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Elementi di diritto penale

Concetto di reato e sue caratteristiche


Da un punto di vista formale il reato è un fatto umano (attivo o omissivo) vietato dall’ordinamento
giuridico, cui si ricollega una sanzione penale, incriminato al fine di tutelare uno o più beni giuridici
e rientrante nella più ampia categoria degli illeciti.

In ragione della nozione formale-sostanziale di reato, è tale ogni fatto umano attribuibile all’autore
non solo materialmente, ma anche psicologicamente, che offende un bene giuridico ritenuto
meritevole di tutela in quanto selezionato dal legislatore penale tra i valori costituzionalmente
garantiti, sempre che la misura dell’aggressione sia tale da far ritenere inevitabile il ricorso alla
pena e, infine, sanzioni di tipo non penale non siano sufficienti a garantire un’efficace tutela.

Delitti e contravvenzioni
I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni.
Il legislatore non fornisce alcuna definizione né dei delitti né delle contravvenzioni, limitandosi a
distinguerli semplicemente in base alle pene:
 ergastolo, reclusione e multa per i delitti;
 arresto e ammenda per le contravvenzioni.
La distinzione tra delitti e contravvenzioni rileva ai fini dell’elemento soggettivo del reato; a
differenza dei delitti, le contravvenzioni sono punibili indifferentemente a titolo di dolo o colpa.
Differenze di disciplina si riscontrano anche con riguardo al tentativo, ammissibile solo per i delitti,
e ad alcune circostanze del reato, previste soltanto per i delitti.

Elementi costitutivi del reato


Per quanto riguarda la struttura del reato, si contengono il campo:
 la concezione bipartita, più tradizionale;
 la concezione tripartita, elaborata dalla dottrina più moderna.

La teoria bipartita vede come elementi costitutivi del reato:


1. l’elemento oggettivo, costituito dalla condotta (azione od omissione), dall'evento
naturalistico, quando si verifica, e dal nesso di causalità tra condotta ed evento;
2. l’elemento soggettivo, (dolo, colpa, preterintenzione), costituito dall'atteggiamento
psicologico richiesto dalla legge ai fini dell'imputazione penale.

La teoria tripartita vede invece come elementi costitutivi del reato:


1. il fatto tipico, comprensivo dei requisiti oggettivi della condotta dell'evento o del nesso di
causalità tra i primi due;
2. l’antigiuridicità, intesa come contrarietà del fatto all'ordinamento giuridico, ovvero come
assenza di norme che, all'interno dell'ordinamento impongano o autorizzino quel
comportamento (assenza delle cause di giustificazione di cui agli artt. 50 e ss. c.p.);
3. la colpevolezza, intesa come la volontà del fatto nelle forme del dolo, della colpa o della
preterintenzione.

Soggetto attivo e soggetto passivo del reato


Soggetto attivo del reato è colui il quale realizza la fattispecie penale descritta dal legislatore.
A seconda del soggetto attivo, i reati si definiscono:
 comuni, quando possono essere commessi da chiunque, senza che occorra il possesso di
determinate qualità o qualifiche;
 propri esclusivi, quando la legge prevede che il soggetto attivo debba avere
necessariamente una particolare qualifica, in mancanza della quale la condotta risulta lecita
e non offensiva;
 propri non esclusivi, quando assumono una diversa denominazione a seconda che a
commetterli siano soggetti in possesso di particolari qualifiche o qualsiasi altra persona. Ad
esempio, l'appropriazione di denaro o di cosa mobile altrui di cui si abbia la disponibilità
integra il reato di appropriazione indebita se a commetterlo è un soggetto qualsiasi; integra
il reato di peculato se a commetterlo è un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico
servizio.
Si definisce soggetto passivo del reato il titolare del bene giuridico tutelato dalla norma penale, sia
persona fisica che persona giuridica, pubblica o privata.
È possibile che la titolarità del bene protetto spetti ad una pluralità di soggetti passivi determinati,
come nel caso della calunnia, in cui viene leso sia l'interesse di un individuo al rispetto della propria
onorabilità, sia l'interesse dello Stato alla corretta amministrazione della giustizia.
Classificazione dei tipi di reato
Classificazione in relazione al soggetto, alla condotta e all’evento
In relazione al soggetto attivo, oltre che in comuni e propri, i reati possono essere distinti in:
 reati monosoggettivi, che possono essere compiuti anche da una sola persona;
 reati plurisoggettivi (anche detti reati a concorso necessario), che possono essere
compiuti solo da più persone (es. corruzione).

In relazione alla condotta del soggetto agente si distingue tra:


 reati commissivi, in cui l'evento si verifica per un comportamento attivo e volontario del
soggetto agente;
 reati omissivi, in cui il danno si concretizza a seguito di una condotta meramente omissiva
del soggetto agente.

Con riguardo alla descrizione della condotta si distinguono:


 i reati a forma vincolata, quando la legge richiede che la condotta sia posta in essere
secondo determinate modalità o attraverso determinati mezzi;
 i reati a forma libera, in cui la legge, considerata la particolare importanza del bene
tutelato, non limita la rilevanza penale della condotta a determinate forme, ritenendo
sufficiente la sua idoneità ad offendere il bene protetto.

In relazione all’evento si distingue tra:


 reati di mera condotta, che si realizzano con il solo compimento di una determinata
condotta (es. evasione);
 reati di evento, per la cui configurazione è richiesto, oltre all'azione o all'omissione, anche
il prodursi di un evento esteriore (es. omicidio).
Reati istantanei, permanenti e abituali
Si definiscono istantanei quei reati in cui la realizzazione del fatto tipico integra e al contempo
esaurisce l’offesa (es. omicidio). Essi, pertanto, si distinguono dai reati permanenti, in cui si
riscontrano due peculiarità:
 la realizzazione del fatto tipico integra ma non esaurisce l’offesa, che perdura nel tempo;
 il protrarsi nel tempo dell’offesa è dovuto alla condotta volontaria del soggetto attivo, che
dunque può porvi fine in qualsiasi momento (es. sequestro di persona a scopo di estorsione).

Si parla invece di reato istantaneo ad effetti permanenti quando l’offesa si esaurisce col fatto
tipico, ma le sue conseguenze permangono nel tempo.

Si definiscono reati abituali quelli che si consumano solo a seguito della reiterazione intervallata
nel tempo di più condotte identiche od omogenee fra loro, e si distinguono in:
 propri, in cui le singole condotte, sono di per sé, penalmente irrilevanti;
 impropri, in cui le singole condotte sono di per sé, penalmente rilevanti e la reiterazione
può dar luogo a un’aggravante o ad una figura di reato più grave.
Esempio classico di reato abituale è quello dei maltrattamenti in famiglia che, per consumarsi,
richiede la ripetizione nel tempo di più comportamenti offensivi.

Reati di danno e di pericolo


Un’ulteriore distinzione da effettuare è quella tra:
 reati di danno, nei quali vi è una lesione del bene giuridico, distrutto o diminuito;
 reati di pericolo, nei quali basta che il bene venga soltanto minacciato.
All’interno della categoria dei reati di pericolo è possibile distinguere tra reati di pericolo
concreto e reati di pericolo astratto o presunto.
Nei reati di pericolo concreto il pericolo assume carattere di elemento costitutivo della fattispecie
e il giudice dovrà quindi accertare, caso per caso, se il bene giuridico abbia corso un effettivo
rischio di compromissione. Sono reati di pericolo concreto, per esempio, la strage e l'incendio di
casa propria.
Nei reati di pericolo astratto o presunto è invece lo stesso legislatore che, sulla base di regole di
esperienza, formula in via preventiva il giudizio di pericolosità in relazione a determinati
comportamenti. Il giudice, pertanto, non deve accertare l'esistenza del pericolo in concreto, ma solo
la ricorrenza del comportamento vietato. È il caso dell'associazione per delinquere o
dell’avvelenamento di acque o sostanze alimentari.

Il dolo
Il dolo rappresenta la forma più grave della colpevolezza.
Esso è richiamato dal secondo comma dell’art. 42 c.p., ai sensi del quale “Nessuno può essere
punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi
di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge”.
La definizione del dolo è contenuta nel primo comma dell’art. 43 c.p. laddove si dispone che il
delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato
dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente previsto
e voluto quale conseguenza della propria condotta.
In questa norma sono indicati i due elementi del dolo:
 la previsione (o la rappresentazione), che costituisce il momento intellettivo del dolo;
 la volontà, che rappresenta il momento volitivo del dolo.
Forme di dolo
Tradizionalmente si distinguono le seguenti forme di dolo:
 intenzionale;
 diretto;
 eventuale (o indiretto);
 alternativo;
 generico;
 specifico.

Il dolo intenzionale è caratterizzato dalla prevalenza della volontà sulla rappresentazione:


l’agente vuole proprio realizzare il fatto tipico che costituisce il fine ultimo per il quale egli agisce.

Nel dolo diretto si ha invece prevalenza della rappresentazione sulla volontà: l’agente si
rappresenta in termini di certezza la realizzazione della condotta o dell’evento del reato, ma ciò non
è il fine ultimo per il quale agisce, trattandosi solo di uno strumento necessario per raggiungere uno
scopo ulteriore.
Si parla di dolo eventuale (o indiretto) con riguardo all’ipotesi in cui l’agente non agisce allo
scopo di realizzare l'evento offensivo, né si rappresenta tale evento in termini di certezza e tuttavia
accetta il rischio della sua verificazione. In altre parole, sussiste il dolo eventuale quando l'agente si
sia rappresentato la significativa possibilità di verificazione dell'evento e si sia determinato ad agire
comunque, anche a costo di cagionarlo come sviluppo collaterale o accidentale, ma comunque
preventivamente accettato, della propria azione.

Il dolo alternativo, ritenuto compatibile col tentativo, ricorre quando l’agente prevede come
conseguenza certa o solo eventuale del suo operare il verificarsi di due eventi, ma non sa quale si
realizzerà in concreto, essendo per lui indifferente che si verifichi l'uno o l'altro. Il dolo alternativo,
presupponendo il dolo diretto o quello eventuale, non è un autonomo tipo di dolo ma una
specificazione, una forma che sussiste nel caso in cui il dolo abbia ad oggetto due eventi alternativi.
Ricorre, invece, il dolo indeterminato quando l'agente vuole, alternativamente o cumulativamente,
più eventi fra loro non compatibili, dei quali, però, uno solo può verificarsi, e vuole,
indifferentemente l'uno o l'altro di essi.

Si ha dolo generico, costituente l’ipotesi normale, quando è richiesta dalla legge la semplice
coscienza e volontà del fatto materiale, essendo indifferente per l'esistenza del reato il fine per cui si
agisce. Ai fini della sua sussistenza occorre che, nella fase della consumazione del reato, tutti gli
elementi oggetto del dolo si realizzino nella realtà.

Si parla, invece, di dolo specifico quando la fattispecie incriminatrice, accanto agli elementi
costitutivi del reato oggetto di dolo generico, prevede uno scopo ulteriore che l'agente deve
rappresentarsi e volere, a prescindere dalla sua realizzazione concreta. Si pensi, ad esempio, al reato
di furto, in cui l’agente, oltre a volere l'impossessamento mediante sottrazione di cose altrui, deve
anche perseguire l'ulteriore fine di trarne profitto.

La colpa
La definizione di colpa è fornita dal primo comma dell’art. 43 c.p., ai sensi del quale “Il delitto è
colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se è preveduto, non è voluto dall'agente e si
verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia ovvero, per inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini o discipline”.
Dalla lettura di tale norma emerge che nella colpa, a differenza del dolo, manca l’elemento
volitivo.
Quando la responsabilità per colpa deriva dalla violazione di regole a fonte sociale (negligenza,
imprudenza ed imperizia), si parla di colpa generica. In particolare:
 la negligenza consiste nella mancanza di attenzione nel compimento di un’attività;
 l’imprudenza consiste nell'operare senza le dovute cautele, generando o aumentando il
rischio di un danno o pericolo;
 l’imperizia consiste nell’inettitudine o incapacità professionale, generica o specifica, nota
all'agente e di cui egli non vuole tener conto.
Quando, invece, la responsabilità deriva dalla violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline, si
parla di colpa specifica.

Si parla, poi, di colpa cosciente quando l’agente non vuole commettere il reato ma prevede come
possibile la verificazione dell'evento dannoso o pericoloso, pur agendo con la certezza che l'evento
medesimo non si verificherà, confidando nella propria capacità di controllare l'azione. Tale figura si
distingue dal dolo eventuale, che si caratterizza invece per l'accettazione del rischio della
verificazione di un evento non direttamente voluto.

La preterintenzione
La preterintenzione è definita, accanto al dolo e alla colpa, dal primo comma dell’art. 43 c.p., ai
sensi del quale “Il delitto è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od
omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente”.
Nel nostro ordinamento le ipotesi specifiche di preterintenzione sono solo due:
 l’omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.);
 l’aborto preterintenzionale (art. 593-ter c.p.).

Ricorre l’omicidio preterintenzionale quando, con azioni dirette a provocare percosse o lesioni, si
cagiona, come effetto non voluto, la morte di un uomo; ricorre invece l’aborto preterintenzionale
quando, con azioni dirette a provocare lesioni, si cagiona, sempre come effetto non voluto,
l’interruzione di una gravidanza.

Le circostanze
Le circostanze si dividono in:
 circostanze aggravanti o attenuanti, a seconda che le stesse comportino un aumento o una
diminuzione di pena;
 circostanze comuni o speciali, a seconda che le stesse si possano applicare a tutti i reati o
solo ad alcune fattispecie di reato;
 circostanze oggettive o soggettive, a seconda che le stesse riguardino l’elemento oggettivo
o l’elemento soggettivo;
 circostanze antecedenti, concomitanti o susseguenti, a seconda che le stesse incidano in
un momento antecedente, concomitante o susseguente alla condotta criminosa;
 circostanze intrinseche o estrinseche, a seconda che queste riguardino la condotta o
comunque elementi del fatto tipico oppure attengano a elementi diversi ed esterni rispetto al
fatto;
 circostanze definite o indefinite, in relazione al grado di dettaglio utilizzato dalla legge
nella loro descrizione, maggiore in quelle definite, minore in quelle indefinite;
 circostanze obbligatorie o circostanze facoltative, a seconda dell’obbligatorietà o della
facoltatività della variazione della pena da parte del giudice;
 circostanze ad effetto comune o ad effetto speciale, a seconda che la variazione sia fino a
un terzo o superiore al terzo, sempre in relazione alla pena ordinaria prevista per il reato
semplice;
 circostanze autonome o indipendenti; le circostanze autonome prevedono l'applicazione di
una pena di specie diversa, prescindendo dalla pena ordinaria del reato semplice, mentre le
circostanze indipendenti comportano l'applicazione di una pena che, pur essendo della stessa
specie di quella prevista per il reato semplice, presenta una misura indipendente.

Circostanze aggravanti comuni


Le circostanze aggravanti comuni, applicabili a qualsiasi reato, sono elencate nell’art. 61 c.p.
In tale norma si dispone innanzitutto che le circostanze comuni aggravano il reato sempreché non
ne siano già elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali.

Le circostanze enumerate dall’articolo in questione sono:


1. l’aver agito per motivi abietti e futili;
2. l’aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o
assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di un altro
reato;
3. l’avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento;
4. l’avere adoperato sevizie, o l’avere agito con crudeltà verso le persone;
5. l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età,
tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;
6. l’avere il colpevole commesso il reato durante il tempo, in cui so è sottratto volontariamente
alla esecuzione di un mandato o di un ordine di arresto o di cattura o di carcerazione spedito
per un precedente reato;
7. l’avere nei delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio, ovvero nei
delitti determinati da motivi di lucro, cagionato alla persona offesa del reato un danno
patrimoniale di rilevante gravità;
8. l’avere aggravato o tentato di aggravare le conseguenze del delitto commesso;
9. l’avere commesso il fatto con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una
pubblica funzione o a un pubblico servizio, ovvero alla qualità di ministro di culto;
10. l’avere commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o una persona incaricata di un
pubblico servizio, o rivestita della qualità di ministro del culto cattolico o di un culto
ammesso nello Stato, ovvero contro un agente diplomatico o consolare di uno Stato estero,
nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio;
11. l’avere commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso
di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione, o di ospitalità;
11-ter. l’avere commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore
all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione;
11-quater. l’avere il colpevole commesso un delitto non colposo durante il periodo in cui
era ammesso ad una misura alternativa alla detenzione in carcere;
11-quinquies. l’avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale e
contro la libertà personale commesso il fatto in presenza o in danno di persona in stato di
gravidanza;
11-sexies. l’avere, nei delitti non colposi, commesso il fatto in danno di persone ricoverate
presso strutture sanitarie o presso strutture sociosanitarie residenziali o semiresidenziali,
pubbliche o private, ovvero presso strutture socio-educative;
11-septies. l’avere commesso il fatto in occasione o a causa di manifestazioni sportive o
durante i trasferimenti da o verso luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni.

Si segnala, poi, che l'art. 5 D.Lgs. 21/2018 ha trasposto nell'art. 61-bis c.p. la circostanza
aggravante del reato transnazionale, che prevede un aumento di pena da un terzo alla metà
per tutti quei reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni
alla cui realizzazione abbia contribuito “un gruppo criminale organizzato impegnato in attività
criminali in più di uno Stato”.

Circostanze attenuanti comuni


Le circostanze attenuanti comuni sono elencate nell’art. 62 c.p. e al pari delle aggravanti
operano sempreché non si identifichino già in elementi costitutivi o in circostanze attenuanti
speciali del reato.
Le circostanze previste dall’articolo in questione sono:
1. l’avere agito per motivi di particolare valore morale o sociale;
2. l’avere reagito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui;
3. l’avere agito per suggestione di una folla in tumulto, quando non si tratta di riunioni o
assembramenti vietati dalla legge o dall’autorità, e il colpevole non è delinquente o
contravventore abituale o professionale, o delinquente per tendenza;
4. l’avere, nei delitti contro il patrimonio, o che comunque offendono il patrimonio, cagionato
alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di speciale tenuità ovvero, nei delitti
determinati da motivi di lucro, l’avere agito per conseguire o l’avere comunque conseguito
un lucro di speciale tenuità, quando anche l’evento dannoso o pericoloso sia di speciale
tenuità;
5. l’essere concorso a determinare l’evento, insieme con l’azione o l’omissione del colpevole,
il fatto doloso della persona offesa;
6. l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e,
quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima del giudizio e fuori del caso
preveduto nell’ultimo capoverso dell’art. 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente
per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.
Circostanze attenuanti generiche
Ai sensi dell’art. 62-bis c.p., rubricato circostanze attenuanti generiche, il giudice può prendere
in considerazione, oltre alle circostanze appena elencate, anche altre circostanze diverse, se le
ritiene tali da giustificare una diminuzione della pena.
Si tratta di circostanze indeterminate e non tipizzate, la cui individuazione è affidata al giudice
attraverso l’esercizio del suo potere discrezionale (es. la confessione spontanea del colpevole, la
collaborazione prestata nelle indagini ecc.).
Criteri di imputazione delle circostanze
Con riguardo alle circostanze attenuanti, l’art. 59 c.p. dispone che, al pari delle scriminanti, esse
operano anche se dal reo non conosciute o per errore ritenute inesistenti. Il fondamento di tale
norma si rinviene nel principio del favor rei.
Con riguardo alle circostanze aggravanti, è stabilito un diverso criterio d’imputazione: l’art. 59
c.p. dispone che esse sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute o ignorate per
colpa o ritenute inesistenti per errore colposo.

Applicazione e concorso di circostanze


La regola generale di applicazione delle circostanze è sancita nell’art. 63, co. 1, c.p., in base al
quale, se la legge dispone che la pena sia aumentata o diminuita entro limiti determinati, l’aumento
o la diminuzione si opera sulla quantità di essa che il giudice applicherebbe al colpevole, qualora
non concorresse la circostanza che la fa aumentare o diminuire.

Nel caso in cui, con riguardo alla medesima fattispecie, sussistano più circostanze, occorre
distinguere innanzitutto tra:
 il concorso omogeneo, caratterizzato dalla compresenza di circostanze omogenee, e cioè
tutte aggravanti o tutte attenuanti;
 il concorso eterogeneo, in cui concorrono contemporaneamente circostanze aggravanti ed
attenuanti.

L’art. 63 c.p. disciplina le tre ipotesi di concorso omogeneo:


1. il secondo comma disciplina l'ipotesi della concorrenza di più circostanze ad effetto
comune, stabilendo in tal caso l'applicazione del cumulo materiale, sia pure con i limiti
imposti dagli artt. 66 c.p. e 67 c.p., con la conseguenza che il giudice deve procedere prima
alla determinazione della pena base e poi, di volta in volta, ai vari aumenti o alle varie
diminuzioni, partendo dalla risultante dell'aumento o della diminuzione precedente.
2. il terzo comma disciplina l'ipotesi di circostanza ad effetto speciale, prevedendo in tal
caso prima l'applicazione di quest'ultima, e successivamente l'applicazione degli aumenti o
delle diminuzioni previsti dalle circostanze ad effetto comune;
3. il quarto e il quinto comma disciplinano l'ipotesi della concorrenza di più circostanze
autonome o ad effetto speciale, stabilendo in tal caso l'applicazione della circostanza
aggravante più grave o della circostanza attenuante meno grave, con la possibilità per il
giudice a seconda dei casi di aumentare o diminuire la pena di un terzo.

Se invece si tratta di concorso eterogeneo, per cui concorrono circostanze aggravanti ed attenuanti,
l’art. 69 c.p. stabilisce che il giudice deve procedere ad un bilanciamento tra le stesse che si
concluderà con un giudizio di prevalenza delle circostanze aggravanti o di quelle attenuanti o con
un giudizio di equivalenza, per cui si procederà al reciproco annullamento e alla semplice
applicazione della pena base.

L’imputabilità
L’art. 85 c.p. condiziona la punibilità del reato alla imputabilità del suo autore, cioè alla sua
capacità d’intendere e di volere. Tale capacità deve sussistere al momento della commissione del
reato.
La capacità d’intendere viene definita come l’attitudine ad orientarsi nel mondo esterno in base
ad una percezione obiettiva e reale.
La capacità di volere implica, invece, la capacità di controllare gli impulsi ad agire e a
determinarsi scegliendo il proprio comportamento tra tutte le possibili alternative.
Le cause di esclusione dall’imputabilità
L’ordinamento giuridico prevede alcune ipotesi che escludono o comunque diminuiscono la
imputabilità.

La minore età (artt. 97 e 98 c.p.)


L’art. 97 c.p. prevede una presunzione assoluta di incapacità per il minore di quattordici anni.
Per i soggetti tra i quattordici e i diciotto anni, invece, l’art. 98 rimette al giudice l’accertamento
circa la sussistenza della capacità d’intendere e di volere al momento della commissione del reato
(art. 98 c.p.); in tal caso la pena è diminuita.

L’infermità di mente (artt. 88 e 89 c.p.)


Il legislatore prende in considerazione le ipotesi in cui l'autore di un reato, nel momento in cui ha
commesso il fatto, era, a causa di una propria infermità, in uno stato di mentale tale da:
 escludere la capacità d'intendere o di volere (art. 88 c.p.: vizio totale di mente), con la
conseguenza che il soggetto agente non è punibile bensì sottoponibile a misura di sicurezza
nel caso si accerti la sua pericolosità sociale;
 scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d'intendere e di volere (art. 89 c.p.:
vizio parziale di mente); si prevede, in tal caso, una diminuzione (necessaria) della pena
(art. 89 c.p.), oltre che la sottoponibilità del seminfermo alla misura di sicurezza
dell'assegnazione ad una casa di cura e di custodia (art. 219 c.p.).

L'infermità può inoltre essere permanente o provvisoria, purché sussista al momento del fatto
costituente reato.
Anche i disturbi della personalità possono costituire causa idonea ad escludere o grandemente
scemare la capacità di intendere e di volere del soggetto agente ai fini degli artt. 88 e 89 c.p.,
sempre che siano di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla
stessa; per converso, non assumono rilievo ai fini della imputabilità gli stati emotivi e passionali
(art. 90 c.p.).

Ubriachezza e intossicazione da stupefacenti


L'ubriachezza derivata da caso fortuito o forza maggiore, definita ubriachezza accidentale, e
disciplinata dall'art. 91 c.p., che la prevede come causa di esclusione della punibilità se è tale da
rendere il soggetto agente privo della capacità d'intendere e di volere; è causa di diminuzione della
pena se invece è solo idonea a far scemare grandemente tale capacità; la stessa disposizione è
ripetuta all'art. 93 c.p. per il caso di assunzione di sostanze stupefacenti.
Non è invece causa di esclusione dell'imputabilità l'ubriachezza volontaria o colposa, prevista
dall'art. 92, co. 1, c.p., essendosi in tal caso il soggetto posto volontariamente o colposamente in
stato di ubriachezza. Anche tale ipotesi opera nel caso di reato commesso sotto l’azione di sostanze
stupefacenti.

È sancito dall'art. 94 c.p. un aumento di pena per coloro che commettono un reato in stato di
ubriachezza o di intossicazione da stupefacenti, i quali siano dediti all'uso di bevande alcoliche o
sostanze stupefacenti e frequentemente in stato di ubriachezza o di intossicazione a causa di tale
uso. La situazione è definita dal legislatore come "abituale". Data la pericolosità sociale di tali
soggetti, è prevista anche la possibilità di applicare le misure di sicurezza della casa di cura o di
custodia ovvero della libertà vigilata (art. 221 c.p.).
La cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti determina un'alterazione patologica
della psiche (a differenza di quanto accade con l'ubriachezza abituale, che permette intervalli di
astinenza nei quali il soggetto riacquista la capacità d'intendere e di volere). Di conseguenza, in tal
caso, la capacità del soggetto può essere esclusa in modo permanente presentarsi come grandemente
scemata. Per tali ipotesi l'art. 95 c.p. richiama le norme sul vizio totale e parziale di mente.

Il sordomutismo
L'art. 96 c.p. non prevede alcuna presunzione d'incapacità in caso di sordomutismo; statuisce,
invece, che occorre procedere ad un accertamento, caso per caso, per verificare se, a causa di tale
minorazione, il sordomuto era incapace o parzialmente incapace d'intendere e di volere al momento
della commissione del reato: nel primo caso, la punibilità è esclusa; se invece la capacità d'intendere
o di volere risulta grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita.

L'actio libera in causa


L'art. 87 c.p. prevede in generale la punibilità di colui che si pone in stato d'incapacità al fine di
commettere un reato o di prepararsi una scusa. L'ubriachezza o l'assunzione di stupefacenti
preordinate al reato o ad una scusa (artt. 92 e 93 c.p.) rappresentano una specificazione di questo
principio.
Dal combinato disposto degli artt. 92, 93 e 87 c.p. può affermarsi che chi si pone in stato
d'incapacità allo scopo di commettere un reato o di prepararsi una scusa è punibile, ma se fa ciò
assumendo sostanze alcoliche o stupefacenti, subisce anche un aumento della pena.
Si suole inquadrare la regola dettata dall'art. 87 c.p. nella categoria non dogmatica dell'actio libera
in causa: se, da un lato, al momento della commissione del fatto l'agente non è libero di agire, data
la sua incapacità, dall'altro lato, prima di commettere il medesimo, l'agente è certamente libero di
causare tale stato e il conseguente reato, dunque deve rispondere del medesimo.

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