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In ragione della nozione formale-sostanziale di reato, è tale ogni fatto umano attribuibile all’autore
non solo materialmente, ma anche psicologicamente, che offende un bene giuridico ritenuto
meritevole di tutela in quanto selezionato dal legislatore penale tra i valori costituzionalmente
garantiti, sempre che la misura dell’aggressione sia tale da far ritenere inevitabile il ricorso alla
pena e, infine, sanzioni di tipo non penale non siano sufficienti a garantire un’efficace tutela.
Delitti e contravvenzioni
I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni.
Il legislatore non fornisce alcuna definizione né dei delitti né delle contravvenzioni, limitandosi a
distinguerli semplicemente in base alle pene:
ergastolo, reclusione e multa per i delitti;
arresto e ammenda per le contravvenzioni.
La distinzione tra delitti e contravvenzioni rileva ai fini dell’elemento soggettivo del reato; a
differenza dei delitti, le contravvenzioni sono punibili indifferentemente a titolo di dolo o colpa.
Differenze di disciplina si riscontrano anche con riguardo al tentativo, ammissibile solo per i delitti,
e ad alcune circostanze del reato, previste soltanto per i delitti.
Si parla invece di reato istantaneo ad effetti permanenti quando l’offesa si esaurisce col fatto
tipico, ma le sue conseguenze permangono nel tempo.
Si definiscono reati abituali quelli che si consumano solo a seguito della reiterazione intervallata
nel tempo di più condotte identiche od omogenee fra loro, e si distinguono in:
propri, in cui le singole condotte, sono di per sé, penalmente irrilevanti;
impropri, in cui le singole condotte sono di per sé, penalmente rilevanti e la reiterazione
può dar luogo a un’aggravante o ad una figura di reato più grave.
Esempio classico di reato abituale è quello dei maltrattamenti in famiglia che, per consumarsi,
richiede la ripetizione nel tempo di più comportamenti offensivi.
Il dolo
Il dolo rappresenta la forma più grave della colpevolezza.
Esso è richiamato dal secondo comma dell’art. 42 c.p., ai sensi del quale “Nessuno può essere
punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto se non l’ha commesso con dolo, salvo i casi
di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge”.
La definizione del dolo è contenuta nel primo comma dell’art. 43 c.p. laddove si dispone che il
delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato
dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente previsto
e voluto quale conseguenza della propria condotta.
In questa norma sono indicati i due elementi del dolo:
la previsione (o la rappresentazione), che costituisce il momento intellettivo del dolo;
la volontà, che rappresenta il momento volitivo del dolo.
Forme di dolo
Tradizionalmente si distinguono le seguenti forme di dolo:
intenzionale;
diretto;
eventuale (o indiretto);
alternativo;
generico;
specifico.
Nel dolo diretto si ha invece prevalenza della rappresentazione sulla volontà: l’agente si
rappresenta in termini di certezza la realizzazione della condotta o dell’evento del reato, ma ciò non
è il fine ultimo per il quale agisce, trattandosi solo di uno strumento necessario per raggiungere uno
scopo ulteriore.
Si parla di dolo eventuale (o indiretto) con riguardo all’ipotesi in cui l’agente non agisce allo
scopo di realizzare l'evento offensivo, né si rappresenta tale evento in termini di certezza e tuttavia
accetta il rischio della sua verificazione. In altre parole, sussiste il dolo eventuale quando l'agente si
sia rappresentato la significativa possibilità di verificazione dell'evento e si sia determinato ad agire
comunque, anche a costo di cagionarlo come sviluppo collaterale o accidentale, ma comunque
preventivamente accettato, della propria azione.
Il dolo alternativo, ritenuto compatibile col tentativo, ricorre quando l’agente prevede come
conseguenza certa o solo eventuale del suo operare il verificarsi di due eventi, ma non sa quale si
realizzerà in concreto, essendo per lui indifferente che si verifichi l'uno o l'altro. Il dolo alternativo,
presupponendo il dolo diretto o quello eventuale, non è un autonomo tipo di dolo ma una
specificazione, una forma che sussiste nel caso in cui il dolo abbia ad oggetto due eventi alternativi.
Ricorre, invece, il dolo indeterminato quando l'agente vuole, alternativamente o cumulativamente,
più eventi fra loro non compatibili, dei quali, però, uno solo può verificarsi, e vuole,
indifferentemente l'uno o l'altro di essi.
Si ha dolo generico, costituente l’ipotesi normale, quando è richiesta dalla legge la semplice
coscienza e volontà del fatto materiale, essendo indifferente per l'esistenza del reato il fine per cui si
agisce. Ai fini della sua sussistenza occorre che, nella fase della consumazione del reato, tutti gli
elementi oggetto del dolo si realizzino nella realtà.
Si parla, invece, di dolo specifico quando la fattispecie incriminatrice, accanto agli elementi
costitutivi del reato oggetto di dolo generico, prevede uno scopo ulteriore che l'agente deve
rappresentarsi e volere, a prescindere dalla sua realizzazione concreta. Si pensi, ad esempio, al reato
di furto, in cui l’agente, oltre a volere l'impossessamento mediante sottrazione di cose altrui, deve
anche perseguire l'ulteriore fine di trarne profitto.
La colpa
La definizione di colpa è fornita dal primo comma dell’art. 43 c.p., ai sensi del quale “Il delitto è
colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se è preveduto, non è voluto dall'agente e si
verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia ovvero, per inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini o discipline”.
Dalla lettura di tale norma emerge che nella colpa, a differenza del dolo, manca l’elemento
volitivo.
Quando la responsabilità per colpa deriva dalla violazione di regole a fonte sociale (negligenza,
imprudenza ed imperizia), si parla di colpa generica. In particolare:
la negligenza consiste nella mancanza di attenzione nel compimento di un’attività;
l’imprudenza consiste nell'operare senza le dovute cautele, generando o aumentando il
rischio di un danno o pericolo;
l’imperizia consiste nell’inettitudine o incapacità professionale, generica o specifica, nota
all'agente e di cui egli non vuole tener conto.
Quando, invece, la responsabilità deriva dalla violazione di leggi, regolamenti, ordini e discipline, si
parla di colpa specifica.
Si parla, poi, di colpa cosciente quando l’agente non vuole commettere il reato ma prevede come
possibile la verificazione dell'evento dannoso o pericoloso, pur agendo con la certezza che l'evento
medesimo non si verificherà, confidando nella propria capacità di controllare l'azione. Tale figura si
distingue dal dolo eventuale, che si caratterizza invece per l'accettazione del rischio della
verificazione di un evento non direttamente voluto.
La preterintenzione
La preterintenzione è definita, accanto al dolo e alla colpa, dal primo comma dell’art. 43 c.p., ai
sensi del quale “Il delitto è preterintenzionale, o oltre l’intenzione, quando dall’azione od
omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall’agente”.
Nel nostro ordinamento le ipotesi specifiche di preterintenzione sono solo due:
l’omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.);
l’aborto preterintenzionale (art. 593-ter c.p.).
Ricorre l’omicidio preterintenzionale quando, con azioni dirette a provocare percosse o lesioni, si
cagiona, come effetto non voluto, la morte di un uomo; ricorre invece l’aborto preterintenzionale
quando, con azioni dirette a provocare lesioni, si cagiona, sempre come effetto non voluto,
l’interruzione di una gravidanza.
Le circostanze
Le circostanze si dividono in:
circostanze aggravanti o attenuanti, a seconda che le stesse comportino un aumento o una
diminuzione di pena;
circostanze comuni o speciali, a seconda che le stesse si possano applicare a tutti i reati o
solo ad alcune fattispecie di reato;
circostanze oggettive o soggettive, a seconda che le stesse riguardino l’elemento oggettivo
o l’elemento soggettivo;
circostanze antecedenti, concomitanti o susseguenti, a seconda che le stesse incidano in
un momento antecedente, concomitante o susseguente alla condotta criminosa;
circostanze intrinseche o estrinseche, a seconda che queste riguardino la condotta o
comunque elementi del fatto tipico oppure attengano a elementi diversi ed esterni rispetto al
fatto;
circostanze definite o indefinite, in relazione al grado di dettaglio utilizzato dalla legge
nella loro descrizione, maggiore in quelle definite, minore in quelle indefinite;
circostanze obbligatorie o circostanze facoltative, a seconda dell’obbligatorietà o della
facoltatività della variazione della pena da parte del giudice;
circostanze ad effetto comune o ad effetto speciale, a seconda che la variazione sia fino a
un terzo o superiore al terzo, sempre in relazione alla pena ordinaria prevista per il reato
semplice;
circostanze autonome o indipendenti; le circostanze autonome prevedono l'applicazione di
una pena di specie diversa, prescindendo dalla pena ordinaria del reato semplice, mentre le
circostanze indipendenti comportano l'applicazione di una pena che, pur essendo della stessa
specie di quella prevista per il reato semplice, presenta una misura indipendente.
Si segnala, poi, che l'art. 5 D.Lgs. 21/2018 ha trasposto nell'art. 61-bis c.p. la circostanza
aggravante del reato transnazionale, che prevede un aumento di pena da un terzo alla metà
per tutti quei reati puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni
alla cui realizzazione abbia contribuito “un gruppo criminale organizzato impegnato in attività
criminali in più di uno Stato”.
Nel caso in cui, con riguardo alla medesima fattispecie, sussistano più circostanze, occorre
distinguere innanzitutto tra:
il concorso omogeneo, caratterizzato dalla compresenza di circostanze omogenee, e cioè
tutte aggravanti o tutte attenuanti;
il concorso eterogeneo, in cui concorrono contemporaneamente circostanze aggravanti ed
attenuanti.
Se invece si tratta di concorso eterogeneo, per cui concorrono circostanze aggravanti ed attenuanti,
l’art. 69 c.p. stabilisce che il giudice deve procedere ad un bilanciamento tra le stesse che si
concluderà con un giudizio di prevalenza delle circostanze aggravanti o di quelle attenuanti o con
un giudizio di equivalenza, per cui si procederà al reciproco annullamento e alla semplice
applicazione della pena base.
L’imputabilità
L’art. 85 c.p. condiziona la punibilità del reato alla imputabilità del suo autore, cioè alla sua
capacità d’intendere e di volere. Tale capacità deve sussistere al momento della commissione del
reato.
La capacità d’intendere viene definita come l’attitudine ad orientarsi nel mondo esterno in base
ad una percezione obiettiva e reale.
La capacità di volere implica, invece, la capacità di controllare gli impulsi ad agire e a
determinarsi scegliendo il proprio comportamento tra tutte le possibili alternative.
Le cause di esclusione dall’imputabilità
L’ordinamento giuridico prevede alcune ipotesi che escludono o comunque diminuiscono la
imputabilità.
L'infermità può inoltre essere permanente o provvisoria, purché sussista al momento del fatto
costituente reato.
Anche i disturbi della personalità possono costituire causa idonea ad escludere o grandemente
scemare la capacità di intendere e di volere del soggetto agente ai fini degli artt. 88 e 89 c.p.,
sempre che siano di consistenza, intensità, rilevanza e gravità tali da concretamente incidere sulla
stessa; per converso, non assumono rilievo ai fini della imputabilità gli stati emotivi e passionali
(art. 90 c.p.).
È sancito dall'art. 94 c.p. un aumento di pena per coloro che commettono un reato in stato di
ubriachezza o di intossicazione da stupefacenti, i quali siano dediti all'uso di bevande alcoliche o
sostanze stupefacenti e frequentemente in stato di ubriachezza o di intossicazione a causa di tale
uso. La situazione è definita dal legislatore come "abituale". Data la pericolosità sociale di tali
soggetti, è prevista anche la possibilità di applicare le misure di sicurezza della casa di cura o di
custodia ovvero della libertà vigilata (art. 221 c.p.).
La cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti determina un'alterazione patologica
della psiche (a differenza di quanto accade con l'ubriachezza abituale, che permette intervalli di
astinenza nei quali il soggetto riacquista la capacità d'intendere e di volere). Di conseguenza, in tal
caso, la capacità del soggetto può essere esclusa in modo permanente presentarsi come grandemente
scemata. Per tali ipotesi l'art. 95 c.p. richiama le norme sul vizio totale e parziale di mente.
Il sordomutismo
L'art. 96 c.p. non prevede alcuna presunzione d'incapacità in caso di sordomutismo; statuisce,
invece, che occorre procedere ad un accertamento, caso per caso, per verificare se, a causa di tale
minorazione, il sordomuto era incapace o parzialmente incapace d'intendere e di volere al momento
della commissione del reato: nel primo caso, la punibilità è esclusa; se invece la capacità d'intendere
o di volere risulta grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita.