più è improbabile che metta in atto comportamenti che potrebbero
essere stigmatizzati;
Coinvolgimento à riferimento alla dimensione temporale: quanto più tempo un individuo trascorrerà
nello svolgimento di attività convenzionali tanto meno ne avrà per attività illecite;
Impegno à investimento in termini di tempo ed energia nello svolgimento di attività convenzionali;
Convinzione à riconoscimento del fatto che le norme sociali siano valide e vadano per questo rispettate.
Sampson e Laub hanno elaborato una teoria del controllo sociale informale per spiegare lo sviluppo delle
carriere criminali.
Questi autori sostengono che in ogni fase del corso di vita gli individui sono potenzialmente soggetti
a differenti forme di controllo sociale informale a seconda dei diversi legami sociali ritenuti importanti.
Le discontinuità nelle carriere criminali (come la desistenza dal crimine o la ripresa di una condotta
criminale) sono dovute ad eventi salienti del corso di vita (“punti di svolta”) che, determinando cambiamenti
di status (trovare un lavoro, perdere un lavoro, sposarsi, separarsi, diventare genitore, ecc.), favoriscono il
formarsi di nuovi legami sociali o la rottura di quelli precedenti che a loro volta possono inibire o favorire il
comportamento deviante.
La Scuola di Chicago
I sociologici della Scuola di Chicago studiano il comportamento umano adottando una prospettiva
ecologica.
Secondo questa prospettiva teorica gli esseri umani sono visti come “animali sociali” modellati
dalla loro interdipendenza con gli altri e dalla loro dipendenza dalle risorse dell’ambiente in cui vivono.
La comunità umana che essi studiano è quella della città.
Gi studiosi della Scuola di Chicago analizzano il processo di sviluppo della città che viene utilizzata come
un “laboratorio naturale” ideale per studiare cause e dinamiche del comportamento umano.
La città, come ogni sistema ecologico, non si espande in modo casuale ma tende ad espandersi in
modo concentrico, seguendo un modello di sviluppo naturale, basato sui processi di invasione e dominio.
Il modello a cerchi concentrici dalla zona centrale rivela anche la caratteristica dell’espansione, la
tendenza di ogni zona interna a estendere la propria superficie invadendo la zona esterna
immediatamente successiva.
All’interno di ogni “area naturale” si sviluppano relazioni simbiotiche e organiche che uniscono gli
individui tra di loro e li rendono simili (setacciamento della popolazione).
Un importante concetto elaborato a partire dagli studi sulla città è quello di “contagio sociale” che serve
a spiegare il processo attraverso cui i devianti tendono a concentrarsi in alcune aree della città.
Secondo Park la città “è un mosaico di piccoli mondi” che offre agli individui l’opportunità di
trovare il proprio “mondo”. In alcune particolari regioni morali della città i devianti si associano ad
altri individui devianti rafforzando così disposizioni innate e offrendo razionalizzazioni e modelli
normativi differenti da quello dominante (si ritrovano questi concetti in Sutherland).
Si osserva che i tassi di criminalità e i “problemi sociali” sono più elevati nella zona di transizione tra la
zona centrale e le zone residenziali, e diminuiscono progressivamente allontanandosi dal centro della
città.
Le variazioni nei tassi di devianza e criminalità non possono essere spiegate facendo riferimento
alle caratteristiche degli individui, poiché nella zona di transizione vi è un costante ricambio nella
popolazione.
Tali variazioni si spiegano facendo riferimento alle caratteristiche dei diversi contesti territoriali
ed in particolare è il livello di disorganizzazione sociale della zona di transizione che determina tassi di
criminalità e devianza elevati.
Disorganizzazione sociale (Thomas e Znaniecki): situazione caratterizzata dalla“diminuzione
dell’influenza delle regole sociali di comportamento esistenti sui membri individuali del gruppo” e
dall’assenza di nuovi modelli normativi e nuove istituzioni in grado di sostituire le regole esistenti.
E’ questa condizione della società che spiega la correlazione tra i vari problemi sociali (la povertà,
l’instabilità residenziale, ecc.) e la criminalità.
Questo concetto ricorda molto il concetto di anomia elaborato da Durkheim per cui “la delinquenza è
(…) la misura del mancato funzionamento delle istituzioni della comunità”
La posizione relativista sui valori e sul comportamento che assumono i sociologi della Scuola di Chicago,
li porta a riconoscere che il conflitto è diffuso in tutta la società e ad analizzare il legame tra i conflitti
interculturali e la devianza.
L’osservanza delle norme di condotta della propria cultura possa indurre i soggetti ad adottare
comportamenti che violano le norme di condotta della cultura dominante all’interno della quale quel
comportamento sarà definito come atto deviante.
La teoria del conflitto culturale è successivamente elaborata da Sellin (1938): le definizioni legali, di ciò
che è criminale e di ciò che non lo è, sono “relative” poiché cambiano nel tempo come risultato dei
cambiamenti nelle norme di condotta.
Il contenuto di tali norme varia da cultura a cultura. All’interno di un una cultura sono i gruppi sociali
che detengono il potere politico impongono le proprie norme di condotta ai gruppi subordinati.
Secondo la teoria del conflitto culturale, quindi, il deviante non è un soggetto “patologico”, ma è un
individuo che si è conformato alle norme di condotta della propria cultura.
Sellin distingue due tipi di conflitto culturale:
primario à si verifica quando le norme di una determinata cultura sono considerate devianti
nell’ambito di un’altra cultura
secondario. à si verifica nell’ambito di una stessa società quando alcuni membri di essa
considerano normale un comportamento che altri membri definiscono come deviante
Secondo Thomas e Znaniecki i fenomeni sociali e i comportamenti individuali hanno sempre una causa
composita che contiene sia un elemento soggettivo, sia un elemento oggettivo, che influenza dall’esterno
l’azione degli individui.
Ogni azione è sempre preceduta da un atto di valutazione in cui l’attore definisce la propria
situazione. Il comportamento degli individui non dipende cioè soltanto dalle caratteristiche oggettive
della situazione in cui si trovano, ma anche dal significato che essi attribuiscono alla stessa. Ogni azione
è sempre preceduta da una definizione della situazione,
“Se gli uomini definiscono reali certe situazioni esse saranno reali nelle loro conseguenze”
(“teorema di Thomas”).
Partendo dal presupposto che qualsiasi azione è sempre preceduta da un momento di valutazione in cui
l’attore definisce la propria situazione sulla base di significati che sono attribuiti ad essa,per studiare i
comportamenti devianti si deve “entrare a far parte del mondo deviante”
I sociologi della Scuola di Chicago in molti dei loro studi adottano una metodologia di tipo qualitativo
che consente loro di osservare il fenomeno deviante “dal di dentro” (assumendo come importante il
punto di vista dei soggetti – sviluppando metodologie come l’osservazione partecipante) e nella sua
dimensione temporale (carriera deviante).
Attraverso la conoscenza dei significati che i soggetti attribuiscono al loro mondo, la devianza cessa di
essere considerata una patologia individuale.
Il concetto di patologia, che è stato mutuato dalla biologia e dalla medicina, indica “una variante o un
mutamento insostenibile” (Matza).
Si contrappone il concetto di diversità, intesa come “variante o cambiamento sostenibile”.
Premessa teorica àLa società produce devianza:
• Quando diminuisce l’influenza delle norme sociali che dovrebbero regolare il comportamento
dei suoi membri;
• Nei contesti sociali e culturali caratterizzati dalla disorganizzazione sociale in cui si sviluppa
una tradizione delinquenziale che viene trasmessa ai più giovani;
• La disorganizzazione sociale oltre che per l’indebolimento delle relazioni sociali primarie può
dipendere anche dalla presenza di conflitti culturali.
Quindi à la devianza si previene e si controlla intervenendo sulla società o su parti di essa non sui singoli
individui
Le politiche, ispirate alle prospettive teoriche hanno le seguenti finalità:
promuovere lo sviluppo di programmi che abbiano lo scopo di riorganizzare le condizioni di
vita in particolari contesti territoriali per rafforzare i legami sociali e rendere più efficace il
controllo sociale informale;
promuovere lo sviluppo di programmi che rimuovano o riducano il conflitto culturale,
favorendo l’integrazione degli immigrati nella società in cui vivono.
Si ispirano alle teorie ecologiche e della disorganizzazione sociale tutte quelle iniziative che hanno lo
scopo di rendere più efficace il controllo sociale informale intervenendo su:
le condizioni che consentono di rafforzare i legami sociali tra i membri di una stessa comunità;
le capacità di empowerment della comunità;
l’ambiente fisico, riorganizzando gli spazi di vita dei membri della comunità.
Se la devianza è il prodotto di un conflitto culturale, le politiche finalizzate ad affrontare il conflitto
culturale devono promuovere il processo di integrazione degli immigrati nelle società riceventi
favorendo l’acquisizione dei valori e delle norme di condotta della cultura dominante.
La socializzazione culturale può avvenire in molteplici ambiti della vita sociale, ma deve essere
accompagnata da una effettiva integrazione sociale, altrimenti genera una situazione di tensione che può
favorire la devianza.
Lo struttural-funzionalismo è una teoria che si sviluppa negli Stati Uniti a partire dagli anni ’30 del
secolo scorso.
La società è vista come una “totalità di strutture sociali e culturali (…) tra loro interdipendenti,
ciascuna delle quali fornisce un particolare contributo – detto funzione – a favore del mantenimento di
una o più condizioni essenziali per l’esistenza e la riproduzione del sistema sociale osservato” (Gallino).
Il sistema sociale è quindi in uno stato di equilibrio, paragonabile alla condizione sana di un
organismo.
Lo stato di equilibrio del sistema sociale si caratterizza per:
- un sistema normativo condiviso dai propri membri;
- il ruolo della socializzazione primaria e secondaria attraverso cui si apprende come agire in
modo conforme alle aspettative di ruolo.
Ne consegue che il deviante è un soggetto che, per una socializzazione inadeguata, agisce violando tali
aspettative.
Per Merton il comportamento deviante deve essere considerato un prodotto della struttura sociale e
culturale allo stesso modo in cui lo è il comportamento conformista.
I membri di una società non sono liberi di perseguire qualsiasi fine e non possono scegliere
(legittimamente) qualunque mezzo per raggiungere le proprie mete.
In ogni società sono definiti culturalmente sia le mete a cui gli individui possono legittimamente aspirare
sia i mezzi legittimi attraverso cui tali mete possono essere perseguite.
Il criterio dell’accettabilità dei diversi mezzi per raggiungere le mete “non è dato dall’efficienza
tecnica”, ma da norme istituzionalizzate a cui la maggioranza dei membri della società attribuisce valore
e che definiscono i mezzi legittimi.
Se la struttura culturale definisce mete e mezzi è l struttura sociale (ruoli / status), ossia la stratificazione
sociale
che offre agli individui un differenziato accesso ai mezzi legittimi.
Partendo da questo presupposto Merton riformula la teoria dell’anomia di Durkheim.
Per Merton l’anomia
non è una condizione che mini la capacità di una società di regolare il comportamento degli individui
(cfr. Durkheim)
ma è una condizione della società in cui vi è un contrasto tra l’enfasi che si attribuisce alle mete
culturalmente indotte dal sistema sociale e la scarsa importanza che si riserva ai mezzi legittimi che
devono essere utilizzati per raggiungerle.
L’anomia è quella condizione della società in cui si ha la dissociazione fra le mete prescritte
culturalmente e i mezzi istituzionali disponibili per agire in modo conforme alle mete.
La devianza è “un sintomo” di tale dissociazione: quando mete e mezzi istituzionali sono poco integrate,
si verifica la demoralizzazione (le norme perdono il loro potere di regolare il comportamento degli
individui) --> ogni mezzo può diventare ammissibile per raggiungere i propri obiettivi.
Il deviante è un soggetto che, in seguito ad una socializzazione inadeguata, agisce violando le aspettative
di ruolo.
Gli individui, che vivono in un contesto culturale nel quale vi sia una tensione tra le mete da raggiungere e le
procedure istituzionalizzate per realizzarle, possono reagire a questa tensione in cinque modi.
Questi tipi di adattamento non sono categorie che si riferiscono a particolari caratteristiche psicologiche degli
Conformità + +
Innovazione + -
Ritualismo - +
Rinuncia - -
Ribellione -/+ -/+
Conformità à gli individui si conformano tanto al criterio del successo quanto ai mezzi
necessari per conseguirlo; (individuo non deviante)
Innovazione à l’individuo rifiuta i mezzi legittimi per conseguire il successo economico
e si affida a quelli illegittimi, in particolare al crimine; (il criminale “classico”)
Ritualismo à l’individuo abbandona la meta del successo economico ma continua a
rimanere vincolato alle norme istituzionali; (il “burocrate”)
Rinuncia à si abbandonano sia le mete che i mezzi; (il barbone)
Ribellione à l’individuo rinuncia a mete e mezzi istituzionali, ma per sostituirli con
altri. (il rivoluzionario)
Vi sono alcuni tipi di devianza che non possono essere spiegati dal modello mertoniano, tra questi in
particolare la devianza collettiva (quella delle bande), la violenza giovanile e la condotta deviante
espressiva.
Negli anni ’50 queste forme di devianza divennero sempre più oggetto di attenzione.
In particolare, diventò sempre più rilevante una particolare forma di devianza: la delinquenza dei
membri delle bande giovanili.
I contributi più importanti che hanno analizzato questo fenomeno sono stati quelli di:
• Cohen
• Cloward e Ohlin:
Come Merton, questi autori ritenevano che l’origine della devianza fosse determinata da una tensione
strutturale esistente tra mete e mezzi, ma – a differenza di Merton – consideravano il comportamento
deviante un adattamento collettivo piuttosto che individuale, appreso e consolidato all’interno di un
gruppo.
Matza e Sykes sviluppano l’idea di Sutherland dell’importanza delle razionalizzazioni, che rendono
possibile la trasgressione della norma.
Tali razionalizzazioni possono essere messe in pratica:
• dopo che l’atto è stato compiuto (ex post);
• prima del compimento (ex ante), rendendo possibile il comportamento deviante.
Lo spunto per studiare questi meccanismi viene preso dallo studio di quella che Matza e Sykes chiamano
una “subcultura della delinquenza”, distinguendola dalla “subcultura delinquente”.
La chiave dell’analisi della subcultura della delinquenza è nella “considerevole integrazione della
subcultura nella società e non nella sua debole differenziazione”.
I meccanismi che permettono tale integrazione sono:
• la neutralizzazione delle norme che si intendono violare mantenendo contemporaneamente
l’adesione al sistema normativo e valoriale della società;
• la convergenza sotterranea tra i valori della subcultura della delinquenza e quelli della cultura
dominante.
• Molta delinquenza è basata su forme di giustificazione della devianza.
• Le tecniche di neutralizzazione permettono al deviante di essere liberato dal legame morale con le leggi
che intende violare (o che ha violato) e costituiscono una componente fondamentale – e che viene
appresa nella relazione con il gruppo sociale di riferimento – delle definizioni favorevoli alla violazione
della legge.
Matza e Sykes individuano e analizzano 5 tecniche di neutralizzazione:
• negazione della responsabilità: le azioni realizzate sono il prodotto di forze incontrollabili;
• negazione del danno: le azioni realizzate non recano alcun danno;
• negazione della vittima: la vittima meritava di subire il danno;
• condanna di chi condanna: chi condanna è parziale e ingiusto;
• richiamo a lealtà più alte: infrangere la norma era necessario per conformarsi a richieste del
gruppo di appartenenza.
• Secondo Matza e Sykes la subcultura della delinquenza non è qualcosa di completamente estraneo alla
vita sociale convenzionale ma ne rappresenta una sotterranea tradizione.
• La presenza di questi “valori sotterranei” che enfatizzano il divertimento e l’avventura, l’uso di alcol e
droghe illegali, ecc. fa si che questi comportamenti vengano ritenuti ammissibili se praticati nell’ombra
(in modo sotterraneo, quindi non pubblicamente), in determinati contesti (particolari luoghi del
divertimento) e fasi del corso di vita (periodo adolescenziale e giovanile).
• Attraverso l’utilizzo delle tecniche di neutralizzazione è possibile che vi sia un allentamento del legame
morale, motivo che pone il soggetto in una condizione di deriva (drift) che rende la delinquenza possibile.
• Tale condizione non è però, sufficiente a spingere il soggetto verso l’atto deviante, ma in tale
condizione il soggetto può scegliere tra due strade: può scegliere di infrangere la norma oppure può
scegliere di non infrangerla.
• La spinta, attraverso cui l’atto deviante si realizza, è fornita dalla volontà dell’attore.
Nessuno è “costretto” a diventare un deviante, la scelta dipende dalle condizioni e dei problemi dati
dalla realtà concreta che il soggetto si trova ad affrontare.
L’agire del deviante è “socialmente situato”, la libertà di cui dispongono le persone è variabile e
non è uguale per tutti (alcune persone sono “più libere di altre”)
La volontà può essere attivata da due condizioni:
• la preparazione, che fornisce l’impulso per la ripetizione di vecchie infrazioni;
• la disperazione, che offre la spinta per commettere nuovi reati mai messi in atto
precedentemente.
Se il comportamento deviante è appreso interagendo con persone che professano norme e valori
devianti, le politiche di intervento dovranno essere caratterizzate da due finalità:
• preventiva: isolare gli individui dai modelli normativi non convenzionali e/o favorire
l’associazione con modelli normativi convenzionali;
• educativa: allontanare gli individui devianti dai modelli normativi non convenzionali, facendoli
entrare in contatto con soggetti e/o gruppi “rispettosi della legge”, o modificare i contenuti dei
modelli normativi (subculture) di quei gruppi che promuovono condotte devianti.
La teoria di Sutherland non si concentra sulle caratteristiche delle persone che si associano, ma sui
modelli di comportamento che tali associazioni forniscono agli individui. E sul fatto che non ci sono
gruppi sociali immuni dalla devianza.
In sintesi le implicazioni operative di questo modello esplicativo sono:
• Oggetto di prevenzione non deve essere soltanto la criminalità di strada, organizzata, ecc. ma si
deve anche prevenire quella dei colletti bianchi.
• Le attività di prevenzione non si devono rivolgere solo ai soggetti deprivati o provenienti dalle
classi inferiori. In ogni ambito dell’aggregazione adolescenziale e giovanile (sportiva,
associativa, scolastica) si devono promuovere modelli di ruolo in grado di attribuire valore ai
comportamenti conformi.
Per la teoria dell’associazione differenziale:
• Individuare i soggetti che rischiano, nel contesto sociale in cui vivono, di essere affiliati a gruppi
o persone da cui potrebbero apprendere il comportamento deviante.
• Prevenire le associazioni precoci con modelli devianti.
Per la teoria della neutralizzazione:
• Rendere inefficaci i meccanismi di razionalizzazione attraverso la promozione di processi di
comunicazione che veicolino messaggi costruiti in modo tale da rendere inefficaci tali tecniche.
Anche questi teorici partono dal presupposto che i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è sono relativi,
riprendendo l’impostazione teorica di Durkheim e del paradigma sociale.
Questi teorici ribaltano però il ragionamento secondo il quale la reazione sociale alla devianza
dovrebbe ridurre i comportamenti criminali e quindi rafforzare la coesione sociale.
il controllo sociale nella loro visione non è più concettualizzato come la risposta della società al
comportamento deviante ma diventa un fattore criminogeno, che spiega il comportamento deviante stesso.
I teorici dell’etichettamento spostano l’analisi dai comportamenti e dalle caratteristiche di quelli che
infrangono le norme ai processi attraverso i quali certi individui finiscono con l’essere definiti devianti da altri.
Comportament Comportamento
o conforme deviante
Percepito Falsamente Deviante puro
come accusato
deviante
Dagli studi di questi autori emergono alcuni gruppi che sarebbero più esposti di altri alla reazione sociale:
• gli individui che appartengono a gruppi sociali che sono dotati di minore potere nella società (per ragioni di
razza, genere, età, classe sociale, livello di istruzione);
• i membri di gruppi che risiedono in ambiti territoriali ritenuti criminogeni;
• gli individui dal cui aspetto e comportamento si può inferire che sono portatori di valori diversi da quelli
dominanti;
• le persone che sono già state stigmatizzate (per esempio, gli ex-detenuti).
Lo studio di Chambliss
Un buon esempio del funzionamento di questi meccanismi di reazione sociale è dato dallo studio di
Chambliss (1973) che esamina l’atteggiamento tenuto da una comunità nei confronti di due bande di ragazzi
(The Saints e The Roughnecks).
L’autore nota come solo i membri di una banda, quella dei Roughnecks ricevono una notevole
attenzione da parte della scuola e delle principali agenzie di controllo e questo secondo Chambliss dipende
da:
• Maggiore visibilità
• Diversa reazione agli interventi della comunità nei loro confronti
• Pregiudizi della comunità
Risposta della comunità che rafforza il comportamento deviante.
Il controllo sociale dunque non è una risposta oggettiva al comportamento deviante, ma piuttosto una attività
selettiva, questo fa si che:
i tassi ufficiali che vengono registrati per quanto riguarda la devianza e la criminalità sono il prodotto delle
pratiche quotidiane delle agenzie deputate al controllo sociale stesso.
Quindi le statistiche ufficiali non ci consentono tanto di descrivere le caratteristiche della criminalità quanto
piuttosto le modalità con cui viene esercitato il controllo sociale.
Lemert descrive il processo attraverso cui la persona etichettata riorganizza la propria identità e la propria vita
intorno ai fatti della devianza.
Nel suo lavoro questo autore individua due “momenti” di questo processo:
• devianza primaria à allontanamento più o meno temporaneo, più o meno importante di chi lo attua
da valori o norme sociali e/o giuridiche
• devianza secondaria à esito del processo di interazione tra il deviante e coloro che lo stigmatizzano.
La devianza diventa mezzo di attacco, difesa o di adattamento nei confronti del problema
• L’obiettivo della sociologia diventa a questo punto quello di spiegare come funziona il processo attraverso cui
le persone etichettate acquisiscono progressivamente uno status ed una identità “deviante”.
• Per fare questo il comportamento deviante deve essere studiato ricorrendo a modelli processuali (ovvero
diacronici).
• Un concetto molto utile elaborato nell’ambito di questa teoria è quello di carriera deviante.
• Con il concetto di carriera si fa riferimento al percorso seguito da una persona in una determinata posizione o
esperienza con il trascorrere del tempo.
• La carriera deviante rappresenta il processo attraverso cui un individuo arriva a vivere la propria
devianza come elemento naturale della propria identità.
• I mutamenti di stato nell’ambito di una carriera (cioè i passaggi da una posizione all’altra) possono
anche dipendere da fattori casuali e contingenti (“contingenze di carriera”) e possono essere più o meno
improvvisi e radicali.
Becker presenta un modello di carriera deviante articolato in quattro fasi:
• Prima fase: la violazione della norma (devianza primaria)
• Seconda fase: sviluppo di motivazioni favorevoli alla devianza
• Terza fase: l’etichettamento (passaggio dalla devianza primaria a quella secondaria).
Quarta fase: l’affiliazione ad una subcultura deviante.
Nella terza fase di sviluppo della carriera deviante, quando la devianza diventa status egemone ogni aspetto
della vita del deviante viene reinterpretato alla luce della nuova etichetta per trovare una conferma della sua
diversità, della sua “natura deviante”.
Questo processo si configura come una vera e propria profezia che si autoadempie (la definizione è
di Merton) e, come descritto dal teorema di Thomas, la persona etichettata come deviante finisce assumere in
sè le caratteristiche che gli sono state attribuite.
Anche il trattamento può contribuire ad ampliare la devianza.
Da un importante studio di Goffman sul funzionamento delle “istituzioni totali” emerge come queste tendano
a consolidare lo status e l’identità deviante dei soggetti che trattano:
• impedendo loro lo scambio sociale e l’uscita verso il mondo esterno;
• spogliandoli dei ruoli sociali abituali a causa delle barriere che li separano dal mondo esterno;
• mortificando il loro sé in quanto li privano della possibilità di gestire la propria “facciata” essendo
sottratto loro il corredo e gli strumenti necessari per tale gestione;
• attribuendo loro l’etichetta di persone istituzionalizzate
• limitandone in questo modo le opportunità di vita anche quando saranno uscite dall’istituzione.
• Visto in quest’ottica il trattamento, trasmettendo agli utenti/clienti alcune ben determinate definizioni della
situazione, può influenzarne le credenze fornendo loro delle razionalizzazioni per spiegare e giustificare ex-
post i loro comportamenti devianti.
• Uno dei meccanismi di razionalizzazione dei comportamenti devianti tipico della nostra epoca è il processo di
medicalizzazione attraverso cui si cerca di spiegare e trattare il comportamento deviante come il prodotto di
una patologia.
La carriera deviante non è solo discendente.
È un processo dialettico in cui:
• i fattori ambientali ed individuali influenzano e condizionano, ma non determinano, le traiettorie future
dell’azione;
• le persone “reagiscono” all’etichettamento interpretando, e non assorbendo semplicemente, la definizione
della situazione proposta dagli agenti della reazione sociale.
• Gli sviluppi delle carriere devianti sono condizionati dalla capacità dei soggetti di contrastare i processi di
criminalizzazione primaria e secondaria.
• Corridoio della devianza
• Una teoria che considera il controllo sociale un fattore criminogeno nel settore delle politiche sostiene la
necessità di ridurre l’intrusione delle istituzioni nella vita dei devianti.
• Anche la prevenzione, se individua - sulla base di determinati “deficit” psicologici, familiari, sociali -
soggetti potenzialmente devianti che si differenziano dai soggetti “non a rischio”, può generare processi di
etichettamento e di stigmatizzazione.
La teoria dell’etichettamento ha ispirato tre tipi di politiche:
1. la depenalizzazione,
2. la diversion,
3. la deistituzionalizzazione.
2. le norme penali sono il prodotto storicamente determinato dell’azione sociale di attori collettivi, di cui
riflettono gli interessi e le visioni del mondo.
3. Alcune di esse sono espressione di un consenso diffuso (in un determinato momento storico) e riflettono la
necessità di tutelare determinati “beni”, “interessi” (l’integrità fisica della persona, la proprietà privata, ecc.)
e quindi proibire e sanzionare determinati comportamenti (la violenza sessuale, l’omicidio, la rapina, ecc.).
4. Vi sono anche altre norme che proibiscono e sanzionano comportamenti con lo scopo di proteggere “beni”,
“interessi” che sono ritenuti degni di tutela soltanto da alcuni gruppi sociali che hanno il potere di imporre la
propria visione del mondo a tutti membri di una determinata collettività.
5. Appartengono a questa categoria i cosiddetti “reati senza vittima” come ad esempio il consumo di sostanze
psicoattive illegali, la prostituzione, il gioco d’azzardo, ecc… Secondo i teorici dell’etichettamento si
dovrebbero depenalizzare i reati senza vittima.
La criminalizzazione dei “reati senza vittima” produce il crimine:
• la legge crea i criminali;
• la criminalizzazione spinge coloro che adottano il comportamento proibito a commettere reati che
sono collegati ad esso;
• la criminalizzazione, proibendo l’acquisizione legale di beni e prestazioni che sono desiderati da un
numero consistente di persone, sviluppa i mercati illegali gestiti dalla criminalità organizzata;
• l’esistenza di tali mercati illegali rappresenta un forte incentivo per la corruzione degli agenti
deputati al controllo sociale;
• le persone, entrando nel circuito penale, subiscono un processo di stigmatizzazione.
Non tutti i reati possono essere depenalizzati. Per evitare gli effetti più deleteri del controllo sociale occorre
allontanare le persone dal sistema penale, al fine di evitare:
• l’esperienza stigmatizzante del procedimento penale
• (per le persone condannate) l’esperienza negativa del carcere attraverso misure alternative alla
detenzione.
Alcuni studi hanno però mostrato gli effetti negativi delle politiche di diversion:
• l’allargamento della rete del controllo sociale
• il carattere selettivo delle misure di diversion.
• Allargamento della rete del controllo sociale à secondo alcuni autori le politiche della diversion non hanno
ridotto il ricorso a politiche di tipo penale ma si sono aggiunte ad essere allargando il numero di persone
sottoposte a controllo.
• Carattere selettivo delle misure di diversion à da alcuni studi è emerso come le politiche di diversion sono
utilizzate tendenzialmente nei confronti di alcuni gruppi sociali ed in particolare degli individui che si trovano
in condizioni meno deprivate dal punto di vista familiare, economico e sociale.
• Le istituzioni totali sono luoghi in cui le persone rinchiuse sono impossibilitate allo scambio sociale e all’uscita
verso il mondo esterno.
• In questi contesti sociali le persone subiscono un processo di mortificazione del sé (l’identità, di cui sono
portatori, viene sostituita dall’identità dell’istituzione) ed un processo di spoliazione dei ruoli (perdita
progressiva della capacità di interpretare adeguatamente i ruoli abituali es. lavoratore, genitore, studente, ecc.).
• Uno dei processi tipici dell’istituzionalizzazione è quello della “spersonalizzazione”: le persone internate, una
volta etichettate, assumano lo status collegato alla definizione della situazione e della identità che ne dà
l’istituzione, mentre tutte le altre caratteristiche personali sono messe in ombra.
Le politiche di deistituzionalizzazione propongono contesti più “naturali” e aperti per “gestire” le persone
• Pratiche di lavoro sociale che consentono alle persone di essere curate e assistite rimanendo a vivere nel
proprio ambiente sociale e familiare (assistenza domiciliare, servizi di educativa territoriale, servizi
psichiatrici territoriali, ecc.);
• Luoghi “aperti” di trattamento (comunità alloggio protette per pazienti psichiatrici, comunità alloggio per
minori, ecc.), luoghi in cui è favorito lo scambio sociale con il mondo esterno; tali luoghi sono destinati a
quelle persone che non possono, per varie ragioni, essere curate ed assistite nel proprio ambiente.
Alcuni assunti finali della teoria dell’etichettamento:
• La devianza è un comportamento diffuso in tutti i gruppi sociali
• con essa “è possibile convivere”.
• I teorici dell’etichettamento invitano alla tolleranza, a “non reagire in modo eccessivo” poiché il problema
non è la devianza ma la reazione sociale ad essa.
• Essi prendono in considerazione soprattutto i reati senza vittime
Nazionali ¨ Locali
Organiche ¨ Emergenziali
Reali ¨ Simboliche
Praticate ¨ Enunciate
Specifiche ¨ A-specifiche
REAZIONI SOCIALI
INFORMALI
MOVIMENTI SOCIALI
IMPRENDITORI MORALI
Per ognuno degli elementi
SISTEMA POLITICO E
dello schema …
RELATIVI INTERESSI INTERESSI FORTI media e senso
(CONSENSO / POTERE)
comune
movimenti sociali
saperi scientifici
PRODUZIONE NORMATIVA sistema politico
(nazionale / locale)
ISTITUZIONI DELEGATE:
AGENZIE DI CONTROLLO
ISTITUZIONI DI TRATTAMENTO
ARRESTO ARRÊSTO
C.P.A. C.P.A.
MISURE CAUTELARI: MISURE CAUTELARI:
- LIBERTÀ CON PRESCRIZIONI - AFFIDAMENTO A COMUNITÀ
- PERMANENZA IN CASA - CUSTODIA CAUTELARE IN IPM
- AFFIDAMENTO A COMUNITÀ
- CUSTODIA CAUTELARE IN IPM
INDAGINI: INDAGINI:
- SUI FATTI - SUI FATTI
- SULLA PERSONALITÀ
- SUL CONTESTO
- EVENTUALE MEDIAZIONE
RICONCILIAZIONE/RIPARAZIONE
PROCESSO: PROCESSO:
- VERIFICA DEI FATTI - RICHIAMO DEI FATTI
- ANALISI DELLA PERSONALITÀ - PRESUNZIONE CARATTERI
- LIMITI/RISORSE DEL CONTESTO DI PERSONALITÀ (sulla base di categorie - stereotipi -
pregiudizi)
ESITO :
- IMMATURITÀ (INCAPACITÀ DI INTENDERE E DI ESITO :
VOLERE) - IMMATURITÀ (INCAPACITÀ DI INTENDERE E DI
- IRRILEVANZA DEI FATTI VOLERE)
- PERDONO GIUDIZIARIO - PERDONO GIUDIZIARIO
- MESSA ALLA PROVA - CONDANNA CON SOSPENSIONE
- CONDANNA CON SOSPENSIONE CONDIZIONALE CONDIZIONALE DELLA PENA
DELLA PENA - CONDANNA A PENA DETENTIVA
- CONDANNA A PENE ALTERNATIVE
CONDANNA A PENA DETENTIVA
GLI INDIZI DI DERIVA VERSO IL SENSO COMUNE PENALE
1. RAFFORZAMENTO DEL “DOPPIO PROCESSO PENALE MINORILE” CON MISURE PIÙ RIGIDE PER I MINORI STRANIERI
(ANCHE ESTERNE ALLA PROCEDURA PENALE MINORILE)
2. CAMBIAMENTI DEL CODICE DI PROCEDURA PENALE MINORILE
riduzione dei margini di discrezionalità nell’applicazione delle misure (ad esempio esclusione della possibilità
di messe alla prova per certi reati; maggiore definizione dei criteri per l’irrilevanza; ecc.)
venir meno degli automatismi nelle attenuanti di un terzo per minore età;
abbassamento dell’età dell’imputabilità;
passaggio al carcere adulti al compimento del 18° anno se ritenuto utile
….
Femminile
Genere Maschile
Transessuale
Infantile
Età Adolescenziale
Adulta
Italiana
Straniera Est-europa (Albania / Romania /
Moldavia / Russia)
Nazionalità Africa sub-sahariana (Nigeria)
Centro e Sud-America (Caraibi / Brasile)
Altri (Maghreb / Cina)
Autonoma
Condizione MOTIVAZIONE
SOGGETTI in CONDIZIONE
Semi-autonoma FORME
(per bisogni/pressioni BENEFICIARI
psicologiche)
rapporto a scelta
COINVOLTI Coatta (coazione fisica/minaccia/patto vincolante)
BAMBINE/I E Impossibilità di Assente Tratta - coazione – “Professionali”: Terzi organizzati
Sfruttamento di terzi In contesto relazionale (compagno / marito / parente / amico)
ADOLESCENTI sottrarsi ad adulti violenza (in
Organizzato fisica e trattain/ strada
ambito o in
criminalità) - partner -
STRANIERE/I interessati a psicologica
Eterosessuale appartamenti famiglia
Destinatarisfruttamento
/clientela Omosessuale
Bisessuale
sistematico
Modalità di proposta a Diretta (strada)
BAMBINE
clienti / IE Coinvolgimento Induzione
Intermediata in “Artigianali”: in
(passaparola/mediatori/gestori Famiglia -
locali)
Mediatizzata (annunci/linee telefoniche/internet)
ADOLESCENTI in “lavoro contesto segnato da strada o in casa partner -
Strada
ITALIANE/I sessuale” per Casa bisogni
privataeconomici e propria o altrui minorenne
Luogo di esercizio Locali specifici (case di appuntamento)
assicurare deprivazione socio-
Locali a-specifici (club / massaggi / altri)
stessa/o
reddito ad adultiProfessionale
culturale
Forme di esercizio vicini e per la Saltuariamente regolare
Occasionale
sua stessa Tradizionale
Tipo di sopravvivenza
prestazioni
Le tipologie di prostituzione minorile:Innovativa
ADOLESCENTI Attività Specializzata
Autodeterminazione “Amatoriali”: in Minorenne
Basso / popolare
STRANIERI /E occasionale che Medio
Costo prestazione - marginalità
(per ambiente sociale strada o a
/ prestazioni) stesso/a -
affianca e integra - solitudine in
Elevato (per costi diretti e domicilio del
indiretti) occasionalmente
guadagni (scarsi) contesto migratorio clienteamici o altri
ottenuti in adulti -
contesto di indirettamente
economia famiglia
informale d’origine
ADOLESCENTI Offerta Autodeterminazione “Amatoriali”: in Minorenne
ITALIANE/I autonoma, - integrazione socio- strada, a stessa/o -
saltuaria o culturale - domicilio del occasionalmente
continuativa, di deprivazione relativa cliente o in amici o altri
scambio sesso- ambiti ad hoc adulti
denaro da (massaggi,
soggetti locali...)
La domanda
Sociologicamente i clienti non sono “segnati” da caratteristiche particolari, né sotto il profilo dell’età, né sotto quello
della classe sociale o della condizione personale. Si parla di “normalità” dei clienti e dell’appartenenza degli stessi ad
una pluralità di categorie.
L’interrogativo di fondo: come si può spiegare la persistenza di una forte domanda di prostituzione in un tempo in cui
sembrano essere venute meno pressoché tutte le condizioni che giustificavano la sua esistenza? Ad esempio, mancanza
di libertà nelle relazioni tra ragazzi e ragazze, assenza di educazione sessuale, indissolubilità dei legami matrimoniali,
ecc..
Le funzioni tradizionali della prostituzione erano, infatti:
- soddisfacimento dei bisogni “naturali” degli uomini, in tutte le circostanze in cui non potevano essere soddisfatti nel
contesto matrimoniale;
- iniziazione ed educazione sessuale;
- risposta a bisogni di categorie particolari;
- difesa della moralità;
- difesa sociale;
- difesa della stabilità delle famiglie.
Individui e sostanze psicoattive nella prospettiva sociologica
Quando analizziamo il consumo di droghe secondo una prospettiva sociologica, dobbiamo considerare tre elementi:
le droghe (meglio le sostanze psicoattive) che vengono assunte dai consumatori al fine di sperimentare
determinati effetti psico-fisici.
i soggetti che fanno uso di droghe
il contesto sociale, culturale e normativo in cui avviene il consumo
Per comprendere, dal punto di vista sociologico, la questione bisogna quindi considerare che:
il consumo di droghe illegali è un fenomeno sociale che coinvolge centinaia di migliaia di persone;
le persone assumono le diverse sostanze psicoattive per ottenere determinati effetti;
tale comportamento suscita differenti tipi di reazione sociale da parte dei membri non consumatori della
collettività;
la nostra reazione al consumo di droghe dipende dai valori e dalle norme sociali a cui facciamo riferimento
quando valutiamo questo comportamento.
Di quali sostanze parliamo?
Ogni sostanza che la gente ritenga capace di alterare, quando è assunta, le normali (dal punto di vista della cultura
studiata) funzioni del corpo (fisiologiche e/o psicologiche) (Knipe).
Questa definizione consente di differenziare:
le sostanze (come l’insulina, la penicillina, ecc.) usate con lo scopo di ripristinare o mantenere il normale
funzionamento del corpo,
da quelle (come il caffè, il tabacco, ma anche i placebo) che sono assunte per modificare le normali funzioni
del corpo
E’ sociologicamente rilevante il concetto di “credenza” in merito al potere psicoattivo di una sostanza
Le sostanze psicoattive:
sono assunte per ottenere determinati effetti
gli effetti dipendono dalle proprietà farmacologiche della sostanza stessa.
Tali effetti sono però sempre mediati:
dalle aspettative del consumatore,
dal significato che egli attribuisce al consumo,
dalle sue condizioni psico-fisiche,
dalle modalità di assunzione adottate (via orale, via endovenosa, ecc.),
dalla situazione in cui avviene l’uso,
dalle norme e dai valori che regolano il consumo,
dalla reazione sociale attesa e/o sperimentata
Il soggetto che fa uso di una o più sostanze psicoattive deve essere concettualizzato come un attore sociale
che agisce attribuendo alle proprie azioni un significato soggettivo (Weber).
Agisce sulla base dell’intreccio tra:
conoscenze, credenze e valori
desideri e bisogni
condizioni e opportunità
Ogni attore sociale è inserito ed agisce nell’ambito di un determinato contesto sociale e culturale che influenza i suoi
comportamenti.
Facendo riferimento a questa dimensione del fenomeno, l’attenzione si focalizza su (cfr. Teorie sociologiche):
come la struttura sociale e culturale esercita “una pressione ben definita su certi membri della società tanto da
indurli ad una condotta non conformista anziché ad una conformista” (Merton 2000, 298);
come le connessioni sociali (relazioni, gruppi, reti, organizzazioni), che collegano tra di loro gli attori, possono
favorire il consumo di droghe (si pensi, per esempio, al ruolo che si attribuisce al gruppo dei pari), come
comportamento che si apprende;
come i meccanismi di interazione sociale ed i processi di stigmatizzazione del consumatore influenzano la sua
carriera di consumo;
quali sono le norme sociali e i valori che influenzano il consumo di droghe nelle diverse situazioni sociali e
culturali.
Vi sono due modi rilevanti per classificare i diversi tipi di droghe:
uno (di natura farmacologica) si basa sugli effetti che le diverse sostanze provocano sul sistema nervoso
centrale;
l’altro (di natura sociale e culturale) si fonda sulla distinzione tra droghe il cui uso è legale e droghe il cui uso
è illegale.
Classificazione farmacologica
Sostanze che deprimono il sistema nervoso centrale: bevande alcoliche, barbiturici, benzodiazepine, solventi.
Sostanze che riducono il dolore: oppiodi naturali (oppio, morfina, codeina) e di sintesi (eroina, metadone).
Sostanze che stimolano il sistema nervoso centrale: anfetamine, cocaina, caffeina e nicotina.
Sostanze che alterano la funzione percettiva: LSD (dietilamide dell’acido lisergico) e altri allucinogeni
sintetici, funghi allucinogeni, diversi tipi di cannabis.
Le funzioni sociali dell’uso di droga
Dal punto di vista dell’individuo, le droghe possono essere assunte per soddisfare svariati bisogni.
Il consumo di droghe può essere osservato anche “dal punto di vista della società” attraverso l’individuazione delle
funzioni sociali di tale comportamento.
Lo studio di differenti tipi di società ha consentito di individuare alcune funzioni (valori d’uso) prevalenti:
terapeutica
sociale
strumentale
rituale e religioso
alimentare
Il comportamento di consumo di droghe è sempre un atto a cui il soggetto attribuisce uno o più significati funzionali
(sia strumentali che simbolici) che possono cambiare nel corso della carriera di consumo.
Le persone assumono droghe per:
facilitare le relazioni sociali
appartenere ad un gruppo
migliorare le prestazioni
ricercare uno stato di eccitazione nelle attività di loisir
ridurre stati di disagio
modificare gli stati della coscienza
sfidare valori dell’establishment
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (2004) definisce l’”uso” di droga un atto attraverso cui un soggetto si
“autosomministra una sostanza psicoattiva” senza subire effetti negativi.
Tale comportamento diventa “abuso” nel momento in cui l’assunzione di droghe produce danni fisici,
psicologici e/o sociali sull’assuntore stesso.
L’uso regolare e prolungato di determinate sostanze psicoattive può innescare nel consumatore il fenomeno
della dipendenza.
Tre criteri sono utilizzati per definire il confine tra uso e abuso di droghe:
Il criterio socio-culturale, viene definito abuso ogni comportamento che viola quelle norme sociali, ritenute
vincolanti dalla maggioranza dei membri di una collettività, che dovrebbero regolare - in una data società -
l’uso delle diverse sostanze;
Il criterio legale, lo status del comportamento di consumo è definito dal sistema giuridico, cioè dalla norma
legale: viene etichettato come patologico l’uso di qualsiasi sostanza illegale, ignorando la dimensione storico-
culturale del fenomeno;
Il criterio medico-biologico, è considerato un abuso ogni comportamento di consumo che si presume
determini un danno psico-fisico.
Distinzione tra problemi primari e problemi secondari.
Molti problemi connessi all’uso di sostanze psicoattive non risiedono nell’individuo o nel potere farmacologico
della sostanza ma rimandano all’interazione del soggetto con il contesto sociale.
Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM IV) individua gli indicatori della modalità compulsiva
d’uso della sostanza che è caratteristica della dipendenza:
il soggetto può assumere la droga in quantità maggiori o per un periodo più lungo di quanto inteso in origine;
Il soggetto, pur desiderandolo, non riesce a ridurre o controllare l’uso della sostanza;
Il soggetto spende una grande quantità di tempo nelle attività necessarie a procurarsi la droga, ad assumerla o a
riprendersi dai suoi effetti
Le attività sociali, lavorative e ricreative possono essere abbandonate o ridotte a causa dell’uso di droghe, in questo
modo tutte le attività quotidiane della persona ruotano intorno alla dipendenza
La persona continua a fare uso di droga nonostante sia consapevole di avere un problema fisico o psicologico
causato verosimilmente dalla sostanza.
Gli effetti dannosi sull’organismo non dipendono soltanto dalle caratteristiche farmacologiche della sostanza assunta,
ma anche da una serie di specifici fattori che strutturano i diversi stili di consumo:
la quantità di droga assunta (il dosaggio)
la frequenza del consumo (episodica, saltuaria, regolare, ecc.)
la modalità di assunzione (per via endovenosa, per inalazione, per ingestione, ecc.)
la situazione in cui avviene il consumo
le caratteristiche psicofisiche dell’assuntore
la varietà delle sostanze assunte
quando si assume una droga
con chi si assume
Sono state elaborate diverse tipologie di consumatori che si basano (Ravenna 1997):
sulle caratteristiche di personalità degli stessi,
sul coinvolgimento nel consumo (consumatori saltuari, regolari, dipendenti),
sul tipo di sostanza utilizzata (consumatori di droghe “leggere”, consumatori di “droghe pesanti”, ecc.).
Una distinzione rilevante da un punto di vista sociologico è quella che si fonda sul grado di coinvolgimento dei
consumatori nella subcultura della droga (Cloward e Ohlin) e sul grado di compromissione della loro funzionalità
sociale:
i tossicodipendenti di “strada” (street addicts);
i tossicodipendenti che sono in grado di mantenere uno stile di vita “convenzionale” durante la loro carriera
di consumo (sono in grado, cioè, di contenere l’impatto negativo della dipendenza sui loro funzionamenti
sociali) e di “entrare” ed “uscire” dalla dipendenza anche senza ricorrere al trattamento.
Non è vero, quindi, che la carriera dei consumatori di droga sia caratterizzata da un susseguirsi di fasi che conducono
inevitabilmente l’individuo alla dipendenza ed a “toccare il fondo”.
Fattori che possono aiutarci a comprendere le differenti traiettorie dei corsi di vita dei consumatori di droghe:
il contesto sociale in cui la persona è collocata,
le risorse di cui dispone ed è in grado di attivare,
il tipo di reazione sociale sperimentata.
tali soggetti sono in grado di gestire la propria “facciata” evitando di essere screditati in determinati ambienti sociali.
Può farlo nella misura in cui mette in atto strategie finalizzate ad esercitare un uso controllato.
Tale stile di consumo ha a che fare con:
i metodi per procurarsi ed assumere la droga;
i criteri per selezionare i momenti ed i luoghi in cui usare la sostanza;
i modi per prevenire gli effetti indesiderati (malesseri, visibilità del consumo, ecc.).
I consumatori devono:
organizzare la propria giornata in modo tale che il bisogno di assumere eroina sia fronteggiato senza
compromettere il regolare svolgimento delle normali attività quotidiane (necessario efficace
approvvigionamento della sostanza);
maturare la consapevolezza e sviluppare la capacità di diversificare la quantità di droga da assumere
(dosaggio) in relazione ad ogni specifico contesto di consumo (tempi e luoghi).
Studi realizzati sulla remissione spontanea e studi longitudinali realizzati su campioni di consumatori non
appartenenti a subculture devianti hanno evidenziato che quasi tutti i consumatori hanno mantenuto un’attività
lavorativa, pochissimi hanno avuto problemi con la giustizia: non hanno, cioè, compromesso i propri
“funzionamenti sociali”. Tali studi hanno dimostrato che la compromissione della “funzionalità sociale”
(spesso riscontrata nelle carriere degli ex-tossicodipendenti che si sono rivolti ai servizi) non è l’esito
inevitabile della carriera di un consumatore (anche di un tossicodipendente).
Tre fattori concorrono a determinare la condizione di vulnerabilità di un soggetto:
la disponibilità limitata di risorse di base necessarie alla sopravvivenza (reddito insufficiente, abitazione
inadeguata, ecc.)
la scarsa integrazione nelle reti sociali (lavoro, relazioni familiari e amicali): la disoccupazione o la
precarietà lavorativa, la scarsità di aiuti forniti dalla famiglia, dalle relazioni di vicinato, dalla rete dei servizi
rendono difficile l’integrazione sociale