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CAPITOLO 1 - L’AUTORE DEL REATO.
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essere inquadrato in un complesso di circostanze e condizioni che esprimono la
personalità criminologica dell’autore. La valutazione di fattori ed elementi soggettivi
non determina comunque l’abbandono di una concezione oggettiva del reato.
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- delinquente per passione (con indebolimento momentaneo del senso morale e dei
freni inibitori).
Ma nasce una terza scuola di pensiero, la Nuova difesa sociale (o scuola eclettica):
secondo questo movimento le responsabilità viene considerata espressione della
personalità.
Teorici della devianza: osservano il comportamento che viola una norma penale e
analizzano il rapporto tra comportamento, soggetto, contesto e risposta sociale.
Si parla di DEVIANZA solo se e quando esiste una norma; si parla di CRIMINALITA’
solo se e quando esiste una norma penale.
Il sistema del doppio binario mantiene la responsabilità per il fatto commesso con
volontà colpevole e la pena destinata agli imputabili ma considera anche la
pericolosità sociale di certi soggetti e le misure di sicurezza.
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anch’essa in Germania per opera di Welzel, prima legato alla teoria del tipo
normativo d’autore): l’azione finalistica è quella di un soggetto capace di organizzare
il suo comportamento in funzione di un obiettivo antigiuridico da conseguire, capace
di volere e di conseguire tale risultato.
Nel nostro sistema penale italiano la personalità dell’autore viene considerata solo al
fine di determinare le conseguenze penali applicabili. Nella Costituzione repubblicana
l’art. 25 punisce esclusivamente il “fatto commesso”, l’art. 27 prevede la responsabilità
penale. Vengono rifiutate le teorizzazione che accreditano una responsabilità penale dal
fatto interiore, per il modo psicosociale di essere o per una condotta di vita ancora
giuridicamente insignificante sul piano offensivo, o della volontà. L’intenzione dichiarata
ma non realizzata non è penalmente rilevante. Si attribuisce rilievo quindi
all’atteggiamento del soggetto rispetto al fatto espresso in termini di valore.
L’IMPUTABILITÀ
L’imputabilità consiste nel criterio minimo dell’attitudine ad autodeterminarsi,
condizione per esprimere la disapprovazione al fatto commesso dall’agente.
La volontà umana può definirsi libera quando il soggetto riesce ad esercitare poteri di
inibizione e controllo sulle proprie scelte ed è assunta dal diritto penale come contenuto
di un’aspettativa giuridico sociale. Le decisioni umane sono determinate da cause che
operano secondo leggi psicologiche, non scaturiscono dal puro arbitrio della volontà. Si
può esercitare sull’agente un condizionamento idoneo a indurlo a non delinquere.
Ross sottolinea come il carattere condizionato della libertà umana sia funzionale alla
prospettiva penalistica, che influenza la condotta dell’uomo mediante la minaccia
della pena. Occorre capire le condizioni psichiche del soggetto agente e se aveva
presente i valori condivisi e se ha consapevolmente violato tali valori. Solo alla
presenza della capacità di intendere e di volere è possibile muovere un rimprovero
all’autore del reato, ma in mancanza tale rimprovero non verrebbe compreso
rendendo meno il concetto di colpevolezza (reazione psicologica di volizione che
intercorre tra il soggetto e il risultato lesivo, successivamente, valorizzando il
momento della disobbedienza espresso dal comportamento lesivo). Il soggetto è
ritenuto colpevole per aver manifestato una volontà di lesione che non ci doveva
essere perché in contrasto con le norme di legge.
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Secondo l’art. 27 della Costituzione al primo comma la responsabilità penale è
personale: l’autore deve essere responsabile, capace di intendere i precetti di legge
ed è necessario che il fatto sia psicologicamente proprio.
L’ultimo comma dello stesso articolo stabilisce che le pene devono tendere alla
rieducazione del condannato, ovvero correggere difetti del comportamento che
realizzano antisocialità, che si differenzia dal termine “emenda” che implica il
pentimento.
- La previsione della pena, dovendo distogliere i potenziali autori dal commettere reati,
presuppone che questi siano psicologicamente in grado di lasciarsi motivare;
- L’esecuzione concreta della pena nei confronti del singolo, dovendo tendere a
rieducarlo, necessita la capacità psicologica di cogliere il significato del trattamento
punitivo;
- A limitazione della pena ai soli soggetti psicologicamente maturi riflette la concezione
socialmente dominante dell’imputabilità.
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riferisce alla personalità del reo che si manifesta nell’azione criminosa in un’ottica di
prevenzione sociale, uno stesso fatto può essere valutato in modo diverso a seconda
della personalità del suo autore. Il giudizio si sposta dal fatto alla personalità.
Costituisce un giudizio sulla personalità del soggetto che serve da criterio per
adeguare la qualità e la misura della pena alle esigenze del singolo individuo.
Secondo l’art. 133 del Codice penale il giudice deve tenere conto della capacità a
delinquere del colpevole desunta:
LA RECIDIVA
È lo status di chi ricade nel reato presentandosi come un soggetto suscettibile di
essere classificato in una tipologia criminale ed è caratterizzato dall’abitudine al
delitto. La recidiva esprime una volontà antigiuridica, si tratta di una qualificazione
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giuridica soggettiva che produce un aggravamento di pena perché l’inclinazione al
delitto postula un’espiazione particolare per un determinato modo di essere.
Il codice prevede tre forme di recidiva:
1. Semplice : per la commissione di un illecito in seguito a una condanna;
2. Aggravata : se l’illecito è della stessa indole o è commesso entro cinque anni dalla
condanna o durante o dopo l’esecuzione della pena o nel tempo in cui il condannato
si sottrae volontariamente all’esecuzione della stessa;
3. Reiterata : se l’illecito è commesso da chi è già recidivo.
Legge 5 dicembre 2005 n.251= chi, dopo essere stato condannato per un delitto non
colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della
pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo.
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LA PERICOLOSITÀ CRIMINALE
La capacità criminale esiste perché il soggetto ha già commesso il reato. La
pericolosità è solo una probabilità, un’ipotesi e non ricorre sempre. Il giudizio di
pericolosità non può prescindere da un rapporto con l’ambiente sociale. Al concetto
di colpevolezza che concerne soltanto i soggetti capaci di intendere e di volere, si
contrappone quello di pericolosità sociale che privilegia la personalità dell’autore e
fa riferimento alla probabilità che l’autore continui a delinquere in futuro.
All’art. 203 il codice afferma: “agli effetti della legge penale è socialmente pericolosa
la persona, anche se non imputabile e non punibile, la quale ha commesso dei fatti
indicati nell’articolo precedente, quando è probabile che commetta nuovi fatti
preveduti dalla legge come reati”.
Per la pericolosità occorre un’attitudine particolarmente intensa. È un modo di
essere del soggetto; consiste in una qualità del soggetto da cui si deduce la
probabilità che commetta nuovi reati. Il giudizio di pericolosità non può prescindere
da un rapporto con l’ambiente sociale; la qualità indiziante è criminalità in potenza,
che, per tradursi in atto, dovrà trovare terreno favorevole nel mondo esterno.
L’art. 31 stabilisce che tutte le misure di sicurezza personali devono essere ordinate
dopo avere accertato che il colpevole è una persona socialmente pericolosa.
Accanto alla perizia criminologica, infatti, è stata introdotta la perizia psichiatrica anche
se l’accertamento della pericolosità del malato di mente fosse di competenza medica e
non psichiatrica.
- delinquente professionale;
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chi, dopo essere stato condannato per due delitti non colposi, riporta un’altra condanna
per delitto non colposo, se il giudice ritiene che il colpevole sia dedito al delitto.
L’essere dedito al delitto significa che il soggetto deve aver acquisito una struttura della
personalità incline alla commissione di reati, pertanto viene considerato pericoloso. La
professionalità nel reato è una specie dell’abitualità criminosa. Non basta che i reati
siano commessi a scopo di lucro, ma occorre che forniscano una fonte economica
stabile di mantenimento. Un individuo è dichiarato delinquente professionale qualora
debba ritenersi che egli viva abitualmente dei proventi del reato.
L’attitudine professionale indica una vocazione per il delitto quindi la possibilità di
nuove recidive è criminologicamente fondata. La tendenza a delinquere: la
dichiarazione di tendenza a delinquere viene pronunciata contro chi, non recidivo o
delinquente abituale o professionale, ha commesso un delitto di sangue, un delitto cioè
che offenda la vita o l’incolumità di una persona.
Bisogna tenere conto del fatto che il soggetto non vuole soltanto il risultato lesivo, ma
vuole che la lesione produca la maggiore sofferenza possibile alla vittima. La tendenza a
delinquere, per questo, è prevista solo per i delitti contro la vita e l’integrità personale.
L’anormalità etico-affettiva è considerata irrilevante ai fini dell’imputabilità. Il
soggetto è concepito come privo di senso morale. Abitualità, professionalità e
tendenza a delinquere comportano sia aumenti di pena sia applicazioni di misure di
sicurezza come l’assegnazione a una casa di cura o il ricovero in un riformatorio
giudiziario. Bisogna tenere conto, però, che la tendenza a delinquere va sempre
riferita al soggetto imputabile ed esclusivamente per illeciti dolosi. Comportano
l’applicazione di misure di sicurezza come l’assegnazione ad una casa di cura o
custodia, la libertà vigilata. Producono l’interdizione perpetua dai pubblici uffici,
l’inapplicabilità dell’amnistia, il divieto della sospensione condizionale della pena e
del perdono giudiziale.
CENNI CONCLUSIVI
Le modalità con cui viene commesso il reato sono rivelatrici di una particolare
conformazione psichica. I vari modi possibili di comportarsi possono ridursi ad alcuni
tipi fondamentali, ciascuno dei quali è indicativo di un particolare carattere.
Non esiste il delitto o il delinquente ma una serie estremamente diversa di situazioni
e autori. L’errore più evidente è quello di considerare il crimine come un fenomeno
unitario: la personalità umana è individuale e molteplice e non può essere
interpretata con
leggi generali che dovrebbero valere per gruppi di personalità. Lo sviluppo delle
personalità viene sempre valutato all’interno di contesti e rapporti.
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I reati possono essere commessi con precipitazione, con ponderazione, con senso di
economia, con senso di prodigalità, con il massimo di crudeltà, con violenza, con
perseveranza, con timidezza, con spregiudicatezza, con rimorso, per motivi egoistici o
altruistici, per motivi di lucro, per vendetta ecc.
La psicologia fornisce criteri per la caratterizzazione delle azioni, nelle costanti e nelle
variabili nel processo di motivazione.
▪ Teoria della frustrazione-aggressione : la caratteristica dei delinquenti sarebbe la
loro minore capacità di tolleranza alle frustrazioni;
▪ Psicoanalisi;
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l’interiorizzazione, cioè include nella propria coscienza norme e principi che diventano
parte integrante della personalità.
Il sistema di controllo sociale è l’insieme delle strutture e istituzioni che consentono ad
ogni individuo di conoscere le conseguenze della non osservanza delle norme, che
rafforzano e mantengono la conformità.
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Cohen considera la devianza come il comportamento che viola le aspettative condivide e
riconosciute come legittime all’interno di una società. Si è proposto diverse volte di
abbandonare il termine “devianza” e utilizzare quello di “marginalità” per indicare la
condizione di alcuni individui che vivono in condizioni solitamente peggiori rispetto a
quelle del resto della società.
I fattori che possono condurre alla devianza i soggetti marginali sono:
- Decadenza di valori tradizionali;
- Individualismo dilagante;
- Stimolazione al successo e difficoltà a raggiungerlo;
- Assenza dei servizi sociali;
- Bassa qualità delle istituzioni educative;
- Marginalità economica che diventa marginalità sociale e psicologica.
Un’altra distinzione va fatta tra la criminalità compiuta dal singolo e la criminalità delle
organizzazioni criminali come quelle mafiose. Il termine crimine indica atti
particolarmente efferati che suscitano una reazione sociale di sdegno e di
colpevolizzazione dell’autore; è fondamentale, però, evitare le generalizzazioni e parlare
sempre al singolare perché non esiste, ad esempio, la categoria dei delinquenti, dei ladri
o dei truffatori: esistono tanti singoli individui, ciascuno con la propria storia individuale
e le proprie motivazioni. Assume un’importanza fondamentale la cosiddetta “questione
minorile”: le ricerche indicano, infatti, che un numero sempre crescente di minorenni
criminali partecipano ad attività illecite. Questa partecipazione dei giovani alle attività
illecite può essere causata da vari fattori come:
- Incompleta maturazione della personalità;
- Inesperienza di vita;
- Impulsività;
- Minor conformismo.
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2. socializzazione secondaria in cui vengono interiorizzati i sottomondi istituzionali e si
acquisisce una conoscenza legata ai diversi ruoli.
razza.
Ma si evidenziò una caratteristica tipica dei giovani delinquenti: erano stati cresciuti in
una famiglia in cui vi era poca coesione e scarsi valori sociali e da genitori non adatti a
essere una guida e che non rappresentavano un modello di identificazione positivo.
Quindi la somma di fattori ambientali negativi, inadeguatezza della famiglia e
determinate caratteristiche psichiche porta più facilmente alla realizzazione di una
condotta criminosa.
TEORIA DEI CONTENITORI (RECKLESS) Reckless parla di quei fattori che favoriscono il
contenimento della condotta nell’ambito della legalità e che la carenza di questi “contenitori”
favorisce la scelta criminale:
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contenitori interni: legati alle caratteristiche psicologiche dell’individuo e sono:
- buon autocontrollo;
- buon concetto di sé;
- forza di volontà;
- principi etici;
- buona socializzazione;
- senso di responsabilità.
Quando i contenitori esterni sono carenti, anche quelli interni sono deficitari e la
condotta criminosa è molto probabile.
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e codici morali ma condivide con la cultura dominante la maggioranza di altre norme
(come i valori familiari, religiosi, ecc.)
TEORIA DELLA CULTURA DELLE BANDE CRIMINALI DI COHEN
Cohen sostenne che i giovani di bassa estrazione sociale vivono un conflitto nei confronti
della classe media dalla quale si sentono estraniati, per superare questo conflitto
interiore mettono in atto il meccanismo difensivo della formazione reattiva (non
potendo raggiungere i traguardi dei borghesi li rifiutano e li disprezzano).
Questa teoria, però, è troppo radicalizzata perché la delinquenza giovanile non sempre è
organizzata in bande perché spesso si esercita anche in modo isolato.
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Secondo Matza non esiste una scissione tra i valori accettati dai soggetti conformi e
quelli di coloro che delinquono. La maggior parte delle attività criminose sono sostenute
da forme di autogiustificazione che il delinquente mette in atto per difendersi dall’atto
delinquenziale commesso. Egli, infatti, opera un processo di razionalizzazione per cui
neutralizza, tramite tecniche difensive, il conflitto con la morale sociale. Ha individuato
cinque tecniche di neutralizzazione:
1. La negazione della propria responsabilità: il delinquente si percepisce come trascinato e
non si assume le proprie responsabilità;
2. La minimizzazione del danno provocato: egli ridefinisce le proprie condotte, per cui un
furto diventa una presa in prestito, per esempio
3. La negazione della vittima: il deviante si definisce un giustiziere nei confronti del
malfattore (la vittima);
4. La condanna di coloro che condannano: il deviante definisce i cittadini conformi degli
ipocriti, la polizia corrotta, ecc.
5. Il richiamo a ideali più alti: il delinquente considera alcuni ideali superiori come la
fedeltà al gruppo di appartenenza ola solidarietà tra amici.
Matza formulò anche la teoria del determinismo debole: a volontà di violare una norma
nasce quando subentra un vero e proprio senso di dispersione dovuto al sentirsi
incapace di dominare gli eventi che, a sua volta, si traduce in un bisogno di convincere sé
stessi di essere ancora padroni della situazione. Diventa allora necessaria un’azione
diversa da solito, una violazione mai sperimentata. Così Matza parla di determinismo
debole (drift): una sorta di limbo tra conformità e devianza; il soggetto non dirige mai
definitivamente il proprio comportamento in senso deviante o conforme e può
accentuare inclinazioni che non sente pur di sollevarsi da situazioni angosciose.
CRIMINOLOGIA CRITICA (Schwendinger e Schwendinger ’70-’80)
Identificò la devianza con il dissenso, i criminali furono definiti oppositori del sistema:
nella forma più estrema tutto il diritto era da sovvertire, la classe dominante veniva
definita criminale per le sue ingiustizie, per il suo sfruttamento e per la sua negazione
della libertà umana. L’ideologia borghese viene repressa perché percepita come una
minaccia al sistema capitalistico; le classi dominanti assoggettano sia i delinquenti sia le
classi subalterne.
NUOVO REALISMO
Lea e Young rivolgono la loro attenzione ai reati da strada (street crimes): scoprono che
proprio i meno abbienti e i ceti più indifesi sono quelli più vittimizzati e che hanno
bisogno di più protezione. Le classi meno favorite che vivono in una condizione di
marginalità si trovano in una situazione di insoddisfazione perché hanno delle
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aspettative eccessive rispetto alle concrete possibilità di realizzarle; la consapevolezza di
non poter realizzare queste aspettative fa scaturire un sentimento di ingiustizia e quindi
la criminalità. Criminalità povera dovuta al malcontento delle categorie marginali che
hanno aspettative eccessive rispetto alle effettive possibilità di realizzarle.
La devianza deriva dal confronto sociale.
APPROCCIO ECONOMICO-RAZIONALE
I mutamenti ideologici sull’economia hanno riflessi anche sul pensiero criminologico che
ha inteso la condotta criminosa come determinata da principi razionali, come quelli che
guidano le scelte economiche. Secondo G.S. Becker (1968) non sono i fattori biologici,
psicologici, ambientali o sociali a causare il comportamento criminale ma una
componente di calcolo e un’analisi dei costi e dei benefici. Il delinquente, quindi, calcola
vantaggi e svantaggi che derivano da un reato e se i benefici sono superiori agli
svantaggi, si determinerà il reato. Il delinquente valuta in modo razionale sia la
possibilità di essere scoperto sia l’utile, economico e no, che potrà ricavare dal delitto.
Sociology of economy, Becker ’68.
Criminalità: calcolo dei costi-benefici. I costi sono legati a:
- Organizzazione;
- Esecuzione del reato;
- Rischio di essere condannati;
- Violazione dei valori etici;
- Legami affettivi;
- Variabili di tipo psicologico.
Si adatta a:
- delinquenza dei colletti bianchi,
- frodi,
- bancarotta fraudolenta,
- criminalità organizzata di tipo mafioso, - delinquenza comune.
Non si adatta a:
- delitti d’impulso,
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- delitti compiuti da soggetti con disturbi psichici.
Tali dimensioni non hanno confini specifici e ben delineati, non vanno considerate
singolarmente ma nella loro interazione reciproca. Nella psicologia delle azioni viene
data molta importanza alle regole. Le regole possono essere definite come modelli
procedurali utilizzati per organizzare logicamente e dare un senso a sequenze di azioni.
Quindi nell’analisi delle azioni bisogna interrogarsi sulle ipotesi che hanno guidato il
compostamente. La devianza è una delle possibilità di comunicazione tra gli esseri umani
e questo vale soprattutto per gli adolescenti. Scegliere la devianza permette di
diffondere meglio e rendere più evidente il messaggio e il suo significato.
Proprio in età evolutiva la componente espressiva della devianza prevale su quella
strumentale.
I comportamenti devianti nell’età adolescenziale sembrano esprimere:
- aggressività verso la società, sentita come distante e poco disponibile
verso le loro esigenze;
- bisogno di protagonismo tra i coetanei;
- confronto verso il mondo degli adulti.
L’individuo utilizza costantemente sistemi di Feedback (teoria delle retroazioni) per:
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a) capire che tipo di funzione svolge l’azione rispetto all’individuo e ai suoi sistemi di
appartenenza (per i soggetti in età evolutiva: dimensione relazionale, dimensione
dell’identità in costruzione, comprensione e ruolo delle regole);
b) capire il tipo di messaggio che l’attore sta lanciando;
c) capire cosa ha guidato l’azione.
A B
Non vi sono legami singoli, si crea sempre una retroazione cumulativa e ogni sistema si
organizza per raggiungere l’omeostasi.
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possibilità di recupero sociale del deviante dato che la responsabilità è sempre presente
nel soggetto che compie il reato.
Responsabilità:
- Regolatore dei rapporti sociali e della coscienza individuale (in Occidente)
-Il minorenne anche prima dei 14 anni è capace di responsabilità personale e sa ciò che fa;
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- L’imputabilità lascia la possibilità di interventi d’altro tipo di discutibile efficacia;
- Poco utile sul piano psicologico chiedere conto del reato solo per mettere in atto
provvedimenti alternativi di dubbio valore formativo.
In base all’art. 98, tra i 14 e i 18 anni, purché ci sia imputabilità si deve dimostrare che il
minore sia:
- capace di intendere: possesso di abilità cognitive tali da consentire al minore la
comprensione degli elementi della scelta e del loro significato in termini di
eventualedistacco dalle norme socialmente condivise e sanzionate nei
codici;
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INFERMITÀ PSICHICAE ATTENUAZIONE DELLA RESPONSABILITÀ
Il senso comune tende ad attribuire al criminale, soprattutto quando compie atti gravi
che impressionano l’opinione pubblica, l’etichetta di “insanità mentale”, anche se
malattia mentale e delinquenza sono scarsamente correlate fra loro.
La psichiatria forense ha stabilito le diverse forme patologiche che adulti e adolescenti
possono manifestare e che vanno tenute in considerazione in fase di accertamento della
responsabilità:
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- Psicosi schizofrenica o paranoide;
- Autismo;
- Psicosi maniaco-depressiva;
- Sindromi organiche.
Tutte le fonti di patologia NON devono essere rapportate ad una logica del “tutto o
niente” ma a criteri qualitativi di gradualità. La responsabilità va valutata caso per caso
prescindendo da comodi ma fuorvianti schemi preconfezionati.
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CAPITOLO 4: L’ORDINAMENTO PENITENZIARIO E LE MISURE
ALTERNATIVE:
DIFFERENZE TRA ADULTI E MINORENNI
IL CARCERE E LE SUE ALTERNATIVE
L’utilità del carcere è stata teorizzata in quanto la pena può essere proporzionata alla
gravità del reato e alla condotta del reo. Ma la punizione non può consistere unicamente
nella restrizione fisica e nella privazione della libertà, deve consistere anche in una
rieducazione (trasformare gli individui rendendoli docili e demotivandoli alla recidiva)
che con il carcere non è possibile attuare, poiché strutture inadeguate, sovraffollamento,
impossibilità di differenziare il trattamento, offrono scarse prospettive di riabilitazione.
La sostituzione del carcere, per i maggiorenni, presuppone una pena detentiva breve,
l’adeguatezza della scelta in relazione al bisogno di reinserimento sociale del
condannato e la previsione che la misura non verrà violata.
Esistono diverse sostituzioni al carcere:
✗ Semidetenzione: poco utilizzata, si ha obbligo di trascorrere almeno dieci ore al giorno
in carcere, presso gli istituti o sezioni autonome degli istituti cui sono assegnati gli
ammessi a tale regime. Può sostituirsi a una pena detentiva non superiore a due anni.
✗ Libertà controllata: si attua per una pena detentiva non superiore a un anno, impone
controlli alla vita del sottoposto esercitati mediante:
- il divieto di allontanarsi dal comune di residenza e di detenere armi o esplosivi;
- l’obbligo di presentarsi almeno una volta al giorno presso la locale autorità di Pubblica
Sicurezza,
- ritiro del passaporto,
- sospensione della patente di guida ecc.…
✗ Pena pecuniaria: Può sostituirsi a una pena detentiva non superiore a sei mesi. È una
sanzione penale che consiste nel pagamento di una somma di denaro all’erario
(l’amministrazione patrimoniale dello Stato); può essere di due tipi:
- multa da chi ha commesso un delitto o
- ammenda da chi ha commesso una contravvenzione.
L’art. 69 prevede una sorta di licenza o permesso (non più di 7 giorni ogni mese di pena)
per motivi di particolare rilievo, attinenti al lavoro, allo studio o alla famiglia. Sono
concessi a detenuti o a condannati ammessi, nel corso dell’espiazione detentiva, al
regime alternativo della semilibertà, che hanno avuto una buona condotta solo per
motivi di particolare importanza.
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L’art. 75 prevedeva che libertà controllata nei confronti dei minori di anni 18 venisse
eseguita con le modalità dell’affidamento in prova al servizio sociale.
L’art. 24 assicura l’esecuzione minorile fino al compimento del ventunesimo anno di età,
a prescindere dai tempi di atti processuali che non dipendono da una diretta volontà del
soggetto. La decisione di sostituire la pensa detentiva va presa tenendo conto della
personalità e delle esigenze di studio o lavoro del minorenne e delle sue condizioni
familiari, sociali e ambientali.
Il codice di procedura penale minorile prende in considerazione due occasioni in cui
usare le sanzioni sostitutive:
▪ All’art. 32: prevedendo una sorta di rito alternativo all’udienza preliminare
▪ All’art. 30: ha riscritto i presupposti di accesso alla libertà controllata e alla
semidetenzione.
Cosa va valutato?
Che la struttura di personalità del soggetto sia in grado di sopportare una così lunga pena
non detentiva che lo rimandi continuamente alla sua capacità di autocontrollo e
autolimitazione e lo costringa al dialogo con l’operatore sociale per molto tempo.
LE MISURE DI SICUREZZA
Il Codice penale attualmente vigente risponde alla logica del ‘doppio binario’ (pena-
misura di sicurezza), secondo la quale alla responsabilità (concetto interessante per la
Scuola classica) è correlata la pena e alla pericolosità (concetto interessante per la Scuola
Positiva) una misura di sicurezza che assicura la difesa sociale.
Responsabilità Pena
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La Corte costituzionale ha abolito qualsiasi automatismo delle misure di sicurezza per cui
oggi è sempre necessario effettuare una concreta verifica della pericolosità del soggetto
e la misura non verrà applicata, revocata o sostituita con una meno gravosa.
Ai minorenni socialmente pericolosi che non sono malti di mente e sono stati assolti o
prosciolti a causa dell’età o perché ritenuti immaturi, il Codice penale riserva la misura di
sicurezza:
- della libertà vigilata: è considerata una misura impegnativa sotto il punto di vista delle
limitazioni alla libertà ma dal punto di vista dell’avvio di processi di revisione interiore;
- del riformatorio: era uno strumento segregante che lo stesso Codice penale identificava
come di tipo detentivo. Ad oggi, infatti, sono stati aboliti e sostituiti dal collocamento in
comunità (art. 37, comma 2).
Attualmente:
-
il permesso premio può avere durata fino a 20g invece che 15 e in un anno fino a 60g
invece che 45;
-
il condannato minorenne può essere accompagnato per lo svolgimento dell’attività
lavorativa:
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a. Nei casi in cui il permesso premio è concedibile non basta a negarlo la pericolosità
sociale ma occorre che sussista “particolare pericolosità”;
b. Il condannato minorenne non può essere ammesso in ogni tempo al lavoro all’estero
senza che sia necessaria la previa consumazione di 1\3 della pena;
c. La liberazione condizionale continua ad essere concedibile in ogni tempo e per essa non
dovrebbero essere operate preclusioni di alcun genere.
Il codice di procedura penale per i minorenni sancisce che il tribunale per i minorenni e il
magistrato di sorveglianza per i minorenni esercitano le attribuzioni della magistratura di
sorveglianza nei confronti di coloro che commisero il reato quando erano minori degli
anni diciotto. La competenza cessa al compimento del ventunesimo anno di età.
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l’accesso al beneficio ai condannati che commisero il reato quando erano minori di anni
18.
f. L’adempimento delle obbligazioni civili dal reato: impossibilità nel caso in cui il minore
non abbia disponibilità finanziaria: aspetto soggettivo (gesti di solidarietà).
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- cliente volontario: necessarie tre condizioni soggettive: consapevolezza del proprio stato
di bisogno, desiderio di porvi rimedio, fiducia negli interventi offerti.
È una relazione professionale nella quale la persona deve essere assistita per operare un
adattamento personale a una situazione verso cui non è riuscita ad adattarsi
normalmente. La relazione d’aiuto s’instaura quando questa è in grado di favorire la
crescita della persona in difficoltà e la sua maturazione. Chi aiuta deve essere in grado di
compiere due azioni specifiche:
1. comprendere il problema nei termini in cui si pone per quel particolare individuo e
quella particolare esistenza;
2. aiutare il ‘cliente’ ad evolvere personalmente nel senso del suo miglior adattamento
sociale. L’educatore deve pensare all’altro come soggetto portatore di risorse oltre che
di bisogni.
b) Capire come viene messa in atto la relazione d’aiuto dagli operatori e come questi
percepiscono il proprio ruolo.
c) Quali fattori possono costituire un ostacolo al cambiamento, quali sono i problemi pratici
riscontrati che possono rallentare o impedire l’intervento rieducativo.
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b. Psicologi ed Educatori sono più fiduciosi riguardo al fatto che il loro intervento può
incidere positivamente;
d. Gli Psicologi e gli Assistenti sociali si concentrano di più sulla persona e sulla presa di
coscienza dei propri vissuti;
e. Gli Psicologi centrano il loro intervento sull’instaurazione di un clima di fiducia tra
operatore e detenuto in modo da poter rendere più consapevole il soggetto dei propri
conflitti interiori e dei propri punti di forza;
h. Gli Educatori avvertono come problema maggiore la mancanza di luoghi adatti, dove
poter instaurare una positiva relazione d’aiuto;
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Bisogna prendere in considerazione un rischio che può penalizzare il ruolo e la funzione
degli operatori e cioè quello che il loro intervento venga visto come un semplice aiuto
per ottenere i benefici di legge. Per affrontare questo rischio:
Educatori e Psicologi affrontano il rischio con un dialogo franco e sincero e chiarendo che
la concessione dei benefici dipende solo da una reale volontà di cambiamento;
Gli Assistenti sociali ritengono che quest’atteggiamento del detenuto possa diventare
uno spunto per costruire un percorso verso il cambiamento.
Per quanto riguarda i punti fondamentali su cui gli operatori focalizzano il proprio
intervento:
Psicologi e Assistenti sociali puntano sulla creazione di un rapporto di fiducia per aiutare il
detenuto a conoscere i problemi e affrontarli;
Gli Educatori si concentrano più sulla comprensione, la capacità di ascolto e sulla
possibilità di maggiori contatti con i familiari; quindi, il loro intervento è incentrato più
sull’aspetto familiare e personale del detenuto.
Alla richiesta di qual è la percezione che il detenuto ha della loro figura, gli operatori
rispondono che il loro ruolo è vissuto in maniera ambigua. Gli Psicologi, in particolare,
sottolineano che le poche ore che hanno a disposizione, hanno un impatto negativo
sulla percezione della loro figura. Gli atteggiamenti assolutamente da evitare su cui la
maggior parte degli operatori si trova d’accordo:
- Eccessivo coinvolgimento,
- Pietismo,
- Commiserazione,
- Paternalismo,
- Porsi in posizione di giudizio che potrebbe causare aggressività o chiusura (psicologi).
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RIFLESSIONE SUI RISULTATI
Nella relazione d’aiuto è fondamentale l’apertura all’altro da parte dell’operatore,
l’evitamento di ogni forma di dogmatismo o mentalità chiusa, la capacità di cogliere gli
aspetti essenziali della persona che si ha davanti. L’intervento dello psicologo è
necessario affinché il detenuto prenda consapevolezza del proprio comportamento
deviante. Si ritiene necessaria una formazione comune degli operatori, che tenga conto
delle diverse prospettive in modo da rendere funzionale il lavoro di équipe.
Educatore = concreti e pratici;
50% degli Psicologi e Assistenti sociali: fulcro del cambiamento = clima di fiducia per
rendere maggiormente consapevoli i conflitti interiori del soggetto, i punti di forza e di
debolezza;
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Educatori: comprensione, capacità di ascolto, maggiori contatti con i familiari (sfera
familiare e personale del detenuto).
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5. Rapporto con i compagni:
- difficoltà a relazionarsi dal 20% al 13%;
- la relazione tra ragazzi reclusi va considerata sotto molteplici aspetti (provenienti dallo
stesso quartiere—continuare un percorso di gruppo iniziato fuori).
I valori positivi si riscontrano di più tra i NON recidivi e gli autori di reato contro il
patrimonio.
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CAPITOLO 7: CATEGORIE GIURIDICHE E CATEGORIE
PSICOLOGICHE: IL CASO DEL “PROBATION” PROCESSUALE
MINORILE
LA MESSA ALLA PROVA MINORILE E LA SUA APPLICAZIONE: ALCUNI DATI SU CUI
RIFLETTERE
Il sistema probation nasce nel XIX sec. negli Stati Uniti e consiste nella sospensione della
pronuncia di una condanna a pena detentiva, cioè un periodo di prova in cui, l’imputato,
di cui sia stata accertata la responsabilità penale ma cui non sia stato ancora inflitta una
condanna, è lasciato in condizione di “libertà assistita e controllata” sotto la supervisione
di un agente di probation.
L’art. 28 prevede la sospensione del processo con messa alla prova e risponde
all’esigenza di poter modulare gli interventi alla personalità del minore. L’obiettivo della
misura è di anticipare l’intervento di trattamento e recupero rispetto al processo
tentando di indurre positivi cambiamenti nel giovane deviante e restituirlo alla società
evitando la segregazione carceraria e lo stesso processo.
Il processo è sospeso per un periodo non > ai 3 anni per reati la cui pena è l’ergastolo o la
reclusione non inferiore a 12 anni; negli altri casi per un periodo non > a 1 anno.
Il giudice affida il minore ai servizi dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento
delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno.
“Probation” processuale: la valutazione viene anticipata già nella fase del giudizio se
l’intervento sostitutivo riesce, si prende atto che è ormai inutile e dannoso infliggere una
pena. (vedi pag 132-135)
IL PROGETTO EDUCATIVO
Gli scopi della ricerca sono:
Ridurre la pericolosità sociale del soggetto in modo d fargli capire le alternative positive
esistenti;
Stimolare l’autostima e aiutarlo a capire che può riuscire a cambiare positivamente;
Valorizzare e canalizzare speranze, risorse e aspettative;
Concorrere a ottenere una positiva evoluzione della personalità.
È necessaria la collaborazione da parte del soggetto che dovrà assumersi impegni
specifici. Il progetto vuole intervenire su un ragazzo che si avvia verso una strutturazione
rigida in senso deviante dandogli un sostegno, inducendolo alla riflessione e
accostandolo a contesti di società civile a cui non avrebbe mai avuto accesso (aree di
volontariato, psicologi, assistenti sociali ecc.). È importante aiutarlo a rendersi conto del
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valore di sé al di fuori delle bande criminali, renderlo consapevole che nei suoi confronti
non si attua una sorta di persecuzione, ma che le sue condotte impongono una risposta
riparatoria da parte della giustizia. Il progetto secondo l’art. 27 prevede che esso sia
elaborato dai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia in collaborazione con i
servizi socioassistenziali degli enti locali.
Deve includere:
a) Le modalità di coinvolgimento del minore, del nucleo familiare e dell’ambiente di vita;
b) Gli impegni specifici che il minore assume;
c) Le modalità di partecipazione al progetto degli operatori di giustizia dell’ente locale;
d) Le modalità di attuazione dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la
conciliazione del minore con la persona offesa (anche se non si può sempre ottenere).
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- Connotare al minore deviante i sistemi disfunzionali, i sistemi antisociali
precedentemente acquisiti che lo hanno portato alla devianza; - Spingerlo alla
comprensione dell’utilità di un cambiamento.
Queste due funzioni possono coesistere tra loro quando gli interventi relativi a ognuna
delle due siano distinti e coordinati.
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compiti evolutivi che riguardano sia l’area dello sviluppo personale sia le relazioni sociali
e interpersonali:
• Accettazione del proprio corpo in rapida evoluzione : il preadolescente deve adattarsi
alle diverse condizioni psico-fisiche, il ragazzo si sente diverso e non si riconosce.
• Inserimento nel gruppo : nel gruppo il ragazzo apprendere a cooperare, cioè a costruire
qualcosa insieme con gli altri.
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• Integrazione della sessualità : la sessualità deve essere integrata nello sviluppo globale
della personalità e deve far parte della relazione di intimità. Fondamentale per una
crescita e una maturazione completa della persona, come appagamento di una pulsione
biologica, ma non come attività separata dalla vita affettiva.
Le carenze emozionali :
- attivazione esagerata,
- attenzione rivolta al sé piuttosto che agli esterni,
- elevata insicurezza,
- insufficiente autostima
- ansia.
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Le carenze motivazionali :
- inadeguata percezione dei fini dell’apprendimento scolastico, del lavoro
- disinteresse verso lo studio e poco impegno.
ACQUISIZIONE DELL’IDENTITÀ PERSONALE
L’identità è acquisita mediante due percorsi paralleli:
1. Appartenenza: fonda l’identità su un insieme di legami con modelli esterni. La presenza
di vincoli e di sicurezza ad essa connessi rende questo percorso adatto per l’infanzia e la
prima adolescenza. (replicazione)
L’integrazione tra questi due percorsi porta all’identità positiva che è caratteristica della
maturità. Il conflitto tra esse, invece, può portare alcuni esiti negativi:
Identità “difensiva” (o nevrotica): il ragazzo non riesce a superare le identificazioni di
dipendenza ed evita il conflitto. Subentra una rigidità cognitiva ed emozionale che
rifugge la complessità delle esperienze e delle relazioni sociali perché vissute come
situazioni fortemente ansiose e pericolose per quell’equilibrio raggiunto.
Tanti atteggiamenti razzisti hanno fondamento in una identità che deve difendersi dagli
altri perché non riesce ad integrare l’altro nella propria vita.
Identità deviante e antisociale : lo sblocco della crisi consiste nel mettere in atto
comportamenti irregolari, violenti o devianti. È conseguenza di identificazioni con
modelli devianti a loro volta o forti pressioni di ambienti in cui violenza è vista come
valore.
L’ACQUISIZIONE DEL “SENSO DEL LIMITE”COME ANTIDOTO DELLA DEVIANZA
La nozione di “senso limite” ha due accezioni:
1. La capacità di regolazione del comportamento in caso di conflitto motivazionale tra
norme e bisogni.
L’autoregolazione consente di mutare scopi o differire l’appagamento;
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L’autocontrollo è acquisito durante il corso dello sviluppo, consente di inibire
comportamenti e azioni;
L’autoeliminazione (norme e valori) si formano grazie all’influenza di genitori, adulti
significativi, coetanei e mass media.
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2. Cambiare la situazione elicitante: ridurre le condizioni esterne che favoriscono il
bisogno del reato. Comporta il cambiamento di condizioni sociali che favoriscono il
bisogno di denaro, di successo, di potere.
3. Cambiare la risposta della persona alla situazione elicitante: rinsaldare i valori pro-
sociali, la capacità di stabilire un senso del limite, rafforzare il giudizio morale
autonomo.
È una prevenzione basata sull’educazione che pone il ragazzo potenzialmente
deviante in condizioni di trovare la sua ricchezza e la sua identità in forme che
escludono la devianza
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un’azione sui sistemi di convinzioni, regole e relazioni che possono condurre a un
impegno morale e responsabile. Questa azione definisce disfunzionali le convinzioni, le
regole che hanno portato alla devianza e fanno constatare l’utilità di un cambiamento.
Queste nuove modalità devono essere:
- possibili (quindi realmente acquisibili);
- funzionali (quindi utili a un miglioramento);
- vantaggiose (quindi devono portare benefici).
Il deviante deve essere aiutato e sostenuto nell’acquisizione di questi modelli di vita
alternativi o tramite la comunità, o tramite un educatore, uno psicologo.
Affinché tutto questo possa essere realizzato, occorre un’adeguata formazione degli
operatori. Il reo deve capire che ha sbagliato, deve capire la valenza abilitativa della
misura adottata, l’importanza dell’autoregolazione e della programmazione autonoma
della propria vita.