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Quasi tutte le teorie hanno avuto una certa influenza sulle politiche ovvero leggi, istituzioni, servizi
e interventi tesi alla prevenzione, al contenimento, alla repressione dei fenomeni e problemi
devianti, alla punizione o al trattamento del deviante.
Le definizioni degli individui come devianti possono variare nel tempo e nello spazio e non sempre
i criteri utilizzati sono oggettivi.
Alla visione conflittuale classica (legislazione = espressione dell’interesse delle classi dominanti) si
oppone la prospettiva dialettica = i contenuti delle norme sono influenzati e influenzabili dalla
dialettica tra le diverse forze contrapposte, possono avere ruolo anche le forze con meno potere
(es. riconoscimento dei diritti dei lavoratori).
Le caratteristiche oggettive dei problemi non hanno rilevanza decisiva nella creazione della norma.
Per giungere all’elaborazione/cambiamento di norme sono necessarie delle condizioni favorevoli:
percezione dei problemi a livello di senso comune
domande orientate in direzione del sistema politico
interventi di gruppi di interesse, movimenti collettivi, lobby, imprenditori morali, istituzioni,
studiosi ed esperti.
I contenuti delle normative in materia di controllo delle devianze, negli ultimi anni, hanno
connotazioni definite:
1. aggravamento delle sanzioni per i reati di maggiore impatto sul sentimento di insicurezza,
maggiore severità nel trattamento dei minorenni, crescente valutazione retributiva e
simbolica;
2. misure di controllo rivolte a particolari gruppi portatori di caratteristiche devianti o
orientati al crimine;
3. rafforzamento dei poteri delle Polizie e aumento del numero delle prigioni, organizzate
con la funzione di incapacitare e neutralizzare i reclusi;
4. la difesa dai potenziali rischi come priorità, anche a costo di sacrificare i diritti civili e la
libertà dei sospettati. Sostegno alle politiche di prevenzione situazionale mediante la
maggior diffusione di sistemi pubblici e privati, valorizzazione dell’autodifesa.
In alcuni paesi, al contrario, sono maturate legislazioni che mostrano la rilevanza di forze non
dominanti e l’influenza di saperi esperti:
1. attenzione alle vittime come meritevoli di riparazioni dei danni materiali e morali,
2. difesa dei cittadini rispetto ai danni alla salute e all’ambiente,
3. depenalizzazione delle droghe leggere,
4. penalizzazione, non più delle persone che si prostituiscono, ma anche dei clienti e
rafforzamento delle misure di contrasto allo sfruttamento,
5. regolazione più severa dello spazio virtuale, contrasto ai reati e alle forme di violenza sui
social network.
Non esiste deviante se quell’etichetta non gli è applicata dall’interazione con altre persone o con le
istituzioni di controllo. Persone che hanno commesso dei reati ma non scoperte non fanno un
soggetto un criminale. -> Al contrario, può essere definito e trattato come criminale chiunque sia
stato accusato di reato che non ha mai commesso.
La definizione legislativa dei confini tra lecito e illecito va integrata con il processo di applicazione
di tali norme. A dare sostanza alle leggi di diritto positivo sono le scelte compiute da attori diversi
con ruoli istituzionali diversi, come le forze dell’ordine e la magistratura.
Si tratta di scelte volte all’effettività (esercizio, applicazione) della norma.
Se si tratta di una norma semplice, che introduce un divieto o un obbligo e definisce la
sanzione relativa, l’effettività della norma consiste in misure di controllo che inducano
l’osservanza di essa.
Se si tratta di una norma complessa, che prevede la prevenzione o il contenimento o il
trattamento di un fenomeno.
L’efficacia della norma si misura in base a quanto essa abbia raggiunto gli obbiettivi dichiarati,
soddisfatto le richieste dei cittadini, risolto problemi.
Nesso tra effettività ed efficacia: non può essere efficace una norma che non viene applicata ma,
non necessariamente, una norma effettiva è efficace.
In alcuni casi il rapporto tra effettività ed efficacia è lineare = la sua effettività è garanzia di
efficacia.
Molti sono i casi di non raggiungimento degli obiettivi dichiarati nel momento di elaborazione della
norma (es. proibizionismo in materia di droghe ha peggiorato la situazione).
Gli attori implicati sono orientati da procedure formalmente definite ma, anche, condizionati da
alcuni elementi (che rendono possibile la selettività): interpretazione delle norme, margini di
discrezionalità, risorse disponibili, cultura, idee, conoscenze e competenze.
Altro elemento importante all’origine della selettività è lo stereotipo del criminale-> tendenza a
selezionare, da un insieme di individui che mettono in atto comportamenti simili, le persone più
vicine allo stereotipo dominante; ciò è perpetuato da agenzie di controllo, dalla magistratura, dalle
istituzioni carcerarie.
Al contrario, i gruppi sociali privilegiati godono di immunità.
Politiche attuariali = in riferimento alla statistica attuariale, si esercita controllo non su singoli
individui ma su gruppi potenzialmente pericolosi, mediante sorveglianza, incapacitazione e
repressione. Il singolo deviante verrà preso in considerazione a partire dagli attributi della
categoria a cui appartiene (es. le minoranze etniche, gli immigrati).
L’agire della polizia è stato oggetto di ricerche quantitative e qualitative. Queste hanno
sottolineato come gli agenti si basino per i controlli sull’aspetto, il viso, il colore della pelle, la
nazionalità, la provenienza, il comportamento (conferma delle modalità selettive di esercizio del
controllo). Le pratiche della polizia nei confronti degli stranieri sono discriminatorie, fanno parte
del razzismo istituzionale.
Sono questi i principi che hanno permeato la costruzione dei moderni sistemi penali e processuali
in Europa e in altre parti del mondo, a partire dalla seconda metà del Settecento.
La prima criticità è connessa alla difficoltà di costruzione di un sistema che fondi in maniera
oggettiva il principio della proporzionalità tra reati e sanzioni.
Per i reati diversi da quelli predatori o strumentali emerge con evidenza il limite
dell’individuazione dell’unica causa del comportamento deviante nella razionalità che caratterizza
l’Homo aeconomicus: ricordiamo i reati espressivi.
E di rischio più o meno elevato di incorrere nelle sanzioni, più che di certezza delle pene, occorre
parlare, evidenziando in questo modo il terzo elemento, la terza criticità da considerare: la non
consistenza empirica della sequenza delitto-pena su cui si fonda molta della pretesa efficacia
deterrente della sanzione.
È constatazione scontata che vi sia, da parte di chi compie un reato, non solo un calcolo basato sul
rapporto tra i benefici ottenuti con il reato e i costi rappresentati dalle sanzioni, ma anche una
valutazione sulla più o meno ampia probabilità che quel costo si paghi in concreto.
Molte ricerche hanno messo alla prova, nella realtà, i principi sanciti dalla prospettiva del
paradigma classico, mostrando i limiti dello schematismo di fondo del ragionamento originale. Ci
riferiamo agli studi che si sono occupati di verificare l’effettiva efficacia deterrente delle sanzioni
ponendole in relazione a reati, tipi di autori e caratteristiche della pena.
Quanto alla infallibilità della pena, ovvero -> l’assoluta corrispondenza tra sanzione prevista in
astratto e sanzione applicata in concreto, si può dire che è stata progressivamente messa in
discussione dagli orientamenti di politica penale che sono discesi dai paradigmi successivi a quello
classico.
L’insieme di questi elementi ha portato, nel corso del tempo, al passaggio dalla definizione netta e
univoca della sanzione corrispondente a ciascun reato alla indicazione di un minimo e un massimo,
la cosiddetta forbice edittale.
Nel corso del tempo si sono elaborati numerosi criteri che possono aiutare il giudice a scegliere la
sanzione specifica:
• le caratteristiche specifiche del fatto-reato;
• la presenza di circostanze e situazione che possono configurare attenuanti o aggravanti;
• la gravità del danno;
• la natura del reato;
• il grado di premeditazione;
• i motivi per cui l’imputato ha agito;
• il grado di consapevolezza delle conseguenze;
• le condizioni di vita individuale.
Tutti i riferimenti alla persona, in via di principio, sono dunque oggi rilevanti per la scelta di una
pena.
In molti paesi la politica carceraria è la -> saldatura tra le esigenze del sistema politico e i
sentimenti diffusi. In questo clima si verifica l’abbandono dell’ideale della riabilitazione, con lo
scopo di isolare i pericolosi e neutralizzarli.
Negli USA, come in Italia, i tassi di incarcerazione non sono giustificabili con i tassi di criminalità.
Questo dipende dall’aggravamento delle pene e dalle politiche repressive in materia di droga.
Negli USA in carcere si ha l’abbandono del modello correzionale, della riabilitazione e
rieducazione.
L’idea del trattamento dell’individuo lascia il posto a incapacitazione e isolamento.
In Italia vi è un mix di orientamenti differenti. L’incarcerazione riveste il ruolo di segregazione ed
esclusione temporanea. In questo contesto si osserva una grande distanza tra “diritto sulla carta”
e “diritto in azione”, dovuto dalla pena: da un lato con finalità rieducative, dall’altro il
contenimento e la somministrazione di sofferenza (in una logica retributiva).
In questo clima e in questo contesto si è affacciata la concezione della prevenzione che adotta una
prospettiva diversa -> La concezione di prevenzione che si fonda sulla modificazione dei contesti in
cui certi comportamenti hanno luogo, ha poi trovato applicazione anche nella ricerca di
contenimento di altre forme di devianza che si manifestano in luoghi pubblici, come l’alcolismo o
la tossicodipendenza o ancora la prostituzione di strada.
Qui la creazione di ostacoli alla presenza di persone e comportamenti sgraditi si è associata
all’applicazione di forme diverse di sanzioni, spesso di natura amministrativa, tese a scoraggiare il
perpetuarsi delle azioni.