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LA RESPONSABILITA'

EXTRACONTRATTUALE,
TORRENTE
Diritto Privato
Università degli Studi di Cagliari
24 pag.

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LA RESPONSABILITA’ EXTRACONTRATTUALE

NOZIONE

Il creditore può subire un danno in conseguenza dell’inadempimento del debitore.


In tal caso il problema è quello di stabilire se il creditore possa ottenere dal debitore inadempiente il
risarcimento del danno oppure se debba sopportare definitivamente il pregiudizio arrecatogli.
Problema analogo si ripropone tutte le volte in cui un soggetto venga a subire un danno in
conseguenza della condotta tenuta da un altro consociato, anche a prescindere dall’esistenza di un
precedente rapporto obbligatorio fra le parti interessate.
Secondo l’art. 2043 “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto,
obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Da questa norma, letta congiuntamente con quella dettata dall’art. 2046 che qui riportiamo:
Art. 2046. Imputabilità del fatto dannoso.
Non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d'intendere o di volere
al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d'incapacità derivi da sua colpa.

Si deduce che di regola affinché il danneggiante sia obbligato a risarcire il pregiudizio dallo stesso
cagionato al danneggiato devono concorrere i seguenti presupposti:
1. il fatto;
2. l’illiceità del fatto;
3. l’imputabilità del fatto al danneggiante;
4. il dolo o la colpa del danneggiante;
5. il nesso causale fra il fatto e l’evento dannoso (danno-evento);
6. il danno (danno-conseguenza).
Se concorrono questi presupposti, la responsabilità che grava sul danneggiante viene definita come
responsabilità extracontrattuale, responsabilità aquiliana oppure responsabilità civile.

IL FATTO

Per fatto si intende ciò che cagiona il danno.


Solitamente si tratta di un comportamento dell’uomo: in tal caso si parla di atto.
La condotta del danneggiante può essere:
1. commissiva, quando consiste in un facere;
2. omissiva, quando consiste in un non facere.
Occorre che la condotta omissiva venga posta in essere in violazione di un obbligo giuridico
di intervenire imposto dall’ordinamento oppure, secondo la giurisprudenza, in violazione
delle regole di diligenza e correttezza imposte dall’art. 2 Cost. e dall’art. 1175 cod. civ.
L’evento produttivo di danno può anche consistere in un mero fatto materiale, cioè un fatto naturale
che la legge talora imputa ad un soggetto o perché quest’ultimo è gravato dall’obbligo di evitarlo
oppure in considerazione del particolare legame intercorrente tra il fatto ed il soggetto.

L’illiceità del fatto

Talora è la legge ad indicare espressamente che un determinato fatto è illecito, e in quanto tale
obbliga chi lo pone in essere a risarcire il danno che dovesse derivarne a terzi.
Il codice penale dispone che “ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non
patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole”: dunque l’illecito penale costituisce anche
illecito civile.

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Gli illeciti penali sono tipici, nel senso che devono essere definiti in modo preciso dalla legge sulla
base del principio di legalità: secondo l’art. 1 cod. pen. “nessuno può essere punito per un fatto che
non sia espressamente previsto come reato dalla legge”.
Invece per gli illeciti civili vale l’opposto principio della atipicità: l’art. 2043 stabilisce infatti che -
oltre che nelle ipotesi in cui la risarcibilità del danno è espressamente prevista dalla legge -
“qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha
commesso il fatto a risarcire il danno”. Si tratta di una clausola generale, che non esplicita quali
danni siano ingiusti né i criteri per stabilire se un determinato danno sia ingiusto o meno.
Per avere un danno ingiusto non basta una qualsiasi lesione di interessi altrui.
Sono atti illeciti quelli che cagionano lesioni di interessi altrui che costituiscono danno ingiusto; la
condotta che li determina è antigiuridica.
La giurisprudenza ha via via dilatato la nozione di ingiustizia del danno, con il risultato di ampliare
progressivamente i confini della risarcibilità del danno extracontrattuale.
Inizialmente era diffusa la tesi che qualificava come ingiusto solo il danno arrecato contra ius, cioè
in violazione di un diritto soggettivo del danneggiato, e non iure, cioè non nell’esercizio di un
diritto che compete al danneggiante.
Per lungo tempo contra ius si è reputata solo la lesione di diritti assoluti.
Conseguentemente si è ritenuta risarcibile unicamente la lesione di diritti della persona oppure la
lesione di diritti reali.
Contra ius si è sempre reputata anche la lesione di diritti inerenti allo status della persona.
Invece la giurisprudenza ha a lungo negato la risarcibilità della lesione dei diritti di credito,
sostenendo che essendo diritti relativi vengono tutelati solo nei confronti del debitore, non dei terzi
in genere. Tuttavia le corti hanno cominciato ad affermare il diritto del creditore ad essere risarcito
dal terzo che abbia cagionato l’estinzione del suo diritto di credito e il diritto del creditore di essere
risarcito dal terzo che abbia cagionato l’impossibilità temporanea della prestazione del debitore:
infatti quella del creditore è pur sempre una situazione giuridica soggettiva protetta
dall’ordinamento.
E’ oggi riconosciuta la risarcibilità del danno da induzione all’inadempimento, cioè derivante dalla
condotta del terzo che determini il debitore a non adempire; la risarcibilità del danno da complicità
nell’altrui inadempimento; ecc.
La giurisprudenza è giunta ad ammettere anche la risarcibilità della lesione di situazioni di fatto, a
condizione che, pur non essendo tutelate attraverso il riconoscimento di un diritto soggettivo,
risultino comunque protette dall’ordinamento giuridico.
In quest’ottica la giurisprudenza ha affermato la risarcibilità del danno sofferto da chi si veda
privare del sostegno economico di cui fruiva stabilmente da parte di un soggetto di cui il terzo
cagiona la morte, pur non potendo vantare un diritto soggettivo al riguardo.
Di recente si è ammessa la risarcibilità del danno da lesione di un interesse legittimo, cioè del danno
derivante dalla violazione da parte della Pubblica Amministrazione di una regola di comportamento
posta nell’interesse generale, e che solo indirettamente tutela l’interesse del privato.
Le corti ormai sono orientate a ritenere ingiusto anche quel danno che si traduce nella lesione di un
interesse che, seppure non protetto come diritto soggettivo, risulta comunque tutelato
dall’ordinamento giuridico.
Compito dell’interprete è quello di rintracciare gli indici normativi che consentano di stabilire se un
determinato interesse deve considerarsi tutelato secondo il nostro ordinamento.
La giurisprudenza ha affermato l’ingiustizia e la risarcibilità dei pregiudizi conseguenti:
• alla turbativa delle scelte contrattuali;
• all’ingiustificata turbativa dell’attività d’impresa;
• alla lesione dell’interesse del consumatore all’autodeterminazione in ordine alla scelta del
prodotto o del servizio da acquistare;
• alla trascrizione di un atto non suscettibile di esserlo;
• alla violazione di obblighi familiari;

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• alla carenza dei dovuti controlli da parte dell’Autorità competente.
L’illecita lesione di interessi tutelati dall’ordinamento giuridico viene indicata come “evento
lesivo”, “evento dannoso” o “danno-evento”.

LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE

Le cause di giustificazione o cause di esclusione dell’antigiuridicità escludono l’ingiustizia del


danno e l’antigiuridicità della condotta, giustificando un comportamento pregiudizievole, che
altrimenti sarebbe fonte di responsabilità per il suo autore, e sono:
• esercizio di un diritto: perché un danno possa qualificarsi come “ingiusto” ed essere risarcibile è
anche necessario che lo stesso sia cagionato non iure, cioè non nell’esercizio di un diritto
dall’ordinamento riconosciuto al danneggiante.
L’esercizio del diritto ha efficacia scriminante solo se contenuto nei limiti consentiti;
• adempimento di un dovere: non può ritenersi ingiusto e risarcibile il danno arrecato
nell’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo
della pubblica Autorità;
• legittima difesa: l’art. 2044 esclude l’ingiustizia e la risarcibilità del danno arrecato per
legittima difesa. Infatti in caso di un’illegittima aggressione ad un consociato oppure ai suoi
beni, la legge autorizza chi ne è vittima o testimone ad intervenire per sventare o far cessare
l’aggressione, anche cagionando danni all’aggressore, se non vi è altra possibilità.
Art. 2044. Legittima difesa.
Non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri.

Perché operi la scriminante della legittima difesa devono concorrere i presupposti:


a) dell’illegittima aggressione alla persona o al patrimonio di un consociato;
b) dell’attualità del pericolo che ne deriva;
c) dell’inevitabilità del pericolo;
d) della non imputabilità all’aggredito della situazione di pericolo in cui è venuto a trovarsi;
e) della strumentalità dell’offesa, che deve essere volta a neutralizzare l’aggressione;
f) della proporzionalità tra difesa ed offesa.
La legittima difesa deve essere esercitata dalla vittima o da un terzo nei confronti
dell’aggressore.
Se l’azione reca danno ad un terzo diverso dall’aggressore, non si potrà invocare la legittima
difesa ma lo “stato di necessità”, se ne ricorrono i presupposti.
• consenso dell’avente diritto: la legge ritiene non ingiusto e non risarcibile il danno arrecato con
il consenso dell’avente diritto.
Il consenso dell’avente diritto ha efficacia scriminante solo se ha ad oggetto diritti disponibili ed
è prestato da chi ha la legittimazione e la capacità per disporne;
• partecipazione ad attività pericolosa lecita: si reputa non ingiusto e non risarcibile il danno
subito in occasione della partecipazione volontaria ad un’attività pericolosa lecita, sempre che il
pregiudizio non sia arrecato, con dolo o colpa grave, attraverso condotte incompatibili con il
rischio tipico dell’attività svolta e con il contesto nel quale la stessa viene esercitata.
L’art. 2045 contempla l’ipotesi di danno arrecato in stato di necessità, cioè l’ipotesi in cui chi ha
compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare se o altri dal pericolo attuale
di un danno grave alla persona.

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Art. 2045. Stato di necessità.
Quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal
pericolo attuale di un danno grave alla persona, e il pericolo non è stato da lui volontariamente
causato, né era altrimenti evitabile, al danneggiato è dovuta un'indennità, la cui misura è rimessa
all'equo apprezzamento del giudice.

Perché si abbia stato di necessità, devono concorrere i seguenti presupposti:


A) il pericolo alla vita, alla salute, all’integrità fisica e ai diritti fondamentali della persona del
danneggiante o di un terzo.
Non sarebbe sufficiente un pericolo di danno al patrimonio per legittimare il sacrificio di
diritti di terzi;
B) la serietà del pericolo, cioè l’elevata probabilità che si verifichi l’evento dannoso;
C) l’attualità del pericolo, cioè l’imminenza del rischio di danno;
D) l’inevitabilità del pericolo, che non deve essere altrimenti scongiurabile se non con la
causazione di danno a terzi;
E) l’involontarietà del pericolo, che non deve essere volutamente o colposamente causato dal
danneggiante;
F) la proporzionalità del fatto dannoso al pericolo.
In caso di stato di necessità il danno viene arrecato ad un terzo innocente: ciò spiega perché il
danneggiante deve al danneggiato un’indennità, la cui misura è rimessa all’equo apprezzamento del
giudice.
Se la situazione di pericolo è stata causata dolosamente o colposamente da un terzo, il danneggiato
può proporre sia l’azione risarcitoria nei confronti del terzo, sia l’azione indennitaria nei confronti
del danneggiante, con l’unico limite costituito dall’integrale ristoro del danno sofferto.
L’autore del danno, dopo aver corrisposto l’indennità al danneggiato, potrà agire in rivalsa nei
confronti del terzo che ha creato la situazione di pericolo.
Si discute se lo stato di necessità costituisca una causa di esclusione dell’antigiuridicità dell’atto,
oppure una semplice esimente da responsabilità per un atto che rimane comunque illecito.

L’IMPUTABILITA’ DEL FATTO

Secondo l’art. 2046 “non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di
intendere o di volere al momento in cui lo ha commesso”.
Ai fini della responsabilità extracontrattuale, non ha nessuna rilevanza il fatto che il danneggiante
abbia o meno la capacità di agire, che riguarda esclusivamente la “capacità negoziale” della
persona fisica.
Invece la capacità delittuale, cioè la capacità di rimanere obbligato al risarcimento dei danni
provocati dal proprio fatto illecito, si ha solo se nel momento in cui ha commesso il fatto il
danneggiante abbia la capacità di intendere e di volere.
Quindi anche il minore ha la capacità di obbligarsi ex delicto, se è in condizioni che gli consentano
un’adeguata valutazione di tutte le circostanze in cui si trova ad agire e di tutti i rischi della propria
condotta.
Anche l’interdetto, l’inabilitato, il beneficiario dell’amministrazione di sostegno rispondono del
fatto illecito dagli stessi compiuto, se le loro condizioni sono tali da non privarli della sufficiente
capacità di intendere e di volere, con riferimento a quella determinata condotta.
L’accertamento della capacità o meno del danneggiante andrà effettuata dal giudice in concreto,

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cioè valutando caso per caso età, sviluppo intellettivo, maturità, presenza di eventuali malattie,
tipologia del fatto illecito, ecc.; salvo che le modalità dell’azione e/o l’età del soggetto siano già di
per se tali da autorizzare una conclusione in un senso o nell’altro.
La sussistenza di un’incapacità di intendere o di volere al momento della commissione del fatto non
vale ad escludere l’imputabilità del danneggiante e non vale quindi ad esonerarlo da responsabilità,
se l’incapacità stessa è determinata da fatto, doloso o colposo, del danneggiante medesimo.
In tal caso si tratta di actiones liberae in causa: l’azione che ha provocato l’evento dannoso deve
farsi risalire all’azione libera che l’ha preceduta, che costituisce la causa vera, anche se indiretta,
dell’evento dannoso.
Se il danno è provocato da persona incapace, il legislatore stabilisce che il danneggiato può
pretendere il risarcimento dal soggetto tenuto alla sorveglianza dell’incapace stesso. Si tratta di una
delle fattispecie legali di responsabilità per fatto altrui.
Nel caso in cui non vi sia alcuna persona tenuta alla sorveglianza dell’incapace, o questa dia la
prova di non aver potuto impedire il fatto, oppure la persona tenuta alla sorveglianza non sia in
grado di risarcire il danno, il danneggiato può chiedere al giudice la condanna dell’incapace al
pagamento di un’equa indennità, che andrà stabilita tenendo conto delle condizioni economiche
delle parti.
In tal caso, nessuno può essere ritenuto giuridicamente responsabile per il pregiudizio arrecato: il
legislatore intende garantire l’interesse del danneggiato ad essere risarcito del pregiudizio subito
ogni volta che ciò non comprometta la posizione patrimoniale dell’incapace.

IL DOLO E LA COLPA

L’art. 2043 indica tra i presupposti della responsabilità extracontrattuale il dolo o la colpa
dell’autore dell’atto illecito.
Per dolo si intende l’intenzionalità della condotta, nella consapevolezza che la stessa può
determinare l’evento dannoso.
Non è necessario che si tratti di dolo diretto, cioè che l’autore ponga in essere quella determinata
condotta proprio al fine di produrre l’evento dannoso; è sufficiente che si tratti di dolo eventuale,
cioè che l’autore, pur non agendo al fine specifico di realizzare l’evento dannoso, si sia
rappresentato il suo verificarsi come possibile conseguenza della sua condotta e ne abbia accettato il
relativo rischio.
Di regola, il dolo non è essenziale perché l’autore dell’illecito incorra in responsabilità
extracontrattuale, essendo normalmente sufficiente la colpa: l’art. 2043 richiede infatti in
alternativa i due presupposti del dolo e della colpa.
Tuttavia in alcuni casi si ha responsabilità solo se la condotta è dolosa: in tal caso si parla di illecito
essenzialmente doloso.
- es: induzione all’inadempimento.
Il dolo, come presupposto della responsabilità extracontrattuale, indica l’elemento psicologico, cioè
la volontarietà che caratterizza la condotta dell’agente; invece il dolo, come vizio della volontà,
indica la condotta (i raggiri) tenuta dal soggetto.
Per colpa si intende il difetto della diligenza, della prudenza, della perizia richieste, oppure
l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline: cioè la non rispondenza della condotta
tenuta dall’agente allo standard di adeguatezza imposto dall’ordinamento.
In particolare, la negligenza consiste nella mancanza dell’attenzione richiesta; l’imprudenza
consiste nella mancanza delle necessarie misure di cautela; l’imperizia consiste nell’inosservanza
delle regole tecniche di una determinata attività.
Diligenza, prudenza e perizia si valutano alla luce di un parametro oggettivo, costituito da quando è
legittimo attendersi in quelle determinate circostanze dal bonus pater familias, cioè dall’uomo
coscienzioso, accorto e preparato.
Il giudizio implica l’analisi di tutte le circostanze di fatto verificatesi nel caso concreto, per
accertare se il danneggiante avrebbe potuto o dovuto agire diversamente, in base alle regole che

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vanno osservate da una persona normale ed attenta.
L’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline implica di per sé colpa.
La loro osservanza non la esclude, se sia comunque mancato il rispetto della diligenza, prudenza,
perizia richieste.
Di regola, è irrilevante il grado della colpa, salvo che per quanto riguarda il regresso nei confronti
degli altri coobbligati.
E’ anche irrilevante se l’evento dannoso sia stato cagionato con colpa o con dolo: in sede di
responsabilità extracontrattuale il danno, non importa se prevedibile o meno, va integralmente
risarcito, sia che il danneggiante sia in dolo sia che versi in colpa.
Di norma, la prova del dolo o della colpa del danneggiante deve essere fornita dal danneggiato.
La prova della colpa del danneggiante può essere dal danneggiato offerta anche a mezzo di
presunzioni semplici; nei casi in cui l’evento dannoso può essere normalmente evitato attraverso
una condotta allineata ai comuni standard di diligenza, il suo solo verificarsi può far
ragionevolmente presumere la colpa del danneggiante.
Si dice comunemente che dolo e colpa attengono all’elemento soggettivo dell’illecito civile, in
quanto implicano una valutazione della condotta del soggetto agente.
Il dolo attiene al momento psicologico dell’agire del danneggiante, invece la colpa discende dalla
oggettiva inadeguatezza della condotta del danneggiante rispetto agli standard imposti
dall’ordinamento, senza che abbia rilevanza l’atteggiamento psicologico del soggetto agente.

LA RESPONSABILITA’ OGGETTIVA

Il codice civile prevede delle ipotesi in cui l’autore risponde dell’evento dannoso anche in assenza
di dolo e di colpa: si parla in tali casi di responsabilità oggettiva.
Si tratta di casi di responsabilità oggettiva perché fondati su un criterio di imputazione che
prescinde da una valutazione in termini di colpa o di dolo della condotta del soggetto che la legge
indica come responsabile.
Il legislatore muove dalla constatazione che determinate attività presentano una loro intrinseca
potenzialità dannosa, che non può essere eliminata neppure adottando ogni ragionevole misura
preventiva e cautelare. Di qui la scelta di tutelare chi è esposto ai rischi indotti da dette attività,
accollandoli al soggetto che detti rischi immette nella società, indipendentemente da qualsiasi sua
negligenza, ma esclusivamente in quanto sembra giusto accollare il rischio delle attività al soggetto
che di quelle attività si avvale e beneficia.
Le ipotesi di responsabilità oggettiva contemplate nel codice civile sono:
A) responsabilità di padroni e committenti: il codice civile statuisce la responsabilità del
preponente per i danni cagionati a terzi da suoi proposti nell’esercizio delle incombenze cui gli
stessi sono adibiti.
In tal caso, il danneggiato non ha l’onere di provare che la condotta del preponente è connotata
da dolo o da colpa, e il preponente non può neppure sottrarsi a responsabilità, dimostrando che
nessuna negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o
discipline può essergli imputata: il preponente risponde a prescindere da qualsiasi sua colpa.
In passato si spiegava la regola ricorrendo al concetto di colpa presunta del preponente per non
aver ben scelto il preposto (culpa in eligendo) e/o per non aver correttamente vigilato sulla sua
attività (culpa in vigilando): colpa che si affermava presunta iuris et de iure;
Art. 2049. Responsabilità dei padroni e dei committenti.
I padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro
domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.

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B) responsabilità per rovina di edificio dovuta a vizio di costruzione: il codice civile statuisce la
responsabilità del proprietario di un edificio o di altra costruzione per i danni cagionati dalla
loro rovina dovuta a vizio di costruzione, quand’anche non manifestatosi con segni percepibili
all’esterno.
In tal caso il danneggiato non ha l’onere di provare che la condotta del proprietario
dell’immobile è caratterizzata da colpa, e quest’ultimo non può esonerarsi da responsabilità,
neppure dimostrando di essere del tutto estraneo al difetto di costruzione e di non averne
neppure potuto avere cognizione: il proprietario è chiamato a rispondere, a prescindere da
qualsiasi sua colpa, per il fatto in sé di essere proprietario;

C) Art. 2053. Rovina di edificio.


Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro
rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di
costruzione.

D) responsabilità per vizi di costruzione di veicoli senza guida di rotaie: il codice civile statuisce
la responsabilità del conducente e del proprietario – oppure dell’usufruttuario o dell’acquirente
con patto di riservato dominio – di un veicolo senza guida di rotaie per i danni cagionati dalla
circolazione del veicolo, derivanti da vizi di costruzione: il soggetto è chiamato a rispondere a
prescindere da qualsiasi sua colpa.

Art. 2054. Circolazione di veicoli


Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a
persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per
evitare il danno.
Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti
abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli.
Il proprietario del veicolo, o, in sua vece, l'usufruttuario o l'acquirente con patto di riservato
dominio, è responsabile in solido col conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è
avvenuta contro la sua volontà.
In ogni caso le persone indicate dai commi precedenti sono responsabili dei danni derivati da
vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo.
NB: La Corte Costituzionale (sentenza 205/72) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del
presente comma "limitatamente alla parte in cui nel caso di scontro tra veicoli esclude che la
presunzione di egual concorso dei conducenti operi anche se uno dei veicoli non abbia
riportato danni".

Si rinvengono delle ipotesi di responsabilità oggettiva anche al di fuori del codice:


A) l’esercente di un impianto nucleare è responsabile di ogni danno alle persone o alle cose
causato da un incidente nucleare avvenuto nell’impianto nucleare o connesso con lo stesso;
B) il produttore è responsabile del danno cagionato da difetti del suo prodotto.
Per ottenere il risarcimento del danno sofferto, il danneggiato non deve fornire la prova
della colpa del produttore. Di contro per sottrarsi a responsabilità, il produttore può solo
fornire la dimostrazione della mancanza di nesso causale tra fatto del produttore ed evento
dannoso. Se tale nesso sussiste, il produttore risponde dal danno a prescindere dal fatto che
una qualche colpa possa essergli imputata o meno.

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TRA RESPONSABILITA’ AGGRAVATA ED RESPONSABILITA’ OGGETTIVA

Il legislatore prevede una serie di ulteriori ipotesi in cui la posizione del danneggiato viene più
intensamente tutelata, e di contro quella del danneggiante aggravata, rispetto a quanto risulterebbe
dall’applicazione della regola generale che vuole gravi sul danneggiato la prova della colpa del
danneggiante.
In questi casi, il regime ordinario della responsabilità civile viene derogato sotto due distinti profili:
I) il danneggiato non deve fornire la prova della colpa del danneggiante: è il danneggiante
a dover fornire la “prova liberatoria”;
II) la prova liberatoria richiesta al danneggiante non si riduce alla sola dimostrazione che lo
stesso ha operato con diligenza, prudenza e perizia, cioè alla mera dimostrazione della
sua mancanza di colpa.
Singole ipotesi previste dal legislatore:
a) responsabilità del sorvegliante dell’incapace, dei genitori, precettori e maestri d’arte: in caso
di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi
è tenuto alla sorveglianza dell’incapace.
Analogamente, i genitori, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei
figli minori non emancipati e delle persone soggette alla tutela che abitano con essi; i precettori
e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto
illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
Il codice civile prevede che chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, i genitori ed il tutore, i
precettori e i maestri d’arte possono liberarsi da responsabilità, provando di non aver potuto
impedire il fatto.
A chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace la giurisprudenza richiede la dimostrazione di
aver adottato tutte le cautele appropriate in relazione allo stato e alle condizioni dell’incapace, al
tempo, luogo in cui è maturato l’atto dannoso, alla professionalità del sorvegliante; ai genitori la
giurisprudenza richiede la dimostrazione di aver vigilato sulla condotta del minore in misura
adeguata all’ambiente in cui vive, alle sue abitudini, di averlo educato in modo consono alle sue
condizioni sociali, alla sua età, personalità; ai precettori e maestri d’arte le corti richiedono la
dimostrazione di non aver potuto impedire l’evento per il suo carattere imprevedibile,
improvviso e repentino e di aver adottato in via preventiva tutte le misure organizzative o
disciplinari idonee ad evitare la situazione di pericolo.

Art. 2047. Danno cagionato dall'incapace.


In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto
da chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace salvo che provi di non aver potuto impedire il
fatto.
Nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è tenuto alla
sorveglianza, il giudice in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può
condannare l'autore del danno a un'equa indennità.

Art. 2048. Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte.
Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli
minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa
disposizione si applica all'affiliante.
I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato
dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza.
Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano
di non avere potuto impedire il fatto.

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La difficoltà della prova liberatoria richiesta finisce in concreto con l’avvicinare questo tipo di
responsabilità ad una responsabilità di tipo oggettivo;
b) responsabilità per esercizio di attività pericolosa: il codice civile dopo aver previsto che
chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa è tenuto al
risarcimento, statuisce che l’esercente di detta attività può liberarsi da responsabilità solo
provando di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.

Art. 2050. Responsabilità per l'esercizio di attività pericolose.


Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di una attività pericolosa, per sua natura o
per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le
misure idonee a evitare il danno.

La giurisprudenza non si accontenta della dimostrazione che nel caso concreto sono state
adottate tutte le misure adeguate in relazione alla tipologia, alla natura ed alle caratteristiche
dell’attività svolta, vale a dire la dimostrazione della mancanza di colpa, ma richiede la prova
positiva della causa esterna (fatto naturale, fatto del terzo, fatto dello stesso danneggiato) che
per imprevedibilità, eccezionalità ed inevitabilità sfugge alla sfera di controllo dell’esercente
l’attività pericolosa.
Così facendo le corti richiedono all’esercente attività pericolose la prova di un fatto estraneo alla
sua condotta idoneo ad interrompere il nesso causale tra quest’ultima e l’evento dannoso
sofferto dalla vittima.
In buona sostanza la responsabilità dell’esercente attività pericolose è divenuta una
responsabilità di tipo oggettivo.
Per “attività pericolose” non si intendono soltanto le attività pericolose tipiche, cioè quelle
espressamente qualificate e disciplinate dalla legge, ma anche le attività pericolose atipiche,
cioè tutte quelle altre attività che per la loro spiccata potenzialità offensiva, implicano
un’elevata possibilità di recar danno a terzi;
c) responsabilità per danno cagionato da cose in custodia: il codice civile dopo aver previsto che
ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, stabilisce che il
custode può liberarsi da responsabilità solo provando il caso fortuito.
La giurisprudenza non si accontenta della dimostrazione dell’assenza di colpa, ma richiede la
prova positiva della causa esterna che per imprevedibilità, eccezionalità ed inevitabilità sia
estranea alla sfera di controllo del custode.
Le corti ritengono che il caso fortuito, atto ad escludere la responsabilità del custode, vada
inteso come evento interruttivo del nesso causale tra cosa in custodia ed evento dannoso. Quindi
la responsabilità per cose in custodia è divenuta una responsabilità di tipo oggettivo.
Il “danno da cosa in custodia”, che dipende dalla natura stessa del bene e dalla sua concreta
potenzialità dannosa oppure dal dinamismo intrinseco della cosa, non va confuso con il “danno
derivante dall’uso della cosa”, che invece promana dall’azione umana.
La norma si applica per il danno cagionato da qualunque res.
La responsabilità ricade sul custode, il soggetto che ha il “governo” della cosa, cioè un effettivo
potere, di diritto o di fatto, che gli consente di vigilarla e mantenerne il controllo, in modo che
non produca danno;

Art. 2051. Danno cagionato da cosa in custodia.


Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il
caso fortuito.

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d) responsabilità per danno cagionato da animali: il codice civile prevede che il proprietario di
un animale, o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati
dall’animale, sia che questo fosse sotto la sua custodia, smarrito o fuggito. Questi soggetti
possono liberarsi da responsabilità solo provando il caso fortuito.
Anche in questo caso la giurisprudenza richiede la prova della causa esterna che sfugge alla
sfera di controllo da parte del proprietario dell’animale.
Sostanzialmente si tratta di responsabilità oggettiva, addossata a prescindere al proprietario
dell’animale.
La responsabilità ricade su chi utilizza l’animale, di regola il proprietario; in alternativa il terzo
che su di esso abbia un potere effettivo di governo.
La norma non trova applicazioni ai danni provocati dalla fauna selvatica;
Art. 2052. Danno cagionato da animali.
Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei
danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito,
salvo che provi il caso fortuito.

e) responsabilità per danno da rovina di edificio: il codice civile prevede che il proprietario di un
edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina; il proprietario
può esonerarsi da responsabilità provando che la rovina non è dovuta a difetto di manutenzione
o a vizio di costruzione.
Se il danno deriva da vizi di costruzione, sul proprietario grava sempre e comunque una
responsabilità oggettiva per l’evento verificatosi.
In tutte le altre ipotesi, la giurisprudenza richiede che il proprietario fornisca la dimostrazione
positiva della causa di forza maggiore, oppure il fatto del terzo o dello stesso danneggiato, che
per imprevedibilità, eccezionalità ed inevitabilità sfuggano a qualsiasi potere di controllo da
parte del proprietario.
Quindi sostanzialmente si tratta di una responsabilità oggettiva.
Le corti offrono un’interpretazione particolarmente ampia del concetto di rovina, che
ricomprende il crollo dell’immobile e la semplice disgregazione di suoi elementi;
Art. 2053. Rovina di edificio.
Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro
rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di
costruzione.

f) responsabilità del conducente per danno da circolazione di veicoli: il codice civile prevede che
il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a
persone o a cose dalla circolazione del veicolo; il conducente può liberarsi da responsabilità
fornendo la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
In ogni caso, il conducente risponde dei danni derivanti da vizi di costruzione o da difetto di
manutenzione del veicolo: si tratta di una responsabilità oggettiva, che prescinde da qualsiasi
valutazione in termini di negligenza.
Negli altri casi di danno da circolazione del veicolo, la giurisprudenza ammette che il
conducente possa esonerarsi da responsabilità, purché dimostri la causa esterna improvvisa che
non consenta alcuna manovra per evitare il danno: quindi in questa ipotesi la responsabilità del
conducente si avvicina molto ad una forma di responsabilità oggettiva.
La norma trova applicazione quando concorrono i seguenti presupposti:
- la circolazione su strada pubblica;
- i veicoli senza guida di rotaie.

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La responsabilità grava sul conducente, cioè su colui che è alla guida.
Il conducente risponde del danno prodotto a persone o a cose.
Oggi le corti ritengono che chiunque riceva un danno dalla circolazione di veicoli, trasportato
compreso, possa avvalersi del disposto.
In ipotesi di collisione fra veicoli, se non si può accertare quale condotta dei due conducenti
abbia causato l’evento dannoso, il codice civile pone una presunzione iuris tantum (fino a prova
contraria) di uguale concorso.

Art. 2054. Circolazione di veicoli


Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a
persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per
evitare il danno.
Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti
abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli.
Il proprietario del veicolo, o, in sua vece, l'usufruttuario o l'acquirente con patto di riservato
dominio, è responsabile in solido col conducente, se non prova che la circolazione del veicolo è
avvenuta contro la sua volontà.
In ogni caso le persone indicate dai commi precedenti sono responsabili dei danni derivati da
vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo.
NB: La Corte Costituzionale (sentenza 205/72) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del
presente comma "limitatamente alla parte in cui nel caso di scontro tra veicoli esclude che la
presunzione di egual concorso dei conducenti operi anche se uno dei veicoli non abbia
riportato danni".

IL NESSO DI CAUSALITA’

Perché si abbia responsabilità extracontrattuale è necessario come presupposto anche il nesso di


causalità tra fatto ed evento lesivo: infatti per addossare ad un soggetto l’obbligo risarcitorio
occorre verificare che proprio la sua condotta sia la causa di quell’evento.
Normalmente, ogni evento lesivo è il risultato di una pluralità di concause.
Dal punto di vista naturalistico possono ritenersi “causa” di un determinato evento tutte quelle
condotte senza il cui concorso l’evento stesso non si sarebbe prodotto, cioè tutte quelle condotte che
costituiscono condicio sine qua non del verificarsi dell’evento: si parla di causalità materiale o di
fatto.
Per verificare nel singolo caso concreto la sussistenza del nesso di causalità materiale sarà
necessario indagare se l’evento dannoso si sarebbe verificato ugualmente in assenza di una
determinata condotta.
Al fine di valutare l’esistenza o meno del nesso di causalità materiale, la giurisprudenza in materia
civile fa ricorso al criterio del più probabile che non: reputa sufficiente che l’esistenza del nesso
causale sia “più probabile che non”.
Nel processo penale la prova del nesso causale deve essere fornita “al di là di ogni ragionevole
dubbio”: si deve avere la certezza che l’evento dannoso non si sarebbe verificato in assenza di quel
determinato antecedente.
All’interno delle condotte che sono collegate ad un determinato evento dannoso da un nesso di
causalità materiale, occorre selezionare quelle che ne sono la causa giuridicamente rilevante: in tal
caso si parla di causalità giuridica.
A tal fine, la giurisprudenza fa ricorso al criterio della causalità adeguata: una data condotta si
considera causa in senso giuridico di un determinato evento se, sulla base di un giudizio ex ante,
detto evento ne risultava la conseguenza prevedibile ed evitabile: dunque si considera causa se
quella data condotta è normalmente adeguata a causare quel determinato evento dannoso.

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Il nesso di causalità tra una determinata condotta e l’evento stesso si interrompe, con conseguente
esonero da responsabilità di chi l’ha posta in essere, se il danno verificatosi ne costituisce una
conseguenza del tutto atipica, cioè se al momento in cui è avvenuta l’azione era del tutto
imprevedibile che ne sarebbe potuto discendere un danno come quello che si è concretamente
verificato.
Il giudizio di causalità adeguata si differenzia da quello sulla colpevolezza, perché ciò che rileva ai
fini della causalità è che l’evento sia prevedibile non da parte dell’agente, ma sulla base delle
migliori conoscenze statistiche e/o scientifiche: si parla di prevedibilità obiettiva.

IL DANNO CAGIONATO DA PIU’ SOGGETTI

Uno stesso evento dannoso può essere causato da condotte illecite di più soggetti distinti.
Tali condotte possono essere consapevolmente coordinate, oppure possono essere autonome e
temporalmente distinte; in questo secondo caso, la condotta di un agente può essere ignorata dagli
autori delle altre condotte.
Inoltre le condotte che concorrono nella causazione del danno possono costituire alcune illecito
extracontrattuale, altre illecito contrattuale.
Al fine di agevolare e rafforzare la posizione del danneggiato, la legge gli consente di rivolgersi per
l’intero risarcimento a ciascuno dei responsabili: secondo l’art. 2055, se il fatto dannoso è
imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno.

Art. 2055. Responsabilità solidale.


Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del
danno.
Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla
gravità della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono derivate.
Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali.

Una volta risarcito il danneggiato, chi ha effettuato il relativo esborso potrà esercitare l’azione di
regresso nei confronti degli altri coobbligati, cioè potrà richiedere a ciascuno il rimborso della
quota di rispettiva competenza, da commisurarsi alla gravità della rispettiva colpa ed all’entità delle
conseguenze che ne sono derivate.
Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali, con la conseguenza che gli oneri del risarcimento
verranno ripartiti fra i corresponsabili in egual misura.
Diverso è il caso in cui il medesimo evento dannoso risulti cagionato dal concorso di cause umane e
di cause naturali. La giurisprudenza insegna che:
A) se il fattore naturale, su cui incide il comportamento umano, è sufficiente a determinare
l’evento dannoso indipendentemente dalla condotta dell’agente, quest’ultimo non risponde
per nulla del danno;
B) se il fattore naturale non può dar luogo, senza l’apporto umano, all’evento dannoso, l’autore
dell’evento è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo
normalità.

IL CONCORSO DEL FATTO COLPOSO DEL DANNEGGIANTE

Può accadere che a causare l’evento dannoso concorra la condotta dello stesso danneggiato: il fatto
del danneggiato incide sul nesso di causalità nel verificarsi dell’evento dannoso; in tal caso si parla

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di concorso di colpa del danneggiato.
In tal caso si applica il principio secondo cui il risarcimento è diminuito secondo la gravità della
colpa del danneggiato e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate.(art. 1227 codice civile, che
rinvia all’art. 2056 del codice civile).
Art. 1227. Concorso del fatto colposo del creditore.
Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito
secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate.
Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria
diligenza.
Art. 2056. Valutazione dei danni.
Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli
1223, 1226 e 1227.
Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.

L’onere della prova del concorso del danneggiato nella causazione dell’evento dannoso grava sul
danneggiante, in applicazione del principio generale previsto dall’art. 2697: si tratta di una
circostanza che esclude o limita la pretesa del danneggiato.
Art. 2697. Onere della prova.
Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve
provare i fatti su cui l'eccezione si fonda.

Diversa è l’ipotesi del concorso del danneggiato nell’aggravamento del danno: in questo caso il
fatto del danneggiato incide sull’entità del danno.
La legge impone al danneggiato l’onere di attivarsi per ridurre per quanto possibile il danno
conseguente al fatto del danneggiante; il mancato assolvimento di questo onere comporta la non
risarcibilità del pregiudizio che il danneggiato avrebbe potuto evitare.
L’onere di provare che il danno avrebbe potuto essere dal danneggiato evitato, in tutto o in parte,
con l’ordinaria diligenza grava sul danneggiante.

LA RESPONSABILITA’ PER FATTI ALTRUI

Di regola, l’obbligo di risarcire il danno grava su chi lo ha cagionato con fatto proprio.
Tuttavia a volte il codice prevede che l’obbligo di risarcire il danno gravi su determinati soggetti,
anche se il pregiudizio è causato da fatto di altri.
Solitamente, la responsabilità indiretta del terzo si aggiunge a quella diretta dell’autore
dell’illecito: ciò al fine di favorire il danneggiato che in tal modo, a garanzia del proprio credito
risarcitorio, potrà far conto non solo sul patrimonio di chi gli ha cagionato il pregiudizio, ma anche
su quello di un altro soggetto.
Ipotesi di “responsabilità indiretta” previste dal nostro codice:
 responsabilità di chi ha la sorveglianza di un soggetto incapace di intendere o di volere:
l’incapace, in quanto tale, va esente da responsabilità; la responsabilità del sorvegliante non si
aggiunge a quella dell’incapace, che ha direttamente causato il danno.
In questo modo si evita che la vittima dell’illecito rimanga senza un soggetto cui potersi
rivolgere per essere risarcita.
La responsabilità del sorvegliante presuppone un fatto obiettivamente illecito che abbia
cagionato ad altri un danno, di cui l’autore non è chiamato a rispondere per la sola ragione di
essere incapace, e l’esistenza di un soggetto tenuto alla sorveglianza dell’incapace.
Per quanto riguarda il minore, un generale dovere di sorveglianza grava sui genitori; sul tutore,

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per quanto riguarda l’interdetto.
Per il tempo in cui è loro affidato, il dovere di sorveglianza sull’incapace compete alle strutture
affidatarie.
E’ comunemente ammesso che il dovere di sorveglianza possa derivare anche da una mera
situazione di fatto, frutto di una libera scelta da parte del soggetto che, accogliendo l’incapace
nella propria sfera personale o familiare, assuma spontaneamente il compito di prevenire od
impedire che il comportamento dell’incapace possa arrecare danno a terzi.
Secondo la giurisprudenza e la dottrina, quella in esame non costituisce effettivamente
un’ipotesi di “responsabilità per fatto altrui”: il sorvegliante dovrebbe ritenersi chiamato a
rispondere per fatto proprio, consistente nell’inosservanza del dovere di sorveglianza
dell’incapace;
 responsabilità dei genitori per il danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non
emancipati o delle persone sottoposte a tutela: rispondono del danno rispettivamente i genitori
in solido ed il tutore. Genitori e tutore rispondono solo se figli minori e interdetti siano capaci
di volere e di intendere.
Presupposto della responsabilità di genitori e tutore è la convivenza con l’autore dell’illecito.
La responsabilità di genitori e tutore concorre con quella del figlio minore e del soggetto
sottoposto a tutela: questi ultimi rispondono in proprio nei confronti della vittima dell’illecito, la
responsabilità indiretta di genitori e tutore si aggiunge alla loro responsabilità diretta.
Trattandosi di responsabilità solidale, spetta al danneggiato scegliere a chi rivolgersi per il
risarcimento;
 responsabilità di precettori e maestri d’arte per i danni cagionati a terzi dal fatto illecito
commesso da allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza: precettori e
maestri d’arte rispondono solo se allievo ed apprendista sono capaci di volere e intendere.
La locuzione di “precettori e maestri d’arte” indica tutti coloro cui il minore è affidato a fini di
istruzione.
La responsabilità di questi soggetti è limitata agli illeciti commessi dagli allievi nel periodo in
cui sono sotto la loro sorveglianza.
La responsabilità indiretta di insegnanti e maestri d’arte si aggiunge in via solidale a quella del
minore e a quella dei genitori, chiamati a rispondere in via indiretta dell’illecito dei figli, se lo
stesso è conseguenza dell’inadeguatezza dell’educazione impartita.
Per quanto riguarda i danni cagionati a terzi da alunni di scuola statale, in caso di omessa o
carente vigilanza sugli stessi da parte del relativo personale, la vittima dell’illecito non può
rivolgersi per il risarcimento direttamente al soggetto cui è imputabile la culpa in vigilando, ma
solo allo Stato;
 responsabilità di padroni e committenti per i danni cagionati a terzi da fatto illecito
commesso da domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti: tra chi
è chiamato a rispondere in via indiretta e l’autore dell’illecito deve intercorrere un rapporto di
preposizione, cioè un rapporto in forza del quale un soggetto, detto preponente, si appropria
delle utilità derivanti dall’attività di un altro soggetto, detto preposto, che però opera sotto il
potere di direzione e sorveglianza del preponente, e non con autonomia organizzativa e
gestionale.
Perché il preponente risponda del fatto illecito del preposto, devono concorrere i seguenti
presupposti:
 compimento da parte del preposto di un atto illecito che cagioni ad altri un danno: il
preponente è chiamato a rispondere in via indiretta solo di quei danni di cui il preposto deve
rispondere in via diretta;
 compimento da parte del preposto dell’atto illecito nell’esercizio delle incombenze a cui è
adibito.
Si ritiene sufficiente che intercorra un nesso di occasionalità necessaria fra esercizio delle

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incombenze del preposto e atto illecito, nel senso che le incombenze determinino una
situazione tale da agevolare e rendere possibile l’evento dannoso.
Essenziale è solo che la connessione fra esercizio delle incombenze ed illecito dannoso non
sia del tutto anomala e casuale, ma sia in qualche modo collegata alla natura ed alle
modalità dell’incarico affidato.
Il preponente non è ammesso a fornire una prova liberatoria in senso tecnico. Non può cioè
sottrarsi a responsabilità, dimostrando che nessuna censura può mossa quanto alla scelta del
preposto (c.d culpa in eligendo) ovvero quanto alle istruzioni a quest’ultimo fornite ed alla
vigilanza esercitata sulla sua attivita (c.d culpa in vigilando) : la responsabilità gli viene
accollata oggettivamente, a prescindere da qualsiasi valutazione della sua condotta in termini di
colpa, per il solo fatto di avvantaggiarsi dell’attività del preposto.
La responsabilità del preponente si aggiunge a quella del preposto.
Tra obbligazione risarcitoria del preposto e obbligazione risarcitoria del preponente corre il
vincolo della solidarietà: la vittima dell’illecito potrà rivolgersi per l’intero all’uno, all’altro o
ad entrambi.
Una volta risarcito il danneggiato, il preponente avrà azione di regresso nei confronti del
preposto per l’intera somma sborsata, sempre che non abbia concorso alla determinazione
dell’evento dannoso;
 responsabilità del proprietario per vizi di costruzione dell’immobile: il proprietario non può
sottrarsi a responsabilità, provando la sua totale estraneità alla causazione dell’evento dannoso.
Se il vizio di costruzione è addebitabile a coloro che hanno progettato, diretto o eseguito i lavori
di costruzione dell’immobile, il proprietario che abbia risarcito il terzo danneggiato avrà diritto
di rivalsa nei confronti di questi;
 responsabilità di proprietario e conducente per vizi di costruzione di veicoli senza guida di
rotaie: si tratta di responsabilità oggettiva.
In solido risponde anche il costruttore; al conducente così come al proprietario che abbia
risarcito la vittima dell’evento dannoso compete azione di regresso nei confronti del costruttore
del veicolo;
 responsabilità del proprietario per la circolazione di veicoli senza guida di rotaie: per i danni
rispondono in solido il conducente (responsabilità per fatto proprio) e il proprietario del veicolo
al momento del sinistro (responsabilità per fatto altrui): ciò a maggior tutela della vittima di
incidenti stradali.
Presupposto della responsabilità indiretta del proprietario è la responsabilità del conducente.
Al proprietario è concessa la prova liberatoria, che però può avere ad oggetto solo la
circostanza che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà: la giurisprudenza richiede la
prova che erano state concretamente adottate tutte le misure idonee ad impedire la circolazione
del veicolo.
Una volta risarcita la vittima del sinistro, il proprietario avrà azione di regresso nei confronti del
conducente.

IL DANNO

Presupposto per il sorgere dell’obbligo risarcitorio è il verificarsi di un danno, in conseguenza del


fatto illecito: se non vi è un danno non può esservi responsabilità civile, pur in presenza di un
illecito.
Bisogna distinguere due nozioni:
 la nozione di danno evento, per tale intendendosi la lesione non iure di un interesse tutelato
dall’ordinamento. E’ un connotato dell’illiceità del fatto;

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 la nozione di danno conseguenza, per tale intendendosi i pregiudizi concretamente sofferti dalla
vittima in conseguenza del verificarsi del danno-evento. E’ il danno conseguenza ad essere
oggetto di risarcimento: se non vi è danno conseguenza, non sorge alcun obbligo risarcitorio.
Per danno (conseguenza) si intende qualsiasi alterazione negativa della situazione del soggetto
rispetto a quella che si sarebbe avuta senza il verificarsi del fatto illecito.
La giurisprudenza fa rientrare nella nozione di danno anche la perdita di chance, cioè la perdita di
una concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene o risultato utile.
Per dar luogo a risarcimento, occorre che la chance perduta presenti un’elevata probabilità di
avverarsi, da desumersi da elementi precisi ed obiettivi.
Si parla di sistema bipolare, in quanto il danno si distingue in:
o danno patrimoniale, per tale intendendosi quello che si concretizza nella lesione di interessi
economici del danneggiato, cioè nella lesione del patrimonio;
o danno non patrimoniale, per tale intendendosi quello che si concretizza nella lesione di
interessi della persona non connotati da rilevanza economica.
La lesione di un medesimo interesse tutelato dall’ordinamento giuridico, cioè il medesimo
danno-evento, può comportare sia un danno patrimoniale, sia un danno non patrimoniale.
Il medesimo fatto illecito può causare danno a soggetti diversi.
In questi casi, si parla correntemente di danno riflesso per indicare che l’evento dannoso che
colpisce la “vittima primaria” dell’illecito propaga i suoi effetti nella sfera giuridica di terzi, le c.d.
“vittime secondarie”. In realtà, si tratta di un medesimo fatto dannoso che lede contestualmente le
situazioni giuridiche di più soggetti diversi: in tal caso si parla di illecito plurioffensivo.
Risarcibili saranno solo i danni che siano conseguenza immediata e diretta del fatto illecito.
Nel caso in cui concorrano tutti i presupposti per il sorgere della responsabilità extracontrattuale, in
capo al danneggiante e/o ad un terzo (in ipotesi di responsabilità indiretta) nasce l’obbligo del
risarcimento del danno nelle forme del:
• risarcimento per equivalente, consistente nel pagamento al danneggiato di una somma di
denaro in misura tale da compensarlo del pregiudizio sofferto; o
• risarcimento in forma specifica, consistente nella rimozione diretta del pregiudizio verificatosi.
E’ possibile che il risarcimento avvenga in parte in forma specifica e in parte per equivalente.
Art. 2058. Risarcimento in forma specifica.
Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte
possibile.
Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la
reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore.

In ipotesi di danno permanente alla persona, il codice civile consente che il risarcimento avvenga
sotto forma di rendita vitalizia da corrispondere al danneggiato. Però la norma di fatto è ignorata
dalle corti.
Art. 2057. Danni permanenti.
Quando il danno alle persone ha carattere permanente la liquidazione può essere fatta dal giudice,
tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno, sotto forma di una rendita
vitalizia. In tal caso il giudice dispone le opportune cautele.

Il danno deve essere riparato integralmente: la vittima dell’illecito non deve ricevere né più né
meno di quanto necessario a reintegrare la sua situazione.
Ai fini della determinazione del danno risarcibile, la giurisprudenza ritiene che sia necessario

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detrarre gli effetti positivi eventualmente prodottisi nella sfera del danneggiato, come conseguenza
immediata e diretta del medesimo fatto illecito.
L’illecito extracontrattuale obbliga il responsabile al risarcimento non solo del danno prevedibile,
ma anche del danno imprevedibile: chi reca un danno ad altri in via extracontrattuale è tenuto a
risarcire, senza distinzione, tutti i danni che risultino conseguenza immediata e diretta di tale
condotta.
Secondo la giurisprudenza, di regola il nostro ordinamento non contempla ipotesi di danni punitivi,
per tali intendendosi prestazioni, non strettamente collegate al danno sofferto dalla vittima
dell’illecito, che hanno più finalità punitiva.
In linea di principio non è consentito che il danneggiato ottenga una prestazione superiore a quella
strettamente necessaria alla riparazione del danno sofferto, tuttavia non mancano previsioni di segno
contrario: ad esempio in caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa
può richiedere, oltre il risarcimento dei danni, una somma a titolo di riparazione, determinata in
relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato.
IL DANNO PATRIMONIALE

Il danno patrimoniale consiste nell’alterazione negativa della situazione patrimoniale del soggetto
leso, rispetto a quella che si sarebbe avuta in assenza del fatto illecito.
Il danno patrimoniale comprende:
 il danno emergente, per tale intendendosi la diminuzione del patrimonio del danneggiato (in
conseguenza ad. es. della distruzione di una cosa)
 il lucro cessante, per tale intendendosi il guadagno che la vittima dell’illecito avrebbe
presumibilmente conseguito, e che invece non ha conseguito a causa dell’illecito sofferto.
In considerazione delle difficoltà per la sua quantificazione, il lucro cessante è valutato dal
giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso.
La valutazione equitativa rimessa al giudice riguarda solo il quantum del danno, invece l’an
deve essere provato dal danneggiato, anche solo per presunzioni.
Il risarcimento ha ad oggetto sia il danno già sofferto dalla vittima al momento della liquidazione,
sia il danno futuro.

Particolarmente delicato si presenta il problema della quantificazione del danno da lucro cessante
conseguente a perdita o diminuzione, definitiva o temporanea, della capacità lavorativa e reddituale
del danneggiato.

A tal fine soccorre oggi il disposto dell’art. 137 Dgls. 7 Settembre 2005 n. 209 (Codice delle
assicurazioni private) il quale prevede, presuntivamente, che nel caso di danno alla persona, quando
agli effetti del risarcimento si debba considerare l’incidenza dell’inabilità temporanea o
dell’invalidità permanente su un reddito di lavoro comunque qualificabile, tale reddito si determina,
per il lavoro dipendente, sulla base del reddito di lavoro, maggiorato dei redditi esenti e al lordo
delle detrazioni e delle ritenute di legge, che risulta il più elevato tra quelli degli ultimi tre anni e per
il lavoro autonomo sulla base del reddito netto che risulta il più elevato tra persona fisiche negli
ultimi tre anni ovvero, nei casi previsti dalla legge, dall’apposita certificazione rilasciata dal datore
di lavoro ai senso delle norme di legge. E’ in ogni caso ammessa la prova contraria. Sicchè chi
voglia ottenere una quantificazione del risarcimento condotta su basi diverse dovrà dimostrare se ed
in che misura la sofferta riduzione della capacità lavorativa si sia concretamente tradotta in un
effettivo pregiudizio economico.
Con riferimento alle persone prive di un reddito di lavoro, la legge prevede che il reddito che
occorre considerare ai fini del risarcimento non può essere inferiore a tre volte l’ammontare annuo
della pensione sociale.
Invece il reddito futuro del giovane che ancora non svolga alcuna attività lavorativa va determinato

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in base ad un criterio probabilistico, che tenga conto degli studi intrapresi, dell’orientamento
manifestato verso una determinata attività redditizia, delle presumibili opportunità di lavoro, ecc.

IL DANNO NON PATRIMONIALE

Secondo l’art. 2059, il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla
legge.
Tradizionalmente questa previsione normativa è stata oggetto di un’interpretazione particolarmente
restrittiva: da un lato, era diffusa l’affermazione secondo cui il danno non patrimoniale sarebbe stato
risarcibile in buona sostanza solo quando il fatto illecito che lo aveva cagionato integrasse gli
estremi del reato; dall’altro lato, era affermata la tendenza a far coincidere il danno non
patrimoniale con il danno morale soggettivo, cioè con la sofferenza, il turbamento, i disagi, ecc.
determinati dall’illecito.
Oggi nessuna di queste due enunciazioni trova più credito.
La più recente legislazione speciale ha visto una fioritura di norme che contemplano espressamente
ipotesi di risarcibilità del danno non patrimoniale, anche in assenza di illecito penale; ad esempio
relativamente ai danni conseguenti a vaccinazione obbligatoria, oppure relativamente al pregiudizio
sofferto da chi risulti vittima di atti discriminatori fondati sul sesso.
La giurisprudenza è giunta ad affermare che, oltre nelle ipotesi espressamente previste dalla legge,
la risarcibilità del danno non patrimoniale deve essere anche ammessa in tutti i casi di lesione di
diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione: la tutela non è ristretta ai casi di
diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione, ma comprende anche
nuovi interessi emersi nella realtà sociale che siano di rango costituzionale.
Ad esempio, la giurisprudenza qualifica come costituzionalmente garantiti:
 il diritto alla salute ed all’integrità fisica;
 il diritto della prole al mantenimento, istruzione, educazione da parte del genitore naturale;
 i diritti all’onore ed alla reputazione;
 il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della solidarietà nell’ambito della
famiglia.
Mentre la risarcibilità del danno patrimoniale, ai sensi dell’art. 2043, è caratterizzata dal connotato
dell’atipicità, la risarcibilità del danno non patrimoniale è invece caratterizzata dal connotato della
tipicità, nel senso che è ammessa solo nei casi determinati dalla legge.
Per quanto riguarda la nozione di “danno non patrimoniale”, le corti ritengono che essa non si
esaurisca nel “danno morale soggettivo”, ma comprenda anche qualsiasi danno da lesione di valori
inerenti la persona, sempre che non siano connotati da rilevanza economica.
La nozione di danno non patrimoniale comprende alcune figure elaborate da dottrina e
giurisprudenza:
 il danno morale, inteso in un significato più ampio comprendente anche la lesione della dignità
della persona, oltre che la sofferenza interiore di natura meramente emotiva (danno morale
soggettivo);
 il danno biologico, per tale intendendosi la lesione temporanea o permanente all’integrità
psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale, che comporta
un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del
danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre
reddito.
Se la menomazione dell’integrità psico-fisica comporta anche una riduzione delle capacità
reddituali del soggetto, quest’ultima dovrà essere risarcita autonomamente, a titolo di

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risarcimento del danno da lucro cessante: la lesione all’integrità psico-fisica va risarcita in sé,
indipendentemente dal risarcimento dovuto a titolo di danno patrimoniale;
 il danno esistenziale, per tale intendendosi la compromissione della dimensione esistenziale
della persona, che deriva dalla necessità di adottare abitudini o stili di vita diversi rispetto al
passato, dall’alterazione della vita di relazione, dal peggioramento della qualità della vita, ecc.
“Danno morale soggettivo”, “danno biologico”, “danno esistenziale” non si devono intendere come
autonome sottocategorie di danno non patrimoniale, ma costituiscono espressione dei molteplici
aspetti che può assumere in concreto l’unitaria categoria del danno non patrimoniale.
In ogni caso, il danno non patrimoniale va allegato e provato, anche solo attraverso presunzioni
semplici, da chi ne invoca il risarcimento.
La giurisprudenza aggiunge che, affinché il danno non patrimoniale possa essere risarcito, devono
concorrere due presupposti:
 che la lesione (cioè il danno-evento) inferta al danneggiato sia grave;
 che il danno (cioè il danno-conseguenza) non sia futile ed il pregiudizio non consista in danni
bagatellari, vale a dire meri disagi o fastidi.
Il danno non patrimoniale è risarcibile anche in favore delle persone giuridiche e degli enti non
personificati.
Per quanto riguarda il danno non patrimoniale sofferto da persone fisiche, non è definitivamente
risolta la questione relativa alla risarcibilità del danno da perdita della vita.
Se il decesso sopravviene dopo un certo lasso di tempo rispetto al verificarsi della lesione
dell’integrità fisica della vittima, quest’ultima ha diritto al risarcimento del danno morale
catastrofale o terminale, nella misura in cui sia in condizioni di lucidità tali da percepire
l’avvicinarsi della propria fine; la vittima ha anche diritto al risarcimento del danno biologico
terminale, consistente nell’invalidità temporanea totale, destinata a sfociare nel decesso.
Invece si discute della risarcibilità del danno tanatologico, cioè il danno da perdita della vita che
consegue istantaneamente al sinistro: la giurisprudenza ritiene che in questa ipotesi sia risarcibile il
danno-evento, cioè la lesione del “bene vita”.
Il danno non patrimoniale risulta di difficile liquidazione: si tratta di tradurre in termini monetari la
lesione di interessi per loro natura non suscettibili di misurazione in termini monetari.
Secondo il codice civile, la liquidazione del danno non patrimoniale è rimessa alla valutazione
equitativa del giudice.
Però questa soluzione non assicura l’uniformità di trattamento, cioè non garantisce che un’identica
lesione venga liquidata nei medesimi termini monetari davanti a qualsiasi tribunale. Per questo il
legislatore è intervenuto prevedendo la predisposizione di tabelle (mai emanate), che valgono su
tutto il territorio della Repubblica, in base alle quali procedere alla quantificazione in termini
monetari delle menomazioni all’integrità psico-fisica, però lasciando al giudice il potere di
discostarsi entro limiti predefiniti, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive
del danneggiato.
In seguito alla mancata approvazione della tabella unica e alla conseguente proliferazione di una
pluralità eterogenea di criteri di quantificazione del danno non patrimoniale, che portavano in
concreto a una disparità nei valori liquidati, la Suprema Corte ha indicato che:
▬ i criteri legali di quantificazione del danno non patrimoniale da micropermanenti, cioè da lesioni
di lieve entità, trovano applicazione solo se queste ultime sono conseguenza di sinistri stradali
oppure derivano dall’esercizio della professione medica;
▬ in tutte le altre ipotesi, affinché la quantificazione possa ritenersi equa, il danno non
patrimoniale conseguente a lesioni all’integrità psico-fisica della persona deve liquidarsi
applicando i criteri indicati nella “tabella per la liquidazione del danno non patrimoniale
derivante da lesione all’integrità psico-fisica”, predisposta dall’Osservatorio sulla giustizia
civile del Tribunale di Milano. Però se la specificità del caso lo richiede, il giudice dovrà

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discostarsene al fine di dare attuazione al principio della personalizzazione del danno non
patrimoniale.

RISARCIMENTO PER EQUIVALENTE E RISARCIMENTO IN FORMA SPECIFICA

Il danno può essere risarcito per equivalente o in forma specifica.


La scelta fra le due alternative è rimessa al danneggiato. (art. 2058 codice civile).
Art. 2058. Risarcimento in forma specifica.
Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte
possibile.
Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la
reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore.
Così se la sentenza riguarda l’onore, la reputazione, ecc della persona, uno strumento di
risarcimento in forma specifica potrebbe essere la pubblicazione su uno o più giornali della sentenza
che accerta l’illecito: pubblicazione che l’art. 120 del codice di procedura civile, consente in tutti i
casi in cui la pubblicità della decisione di merito può contribuire a riparare il danno.

Se il danneggiato richiede il risarcimento in forma specifica, il giudice può negarglielo disponendo


che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulti, in
tutto o in parte, impossibile oppure eccessivamente onerosa per il debitore.
Da non confondere con il risarcimento in forma specifica è la tutela ripristinatoria del diritto o
dell’interesse leso, che mira solo ad eliminare la situazione antigiuridica determinatasi con
l’illecito, a prescindere che da questo siano o meno derivati danni.
Se l’atto illecito reca danno alla vittima, questa potrà ottenere il risarcimento del danno sofferto, in
aggiunta al provvedimento ripristinatorio.

LA PRESCRIZIONE

La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da illecito extracontrattuale è più
breve di quella ordinaria: in genere, cinque anni.
Se il danno è prodotto da circolazione di veicoli, il termine è di due anni.
Problema delicato è quello dell’individuazione del dies a quo per la decorrenza del termine
prescrizionale: in via di prima approssimazione, il dies a quo decorre dal momento in cui condotta
dell’agente e danno conseguente si manifestano all’esterno, divenendo oggettivamente percepibili e
riconoscibili.
Occorre distinguere fra due diverse ipotesi:
► in caso di illecito istantaneo, cioè caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un lasso di
tempo definito, la prescrizione del diritto al risarcimento inizia a decorrere dal momento in cui è
oggettivamente percepibile la prima manifestazione del danno.
Condotta illecita dell’agente, danno evento cagionato, percezione da parte della vittima possono
collocarsi in un arco temporale molto ampio: si parla in tal caso di fatto dannoso lungolatente.
In questa ipotesi, la Suprema Corte ritiene che la prescrizione del diritto al risarcimento del
danno extracontrattuale decorra dal momento in cui la vittima ha percepito, o avrebbe potuto
percepire, che il danno sofferto è causato da un determinato comportamento colposo o doloso
del terzo;
► in caso di illecito permanente, caratterizzato dal fatto che la condotta dell’agente si protrae nel
tempo, la prescrizione del diritto al risarcimento decorre ogni giorno successivo a quello in cui il
danno si manifesta; può essere risarcito solo il danno prodottosi nei cinque anni anteriori alla
data in cui il diritto al risarcimento è fatto valere.

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Se il fatto è considerato dalla legge come reato, e per il reato è stabilita una prescrizione più lunga,
questa si applica anche all’azione civile. Se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è
intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive
nei termini sopraindicati a decorrere dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza
penale è divenuta irrevocabile.

RESPONSABILITA’ PER DANNO AMBIENTALE

Un regime particolare è dal codice previsto per il risarcimento del danno ambientale, per tale
intendendosi qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa
naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima.
Per danno ambientale si intende quello arrecato ad un interesse collettivo: quello all’ambiente in sé,
distinto dai singoli beni che lo compongono.
Unico soggetto legittimato ad agire per la riparazione del danno ambientale è il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Il Codice dell’ambiente prevede che chiunque cagioni un danno ambientale con dolo o colpa è
obbligato all’adozione delle necessarie misure di riparazione: si tratta di una forma di risarcimento
in forma specifica.
Nell’ipotesi in cui le misure di riparazione fossero, in tutto o in parte, omesse o realizzate in modo
incompatibile o non corretto, al responsabile può essere richiesto il pagamento di una somma pari ai
costi delle attività necessarie per la loro completa e corretta attuazione: si tratta di una forma di
risarcimento per equivalente patrimoniale.
Se il danno ambientale è causato nell’esercizio di una delle attività professionali indicate nel Codice
dell’ambiente (es: attività di gestione di rifiuti; trasporto di merci inquinanti), l’obbligo del
risarcimento grava su chi lo ha determinato, anche in assenza di dolo o colpa.
In ipotesi di concorso di più soggetti nella causazione del medesimo danno, ciascuno risponde nei
limiti della propria responsabilità personale.
In alternativa all’azione giudiziale per il risarcimento del danno ambientale, al Ministro
dell’ambiente è concesso un diverso strumento: è previsto che il Ministro possa emettere
un’ordinanza immediatamente esecutiva, in forza della quale intima a coloro che siano risultati
responsabili del fatto il ripristino ambientale, a titolo di risarcimento in forma specifica, entro un
termine fissato nella stessa ordinanza. L’ingiunzione verrà emessa nei confronti del responsabile del
fatto dannoso e – in solido – del soggetto nel cui effettivo interesse il comportamento fonte del
danno è stato tenuto o che ne abbia obiettivamente tratto vantaggio.
In ipotesi di inosservanza, il Ministro con successiva ordinanza ingiungerà il pagamento di una
somma pari ai costi delle attività necessarie per il completo ripristino ambientale.

LA RESPONSABILITA’ PER DANNO DA PRODOTTO DIFETTOSO

Un regime speciale, di derivazione comunitaria, è previsto dal Codice del consumo con riferimento
al danno da prodotti difettosi.
Per prodotto si intende ogni bene mobile, anche se incorporato in altro bene mobile o immobile,
purché messo in circolazione, cioè consegnato all’acquirente, all’utilizzatore, anche in visione o in
prova.
Difettoso è il prodotto che non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tenuto
conto di tutte le circostanze; il difetto può dipendere dall’ideazione del prodotto, dal processo di
fabbricazione, oppure dalla carenza di informazioni fornite all’utente in ordine all’utilizzo del
prodotto.
Il prodotto non si considera difettoso se lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al
momento in cui il produttore lo ha messo in circolazione, non permetteva ancora di considerarlo
come difettoso: si parla a tal proposito di rischio di sviluppo.

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Legittimata attivamente ad invocare il regime della responsabilità del produttore è la persona fisica
che in qualche modo si sia trovata esposta, anche solo in maniera occasionale, al rischio derivante
dal prodotto difettoso.
Per ottenere il risarcimento, la vittima del danno deve provare:
o il danno sofferto;
o il difetto del prodotto, cioè l’insicurezza del prodotto;
o la connessione causale tra difetto e danno.
E’ chiamato a rispondere del danno il produttore, cioè il fabbricante del prodotto finito o di un suo
componente, il produttore della materia prima.
Se il produttore non è individuato, la responsabilità ricade sul fornitore che abbia distribuito il
prodotto nell’esercizio di un’attività commerciale, salvo che lo stesso comunichi identità e
domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto. La responsabilità del fornitore
costituisce un’ipotesi di responsabilità per fatto altrui.
Quando il produttore opera al di fuori dei Paesi dell’Unione europea, la responsabilità ricade
sull’importatore che abbia introdotto il prodotto nell’Unione, anche se sia noto il produttore.
Il produttore può esonerarsi da responsabilità solo fornendo la prova di una delle seguenti
circostanze:
a) che non ha messo il prodotto in circolazione;
b) che il difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando ha messo il prodotto in
circolazione;
c) che non ha fabbricato il prodotto per la vendita o per qualsiasi altra forma di distribuzione a
titolo oneroso, né lo ha fabbricato o distribuito nell’esercizio della sua attività professionale;
d) che il difetto è dovuto alla conformità del prodotto ad una norma giuridica imperativa o ad un
provvedimento vincolante;
e) che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui ha messo in circolazione
il prodotto, non permetteva ancora di considerare il prodotto come difettoso;
f) in caso di produzione di una parte componente o di una materia prima, che il difetto è
interamente dovuto alla concezione del prodotto in cui è stata incorporata la parte o materia
prima o alla conformità di questa alle istruzioni date dal produttore che l’ha utilizzata.
Si tratta di una responsabilità oggettiva: è una responsabilità che prescinde dalla colpa, dipendendo
dal fatto oggettivo della lesione derivante da difetto del prodotto messo in circolazione.
In ogni caso, nessun risarcimento è dovuto quando il danneggiato sia stato consapevole del difetto
del prodotto e del pericolo che ne derivava, e vi si sia volontariamente esposto.
In ogni altro caso di concorso dell’utilizzatore nella causazione del danno, vi è una diminuzione del
risarcimento secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne siano derivate, ma
ciò non esclude la responsabilità del produttore.
Se il danno è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento. Chi ha
risarcito il danno ha diritto di regresso contro gli altri, nella misura determinata dalla gravità delle
colpe e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio, la ripartizione avviene in
parti uguali.

Se intende avvalersi della disciplina prevista per la responsabilità da prodotto difettoso, la vittima
non può chiedere il risarcimento di qualunque danno abbia sofferto, ma solo:
 del danno alla persona, causato da morte o da lesioni personali;
 del danno a cosa diversa dal prodotto difettoso, sempre che detta cosa sia di tipo normalmente
destinato all’uso o consumo privato e così principalmente utilizzata dal danneggiato.

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E’ nullo qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente, nei confronti del danneggiato, la
responsabilità per danni da prodotti difettosi.
Il diritto al risarcimento dei danni è soggetto ad un termine di prescrizione di tre anni, decorrenti dal
giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto e
dell’identità del responsabile.
In ogni caso, il diritto al risarcimento deve essere azionato entro dieci anni dal giorno in cui il
produttore o l’importatore ha messo in circolazione nell’Unione europea il prodotto che ha
cagionato il danno.
La disciplina speciale dettata dal codice del consumo in tema di responsabilità per danno da
prodotto difettoso non esclude né limita i diritti attribuiti al danneggiato da altre leggi.

LA RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE ED EXTRACONTRATTUALE

La responsabilità contrattuale sanziona l’inadempimento di un’obbligazione già esistente, invece la


responsabilità extracontrattuale sanziona un fatto illecito dannoso, dando vita ad un’obbligazione
che trova la propria fonte in questo fatto. (art 1173 codice civile).
Le due responsabilità differiscono anche quanto a disciplina:
▬ la responsabilità contrattuale non presuppone la capacità di intendere e di volere dell’obbligato,
né la sua capacità di agire; la responsabilità extracontrattuale richiede di regola la capacità di
intendere e di volere dell’autore dell’illecito;
▬ la responsabilità contrattuale comporta la risarcibilità del solo danno prevedibile nel tempo in
cui è sorta l’obbligazione, salvo che in ipotesi di dolo del debitore; la responsabilità
extracontrattuale comporta la risarcibilità sia dei danni prevedibili che di quelli imprevedibili;
▬ il diritto al risarcimento del danno da inadempimento è soggetto all’ordinaria prescrizione
decennale, salvo eccezioni; il diritto al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale è
soggetto a prescrizione breve quinquennale, salvo eccezioni;
▬ nella responsabilità contrattuale il creditore che agisce per il risarcimento ha l’onere di provare
il suo credito, il danno di cui chiede il risarcimento, il nesso causale fra danno ed
inadempimento allegato, invece il debitore deve provare di aver correttamente eseguito la
prestazione o, in alternativa che l’adempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità
della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

Nella responsabilità extracontrattuale il danneggiato che agisce per il risarcimento ha l’onere di


provare il danno, il fatto illecito, il nesso causale fra danno ed illecito allegato e la colpa o il
dolo del danneggiante, salvo che nelle ipotesi di responsabilità oggettiva e di responsabilità
aggravata.
Le differenze di regime fra i due tipi di responsabilità impongono di risolvere il problema se, nel
caso concreto, ricorra un’ipotesi di responsabilità contrattuale oppure un’ipotesi di responsabilità
extracontrattuale.
L’interrogativo si prospetta in particolare con riferimento:
 agli obblighi di protezione, cioè gli obblighi, accessori all’obbligazione principale, volti alla
tutela di interessi giuridicamente rilevanti del creditore.
La giurisprudenza è orientata a favore della natura contrattuale della responsabilità per la loro
violazione;
 alla responsabilità precontrattuale. La giurisprudenza è orientata a favore della sua natura
extracontrattuale, in considerazione del fatto che ancora non sono sorte obbligazioni

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contrattuali, anche se vi è il tentativo di ricondurla fra le ipotesi di responsabilità contrattuale da
contratto sociale;
 ai rapporti di cortesia, cioè quelli in cui una prestazione viene eseguita in assenza di qualsiasi
obbligo di effettuarla, per motivi di amicizia o cortesia.
La giurisprudenza è orientata a favore della natura aquiliana della responsabilità per i danni
sofferti dal beneficiario;
 ai rapporti contrattuali di fatto, cioè quelli che si atteggiano come rapporti contrattuali senza
però che vi sia un contratto in senso proprio.
La giurisprudenza è orientata a favore dell’applicabilità del modello della responsabilità
contrattuale, ritenendo che fra le parti sorga un rapporto obbligatorio da contratto sociale: il
contratto sociale fa sorgere vere e proprie obbligazioni contrattuali in assenza di contratto.

IL CONCORSO DI RESPONSABILITA’ CONTRATTUALE ED EXTRACONTRATTUALE

Un medesimo fatto può costituire sia inadempimento di un’obbligazione, sia atto illecito dannoso.
Tradizionalmente, la giurisprudenza ammette il concorso tra responsabilità contrattuale e
responsabilità extracontrattuale, lasciando al danneggiato la facoltà di agire in via contrattuale
oppure in via aquiliana. Pensiamo ad atto chirurgico tecnicamente errato, vi sarà inadempimento di
un obbligazione, quella assunta dal medico contrattualmente nei confronti del cliente, di eseguire
l’intervento chirurgico con la necessaria perizia (art. 1176 codice civile), sia l’atto lesivo
(responsabilità derivante da atto illecito dannoso) dell’altrui integrità fisica.
Ci si chiede se al danneggiato sia consentito scegliere se richiedere il risarcimento in base alle
regole della responsabilità contrattuale ovvero in base a quelle della responsabilità
extracontrattuale: ciò che evidentemente, gli consentirebbe di optare per il regime a sé in concreto
più favorevole.
Tradizionalmente, la nostra giurisprudenza ammette senza esitazioni il c.d concorso o cumulo tra
responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, lasciando al danneggiato la facoltà di agire in via
contrattuale (ex. Art. 1218 codice civile) ovvero in via aquiliana (ex. Art. 2043 codice civile).
Nell’ipotesi in cui non sia chiaro a che titolo venga proposta una domanda di risarcimento danni, la
giurisprudenza considera proposta l’azione di responsabilità extracontrattuale.
L’esercizio di un’azione non comporta rinuncia all’altra, però non è ammesso il mutamento del
titolo della domanda risarcitoria nell’ambito del medesimo procedimento.
Il risarcimento ottenuto per una via fa venir meno qualsiasi ulteriore pretesa creditoria: in nessun
caso il danneggiato potrà conseguire un risarcimento superiore al danno effettivamente sofferto.
Da segnalare, da ultimo, i dubbi sollevati in dottrina, in ordine all’ammissibilità del concorso fra
azione risarcitoria contrattuale ed azione risarcitoria extracontrattuale hanno trovato una timida eco
anche in giurisprudenza.

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