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Ingiustizia del danno e risarcimento

1 Ingiustizia del danno e tecniche attributive di tutela aquiliana


(Caso Cir Fininvest)
1.1 Il giudizio di ingiustizia del danno e la modalità soggettiva della condotta
• Questione dalla quale muoviamo e attorno alla quale si sviluppa la sentenza→è possibile ravvisare
una ipotesi di innesto di responsabilità aquiliana, a prescindere dal soddisfacimento del requisito
dell’ingiustizia del danno, configurantesi nella lesione di una situazione soggettiva rilevante
attribuita da una norma “attributiva di diritti”, che è stata violata?
Nel caso di risposta affermativa, la modalità soggettiva della condotta dell’agente (in questo caso di
qualificazione penale del fatto dannoso) può rilevare sul piano dell’affermazione dell’ingiustizia del
danno?
• Caso Fininvest→responsabilità aquiliana della Fininvest per aver corrotto il giudice relatore
componente il collegio della Corte di Appello di Roma, che aveva deciso dell’impugnativa del c.d.
Lodo Pratis e dall’aver profittato della situazione creatasi nel corso della trattativa sfociata nella
transazione della controversia
• Difficolta di ravvisare responsabilità aquiliana per l’assenza di una situazione giuridica
soggettiva lesa dal comportamento della Fininvest
 Se il giudice corrotto avesse confiscato un immobile avremmo avuto la lesione del diritto di
proprietà, per esempio
• Tentavi di innesto della responsabilità aquiliana:
1. Diritto all’integrità del patrimonio→no perché determinerebbe una liquefazione del criterio
dell’ingiustizia del danno
2. Diritto a trattare in buona fede→petizione di principio: si dà per acquisita la conclusione che si
vorrebbe dimostrare
3. Diritto comparato→fuori bersaglio: muovono da illeciti di dolo e non dall’ingiustizia→la
sentenza del 2013 prende le distanze dall’ipotesi di disciplina autonomia degli illeciti di dolo
4. Distinzione tra:
4.1. Danno-evento→emissione di una sentenza corrotta→ingiusto perché lesivo del diritto del
giusto processo
4.2. Danno-conseguenza→perdite economiche dovute alla conclusione di una transazione
conclusa a valle di una sentenza corrotta e dunque di una posizione contrattuale
indebolita→si potrebbe affermare la risarcibilità ex art 1440 (dolo incidente)→così facendo
il danno-evento non sarebbe altro che il dolo grazie al quale si è giunti al contratto con
quelle conseguenze
➢ Problema→due contrapposte ragioni:
4.2.1. Applicazione rigorosa del 2043, negando risarcimento ove non sussista
ingiustizia, e screditamento dell’ipotesi di azione aquiliana che intervenga per
porre rimedio alle condiziono di un contratto economicamente sconveniente
4.2.2. Applicazione estensiva a contesti di responsabilità extracontrattuale dello
schema 1440
5. Soluzione→2043 come clausola generale: giudice opera in presa diretta sulla vicenda di danno
attribuendo rilevanza ad elementi ulteriori ed estranei alla ingiustizia del danno, come la

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riprovevolezza della condotta→allora la responsabilità aquiliana sarebbe non più la norma
secondaria volta a sanzionare la violazione di norme primarie (attributive di diritti), ma essa
stessa norma primaria che appresta riparazione del danno ingiustamente sofferto per effetto
dell’attività altrui (Lipari)

1.2 Responsabilità extracontrattuale, precontrattuale o peri-contrattuale?


• È possibile parlare di responsabilità precontrattuale? Sì, ne parla la corte nella stessa sentenza
(21255/2013) nella misura in cui si è stipulato un contratto validamente concluso, ma (gravemente
in questo caso) sconveniente, in relazione ad un comportamento contrario a buona fede di una
delle parti
• Dallo studio del diritto privato abbiamo visto come la responsabilità precontrattuale si inserisca
nella responsabilità da inadempimento di una obbligazione preesistente per una relazione tra
vittima e agente→ma nella sentenza si perviene alla affermazione di una responsabilità
extracontrattuale, sebbene la condivisione della responsabilità precontrattuale
• Ragione→reato di corruzione che imprime alla condotta precontrattuale una gravità tale
da sospingerla oltre la mera violazione del contegno di buona fede in sede di trattative, al punto di
applicare il 2043
 Allora si è parlato di aquilianesimo→nella misura in cui la responsabilità aquiliana si
insinua in tutti gli spazi lasciati aperti ovvero invade quelli già coperti da altri istituti, ma in
maniera più efficiente
 Questo è possibile quando configuriamo il 2043 come clausola generale, allorché per il
giudice sarà facile curvare il rimedio sulla peculiarità del caso
 Nella sentenza, però abbiamo una motivazione→la fattispecie oggetto di causa era
caratterizzata da elementi ulteriori rispetto alla mera violazione della buona fede di cui al
1375→abbiamo violazione di norme di protezione, che tutela in via oggettiva l’interesse
del danneggiato→rimedio aquiliano esperibile anche quando la norma pur non
attribuendo ad un soggetto specifiche situazioni soggettive giuridiche, possa dirsi tale da
proteggere oggettivamente interessi di quest’ultimo
 La sentenza circoscrive l’operatività del 1337 alla violazione del dovere di buona fede
durante le trattative, senza che gli si possa riconoscere la ulteriore funzione di spiegare
una sorta di ultrattività di effetti risarcitori su condotte e vicende ulteriori, dato che la
condotta della Fininvest non si esaurì nella violazione della buona fede ma si è dipanata
una più eterogena dimensione, la cui corruzione è solo momento terminale

1.3 Tutela aquiliana, tutela penale e norme di protezione


• La risposta affermativa al quesito di cui al paragrafo 1.1 trova un riconoscimento normativo in altri
sistemi→BGB tedesco: contempla una specifica norma che attraverso la tecnica della norma di
protezione, qualifica nel segno della risarcibilità interessi anche se non ricompresi nell’elenco
tassativo di cui al 823, ma supportati da norme dell’ordinamento che ripropongono in via diretta la
protezione di altri ordini di interessi più generali→in questo il fondamento della responsabilità è da
configurarsi nella violazione di norme di comportamento (rileva la condotta dell’agente)
• Nel nostro ordinamento l’art 185 c.p. prevede un meccanismo analogo allo shutzgesetz→accolla
all’autore di un illecito penalmente rilevante l’obbligo di risarcire il danno patrimoniale o non
patrimoniale senza una qualificazione in ordine alla ingiustizia
• Rapporto ingiustizia e norma di protezione→il requisito della ingiustizia non può essere
saltato attraverso la tecnica di protezione, se non laddove vi sia una espressa norma (art
185)→occorrerà sempre indagare che vi sia lesione di una situazione soggettiva lesa incisa dalla
condotta dell’agente, sia pure quale riflesso della lesione del bene giuridico protetto dalla

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norma→il concetto di situazione giuridica rilevante come presupposto per la qualificazione del
danno in termini di ingiustizia si presta a ricomprendere qualunque situazione di potere, che sia
stato leso o di dovere che sia rimasto inattuato così negando le utilità che la norma intendeva
assicurare
• Allora ribadiamo la seguente conclusione: risarcibilità del danno meramente patrimoniale nei casi
in cui l’illecito si presenti qualificato dal punto di vista dell’elemento soggettivo dell’agente, al
punto di essere la conseguenza di una condotta penalmente sanzionata→si potrà discutere se:
1. Il giudice operi in presa diretta sulla clausola generale del 2043
2. O se il giudizio di rilevanza del danno debba essere agganciato alla norma del 185
• Critica alla sentenza non condivisibile→la Corte non ha colto che la violazione dolosa dei principi
condivisi di moralità costituisce un dispositivo che nulla ha a che spartire con l’ingiustizia del
danno, attenendo alla dimensione della condotta e non del pregiudizio sui cui si appunta la
ingiustizia
• Controcritica→il modo di operare dell’istituto aquiliano va colto nel complesso delle sue
fonti→art 185: qualificazione del danno nel segno della risarcibilità che ha riguardo alla dimensione
della condotta dell’agente e prescinde da una situazione giuridica
 Non si tratta di affermare che la responsabilità civile abbandonata l’individuazione della
situazione soggettiva, sarebbe da individuare a posteriori all’esito di un giudizio di
comparazione tra interessi in conflitto→bisogna, invero, prender atto dell’articolazione
delle tecniche attributive di tutela aquiliana

2 Effettività della tutela e rimedio risarcitorio per equivalente: la


Cassazione sul caso Cir c. Fininvest
2.1 Il metodo di una sentenza
• Critica di Piraino→incontinenza argomentativa→critica che sfocia in una valutazione più ampia sui
giuristi e sull’insegnamento universitario dove si bada più all’informazione che al vaglio critico
o Controcritica→si dovrebbe parlare di ricchezza argomentativo →per la complessità degli
argomenti, la moltitudine degli stessi, ma soprattutto il rilievo politico di alcune decisioni
che sarebbero state mezzo di eventuali critiche
o La sentenza si apprezza per 2 ragioni:
1. Dialogo con la giurisprudenza teorica
2. Per la scelta di campo assai netta che essa propone, a favore di una tecnica di decisione
nella quale la esigenza di effettività di tutela non è mai disgiunta dal rigore degli istituti
e della loro applicazione
• Smontata anche la critica→attitudine a riscrittura del dato normativo in materia di revocazione nel
cpc→nel caso di revocazione da dolo del giudice la via ordinaria è indicata, con priorità di
percorrenza, dallo stesso legislatore, che impone al danneggiato di perseguire il risultato di una
sentenza di merito con le relative restituzioni e non anche di instare alternativamente ed
autonomamente per il risarcimento, ma si fa salva l’eventualità della sopravvenuta inutilità di
tale rimedio e la conseguente sopravvenuta carenza di effettività di tutela, in spregio alla stessa
norma costituzionale dell’art 24 cost.

2.2 Effettività della tutela e controllo argomentativo delle strategie rimediali


• Obiezione della difesa della Fininvest→la sentenza resa dalla Corte di Appello e con la quale era
stato ribaltato in danno alla CIR l’esito del Lodo Pratis, frutto della corruzione, poteva semmai

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innescare lo strumento della revocazione, nel rispetto del termine previsto dal cpc, cosicché la
mancata revocazione avrebbe chiuso il discorso
• Doppia confutazione della Corte:
1. Alla data della stipulazione della transazione, la sentenza della Corte di Appello non era ancora
passata in giudicata
2. Per la Fininvest il giudice civile funzionalmente competente (Corte di Appello di Roma) avrebbe
dovuto dichiarare inammissibile l’eventuale domanda di revocazione proposta dinanzi a lui per
difetto di interesse (cioè una pronuncia inevitabilmente destinata ad un piano e ad un effetto
giuridico meramente declaratorio)→la Corte, tuttavia, do atto che in caso di revocazione
discendente dal dolo del giudice, è lo stesso legislatore ad indicare la via ordinaria da seguire
con priorità di percorrenza (provvedimenti restitutori e non agire alternativamente per il
risarcimento), ma riconosce un limite: sopravvenuta inutilità di tale rimedio, con conseguente
sopravvenuta carenza di effettività della tutela, in spregio del 24 cost. → diritto ad un
rimedio adeguato al soddisfacimento del bisogno di tutela di quella specifica, unica e talvolta
irripetibile situazione sostanziale di un interesse giuridicamente tutelato”
❖ Snodo principale→ “qualora il fisiologico dipanarsi della vicenda sostanziale impedisca, sul
piano obiettivo, qualsivoglia possibilità di ripristino della situazione quale sarebbe stata in
presenza di una sentenza incorrotta, alla parte non può accollarsi l’onere di instaurare e
proseguire un giudizio sostanzialmente inutile se l’accertamento del giudice della
revocazione non potrebbe che arrestarsi alle soglie di un ineseguibile iudicium rescindens
senza poter poi vedersi investito di istanze risarcitorie, atteso il pacifico principio che le
parti non potrebbero mai modificare le conclusioni rassegnate nel giudizio conclusosi con la
sentenza poi revocata”, non potendosi trasformare il contenuto della domanda originaria
in un’autonoma richiesta di risarcimento
❖ Proprio questo avveniva nel caso di specie→impossibile il ripristino delle posizioni delle
parti secondo quanto previsto dal lodo Pratis, a causa della sopravvenuta impossibilità
giuridica dell’oggetto, non esistendone più i titoli azionari →allora il risarcimento è l’unico
effettivo rimedio
❖ Non abbiamo un sovvertimento dello Stato di diritto (Sassani)→è proprio la verifica
dell’utilità del singolo rimedio, rispetto alla situazione di interesse tutelata, ad assicurare la
funzionalità del sistema giuridico
❖ Al massimo si potrà discutere sull’interesse ad agire→ma qui ci troviamo dinnanzi ad una
realizzazione degli interessi tutelati

2.3 Transazione sconveniente per comportamento di una delle parti (gravemente


contrario a buona fede e tutela risarcitoria)
• Allora parliamo dell’altro snodo→ammessa l’esperibilità della domanda risarcitoria, di quale danno
stiamo parlando? Del danno derivante dalla transazione conclusa a condizioni svantaggiose
(proprio a causa della posizione negoziale della CIR, originata dalla sentenza medesima)
• Critica della Fininvest contro la sentenza d’Appello→l’azione proposta dalla CIR non era
extracontrattuale, ma contrattuale, tendendo ad impugnare la transazione con finalità
inammissibilmente correttive della medesima e pur non essendo state a suo tempo esperite le
azioni contrattuali proponibili in quel tempo avverso la transazione stessa
❖ La sentenza della Corte supera gli argomenti della parte ricorrente→l’eventuale
impugnazione della transazione sarebbe destinata a sfociare in una pronuncia di rigetto per
difetto di interesse, sia perché tale da condurre ad un risultato impossibile (sopravvenuta
inesistenza dei titoli) sia in quanto contraria allo stesso interesse della CIR di vedersi
riconosciuti i suoi diritti così come sanciti nel lodo Pratis: infatti questo interesse si sarebbe
sgretolato in presenza del giudicato poiché l’annullamento della transazione avrebbe

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definitivamente stabilizzato il rapporto tra le parti, nel segno dell’accertamento contenuto
nella decisione della Corte di Appello di Roma frutto della corruzione
• Si pone il problema dell’autonomia della domanda risarcitoria proposta da una parte del negozio
fondata sulla premessa dell’esistenza di un illecito che abbia inciso sulla formazione della volontà
negoziale→cumulabilità dei rimedi per garantire effettività della tutela
• Azione di risarcimento del danno per violazione della regola di buona fede nella fase delle trattative
pur in presenza di un contratto invalido
❖ Parliamo di contratto invalido perché? È stato osservato che non si potrebbe sostenere che la
corruzione del giudice, la quale aveva determinato la caducazione del lodo Pratis da parte
della Corte di Appello di Roma, fosse un fatto estraneo alla transazione, poiché, se si può
considerare estraneo all’oggetto della transazione il comportamento di corruzione, non
sarebbe possibile dire lo stesso con riferimento alla sentenza corrotta, rispetto alla quale
sarebbe impossibile affermare che essa non sia stata tenuta presente al momento della
conclusione della transazione e che la transazione non avesse ad oggetto anche quella
sentenza→allora si può affermare la annullabilità della transazione per errore di diritto, in un
contesto nel quale si sarebbe potuto pervenire alla conclusione dell’annullabilità della
transazione già sotto il profilo del dolo negoziale→non avrebbe avuto senso ragionare in
termini di responsabilità precontrattuale→si sarebbe applicato il 1440
• Viene confermata la natura di obiter dictum della responsabilità precontrattuale→conclusione:
1. è un principio tutt’altro che accreditato non sussistendo un vuoto di tutela ove si neghi
l’esperibilità del medesimo
2. è una responsabilità senza fattispecie, perché senza vizi del consenso diverrebbe difficile
stabilire quali siano i comportamenti che meritino di essere censurati, sia pure soltanto a fini
risarcitori
3. principio di coerenza dell’ordinamento→da una fattispecie ritenuta valida e idonea a produrre
effetti tutelati dall’ordinamento si faccia al contempo discendere la conseguenza di
responsabilità e del connesso risarcimento del danno
4. questa si risolverebbe in una correzione del contenuto economico del contratto, tale da
contraddire al principio fondamentale del nostro diritto privato che esclude la possibilità di un
controllo giudiziale sull’equivalenza in senso oggettivo delle prestazioni contrattuali→ma
questo rischio non si delinea ogni volta che si utilizzi un nuovo strumento tecnico e
argomentativo affidato all’opera di concretizzazione di una clausola generale?
• Tuttavia, queste argomentazioni non sono sufficienti ad escludere in toto il sotto istituto della
responsabilità precontrattuale→
1. da obiter dicta a rationes→messaggio in bottiglia per un futuro sviluppo dell’istituto
2. l’esclusione di una configurabilità di una doppia qualificazione di uno stesso comportamento
può essere ridimensionata ove si condivida il principio di non interferenza tra regole di validità
e regole di comportamento, che dimostra che una fattispecie inidonea a essere qualificata nel
segno della validità può essere invece fonte di responsabilità
3. non può essere negato uno spazio di operatività della buona fede, quale regola di condotta
suscettibile di essere violata nella fase delle trattative? Se si risponde affermativamente allora
dovremmo dare spazio ad una valutazione della rilevanza economico-prativa della violazione
della regola comportamentale imputabile al contraente, dosando con un criterio di
proporzionalità la scelta tra rimedi radicali (declaratoria di nullità) e rimedi volti a riequilibrarne
gli aspetti economici→torniamo sempre sul punto dell’effettività della tutela

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3 Le SS.UU. e la compensatio lucri cum damno
3.1 Integralità della riparazione e compensatio
• Impostazione della Differenztheorie→danno considerato come pari alla differenza tra il valore del
patrimonio successivo e quello anteriore al fatto dannoso e dunque tiene conto di tutte le
ripercussioni positive e negative che il comportamento fonte della responsabilità ha provocato
nella sfera patrimoniale del danneggiato
1. Trimarchi→ammette anche la risarcibilità del mancato guadagno apprezzabile solo da un
punto di vista patrimoniale
2. Spoto→alcuni adattamenti: si dovrà tener conto delle conseguenze del danno in base ai criteri
di normalità e prevedibilità della situazione pregiudizievoli
• Fondamento della compensatio→ idea del danno risarcibile quale risultato di una valutazione
globale degli effetti prodotti dall’atto dannoso e questo per la considerazione che se l’atto dannoso
porta, accanto al danno, un vantaggio, quest’ultimo deve essere calcolato in diminuzione
dell’entità del risarcimento , non dovendo il danno essere fonte di lucro né la misura del
risarcimento deve condurre ad un arricchimento ingiustificato superando l’interesse leso
o Fondamento normativo→art 1223 c.c. →la norma implica, in linea logica, che
l’accertamento conclusivo degli effetti pregiudizievoli tenga anche conto degli eventuali
vantaggi collegati all’illecito in applicazione della regola della causalità
giuridica→fondamentale principio di piena e integrale equivalenza tra entità del
pregiudizio e liquidazione dell’importo risarcitorio, per cui il danneggiato deve percepire
tutto quanto sia necessario a reintegrarlo nella situazione quo ante (“tout le dommage,
rien que le dommage”)
• Indagine doverosa per delimitare l’ambito di operatività della compensatio→ragione giustificatrice
dell’attribuzione patrimoniale entrata nel patrimonio del danneggiato→guardare alla funzione di
cui il beneficio collaterale si rileva essere espressione, per accertare se esso sia compatibile o meno
con una imputazione al risarcimento → collegamento funzionale tra la causa dell’attribuzione
patrimoniale e l’obbligazione risarcitoria
• Si apre un discorso→meccanismo di surroga e rivalsa (assicurazione)→duplice effetto:
1. Salvaguardano il principio in base al quale la prestazione risarcitoria deve collocare il
danneggiato sulla medesima curva di indifferenza nella quale si trovava prima del fatto
dannoso
2. Evitare che il responsabile del fatto dannoso possa venire ingiustificatamente a beneficiare
dell’erogazione posta in essere dal terzo→in mancanza di questi meccanismi avremmo una
sofferenza del sistema poiché si finirebbe per premiare il responsabile dell’illecito→non si
rispetterebbero né il principio di equità, né della poliedricità delle funzione della responsabilità
civile→conseguenza della compensatio senza la surroga: dare ingresso in sede di
determinazione della prestazione risarcitoria da porre a carico del responsabile, alla sottrazione
del vantaggio in tutte quelle vicende in cui l’elisione del danno con il beneficio pubblico o
privato corrisposto al danneggiato a seguito dell’illecito finisca per avvantaggiare
esclusivamente il responsabile/danneggiante
o Il ruolo della previsione del meccanismo di surroga nel disegno tratteggiato dalle ss.uu
è l’aspetto che ha suscitato più critiche, soprattutto avuto riguardo alla distinzione tra
rapporti giuridici bilaterali e trilaterali→sono state superflue e incoerenti nelle loro
ricadute pratiche, le argomentazione delle ss.uu: unicità del soggetto e surroga
(rapporti bilaterali) →sarebbe stato più opportuno seguire la prospettiva di sganciare
del tutto l’operazione di stima del danno dalla surroga: ciò avrebbe consentito di
evitare la contraddizione che insita nei rapporti bilaterali, che è destinata a sorgere per
i rapporti trilaterali dove, mancando la previsione della surroga, entrerebbe in gioco la

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regola del cumulo, mentre nei casi di rapporti bilaterali data la unicità del soggetto (in
particolare dello Stato) consentirebbe lo scorporo→Bellisario esclude comunque la
sofferenza del sistema perché esiste sempre l’azione per ingiustificato arricchimento
o Due critiche sulla surroga:
1. Pardolesi-Santoro→la surroga, coltivata dall’assicuratore sociale, è invece
normalmente fatta cadere dall’assicuratore privato e si addebita alle ss.uu di non
aver preso posizione sulla natura imperativa della norma che stabilisce l’esercizio
della surroga, dalla quale deriverebbe la nullità della clausola di rinuncia alla
medesima
2. Villa→
2.1. se si considera derogabile l’art 1916 c.c., allora il ragionamento fondato
sull’identità della funzione tra risarcimento e indennizzo quale presupposto
per la compensatio dovrebbe cadere, in omaggio alla prevenzione delle
diseconomie esterne rispetto al riequilibrio degli arricchimenti
2.2. se invece si considera un meccanismo di interesse generale volto a garantire
disincentivi all’attività illecita e il principio indennitario viene interpretato in
modo rigoroso, allora la derogabilità del 1916 sarebbe inammissibile

3.2 Funzioni della responsabilità civile ed ordine del sistema dopo le ss.uu sulla
compensatio
• Le ss.uu non hanno impresso un ordine definitivo al discorso sulle funzioni dell’istituto
aquiliano→Per 2 ragioni:
1. Non avrebbe potuto farlo, perché è un discorso influenzato dalla variabilità delle scelte del
legislatore cosicché un assetto definitivo non può darsi, se non all’interno di un orizzonte
temporale circoscritto
2. È un discorso che si collocava ben al di là dell’orizzonte di attesa della fattispecie
concreta→non rappresentava una premessa indispensabile per l’enunciazione del contrasto di
giurisprudenza
• Tuttavia è stato affrontato il discorso sulle funzioni all’interno dell’ordine di quello che potremmo
definire l’ordine del sistema del diritto privato, inteso come insieme di regole tese a disciplinare i
processi di allocazione della ricchezza→il problema della compensatio ci conduce al cuore del
diritto privato (inclinazione titolo-centrica) e cioè la sua vocazione a definire se qualcuno possa
rivendicare o trattenere una quota di ricchezza che gli sia pervenuta o potrebbe pervenirgli sulla
base di un’attribuzione volontaria o involontaria→una causa dell’attribuzione patrimoniale diversa
(a prescindere che il soggetto autore di essa sia lo stesso obbligato alla prestazione risarcitoria)
rispetto a quella di risarcimento del danno in favore della vittima del fatto illecito è tale da rendere
giustificata l’attribuzione patrimoniale, escludendo la necessità di scomputarne l’entità da quella
del risarcimento→abbiamo allora all’interno del giudizio di ingiustizia del danno, un giudizio di
giustizia del beneficio
o questo porta ad una rimozione dell’ingiustizia (Izzo), poiché in fin dei conti si tratterebbe di
analizzare la finalità dei trasferimenti di ricchezza, che sarebbero resi possibili dal
considerare ciò che può diventare un danno vestito dall’ingiustizia e dunque risarcibile→le
sentenza, secondo Izzo, hanno sancito senza incertezze che la chiave di volta per operare lo
scomputo del beneficio dal danno è la valutazione in ordine alla giustizia che questo
beneficio assume
• Questo assetto si colloca sullo sfondo della polifunzionalità dell’istituto aquiliano→che guida
l’interprete ad:
1. Evitare soluzioni tali da distorcere la funzione riparatoria

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2. Evitare soluzioni tali comprimere la funzione deterrente →vanificata da esiti che consentissero
di scomputare a beneficio dell’autore dell’illecito attribuzioni patrimoniali tali da rappresentare
risposte al medesimo fatto dannoso, ma che presentino un’autonoma giustificazione
(solidarietà collettiva, per esempio)
• Unica incrinatura→quando la surroga, pur prevista (1916 c.c.) non venga esercitata
dall’assicuratore→le ss.uu hanno innovato: la surroga dell’assicuratore nel diritto dell’assicurato
verso il terzo responsabile della distruzione del bene assicurato, è condizionato al mero fatto del
pagamento dell’indennità per il danno per il quale il terzo sia responsabile, non essendo necessaria
la comunicazione della sua intenzione di succedere→risponde al principio indennitario che sarebbe
eluso se la semplice inerzia dell’assicuratore fosse sufficiente a fondare in capo all’assicurato un
diritto di credito nei confronti del terzo che gli consentirebbe di ottenere un risarcimento
superiore→né può essere risolto il problema dicendo che negare all’assicurato la possibilità di
chiedere il risarcimento priverebbe di causa i premi: la prestazione dell’indennità non è in rapporto
di sinallagamaticità funzionale con la corresponsione dei premi, essendo l’obbligo fondamentale
dell’assicuratore quello dell’assunzione e della sopportazione del rischio di fronte all’obiettiva
incertezza circa il verificarsi del sinistro e la solvibilità del terzo
o Resta però l’aporia, seppur in fase patologia (assicuratore che non si surroga in concreto)
che il danneggiante/responsabile/terzo/autore dell’illecito ne beneficerebbe→non è
risolvibile con l’azione di ingiustificato arricchimento: il danneggiato non può dirsi
impoverito del mancato esercizio della surroga; l’assicuratore dal canto suo aveva già a
disposizione la possibilità di avvalersi della surroga
• Allora la soluzione potrebbe essere la seguente: affidare al legislatore l’introduzione di un rimedio
che potrebbe opportunatamente definirsi in termini di amende civile, posta a carico del terzo
responsabile per salvaguardare in questo caso, la funzione di deterrenza (in quanto la funzione
riparatoria è già assolta col sistema indennitario)

4 Riflessioni in tema di risarcimento del danno per c.d. perdita delle


chance
• Tema che ha stimolato molto gli interpreti proprio in ragione della sua attitudine ad essere un banco di
prova per l’estensione della tutela risarcitoria→il problema del danno da perdita di chance si è posto
sia in campo aquiliano, sia contrattuale →difficile individuare quale è la situazione soggettiva lesa,
proprio per questo ha fatto pensare che questa figura potesse trovare maggiore tutela in campo
contrattuale dove la ingiustizia del danno non si pone (quella contrattuale scatta in virtù del mancato o
inesatto adempimento che non ha soddisfatto gli interessi sottesi alla realizzazione del diritto di
credito→non abbiamo un problema di selezione di interessi perché sono quelli ricompresi nella sfera
del rapporto obbligatorio di volta in volta considerato→Il problema di selezione si pone in sede
aquiliana
Si pone in 2 ambiti:
1. Sanitario → esempio: ritardo diagnostico= si presenta dal medico per una sintomatologia
particolare un paziente, il medico non riconosce i sintomi della malattia che affliggono il
paziente, lo tranquillizza e lo manda a casa. Successivamente i sintomi si aggravano e viene
diagnostica la malattia e in seguito ad essa il paziente muore→il danno alla salute che ha subito il
paziente e che si è poi concretizzato nella morte è un evento dovuto alla malattia (non siamo in
ipotesi in cui il medico cagiona egli stesso o peggiora la sua situazione di salute con un
trattamento sbagliato)→qui l’errore diagnostico impedisce al paziente di diagnosticare
tempestivamente una malattia grave, l’incidenza della quale lo avrebbe portato comunque alla
morte →problema: capire se una tempestiva diagnosi avrebbe salvato la vita del paziente o

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avrebbe consentito al paziente di vivere più a lungo, o comunque di potersi avvalere di terapie
che potevano, magari non con la certezza assoluta, ma con elevato grado di probabilità salvargli
la vita →se l’errore del medico ha cagionato la morte: una tempestiva diagnosi avrebbe impedito
la morte →in questo casi ci troveremmo di fronte ad una causalità vera e propria tra l’errore
diagnostico e la morte se una tempestiva diagnosi l’avrebbe salvato→il medico sarà tenuto a
risarcire il paziente in toto
➢ L’ipotesi della chance si realizza in realtà quando non è possibile trovare un elevato grado di
probabilità (il tema delle chance è connesso alla causalità)→chance ontologica→quando non si
riesce ad acquisire una evidenza probatoria con un determinato grado di probabilità che una
tempestiva diagnosi avrebbe cambiato le sorti del paziente→non è dato sapere, e nemmeno il
consulente che pone in essere la perizia per potere accertare l’eziologia della stessa→il consulente
alza le mani e non è in grado di dire se quel paziente avrebbe avuto un 60% di probabilità di
guarigione→ il problema della chance si pone solo là dove si ritenga di poter dare rilevanza alla
chance come bene in sé (noi non sappiamo se quel paziente sarebbe appartenuto a quel 60% di
persone che se la sarebbero cavata, e allora la causalità c’è ed è necessario il risarcimento; oppure
non può dire che sarebbe potuto appartenere a quel 30% che sarebbero morti comunque e dunque il
ritardo diagnostico non avrebbe avuto alcun effetto)→non risolvendo al livello di causalità, la
Cassazione suggerisce di dare rilievo alla possibilità di giocarsela, cioè sappiamo che quel paziente
una manciata di chance ce l’avrebbe avuta, se la sarebbe giocata in caso di tempestiva diagnosi →la
Cassazione propone di dare rilevanza e quindi di risarcire in sede aquiliana proprio la perdita di
questa chance intesa come bene (bene di giocarsela)→la chance e la causalità vanno a braccetto ma
non vanno confusi e hanno una cosa in comune: probabilità→parleremo di causalità quando è stato
possibilità accertare con un grado di elevata probabilità (50%+1) che quella vicenda si sarebbe svolta
in un determinato modo; ma quando non si può ragionare in questi termini, per esempio come in
quel caso del 2019 (paziente ricoverata per l’asportazione della ghiandola del timo per un tumore poi
ha un’emorragia interna, la riportano in stanza non accorgendosene la riportano in sala ma muore,
perché era troppo tardi) dobbiamo parlare di chance come bene autonomo →dopo aver fatto questo
sforzo, la Cassazione, ci dice che la possibilità deve essere seria (non come l’ipotesi in cui ci rubano il
biglietto di vincercela lotteria, dove la chance di vincerla è sicuramente una chance ma il livello di
probabilità è estremamente basso) →materializza a livello giuridico questo pacchetto di possibilità
non meglio specificate di giocarsela in questa malattia da parte di un paziente che è vittima di un
ritardo diagnostico, quando ovviamente il ritardo c’è e quando è accertato il nesso causale
quantomeno alla perdita della chance →questo concetto di chance è bello ma rischia di rimanere
rarefatto e impalpabile a livello concreto perché là dove si ritenga che la chance debba essere seria, a
quel punto ritornano le problematiche connesse all’accertamento della serietà della chance e quindi
da un certo grado di probabilità che quasi mai viene attinto
2. Della P.A.

4.1 Le questioni
• Abbiamo due concezioni di chance
1. Ontologica→chance apprezzabile nel quadro del giudizio risarcitorio, qualificandola come un
bene, termine di riferimento oggettivo di una situazione soggettiva→ci permette di riflettere
sulla nozione di danno
2. Eziologica→questa ipotesi di danno è risarcibile nella misura in cui anche un livello di
probabilità di verificazione dell’evento dannoso inferiore a quello espresso dal noto parametro
del “più probabile che non” sarebbe tale da innescare il rimedio risarcitorio
• Nozione di danno svecchiata→La teoria ontologica presuppone una nozione di danno che lo
riconduca all’idea di qualsiasi forma di alterazione o abolizione di un bene che risulti apprezzabile

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secondo le valutazioni della comune coscienza→non è più condivisibile: oggi si vuole individuare la
specificità nel giudizio di ingiustizia del danno nella prospettiva della rilevazione della lesione della
situazione soggettiva rilevante e dunque è distante da quella concezione secondo la quale il
requisito di ingiustizia vuole esprimere la valutazione da parte del danno nel senso che debba
essere risarcito, e che l’interprete deve per suo conto ricostruire alla stregua di una spregiudicata
ed ampia considerazione dei principi e dei valori recepiti dal diritto in materia
• Allora con la nozione di danno contemporaneo, quale è il problema? Ravvisare, in presenza di una
perdita di chance, la concreta situazione soggettiva giuridica lesa→staremmo risarcendo un danno
non ingiusto
- Questo ha portato a ritenere da parte di taluni autori (Mazzamuto) che l’area della
responsabilità da inadempimento di un’obbligazione preesistente sia quella nella quale possa
trovare riconoscimento una regola di risarcibilità del danno da perdita di chance, almeno tutte
le volte che il risultato utile con essa perseguito possa sembrare suscettibile di iscriversi tra gli
interessi che l’obbligazione era intesa a tutelare→neanche qui abbiamo una soluzione agevole
e unitaria: si giustappongono:
1. Ipotesi in cui entrano in gioco violazioni degli obblighi strumentali a consentire al soggetto
beneficiario degli stessi di conseguire un risultato utile→lavoratore il cui interesse a partecipare
ad un concorso interno bandito dal proprio datore di lavoro (che non lo ammetta alla prova
finale con violazione delle regole del bando) così frustrando la possibilità per il lavoratore di
conseguire il risultato favorevole finale
2. Ipotesi in cui la chance sembra evocare un entità che sta al di fuori dell’utilità concretamente
suscettibile di essere apprestata dalla condotta del debitore→Responsabilità del medico che
non abbia tempestivamente diagnosticato una patologia che comunque certamente era
destinata ad avere un esito letale ove anche la diagnosi fosse stata tempestiva (al massimo il
bene tutelato può essere quello del diritto all’autodeterminazione circa le proprie scelte nella
fase comunque terminale della malattia a prognosi infausta)
• Il problema del danno da perdita di chance rappresenta una occasione ulteriore per discutere sulla
funzione del risarcimento del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale→perdita di chances
sia patrimoniali che non.
• Due ambiti:
1. Sanitario-professionale→pregiudizi subiti dai pazienti-clienti
2. P.A→pregiudizi subiti dai destinatari di un provvedimento illegittimo
• Due problemi:
1. Enfatizzando l’eventualità di divergenze tra aspettative e risultati
2. Investono il piano dell’an debeatur (se sia dovuto)
- La giurisprudenza elabora una definizione generale della chance che ne postula l’autonomia e
l’attualità rispetto al risultato finale futuro e incerto e che, per conseguenza, la struttura come
un’aspettativa già di per sé giuridicamente rivelante, la cui lesione lascia anche inscrivere nel
danno ingiusto

4.2 Le teorie del danno e la perdita di chance


• Primo passaggio→mettere a fuoco il concetto di danno, per verificare se esso possa ricomprendere
al suo interno anche le ipotesi in cui il pregiudizio che si lamenta si risolva nel venire meno di una
chance→all’esito negativo avremo una inammissibilità della teoria ontologica del danno
- Si tratta in sostanza di verificare se l’immagine di danno allo stato attuale sia compatibile con
l’idea di perdita che si risolva nella privazione di una virtualità positiva
• Partiamo dalla nozione di danno accolta dal legislatore del 1942, che si ravvisa senz’altro in una
perdita economica→all’interno del 2043 (che riguarda solo il danno patrimoniale), il danno

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costituirebbe il presupposto ed il contenuto, consistente appunto nell’obbligo di risarcirlo, obbligo
disciplinato dal principio della riparazione integrale
- La concezione di danno patrimoniale assume tratti diversi da quelli accreditati dalla
Differenztheorie→individuazione del danno risarcibile non è subordinata all’accertamento di
un saldo contabile negativo nel patrimonio della vittima, bensì alla idoneità del fatto lesivo a
determinare in concreto una diminuzione delle utilità economiche di cui il danneggiato può
disporre→ecco che allora l’affermazione della risarcibilità della perdita di chance parrebbe
ammissibile, pur restando da compiere il passaggio argomentativo che qualifica la chance come
una utilità economica con riferimento alla quale sia individuabile una norma che la attribuisca,
rendendola appunto disponibile dallo stesso→ed è proprio questo passaggio che difetta, nella
misura in cui la chance non può configurarsi come situazione soggettiva giuridica , necessario
presupposto per la qualificazione in termini di danno ingiusto→sul punto si è espresso Salvi, il
quale ritiene che la rilevanza dell’interesse dell’attore al conseguimento in futuro di un risultato
favorevole non va comunque posta sul piano della qualificazione di ingiustizia, ma su quello
della quantificazione del danno e rinvia quindi alle tematiche del lucro cessante e del danno
patrimoniale futuro
• Ma comunque questa prima concezione incappa nelle stesse difficolta in cui finiva la
Differenztheorie: individuano il danno nell’oggetto della obbligazione risarcitoria e non riescono a
dare i meriti alla figura del danno non patrimoniale: posto che il presupposto del risarcimento
dello stesso sia sempre l’ingiustizia; tuttavia, lo stesso ha una funzione diversa: sanzionatoria
- Questo si riflette sulla distinzione tra chances patrimoniali e non patrimoniali→soluzione:
introduzione (per via legislativa) di prestazioni pecuniari con finalità sanzionatorie da porre a
carico degli autori degli illeciti, non necessariamente dannosi, il cui compimento abbia inciso
negativamente su alcuni soggetti (Frenda)
• Tuttavia la dimensione economica, pur costituendo un profilo qualificante del danno rilevante ai
sensi del 2043, non può esaurire la nozione, in quanto la traduzione della perdita economia in
danno in effetti risarcibile, postula pur sempre la qualifica in termini di ingiustizia, non essendo
rinvenibile un diritto all’integrità del patrimonio→l’enfatizzazione del profilo quantitativo del
danno (seppur configurandosi come presupposto e contenuto) rischia, anzi, elide l’autonomo
rilievo della lesione di un bene o diritto→lo dimostra il seguente paradosso: se la commisurazione
del danno da risarcire al danno come fatto che fonda la responsabilità è uguale a zero, la
responsabilità neppure sorgerebbe (Salvi)
- È proprio sul discorso dell’ingiustizia che si annida il problema in tema di perdita di chance:
consente di accertare la rilevanza giuridica della perdita di utilità derivante dalla condotta
illecita altrui e dunque di verificare la risarcibilità dell’utilità ravvisabile nella perdita di una
chance
- Di fatti gli stessi orientamenti giurisprudenziali che accreditavano la concezione ontologica del
danno da perdita di chance, nella misura in cui quest’ultima è una entità patrimoniale
giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, sembrano
consapevoli di verificare il profilo della rilevanza giuridica: nel diritto all’integrità del
patrimonio, che è inconfigurabile
• Vediamo la differenza tra responsabilità contrattuale e responsabilità aquiliana: nella prima il
problema della ingiustizia e della rilevanza giuridica neanche si pone:

4.3 La chance e la responsabilità aquiliana


• Indefettibilità del requisito dell’ingiustizia→superata la configurazione del 2043 di clausola
generale, tale per cui è il giudice a rendere immediatamente rilevante al fine di innescare lo
strumento risarcitorio la perdita di utilità→dobbiamo parlare di tipicità evolutiva

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- Allora l’interprete che deve fare? Il criterio dell’ingiustizia impone al giudice di essere
l’interprete, e non il decisore, della meritevolezza degli interessi individuali e collettivi (Rizzo)
• Bisogna verificare se la chance sia configurabile come il termine di riferimento oggettivo di una
delle situazioni giuridiche appunto rilevanti ai fini dell’attivazione del rimedio aquiliano
• A tal proposito dobbiamo ricordare che:
1. Inidoneità dell’innesco del rimedio aquiliano del semplice riferimento alla categoria del diritto
soggettivo (critica al diritto soggettivo assoluto)→affermare a posteriori l’esistenza di un diritto
soggettivo (all’integrità del patrimonio)
2. Situazione soggettiva giuridica →decisiva appare la norma, che appresta protezione
all’interesse inciso dalla condotta dell’agente e che risulti attributiva di utilità in favore del
titolare dell’interesse stesso→allora l’interprete dovrà individuare la struttura della situazione
soggettiva e del tipo di poteri che alla sia attribuzione siano connessi→ingiustizia nel senso di
essere contra ius e non iure
• Allora dovremmo presupporre la possibilità di affermare che la chance perduta rientri nell’ambito
di protezione di una norma specificamente attributiva di utilità ad un soggetto→è insostenibile
- Si pensi al caso di colui che lamenti la perdita di una chance patrimoniale, consistente nella
possibilità di concludere un affare suscettibile di produrre guadagno, per essere stato impedito,
nel recarsi all’incontro decisivo, dal coinvolgimento in un incidente stradale cagionato da un
terzo→danno meramente patrimoniale, proprio per la sua carenza di una situazione giuridica
soggettiva in capo al preteso danneggiato che possa dirsi in ipotesi lesa, per di più connotato
dall’essere non certo ma soltanto in un certo grado probabile
• Inoltre, sul piano della verifica che occorre compiere per poter affermare risarcibilità di una in
ipotesi perdita patrimoniale→valutazione dell’interesse leso dalla condotta dell’agente, e
l’interesse sotteso alla condotta dell’agente, il quale potrebbe risultare maggiormente meritevole
di protezione→è difficile considerare prevalente la perdita di chance sull’interesse di colui che con
la sua condotta, pure in ipotesi negligente, abbia frustrato la chance di un risultato utile→e perché?
Perché non vi è alcuna norma giuridica che somministra protezione
• Abbiamo anche un problema di nesso di causalità→perdita possibile o anche probabile, ma non
certa→Castronovo: sul versante del danno patrimoniale si tratta del mancato conseguimento di un
vantaggio, di un lucro cessante ipotetico, del quale si può legittimamente chiedere se sia risarcibile
a prescindere da un danno emergente→poiché quest’ultimo deve configurarsi come lesione
immediata e diretta della lesione di una situazione soggettiva
• Anche la concezione eziologica finisce per incappare in difficoltà inestricabili:
1. Una prima variante della concezione eziologica della chance perviene a negare la risarcibilità
della perdita proprio sulla scorta dell’argomento secondo cui essa sia un mero criterio non di
quantificazione ma di verifica causale della sussistenza del nesso tra condotta ed evento
lesivo→in questo senso la perdita di chance non solo sarebbe irrisarcibile, ma anche
inipotizzabile concettualmente perché si appiattisce sul danno normalmente conseguente
all’evento lesivo
2. Qualora invece la tesi eziologica della chance viene posta a sostegno della tesi della risarcibilità
del danno da perdita di essa sulla premessa che anche una soglia di probabilità di verificazione
dell’evento lesivo finale inferiore al “più probabile che non” possa dar luogo al risarcimento
(non dell’intero danno, ma solo della minore perdita di chance) allora torniamo al piano della
teoria ontologica della perdita
• Conclusione→non si può ravvisare un profilo di rilevanza autonomo del danno da perdita di
chance, in un contesto aquiliano→non esiste una norma attributiva di utilità alla quale solo di fatto
il titolare della chance tende→allora potrà essere considerata, la chance, come un criterio di
quantificazione del danno da mancato guadagno e non un mancato guadagno in sé (Mazzamuto)

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4.4 La chance e la responsabilità contrattuale
• Discorso diverso per la mancanza del requisito dell’ingiustizia→resta da chiarire in quale modo e
nella sussistenza di quali condizioni la privazione di una virtualità positiva possa dar luogo al
risarcimento del danno in contesti di responsabilità contrattuale
• Varie ipotesi→Rapporti giuridici doveroso non riconducibili allo schema dell’obbligazione vera e
propria e congegnati come procedure dominate da discrezionalità→2 esempi:
1. Partecipazione di un lavoratore ad una procedura di concorso privato, organizzata dal datore di
lavoro, la cui possibilità di esito favorevole per il primo sia frustrata dalla violazione, da parte
del secondo dell’obbligo, sancito dalla fonte regolatrice del rapporto, di concedere permessi
retribuiti al fine di preparare la prova
2. O il datore di lavoro che, impartendo al lavoratore la disposizione di svolgere la prestazione
lavorativa anche nel giorno in cui si sarebbe dovuta svolgere la prova finale del concorso, gli
impedisca la partecipazione alla medesima
o In entrambi i casi obblighi di buona fede:
1. Valutazione sulla base di questo parametro della richiesta del lavoratore di fruire di un
permesso retribuito avrebbe imposto l’accoglimento della stessa
2. Comportamento risulta sleale ma non in diretto contrasto con un’obbligazione
specificatamente sancita dalla fonte regolatrice del rapporto, ma che impedisce
comunque la possibilità di perfezionamento della situazione di vantaggio
• In relazione a queste ipotesi si è sviluppata la teoria della responsabilità contrattuale in senso
debole→danni provocati dalla violazione di obblighi privi della preordinazione a far conseguire al
creditore una determinata utilità→ma di obblighi di protezione e obblighi non attributivi di utilità
finali (Mazzamuto)→in particolare obblighi procedurali, che consistono nella natura di azione
dovuta nell’ambito di un’attività complessiva soltanto all’esito della quale potrebbe sorgere
un’utilità, per definizione non dovuta e quindi non pretendibile
- Si creano le premesse per una soluzione coerente delle questioni implicate dalla perdita di
chance→la commisurazione del risarcimento in presenza di una chance negata è una variabile
dipendente non solo dell’intrinseca incertezza del risultato finale ma anche del fatto che gli
obblighi hanno una coloritura procedimentale, essendo volti a creare le premesse per le quali il
risultato possa essere acquisito→allora la chance lesa assolve alla funzione di criterio di
determinazione dell’ammontare del mancato guadagno, offrendo al giudice un punto di
riferimento per orientare la propria valutazione equitativa
• Un'altra ipotesi→situazioni di interesse del privato, partecipante ad un procedimento
amministrativo, l’esito per lui favorevole del quale è precluso da una condotta della PA in
violazione delle regole disciplinanti il procedimento amministrativo→anche qui infrazione di una
regola procedurale che se certamente non presidia in maniera immediata la situazione di interesse
del privato, può incidere sulla serie causale che avrebbe condotto alla realizzazione dell’interesse
stesso→anche qui responsabilità contrattuale per la dimensione relazionale che caratterizza la PA e
il privato che partecipa al procedimento
- Critica→se non si attribuisce alla chance il carattere di entità giuridica ed economica a sé stante
(come è invece alla teoria ontologica) la violazione dell’interesse legittimo del privato non si
trova ad esprimere, di per sé, un pregiudizio autonomo e diverso dal danno finale da mancata
promozione
- Controcritica→proprio la violazione degli obblighi summenzionati a costituire la premessa per
l’affermazione dell’insorgenza di una responsabilità risarcitoria a carico di chi li abbia disattesi,
responsabilità commisurata nella concreta determinazione quantitativa all’incidenza
percentuale della probabilità del risultato utile in questo modo frustrato

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4.5 Le chances non patrimoniali
• Mettiamo il punto sulla questione→il danno da perdita di una chance non è una categoria di
selezione dei dati dell’esperienza non una formula meramente descrittiva suscettibile di essere
utilizzata al più in contesti di responsabilità contrattuale, come tecnica di quantificazione del danno
risarcibile a fronte della violazione di obblighi procedurali, imposti dalla buona fede oppure dalla
regolamentazione normativa di uno specifico settore di attività
• Il problema della risarcibilità del danno da perdita di chance sorge e si concretizza maggiormente
nella responsabilità per medical malpratice→perché parliamo di un danno non
patrimoniale→chance riferita alla privazione della vittima dell’inadempimento del medico o della
struttura, di un miglior risultato sperato, che esso consista o in una maggior durata della vita o in
una più accettabile qualità della stessa
• La Suprema Corte si è confrontata col problema della definizione della chance non patrimoniale
risarcibile in contesti di responsabilità medica→si è detto che una serie di ipotesi di accadimento
dannosi ascrivibili all’area della perdita di chance possono trovare una collocazione più persuasiva:
nella lesione di situazioni giuridiche soggettive della persona che prescindono dalla vocazione della
chance

• Tre ipotesi:
1) La condotta inadempiente del medico, o della struttura, ha accelerato i tempi della morte, che
era comunque inevitabile, in relazione alla gravità della patologia da cui era affetto
2) Oppure quando esse abbiano prodotto un peggioramento della vita residua del paziente
- In entrambe le ipotesi l’evento di danno è caratterizzato non dalla possibilità di un risultato
migliore, bensì dalla certezza, o rilevante probabilità, di aver vissuto meno a lungo o di aver
patito maggiori sofferenze→vengono in considerazione due rispettivi danni, suscettibili di
risarcimento nella sussistenza degli altri presupposti ma senza invocare la perdita di chance:
1. Da perdita del rapporto parentale
2. Da danno biologico o morale
3) Malato terminale che lamenta il pregiudizio discendente causalmente dalla negligenza del
medico, alla propria libertà di adottare le scelte terapeutiche concernenti il periodo residuale
della propria vita→danno da lesione del diritto all’autodeterminarsi riferito non solo ai
trattamenti terapeutici ma anche ai risultati diagnostici ed alle scelte da adottare all’esito
dell’acquisizione degli stessi→Frenda ritiene che così come per il danno da perdita di chance,
anche il danno consistente nella lesione del diritto di autodeterminarsi aumenta i soggettivismi
sanzionatori del giudice e allora sarebbe ragionevole introdurre un sistema
sanzionatorio→parliamo inoltre di un danno in re ipsa dove il fatto stesso costituisce la
premessa per l’innesco della obbligazione risarcitoria (il paziente non deve provare quale scelte
avrebbe operato ove fosse stato tempestivamente informato delle prospettive effettive della
patologia)
• Conclusione della sentenza 28/993/2019→nel momento in cui si tenta di dare una consistenza alla
chance, quest’ultima finisce per liquefarsi tra le pieghe della motivazione→l’esito finale del
ragionamento: predisporre uno strumento argomentativo tale da condurre ad affermare l’esistenza
di un danno risarcibile non quando vi sia una perdita di chance, bensì per un danno biologico
concretamente verificabile per mezzo degli accertamenti tecnici disposti nella fase di merito del
giudizio
• Conclusione→anche le considerazioni delle chances non patrimoniale, in materia di responsabilità
del medico, non consente di elaborare uno statuto dogmatico sufficientemente solido del danno da
perdita di chance, destinato a risolversi, se rilevante, nel danno da lesione di altri diritti e non già

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nella mera incidenza sulla probabilità di un risultato utile→il contenuto della chance seppur
fascinoso è pur sempre meramente descrittivo

Il danno non patrimoniale

• Risarcimento del danno non patrimoniale


➢ Peculiarità rispetto al danno patrimoniale→perdita non immediatamente suscettibile di essere
ricondotta ad una perdita economica→intrinseco arricchimento economico della vittima→perché,
per esempio, la perdita di valori attinenti alla sfera dinamico-relazione della persona si pongono
extra patrimonio→questo ci fa capire che la regola dell’equivalenza secondo alcuni è inapplicabile;
secondo altri va concretizzata tenendo conto di questa premessa differenziatrice
➢ Un discorso analogo nel senso della impossibilità di applicazione dei concetti nati sul versante del
danno patrimoniale si riscontra in riferimento al principio della riparazione integrale del danno:
1. Secondo Salvi non avrebbe senso questo principio perché manca il termine di riferimento per
potere giuridico integrale una certa riparazione (cioè la perdita economica subita)
2. Scognamiglio→in realtà si è visto un punto di problematizzazione: il principio di riparazione
integrale del danno non patrimoniale non è privo di senso nella misura in cui esprime l’idea che,
sia pure attraverso quella strana alchimia che finisce per trasformare in denaro le lacrime, anche
in questi contesi la condanna risarcitoria debba tendere a raggiungere un risultato utile ed
effettivo per il danneggiato (certamente non si tratterà di equivalenza monetaria)→questa idea
può essere configurata sulla base di una considerazione funzionale, nel senso che la funzione
generale della riparazione del danno è quella di riportare la vittima nella situazione antecedente
e questo ci fa capire che in materia di risarcimento siamo sempre sul piano dell’approssimazione,
ma è un piano su cui stiamo anche in riferimento al danno patrimoniale (salvo alcune
eccezioni→dove si può dire che la condanna risarcitoria porti indietro le lancette) perché
l’accadimento dannoso determina una soluzione di continuità nel flusso degli eventi tale da
impedire una riparazione integrale →questa idea di generale approssimazione ha un senso
secondo il prof. e quindi il principio della riparazione integrale del danno è un’aspirazione difficile
da realizzare in entrambi gli ambiti
➢ Quello che è vero è la necessità di aver riguardo sempre alla funzione della tutela risarcitoria di
fronte ai fatti produttivi di danno non patrimoniale: qui si ripresenta il discorso della funzione della
responsabilità civile →in materia di risarcimento del danno non patrimoniale in realtà le funzioni
sono molto diversificate, seppur accomunate da quella satisfattoria che nettamente si distingue da
quella compensativa:
1. quando ci di trovi di fronte ad un fatto produttivo di danno biologico, nella condanna risarcitoria
entra in gioco, una funzione solidaristica (ristabilire nuova solidarietà tra danneggiante e
danneggiato) che si fonda sull’art 3 cost.
2. altre ipotesi di risarcimento del danno non patrimoniale (diritti della personalità) evidenziano
una funzione diversa→ad esempio per ciò che concerne il danno da lesione di diritto di
personalità, accanto alla funzione satisfattoria del sentimento di giustizia della vittima che si vede
attribuito nel contesto di un illecito lesivo di onere o reputazione un comportamento disdicevole,
c’è anche una dimensione di deterrenza da ulteriori condotte analoghe e anche punitiva in un

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certo senso→ Coloritura punitiva→nella dimensione della condanna risarcitoria per danno non
patrimoniale entra in gioco una dimensione punitiva e lo si capisce dal fatto che il giudice di fatto
liquida il danno tenendo conto della particolare gravità della lesione al bene giuridico e all’entità
del grado colpevolezza del responsabile→criteri che prescindono dalla riparazione e che
pongono l’accento sull’esigenza di esprimere il giudizio di riprovazione per una determinata
condotta→da questo punto di vista il discorso si lega al problema dei c.d. danni punitivi
✓ le funzioni della condanna diventano una sorte di caleidoscopio, una pluralità di criteri, di
indicazioni, di funzioni dalle quali si può comprendere la funzione complessiva dell’istituto
• Danno alla salute
➢ La materia del risarcimento del danno alla salute è di peculiare rilevanza per una serie di ragioni:
1. Ragioni storiche→Diritto giurisprudenziale (non solo il diritto della giurisprudenza ma anche al
diritto della giurisprudenza degli studiosi del diritto)→ è proprio dall’elaborazione del danno
biologico, danno alla salute in sé e per sé considerato, che è nata la prima esperienza di
costituzionalizzazione del diritto privato attraverso il 32 cost. che ha portato a superare le
strettoie del 2059, salvo poi arrivare agli sviluppo più recenti dell’interpretazione del 2059 che
prospettano il problema del risarcimento del danno non patrimoniale l’estensione di quei casi
previsti dalla legge anche ai diritti inviolabili della persona costituzionalmente garantiti
2. Ragione operativa→mentre per i danni derivanti dalla lesione di beni della personalità (onore)
una discrezionalità nella liquidazione del danno (tenendo conto di parametri di gravità della
lesione) può sembrare più sostenibile, il discorso è diverso per il danno alla salute→perché esso
esprime di per sé una istanza egualitaria, nel senso che striderebbe sia con la nostra percezione
etica di quella che dovrebbe essere la scala dei valori nella nostra società, ma striderebbe
soprattutto col sistema costituzionale, una soluzione risarcitoria che dopo aver affermato la
risarcibilità del danno alla salute in sé e per sé considerato attraverso il 32 cost. muovendosi
all’interno di un contesto normativo costituzionale che pone il valore della eguaglianza tra i
principi fondamentalissimi, certamente esiti risarcitori che conducessero ad una sperequazione
nella liquidazione del danno alla salute sarebbe inaccettabile→dove per sperequazione si
intende che in alcuni sedi giurisprudenziali si riconosca per una certa lesione un certo
risarcimento, e in altre un altro esito risarcimento→es.: se il danno è derivate dalla frattura di
una gamba, sarebbe inaccettabile ammettere che si possano dare prestazioni risarcitorie
diversificate→spazio di discrezionalità più circoscritto
3. Sullo sfondo di tutti i discorsi del risarcimento dobbiamo tenere presente che vi sia un attore
importante che sono le assicurazioni→in quell’ambito del diritto della responsabilità civile - che
statisticamente rappresenta una percentuale molto rilevante di tutti gli accadimenti dannosi che
quotidianamente si verificano (autocorrelazione) - occupa un settore tanto più importante per la
disciplina dell’obbligatorietà→è importante tener conto di questo attore perché, per poter
funzionare il meccanismo assicurativo (consolidare l’esito di garantire sempre risarcimento a tutti
coloro che siano stati coinvolti in vicende di danno), le stesse debbono potersi basare su modelli
sufficientemente prevedibili di prestazioni risarcitorie derivante da una certa tipologia di
danno→contratto di assicurazione sulla responsabilità civile: a fronte del pagamento di un
premio periodico l’assicuratore si obbliga a tenerlo indenne per le conseguenze che potranno
derivare dai suoi fatti illeciti→come si commisura il premio? È tutto un problema di rischio (al
rischio che l’assicuratore, sulla base di modelli previsionali, è in grado di formulare circa l’entità
del rischio) ovviamente questo vale per il tasso di creatività automobilistica del singolo assicurato
ma anche per l’entità delle prestazioni risarcitorie→in altri termini l’assicuratore ha bisogno di
sapere se per la rottura di una gamba di un soggetto di 50 anni deve considerare di pagare 5000
o 10000 euro (sennò sballano i meccanismi dell’assicurazione)
➢ Queste due esigenze: quella etico-giuridica di eguaglianza della liquidazione del danno non
patrimoniale tra i vari soggetti colpiti da una vicenda di danno paragonabile; e dall’altro lato quella

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più pragmatica ma non trascurabile della assicurazione→è pacifico ormai avere riguardo al
meccanismo della tabellazione: frutto dell’attività sostanzialmente spontanea (perché non prevista
da alcuna norma di legge come obbligatoria, sebbene alcune norme di legge la presuppongano ed
alcune addirittura prevedono che si arrivi ad una tabella nazionale), attraverso l’opera degli uffici
giudiziari delle varie parti di Italia, si è venuta sviluppando questa prassi di predisporre tabelle che -
muovendo da quello che si era verificato negli anni immediatamente precedenti in termini di
liquidazione di quella o quell’altra tipologia di danno alla salute - elaboravano degli standard di
risarcimento del danno→in altre parole il meccanismo è di chi rilevi ciò che è accaduto fino a quel
momento in termini di prestazioni risarcitorie accordate a fronte di un certo danno le trasformi in
valori numerici commisurati all’entità della lesione della salute che di volta in volta si è verificata
avvalendosi anche dell’aiuto dei medici legali abbini l’entità della percentuale in termini di procurata
invalidità temporanea o permanente cui abbia dato luogo il fatto dannoso ad una prestazione
risarcitoria e predisponga un meccanismo che, attraverso un banale data entry basato sulla
rilevazione della percentuale di danno affidata al medico legale, sulla rilevazione dell’età del
danneggiato consente di arrivare alla condanna risarcitoria con un click→ ricognizione dei
precedenti giurisprudenziali intesi come manifestazione di equità collettiva (ciò che in un certo
periodo è stato ritenuto equo come prestazione risarcitoria a fronte di quella certa lesione della
salute), che è organizzata sulla base di questa tecnica denominata del punto variabile: variabile
perché occorre individuare il grado di invalidità che determini un certo fatto dannoso, poi le età
perché, essendo il danno biologico derivante alla salute in sé e per sé considerato e quindi in termini
di privazione di utilità, è intuitivo che molto maggiore sarà la privazione di utilità di chi sia
minorenne, e molto minore sarà la privazione di utilità che un fatto dannoso potrà ricavare abbia 80
anni→moltiplicando questo dato per gli anni di vita media ancora spettanti si arriva
all’individuazione della prestazione→ un maccanismo che parrebbe assicurare al massimo grado
l’esigenza di prevedibilità della liquidazione e uguaglianza→Possibilità di arrivare alla giustizia
algoritmica: immaginare che in determinate vicende risarcitorie si possa demandare la decisione a
un robot, un apparato informatico programmato su algoritmi che potrebbe sfornare il verdetto del
caso controverso in termini di assoluta certezza e assoluta prevedibilità.
➢ L’importanza di queste tabelle è tale- proprio nella dimensione di creare un meccanismo di
eguaglianza e prevedibilità- che ormai da dieci si è accreditato un orientamento della corte di
cassazione che ha attribuito un valore normativo alle tabelle milanesi→perché a quelle milanesi?
Perché si erano diffuse di più sul territorio nazionale e poiché il meccanismo funziona per
autoalimentazione (vengono rilevate le tabelle in base a ciò che era accaduto negli anni precedenti
in quell’ufficio giudiziario, quelle tabelle appaiono congrue anche ad altri uffici giudiziari e dunque
vengono adottati anche da quelli), allora erano state scelte quelle milanesi→valore normativo
beninteso senza che nessun legislatore avesse blindato con il crisma della normatività è stato tutto
frutto della elaborazione giurisprudenziale che di fatto ha ritenuto che quelle tabelle fossero un
distillato dell’equità intesa nella dimensione dell’articolo 1226 che dovevano e potevano essere
utilizzate proprio per rispettare al meglio l’esigenza di eguaglianza dell’art 3 della cost.
➢ va subito segnalato che le vicende di vita sono sempre complesse→mettiamo a punto questa
banalità perché effettivamente occorre tener conto dei vari fattori che personalizzano la vicenda di
danno e occorre tener conto (ecco il link tra il discorso di ora con il discorso relativo alla
ricostruzione teorica del danno non patrimoniale) di quegli altri aspetti del danno non patrimoniale
dei quali abbiamo già parlato→sentenze di san martino (unitarietà del danno non patrimoniale, ma
consapevolezza che al di là di essa il danno non patrimoniale non è un molite privo di qualsiasi
sfaccettatura, ci sono tanti profili da riscontrare all’interno: danno alla salute, danno che si risolve
nella sofferenza e nel patema d’animo, danno terminale, danno da nascita indesiderata)→in queste
tabelle che sono pienamente idonee a assicurare questa esigenza di uniformità ed eguaglianza della
liquidazione, comunque scontano la necessità della personalizzazione del danno non

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patrimoniale→personalizzazione funzionale a tener conto delle peculiarità della singola vicenda→e
infatti ora le tabelle racchiudono un set di criteri risarcitori tale da coprire quasi tutte le voci di
danno non patrimoniale che abbiano un minimo di elaborazione giurisprudenziale (tant’è vero che
con riferimento del profilo del danno non patrimoniale della perdita del rapporto parentale la
tabella milanese è stata criticata in tempi non recenti e non in grado di soddisfare l’esigenza di
uniformità perché sullo specifico punto del danno da perdita del rapporto parentale, non erano
imperniate sul meccanismo del punto variabile, ma su un minimo e su un massimo oltretutto
distanziativi significativamente→di qui la critica mossa dalla cassazione proprio perché queste non
avrebbero raggiunto un esito soddisfacente)
➢ Questo metodo giurisprudenziale è un modo per fare prima→efficienza
➢ Recepito dal legislatore con una modifica normativa introdotta nel 2017 in una legge volta a
regolamentare gli aspetti economici→art 138 e 139 del codice delle assicurazione private (lesioni di
non lieve e lieve entità)→stessa modifica che ha introdotto, nell’ambito della disciplina del codice, il
riferimento al concetto di danno non patrimoniale dando uno spunto significativo a quella
elaborazione giurisprudenziale della 3° sezione di cassazione che ha più chiaramente riaffermato
quell’articolazione della categoria del danno non patrimoniale che era stata messa all’angolo nel
2008 dalle sentenze di San Martino
➢ Tanto è penetrata l’idea dell’opportunità dell’uso di queste tabelle anche nella mente del legislatore
che lo stesso art 138 e ss. prevedono in prospettiva l’adozione di una tabella nazionale che, una
volta adottata, dovrebbe risolvere in un colpo solo la rivalità tra le varie tabelle perché adottata con
un atto normativo→quella giurisprudenza coraggiosa che 10 anni fa aveva donato normatività alle
tabelle milanesi, troverebbe riscontro in questi artt. →tabella nazionale che ancora non c’è
➢ Che le tabelle siano uno strumento non eludibile di liquidazione del danno non patrimoniale è
confermato anche dal fatto che la disciplina della responsabilità sanitaria prevede il ricorso alle
tabelle→ecco che si delinea una prospettiva interessante perché nel momento in cui si arrivasse alla
tabella unica nazionale si potrebbe anche ipotizzare un (finalmente) intervento normativo diretto
sull’art 2059 che, esplicitando il superamento di quel limite così angusto (soprattutto come
interpretato in origine), offra una regolamentazione unitaria del problema del risarcimento del
danno non patrimoniale
• Diritti e interessi della persona
➢ La logica delle quantificazioni non è più unitaria ma si differenzia alla luce dei contenuti della
situazione protetta, e delle connesse ragioni e funzioni della tutela:
1. In un prima categoria rientrano le figure giurisprudenziali nelle quali ratio dell’applicazione del
2059 è simile a quella operante per il danno biologico: danno da premorienza, da lesione del
rapporto parentale→il punto di riferimento è costituito dalle voci del danno morale e di quello
dinamico relazionale
2. Per la lesione di diritti della personalità, la giurisprudenza è orientata a dare maggiore peso al
profilo satisfattorio-deterrente, e quindi all’intensità del dolo e della colpa, alla gravità
dell’offesa, alla diffusione dell’effetto lesivo, alle condizioni della vittima
➢ Perché l’aspetto deterrente e punitivo sia efficace per la determinazione del quantum sembra
necessario tener conto, oltre che del grado di colpevolezza, delle condizioni economiche del
responsabile (per evitare i limiti eccessivi alla libertà di manifestazione del pensiero di soggetti
deboli)
➢ Una funzione punitiva è chiaramente presente in alcune ipotesi di espressa previsione legislativa:
1. Art 96, comma 3 c.p.c. →il Giudice in caso di lite temeraria può condannare la parte soccombente
al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata→
sanzione di carattere pubblicistico nella quale applicazione rileva la condotta oggettivamente
valutabile alla stregua di abuso del processo→dubbi di costituzionalità sull’assenza di criteri oltre
l’equità

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2. Articolo 709-ter, comma 2 c.p.c. → danno endo-familiare la possibilità di condannare il
responsabile al pagamento di una somma di denaro che proprio perché disgiunta da un previo
profilo di perdita può assumere una valenza punitiva)
• La prova del danno non patrimoniale→della lesione della situazione protetta (danno biologico→si
deve provare la lesione dell’integrità psico-fisica)→l’argomento presuntivo si sostanzia nella
constatazione che quel tipo di evento lesivo determina conseguenze negative (sofferenze,
peggioramento della qualità della vita, ecc.) →quindi l’attore non deve provare di aver sentito dolore
ma la lesione della situazione soggettiva protetta (ingiustizia del danno), mentre per il danno
patrimoniale deve essere provata anche la perdita economica
➢ Il richiamo ricorrente è al potere equitativo del giudice→risposta insoddisfacente: l’art 1226
nemmeno si applica al danno non patrimoniale perché non si hanno difficoltà probatorie circa
l’entità di conseguenze pregiudizievoli, ma non sussiste l’entità che deve essere provata nel suo
preciso ammontare→il vero problema sono i criteri obiettivi idonei a sorreggere l’esercizio del
potere equitativo
• La riparazione non pecuniaria del danno non patrimoniale. Rettifica, pubblicità, mero accertamento.
• Controversa questa possibilità→
1. Innanzitutto, beni infungibili e insostituibili come quelli personali non possono essere
reintegrati in forma specifica
2. Ma dall’altro lato si osserva che la riparazione in natura appare la più idonea ad assicurare una
tutela omogenea alla natura non patrimoniale dei beni in questione
• Tuttavia, vi sono altre modalità non pecuniarie idonee a ripristinare la dignità della persona offesa
(infatti le conseguenze del fatto non rilevano solo soggettivamente, si pensi al danno morale, ma
anche oggettivamente, si pensi alla reputazione)
• La questione è un’altra: il giudice può ordinare, accanto o in luogo della condanna pecuniaria,
misure atipiche dirette a riparare il danno non patrimoniale al di fuori dei casi espressamente
previsti:
1. Risposta positiva data da chi sostiene che l’art 2058 sia applicabili ai danni non patrimoniali
2. Questo non è possibile però perché il 2058 si applica solo al danno patrimoniale→dovrebbe
parlarsi di applicazione analogica del 2058→ma rimane dubbio se il giudice possa ordinare
qualsiasi prestazione adeguata a reintegrare l’interesse leso, indipendentemente da espresse
previsioni legislative
• È preferibile piuttosto il ricorso all’analogia con riferimento alle norme che prevedono rimedi
tipici diretti alla riparazione del danno:
1. Rettifica→obbligo di chi diffonde messaggi lesivi della dignità altrui, o contrari a verità, di
rendere nota la risposta dell’interessato→se di per sé non esclude la responsabilità, può
incidere sul quantum o anche ad escludere la persistenza di un danno da risarcire
2. Pubblicità della condanna→divulgazione dell’accertamento giudiziale, ordinata dal giudice
ed eseguita a spese del convenuto→duplice effetto.
2.1. Assicurare all’attore una soddisfazione congrua alla natura del bene leso
2.2. Eliminare le conseguenze pregiudizievoli dell’illecito, che consistono nell’alterazione
della proiezione sociale della personalità
❖ È prevista come mezzo di riparazione concorrente alla condanna pecuniaria agli artt. 120
c.p.c. e 186 c.p.; in altre ipotesi è prevista sul mero presupposto della violazione di un
diritto a prescindere dalle conseguenze pregiudizievoli
❖ Può considerarsi rimedio di portata generale
❖ Deve essere richiesta dall’interessato perché la divulgazione potrebbe anche aggravare il
danno

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3. Tutela di mero accertamento→di che cosa? Dell’avvenuta violazione del diritto della
personalità→Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa nel senso di ritenere
sufficiente il rimedio che escluderebbe anche il risarcimento del danno morale
❖ Prevista anche una riparazione pecuniaria simbolica

5 L’influenza della dottrina sulla giurisprudenza in materia di danno non


patrimoniale
5.1 Il danno non patrimoniale: lì dove la dottrina si fa giurisprudenza
• Dottrina collocata in posizione rimessiva rispetto alla giurisprudenza? L’interpretazione
giurisprudenziale è fin troppo creativa?
1. Risposta alla seconda domanda→la creatività della giurisprudenza deve interpellare il senso di
misura e responsabilità dell’interprete essendo la salvaguardia dell’unità e della stabilità
dell’interpretazione giurisprudenziale ormai da considerare alla stregua di un criterio legale di
interpretazione delle norme giuridiche, al fine di evitare confusioni tra giurisdizione e
legislazione
2. Giurisprudenza straripante e dottrina remissiva→per la posizione nella quale si collocano→la
prima deve dare risposte concrete ai problemi che le si sottopongono, e può avere più
consapevolezza della dimensione dell’effettività rispetto alla dottrina

5.2 La costruzione dottrinale del risarcimento del danno non patrimoniale ed il suo
influsso sull’elaborazione giurisprudenziale: una storia di successo?
• Non abbiamo, in questa materia, un recepimento immediato da parte della giurisprudenza di
un’acquisizione della dottrina→la giurisprudenza se ne è distaccata dall’argomento dottrinale
• Riferimento giurisprudenziali→Corte Cass. ss.uu 15350/2015 che ha composto il contrasto
determinatosi con la sentenza 1361/2014→quest’ultima, insieme ad una ordinanza di rimessione
della questione alle ss.uu, dimostrava che il tentativo di organizzare definitivamente il danno non
patrimoniale con le sentenze di San martino non era riuscito
1. perché è difficile pensare un sistema davvero unitario, proprio per la densità funzionale della
categoria normativa del danno non patrimoniale
2. complessità insita nell’estensione stessa della responsabilità alla pressoché integrale tutela del
danno personale sottolineando il primo paradosso del danno non patrimoniale: quello che
vede affidato ad uno strumento intrinsecamente coerente a logiche di mercato il compito di
assicurare tutela piena ai valori della persona
• Nel solco di queste due ragioni si imposta la sentenza del 2014→affermava che deve escludersi che
le ss.uu del 2008 abbiano negato la configurabilità del danno esistenziale→ciò troverebbe un
doppio fondamento metodologico:
1. nel principio di effettività che costituisce il criterio di orientamento dell’interprete in mancanza
di un aggancio normativo
2. rilevanza della coscienza sociale come criterio di orientamento per l’interprete, proprio perché
alla coscienza sociale rimorderebbe negare la risarcibilità della perdita della vita
• La sentenza inoltre dà piena consistenza al danno esistenziale, infatti:
1. il danno biologico non assorbe sempre il danno esistenziale, essendo necessario verificare quali
aspetti relazionali siano stati considerati dal giudice e se sia necessario assegnare rilievo anche
al cambiamento di vita; mentre se il danno biologico nella liquidazione dello stesso contempli
anche questa incidenza negativa allora si esclude la possibilità per il danno esistenziale di
concorrere a determinare il quantum

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2. anche in riferimento al danno morale soggettivo quando però quest’ultimo sia stato esteso
anche ai profili relazionali propri del danno esistenziale
• Ponzanelli, nel commentare la sentenza, ha individuato lo snodo essenziale della sentenza: il
principio della riparazione integrale del danno alla persona diventava il passaggio logico che
consentiva di conciliare l’istanza risarcitoria della salute, del dolore e della dignità umana e dello
scadimento della qualità della vita con il rifiuto de parte delle ss.uu della categoria del danno
esistenziale
- E sempre ad esso bisogna guardare come chiave di lettura di altri due nuclei argomentativi:
1. l’integrale risarcimento non può subire alcuna limitazione legislativa dal meccanismo
tabellare→si attribuisce allora il potere di determinazione dell’integrale risarcimento al
giudice della singola controversia qualora le tabelle pur con i correttivi della personalizzazione
non riescono ad assicurare adeguato risarcimento
2. l’ordinanza di rimessione aveva precisato che la ragione sottesa al rimessione era quella di
precisare per imprescindibili ragioni di certezza del diritto il quadro della risarcibilità del
danno non patrimoniale alla stregua dei contributi di riflessione offerti dalla Sezione semplice
sulla risarcibilità del danno tanatologico
• La sentenza 15350/2015 circoscrive l’ambito in maniera più rigorosa→risarcibilità del danno
perdita della vita immediata→esulano però le questioni relative al risarcimento dei danni derivanti
dalla morte che segua dopo un apprezzabile lasso di tempo alle lesioni, non essendoci contrasto sul
diritto jure hereditatis al risarcimento dei danni
- Unica distinzione→qualificazione, ai fini della liquidazione, del danno da risarcire che può
essere:
1. danno biologico terminale→liquidabile con invalidità assoluta temporanea, sia con il criterio
equitativo puro con le apposite tabelle, ma con il massimo di personalizzazione
2. danno catastrofale→natura di danno morale soggettivo o di danno biologico psichico →ma
non abbiamo differenze rilevanti dal punto di vista della liquidazione
• Perché esprimersi solo su questo ambito? Perché il contrasto era sorto specificamente su questo e
sarebbe stato un esorbitare delle funzioni dell’Organo di nomofilachia soffermarsi su altre (quando
in realtà le stesse ss.uu investite per una questione di particolare importanza avevano esteso
l’ambito di cognizione
- Tuttavia, la circostanza che le ss.uu delimitino così l’ambito della questione senza cedere a un
restatement della categoria del danno non patrimoniale, non esclude la possibilità di desumere
dalla sentenza anche spunti ricostruttivi di carattere generale, soprattutto sul piano del
discorso sulle funzioni

5.3 La prospettiva delle funzioni della responsabilità civile ed il danno non patrimoniale: il
problema del danno tanatologico
• Le ss.uu. mettono a punto l’ormai compiuto superamento della prospettiva originaria secondo la
quale la responsabilità civile era legata a un profilo di natura soggettiva e psicologica che ha
riguardo all’agire dell’autore dell’illecito e vede nel risarcimento una forma di sanzione con
funzione deterrente
- Snodo motivazionale imperniato sulle funzioni della responsabilità civile→la progressiva
autonomia dell’istituto aquiliano rispetto alla responsabilità penale ha determinato
l’obliterazione della funzione sanzionatoria e di deterrenza e l’affermazione della funzione
consolatoria, riparatoria (come dimostra la Suprema Corte in materia di non delibabilità di
sentenze straniere recanti condanna al risarcimento dei danni punitivi
• La sentenza rimarca il fatto di come risulti primaria l’esigenza di riparazione con centralità del
momento del danno, inteso come perdita determinata dalla lesione di una situazione giuridica
soggettiva→nel caso di morte discendente da un atto illecito il danno è rappresentato dalla perdita

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del bene giuridico “vita” che costituisce bene autonomo insuscettibile di essere reintegrato per
l’equivalente con il corollario che la morte non rappresenterebbe la massima offesa possibile del
diverso bene salute, pregiudicato dalla lesione dalla quale sia derivata la morte, diverse essendo le
perdite di natura patrimoniale o non patrimoniale che dalla morte possano derivare ai congiunti in
quanto tali e non eredi→ne consegue che una perdita per rappresentare un danno risarcibile
essere rapportata ad un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio, allora nel
caso di morte l’irrisarcibilità deriva dall’assenza di un soggetto al quale sia collegabile la perdita
stessa →né si può ritenere, come aveva fatto la 1361/2014 che il caso di danno da morte
rappresenti un’ipotesi eccezionale, poiché di tratterebbe di un’eccezione di portata tale da
vanificare la stessa attendibilità del principio →questo perché le sentenze di San Martino muovono
proprio dalla distinzione del danno-evento e danno-conseguenze con il solo risarcimento di
quest’ultimo, e dunque la morte immediata sarebbe un mero danno-evento non avendo alcune
conseguenze apprezzabili
• Le ss.uu disattendono l’argomento che la sentenza 1361 aveva sviluppato a partire dal rilievo del
contrasto con la coscienza sociale della soluzione che avesse negato la risarcibilità jure haereditario
del danno tanatologico→su due piani:
1. Metodologico→la rilevanza della coscienza sociale non ha un rilievo normativo, pur avendolo
sul piano assiologico, e quindi non può guidare legittimamente l’attività dell’interprete
2. Di merito→non si comprende la ragione per cui la coscienza sociale sarebbe soddisfatta solo se
tale risarcimento oltre che ai congiunti fosse corrisposto anche agli eredi per le perdite
proprie→infatti i congiunti avrebbero il risarcimento del danno da perdita di rapporto di
parentela, mentre gli eredi otterrebbero un risarcimento che sarebbe spettato alla vittima
dell’illecita ormai defunta→si potrebbe porre anche un problema di compensatio lucri cum
damno?
• Le ss.uu allora giungono a questo→il fatto che la vita sia bene meritevole di tutela nell’interesse
dell’intera collettiva imporrebbe una previsione di una sanzione di tipo penale, avente come
funzione quella di soddisfare esigenze punitive e di prevenzione della collettività nel suo complesso
senza escludere l’art 185 c.p. al risarcimento dei danni in favore dei soggetti direttamente lesi ,
mentre non imporrebbe anche il riconoscimento della tutela risarcitoria di un interesse che sarebbe
più che collettivo pubblico o generale
• Le ss.uu non trovano neanche quell’orientamento, dal quale Cass. 1361 se ne discostava, secondo
cui non ammettere la risarcibilità del danno tanatologico determinerebbe l’effetto paradossale di
rendere più conveniente uccidere rispetto a che ferire→non è rispondente al vero che
dall’applicazione della vigente disciplina le conseguenze economiche dell’illecita privazione della
vita siano meno onerose per l’autore dell’illecito di quelle che derivano dalle lesioni personali,
essendo indimostrato che la sola esclusione del credito risarcibile trasmissibile agli eredi, comporti
una liquidazione dei danni spettanti ai congiunti di entità inferiore
• Critica alla ss.uu→la ricostruzione dell’arco delle funzioni non è in linea con l’evoluzione più
recente del sistema
- Negli anni ’60→stagione della solidarietà (Rodotà)→centralità di quella riparatoria del danno,
lasciando sullo sfondo il concetto di illecito→A parte Cian che osserva che un sistema che si
fondi sul presupposto della colpevolezza e all’obbligo di risarcimento non soltanto come mezzo
di riparazione ma anche come strumento di giustizia e di prevenzione
- Convengo del 1985→costruire l’intero istituto aquiliano intorno al momento riparatorio del
danno
- Tuttavia Salvi stesso rileva che il profilo sanzionatorio torna ad presentarsi come una sorta di
componente non eliminabile dal sistema sottolineando le perplessità che un uso a scopi
sanzionatori delle tecniche di tutela civilistiche determinano persino delle tecniche di tutela
penali →si è giunti allora a questa conclusione negli anni ’80→impossibilità di ricondurre la

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complessità dell’istituto aquiliano ad una funzione esclusiva e unitaria →infatti la crisi della
responsabilità civile fu una crisi da input
- E a riprova di ciò c’è che→se l’unica funzione dell’istituto sia quella riparatoria del danno
resterebbe da spiegare la ragione per cui il danno non sia sempre risarcito→da questa presa
d’atto allora ne discende un modello bipolare da responsabilità da atto illecito e da
responsabilità oggettiva da rischio lecito (Trimarchi)

5.4 Funzione deterrente della responsabilità e danno non patrimoniale


• Convegno 2007→ “l’obiettivo principale dell’ordinamenti giuridico non consiste in tale riparazione
ma nell’astensione dei consociati da quei comportamenti i quali, in quanto vietati sono
oggettivamente contrari all’ordine della società”→proposta di recupero di un concetto quale quello
di oggettiva antigiuridicità del comportamento tenuto contro un divieto→l’evoluzione dell’istituto
della responsabilità civile può svolgersi anche secondo linee di sviluppo differenti rispetto a quella
meramente riparatoria, dovendo essere collocato anche in una prospettiva rimediale
• Di majo→bisogno differenziato di tutela che ponga attenzione ad un comportamento
particolarmente riprovevole del danneggiante per le modalità e per gli effetti di cui è
capace→allora si può parlare della funzione deterrente quando? Ad una particolare qualificazione
soggettiva della condotta dell’autore dell’illecito→sarà presa in considerazione dall’ordinamento ai
fini della determinazione del quantum della condanna del responsabile→più che danno si parlerà di
rimedio
• Anche il quadro giurisprudenziale è sul punto della funzione più articolato di quanto non emerga
dalla sentenza delle ss.uu→due riferimenti:
1. 7613/2015→funzione di deterrenza in seno al riconoscimento della sussistenza dell’animus
nocendi→ma il discorso da essa proposta sulla molteplicità delle funzioni della responsabilità
civile assume un rilievo solo accidentale perché distingue tra astrenite e danni punitivi per
sottrarre gli ultimi dal giudizio di incompatibilità con l’ordinamento italiano
2. 1126/2015→consente invece di cogliere l’applicazione di una condanna risarcitoria modulata
sul livello particolarmente elevato di riprovevolezza ed offensività del danno inflitto e
comunque in senso punitivo→qui non incidentalmente, ma come ratio della sentenza stessa
• Sic stantibus rebus e se anche I principi di diritto europeo della responsabilità civile sanciscono che
“il risarcimento dei danni ha anche per scopo la prevenzione del danno” si conferma la natura
riduttiva del quadro relativo alle funzione delineato dalle ss.uu→allora il tentativo di ripensare la
categoria del danno tanatologico dovrebbe muovere, oltre che da una ricostruzione del rapporto
tra l’art 2043 e l’art 2059, anche dalla disarticolazione della nozione generica di danno→in questo
modo viene superata anche la preoccupazione, espressa dalla ss.uu, nel senso che l’individuazione
di un’eccezione così significativa al principio della irrilevanza, ai fini risarcitori, del mero danno-
evento, sia tale da scardinarlo senz’altro→prendere atto che il risarcimento del danno, nella
prospettiva di rimedio che possa porre capo ad una condanna risarcitoria sia pure avente valore
soltanto simbolico, può essere innescato anche semplicemente alla lesione di un interesse dotato
di particolare rilevanza come la vita, ovvero attuata con modalità riprovevoli
• Navarretta aderendo alla sentenza→chiarito che la sommatoria delle azioni jure hereditario e jure
proprio per effetto dell’uccisione istantanea della vittima genera, nella maggior parte dei casi,
effetti ingiusti e tutt’altro che desiderabili, si polverizza l’argomento evocato dai ricorrenti e dalla
Terza sezione (basato sulla forza del valore della vita), lasciando residuare quale unica obiezione, il
rischio che in assenza di soggetti legittimati all’azione de iure proprio, l’uccisione della vittima non
produca effetti civilistici, sicché convenga uccidere piuttosto che ferire→ma la mancanza di
danneggiati non vuol dire che si debba forzare il sistema risarcitorio, pur di individuare una
reazione civilistica→il legislatore potrebbe individuare un altro tipo di reazione civilistica, per
ipotesi una sanzione civile, da destinare ad iniziative preventiva

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• Conclusione→ripensamento radicale delle funzioni dell’istituto aquiliano

6 La giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di risarcimento


del danno non patrimoniale tra continuità ed innovazione
6.1 Un nuovo corso della giurisprudenza della Corte di Cassazione sul danno non
patrimoniale?
• Operiamo un fitness check quanto alla tenuta sul piano applicativo dei criteri di decisione enunciati
dalle Sezioni Unite nel 2008→di maggior interesse in occasione di una recente evoluzione della
Terza Sezione civile della Corte di Cassazione la quale, traendo spunto dalla modifica normativa al
codice dell’assicurazione (che distinguono tra danno dinamico-relazionale e morale), ha dato una
valutazione autonoma del danno morale, all’interno della categoria del danno non
patrimoniale→ne risulta un quadro più articolato e complesso rispetto a quello delineato dalle
sentenze di San Martini
- La ordinanza 7513/2018 ha delineato un decalogo (dieci fragranze esistenziali)del risarcimento
del danno non patrimoniale, dieci anni dopo le sentenze di San martino ha voluto proporre un
deciso allontanamento rispetto ai criteri fissati dal novembre 2008→decalogo che ha
consentito il superamento della categoria del danno evento
- Certamente l’ordinanza 7513/2018 non ritorna al passato per quanto riguarda la negazione del
danno esistenziale, però ha riletto la sentenze del 2008 che dopo aver identificato
l’indispensabile situazione soggettiva protetta a livello costituzionale consenta poi al giudice del
merito una rigorosa analisi e valutazione, sul piano della prova, tanto dell’aspetto interiore del
danno (la sofferenza morale in tutti i suoi aspetti, quali il dolore, la vergogna, il rimorso, la
disistima, la tristezza, la malinconia) quanto del suo impatto modificativo in pejus con la vita
quotidiana (il danno esistenziale o dinamico-relazionale)

6.2 L’ordito delle pronunce


• Cass. 15213/2018
- ricorrente di doleva della mancata liquidazione di una somma di denaro a titolo di risarcimento
di danno morale, in un contesto nel quale, secondo la ricostruzione del ricorrente, questa voce
di danno era desumibile in relazione all’incidenza del danno biologico sulla personalità morale
del danneggiato
- rigetto→il danno morale integra un pregiudizio risarcibile autonomamente, ove provato, senza
che ciò comporti alcun duplicazione risarcitoria tuttavia, il giudice di merito, non può limitarsi a
liquidare la componente di “sofferenza soggettiva” mediante l’applicazione automatica di una
quota proporzionale del valore del danno biologico, né procedere alla riduzione automatica
dell’importo corrispondente a quella del danno biologico alla durata effettiva della vita del
danneggiato, ma deve preliminarmente verificare se e come tale specifica componente sia stata
allegata e provata, provvedendo successivamente in caso di esito positivo ad adeguare la
misura della reintegrazione del danno non patrimoniale, indicando il criterio di
personalizzazione adottato che dovrà risultare in coerenza logica con gli elementi circostanziali
ritenuti rilevanti a esprimere l’intensità e la durata della sofferenza psichica
- Aggiunge→il danno patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia e
onnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tener conto di tutti i pregiudizi patiti
dalla vittima concretamente, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di
nomi diversi a pregiudizi identici →ne consegue che è inammissibile, perché costituisce
duplicazione, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato,
del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale (sofferenza soggettiva), il
quale costituisce necessariamente una componente del primo, come pure la liquidazione del

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danno biologico separatamente da quello estetico, da quello della vita di relazione e da quello
esistenziale
• Cass. 23469/2018 (nel solco dell’ordinanza 7513/2018)
- Precisa→nel caso di lesione della salute costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta
attribuzione del danno biologico (inteso come danno che esplica l’incidenza sulla vita
quotidiana del soggetto e delle sua attività dinamico-relazionali) e del danno esistenziale
appartenendo tali categorie o voci alla stessa area protetta dall’art 32 cost.
- Ancora→il danno sarebbe costituito in una dimensione di impraticabile unità (“dalla sofferenza
di non poter più fare”), perché la più superficiale delle disamine delle conseguenze di una grave
lesione di un diritto costituzionalmente tutelato, come quella alla relazione parentale, consente
ictu oculi di affermare, in alcuni casi che, nonostante la intensa sofferenza morale, questa non
incida in tutto o in parte sulle attività dinamico-relazionale del soggetto leso, appartenendo ad
una dimensione diversa dell’essere persona
• Fattore comune delle pronunce→elementi qualificanti: la liquidazione del danno e la prova dello
stesso→compressi o sospesi tra il principio dell’integralità della riparazione e quello della necessità
che la tutela risarcitoria sia innescata solo a fronte di una perdita di utilità reale e concreta della
vittima del fatto lesivo
• Il problema del danno non patrimoniale è il seguente: rendere la condanna risarcitoria a fronte di
fatti produttivi di danno non patrimoniale quanto più possibile coerente rispetto alla sua specifica
funzione di rimedio imperniata sul bipolarismo patrimonialità e non patrimonialità e quindi nel
quadro del dibattito delle funzioni ha trovato compatibilità con i danni punitivi

6.3 Il principio di integralità del risarcimento del danno


• Rapporto con le sentenze del 2008
- Mantenuto il senso profondo dell’intervento del 2008→principio dell’integralità del
risarcimento che muova da:
1. Unitarietà→qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non
suscettibile di valutazione economica
2. Onnicomprensività→obbligo del giudice di tenere conto, ai fini risarcitori, di tutte le
conseguenze dell’evento di danno con il limite dell’evitare le duplicazioni attribuendo nomi
diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di una compiuta istruttoria con tutti i
mezzi di prova necessari, ivi compreso il fatto notorio, le presunzioni e le massime di
esperienza
- Divaricazione solo apparente→distinzione meramente descrittiva
- Elemento differenziante (individuati dall’ultima sentenza, nel solco dell’ordinanza)→la
liquidazione finalisticamente unitaria del danno non patrimoniale (così come per il danno
patrimoniale) avrà il significato di attribuire al danneggiato una somma di denaro che tenga
conto del pregiudizio complessivamente subito:
1. tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore→cui è equiparabile il danno emergente
2. Quanto sotto quello dell’alterazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua
forma→equiparabile al lucro cessante, quale proiezione esterna del soggetto
• Critica→giurisprudenza che si fa dottrina nella misura in cui costruisce le categorie che l’interprete
deve utilizzare per ordinare il sistema→ma rimane comunque apprezzabile lo sforzo di offrire una
risposta al problema di imprimere un assetto rigoroso al sistema del danno non patrimoniale

6.4 Verso una riforma legislativa della materia del danno non patrimoniale
• Il vero problema del risarcimento del danno non patrimoniale attiene al piano della prova e della
liquidazione

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• Intento legislativo proprio sue questi due punti o generalizzando le indicazioni normative di cui agli
artt. 138 e 139 del codice di assicurazioni private, ovvero affrontando, una volta per tutte, il nodo
della funzione sanzionatoria che di fatto assume la condanna al risarcimento del danno non
patrimoniale
• Mentre si vuole revisionare il Codice civile per estendere le ipotesi di risarcibilità del danno non
patrimoniale anche disancorandola dalla necessità di una rigida tipizzazione legislativa e
introducendo criteri di selezione direttamente correlati al rango costituzionale degli interessi lesi

7 Il danno non patrimoniale nella responsabilità contrattuale


7.1 Quattro ragioni per riflettere oggi sul danno non patrimoniale nella responsabilità
contrattuale
1. Fitness check sulla tenuta sul piano applicativo dei criteri di decisione enunciati dalle sentenze di
San Martino, in un contesto in cui una recentissima evoluzione della Terza Sezione della Corte di
Cassazione ha indotto i commentatori a leggere in essa con riferimento al danno non patrimoniale
una rimessa in discussione dei principi accreditati dalle ss.uu del 2008→ovviamente il fitness check
è in riferimento al danno non patrimoniale contrattuale e che, si anticipa, hanno dato una buona
prova di sé ponendo un freno a pretese bagatellari
2. Punti di emersione sul piano normativo→legge 219/2017 (Consenso informato e DAT), la quale
fonda un’obbligazione di fonte legale quanto alla relazione di cura e fiducia tra paziente e medico
che si basa sul consenso informato→inadempimento sarà fonte di danni non patrimoniali →non
solo casi meramente teorici ma hanno una rilevanza pratica (Caso Englaro, per mezzo del quale è
stato ritenuto risarcibile il danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto ad
autodeterminarsi→si è ritenuto che le informazione dovute dal medico siano coessenziali
all’esercizio del diritto alla salute. Quindi informare serve a mettere il paziente nelle condizioni di
scegliere in ragion veduta. Il corollario è che se il paziente sappia quelle informazioni, l’eventuale
inadempimento dell’obbligo di informarlo è irrilevante perché non reca un vulnus
all’autodeterminazione)→allora lo spazio operativo della responsabilità contrattuale sottratto con
la legge 24/2017 potrebbe essere riguadagnato proprio sotto questo punto
3. Prova e liquidazione del danno soppressi o sospesi tra il principio di integralità della riparazione del
danno e quello della necessità di innescare una tutela solo a fronte di una perdita effettiva
4. Indirizzo giurisprudenziale che muovendo dagli spunti normativi in materia del codice di
assicurazione ha dato ingresso a una valutazione autonoma del danno morale

7.2 L’assetto della materia prima dell’intervento delle ss.uu e le linee del suo superamento
• Una ricognizione della dottrina italiana che si mostrava più sensibile all’esigenza di assicurare una
tutela financo ad interessi della persona insuscettibili di valutazione economica, ha reso evidente
un atteggiamento di cautela nei confronti del problema del danno non patrimoniale
contrattuale→due Autori:
1. Il danno non patrimoniale contrattuale sarebbe giuridicamente irrilevante, se non nelle ipotesi
di lesione di diritti fondamentali e di inadempimenti-reati (Bianca)
2. Contrattualizzazione dei danni alla persona (Breccia)
• Prive di seguito le seguenti riflessioni→
1. Il termine perdita, contenuto nel 1223 cc., si presta a ricomprendere la privazione di qualsiasi
cosa o vantaggio e quindi tanto di un bene suscettibile di essere valutato pecuniariamente in
via oggettiva, quanto di un bene che sfugge al mondo economico (Bonilini)
2. La norma (art 1174) già ammetteva il carattere non patrimoniale dell’interesse creditorio e
questo sarebbe stato sufficiente a dar rilevanza al risarcimento del danno non patrimoniale
contrattuale

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• In anni più prossimi, in coincidenza temporale con le ss.uu del 2008, si è verificata un’accentuata
attenzione sui temi del danno non patrimoniale contrattuale:
1. Riprendendo la riflessione di Bonilini→con la messa in chiaro che, dunque, l’obbligo di risarcire
integralmente il danno unitariamente subito dalla vittima dell’inadempimento contrattuale non
può essere inteso quale eccezione ad un principio della risarcibilità dei danni patrimoniali,
discendendo invero proprio dall’art 1223→e ancora dovendosi escludere ogni dubbio circa la
imprevedibilità del danno non patrimoniale dato che sin dal momento delle trattative le
persone definiscono le potenze che il contratto dovrebbe attualizzare nel suo evolversi
fisiologico (Tascione)
2. Riprendendo la seconda riflessione→osservandosi che l’individuazione dell’ambito del
risarcimento dei danni non patrimoniali rimanga per un verso un problema di corretta
interpretazione del titolo contrattuale circa la delimitazione degli obblighi gravanti sulle parti; e
per l’altro un problema di prevedibilità del danno al tempo in cui è sorta l’obbligazione ex art
1225
• Purtuttavia, la stessa elaborazione giurisprudenziale non sembrava proporre spunti di particolare
interesse tanto che si era concentrata su argomenti come il danno da vacanza rovinata→Discorso
diverso per quanto riguardava la responsabilità del datore di lavoro derivante dall’obbligo di
protezione ex art 2087→infatti le stesse sentenze di San Martino hanno enfatizzato come uno dei
casi in cui era la stessa legge ad inserire nell’area del rapporto interessi non patrimoniali, fondando
in questo modo la conclusione che nel caso in cui l’inadempimento avesse provocato la loro
lesione, era dovuto il risarcimento non patrimoniale:
- esemplare era l’orientamento già al momento delle ss.uu del 2008 il quale in relazione al
demansionamento del lavoratore aveva osservato che quest’ultimo costituisce lesione del
diritto fondamentale alla libera esplicazione della personalità del lavoratore nel luogo di lavoro,
con la conseguenza che il pregiudizio conseguente incide sulla vita professionale e di relazione
dell’interessato→sebbene, tuttavia, la sentenza facesse riferimento ad una dimensione
patrimoniale di tale perdita
• ma questo assetto cauto o peggio refrattario nei confronti della configurabilità del risarcimento del
danno non patrimoniale contrattuale non poteva durare a lungo→analizziamo quali sono le ragioni:
1. Accentuata rilevanza degli interessi post-acquisitivi (non riconducibili allo schema appropriativo
di un bene materiale)→l’homo consumens ha più interessi non patrimoniali che trovano
giuridizzazione nel contratto→la de-patrimonializzazione del diritto privato, figlia anche della
centralità della persona nel disegno del costituente
2. Internazionalmente parlando abbiamo vari spunti:
a. Diritto privato europeo→Principi di diritto europeo dei contratti→il danno di cui può
essere demandato il risarcimento comprende il danno non patrimoniale e patrimoniale
b. Principal definitions and model rules of European private law→loss includes economic end
non-economic loss
c. Riforma della responsabilità civile francese del 2017
d. BGB

7.3 Il danno non patrimoniale contrattuale risarcibile


• Sezioni unite del 2008→risarcibilità del danno non patrimoniale da inadempimento di
un’obbligazione preesistente, formulata sulla premessa che “dal principio del necessario
riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal
risarcimento, consegue che la lesione per i diritti inviolabili della persona che abbia comportato
un danno non patrimoniale comporta l’obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte
contrattuale o extracontrattuale”

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- Navarretta-Poletti→rilevano il tasso di novità, pur prendendo atto che le decisioni non siano
del tutto inaspettate, sia per le regole prospettate dalla giurisprudenza del 2003, sia per fattori
ravvisati nel sopravvenuto mutamento della concezione del contratto, superamento di una
visione ontologicamente patrimoniale del danno contrattuale e estensione progressiva della
responsabilità da inadempimento
- Anticipa la soluzione prefigurata dal legislatore francese nel 2017
• Punto critico→criterio selettivo del danno non patrimoniale attraverso il ricorso alla categoria dei
diritti inviolabili costituzionalmente protetti→si è osservato che la Costituzione non si addice al
contratto, dovendo piuttosto essere rimessa nelle mani delle parti del contratto stesso la regola di
risarcibilità del danno non patrimoniale (Amato)→è del tutto coerente con lo schema del contatto
sociale progettato dalle parti rendere decisiva la scelta dei contraenti che avevano inteso far
rientrare nello scopo di protezione del contratto una specifica situazione soggettiva pur non
appartenente all’area dei diritti inviolabili così da precostituire un giudizio di rilevanza della perdita
che dalla lesione di questa situazione soggettiva sia derivata→Benni De Sena: allora non è chiaro
perché debba essere attribuito rilievo ai soli interessi costituzionalmente protetti
- E questo trova conferma nella previsione di una fonte legale di risarcibilità che non esclude la
concorrenza di una fonte contrattuale, anzi; infatti, dovrà essere la seconda a prevalere purchè
non contempli la stessa una deroga in pejus della tutela assicurata dalla fonte legale
- Altro punto di conferma→ La necessità di tener conto dell’assetto impresso dai contraenti era
assai chiara anche nell’impostazione delle Sezioni unite del 2008, laddove essere affermano che
si tratta di accertare la causa concreta da intendersi come sintesi degli interessi reale che il
contratto è inteso a realizzare→e se l’interesse leso rientra tra questi l’unico limite sarà quello
della prevedibilità dx art 1225, ove l’inadempimento non sia doloso→questo perché? Perché
quando la condotta inadempiente abbia determinato un pregiudizio non patrimoniale
divaricato rispetto a quello che le parti abbiano definito in precedenza è un danno irrisarcibile
perché non vi è neanche un nesso di causalità all’inadempimento (Trimarchi)
- L’unica ipotesi in cui è risarcibile il danno che consista nella lesione di soli diritti
costituzionalmente protetti è l’obbligazione di fonte non contrattuale dove non entra in gioco
la causa→ipotesi di c.s.q.
• La critica della dottrina alla elaborazione giurisprudenziale si annida tutta sulla teoria del contratto
e individuiamo i due cardini (alternativi o non lo scopriremo alla fine) attorno ai quali si enuclea la
critica stessa:
1. Causa concreta→causa turistica (domanda dell’acquirente di un pacchetto di viaggio turistico a
Cuba intesa ad ottenere la risoluzione del contratto per l’esistenza di una pandemia)
→problema è che in quei casi si sarebbe trattato non di un problema ascrivibile all’area di
quelli che può essere risolto facendo leva sulla causa, ma di una questione diversa: chi deve
sopportare il rischio della infruibilità della prestazione (creditore se si colloca nella sua sfera
soggettiva, per esempio per febbre, debitore se dipende da fattori che si collocano sul piano
oggettivo della prestazione
2. Interpretazione secondo buona fede (Navarretta-Poletti)→la sola causa concreta non è
risolutiva, perché individuato l’interesse non patrimoniale definitivo nella causa del contratto
non si innesca un automatismo in base al quale quell’interesse sia poi rilevante e
risarcibile→bisogna provare, una volta individuato l’interesse, che la violazione contrattuale
abbia coinvolto proprio l’interesse non patrimoniale in condizioni tali che, secondo buona fede,
possa ritenersi implicita la pattuizione del risarcimento del danno non patrimoniale→In guisa di
ciò Navarretta critica la sentenza 13370/2018 nella misura in cui questa non ha detto quanto
espresso poca anzi ma si è limitata a escludere la risarcibilità di un danno non patrimoniale
sulla mera assenza di una previsione costituzionale (diritto a ricordare il giorno del matrimonio
attraverso documentazione)

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o Ma questi due punti sono alternativi o complementari? Secondo Scognamiglio sarebbero
complementari posto che tra interpretazione e rilevazione degli interessi perseguiti dai
contraenti vi è un rapporto di circolarità→è solo con una interpretazione secondo buona
fede che si desume la misura dei diritti e degli obblighi gravanti su ciascuna delle due parti
e dunque l’area di responsabilità nella quale incorre il contraente nel caso di
inadempimento
• Perché, però, ad onta dell’individuazione del criterio di selezione di interessi più congruo per
determinare l’insorgere di responsabilità contrattuale per danno non patrimoniale, questo non ha
dato luogo a particolari problemi applicativi? Perché gli orientamenti giurisprudenziali più recenti
hanno posto l’accento su un altro criterio di selezione: la perdita effettiva di utilità (parliamo di
utilità personali), tale da superare la soglia minima di tollerabilità e non esaurirsi in meri disagi o
fastidi
- Troviamo un riferimento in materia del danno da vacanza rovinata così come disciplinato dopo
il 2011 nel codice del turismo→questo non solo nel solco dei principi enunciati, ma soprattutto
in base all’art 47 d.lgs. 79/2011 il quale, seppur con rimando alla non scarsa importanza
dell’inadempimento, pone l’accento sulla serietà della lesione ed attribuisce al turista oltre che
alla risoluzione anche un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente
trascorso ed all’irripetibilità dell’occasione perduta (Tribunale di Ferrara nel 2010: non
risarcibile il pregiudizio lamentano da due turisti per essersi visti assegnare durante il viaggio di
nozze due letti gemelli anziché uno matrimoniale)
- Ratio della regola del 47 secondo la giurisprudenza→condivide le occasioni delle sentenze del
2008, ponendo l’accento sulla valorizzazione della regola di correttezza e di buona fede
oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta che accompagna il contratto in ogni sua
fase→la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale per disagi e fastidi da qualificarsi
minimi, avuto sempre presente la causa concreta, costituirebbe un abuso, in danno del
debitore, della tutela accordata al creditore/consumatore
• Conclusione→fitness check con le sentenze del 2008 si conclude in positivo

7.4 Il problema della prova e della liquidazione


• Proprio su questo punto la dottrina (Trimarchi) ha condotto un ragionamento tale da condurre ad
una riduzione drastica dell’area di incidenza del problema del danno non patrimoniale
contrattuale→al di fuori dei rapporti degli imprenditori, sarebbe bensì normale che “per il
consumatore o utilizzatore finale l’interesse leso dall’inadempimento abbia soggettivamente un
valore superiore a quello della prestazione mancata, ma non misurabile oggettivamente e
direttamente sul mercato→la delusione per l’inadempimento presso il quale si era fissato un
soggiorno di vacanze, ha di regola un valore superiore al prezzo del soggiorno e il surplus del
consumatore è suscettibile di essere descritto come la differenza tra il prezzo contrattuale il prezzo
che il cliente sarebbe disposto ad accettare in corrispettivo della sua rinuncia al contratto→questa
potrebbe essere accertata solo alla luce di un’intervista in cui sia assicurata la sincerità della
risposta, così rendendosi evidente una impossibilità di valutazione oggettiva
- L’aporia che queste notazioni segnalano spiega la difficoltà di un’impostazione affidante delle
questioni di prova e liquidazione del danno→saranno affrontate con riferimento a tre aree di
problemi:
1. Danno da vacanza rovinata→tempo di vacanza inutilmente trascorso ed alla irripetibilità
dell’occasione perduta → la raggiunta prova dell’inadempimento esaurisce in sé la prova anche del
verificarsi del danno atteso che gli stati psichici non possono formare oggetto di una prova diretta e
sono desumibili dalla mancata realizzazione della finalità turistica→danno in re ipsa (ma nel caso di
quella sentenza si trattava di un caso irripetibile (il viaggio di nozze della coppia dei turisti) e che

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comunque lungi dall’accreditare la tesi di danno in re ipsa, la sentenza pone l’accento sulla possibilità
di ricorrere alla prova per presunzioni

-Analizziamo due distinti indirizzi:


1.1. Il danno non patrimoniale parametrato ad una percentuale dell’ammontare del
corrispettivo pattuito per il contratto turistico e del costo complessivo del viaggio
1.2. Valorizza l’equità sulla base delle indicazioni contenute nella disposizione normativa
poc’anzi richiamata e di una valutazione congiunta delle stesse
- A conferma di ciò c’è la difficoltà di ricondurre ad una valutazione in denaro un pregiudizio che
si colloca invece sul piano della non patrimonialità →se è vero che il costo del pacchetto
turistico esprime non solo il valore di mercato della prestazione e l’utilità marginale che ha per
il turista, è altrettanto vero che gli aspetti cui ha riguardo l’art 47 del codice del turismo,
prescindono largamente da un’immediata riconduzione ai circuiti valutativi dell’economia di
mercato, così da rendere opinabile se non arbitraria un’operazione di liquidazione del danno
che si avvalga di parametri patrimoniali→sarebbe auspicabile, l’approdo come nel sistema
tedesco ad un sistema di tabelle di formazione giurisprudenziale che valgono ad indirizzare in
termini di sufficiente prevedibilità l’equità in sede di liquidazione , pur lasciando uno spazio
significativo all’apprezzamento di tutte le circostanze del caso
2. Danno subito dal lavoratore per violazione dell’obbligo di protezione sancito dall’art 2087 cc ovvero
dagli altri obblighi posti a carico del datore di lavoro (art 2103 cc.)→la risarcibilità degli stessi non
viene mai messa in dubbio proprio perché questo caso rappresenta una delle ipotesi in cui la
protezione di beni o interessi estranei all’area di quelli patrimoniali discende già da una scelta del
legislatore→criteri di valutazione squisitamente patrimoniali: la retribuzione, la quale se esprime
tuttavia il valore di mercato della professionalità del lavoratore, molto più difficilmente può essere
apprezzata come criterio attendibile per liquidare il danno non patrimoniale discendente dalla lesione
di interessi attinenti alla dignità del lavoratore
- Utile banco di prova circa la tenuta di un altro dei capisaldi delle sentenze del 2008→esse
affermavano che andava disattesa la tesi che identifica il danno con l’evento dannoso (danno-
evento) ed è da respingere la variante costituita dall’affermazione che, nel caso di lesione di
valori della persona, il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del
risarcimento che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un
danno, ma quale pena privata per il comportamento lesivo →orientamento confermato dalla
giurisprudenza lavoristica (Cass. 17163/2016)→in tema di prova del danno da dequalificazione
professionale: non è sufficiente a fondare una corretta inferenza presuntiva il semplice
richiamo di categoria generali, come la qualità e quantità del lavoro, la gravità del
demansionamento, ecc.; ma il giudice di merito deve procedere nell’ambito di tali categorie ad
una precisa individuazione dei fatti idonei e rilevanti ai fini della dimostrazione del fatto ignoto,
alla stregua di canoni di probabilità e regole di comune esperienza→danno conseguenza che
deve essere allegato e provato
- Il discorso anche se calibrato a livello applicativo sull’uso della prova per presunzioni, finisce
per intaccare il discorso sulle funzioni della condanna risarcitoria→ferma restando la
evoluzione che si è registrata sul versante della responsabilità extracontrattuale, si ha la
sensazione che nella materia della tutela della personalità del lavoratore subordinato e
soprattutto in presenza di inadempimenti datoriali di un elevato grado di lesione della dignità,
la condanna risarcitoria finisce per assumere una coloritura sanzionatoria: con il problema che
questa non è coperta dalla riserva di legge che discende dagli artt. 23 e 25 cost. e rischia
dunque di porre in discussione l’affermazione dell’inconfigurabilità del danno evento (pure
accreditata dalle Sezioni unite del 2008, e allora il fitness check avrebbe un esito perplesso qui)

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→del resto una conferma della necessaria previsione legislativa che attribuisca rilevanza
all’elemento soggettivo dell’illecito dell’autore del fatto dannoso la rinveniamo nella legge
24/2017 all’art 7
3. Responsabilità del medico o della struttura sanitaria per errata diagnosi che, pur in presenza di una
malattia ad esito certamente infausto, abbia impedito al paziente di autodeterminarsi nella scelta
delle terapie e di “organizzare la propria vita” sulla base di una decisione consapevole→riguardando
la lesione del valore della dignità dell’uomo, allora sarà inevitabile il ricorso alla liquidazione
equitativa, avuto riguardo alla serietà della lesione e alla gravità dell’offesa arrecata alla dignità
dell’uomo→la risoluzione del problema potrà giovarsi dell’elaborazione in materia di danno non
patrimoniale evocato dalla sentenza 901/2018 e dall’ordinanza 7513/2018→dove si è proposta,
traendo spunto dal codice delle assicurazioni ad una distinzione sul piano della liquidazione e della
prova tra danno interiore-morale e danno esteriore-dinamico-relazionale
• Conclusione→fitness check
1. esito negativo per quanto concerne la nozione di danno non patrimoniale→si pensi al decalogo
del danno non patrimoniale contenuto nell’ordinanza 7513/2018
2. senso profondo immutato→integrale riparazione del danno alla persona

8 La Cassazione delinea presupposti e limiti di risarcibilità del danno non


patrimoniale contrattuale nell’azione di classe
8.1 Il caso: Cass. n. 14886/2019
• Caso→Sentenza che annulla una decisione della Corte di Appello di Milano che si era pronunciata
su un’azione di classe proposta contro la Trenord (società esercente il servizio di trasporto
ferroviario regionale in Lombardia) in relazione ai pregiudizi patiti dai viaggiatori per 10 giorni a
causa di ritardi, cancellazioni di convogli o sovraffollamento, a loro volta originati dall’introduzione
di un sistema informatico inadeguato
• Fase di delibabilità dell’ammissibilità della domanda ha richiamato la dottrina:
1. Tribunale di Milano→inammissibilità sulla scorta della disomogeneità dei diritti individuali vantati
dagli attori→omogeneità richiesta dall’art 140-bis codice di consumo nel testo modificato dalla
legge 27/2012 (prima era identità)→il tribunale aveva ritenuto:
1.1. Comune la causa degli inadempimenti→utilizzazione di un sistema di informazione inadeguato
1.2. Diverse le conseguenze dell’inadempimento delle obbligazioni discendenti dal contratto di
trasporto→andavano dai ritardi di ore, a cancellazioni e a casi di sovraffollamento
1.3. Diversi anche i danni→impossibilità di equiparare il ritardo di poche decine di minuti a quello di
ore→anche i danni dovevano presentare tratti comuni
2. Appello di Milano→revoca la pronuncia di inammissibilità con due ordinanze gemelle (2014)
Reazione della dottrina
1. Apprezzato lo sforzo di portare a compimento uno degli aspetti qualificanti dell’azione di classe
cioè l’abbattimento dei costi della individualizzazione delle pretese per mezzo di una soluzione
standardizzata al problema della liquidazione del danno patrimoniale e non
patrimoniale→Giussani: il diritto sostanziale viene attuato in maniera imprecisa, ma senza
l’istituto non sarebbe attuato affatto
2. Sul versante del risarcimento→apprezzata la valorizzazione del principio della riparazione
integrale del danno attraverso l’applicazione dello statuto della responsabilità civile con un
margine di flessibilità→
2.1. sottolineandosi soprattutto la risarcibilità del danno non patrimoniale omogeneo,
potendosi ritenete comuni le afflizioni, il patimento, le ansie, connessi alle estenuanti ore di
attesa ed alle limitazioni della libertà di circolazione sofferte dai viaggiatori (Zuffi)

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2.2. mentre irrisarcibilità del danno patrimoniale per la eccessiva pluralità delle posizioni dei
singoli danneggiati

8.2 La portata della decisione nella prospettiva della generalizzazione del rimedio
dell’azione di classe attuata dalla l.39/2019
• Sentenza della Corte di Appello di Milano ritenuta “storica” (Giussani)→allora l’annullamento della
Cassazione desta, prima facie, perplessità→soprattutto alla luce dell’evoluzione dell’istituto
dell’azione di classe che acquista portata generale dal punto di vista soggettivo (non più
legittimazione attiva spettante ai soli consumatori, ma chiunque vanti diritti individuali omogenei)
• Perplessità solo apparente→la Cassazione, nella motivazione, consolida due acquisizioni
ricostruttive della sentenza di Appello nella prospettiva dell’utilizzazione di un rimedio che ha
(avrà) portata generale
1. Accreditata la tesi secondo cui i diritti individuali omogenei sono suscettibili di essere ravvisati
anche con riferimento a pretese risarcitorie
2. Queste ultime possono approdare alla tutela somministrata con l’action class anche quando
abbiano ad oggetto danni non patrimoniali→condizione: tratti comuni a tutti i membri della
classe, purché comprovati e specificati→vengono soddisfatte due esigenze:
2.1. Standardizzazione della pretesa risarcitoria
2.2. Lasciare fuori dall’area applicativa dell’azione di classe il danno non patrimoniale
personalizzato, del quale il danneggiato potrà domandare il risarcimento con azione
individuale (per chi non aderisce all’azione collettiva)
- Naturalmente la scelta sarà del singolo danneggiato→su un giudizio di prevalenza tra i tratti
comuni o le peculiarità)
- Soluzione questa che nei primi anni di vigenza della originaria formulazione della disciplina
dell’azione collettiva era stata revocata in discussione proprio sull’affermazione della
inevitabile inconfigurabilità del requisito della commonality in presenza di un danno non
patrimoniale→Libertini: la concezione del danno non patrimoniale risarcibile (di impossibilità di
essere liquidato secondo un criterio omogeno di calcolo) viene sostituita nella pratica
giudiziaria dall’applicazione dei criteri tabellari e quindi forfetari→allora anche i danni non
patrimoniali possono esibire il tratto della comunanza rispetto agli altri appartenenti alla classe
• Merito della sentenza della Cass.→cogliere la logica sottesa all’azione di classe→nel contesto della
quale:
1. l’attore in giudizio deve bensì accettare un accertamento del proprio diritto ragionevolmente
approssimativo (e dunque ottenere una liquidazione commisurata al pregiudizio suscettibile di
dirsi omogeneo) a fronte del vantaggio consistente di conseguire una pretesa risarcitoria
seppur standardizzata ma ad un costo sostenibile, diversamente da quanto accadrebbe se fosse
fatta valere in un giudizio individuale
2. contestualmente anche il convenuto sopporterà un costo più contenuto senza che questa
riduzione comprima la funzione deterrente da condotte illecite→infatti sarà statisticamente
inferiore il numero di coloro che avrebbero fatto valere domande in giudizi individuali rispetto
a coloro che accederanno all’azione di classe
• Conclusione→la sentenza delinea coordinate interpretative condivisibili e sul piano
dell’applicazione della nuova disciplina dell’azione di classe sono tali da creare un terreno propizio
alla utilizzazione del rimedio anche quanto a pretese risarcitorie non patrimoniali

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8.3 Azione di classe e danno non patrimoniale contrattuale: il criterio selettivo della
serietà e gravità della lesione
• Non si può esprimere lo stesso elogio nei confronti della Cassazione per ciò che concerne la critica
mossa alla sentenza di Appello, e che ha condotto all’annullamento della stessa, per aver
trascurato:
1. Tanto l’aspetto relativo alla identificazione dell’interesse costituzionalmente protetto, a monte
dei pregiudizi non patrimoniali risarciti (salvo un generico riferimento alle “limitazioni sofferte
rispetto alla propria libera circolazione” di cui all’art 16 cost.)
2. Quanto la specifica identificazione e descrizione delle forme e dei modi in cui i pregiudizi non
patrimoniali pretesamente individuati avrebbero effettivamente superato quella soglia di
sufficiente gravità e serietà (individuato come limite imprescindibile dalle sentenze del 2008)
• Analizziamo il secondo profilo
- è stata da tempo colta un’aporia insanabile apparentemente che si delinea in materia: se la
azione di classe trova la propria giustificazione operativa come rimedio a pretese che, per la
loro dimensione quantitativa circoscritta, se non talvolta bagatellare, non sarebbero coltivabili
dal titolare di esse, a meno di sopportare costi sproporzionati rispetto all’entità delle
stesse→allora risulterebbe contradditorio prevedere anche in materia di azione di classe il
requisito della gravità e serietà della lesione
- Ma la Cassazione rileva condivisibilmente che il risarcimento del danno non patrimoniale
nell’azione di classe non possa prescindere dalla verifica di quel requisito della gravità della
lesione di una situazione soggettiva in ipotesi rientrante tra quelle tutelate nel
contratto→avremmo due problemi:
1. Funzionalità del rimedio→rischio di risarcire pretese che individualmente proposte
sarebbero destinate al rigetto in virtù della loro marginale rilevanza
2. Sistematicamente parlando la conseguenze è→duplice statuto di risarcibilità del danno
non patrimoniale: uno per l’azione collettiva, l’altro per quella di classe
- Rileva poi che la contraddizione tra l’area delle pretese che tipicamente potrebbero trovare
sbocco in un’azione di classe e la griglia selettiva del danno non patrimoniale risarcibile è più
apparente che reale→la modesta entità della prestazione risarcitoria suscettibile di essere
ottenuta in sede giudiziale- tale da disincentivare l’azione individuale- non è sempre il riflesso
dell’assenza di gravità o serietà della lesione
- Esemplificazione→sarebbe difficile negare l’esistenza di una lesione sufficientemente seria e
grave di una situazione soggettiva giuridica protetta dal contratto del trasporto ferroviario di
persone in un blocco del convoglio, ascrivibile all’esercente il servizio, protrattasi per ore ed
accompagnata dal malfunzionamento dell’impianto di condizionamento dell’aria all’interno
della vettura→lasciando stare le ipotesi di danno alla salute del passeggero (soddisfatto
individualmente) è arduo pensare ad una condanna eccedente le poche centinaia di euro→si
tratterebbe dunque proprio in quel genere di condanna risarcitoria tale da escludere la
sostenibilità economica di un’azione individuale ed invece del tutto coerente con la ratio
dell’action class
• Conclusione→anche nell’azione selettiva la griglia di valutazione del danno non patrimoniale
affidata al criterio della gravità e della serietà della lesione ha una sua indubbia capacità selettiva,
consentendo di distinguere tra pregiudizi che per la loro marginale rilevanza debbono restare a
carico di chi li ha subiti→perché corrispondenti a quell’area di pregiudizi che ciascuno deve
tollerare (esemplificazione→non v’è dubbio che ciascuno degli utenti di questa modalità di
trasporto abbiano tratto vantaggio in termini di costi e di miglioramento del servizio e allora dovrà
tollerare quei disagi, in termini di ritardi resi più frequenti dall’affollamento dovuto a quei vantaggi
- Fondamento→regola di correttezza nel momento funzionale del contratto

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8.4 Il danno non patrimoniale contrattuale risarcibile tra causa concreta ed
interpretazione del contratto secondo buona fede
• Abbiamo invece più ragioni di dissenso circa il primo profilo→Rimando in materia al par. 7.3
• Conclusione→l’affermazione di risarcibilità del danno non patrimoniale, nel quadro dell’azione di
classe esperita in relazione alla serie di disservizi ferroviari, avrebbe potuto essere argomentata per
mezzo del richiamo all’art 1681 cc. e del suo riferimento comprensivo ai sinistri che colpiscono la
persona del viaggiatore, che appare in grado di racchiudere al proprio interno tutti i fatti produttivi
di danno per quest’ultimo→ferma restando la verifica circa la serietà e gravità della lesione e
l’effettività della perdita→ed è proprio il fatto che il titolo contrattuale sia sufficiente ad assicurare,
entro i limiti da ultimi richiamati, l’esito di risarcibilità del danno non patrimoniale e a qualificare
nei termini di una sorta di sovrabbondanza il riferimento all’art 16 cost.

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Il contatto sociale qualificato

9 Responsabilità precontrattuale e “contatto sociale qualificato”


9.1 La relazione precontrattuale e la buona fede
• Sentenza 14188/2016→contributo ulteriore e forse definitivo sulla qualificazione della
responsabilità precontrattuale in responsabilità da inadempimento di un’obbligazione preesistente
• Dibattito giurisprudenziale→necessario più di mezzo secolo (Cass. nel 2011 con due sentenze) per
giungere a questo orientamento definitivo, sempre stato oscillante
- Un primo imprinting in questo senso lo rinveniamo già nel 1956 con Mengoni
1. con la disposizione del 1337 il legislatore ha esteso l’imperativo della buona fede alla fase
delle trattative e della formazione del contratto, e ciò importa che gli obblighi reciproci di
correttezza (di cui al 1175) sorgono già in questa fase in funzione dello specifico interesse
di protezione della controparte, in quanto attraverso la relazione instaurata dalle trattative
la controparte viene investita dalla possibilità di ingerenze dannose
2. e ancora: si tratta di responsabilità da inadempimento di una obbligazione preesistente
quando una norma giuridica assoggetta lo svolgimento di una relazione sociale
all’imperativo della buona fede, ciò è un indice che questa relazione si è trasformata sul
piano giuridico in un rapporto obbligatorio, il cui contenuto si tratta di specificare a stregua
di una valutazione di buona fede
3. e ancora: il principio della buona fede oggettiva si è sviluppato come una direttiva peculiare
dei rapporti obbligatori e non può esistere all’infuori di essi, congiurandosi nel suo
contrario in un inadempimento, difatti nel linguaggio romano fidem preastare designa
adempimento di una obbligazione
- Ma se allora la ricostruzione argomentativa è così chiara e limpida, alla luce anche del dato
normativo (1337), allora perché riscontriamo una resistenza negli indirizzi giurisprudenziali in
particolare proprio della Suprema Corte? Un orientamento che, ad oggi si è affrancato da
questa anomalia, ma per anni è stato sordo ad ogni contraria sollecitazione dottrinale
• È significativo che la sentenza 14188/2016 sia della Sezione semplice, e la questione non è stata
rimessa invece alle Sezioni Unite, ad onta della rivendicazioni della natura aquiliana della
responsabilità precontrattuale, successiva a due sentenze del 2011 che invece avevano revocato in
discussione il precedente indirizzo giurisprudenziale sul tema della natura aquiliana→vari esempi
nel 2012 di sentenze di segno opposto→non è avvenuta la rimessione alle ss.uu a conferma del
fatto che i tempi erano in effetti culturalmente maturi per un accreditamento della soluzione che
qualifica la responsabilità precontrattuale come c.d. contrattuale
- Non è da condividere invece chi ritiene che il problema sia di scarso interesse, destinata a
rimanere irrilevante la qualificazione della natura della responsabilità precontrattuale→due
rilievi fondamentali:
1. prescrizione applicabile alla domanda risarcitoria (10 anni anziché 5)
2. sistematicamente parlando→solo una responsabilità precontrattuale restituita alla
dimensione del rapporto che può costituire il modello normativo di riferimento per il
proliferare di ipotesi di responsabilità da contatto sociale qualificato che la giurisprudenza
ha, negli anni, enucleato (significativo lo spazio dato nella motivazione dalla sentenza)

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9.2 Il modello ricostruttivo del contatto sociale qualificato
• Il modello di contatto sociale che emerge dalla sentenza 14188/2016, peraltro simile ad una delle
due sentenze del 2011, rappresenta un esempio efficace di quello che può essere una relazione
particolare che rinviene fondamento proprio nell’insorgenza di un affidamento dell’una parte sulla
condotta dell’altra, affidamento a sua volta reso giuridicamente rilevante dall’esistenza
dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede
• Situazioni che evocano i referenti fattuali ai quali ha riguardo la previsione 311 BGB la quale
risponde all’esigenza di affermare chiaramente l’insorgenza di obblighi di protezione a seguito del
contatto negoziale
• Trova conferma quindi sul piano giurisprudenziale la categoria della responsabilità da contatto
sociale qualificato→analizziamo critiche e controcritiche:
1. Critica dottrinale (Barcellona)→osterebbe all’ammissibilità di una responsabilità da contatto
sociale qualificato il fatto che il rapporto obbligatorio, la violazione del quale dovrebbe dare ad
essa vita, vede il proprio oggetto limitato alla sola protezione della sfera giuridica altrui→e non
si potrebbe dare un obbligo di protezione sospeso senza che non sia, appunto, legato ad un
obbligo primario di prestazione (del debitore)→e questo troverebbe conferma nel 1174 che
afferma che l’obbligazione consiste nella prestazione (Giorgianni)
1.1. Critica non decisiva→non è sostenibile che l’art 1174, o più a monte ancora, l’idea stessa di
obbligazione precludano di ravvisare un’obbligazione anche là dove vi sia una mera
protezione→infatti l’art 1174 mette a punto la sufficienza della mera suscettibilità
dell’oggetto dell’obbligazione di essere valutato economicamente (qualcuno che sia
disposto a pagare un prezzo per quella protezione)
2. Critica dottrinale (Zaccaria)→timore di un uso eversivo della categoria che sarebbe insisto nel
fatto che fonti di obbligazioni possono essere ravvisate in semplici rapporti sociali, in se e per sé
considerati, rapporti la cui fisionomia un giudice potrebbe accertare in modo del tutto libero e
incontrollabile, mancando un sistema che potrà essere utilizzato quale metro normativo utile
per verificare la legittimità delle decisioni assunte→violando anche l’art. 23 Cost
2.1. Controcritica→ma la scelta di affidare all’interprete la possibilità di individuare il fatto o
l’atto produttivo di obbligazioni non è altro che operata dallo stesso 1173 e il rischio di
questa operazione non può negare questa scelta
2.2. Altra controcritica→il procedimento valutativo che può condurre all’affermazione di
responsabilità da contatto sociale, non è condizionato solo alla circostanza che il contatto
interessi beni costituzionalmente protetti, ma questo argomento si coniuga con la
particolare intensità dell’affidamento che il paziente può ragionevolmente riporre sullo
status professionale del medico che concorre a creare un rapporto qualificato (così da
escludere responsabilità aquiliana)
3. Critica dottrinale (Di Majo)→superfluità dell’utilizzazione del modello del contatto sociale
qualificato in settori o fattispecie in cui soccorre più facilmente la norma di legge quale fonte di
un obbligo specifico (come quello di buona fede e correttezza) e per il suo tramite di obblighi di
protezione che della buona fede intendono esprimere la forma concreta di tutela→ sulla scorta
degli artt. 1337 e 1338, l’apertura delle trattative è fonte di per sé di un obbligo di buona fede
che ha ad oggetto un dovere di comportamento del corretto agere in vista della conclusione del
contratto→così facendo il contatto sociale non diverrebbe un passe-partout per ogni
conseguenza di legge
3.1. Controcritica→Non sembra essere decisiva tale obiezione nel momento in cui si condivida
l’assunto sopra formulato: proprio la responsabilità precontrattuale restituita alla
dimensione del rapporto può costituire il modello normativo di riferimento di
ricostruzione per ipotesi di responsabilità da contatto sociale qualificato in un sistema di
fonti delle obbligazioni che ha scelto di inserire non la legge in quanto tale (accanto al

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contratto o il fatto illecito) ma ogni atto o fatto→Piraino: nella ricostruzione contrattuale di
Mengoni non è necessario alcun sforzo teso a confermare l’esistenza di responsabilità da
relazione sociale qualificata, di cui la responsabilità precontrattuale sarebbe la più
significativa manifestazione, e la ragione è duplice:
3.1.1. La natura della responsabilità precontrattuale è consacrata dal legislatore
3.1.2. Se è possibile porsi la questione della configurabilità di fattispecie di responsabilità
ad impianto relazionale non riconducibili all’alveo aquiliano perché coincidenti con
lo schema della responsabilità da violazione di un obbligo di protezione, è proprio
perché il legislatore ha legittimato un tale modello, adottandolo nella disciplina
della fase delle trattative e della conclusione del contratto e non viceversa (quindi
da responsabilità da c.s.q. a responsabilità precontrattuale e non da responsabilità
precontrattuale a responsabilità da c.s.q.)

9.3 La natura della responsabilità precontrattuale


• L’orientamento accreditato da Cass. 14188/2016 rovescia un indirizzo di segno opposto per certi
versi incomprensibile nei suoi referti argomentativi affidati alla considerazione che, per definizione,
non è dato ravvisare nella fase delle trattative funzionali alla conclusione del contratto la fattispecie
del contratto stesso e dunque la responsabilità che da una fonte contrattuale discenderebbe
- Abbiamo anche un altro percorso argomentativo che afferma la natura aquiliana della
responsabilità precontrattuale di Vigotti→la funzione che le norme sulla buona fede sono
chiamate ad assolvere nelle trattative in un contesto di mercato in cui la crescente circolazione
di informazioni fra gli imprenditori e fra questi il pubblico, finalizzate alla distribuzione dei beni
e dei servizi pone problemi di tutela dell’affidamento che finiscono per involgere la generalità
dei soggetti che operano nel mercato stesso, risultando allora preferibile qualificare la
correttezza nell’attività precontrattuale come un dovere che grava su ogni soggetto a cui fa
riscontro l’interesse della generalità degli altri soggetti a non subire un ingiusto
danno→controcritica di D’Amico: questa notazione potrebbe al più sostenere l’allargamento
soggettivo dell’ambito di applicazione della regola di buona fede riferendola non solo alle parti
trattanti ma anche a terzi
• Questa qualificazione era stata già da tempo confutata in dottrina (Mengoni), ma anche in
giurisprudenza, secondo le quali la responsabilità nella quale incorre il debitore che non esegue
esattamente la prestazione dovuta può dirsi contrattuale nel caso in cui l’obbligo sia di
prestazione ma anche in ogni altra ipotesi in cui esso dipenda dall’inesatto adempimento di
un’obbligazione preesistente a prescindere dalla fonte poiché può discendere anche dalla
violazione di obblighi nascenti dal semplice contatto sociale, ogni qual volta l’ordinamento
imponga di tenere un cento comportamento in tali situazioni (Cass. 2007)
• Non si può neanche riconoscere peso ad una tesi della natura extracontrattuale secondo il quale
questa conclusione si imporrebbe poiché il dolo o la colpa precontrattuale troverebbero sanzione
nel 2043, ove pure non vi fossero le norme del 1337 e 1338
- ma questa ricostruzione si presta a essere ribaltata: è proprio perché il legislatore,
assoggettandone il comportamento alla regola di buona fede, ha inteso stagliare la posizione di
quanti siano entrati in una fase di trattative funzionali alla conclusione del contratto, rispetto
alla generalità indistinta di coloro le cui sfere giuridiche possano occasionalmente interferire,
che la scelta normativa assai più coerente alla ricostruzione contrattuale della responsabilità
extracontrattuale→Castronovo: si tratta di prendere atto che l’inizio delle trattative (conclusesi
scorrettamente) toglie i trattanti dall’essere passanti instaurando un rapporto
• La sentenza 14188/2018 non si è lasciata influenzare dalla Corte di Giustizia, la quale, per stabilire
la competenza giurisdizionale, ha accreditato questa ultima soluzione: contrattuale solo per gli
obblighi liberamente assunti da una parte nei confronti dell’altra non estendendosi agli obblighi

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legali che rientrano nella nozione di delitti o quasi delitti in relazione all’art 5, punto 3→allora la
regola di buona fede rientrerebbe in questo ambito
- Critica→si sono omessi due aspetti essenziali della questione: la contrattualità è da riferire non
all’atto ma al rapporto, ed è insostenibile l’abbassamento della relazione precontrattuale
all’area del non-rapporto→se non altro perché verrebbe messo in dubbio la tesi della
risarcibilità del danno che si sia verificato durante le trattative poiché solo la dimensione del
rapporto e della buona fede lo permea
• Gli argomenti più recenti per fondare la natura aquiliana alla responsabilità extracontrattuale si
sono raffinati ma rimangono sempre non condivisibili→non bisogna cadere nell’errore della
petizione di principio della lesione dell’affidamento, perché se quell’affidamento ingenerato
diventa giuridicamente rilevante è proprio in virtù del contegno di buona fede
• Conclusione→potremmo allora al massimo dubitare della linearità della sentenza 14188/2016
(ovvero che, come le sentenze del 2011 ha costruito la responsabilità da contatto sociale come uno
sviluppo della culpa in contrahendo, mentre è quest’ultima ad individuare una variante della
prima), ma comunque ci consente di acquisire un esito più persuasivo anche dal punto di vista
dell’onere della prova (al contrario di chi riteneva la tesi contraria, Patti)→colui che lamenta di
essere stato danneggiato in una relazione precontrattuale dovrà dimostrare al fine di ottenere il
risarcimento non solo il danno ma anche la condotta antigiuridica perché in questa si risolve la
contrarietà a buona fede→di conseguenza sarà l’attore a dover dimostrare il contenuto della
predetta concretizzazione

10 Responsabilità della p.a. per violazione di obblighi di vigilanza e di


informazione sull’attività delle società fiduciarie
10.1 Il caso
• Cassazione torna ad occuparsi della responsabilità risarcitoria della p.a. in quanto gravata da
obblighi di vigilanza su specifici settori di attività dei privati
• Caso giurisprudenziale→domanda risarcitoria proposta contro il Ministero delle Attività produttive,
già Ministero dell’Industria, Commercio ed Artigianato, nella sua qualità di titolare di poteri di
vigilanza sulle attività delle società fiduciarie, per il danno lamentato da un gruppo di risparmiatori
in seguito alla perdita delle somme da loro investite in gestione fiduciaria prima presso la Società
Reno e poi presso la Società La Previdenze
1. omesso esercizio di un reale potere di controllo sulla società Reno fino alla data del
provvedimento di revoca della autorizzazione alla medesima
2. omessa comunicazione ai fiducianti della Società Reno della circostanza che La Previdenza era
di fatto posseduta da Sgarlata al pari della Reno e che tale elemento li esponeva a rischi
3. ritardo di 5 mesi del decreto di revoca dell’autorizzazione alla Reno e della sua esecuzione
4. all’omissione dei rischi connessi alla situazione della Società La Previdenza
• Questioni affrontate:
1. individuazione degli interessi tutelati dalla disciplina normativa in materia di vigilanza
sull’attività della società fiduciaria, individuazione condotta alla luce di una lettura della
predetta disciplina costituzionalmente orientata dagli artt. 41, 47, 97 cost.
2. la determinazione dell’ambito entro il quale possa ritenersi sussistente un danno risarcibile in
capo al privato “a causa del mancato ottenimento di un suo bene della vita meritevole di
protezione
3. quantificazione del danno risarcibile

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10.2 Le questioni
10.2.1 Lo scopo di protezione della disciplina normativa in tema di vigilanza circa l’attività delle
società fiduciarie
• La sentenza lo definisce come tale→si tratta di una impostazione corretta dato che la soluzione del
problema se i risparmiatori, che contestino l’esercizio negligente dei poteri di vigilanza, possano
esperire l’azione risarcitoria nei confronti della p.a., dipende dall’accertamento se è dato o meno
ravvisare una tutela dell’interesse dei risparmiatori alla protezione della loro integrità patrimoniale
• Regolamentazione normativa→Il decreto di autorizzazione all’esercizio dell’attività delle società
fiduciarie è caratterizzato da un’assoluta discrezionalità, mentre l’attività del Ministero si svolge
principalmente attraverso l’esame dei bilanci, che dovrà essere trasmesso entro un mese
dall’approvazione→in caso di inottemperanza degli obblighi previsti il Ministero dell’industria può
sospendere le società dall’esercizio dell’attività o addirittura revocare la autorizzazione e in questo
la sentenza rinviene una tutela dei fiducianti
• La ricostruzione del dato normativo della Suprema Corte assume originalità allorché la sentenza dà
una lettura costituzionalmente orientata (41, 47 e 97) alle disposizioni normative in tema di
vigilanza e controllo→questo soprattutto alla luce della scarsità normativa al tempo dei fatti
- Originale perché lo strumento costituzionale è stato sempre interpellato per la tutela dei diritti
personali, mentre non ha precedenti una lettura costituzionalizzata di norme che hanno come
termine di riferimento la protezione del patrimonio→ma comunque l’argomentazione si svolge
entro scadenze diverse:
1. Art 41→non fonda una generale situazione soggettiva giuridica a protezione del
patrimonio del soggetto
2. Art 47→si dirige senz’altro alla Stato e dunque appare difficile fondare una situazione
soggettiva giuridica direttamente azionabile dai privati, ma si ravvisa un obbligo di tutelare
il risparmio
3. Art 97→la imparzialità e il buona andamento possono essere apprezzati sul piano della
relazione giuridicamente rilevante tra cittadino e p.a. della costruzione di obblighi di
protezione
- Originalità→l’argomentazione costituzionalmente orientata è efficace non dal punto di vista di
configurarsi come tecnica attributiva di una situazione soggettiva giuridica ma per orientare
l’interpretazione del dato normativo sottostante verso una funzione di protezione
dell’interesse relativo al patrimonio del cittadino
- Corollario→”Si è leso un obbligo giuridico, o meglio, non si è perseguito l’interesse pubblico
alla tutela del risparmio menomandosi, di riflesso, l’interesse dei privati dei fiducianti, che in
quell’interesse e per quell’interesse si erano mossi nella certezza che fosse tenuta una condotta
trasparente, tempestiva e corretta, in osservanza dei principi di cui al 97 cost.”
• Domanda→non è più coerente con questa impostazione (mantenendo il discorso sul piano
aquiliano) leggere la vicenda in termini di responsabilità risarcitoria per violazione di norme poste a
protezione di un interesse del soggetto, secondo il modello germanico (par. 823)?

10.2.2 Interessi legittimi, ingiustizia del danno, regola di correttezza


• Interesse legittimo→al concreto ed effettivo esercizio della vigilanza pubblica, funzionale alle
esigenze (individuali) di tutela del risparmio e vi è una astratta lesione del bene della vita sotteso al
predetto interesse violato dall’omesso esercizio della predetta vigilanza→sulla premessa di aver
ravvisato la sussistenza di limiti generali che comportano un esercizio dei poteri attribuiti alla p.a. in
modo coerente al fine pubblico da soddisfare ed aver colto tali limiti negli artt. 97 e 47, alla cui luce
trova esauriente legittimità di operatività l’art 2043 cc.
- Sentenza 7339/1998→aveva negato perché lesiva di (meri) interessi legittimi, la configurabilità
di una responsabilità della p.a. sotto il profilo dell’esercizio discrezionale del potere di vigilanza
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sulle attività fiduciarie , mentre era stata riconosciuta l’astratta possibilità di una responsabilità
della p.a. per altre attività, distinte da quella discrezionale di vigilanza→anche perché era
intervenuto il giudicato della sentenza del ’98 e non rilevava l’orientamento nuovo della
sentenza 500/99
- Qui invece trovano piena applicazione i principi della sentenza del 99 e infatti nel caso di specie
la Corte di merito aveva individuato il presupposto giuridico per la configurazione della
responsabilità del Ministero “nella violazione dei doveri di diligenza, prudenza e correttezza,
commessa dalla p.a. nell’esercizio dei suoi poteri di vigilanza e controllo, e nella conseguente
violazione del neminem laedere tale da costituire limite esterno all’esercizio della
discrezionalità, dovendosi ravvisare un obbligo specifico che trova la sua fonte specifica nel
momento in cui la sua attività di vigilanza viene interpretata alla luce della Costituzione→da
questo punto di vista vengono in considerazione:
1. Carenze informative
2. Carenze di attività ravvisabili nella omissione di un effettivo potere di controllo
- Dunque, la sentenza è tributaria del nuovo orientamento impresso dalla sentenza del ’99 in
materia di risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi
• Un tempo era stato osservato (Salvi) che la categoria di interesse legittimo non ha granché di dire
in ordine al problema della delimitazione dell’area del danno risarcibile a fronte dei danni cagionati
dall’amministrazione nell’esercizio della sua potestà→questo perché la struttura dell’interesse
legittimo si risolve in poteri di intervento e di partecipazione al procedimento amministrativo o nel
potere di richiedere l’annullamento in ipotesi illegittimo
- Teoria superata proprio dalla sentenza 500/99→si considera ingiusto il danno arrecato in
difetto di causa di giustificazione che l’ordinamento non può tollerare a carico della vittima,
perché lesivo di interessi giuridicamente tutelati (in quanto comunque presi in considerazione
da qualche norma di protezione anche da fini diversi da quelli risarcitori) quale che sia la
qualificazione formale di detti interessi senza che siano necessariamente diritti soggettivi
perfetti
• Sembra che questa ricostruzione discenda:
1. Da una rivisitazione del concetto di interesse legittimo→può pervenirsi al risarcimento soltanto
se l’attività illegittima della p.a. abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al
quale l’interesse legittimo si collega e che risulta meritevole di protezione alla stregua
dell’ordinamento
- Sotto questo profilo è evidente una dubbia coerenza sistematica, seppur suggestiva perché
consente il superamento del contenuto puramente procedimentale della situazione e consente
di accreditare la tesi della risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi)
2. Da una non persuasiva descrizione della situazione relazionale che in effetti si crea tra il
destinatario della p.a. e la stessa p.a.
- La sentenza propone uno spunto per una lettura della responsabilità della p.a. tale da
sospingerla fuori il campo aquiliano→la regola di correttezza assume un significato di
particolare rilievo→la regola stessa è stregua di disciplina delle posizioni di diritto e di obbligo
che discendono da un rapporto giuridico→ciò vuol dire che sistematicamente l’area di
problemi fin qui affrontati troverebbe una più coerente collocazione nella responsabilità da
inadempimento di una obbligazione preesistente in quanto sulla p.a. grava un obbligo di
protezione di cui dunque è responsabile nei confronti del cittadino assoggettato alla sua
potestà→regola di buona fede e correttezza come regola relazionale e disciplinatrici del
rapporto→infatti il tema dell’affidamento e della sua lesione come presupposto per la
integrazione di responsabilità possono acquisire un significato costruttivo solo facendo rifluire il
tema della responsabilità della p.a. nella responsabilità da inadempimento

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• Ma se vogliamo ragionare sempre sulla premessa della natura aquiliana in caso di violazione di
obblighi di condotta su di essa gravanti a tutela di interessi dei privati, ad esempio ravvisando una
incongruenza di costruire una miriade di rapporti obbligatori, c’è da domandarsi (come anticipato)
se non sia più persuasivo utilizzare anche nel nostro sistema la tecnica della norma di protezione
- Qui si innesta un discorso già affrontato sul rapporto tra norma di protezione e responsabilità
civile “italiana” (par. 1.3)
1. La norma di protezione non è del tutto estranea al nostro ordinamento→art 185 c.p.
(accolla all’autore di un illecito penalmente rilevante l’obbligo di risarcimento del danno
patrimoniale e non patrimoniale) che prescinde dal requisito di ingiustizia
2. Il requisito del danno in termini di ingiustizia non può essere saltato, salvo casi previsti
espressamente dalla legge (art 185 c.p)→indagare se ci sia una situazione soggettiva incisa
dalla condotta dell’agente, sia pure come riflesso della lesione del bene giuridico in primo
luogo protetto dalla norma
3. Né si viene a riproporre una equazione tra danno ingiusto e lesione di un diritto soggettivo
laddove vi sia soltanto la protezione accordata ad un dato interesse→Il concetto di
situazione giuridica soggettiva comprende in sé sia poteri lesi, sia doveri inattuati, così
negando le utilità che la norma intendeva assegnargli
• Conclusione→allora trova una spiegazione più adeguata nel quadro sistematico della responsabilità
civile la ratio essendi della sentenza che muove dall’individuazione condotta anche nella
prospettiva dell’argomento costituzionale dell’ambito di protezione di una disciplina normativa.

11 Il contatto sociale qualificato riapproda in Cassazione


11.1 Il caso: Cass s.u. ord. 8236/2020
• Fatto→Una società esercente la propria attività nel settore dell’edilizia aveva presentato nel 2012,
un progetto preliminare di massima per la costruzione di un grande complesso alberghiero su un
terreno di sua proprietà→dopo la presentazione del progetto, si era avviata una fase intensa di
scambio di informazioni tra i consulenti dell’imprenditore e gli uffici comunali, che sfociava nella
formulazione nell’ottobre del 2012 di un p.a.c. (piano attuativo comunale)→nel giugno 2014, il
comune informava la società del parere favorevole espresso dalla commissione urbanistica, pur
segnalando l’esigenza di alcuni chiarimenti formulando un contestuale invito all’imprenditore a
presentare una richiesta di permesso di costruire in deroga→la società formalizza la richiesta
nell’ottobre del 2014→un anno dopo il comune chiedeva un parere alla regione circa la
compatibilità del progetto in questione con un progetto di piano stralcio, in relazione al quale non
sarebbe consentita la realizzazione di locali→Nell’aprile del 2016 interveniva una delibera del
consiglio comunale che modifica in senso restrittivo il regime edilizio→Nel settembre del 2016
dopo numerosi contatti l’amministrazione comunale comunicava l’impossibilità di applicare le
deroghe alla costruzione alberghiera prospettando l’opportunità di presentare un nuovo p.a.c.
• Accusa→La società domanda la domanda risarcitoria contro l’amministrazione comunale,
lamentando appunto la condotta contraddittoria e ondivaga che aveva determinato dispendio di
tempo e di denaro per la attrice, oltre che integrato la violazione dei termini procedimentali
previsti dalla legge
• In difesa→l’amministrazione comunale domandava che dovesse essere devoluta alla cognizione del
giudice amministrativo→allora l’ordinanza interviene e si sofferma sulla natura della responsabilità
per la lesione dell’affidamento sorto nel privato in conseguenza di un comportamento
dell’amministrazione e propone a riguardo il modello ricostruttivo del contatto sociale qualificato

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11.2 L’affidamento determinato nel privato dal comportamento della p.a. ed il modello
della responsabilità da contatto sociale qualificato
• Interrogativo di cui l’interprete è chiamato a dare risposta: se accanto al modello rappresentato
della responsabilità precontrattuale, si possono delineare altre ipotesi di affidamento in grado di
dare vita ad obblighi tra parti che pure non si possono riconoscere nella qualifica di debitore e di
creditore→L’ordinanza risponde affermativamente
- Primo passaggio della sentenza→confronto con ordinanze 6594, 6595, 6596 delle ss.uu del
2011→avevano ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice ordinario in tre controversie
accomunabili:
1. 6594→risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell’affidamento ingenerato dal
provvedimento favorevole poi legittimamente annullato in via di autotutela
2. 6595→risarcimento dei danni lamentati per la lesione dell’affidamento riposto
nell’attendibilità della attestazione rilasciata dalla p.a. rivelatasi erronea circa l’edificabilità
di un’area
3. 6596→domanda autonoma di risarcimento danni da colui che avendo ottenuto
l’aggiudicazione in una gara per l’appalto di un pubblico servizio, successivamente
annullata dal giudice amministrativo, deduca la lesione dell’affidamento ingenerato dal
provvedimento di aggiudicazione apparentemente legittimo
▪ Fattore comune→nei relativi giudizi, i privati non revocavano in discussione la
illegittimità degli atti amministrativi, che avevano ampliato la sfera giuridica dei
privati, e che erano stato poi annullati in via di autotutela o per l’effetto di un
giudice amministrativo, ma lamentavano la lesione del loro affidamento sulla
legittimità degli atti annullati e chiedevano il risarcimento dei danni da loro subiti
per aver orientato le proprie scelte negoziali confidando, fino all’annullamento di
tali atti, nella relativa legittimità
- Secondo passaggio→due strade:
1. Se la giurisdizione del giudice ordinario, che le tre ordinanze avevano affermato in presenza
di domande di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento ingenerato dalla
emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, debba essere
ritenuta sussistente anche quando nessun provvedimento amministrativo sia stato
adottato, cosicchè l’affidamento da parte del privato sia stato riposto su un mero
comportamento della p.a.
2. Ovvero se, in casi del genere, l’affidamento riposto dal privato nella futura emanazione di
un provvedimento favorevole non costituisca altro che riflesso, di un’azione
amministrativa, la cui legittimità/illegittimità costituisce l’oggetto della controversia; con
conseguente affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo
▪ La risposta data dall’ordinanza è nel primo senso→gli snodi argomentativi sono i
seguenti:
1. Le ss.uu pongono l’accento sul fatto che, nei casi come quello oggetto delle
ordinanze del 2011, la lesione non è prodotta dal provvedimento favorevole,
illegittimo e pertanto giustamente annullato, ma dall’emanazione dell’atto
favorevole illegittimo, dell’incolpevole affidamento del beneficiario nella sua
legittimità e dal successivo annullamento dell’atto stesso→La lesione non
discende dalla violazione delle regole di diritto pubblico, disciplinatrici
dell’esercizio del potere amministrativo estrinsecatesi nel provvedimento, bensì
dalla violazione delle regole di buona fede e correttezza, cui si deve uniformare il
comportamento dell’amministrazione; regole la cui violazione non dà vita ad
invalidità provvedimentale ma a responsabilità

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2. Si dà la nozione di affidamento→intesa come la situazione giuridica soggettiva
concretamente lesa dalle condotte della p.a. →affidamento incolpevole di natura
civilistica (non legato all’interesse pubblico) che si sostanzia nella fiducia, nella
lesione della fiducia, e nel danno subito a causa della condotta dettata dalla
fiducia mal risposta e cioè un’aspettativa di coerenza e di non contraddittorietà
del comportamento dell’amministrazione fondata sulla buona fede
3. Su questa scorta la ordinanza si discosta dall’impostazione data dalle tre
sentenze, le quali avevano ricostruito la situazione soggettiva giuridica del
privato, lesa dalla delusione delle aspettative determinare dal comportamento
della p.a., nel diritto soggettivo alla conservazione dell’integrità del proprio
patrimonio→la pronuncia condivide le critiche mosse alle ordinanze
(Castronovo): il patrimonio di un soggetto è l’insieme di tutte le situazioni
soggettive giuridiche con il corollario che la conservazione del patrimonio non è
altro che la conservazione di ciascuno dei diritti e che la nozione diritto alla
conservazione dell’integrità del patrimonio è solo una mera formula descrittiva
delle situazioni soggettive
4. L’ordinanza approfondisce ulteriormente la nozione di affidamento rinvenendo i
punti di emersione sia nei principi dell’ordinamento comunitario sia all’interno
dell’ordinamento nazionale, dove la tutela dell’affidamento del privato nei
confronti delle condotte della p.a. è affidata a norme più specifiche rispetto alle
regole civilistiche generali: come l’indennizzo nel caso della revoca del
provvedimento, la disciplina dei limiti temporali del potere di annullamento dei
provvedimento illegittimi d’ufficio
5. Conclusione→il cittadino si aspetta uno sforzo maggiore (art 97) in termini di
correttezza e buona fede, lealtà e protezione e tutela dell’affidamento rispetto a
quello che si attenderebbe dal quisque de populo→esclusione della
responsabilità da “passante”, ma della responsabilità che sorge tra soggetti che si
riconoscono reciprocamente già prima che si verifichi un danno che consegue a
questo punto non alla violazione di un dovere di prestazione ma alla valutazione
di un dovere di protezione il quale sorge non da un contratto, ma dal contatto
tra cittadino e p.a. →responsabilità da lesione di affidamento come
responsabilità da contatto sociale qualificato dallo status della p.a. quale
soggetto tenuto all’osservanza della legge come fonte di legittimità dei propri
atti, dovendosi intendere il contratto o rapporto tra privato e p.a. come fatto
idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico dal
quale derivano reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione

11.3 Contatto sociale qualificato, affidamento, responsabilità


• Rilievi critici mossi alla categoria del contatto sociale qualificato e vedere se sia doveroso
abbandonare del tutto tale categoria, o darle un assetto più equilibrato per evitare in primis
un’utilizzazione effettivamente troppo dilatata
1. Primo argomento critico è quello che enfatizza la derivazione del modello teorico di cui stiamo
discorrendo da un’elaborazione dottrinale tedesca che è da tempo superata nell’ambiente
culturale di riferimento e quindi non potrebbe più costituire un paradigma ricostruttivo attendibile
(Zaccaria)→la teoria evocata sarebbe quella dei rapporti contrattuali che si concretizzano per la
circostanza che un soggetto ha riposto una certa fiducia in un altro soggetto nel momento in cui
consapevolmente, al fine di conseguire lo scopo che tramite il contatto sociale desiderava
raggiungere, ha affidato determinati propri beni giuridici alla cura e alla protezione altrui→
1.1. criticata fin da subito per la sua non necessità

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1.2. per l’assenza di riferimenti normativi
1.3. altra critica riguarda l’impossibilità di collegare una particolare visioni di rapporti sociali e della
loro forza vincolante ad una struttura, quella del contratto, assolutamente consolidata secondo
lineamenti, primo fra tutti il rilievo della volontà, che con i fenomeni considerati appaiono
incongruenti al punto da ritenere che questi rapporti di per sé stessi sono fonte di obblighi
senza ricondurli a contratto
- da questa elaborazione dottrinale deriverebbe la costruzione della responsabilità da contatto
sociale della dottrina e della giurisprudenza italiana, nel momento in cui queste hanno
affermato la responsabilità del medico che allorché entri in contatto con un soggetto esercente
una professione protetta per la quale è richiesta una speciale abilitazione dallo stato, sarebbe
la coscienza sociale, prima ancora che l’ordinamento, a non limitarsi ad esigere un mero non
facere inteso come rispetto della sfera giuridica di colui che si rivolge alla professionalità altrui,
ma un facere
2. Perplessità l’idea che fonti di obbligazioni possano essere anche rapporti sociali la cui fisionomia
sarebbe accertata ed interpretata dal giudice in maniera libera ed avulsa da un preciso riferimento
normativo→in un ambiente politico-economico incompatibilmente più garantista, da quello della
prima metà dello scorso secolo→si tratta di affermare la sovranità del diritto senza lasciare spazio a
contatti sociali non fondati su elementi ordinamentali al fine di evitare:
2.1. La compressione dello spazio operativo della responsabilità civile→anche un incidente
automobilistico potrebbe definito come un contatto sociale
2.2. Rischio di espansione incontrollata attraverso il proliferare di obblighi di attivarsi al fine di
evitare un evento dannoso, filtrati dal riferimento al contatto sociale →Cass. 1737/2011:
responsabilità risarcitoria dei proprietari di una macchina agricola per i danni subiti da colui
che, senza essere legato da un rapporto obbligatorio preesistente ai proprietari, e quindi per
titolo di cortesia, aveva tentato di regolare il macchinario in questione, venendo per questo
coinvolto in un infortunio letale
3. Barcellona→duplice critica:
3.1. Obbligo di protezione disgiunto dall’obbligo di prestazione→Non si può parlare di
responsabilità contrattuale
3.2. L’area della responsabilità da contatto risulterebbe determinata dalla sussistenza di una mera
situazione di interferenza non in grado di distinguersi in modo essenziale dalle situazioni di
interferenza regolate dall’art 2043 cc

11.4 Riflessioni conclusive: l’affidamento del privato nei confronti della p.a. come
paradigma di un contatto sociale qualificato normativamente fondato
• Da condividere il seguente rilievo critico (al quale l’ordinanza implicitamente risponde in maniera
persuasiva)→un contatto sociale, di per sé preso, non può fondare un rapporto obbligatorio;
occorre infatti un punto di innesto normativo sufficientemente univoco nella sua indicazione dei
valori, che trasformi il contatto sociale “grezzo” in uno di quegli atti o fatti idonei a produrre
obbligazioni per aver subito riguardo al 1173 cc., che costituisce il filtro per mezzo del quale
accreditare sul piano della teoria delle fonti delle obbligazioni, il contatto sociale
- Il discorso sul punto di innesto normativo intercetta l’area dei principi e valori costituzionali→in
questo modo entra in gioco un prisma di norme che esprimono una eccedenza di valori che
trovano affermazione attraverso un bilanciamento sistemico che, come tale, non è agevole da
portare in equilibrio per l’assenza di una gerarchia
• A questo punto analizziamo l’altro spunto critico→ la semplice circostanza che il contatto sociale
interessi beni costituzionalmente protetti non è sufficiente per qualificarlo come fonte di
obbligazioni (Zaccaria)→ma questa riflessione non coglie nel segno ed è sufficiente guardare alla

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responsabilità del medico: dove viene in rilievo il particolare affidamento che il paziente
ragionevolmente ripone sullo status professionale del medico
- Su questo punto condividiamo gli spunti che emergono dalla ordinanza→qui la fiducia e la
correttezza (anche sotto il profilo della coerenza) della condotta della p.a. rinviene un referente
normativo sufficientemente preciso nel complesso di norme e di principi dei quali
l’ordinamento opera una ricognizione puntuale→qui la Corte si può dire che ha trovato
l’innesto normativo dell’affidamento in grado di fondare una responsabilità corrispondente
• L’altro rilievo critico che merita di essere condiviso→dilatazione del modello che può risultare
sovrabbondante→si veda il caso in cui l’utente di una vasca termale, affetta da una condizione di
menomata idoneità a deambulare, e pur avendo azionato al momento dell’uscita il pulsante di
chiamata del personale per ricevere assistenza era rimasta priva di aiuto, cosicché spingendosi da
sola fuori la vasca era caduta riportando lesioni→alla luce di una interpretazione di buona fede del
contratto avente ad oggetto la somministrazione del servizio termale, era senza ‘altro sussistente
un obbligo, a carico dell’erogante, di proteggere l’integrità fisica del creditore della
prestazione→ma non era necessario alcun riferimento al contatto sociale (qui abbiamo un obbligo
di protezione congiunto ad un obbligo di prestazione del contratto)
- Allora non v’è dubbio che l’area del contatto sociale debba essere ridimensionata→ma questo
passaggio rafforza il modello che diventa in questo senso efficace e più persuasivo
• Non è persuasivo l’ulteriore argomento critico di Zaccaria secondo cui la teoria del contatto sociale
dovrebbe seguire la stessa sorte, in termini di superamento, nell’elaborazione dottrinale e
giurisprudenziale tedesca→cosicché il percorso da intraprendere nel nostro sistema, avrebbe
dovuto essere analogo semmai a quello che ha condotto alla elaborazione di una generale garanzia
di affidamento (Canaris)
1. Non condivisibile perché lo studioso italiano si confronta con un dato normativo differente→e
questa considerazione può essere proposta proprio a partire dall’art 1173 (fonti)
2. D’altra parte, il legame tra contatto sociale italiano e tedesco è assente→in quanto la nostra
costruzione dottrinale si innerva su principi costituzionali→e questo fuga il timore di esiti
applicativi non sufficientemente rispettosi delle istanze garantistiche proprie di un sistema
liberal-democratico
• Non sono da condividere neanche le tesi di Barcellona→facciamo lo stesso discorso che abbiamo
affrontato al par 9.2 sull’art 1174
• Conclusione→di significativo interesse nella prospettiva di una messa a punto generale del modello
ricostruttivo della responsabilità da contatto sociale qualificato: modello che potrà essere utilizzato
in casi nei quali, come accade per l’affidamento riposto dal privato nella coerenza della condotta
della p.a., la disciplina della singola materia consenta di fondarne la rilevanza, non sulla base del
semplice apprezzamento della coscienza sociale, ma di un procedimento valutativo condotto in
relazione al dato normativo di riferimento

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La responsabilità sanitaria

12 La responsabilità a doppio binario


12.1 La scelta legislativa del “doppio binario” di responsabilità: ragioni, problemi e
prospettive
• Art 7 legge n. 24/2017→
1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria
obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal
paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli artt. 1218 e
1228 c.c., delle loro condotte colpose o dolose
2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di
libera professione intramuraria, ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca
clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la
telemedicina
3. L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi
del 2043 c.c., salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con
il paziente. Il giudice nella determinazione del risarcimento del danno tiene conto della condotta
dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’art 5 della presente legge e dell’art 590 sexies
del c.p., introdotto dall’art 6 della presente legge
4. Il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e
dell’esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle del codice ass. di cui gli
artt. 138 e 139…
5. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme imperative ai sensi del Codice civile
• Doppio binario:
1. Contrattuale→definita anorganica (De Matteis) perché esclusiva e non fondata sul rapporto
organico, da ricondurre all’inadempimento di quegli obblighi che presiedono per legge
all’erogazione del servizio sanitario
2. Aquiliana→responsabilità autonoma da quella della struttura, in tutti i casi nei quali la
condotta del sanitario prevalga, nella determinazione del danno alla salute del paziente,
rispetto ad altre cause o concause ascrivibili invece alla violazione, da parte la struttura, di
obblighi contrattuali (De Matteis→con ciò non si intende enucleare una zona franca tra il fatto
illecito del medico e l’inadempimento della struttura, nella quale collocare tutte quelle ipotesi
che, non riconducibili né all’uno né all’altro, non acquisirebbero un rilievo sotto il profilo
risarcitorio pur essendo produttive di danno alla salute, poiché anche nei casi in cui sia dato
riscontrare una condotta del medico, non conforme ai canoni di diligenza professionale, e che
ha semplicemente concorso con altri fattori alla produzione del danno, senza assumere il ruolo
di condicio sine qua non dell’evento dannoso, si potrà parimenti fare capo alla responsabilità
della struttura sulla base della prova di un collegamento causale tra danno e organizzazione
dell’attività)
• Non v’è dubbio sulla individuazione di questa scelta come caposaldo della nuova disciplina
normativa, ma dobbiamo chiederci quali siano le finalità sottostanti alla medesima, e se siano state
attese
- Obiettivo della canalizzazione della responsabilità sanitaria in capo alle strutture pubbliche e
private→vediamo la constatazione dottrinale:
1. Pardolesi, Moeli-Sica→canalizzazione + alleggerimento della posizione del medico

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2. De Matteis→Canalizzazione dei costi dei danni sul soggetto-ente che meglio è in grado di
prevenire e gestire il risk connesso al loro accadimento (assicurazione)
3. Masieri→ “corsia preferenziale” per la responsabilità della struttura
4. Colombo→finalità di disincentivare le richieste risarcitorie nei confronti dei singoli medici,
individuando nelle strutture la posizione di superior risk bearer
5. Gattari→superamento della medicina difensiva e ristabilimento dell’alleanza tra medico e
paziente
6. Travaglino→valorizzazione degli argomenti de: la causa concreta, la determinabilità
dell’oggetto del contratto e dei soggetti, il collegamento negoziale
- Modalità di assolvimento di tale ratio→prevedere un sistema binario:
1. Responsabilità contrattuale dell’ente ospedaliero, traendo con sé quella degli ausiliari,
ferma restando la rivalsa nel caso di colpa grave nei confronti del singolo operatore
2. Possibilità che il medico ospedaliero sia convenuto in giudizio direttamente sulla base del
2043 anche in relazione ad una colpa lieve
- Il fine però non è raggiunto→qualora si fosse voluta perseguire in maniera coerente la finalità
di sottrarre gli esercenti la professione sanitaria agli effetti di possibile condizionamento-
nell’adozione delle scelte operative e di cure- derivanti dall’incremento del contenzioso
promosso nei loro confronti, la strada sarebbe stata quella (già perseguita in altri settori:
insegnati e giudici) di escludere la responsabilità diretta degli ausiliari (Pardolesi)
- Possibile soluzione→Meoli-Sica: invece di introdurre una disciplina specifica organica ed
esplicita della responsabilità del medico e della struttura sanitaria, si è preferito rinviare alla
delimitazione degli ambiti dell’uno e dell’altro settore di responsabilità→eppure vi era il
modello francese che avrebbe permesso la costruzione di un sottosistema di responsabilità
civile governato da regole proprie→infatti nel sistema francese si prescinde del tutto da uno
snodo qualificatorio
• Svariati problemi della legge 24/2017:
1. Ri-duplicazione del regime della responsabilità che diviene contrattuale per la struttura e
aquiliana per il medico che abbia operato in assenza di una linea diretta con conseguenti
problemi di interferenza (Meoli-Sica)→Pardolesi ne vede, condivisibilmente, un incremento
confusionale di piani e impostazioni allorchè il medico sia convenuto in giudizio insieme alla
struttura, facendosi valere dalla vittima del fatto dannoso tanto la responsabilità del medico ex
art 2043, quanto quella della struttura ex art 1218→problemi ovviamente di oneri probatori e
termini prescrizionali diversi)→aggiungiamoci anche la possibilità per l’attore di dare ingresso
al 2055 cc (obbligazione solidale)
2. Questo metterebbe a repentaglio la stessa tutela piena del diritto alla salute→problema: se la
scelta legislativa di affermare la responsabilità contrattuale della struttura per le condotte
dolose o colpose degli esercenti la professione sanitaria che operano al suo interno sia tale da
determinare un arretramento, dal punto di vista della tutela del danneggiato, quanto alla
responsabilità delle strutture, con un ritorno della medesima ad un modello imperniato sulla
colpa, in quanto legato strettamente alla responsabilità del sanitario→Ponzanelli: rileva che la
responsabilità ex art 1218 c.c. non è di tipo oggettivo e si basa sull’accertamento della colpa del
medico e della struttura “che non avrebbe rispettato le buone pratiche, le indicazione dei
protocolli e le linee guida” pur precisando che essendo l’accertamento della responsabilità del
medico o della struttura affidato ad una consulenza tecnica di ufficio, le differenza tra
responsabilità contrattuale ed extracontrattuale si attenuano
- È stato osservato che l’affermazione della natura contrattuale della responsabilità della
struttura, nella misura in cui è formulata per mezzo dell’evocazione dell’ipotesi codicistica della
responsabilità per fatto degli ausiliari (vicaria), si risolverebbe nell’esplicita esclusione
dell’addossamento, appunto alla struttura, di responsabilità che, non radicandosi in

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comportamenti colpevoli di chi effettua la prestazione sanitaria, potrebbero essergli ascritte
esclusivamente in una prospettiva di responsabilità oggettiva→a riguardo Quadri: la
responsabilità oggettiva però non potrebbe configurarsi in tale sistema
- Ma in realtà appare persuasiva la seguente ricostruzione, che permette di evitare il
ridimensionamento degli spazi di tutela del paziente→la disciplina in questione non tocca i
profili in base ai quali può predicarsi una responsabilità delle strutture legata non all’atto ma
all’attività (Colombo)→in altri termini: il modello della responsabilità per fatto degli ausiliari,
evocato dal riferimento al 1228, opera soltanto quanto agli atti (o alle omissioni) posti in essere
dagli ausiliari, ma non per le ipotesi di responsabilità ricollegabili all’attività (omissiva anche)
della struttura in quanto tale
- Così facendo superiamo i timori di chi ha osservato che perfino l’applicazione del regime
contrattuale quanto alla struttura sanitaria, nella misura in cui consente a quest’ultima di
offrire la prova di aver adempiuto diligentemente agli obblighi relativi all’assistenza
postoperatoria ed a quelli concernenti la sterilizzazione dell’ambiente clinico e dei luoghi di
degenza, renderebbe alla fine non troppo disagevole per essa andare esente da responsabilità
pure nei casi di infezione nosocomiali→viene, però e per l’appunto, in considerazione una
responsabilità di attività con riferimento alla quale sono da accreditarsi modelli di
responsabilità oggettiva, tali da far ricadere sulla struttura la responsabilità per fatti produttivi
di danno dei quali sia rimasta ignota la causa con conseguente impossibilità per la struttura di
dimostrare che si tratta di causa al di fuori del suo potere di controllo circa l’attività svolta→a
tal proposito Moscati aggiunge: che vi può essere una responsabilità della struttura dovuta
esclusivamente alle gravi carenze della struttura
• Alla luce di questo ci domandiamo a voce ancor più forte: se non sarebbe stata preferibile una
scelta normativa del genere di quella offerta dal modello della legislazione francese, con
l’affermazione di una responsabilità oggettiva della struttura sanitaria, salva la prova di un caso
fortuito ed estranea, per definizione, alla produzione del danno→nel solco di quanto osservato è
sostenibile sulla base di una interpretazione del dato normativo vigente, l’affermazione di una
regola di responsabilità oggettiva della struttura: ma è altrettanto difficile negare che una scelta
normativa in tal senso avrebbe aumentato il tasso di prevedibilità delle decisioni dei casi di
contenzioso, sotto il punto della correlazione tra possibilità di previsione delle decisioni e corretto
funzionamento del meccanismo assicurativo
- Questo servirebbe, in conclusione sul punto, anche a scongiurare il rischio fatto emergere da
Pardolesi: che in caso di infezioni nosocomiali a colpi di c.t.u. e testimonianze in crociate degli
organi responsabili, tutti orientati a sottolineare il pieno rispetto dei protocolli e buone pratiche,
si dimostra la diligenza dell’ente, sottratto pertanto a responsabilità. Col danno lasciato, guarda
caso, ad un paziente innocente con la beffa anche di vedersi imputati gli oneri del c.t.u.

12.2 La scelta del “doppio binario”: una occasione mancata?


• Legge 24/2017→rappresenta una occasione mancata→perché il sistema binario (già accreditato
dalla dottrina) non ha compiuto il passaggio che quella stessa dottrina aveva suggerito→ovvero di
spezzare il legame tra responsabilità del medico e della struttura, che da sempre ha attratto tali
responsabilità in un regime unitario di disciplina→al contrario l’esigenza di una differenziazione dei
regimi, rispettivamente tra responsabilità del medico e della struttura è stata affrontata con l’art 7
consacrata per mezzo di un crisma di imperatività (Travaglino→sarà forse per dissolvere ogni
residuo di timore di un’interpretazione nuovamente creativa della nuova disciplina della
responsabilità del sanitario, tale da cancellare il riferimento all’art 2043, che il comma 5 chiude la
partita con “della norma imperativa ai sensi del codice civile”)
• Critica all’art 7→metodologica→tecnica legislativa→anomala la determinazione del legislatore di
qualificare esso stesso – nel segno della sussumibilità nello schema dell’illecito aquiliano – una

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categoria di ipotesi della realtà concreta e cioè quelle nelle quali venga dedotta dal paziente la
responsabilità del medico, inserito nella struttura sanitaria alla quale il paziente si sia rivolto, e che
gli abbia in concreto prestato le cure→ma al legislatore non spetta la qualificazione della fattispecie
concreta ma semplicemente la predisposizione della disciplina della medesima, della quale
compete il giudice→il legislatore per scongiurare la fonte della responsabilità del medico
contrattuale attraverso il contatto sociale qualificato, avrebbe potuto introdurre una disciplina di
diritto speciale della responsabilità del medico, caratterizzate da sue peculiari regole in termini di
riparto dell’onere della prova, di durata del termine prescrizionale, dell’ambito del danno
risarcibile, in ipotesi modellate proprie sulla responsabilità aquiliana→in questo modo, come
osserva Travaglino, “la fine dell’impero del diritto giurisprudenziale e il ritorno alla Repubblica della
disciplina positiva”
- Questa è una critica che non si esaurisce sul mero piano stilistico→si pensi ai problemi che si
delineano con riferimento alle domande risarcitorie già proposte da pazienti, i quali,
confidando sul diritto vivente, avevano impostato il proprio sistema difensivo sulla premessa
che gli oneri di allegazione e di prova cui erano gravati fossero proprio quelli della materia del
contatto sociale→e allora con ogni probabilità sostenibile che la disciplina della legge n.
24/2017, non configurandosi tecnicamente come di interpretazione autentica, ma appunto di
anomala qualificazione di fattispecie, ed essendo dotata di un contenuto indubbiamente
innovativo, anche rispetto alla legge del 2012, dovrebbe trovare applicazione solo alle ipotesi di
responsabilità sorte nel periodo della vigenza, e questa conclusione si raggiungerebbe anche
alla luce di proteggere il ragionevole affidamento sul contenuto del diritto vivente→ma non si
può escludere che, proprio con la tecnica della qualificazione normativa, si possano accreditare
interpretazioni di segno contrario, nel segno della retroattività
• Seconda critica→Questa scelta normativa ha precluso anche soltanto la possibilità di prendere in
considerazione l’idea della costruzione di un modello di responsabilità davvero calibrato sulle
peculiarità di un settore dove si tratta di attribuire rilievo centrale all’esigenza di sicurezza delle
cure e della persona assistita, predisponendo regole in grado di disciplinare:
1. da un lato, ipotesi di risarcibilità che evocano questioni di organizzazione→a tal proposito
Faccioli propone un inquadramento della responsabilità civile per difetto di organizzazione
delle strutture sanitarie che si presenta come un tassello indispensabile al fine di completare il
panorama della responsabilità sanitaria per governare in maniera maggiormente adeguata di
quanto si possa attualmente
2. dall’altro ipotesi di responsabilità che si riferiscano invece alla diligenza dell’esercente la
professione sanitaria
- entrambi questi punti richiederebbero allora l’introduzione di una regolamentazione specifica e
non invece tale da risolversi nella semplice applicazione dei tradizionali schemi qualificatori
della responsabilità contrattuale o extracontrattuale→questo si desume:
1. quanto alla responsabilità del medico→dalla insufficienza della distinzione tra obbligazioni
di mezzi ed obbligazioni di risultato a sciogliere il nodo di una prestazione resa in contesti
caratterizzati da variabili non integralmente governabili dal debitore
2. quanto alla responsabilità della struttura→al rischio derivante in sé dall’atto medico, si è
aggiunto il rischio dell’organizzazione in cui si inserisce l’operato medico e la causa di
molti errori medici, talvolta anonimi o difficilmente accertabili, risale a fattori che si
collocano sul piano organizzativo e/o della cooperazione e come tali chiamano in causa il
medico con la struttura→De Matteis che osserva che ciò derivi dall’esigenza di guardare
più all’attività sanitaria più che all’atto medico, più che al medico, nella individuazione
della sua colpa, alla struttura sanitaria come soggetto che, nell’offrire un servizio per la
salute dei cittadini, deve essere in grado di prevenire il rischio correlato, con opportune
politiche di risk managment e soprattutto di traslare su altri soggetti il costo dei danni

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12.3 I lineamenti della disciplina del duplice binario di responsabilità: in particolare, la
responsabilità della struttura
• Per quanto concerna la struttura→si può delineare una responsabilità della struttura destinata a
scaturire da un’attività, la quale – dovendo confermarsi a criteri di organizzazione certamente
distinti da quelli che governano la condotta del singolo medico - invoca l’utilizzazione di standards
valutativi peculiari: cosicché il criterio di responsabilità destinato a trovare affermazione dovrà
essere modellato tenendo conto del fatto che si tratta dell’organizzazione di un’attività che
predispone servizi da offrire alla persone che attengono all’evidenza ad un bene giuridico di
particolare rilievo (salute)→risulta allora condivisibile l’affermazione di un criterio di natura
oggettiva
• Un discorso diverso deve essere fatto per quanto attiene alla responsabilità della struttura nella
misura in cui essa si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal
paziente e ancorché non dipendenti dalla struttura stessa, rispondendo essa in questi casi ai sensi
del 1218 e 1228 c.c. delle loro condotte colpose e dolose (art 7)→qui la responsabilità della
struttura trae origine da una condotta colposo o dolosa del singolo ausiliario→tuttavia, la
responsabilità della struttura nell’ambito normativo appena evocato non postula un autonomo
giudizio di colpa in capo alla struttura (per esempio dal punto di vista della designazione del
medico incaricato del singolo trattamento diagnostico)→sarebbe difficile in effetti ravvisare un
criterio di imputazione basato sulla colpa, in un quadro in cui la responsabilità della struttura può
sorgere anche per il fatto doloso o colposo di un operatore scelto dallo stesso paziente
- Per quanto attiene alla responsabilità del medico si tratterà di declinare un criterio di
responsabilità che evoca il paradigma della colpa professionale sanitaria, secondo le peculiari
indicazioni introdotte appunto dalla disciplina normativa
• In questo quadro l’attenzione potrà concentrarsi sul tema della responsabilità della struttura: non
soltanto alla luce della constatazione della funzione di canalizzazione della responsabilità verso la
struttura, ma anche per la sempre maggiore importanza pratico-teorica dell’aspetto peculiare
dell’organizzazione della responsabilità della struttura, attestata in dottrina (Faccioli)
- Nel quadro dell’art 7 (i primi 2 commi)→la struttura risponde delle condotte colpose e dolose
degli ausiliari sulla base del 1218 e 1228, allargando l’ambito dei soggetti dei quali la struttura
stessa risponde
- È stato osservato da Meoli-Sica che l’impatto comunque è stato modesto, sia sotto il profilo del
titolo della responsabilità, sia sotto il profilo della delimitazione del perimetro entro il quale
essa opera→infatti l’elaborazione giurisprudenziale aveva già da tempo compiuto un percorso
di contrattualizzazione del regime di responsabilità della struttura, attraverso la categoria
(elaborata dalle ss.uu nel 2008) dei contratti di protezione, proprio perché in esso, accanto al
nucleo tipicamente riconducibile al piano delle prestazioni, si toglie intrinsecamente una
componente di protezione della persona del paziente che si affida alle cure somministrate nella
struttura
- Così impostato il discorso se ne desume una prima soluzione operazionale condivisibile, quale è
quella che consenta al paziente che lamenti un danno discendente dall’inadempimento di una
delle obbligazioni derivanti dal contratto di spedalità, di far valere una pretesa risarcitoria nei
confronti della struttura: autonoma da quella proposta contro il medico in occasione della
stessa vicenda di danno→in altre parole: la responsabilità della struttura non è vicaria, che si
correla al fatto illecito del personale medico operante nella struttura, e questo permette di
stagliare in maniera nitida la responsabilità della struttura nella dimensione degli obblighi di
protezione dell’integrità psico-fisica del paziente→obblighi di protezione che si fanno sempre
più stringenti in quanto il paziente si affida alla struttura in un momento di debolezza così da
essere esposto in maniera accentuata a rischi, quali, ad esempio, quelli discendenti dalle

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infezioni nosocomiali→e proprio perché il paziente si rivolge alla struttura per migliorare o per
rimanere integro, la prima cura della cura deve essere rivolta ad evitare un peggioramento
delle condizioni di salute del malato “in conseguenza di eventi dannosi ricollegati a fattori di
insicurezza, pericolosità, o nocività dei propri ambienti, degli strumenti e dei prodotti impiegati
nell’esecuzioni delle prestazioni sanitarie (Faccioli)→mentre l’affrancamento, quanto ai casi di
cui si sta discorrendo, dalla responsabilità della struttura dalla premessa dell’esistenza di un
comportamento in ipotesi colpevole di un medico fonda il corollario dell’irrilevanza, ai fini del
giudizio di responsabilità della struttura, della natura del rapporto che lega a quest’ultima il
medico nonché dell’esistenza di un atto di scelta del medico da parte del paziente
• Rimane da risolvere un problema→qualificazione del criterio di imputazione della responsabilità
della struttura, soprattutto nei casi in cui quest’ultima conviva con quella del medico→2 problemi:
1. Situazione che si delinea allorché la struttura sia carente, per ragioni obiettive e di per sé
insuscettibili di farne oggetto di colpa, della strumentazione adeguata a fronteggiare la
specifica esigenza terapeutica che il paziente presenta→obbligo del medico di non erogare la
prestazione di cura, disponendo l’avvio del paziente presso un centro adeguato a
somministrarle, con un correlativo obbligo di informazione a beneficio del
paziente→responsabilità extracontrattuale per il medico e la responsabilità della struttura che
si sia avvalsa dell’esercente la professione
2. Evento produttivo di danno a carico del paziente che, rivolgendosi per la prestazione di cura
alla struttura, ha concluso con essa il contratto di spedalità, discenda da un errore del soggetto
esercente la professione sanitaria→avremmo duplicazione di responsabilità anche qui
- Per quel che concerne la qualificazione che deve essere riservata alla posizione della struttura
ed al titolo di responsabilità abbiamo due interpretazione dell’art 7:
1. Laddove l’art 7 fa riferimento alle condotte colpose o dolose degli ausiliari secondo la
disposizione del 1228, ha indotto a ritenere che il titolo della responsabilità della struttura
dovrebbe essere individuato nell’elemento della colpevolezza
2. La struttura risponde in ogni caso per inadempimento proprio→infatti l’art 7 non
configura una responsabilità vicaria, ma afferma che la natura o colposa posta in essere
dall’ausiliario non determina la liberazione del debitore che di esso si avvale
nell’esecuzione della prestazione e che, dunque, risponde del proprio inadempimento,
secondo i criteri di imputazioni della responsabilità c.d. contrattuale→questa ricostruzione
sarebbe più persuasiva, perché rispondente anche all’esigenza di promozione della
sicurezza delle cure e della persona assistita, perché per essa risulterebbe eccessivamente
gravoso provare oltre che la condotta dolosa o colposa dell’esercente la professione
sanitaria, pure un indistinto profilo di colpevolezza della struttura (peraltro, come abbiamo
già avuto modo di ricordare, difficilmente configurabile laddove la condotta colposa e
dolosa sia ascrivibile ad un esercente la professione sanitaria scelto dal paziente
medesimo)
• Conclusione→Meoli-Sica→la responsabilità della struttura si configura in termini tipici della
responsabilità del debitore, il quale, assumendosi il rischio dell’attuazione del programma
negoziale, è tenuto al risarcimento del danno, salvo il limite della prova liberatoria secondo la
regola generale del 1218→e allora superiamo anche la dicotomia che si veniva a creare allorché si
ricostruiva la responsabilità in termini oggettivi per la responsabilità diretta, mentre per tutti gli
altri casi responsabilità per colpa
• Il discorso rifluisce sul piano della prova per mezzo della quale la struttura può andare esente da
responsabilità→2 opzioni:
1. Se sufficiente da parte del debitore dimostrare l’osservanza di uno standard di diligenza, sia
pure particolarmente elevato

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2. Ovvero se sia necessario dimostrare le ricorrenza di un fatto sopravvenuto al quale sia
integralmente ascrivibile la serie causale che ha prodotto il danno (Meoli-Sica)
- Il problema è più complesso→il problema della corretta impostazione del giudizio di
responsabilità del debitore da inadempimento delle obbligazioni deve ricevere risposte
modulate tenendo conto di tutti gli elementi della concreta vicenda di rapporto obbligatorio di
volta in volta oggetto di analisi ed in particolare “il contenuto e le caratteristiche della
prestazione dovuta, le qualità soggettive delle parti, la fonte del vincolo obbligatorio,
l’allocazione del rischio delle sopravvenienze che possono compromettere l’esecuzione del
rapporto (Faccioli circa l’organizzazione)
- Posto questo→si colgono le ragioni che orientano il discorso verso l’accreditamento di
standard di responsabilità tendenzialmente oggettivi→depone in questo senso:
1. la natura del servizio prestato che, a differenza dell’obbligazione di cura specificamente
gravante sull’esercente la professione sanitaria, risulta assai più agevolmente governabile da
parte di chi lo predisponga e tendenzialmente insensibile rispetto alle variabili naturalistiche
che influenzano invece così profondamento la prestazione di cura da parte del medico
2. La struttura si ponga al paziente come una struttura organizzata
3. la rilevanza dell’affidamento riposto dal paziente, in questo caso sullo standard di condotta
dell’impresa o organizzazione erogatrice dei servizi di spedalità e tenuta all’assolvimento dei
corrispondenti obblighi di protezione→Infatti essendo sostenibile che il paziente possa
nutrire un ragionevole affidamento sulla professionalità dell’organizzazione della struttura,
si potrà ritenere che dal contratto di spedalità, interpretato secondo buona fede, si
desumono come doverose tutte le condotte organizzative del prestatore di servizi che siano
funzionali a garantire il raggiungimento dello scopo di cura
- Duplice conferma della natura oggettiva della responsabilità della struttura:
1. Nel solco dell’impostazione appena accennata, trova una conferma ulteriore l’assunto
secondo il quale, in materia di responsabilità della struttura, deponendo a favore
dell’accreditamento di esso le argomentazioni che sono state proposte a sostegno
dell’affermazione dei criteri di imputazione oggettivi quando si tratti di responsabilità
ricollegabile all’attività di impresa: l’incentivazione che si determina di comportamenti e di
misure organizzative in grado di migliorare il livello dei servizi, facendo gravare il costo dei
danni sul soggetto meglio in grado di prevenirli
2. Interpretazione analogica delle regole del codice civile sui contratti tipici in materia di
servizi alla persona erogati per mezzo di un’attività organizzata e in relazione alle norme
sulla responsabilità del vettore per i sinistri che colpiscono la persone del viaggiatore, così
come contenute nel 1681 cc (De Matteis→l’obbligo di sicurezza del servizio, posto a carico
dell’esercente l’attività di trasporto, debba intendersi non come mera proiezione del
principio del neminem laedere, bensì come obbligo ad ampio spettro al quale debbono
conformarsi i contenuti della prestazione che è oggetto di servizio, cosicché l’obbligo di
garantire la sicurezza del servizio penetra nella struttura del rapporto obbligatorio
conformando nei contenuti la prestazione esigibile dal vettore, il quale si impegna ad
adottare tutte quelle misure offerte dalla tecnica che siano idonee ad evitare
l’accadimento di sinistri)
• Riflessione conclusiva→la legge 24/2017 è in grado di offrire uno spunto ricostruttivo delle
argomentazioni accreditate o è necessaria una rimeditazione?
- La legge non ha aggiunto nulla sui criteri di imputazione della responsabilità della struttura,
almeno in maniera esplicita→tuttavia la stessa ratio legis di canalizzazione della responsabilità
verso la struttura sanitaria offre un argomento, quanto meno sul piano sistematico, ad
ulteriore sostegno della tesi della natura della responsabilità oggettiva della
struttura→apprezzabili nello stesso senso anche le disposizioni di cui all’art 3 della predetta

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legge accreditando un modello imperniato sull’allocazione obiettiva del rischio discendente
dall’attività della struttura→è probabile, dunque, che anche processualmente parlando avremo
l’uso di presunzioni e dell’argomento della res ipsa loquitur, tali da ascrivere a carico della
struttura la responsabilità per danni arrecati ai pazienti sulla base di criteri operazionali più
marcatamente di natura oggettiva

13 Sulla “irretroattività” della disciplina sostanziale della legge n-


189/2012 e della legge n. 24/2017
13.1 Il caso: Cass. n. 28994/2019
• Un ginecologo, dopo aver seguito durante la gestazione una paziente con specifici profili di rischio
in relazione ad una minaccia di aborto all’ottavo mese e perché affetta da gestosi, aveva omesso di
sconsigliarne il ricovero, ai fini del parto, in una struttura sanitaria non dotata di un adeguato
reparto di terapia intensiva e di rianimazione neonatale→Il neonato era risultato, poi, affetto da
gravi patologie neurologiche, pur essendo stato ricoverato, subito dopo il parto, avvenuto in una
struttura inadeguata, presso un ospedale attrezzato
• Azione risarcitoria contro il medico, ritenuto responsabile sia in primo che in secondo grado, dei
danni patiti dal neonato→nel bel mezzo era intervenuta la legge 189/2012→e allora il giudizio si
sarebbe dovuto svolgere con applicazione delle regole proprie della responsabilità
extracontrattuale, ritenendo retroattiva la disciplina
• La cassazione nel 2019 riflette sul problema della retroattività della legge Balduzzi e di riflesso
anche della legge Gelli-Bianco→risposta: né l’una, né l’altra legge hanno efficacia retroattiva ;
mentre un discorso diverso si può fare per gli artt. 138 e 139 codice ass. in materia della
liquidazione del danno, richiamati dalle leggi

13.2 Il contenuto precettivo della l. n. 189/2012 e l’esclusione di un suo ipotetico effetto


retroattivo
• Questione: qualificazione della responsabilità, verso il paziente, del medico non legato al primo con
un contratto avente ad oggetto la prestazione di cura, qualificazione che: nel caso della Legge
Balduzzi è solo apparente, nel caso della legge Gelli-Bianco è invece racchiusa→è necessario un
restatement operato dalle dieci sentenze della Cassazione nel 2019
• Fattore comune alle due leggi: non hanno introdotto una regolamentazione specifica dello snodo
centrale della materia (qualificazione della responsabilità del medico che non ha contratto col
paziente curando)→esso hanno operato, sia pure in termini non-coincidenti l’una con l’altra, con la
tecnica del rinvio alla disciplina generale del Codice civile, evocata dal legislatore come schema
qualificatorio
• la conseguenza sul piano della retroattività si comprende in un interrogativo: se possa competere
al legislatore (diritto vigente) qualificare un’ipotesi di fatto appartenente ad una determinata
categoria, disattendo la diversa qualificazione, che fino a quel momento era stata accreditata in via
giurisprudenziale (diritto vivente), ad altre ipotesi di fatto riferibili alla medesima categoria e con
effetto di applicazione immediata della nuova qualificazione anche ad ipotesi di fatto sorte
nell’ambito dell’assetto interpretativo preesistente
- la legge Balduzzi, infatti, si era prestata ad una lettura in termini di emersione di un contrasto
tra diritto vivente e diritto vigente→il primo che si era consolidato giurisprudenzalmente,
condividendo la premessa della teoria della responsabilità da inadempimento di
un’obbligazione preesistente, discendente da contatto sociale, a sua volta fondato
sull’affidamento che il paziente ripone sul medico sulla professionalità dello stesso: su questa
premessa sarebbe insostenibile condividere la posizione del medico come mero “passante”
(Castronovo)

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• la scelta del legislatore, in particolar modo l’art 3, co.1, poteva sembrare di segno opposto e cioè
nel senso di restituire la responsabilità del medico all’area della responsabilità extracontrattuale→
“L'esercente la professione sanitaria, che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee
guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa
lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile. Il giudice,
anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di
cui al primo periodo”
- Questa disposizione e opzione ermeneutica (dal punto di vista della riconduzione della
responsabilità del medico all’area aquiliana) sembrava essere coerente anche alla luce della
ratio stessa della legge: porre un freno al proliferare delle azioni penali per fatto di malpratice
medica→e la responsabilità aquiliana sarebbe stato il pendant proprio nella misura in cui
risulta più arduo (rispetto alle ipotesi di responsabilità contrattuale) da esperire per la vittima,
dal punto di vista degli oneri di allegazione e di prova, l’azione risarcitoria
- Questa ricostruzione era stata condivisa anche da alcune sentenze di merito→viene alleggerito
l’onere probatorio del medico e viene fatto gravare sul paziente l’onere di offrire la
dimostrazione giudiziale dell’elemento soggettivo di imputazione della responsabilità
- Questa scelta normativa non poteva neanche essere oggetto di dubbi di legittimità
costituzionale, posto che nel vigore dell’ordinamento pretorio che proponeva come modello di
azione l’art 2043, non si era dubitato della costituzionalità dello stesso
- La conseguenza, avallata anche dalle sentenze di merito aderenti al modello aquiliano, è la
seguente: l’art 3 operando una scelta del tutto chiara e congruente con la finalità di
contenimento degli oneri risarcitori della sanità pubblica (poiché se resta fermo l’obbligo di cui
all’art 2043 in tutti i casi, vuol dire che la responsabilità è extracontrattuale) allora il contatto
sociale sarebbe stato un modello non più utilizzabile con il correlativo spostamento dell’onere
probatorio dal medico al paziente
• Corte di Cassazione è di segno opposto→la materia della responsabilità civile segue le regole
consolidate e non solo per la responsabilità aquiliana del medico ma anche per quella c.d.
contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale (anche Cass. 4030/2013)
• Anche una buona parte della dottrina era di segno contrario→nella misura in cui si poneva
l’accento sulla scarsa qualità tecnica dell’intervento del legislatore (Faccioli), tale da richiedere
l’esigenza di inserire la stessa legge Balduzzi nel sistema del diritto vivente e doveva dunque tener
conto del modello del contatto sociale
- Altra parte di dottrina riteneva invece→una lettura costituzionalmente orientata della nuova
disciplina normativa attenta all’effettività della tutela del diritto alla salute, avrebbe reso
impossibile un ritorno al passato (Clarizia)
• Conclusione della sentenza 28944/2019→risolve a monte il problema di una ipotetica retroattività
della legge: la legge Balduzzi, osserva, si limitava ad escludere la rilevanza della colpa lieve, ma
non qualificava la responsabilità del medico come extracontrattuale, dovendosi intendere il
rinvio al 2043 non come tale da estendere al medico lo statuo della responsabilità aquiliana, ma
come una tecnica per definire in modo indiretto l’oggetto dell’obbligazione (risarcimento)

13.3 L’affidamento sulle regole di diritto vivente e l’irretroattività della l. n. 24/2017


• Più articolato il discorso svolto circa la questione di retroattività della legge Gelli-Bianco, la quale
condivide, con la legge Balduzzi, il metodo consistente nel non porre regole specifiche, richiamando
invece, al fine di qualificare le ipotesi di fatto oggetti di regolazione, discipline generali, a loro volta
di incerta applicazione
- Qui rimandiamo ad un discorso già affrontato nel par. 12.2, circa la critica metodologica della
tecnica legislativa “anomala”

pag. 54
- Conseguenza→applicazione della legge solo nelle ipotesi sorte nel periodo di vigenza della
legge Gelli-Bianco
• Sentenza di Cassazione→muove dall’individuazione del fenomeno normativo verificatosi nel caso di
specie, che è appunto quello della qualificazione, da parte del legislatore, di una classe di casi e
della loro sussunzione in una fattispecie legale, già presente nell’ordinamento e non quella della
creazione di una fattispecie legale astratta, proprio perché il legislatore si è limitato di utilizzare un
modello di regolamentazione già contenuto nel c.c.
- Di qui la conseguenza dell’esigenza di distinguere tra la qualificazione operata in questo modo
dal legislatore ed il potere spettante al giudice, che si risolve in quello di interpretare
autonomamente non già le disposizioni di legge, ma gli stessi fatti rilevanti per la qualificazione
del rapporto giuridico→abbiamo due possibili critica del sistema, l’una (la prima) risolta, l’altra
(la seconda) irrisolta:
1. La scelta del legislatore di qualificare un rapporto non può snaturarne l’oggettività, nel
senso che esso può intervenire nella qualificazione stessa di un rapporto ma soltanto se
tale esito non metta in discussione la tutela costituzionale che lo steso riceva in ragione
del suo carattere fenomenologico, ovvero dei beni che esso abbia ad oggetto→è risolta
perché la Cassazione mette a punto come con la responsabilità ex art 2043 non verrebbe
elusa la tutela del diritto alla salute (anche il rimedio aquiliano è effettivamente tutelante)
2. Ma la critica irrisolta madre della irretroattività della legge è la seguente→un siffatto
intervento legislativo verrebbe ad interferire con il potere originariamente riservato al
giudice: di interpretare i fatti e qualificarli giuridicamente (sussumibilità), venendo così ad
incidere inammissibilmente su singoli processi in corso, con patente lesione
dell’affidamento di chi ha intrapreso un’azione giudiziaria sulla base di regole sostanziali
applicata dal diritto vivente (come quelle della natura c.d. contrattuale) con dirompenti
conseguenze sul riparto dell’onere probatorio e sulla presunzione→ma c’è di più: la
retroattività inciderebbe anche sulle preclusioni allegatorie e sul giudicato interno, tanto
da creare disparità di trattamento non solo tra vari giudizi, ma anche all’interno dello
stesso processo
- Conclusione della sentenza→legittimità della sussunzione dei fatti costituenti responsabilità
civile in termini di responsabilità aquiliana in epoca anteriore al primo gennaio 2013 ed al
primo aprile 2017→discorso diverso invece per gli artt. 138 e 139, in quanto attengono alla
liquidazione del danno
• Riflessioni conclusive→il principio condivisibilmente enucleato dalla Cassazione crea le condizioni
perché si continui a discorrere ancora a lungo (con riferimento alle ipotesi di fatto verificatesi fino
al 1/4/2017) della responsabilità del medico non legato ad un paziente da contratto, come
responsabilità da contatto sociale: tanto più ove si consideri che in ambito sanitario si verifica una
frequente divaricazione temporale tra il momento in cui viene posta in essere la condotta lesiva e il
momento in cui le conseguenze dannoso divengano “apprezzabili”

14 L’onere di prova circa il nesso di causa nella responsabilità contrattuale


del sanitario
➢ Contatto sociale qualificato→abbiamo sottolineato che la categoria di diritto dottrinal-
giurisprudenziale del contatto si è sviluppata proprio a partire dalla presa d’atto della inadeguatezza
in termini di congruenza della forma giuridica rispetto alla sostanza economico-sociale del
problema, dello strumento della responsabilità extracontrattuale a venire in considerazione quando
si trattava di fatti dannosi che si verificano nell’ambito di quell’affidarsi del paziente al medico
inserito nella struttura sanitaria che (il medico) non aveva avuto un contatto col paziente

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➢ Dobbiamo aggiungere qualcosa nella prospettiva del dato normativo più recente→ la materia della
responsabilità sanitaria è stata oggetto di due interventi normativi in sequenza nell’ultimo decennio
(2012, Legge Balduzzi e 2017, Legge Gelli-Bianco)→già questo significativo perché il fatto che il
legislatore avverte per due volte la necessità di mettere mano su un determinato argomento vuol
dire che c’è qualche problema→quale è il problema? Nell’ambito della responsabilità sanitaria
proprio come conseguenza dell’accreditarsi della teoria del contatto si era determinata una
situazione di proliferazione di pretese risarcitorie da parte dei pazienti danneggiati, che avevano
come elemento di loro vantaggio quello di poter contare sulla disciplina assai più favore (in
particolare sotto l’onere di prova) della responsabilità contrattuale (il corollario caratteristico della
attribuzione alla responsabilità del medico inserito in struttura della natura contrattuale consiste nel
fatto che a quella forma si applicavano le regole di responsabilità da inadempimento)→ al sanitario
spetta di dimostrare che egli aveva adempiuto la propria prestazione→
❖ parentesi: in realtà occorre dare atto che in parallelo rispetto al tentativo normativo di
ricondurre tutta la materia, salvo che ci sia rapporto contrattuale tra paziente e struttura
sanitaria, al contatto è accaduto anche qualcosa d’altro che andava sempre nella stessa
direzione: evitare l’eccesivo proliferare di pretese risarcitorie: questo orientamento pone
l’accento sul fatto che sulla prestazione del medico c’è la peculiarità che il risultato utile finale sta
sempre fuori delle possibilità di adempimento del medico, tranne che per le prestazioni di natura
routinaria
• Tuttavia il legislatore ha fatto proprie le esigenze di contenimento di questi interessi, anche per
il bilancio pubblico→quali sono le ragioni: in presenza di un regime di responsabilità del medico
reso vigoroso proprio dall’operare della categoria del contatto e dunque della riconduzione alla
responsabilità contrattuale, si era consolidata la prassi la medicina difensiva: medico che
prescrive un set di analisi complicatissime per evitare che si possa dire che io paziente allego
inadempimento perché se tu mi avessi fare le analisi avresti scoperto e saresti potuto
intervenire→è stata vista come disvalore perché innanzitutto nei casi prestazione di cure da
parte del servizio sanitario nazionale che pone a carico dell’erario i costi del servizio sanitario
stesso, è chiaro che questo determina un aggravio della finanza pubblica perché ogni banale
esigenza di diagnosi si trasformava in un sovraccosto, ma in generale anche quando si trattava
di prestazione non a carico della finanza pubblica, ci sarebbe un pregiudizio per il paziente
qualora sia un esame diagnostico invasivo→entrambe le leggi allora hanno perseguito il
tentativo di riportare la resp. del medico inserito in una struttura sanitaria che abbia curato un
paziente e che non abbia un rapporto obbligatorio con esso, si è cercato di ricondurla all’area
della responsabilità civile→tecniche:
1. Legge Balduzzi→Nulla di fatto→attraverso una interpretazione del contenuto normativo
della legge del 2012 condotta alla luce del diritto vivente che si era venuto sviluppando in
materia di contatto, la cassazione aveva depotenziato l’impatto della legge Balduzzi nella
prospettiva dell’accreditamento della responsabilità del medico come responsabilità
extracontrattuale→sta di fatto che con la legge Balduzzi questa rivoluzione copernicana di
fatto non si era potuta verificare→ribellione del diritto vivente (giurisprudenziale) al diritto
vigente (dato legislativo)
2. Legge Gelli-Bianco→Con la legge del 2017 ha più chiaramente operato la scelta nel senso di
qualificare la responsabilità del medico con meccanismo di rinvio alla disciplina
extracontrattuale, all’ambito aquiliano →modello di responsabilità sanitaria che emerge?
Modello che è stato definito da alcuni autori a doppio binario:
2.1. Da un lato verrebbe all’interno di esso in considerazione una responsabilità che il
legislatore ha inteso qualificare come aquiliana per ragioni di politica del
diritto→responsabilità del sanitario in quanto tale

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2.2. Verrebbe in considerazione una responsabilità contrattuale che è però soltanto della
struttura ospedaliera che rappresenta il soggetto verso il quale debbono essere
canalizzate tutte le pretese risarcitorie dei pazienti→perché la scelta di canalizzazione?
1. Esigenza di alleggerire la responsabilità dei medici in quanto tali
2. La struttura sanitaria opera in modalità imprenditoriale tout court, oppure para-
imprenditoriale (azienda sanitaria)→e quindi perché questa canalizzazione?
1.1. L’impresa è meglio in grado di gestire il rischio derivante da questi accadimenti
dannosi→qui entra in gioco il discorso con riferimento all’imprenditore e alla tesi
secondo cui sarebbe dato ravvisare un criterio generale di resp. oggettivo per
rischio di impresa→primo livello di spiegazione (non è il solo)
1.2. Maccanismo assicurativo→il medico lo fa in maniera molto più onerosa→le
compagnie di assicurazione sono sempre più attente al rischio della
responsabilità sanitaria→è sempre necessario porsi il problema dei costi perché
la responsabilità civile è tipicamente un rimedio che si innesta all’interno dei
processi di circolazione della ricchezza e dunque è un istituto che sempre va visto
nella sua idoneità a creare situazioni più o meno ottimali dal punto di vista della
convenienza economica
• Richiamare la disciplina della responsabilità aquiliana→tecnica criticata→
1) perché si è detto che se il legislatore avesse voluto creare un regime più favorevole per il
medico rispetto a quello che si era venuto delineando in sede di applicazione della categoria
del contatto, quello che avrebbe dovuto fare era di delineare un corpus autonomo di
disciplina della responsabilità sanitaria dotato di regole proprie, quindi non fare un rinvio ma
ha richiamato la responsabilità aquiliana→in questo modo tuttavia il legislatore ha fatto una
scelta ambigua, poco lucida dal punto di vista dell’equilibrio complessivo del
sistema→sarebbe stato più coerente e efficiente predisporre una regolamentazione ad hoc
specifica della materia (sistema normativo francese)→questa notazione ci consente di dire
una cosa che rileva sul piano del discorso finale sulla responsabilità civile→non
predisponendo questo testo normativo ad hoc il legislatore alla fine ha scelto una
scorciatoia - richiamando la regolamentazione aquiliana - e intaccando quella dialettica tra
disciplina generale della responsabilità civile e sottosettori della responsabilità civile che
pure su altri versanti sono consolidati→si pensi al danno ambientale: il legislatore ha preso
atto che il danno ambientale propone particolari problemi e ha creato una disciplina ad
hoc→qui pur con la consapevolezza della peculiarità dei problemi della responsabilità
sanitaria
2) Criticata da un altro angolo di visuale→ scelta secondo alcuni poteva essere ancora più
estrema→nel senso che proprio portando alle sue estreme conseguenze il discorso della
canalizzazione il legislatore avrebbe potuto affermare (un po' come per gli insegnanti di
scuole pubbliche o magistrati) la responsabilità diretta della struttura, prevedendo l’azione
di rivalsa nei confronti dei medici responsabili→al fine di contemperare:
2.1. da un lato un interlocutore solido come la struttura sanitaria per il danneggiato
2.2. dall’altro lato proprio con la rivalsa, evitare il rischio della deresponsabilizzazione
eccessiva della classe dei medici→tuttavia non è stata questa l’idea del legislatore
• Centralità della responsabilità della struttura→si correla ad un aspetto importante: sempre
maggiore frequenza dei casi di responsabilità sanitaria che si ricollegano al difetto di
organizzazione della struttura→ipotesi: paziente che viene ricoverato in una struttura
sottoposto a interventi che va bene ma il paziente contrae una infezione ospedaliera a seguito
della quale muore→in questo caso la responsabilità è tipicamente da organizzazione (può
anche accadere, ma ipotizziamo che non sia così, che il medico non si sia lavato le mani) → in
casi del genere si coglie in maniera nitida la responsabilità della struttura che è specificamente

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contrattuale (legge 2017) ma è una responsabilità sulla base di una elaborazione dottrinale, non
ancora giurisprudenziale (perché la leggi Gelli-Bianchi, proprio perché ha innovato così
drammaticamente l’assento regolamentare della materia, non è retroattiva)→da questo punto
di vista la scelta normativa del legislatore è una scelta che non è neanche riuscita a scardinare
per il passato l’opzione qualificatoria nel senso di responsabilità contrattuale →ed è comunque
stata intesa la scelta normativa della lege ivi nel senso di configurare una responsabilità
oggettiva della struttura→importante proprie per le ipotesi di infezione ospedaliera→qui si
aprono i problemi dei rapporti tra struttura e medico→avremmo due scenari:
1. Responsabilità contrattuale della struttura →Art 1218
2. Art 1228: risponde per il fatto degli ausiliari→si pone il problema se esso debba essere
considerato nella prospettiva di un giudizio di colpa o oggettiva dell’ausiliare→un’altra
ragione per cui si è detto se questa legge sia una occasione mancata→sarebbe stato più
semplice affermare la responsabilità diretta ed esclusiva salva quell’azione di rivalsa

14.1 L’area di incidenza della questione


• Questione: prova del nesso di causalità nella responsabilità contrattuale→ovviamente sulla
premessa che il modello del contatto sociale continua a trovare applicazione e a dare una
spiegazione in senso contrattuale alla responsabilità del medico che non abbia stretto un contratto
con il paziente
- Ma abbiamo altri casi in cui viene in considerazione la responsabilità contrattuale→Medico che
ha assunto una obbligazione di prestazione nei confronti del paziente, stringendo direttamente
un contratto
• Doppio rilievo:
1. Infatti, è proprio sul piano sul nesso di causalità tra esito infausto (o comunque non
migliorativo) della prestazione di cura e l’eventuale inadempimento di colui che alla
prestazione di cura è tenuto che si giocherà la maggior parte delle controversie (rilevanza
pratica)
2. A fronte di questa rilevanza pratica, abbiamo anche rilievi sistematici→la ripartizione degli
oneri probatori gravanti su creditore e debitore rispettivamente, nelle azioni con le quali il
primo faccia valere l’inadempimento del secondo, costituisce uno degli snodi fondamentali di
qualsiasi teoria dell’obbligazione, così da rendere la sistemazione di essa davvero qualificante
in senso contrattuale o aquiliano→e questo in un quadro in cui l’assetto impresso alla materia,
dal punto di vista del diritto vivente, non è parso in grado di rendere conto dell’articolazione di
tutte le vicende della esperienza e del modo in cui ogni volta si modulano i due termini di
riferimento: la prestazione dovuta dal debitore e l’interesse creditorio che la stessa è
funzionale a realizzare
• Sulla scorta di queste considerazione non desta sospetto che le due sentenze del 2019 (del
“Progetto sanità”) abbiano suscitato un’attenzione particolare nella riflessione dottrinale (anche
critica)

14.2 La tenuta della soluzione proposta dalla Corte alla prova dei casi concreti
• Dobbiamo muovere dalle fattispecie concrete→ed è anche la Corte stessa a dircelo: quelle
decisioni sono chiamate pur sempre ad enunciare un “principio di diritto legato all’orizzonte di
attesa della fattispecie concreta”→questa è vista come una esigenza ordinamentale delle ss.uu,
alle quali è affidata l’enunciazione non di principi generali e astratti o di verità dogmatiche sul
diritto, ma la soluzione di questioni di principio di valenza nomofilattica pur sempre riferibili alla
specificità del singolo caso della vita (Cass. del 2018 circa la compensatio)

pag. 58
- Questo non può indurre ad avallare una legalità del caso→è necessario verificare attraverso il
controllo circa la possibilità di generalizzare in termini attendibili la regola enunciata nel caso,
della possibile adeguatezza di sistema di quest’ultima
• Vediamo i casi giurisprudenziali:
1. Sentenza 28991/2019→domanda risarcitoria in relazione ai danni che sarebbero derivati dal
decesso del dante causa→in ossequio ad essa era stata espletata una c.t.u, la quale aveva
concluso nel senso della impossibilità di identificare con esattezza la causa del decesso,
attribuibile genericamente ad uno stato si shock ed insufficienza multiorgano, cosicché non
poteva dirsi raggiunta la soglia del “più probabile che non” quanto alla correlazione causale fra
la morte e la condotta dei sanitari→in questo quadro erano rimaste inopinabili le scelte
adottate dai medici, come quella di effettuare una Tac all’addome che non avrebbe fornito
elementi decisivi per un ulteriore intervento rispetto ai due che il paziente aveva già affrontato,
tanto più perché un terzo intervento avrebbe avuto poco più il 40% delle chances con un
elevato rischio assai elevato di mortalità
2. Sentenza 28992/2019→paziente che lamenta una sepsi al ginocchio intervenuto dopo 6 mesi
dall’operazione di meniscectomia totale all’organo→domanda rigettata a seguito della c.t.u→la
sepsi non era riconducibile all’intervento avvenuto 6 mesi prima in quanto non sono state
documentate complicanze in sede di intervento
• Se questi sono i referenti fattuali, capiamo come il concreto contenuto decisorio non meriti di
essere descritto come un missile in grado di far saltare i basamenti del diritto delle obbligazioni,
ponendo a repentaglio la forza del vincolo obbligatorio e dell’affidamento che ciascun creditore
deve poter riporre su di esso; ovvero che lo stesso sia tale da relegare il paziente “in castigo”,
respingendolo in una fitta nebbia dal punto di vista dell’articolarsi dell’onere della prova
• In entrambi i casi ci troviamo dinnanzi ad ipotesi nelle quali era rimasta totalmente incerta
l’esistenza di un nesso di correlazione causale tra l’evento dannoso subito dal paziente e la
condotta, in ipotesi, colpevole del sanitario tenuto alla prestazione di cura→pertanto affermare la
responsabilità del debitore/sanitario avrebbe determinato un esito incongruo nella misura in cui
risulta estraneo allo scopo di protezione dell’obbligazione ed all’assetto di rischi che essa si
proponeva di governare
- Nell’obbligazione non può risolversi nella garanzia da parte del debitore del soddisfacimento di
un interesse che si colloca al di fuori del vincolo obbligatorio, nel senso che su di esso il
debitore della prestazione non possa espletare alcun controllo, così da non poter commisurare
ad esso la prova della propria attività e il proprio sforzo di diligenza→proprio per questa
ragione, a differenza di quanto avviene per la responsabilità della struttura) non
raggiungeremmo neanche l’esito di un incentivo all’adempimento e dunque rafforzando
l’affidamento che il creditore/paziente possa riporre sul debitore/medico
• Né in entrambi i casi, era potuta entrare in considerazione la prova presuntiva del nesso di
causalità materiale tra inadempimento delle regole di diligenza da parte del medico ed evento
dannoso→prova presuntiva che è in grado di attenuare le condizioni di maggiore difficoltà nelle
quali si viene a trovare il creditore delle prestazione di cura rispetto al creditore di qualunque
obbligazione
- Mantenendoci, come abbiamo premesso, sul piano della congruenza pratica→al giudice
spetterà individuare, quanto meno per classi di casi, delle presunzioni delle quali il giudice si
può avvalere per ritenere, in ipotesi, assolto l’onere della prova gravante sul
creditore→analizziamo due profili:
1. Elementi di prova suscettibili di essere desunti dalle condotte del sanitario relative alla
tenuta della cartella clinica→la Corte ha più volte ribadito che le negligenze nelle quali
incorra al riguardo il sanitario possono rilevare sul piano della prova, agevolando la
posizione del creditore che non può essere resa ulteriormente diabolica per negligenze

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ascrivibili alla parte convenuta in giudizio avente ad oggetto l’accertamento della
responsabilità di questi→pertanto se è stata accertata l’astratta idoneità della condotta
del debitore/medico a cagionare l’evento dannoso, l’incompletezza della cartella clinica
tale da impedire la ricostruzione fattuale della connessione tra condotta ed evento
dannoso non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui è dato far ricorso per
presunzioni se la prova diretta è stata resa impossibile dalle omissioni documentali del
debitore/medico→è del tutto ragionevole sostenere che, se la prova di una determinata
situazione di fatto sia resa più difficile dal comportamento violativo delle regole di
condotte della parte che aveva interesse contrario all’accertamento di quella situazione e
al tempo stesso fosse più vicina alla prova, ne discende un aggravamento della posizione
processuale della parte inadempiente, non potendo trarre un vantaggio da una situazione
di incertezza probatorio da lui stesso creata
2. Per le prestazioni routinarie (ad esito vincolato)→perché raggiungibile con procedure
collaudate e sperimentate da essere divenute routinarie→resta allora a lui l’onere di
provare il sopravvenire di un impedimento che abbia reso impossibile l’esatto
adempimento della prestazione (D’Amico)

14.3 Verso un’articolazione dell’onere della prova in relazione al contenuto della


prestazione oggetto dell’obbligazione?
• Il ricorso alla prova per presunzioni consente di superare le perplessità (per quanto concerna
l’aggravamento della posizione del creditore della prestazione) suscitate in materia di onere della
prova della causalità materiale nella responsabilità medica
- Del resto, l’utilizzazione dell’argomentazione presuntiva avrebbe permesso con ogni probabilità
di pervenire ad un esito affermativo della responsabilità della struttura sanitaria convenuta
pure nella vicenda sulla quale si era pronunciata la sentenza delle Sezioni unite del
2008/577→si trattava di un’azione risarcitoria promossa da un paziente malato di epatite C
che, sottoposto presso una casa di cura ad un intervento giuridico, che aveva implicato una
trasfusione di sangue, aveva convenuto in giudizio la casa di cura, addebitandole la
responsabilità della patologia. La domanda era stata rigettata in Appello, sulla base dell’assunto
che l’attore non avesse provato di non essere stato affetto dalla patologia al momento del
ricovero, ma anche al di là dell’errore consistente nell’accollo all’attore della prova della
circostanza negativa, sarebbe stato pienamente giustificato un argomento presuntivo
imperniato sulla notoria incidenza della trasfusioni di sangue sul rischio di contrarre l’epatite C
• Ma la pronuncia che ha inaugurato il nuovo corso giurisprudenziale sul riparto dell’onere della
prova era partita proprio dall’allontanamento dai principi sanciti dalla sentenza del 2008→aspetto
criticato dalla dottrina
• Verifichiamo se le critiche gli sono state mosse a questo indirizzo siano condivisibili
1. L’orientamento in questione determinerebbe una sorta di contaminazione della disciplina
dell’onere della prova in materia di responsabilità extracontrattuale→duplice argomentazione:
1.1. Procida Mirabelli Di Lauro→laddove l’art 1218 lascia poco spazio alla colpa e al rapporto di
causalità materiale, cosicché in un inadempimento lungi dal dover provare il creditore
(paziente) il nesso di causa materiale con l’evento dannoso che si è verificato a seguito di
condotte negligenti→La prova incombe sul debitore/medico il quale deve dimostrare l’esatto
adempimento ovvero l’estinzione per impossibilità della prestazione dovuta a causa a lui non
imputabile
1.2. Piraino→considerazione che in una fattispecie di responsabilità che lega soggetti
determinati e che costituisce una manifestazione eventuale e secondaria che avvince
danneggiato e danneggiante ancor prima che si produca il pregiudizio, non vi è spazio

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autonomo per quel tipo di problemi che invece caratterizzano la responsabilità aquiliana e
che attengono all’imputazione tanto oggettiva quanto soggettiva
2. La messa a punto dell’indirizzo giurisprudenziale sull’onere della prova del nesso di causalità
materiale, contenuta nelle due sentenze che costituiscono il termine di riferimento di queste
riflessioni, si confronta con l’obiezione appena evocata dando atto che nella responsabilità
contrattuale, l’assorbimento pratico della causalità materiale nell’inadempimento fa sì che
tema di prova del creditore resti solo quello della causalità giuridica (oltre che dalla fonte di
diritto di credito) perché, come affermato da Cass. 13533/2001, è onere del debitore (medico)
provare l’adempimento o la causa non imputabile che ha reso impossibile la prestazione (art
1218 cc) mentre l’inadempimento, nel quale è assorbita la causalità materiale, deve essere
solo allegato dal creditore (paziente)→a riguardo essa precisa come sarebbe possibile
introdurre una eccezione a questo schema, indicato come lo schema classico dell’obbligazione
di dare o di fare, così come contenuta nel codice civile, con riguardo all’ampio territorio del
facere professionale→in quest’ultimo, infatti, la causalità materiale rifluirebbe nel necessario
accertamento della riconducibilità
- qui si innesta il passaggio del discorso ulteriore che attiene alla distinzione tra interesse
corrispondente alla prestazione e interesse primario del creditore: infatti secondo le
sentenze, nei casi in cui il primo sia solo strumentale al secondo causalità ed imputazione per
inadempimento tornano a distinguersi anche sul piano funzionale perché il danno evento
consta non della lesione dell’interesse alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione, ma della
lesione dell’interessa presupposto a quello contrattualmente regolato, con ulteriore
specificazione che la distinzione tra interesse strumentale, affidato alla cura della prestazione
oggetto di obbligazione, ed interesse primario emerge nel campo dell’obbligazione di diligenza
professionale→a tal proposito Macario osserva che “l’inadempimento non possa che essere
connesso alla prestazione (in se stessa, ossia relativa alla realizzazione dell’interesse
strumentale), mentre il paziente/creditore, il quale lamenti il danno per mancata
realizzazione dell’interesse presupposto (ossia la guarigione completa, in ragione della quale
ci si reca nella struttura) non potrebbe essere esonerato dalla prova della causalità materiale,
che consente di ricondurre il danno lamentato alla (assenza o insufficienza di) diligenza
professionale
- D’amico rileva che qui possa sorgere un dubbio interpretativo, nella misura in cui le sentenze
potrebbero accreditare la distinzione tra obbligazione di mezzi e risultato (già da tempo
smontata) ed è stato colto un duplice profilo problematico→laddove osservano - sulla
premessa che il danno evento riguarda, nelle obbligazioni di diligenza professionale, non
l’interesse corrispondente alla prestazione, ma l’interesse presupposto - che, in quelle
obbligazioni la causalità materiale non è assorbita dall’inadempimento→questo ultimo coincide
con la lesione dell’interesse strumentale, ma non significa necessariamente lesione
dell’interesse presupposto, e dunque allegare l’inadempimento non significa allegare anche il
danno evento, il quale, per riguardare un interesse ulteriore rispetto a quello perseguito dalla
prestazione, non è necessariamente collegabile al mancato rispetto delle leges artis (diligenza
professionale), ma potrebbe essere riconducibile ad una causa diversa dall’inadempimento→
in particolare, i punti problematici consisterebbero nella negazione dell’esistenza di
obbligazioni di facere professionale aventi ad oggetto un risultato, posto che, al contrario,
sarebbe dato ravvisare obbligazioni, nel settore delle prestazioni sanitarie, riferibili alla
promessa della guarigione del paziente, salvo il caso fortuito, come avviene nelle prestazioni
routinarie: in queste prestazioni, pure a voler ritenere che l’interesse primario rimanga esterno
all’oggetto della obbligazione, non sarebbe sostenibile che allegare l’inadempimento non
significhi anche allegare il danno evento perché quest’ultimo potrebbe essere riconducibile ad
una causa diversa dall’inadempimento→infatti fuorché il caso fortuito sostenere che

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l’allegazione di un inadempimento non tragga con sé anche quella del danno evento
equivarrebbe a smentire l’assunto che si tratti di prestazioni definite ad alta vincolatività e cioè
prestazioni in cui il risultato consegue sempre alla prestazione diligente, onde l’inadempimento
è sempre un fatto determinante (D’Amico)
• Le considerazioni critiche parzialmente rispetto all’impianto argomentativo delle sentenze colgono
un aspetto: necessità di articolare ulteriormente il discorso tenendo conto delle peculiarità delle
prestazioni mediche ad alta vincolatività, peculiarità che è destinata a dispiegare la propria
rilevanza anche sul piano della prova presuntiva del nesso di causalità di materiale causalità tra
inadempimento e danno→costruire un assetto di oneri probatori il più possibile calibrato sulla
specificità della prestazione oggetto della obbligazione
• Serie di sentenze che sono state emanate nell’11 novembre nel 2019 che hanno rimesso in ordine tutta
la materia della responsabilità sanitaria→importanti perché hanno rappresentato il tentativo della
Cassazione a sezione semplice di introdurre una regolamentazione affidata alla persuasività del
precedente di tutti i problemi che si delineavano in materia di responsabilità sanitaria→infatti è stato il
frutto di quello che è stato definito come il progetto sanità→l’idea della Cassazione era quella di
esercitare quella funzione nomofilattica che le è propria anche in via preventiva→il progetto sanità che
ha condotto alla emanazione di un plotone di sentenze è un progetto finalizzato a stroncare prima
ancora che venissero sottoposte alla Cassazione eventuali contrasti di giurisprudenza (nomofilachia
preventiva) →la peculiarità di cui bisogna dare atto è che si tratta di sentenze intervenute quando non
si era ancora determinato un importante cambiamento ed era accreditata la ricostruzione
giurisprudenziale in materia di responsabilità sanitario inserito nella struttura con la quale il paziente
abbia il rapporto, in termini di r.d.c.s.q. →i discorsi che fanno queste sentenze vengono svolti in
riferimento alla responsabilità da inadempimento di una obbligazione preesistente non
extracontrattuale→tuttavia sia perché la disciplina della resp. sanitaria così come contenuta nella legge
Gelli Bianco richiama come regola la responsabilità aquiliana e cioè volendo stroncare proprio
quell’orientamento che applicava la tesi della r.d.c.s.q. →va tenuto conto del fatto che la legge proprio
perché opera con questa tecnica normativa insolita (richiama uno spezzone di disciplina già presente
nel sistema, non è una legge che dice che si auto applica a fatti verificatesi precedentemente)→legge
che non governa le fattispecie verificatesi pre-2017 e tutte queste sono assoggettati all’assunto
secondo cui la responsabilità del medico inserito in una struttura sanitaria risponde sulla base di una
violazione di un inadempimento di una obbligazione preesistente→ancora per molti anni è sicuro che ci
troveremo a dover ragionare su questioni che dovranno essere risolte per mezzo dell’applicazione delle
regole accreditasti prima dell’entrata in vigore della legge Gelli Bianco→
• Antefatto della sentenza n. 28992/2019→tizio nel 2002 aveva subito un intervento chirurgico di
ablazione del menisco alla quale nel 2003 aveva fatto seguito presso la medesima struttura
sanitaria l’artroprotesi totale nel ginocchio sinistro→dopo 2 settimane era emersa dal ginocchio
una infezione per la quale il medico aveva eseguito una serie di operazione mediche (artrocentesi)
che avevano come conseguenze la formazione di infezione con setticemia→tra il 2007 e il 2009 lo
stesso medico aveva sottoposto il paziente a due interventi di sinoviectomia (ablazione di un
eccesso del liquido sinoviale)→dopo il secondo di questi 2 interventi di nuovo infezione con
ricovero→successivamente nel 2009-2010 era successo presso un altro ospedale era stato
sottoposto a due ulteriori interventi che avevano il primo rimosso la protesi infetta e il secondo
impianto di una nuova protesi→proposta domanda in giudizio: in primo grado, come accade
sempre per la responsabilità del medico, rigetto della domanda; in Appello rigetto dell’Appello con
una affermazione che ci sottolinea come considerare l’onere della prova circa il nesso di causalità
nell’ambio contrattuale perché i problemi dal punto di vista dell’onere probatorio sono affini
perché la corte territoriale osserva che sia nel caso di responsabilità extracontrattuale che
contrattuale incombeva sull’attore l’onere della prova del nesso di causalità tra condotta del
sanitario e l’evento e non solo che non era stato assolto ma dalla CTU era emersa l’assenza del

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nesso eziologico, perché l0infazione da batterio apparsa nel ricovero del febbraio del 2009 non era
attribuibile alla protesizzazione del ginocchio sinistro non essendo state documentate complicanze
infettive in sede di intervento, cosicché costituiva una complicanza infettiva insorta per la prima
volta nel ricovero che aveva dato luogo alla sostituzione limitata ai tessuti molli, facilmente
debellata e insorta nonostante la corretta applicazione dei protocolli di profilassi infettivi in ambito
ortopedico sulla quale aveva inciso lo stato diabetico del paziente →la conclusione era nel senso
che dovesse escludersi che l’insorgenza di queste infezione fosse stata causata da interventi di
artrocentesi e dalla veicolazione del batterio mediante strumento chirurgico non
sterilizzato→antefatto processuale che ricorre molto spesso nelle vicende di responsabilità
sanitaria, perché c’è il problema della difficoltà di individuare la causa dell’evento dannoso
(possono entrare vari fattori, per la CTU il diabete)→problema di individuare la parte del processo
su cui deve ricadere il rischio dell’incertezza della causa del fatto dannoso: se sul paziente attore o
sul medico→a questo problema cerca di dare soluzione questa coppia di sentenze, in che modo?
Risposta che tiene conto della particolarità della prestazione del medico, perché proprio della
presenza dell’elevata possibile che nell’evoluzione fausta o infausta di una patologia possano
intervenire situazioni rescindenti da ciò che il medico abbia potuto fare o non fare, la prestazione
si caratterizza per il fatto che l’interesse avuto di mira si presenta al di là di quello che il medico
può assicurare→questo non vuol dire che il medico per definizione proprio per l’incertezza
dell’esito finale debba godere di un regime di responsabilità privilegiato (assunto coltivato per
molti anni attraverso quella distinzione che adesso è superata tra obbligazioni di mezzi e di
risultato→esprimeva in maniera estrema quella idea che in determinati tipi di prestazioni il
debitore non può proprio ontologicamente assicurare l’esito finale)→la corte di cassazione tiene
conto di questa peculiarità dell’attività professionale del medico e ragiona molto sul modo in cui
poter provare il nesso di causalità→possibilità di provare in via presuntiva il nesso di causalità
materiale tra inadempimento delle regole di diligenza da parte del medico e l’evento
dannoso→proprio l’enfasi posta su questa prova di presunzione consente di ridimensionare le
perplessità sul piano dell’eccessivo indebolimento della posizione processuale del
paziente→perché nel momento in cui queste sentenza - proprio partendo dalla premessa secondo
cui in relazione della peculiarità dell’interesse che il creditore di una prestazione medica intende
realizzare, il debitore/medico non puoi mai assicurarlo – ammette la possibilità di provare
presuntivamente da parte del danneggiato il nesso di causalità materiale agevola la condizione ai
fini probatori del paziente→ed è interessante notare le presunzioni delle quali il giudice si può
avvalere per ritenere assolto l’onere della prova→elementi di prova suscettibili di essere desunte
dalle condotte del sanitario relative alla tenuta della cartella clinica→a riguardo si è affermato che
le negligenze nelle quali incorre il sanitario sul punto della irregolare tenuta della cartella clinica
possono rilevare sul piano della prova agevolando ricorso alla presunzioni da parte del creditore
della prestazione di cura la cui posizione processuale non può essere resa più gravosa per una
negligenza ascrivibile alla parte convenuta nel giudizio che ha ad oggetto il giudizio di
responsabilità di quest’ultimo→l’incompletezza della cartella clinica si risolve in danno del medico
proprio perché poteva essere un elemento di prova evidentemente solo presuntiva perché la
mancanza di quella pagina non ci dà in positivo la prova che il medico non ha quel giorno eseguito
l’intervento terapeutico che sarebbe stato necessario eseguire, ma ci consente di dire “è plausibile
che il medico non ha tenuto la condotta idonea a scongiurare l’evento dannoso”→allora si può
ribadire che l’incompletezza o radicale carenza è tale da creare una presunzione di sussistenza del
nesso di causalità anche alla luce della considerazione che se l’accertamento alla prova di una
situazione di fatta sia resa più difficile dal comportamento violativo di regole di condotta della
parte che aveva interesse contrario all’accertamento di quella situazione e che fosse più vicina alla
prova, non può che discenderne una aggravamento della parte processuale
inadempiente→vicinanza alla prova è un criterio del quale la giurisprudenza si avvale molto

pag. 63
frequentemente (è alla base della sentenza che ha rappresentato il leading case in materia di
riparto degli oneri di allegazioni di prove nelle cause avente ad oggetto l’accertamento della
responsabilità contrattuale)→vuol dire essere in grado di dare più facilmente rispetto alla
controparte la prova del fatto →Il debitore/medico
➢ Soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà→se la prestazione sanitaria sia
caratterizzata da una stringente vincolatività quanto ai propri esiti perché sono raggiunti con
procedure a tal punto collaudate e sperimentate da essere divenute routinarie, l’individuazione
di un rapporto di necessaria implicazione tra la condotta diligente del debitore e il risultato
positivo della cura fa sì che il conseguimento del risultato in questione appaia collegato
necessariamente ad un inadempimento del debitore restando a carico del debitore l’onere di
provare il sopravvenire di un impedimento che abbia reso impossibile l’esatto adempimento
della prestazione (dentista che estrae un dente)→se emerge un esito diverso da quello
ragionevole attendersi proprio perché si tratta di una prestazione ad esito vincolato ecco che
dovrà competere al medico dimostrare che ciò è accaduto per un fatto imprevedibile
➢ In conclusione:→l’assetto della elaborazione giurisprudenziale si presenta equilibrato perché da
un lato, e questo in termini non dissimili per la resp. contrattuale e extracontrattuale , accolla pur
sempre all’attore un onere di allegazione quanto all’esistenza di elementi di fatti idonei a fondare
la prova del nesso di causalità tra inadempienza e esito di danno e sul piano della prova gli
consente di assolverlo in maniera agevolata per la prova per presunzioni dall’utilizzazione
dell’argomento di maggiore vicinanza alla prova →orientamento che rispecchia e risponde
adeguatamente alle esigenze della pratica tenendo conto di evitare di eccessi di
responsabilizzazione della posizione del medico

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Le funzioni della responsabilità civile

15 Le Sezioni Unite e i danni punitivi: tra legge e giudizio


➢ Negli USA alla vittima di un illecito (causato con dolo e talvolta con colpa grave) è attribuito un
risarcimento aggiuntivo rispetto a quello dovuto a titolo di compensazione
➢ Fino a tempi recentissimi l’istituto era ritenuto in contrasto con l’ordine pubblico
➢ Riprendendo lo spunto circa la possibilità che il risarcimento del danno non patrimoniale abbia una
curvatura sanzionatorio-punitiva resa palese dai criteri di modulazione della prestazione risarcitoria
che tengano conto della gravità della colpa e dell’entità del disvalore, esso ci consente di affrontare il
problema dei danni puntivi→esso ha avuto una ripresa di attenzione negli ultimi anni→quali sono le
ragioni di questa ripresa?
➢ partiamo dall’impostazione tradizionale in materia: radicalmente contraria all’ammissibilità del
danno punitivo→estraneo al nostro ordinamento per natura esclusivamente riparatoria della
condanna al risarcimento, sia perché la funzione penale spetta al diritto penale, e ogni funzione
penale della prestazione risarcitoria esigerebbe una previa disciplina di legge ai sensi del 23 e 25 della
costituzione→e dunque poiché non c’è una disciplina normativa che afferma la possibilità di
accordare danni puntivi, ne discenderebbe il corollario dell’estraneità al nostro sistema dei danni
punitivi
➢ questa impostazione dava poi luogo a pronunce in materia di delibazione di sentenze straniere che
invece avessero ammesso il danno punitivo escludeva la delibabilità →la delibazione è un
procedimento per mezzo del quale una sentenza adottata da un giudice straniero può essere adottata
anche nel nostro sistema normativo→si era posto il problema della possibilità di recepire nel nostro
ordinamento sentenze di giudici nordamericani che riconoscevano danni punitivi a fronte di fatti
illeciti apparsi di particolare gravità ( ad esempio sotto il profilo di una pluralità di danneggiati in una
vicenda dannosa e quindi a valle di una class action, oppure in caso di illeciti produttivi di danno
particolarmente lesivo per la salute della persona)→in questi casi si era prospettata l’eventualità di un
conferimento di esecutività a sentenze straniere→e proprio sulla premessa dell’estraneità dei danni
punitivi, queste richieste di delibazione erano state respinte →l’argomento era quello predetto: il
danno punitivo fuoriesce dal sistema della responsabilità civile perché non ha funzione riparatoria di
una perdita, ma sanzionatoria; il danno punitivo non essendo oggetto di una disciplina di legge
contrasta con gli artt. 23 (riserva di legge per le prestazioni patrimoniali) e 25 (fattispecie penali) della
costituzione
➢ Nel 2017 (Cass. SS.UU_16601_2017_danni punitivi.pdf) tuttavia interviene una pronuncia della corte
di cassazione a ss.uu (sollecitata da una ordinanza di rimessione della prima sezione della Cassazione)
che cambia in maniera significativa i termini del discorso→quale è il percorso sulla base del quale la
cassazione cambia registro? Percorso che muove da una serie di dati normativi→nel senso che nella
elaborazione di questa sentenza del 2017 si perviene a dire che in fondo nella più recente legislazione
emergono una serie di profili di rilevanza di una condanna con funzione anche sanzionatoria che ci
inducono ad affermare che attualmente non è più tanto vero che la responsabilità civile abbia solo
una funzione di riparazione del danno→sulla base di tutti questi indici normativi (che vanno, ad
esempio, da un art 96, co.3 c.p.c. che prevede in caso di azione in giudizio con dolo o colpa grave la
possibilità di porre a carico il pagamento di una somma di denaro alla parte che abbia proposto
questa azione sulla base di una condotta così qualificata; dalla possibilità di tener conto anche del
profitto del responsabile in materia di proprietà industriale; che prevede anche un altro indice

pag. 65
normativo la possibilità di condannare all’art 709 ter comma 2, la possibilità di condannare in
presenza di illeciti produttivi di danno endo-familiare il responsabile al pagamento di una somma di
denaro che proprio perché disgiunta da un previo profilo di perdita può assumere una valenza
punitiva)→ragionamento della cassazione: proprio perché quando la corte di cassazione vede
derivare una sentenza straniera e deve verificare se la sentenza sia contraria al nostro ordine pubblico
interno, la corte di Cassazione ha detto che visto che ci sono tutti questi profili di risarcimento punitivi
non sarà che ormai non si può più dire che la funzione punitiva di una condanna che pure rimanga
all’interno dell’istituto aquiliano, possa essere affermata effettivamente? → Orientamento che,
tuttavia, non ha liberalizzato i danni punitivi perché questa sentenza ha avuto ben chiaro il fatto che il
nostro sistema normativo è caratterizzato sul piano costituzionale dalle previsione degli artt. 23 e 25
(riserva di legge per prestazione pecuniarie)→interessante, tuttavia, perché ci dà uno spunto di rilievo
proprio nella prospettiva di indagine sulla funzione della responsabilità civile → quale è l’aspetto
interessante di questa giurisprudenza ormai consolidata? Quello di avere colto che effettivamente
ormai nel momento in cui ci troviamo è riduttivo parlare della responsabilità civile solo in chiave di
riparazione riduttivo perché questi dati normativi, che il sistema nel suo complesso ci propone,
confermano come l’istituto della condanna al pagamento della somma alla vitti a di un fatto illecito
altrui è un passaggio che l’istituto della responsabilità civile sta compiendo probabilmente perché è
necessario al fine di individuare rimedi sempre più effettivi a tutela selle situazioni soggettive dei
privati→perché la condanna punitiva è più efficace? Ipotesi nelle quali il danno non è percepibile
come tale, ipotesi in cui il danno è di difficilissima liquidazione e dunque si pone l’esigenza di
individuare una tecnica e casi in cui è proprio la gravità della condotta lesiva a reclamare un
intervento di una figura che vada oltre il risarcimento del danno →questo non vuol dire certamente
che ci sia stata una generalizzazione del riconoscimento dei danni punitivi
• Allora l’istituto non contrario all’ordine pubblico italiano→il concetto ha subito un’evoluzione nel
corso del tempo→posto che esso è il complesso di principi che costituiscono il quadro intangibile
normativo del sistema, l’evoluzione del concetto di ordine pubblico consentirebbe di dar ingresso
alla delibazione di condanne risarcitorie per danni punitivi
❖ Percorso non dissimile da quello che aveva condotto prima delle sentenze a ritenere compatibili
con l’ordine pubblico anche le astreinte: prestazioni pecuniarie che il giudice può irrogare in
chiave sanzionatoria dell’inadempimento di un obbligo racchiuso in un provvedimento del
medesimo giudice in chiave di induzione indiretta all’adempimento soprattutto significativa
quando si tratta di obblighi di fare incoercibili per i quali non è possibile dare ingresso ad una
esecuzione forzata→ecco che le tecniche di induzione indiretta assumono particolare rilievo,
tecniche che sono presenti da tempo presenti in altri ordinamento ma che fino a non molto
tempo fa erano considerate del tutto estranee al nostro sistema→una prima apertura alle
astreinte si è avuta con l’introduzione dell’articolo 614 bis c.p.c. che prevede un meccanismo -
circoscrivendo l’ambito di applicazione (escludendone i rapporti di lavoro, che invece avrebbero
richiesto queste astreinte→si pensi all’obbligo derivante da una sentenza di riammettere il
lavoratore dalla sede nella quale fosse stato illegittimamente trasferito→Il personale giudiziario
non può prendere sotto braccio il lavoratore)
• Il secondo passaggio della sentenza→rilevazione della possibile compatibilità con l’ordine pubblico
di queste astreinte→rilevazione che si può evincere anche con una constatazione→è certamente
vero che la materia dei danni punitivi richieda una riserva di legge, tuttavia dal punto di vista dei
principi costituzionali entra in gioco un altro principio (effettività della tutela giurisdizionale)→in
alcuni casi quando per esempio vi è un danno incommensurabile (danno non patrimoniale) oppure
inadeguatezza dello strumento risarcitorio perché a fronte di un danno subito dalla vittima dalla
vittima del fatto illecito, il profitto del trasgressore è enorme (violazione del diritto di proprietà
industriale, o aspetti degli aspetti patrimonialmente apprezzabili di diritti della personalità
patrimonialmente apprezzati→dalla valutazione economica dell’immagine di una persona che in

pag. 66
ipotesi non avrebbe pensato di utilizzare in chiave economica la sua immagine e quindi dal punto
di vista del lucro cessante poco o nulla potrebbe chiedere (a meno che non usa il meccanismo del
prezzo del consenso), a fronte di questo il trasgressore ricava un notevole profitto in termini di
richiamo pubblicitario→il rimedio risarcitorio è spuntato perché il trasgressore farà un calcolo
costo-beneficio e lo continuerà a fare, e dunque c’è un problema di deterrenza→ecco perché una
delle frontiere del superamento della funzione meramente compensativa è quella del
riconoscimento al beneficio della vittima del sopra profitto che deve essere posto alla vittima per
evitare che l’illecito risulti troppo conveniente (mix tra deterrenza e sanzione)
• Conclusione cui pervengono le sezioni unite è nel senso che l’istituto aquiliano avrebbe modificato
la sua essenza, così da consentire- attraverso questa curvatura deterrente-sanzionatoria- ai giudici
italiani di imprimere accentuazione soggettive ai risarcimenti che vengono liquidati
• Questa curvatura deterrente-sanzionatoria è sempre stata presente per il risarcimento del danno
non patrimoniale (divaricazione tra la perdita di utilità e la prestazione risarcitoria è
ontologicamente tale da dover essere affermata
❖ Il parallelo tra risarcimento del danno non patrimoniale e danni punitivi nasce dal ruolo
crescente, e ormai prevalente rispetto alla tutela penale, che la riparazione del danno non
patrimoniale ha assunto per agire alla aggressioni ai beni personali, come i diritti della
personalità →la liquidazione di somme estremamente elevate può produrre plusvalenza di
punizione e quindi di deterrenza→analizziamo al punto successivo la possibile eccessiva
limitazione della libertà di informare e criticare
❖ Tanto più perché spesso l’apertura ad una attribuzione al risarcimento di un plus rispetto a quella
che potrebbe ritenersi la perdita subita diventa necessaria per reagire ad una condotta
particolarmente qualificata dal punto di vista di illiceità →caso giurisprudenziale ha fatto scuola:
ipotesi di una grave discriminazione sessuale accompagnata a violazione della privacy e cioè il
soggetto che in sede di visita di leva aveva dichiarato le proprie inclinazione omosessuali,
l’amministrazione di difesa aveva circolarizzato questi dati me per uno strano meccanismo di
condivisione il soggetto era stato invitato a ripresentatasi alla visita dell’idoneità per la patente,
ovviamente con una violazione a catena gravissima: violazione sotto il profilo della
discriminazione, riservatezza, arbitrarietà dell’azione amministrativa perché ferma l’assoluta
insindacabilità delle scelte sessuali di ciascuno non c’è alcun nesso con il guidare un auto→allora
la corte di cassazione ha annullato la sentenza di merito che aveva liquidato il risarcimento,
ritenuto irrisorio perché inidoneo a ripristinare la dignità della persona lesa da questa
combinazione di gravissimi illeciti tali da pregiudicare valori essenziali della persona
• Discorso ancora in progress quello sui danni punitivi →rimangono aperti alcuni problemi→
2. Argomento che si è svolto, ad esempio, in chiave critica è quello della irragionevolezza di
riconoscere il danno punitivo ad un soggetto, sia pure vittima dell’illecito, poiché sarebbe più
coerente riconoscerlo a favore di una entità pubblica→poiché la potestà punitiva in tutte le
sue articolazioni (anche non penale) attiene ad una sfera che trascende quella individuale e
interpella la funzione dello stato, rendendo necessario che allo stato sia eseguita la prestazione
sanzionatoria→si tratterebbe allora di ammenda civile e non a caso perché di amand civil
(Francia) parla il progetto di riforma della disciplina francese della responsabilità civile
introducendo un meccanismo che assomiglia molto ai risarcimenti punitivi ma ha questa
peculiarità di riservare la somma non alla vittima del fatto lesivo ma allo stato
➢ Tutela del responsabile→sempre per il solito discorso secondo cui il giudizio di responsabilità civile
è intrinsecamente binario che raffronta l’interesse sottostante alla condotta lesiva e l’interesse del
danneggiato→in questo contesto la preoccupazione sollevata è quella di una over-deterrence a
carico di coloro che, pur ponendo in essere un comportamento illecito, lo abbiano fatto per
conseguire una possibile utilità→esempio: attività di informazione→dando ingresso alla possibilità
di risarcimenti molto significativi con la curvatura deterrente in presenza di illeciti consistenti nella

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diffusione di notizie lesive si avrebbe il rischio di comprimere la libertà di manifestazione del
pensiero con la deterrenza→in effetti va detto che di fronte a un tale illecito ormai è largamente
più frequente da parte della vittima dell’illecito agire in sede civile che penale con querela→perché
l’azione in sede civile si rileva più temibile di una condanna penale che in materia di diffamazione
che è davvero simbolica e immediatamente convertita in sanzione amministrativa→il danneggiante
ha molto più da temere per la condanna civile (condanna a migliaia di euro) che non per la
pronuncia di sentenza di condanna penale che si risolva in pochi mesi di detenzione

15.1 Danni punitivi, legge, poteri del giudice


• Premessa terminologica→si può parlare di risarcimento dei danni punitivi? Il termine sarcire indica
“rimettere insieme i pezzi”, come idea appunto ripristinatoria della integrità strutturale del bene
inciso dal fatto lesivo, che mal si concilia con una coloritura sanzionatoria della condanna
risarcitoria
• Analizziamo la sentenza 16601/2017 sulla questione di delibabilità (procedura giudiziaria per
mezzo della quale si riconosce un provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria di un altro paese)
di una sentenza straniera (U.S.A) recante la condanna al “risarcimento” dei danni punitivi
• Circa la chiave di lettura della sentenza, ovviamente in un discorso che rifluisca sul piano della
funzionalità dell’istituto aquiliano→rappresentata proprio dal volume di Lipari (Tra legge e
giudizio)
• l tema è stata oggetto di svariate riflessioni:
1. l’interferenza dei danni punitivi→Zeno Zenchovich: la categoria dei danni punitivi non si presta
ad un inserimento nel nostro sistema normativo e non avrebbe senso per la diversità del nostro
sistema
2. E l’esigenza di calcolabilità del diritto→Irti: diritto che avendo perso la fattispecie parrebbe
destinato a farsi imprevedibile
3. Benatti→timore (eccessivo) dell’eclissi del diritto civile, perché la sentenza avrebbe dato adito
all’inserimento di enuncianti ideologici, leggi vagolanti, decisioni emotive nella responsabilità
civile
4. Giuridizzazione del diritto (Grondona)
• Sentenza che però è sul punto più che lucida→precisa che i principi della medesima accreditati non
determinano un mutamento di essenza dell’istituto aquiliano, restando pur sempre precluso al
giudice italiano di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati→fuga i
timori di cui sopra
- Nel farlo richiama i principi costituzionali che dovrebbe costituire il filtro della valutazione del
giudice chiamato a delibare la sentenza→art 23 (correlato al 24 e al 25 cost.) prevede una
riserva di legge per imposizioni di prestazioni personali e preclude, dunque, un incontrollato
soggettivismo giudiziario→e non a caso, i primi commentatori della sentenza hanno individuato
l’aliquid novi della stessa nell’individuazione dei controlimiti suggeriti dal principio di legalità
nell’esercizio della giurisdizione (Consolo)
• Duplice questioni evocate della sentenza→
1) rispetto dell’art. 64 l. n. 218/1995 co.1 lett. b) e g)
La sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun
procedimento quando:
b) l'atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a
quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti
essenziali della difesa
g) le sue disposizioni non producono effetti contrari all'ordine pubblico
se una sentenza del giudice straniero, portante la condanna della parte convenuta in giudizio al
pagamento di una somma di denaro a titolo di danni punitivi possa essere riconosciuta in Italia

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senza “che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento” e soprattutto in relazione al limite
dell’ordine pubblico
2) Individuazione - all’interno del sistema (“legge”) e con l’applicazione da parte del giudice
(“giudizio”) – di tecniche rimediali che conducono alla condanna di un altro soggetto al
pagamento di una somma di denaro; pagamento il quale, già perché in ipotesi commisurato a
prescindere dalla rilevazione di una corrispondente perdita nel patrimonio dell’attore e
tenendo conto delle modalità soggettive della condotta del convenuto, possa dirsi una avere
una nuance punitivo-sanzionatoria
• Le Sezioni Unite si inseriscono tra due correnti di pensiero:
1. Lipari→pone l’accento sulla necessità di spostare il processo applicativo del diritto sul terreno
dell’argomentazione
2. Irti→guarda con preoccupazione alla crisi del funzionamento calcolabile delle norme

15.2 I referenti costituzionali del discorso


• La sentenza mostra una piena consapevolezza del referente normativo costituzionale per la
soluzione del problema→necessità di una intermediazione legislativa in forza del principio dell’art
23 (correlato al 24 e al 25)→si è discusso se sia pertinente:
1. Il richiamo all’articolo 23 cost. →che pone una riserva di legge quanto hai fatto-fonte di un
obbligo di eseguire una prestazione patrimoniale, precludendo la creazione diretta di essi in via
pretoria→questo ha già registrato in passato qualche proposta di utilizzazione in una
prospettiva ricostruttiva del discorso sulla responsabilità civile (Gorassini→la costituzione
prevede una riserva di legge per la responsabilità civile, fissando il principio fissato da Cian nel
66: il singolo ha il diritto di sapere quello che può o non può fare senza esporsi alla sanzione del
risarcimento
2. Il richiamo all’articolo 25 cost., co.2 →Nessuno può essere punito se non in forza di una legge
che sia entrata in vigore prima del fatto commesso→ come sembra incline la sentenza→questo
sembrerebbe dotato di un maggiore tasso di specialità
• Critica non decisiva→il limite della riserva di legge posto a leggi e atti amministrativi, italiani o
comunitari, direttamente operanti in Italia, non sarebbe certo violato dall’art 64
- La sentenza sottolinea che proprio il principio secondo il quale ogni prestazione patrimoniale di
carattere sanzionatorio o deterrente non può essere imposta dal giudice italiano senza
espressa previsione di legge impone l’esigenza di analogo presupposto anche per una
pronuncia straniera che debba essere recepita nel nostro ordinamento→questo limite appare
idoneo a soddisfare la garanzia sottostante all’art 23 cost. (e anche del 25), dovendo poi essere
rimesso al giudice della delibazione il controllo circa il modo in cui la sentenza straniera abbia
dato attuazione alla previsione normativa
• Art 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, relativo ai Principi della legalità e della
proporzionalità dei reati e delle pene→referente normativo che appare fuori bersaglio, ove si
consideri il complessivo contenuto del medesimo calibrato su una sanzione di diritto penale e non
su una condanna al pagamento di una somma di denaro con un funzione sanzionatoria, ma che si
situi all’interno del diritto privato
- Meritevole di attenzioni è il corollario→il controllo delle Corti di Appello sia portato a verificare
la proporzionalità tra risarcimento riparatorio-compensativo e risarcimento punitivo e tra
quest’ultimo e la condotta censurata, per rendere riconoscibile la natura della
sanzione/punizione
- In quel contesto il sacrifico della posizione dell’uno (con imposizione di una prestazione
patrimoniale) può essere giustificato in quanto funzionale e proporzionato alla tutela effettiva
dell’interesse dell’altra

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• Entra in gioco il discorso della effettività della tutela, sancita dall’art 24 cost. (sebbene la sentenza
non lo menzioni esplicitamente)→effettività che rappresenta le lenti attraverso le quali leggere la
polifunzionalità dell’istituto, dato che se si configurasse (come si è sempre sostenuto) una
monodirezionalità del risarcimento si caducherebbe lo stesso principio di effettività
• L’impianto argomentativo della sentenza conferma che la ratio sottostante ai diversi interventi
normativi che hanno introdotto ipotesi di condanna dell’autore di un illecito al pagamento di una
somma di denaro in funzione punitiva, perché disposto a prescindere dalla rilevazione di una
corrispondente perdita nella sfera giuridico-patrimoniale della vittima, deve essere ravvisato
nell’esigenza di tutelare effettivamente i soggetti/vittime del danno tutte le volte che la condanna
al risarcimento risulti male adeguata allo scopo→Scognamiglio rileva che i fattori
dell’inadeguatezza sono diversi:
1. Difficoltà di ravvisare una perdita di utilità patrimoniali che sia conseguenza di un illecito
2. La concreta determinazione del danno risarcibile in quanto largamente inferiore al profitto
conseguito dall’illecito, caducando la funzione dissuasiva della sanzione
3. Modalità della condotta particolarmente gravose che necessitano di una risposta
ordinamentale che si identifichi nella obbligazione pecuniaria
- Con la precisazione di Nivarra: il principio di effettività non equivale a presidio di un rimedio
punitivo generalizzato, ma appunto, che il principio di effettività spiega la curvatura
sanzionatoria di rimedi che debbono pur sempre essere predisposti dal legislatore

15.3 La polifunzionalità della responsabilità civile


• Da questa sentenza si è affermato il seguente principio: alla responsabilità civile non è assegnato
solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono
interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile
- Corollario→non è ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di
origine statunitense dei risarcimenti punitivi, pur con la precisazione e la limitazione, secondo
la quale il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere
deve corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell’ordinamento straniero su basi
normative che garantiscono la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed
i limiti quantitativi, dovendosi aver riguardo agli effetti dell’atto straniero e alla compatibilità
con l’ordine pubblico
• Intervento nomofilattico “forte”→è avvenuto ex art 363 punult. Co., cpc. →particolare importanza
• L’accreditamento del principio di diritto sopra chiamato poteva dirsi prevedibile→analizziamo
l’evoluzione del panorama normativo→sentenza I sezione civile, la quale aveva vagliato la
compatibilità con l’ordine pubblico delle misure di astreintes previste in altri ordinamenti: si tratta
di un’evoluzione che va verso il superamento della mono-funzionalità dell’istituto
- Di Majo→l’indirizzo giurisprudenziale è meritevole di attenzione perché diretto a modificare un
indirizzo consolidato, il quale con lo scopo di limitare ogni potere discrezionale del giudice, ha
negato la possibilità che il risarcimento possa costituire una efficace risposta a forme di gravi
violazioni di diritti, a prescindere dal danno cagionato. Ma si ribadisce, la violazione dei diritti
della persona o di valori ad essa riferiti ed il risarcimento del danno non patrimoniale ne hanno
preso inevitabilmente le distanze
• Ma non è comunque un risultato scontato→Pietro Trimarchi critica il fatto che una regola di
responsabilità punitiva, eccedente la misura del danno cagionato, aprirebbe la strada a valutazioni
non controllabili oggettivamente e normalmente il fatto che il danno non si sia verificato o abbia
avuto una misura ridotta costituisce una buona ragione per ritenere che la colpa, non vi sia stata o
non sia stata così grava
- Corollario→nel diritto italiano la responsabilità da atto illecito non prevede l’imposizione del
pagamento di somme di denaro in mancanza di danno ed in funzione puramente punitiva,

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relegandosi al rango di mere eccezioni alla regola generale appena richiamata le ipotesi
normative nelle quali la condanna dell’autore di un comportamento lesivo al pagamento di una
somma di denaro prescinde dalla rilevazione di una corrispondente nel patrimonio della
vittima→le ipotesi normative sono l’art 614-bis cpc e dell’art 114, co.4 lett. e) cpa→tra l’altro
considerando da Trimarchi che l’eventuale eccedenza rispetto al danno non si tratta di una
punizione, ma di un modo di forzare all’esecuzione
• Merito della sentenza→coglie in pieno, proprio perché attenta all’evoluzione del sistema
normativo, le linee dello sviluppo culturale che aveva condotto ad accreditare la tesi di una
possibile funzione sanzionatoria dell’art 2043
- Limite→non può essere inteso, il principio enunciato, nel senso di una introduzione
generalizzata della categoria dei danni punitivi→sarebbe sufficiente richiamare la acquisizione
ormai consolidata che l’istituto dei danni punitivi, così come modellato nell’esperienza della
tort law americana, non è suscettibile di trapianto nel nostro sistema normativo→per 3-4
ragioni:
1. Dipendenza dell’illecito civile da quello penale, e dunque dell’assenza di ostacoli di principio
a che anche istituti di diritto civile esplicano una funzione sanzionatoria
2. Il ruolo della giuria, i cui verdetti sono sottratti al vincolo stringente che può derivare da un
apparato motivazionale idonei a sorreggerli
3. American rule→assenza di una regola che ponga a carico della parte soccombente nel
processo il costo delle spese dalla controparte per la propria difesa, che porta a lievitare
l’entità della condanna risarcitoria per renderla tale da coprire anche quei costi
4. Ponzanelli→analisi economica del diritto→essa imporrebbe in situazione di
undercompensation, di trasferire tutte le somme globalmente non risarcite in favore dei
soggetti che sono riusciti ad ottenere il risarcimento
- Vi sarebbe poi una ragione evidenziata da Zeno Zencovich, riguardante l’evoluzione del sistema
della responsabilità civile rispettivamente in Europa e negli USA:
1. Il modello europeo, da oltre 50 anni, è ispirato all’idea del governo amministrativo delle
imprese nelle sue varie fasi, essendo gli oneri regolamentari funzionali a ridurre le
esternalità negative dell’attività di impresa che difficilmente potrebbero essere ristorate
attraverso il sistema della responsabilità civile→dunque questo finisce per avere un ruolo
residuale, la cui portata general preventiva è ulteriormente attenuata dalla assicurazione
per i danni ai terzi
2. Il modello americano continua ad attribuire grande rilevanza, sia reale che simbolica, alla
responsabilità civile come strumento di governo dell’attività di impresa: per contemperare
con la grande libertà economica di cui godono le imprese→l’imprenditore razionale sarebbe
incentivato ad assicurarsi per la responsabilità civile, così da trasformare “l’incertezza di un
risarcimento futuro in certezza del premio assicurativo” con trasferimento degli oneri
derivanti dal pagamento del premio sul prezzo finale pagato dall’acquirente→in questa
prospettiva, al fine di evitare comportamenti opportunistici delle imprese produttive di
danni che, proprio perché assicurate, si risolverebbero nello scaricare sul consumatore il
costo pro quota del premio, “i punitive damages, indeterminati nel loro ammontare, e
quindi non assicurabili, svolgono una potente funzione general preventiva di
ammonizzazione
Corollario→essendo, a livello europeo, le imprese già pesantemente gravate a livello
amministrativo, i danni punitivi finirebbero per assumere negli stessi i caratteri di una over-
deterrence
• Queste considerazioni colgono un punto di rilievo del problema e sono state sviluppate anche con
riferimento alle ricadute economiche della soluzione paventata, sul piano dei rapporti tra
esportatori italiani di prodotti e consumatori statunitensi dei medesimi, da chi ha prospettato il

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rischio se si radicasse un mood accogliente di prassi decisorie, American style, in funzione di dazi di
nuovo tipo
- Ma comunque la rilevanza di un esito non desiderabile, sul piano delle conseguenze
economiche della soluzione di un problema giuridico, non è un argomento decisivo in presenza
di dati di sistema che invece quella soluzione accreditino→d’altra parte il ruolo di
regolamentazione dell’attività di impresa non è esclusivo, e che non sono, dunque, irrilevanti
situazioni in cui il danno si produca al di fuori di una interferenza tra la sfera giuridico
patrimoniale di un imprenditore e di quella di un consumatore
• Conclusione→la sentenza, pur certamente innovativa sotto il profilo della polifunzionalità della
responsabilità civile, si muove pur sempre lungo coordinate prudenti laddove sottolinea, anche
nella prospettiva dell’applicazione dei principi costituzionali, che l’approdo ad una concezione
polifunzionale non fa sì che l’istituto aquiliano abbia mutato la sua essenza e che questa
curvatura deterrente-sanzionatoria consente ai giudici di imprimere soggettive accentuazioni ai
risarcimenti che vengono liquidati

15.4 Danno non patrimoniale e funzione del risarcimento


• Ambito nel quale opera quella “curvatura deterrente-sanzionatoria”→la concezione
monofunzionale della responsabilità civile pare davvero insuscettibile di essere affermata: ed è
sufficiente a rendersi persuasi di questo il rilievo della intrinseca ed insuperabile differenza tra
natura patrimoniale e non patrimoniale del pregiudizio→un risarcimento inteso come “rimettere
assieme i pezzi” non è neppure in astratto configurabile quando il bene soppresso o alterato sia
intrinsecamente refrattario a questa operazione→Nivarra: art 2059 è quanto di più vicino ad un
rimedio sanzionatorio generale
• Riflessione di Sesta→pur non potendosi revocare in dubbio la funzione punitiva sottesa all’art 2059
cc., tuttavia questa disposizione non sarebbe idonea a soddisfare alla funzione costituzionalmente
assegnata all’istituto della riserva di legge, posto che la stessa si limiterebbe a ribadire la necessità
di una previsione legislativa, senza enuclearne i contorni in termini di tassatività, quanto meno con
riferimento ai presupposti e alle conseguenze quantitative del “castigo” rappresentato dal
risarcimento punitivo (cioè ponendo essa stessa la riserva di legge dei danni non patrimoniale,
senza soddisfarla)→Al riguardo è noto che il 2059 non prevede una determinazione quantitativa
della condanna risarcitoria secondo parametri determinati o determinabili e dunque è inidoneo a
soddisfare una esigenza di riserva di legge che dovesse essere riferita alla “calcolabilità” del diritto
- È altrettanto noto che un assetto precettivo non dissimile si rileva anche nel contesto dell’art
709-ter, co.2, n.2 e n.3 cpc che pure ha finalità sanzionatorio-deterrente→non è prevista una
determinazione quantitativa fissa, o anche solo tabellazione, degli importi dei quali potrà
essere disposto il pagamento a carico del responsabile
• Sembra trovare conferma il seguente assunto, proprio per gli argomenti esposti, le ipotesi di
condanna al risarcimento punitivo, adottati da provvedimenti giurisdizionali stranieri, saranno
quelle nelle quali vengano in considerazione gravi violazioni dei diritti della persona e dei valori a
questa più immediatamente riferibili→Cass. 1126/2015: ha cassato, sotto il profilo della
inadeguatezza della liquidazione del danno – una sentenza di merito in cui veniva in considerazione
una lesione particolarmente grave del diritto alla riservatezza che era stata anche lo strumento per
un comportamento discriminatorio in ragione del suo orientamento sessuale
- Proprio in quei casi, l’impossibilità di individuare una perdita suscettibile di innescare il
meccanismo della liquidazione del danno secondo le previsioni codicistiche che presiedono allo
stesso, potrà rendere particolarmente adeguato ed effettivo, il rimedio consistente nella
condanna del responsabile al pagamento, in favore della vittima, di una somma di denaro
quantificata in relazione ai criteri della gravità dell’elemento soggettivo dell’illecito e dell’entità
dell’offesa arrecata al valore della persona

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• Tuttavia risulta paradossale accreditare l’assunto della sentenza secondo il quale la curvatura
deterrente sanzionatoria della responsabilità civile non consentirebbe ai giudici di imprimere
soggettive accentuazioni→non si tratta infatti di dare spazio ad un soggettivismo giudiziario
incontrollato, ma di consentire al giudice – in presenza di un dato normativo, quale il 2059 – che
tipicamente prevede la possibilità di adottare una pronuncia di condanna del responsabile al
pagamento di una somma di denaro- di modulare la condanna facendo sì che essa sia effettiva,
sulla base di un percorso motivazionale, certo non calcolabile, ma comunque ragionevolmente
prevedibile

16 La pandemia Covid-19 tra funzioni della responsabilità civile e modelli


indennitari
• Pandemia→proposta di prevedere un regime di responsabilità ancora più attenuato per i medici
nel contesto dell’emergenza pandemica sulla premessa che in quei casi gli esiti dannosi per la
salute e letali non fossero dipendenti quasi per definizione da condotte colpose dei medici ma
dipendessero dalle poche risorse da mettere in campo per l’emergenza→questa ipotesi non è
sfociata in un testo→si è ritenuto forse che questa elaborazione dottrinale in materia di
responsabilità sanitaria - così come delineata dalla legge 2017- fosse già sufficiente a garantire
adeguata tranquillità ai medici
• Collegamento tra responsabilità sanitaria e i problemi emersi in dottrina circa il tema della
pandemia riguardata sotto il profilo dell’istituto aquiliano→effettivamente è necessario operare
questo collegamento perché la responsabilità civile ha manifestato la sua vocazione ad essere
invocata per fronteggiare i problemi della pandemia→quali sono?→gli inizi della pandemia si è
riflettuto seriamente (emendamenti al disegno di legge di conversione) sulla prefigurazione
speciale in presenza di eventi dannosi che avessero trovato causa nella diffusione di vocid-
19→Prevenire il rischio che si innescasse un contenzioso infondato nei confronti di operatori
sanitari impegnati nella cura dei pazienti colpiti dall’infezione→la peculiarità forte stava nel fatto
che la gran parte degli eventi letali discendevano dalla natura sconosciuta della pandemia, e
dall’altra parte discendeva dal fatto che la gran parte degli eventi letali discendeva dalla carenza di
strutture idonee a fronteggiare la situazione (pochi posti in terapia intensiva→che ci fa capire che
la situazione pandemia ha creato un problema di stress delle strutture sanitarie un problema di
ricaduta sull’indice di letalità della malattia)→ si aprono due questioni:
1. In che misura questa dimensione di contesto incida sulla responsabilità dei medici→se il
paziente muore perché non c’è il posto in terapia intensiva, è possibile affermare la
responsabilità del medico? No, semmai responsabilità della struttura, o più a monte ancora una
responsabilità di chi la ha organizzata→quale avrebbe potuto essere una condotta diligente,
dato che protocolli non ce ne erano? →allora c’era il ribollire di preoccupazione dei medici
(oltre alla loro stessa esposizione al contagio) di essere esposti alle rivendicazioni dei pazienti o
parenti che fossero stati coinvolti→si era pensato al c.d. “scudo per i sanitari”: spostare più su
l’asticella del giudizio di responsabilità e dunque escludere la responsabilità del medico per fatti
che fossero derivati dall’obiettiva carenza di strumenti diagnostici e terapeutici originati dalla
pandemia
2. Scelte tragiche→medico che in presenza di una situazione per la quale c’è un solo posto
residuo per una terapia intensiva sceglie il paziente da mandare in terapia sulla base del criterio
della maggior o minor aspettativa di vita→ queste scelte tragiche sono state oggetto di un
documento della società di anestesia rianimazione terapia intensiva, il quale poteva anche
assurgere al valore di direttiva scientifica che proponeva tra i criteri anche questo: analisi
tragica circa l’aspettativa di vita dell’uno o dell’altra paziente→lasciare arbitro al singolo
medico della la possibilità di questo o di quel paziente di sopravvivere oppure no, soprattutto in

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quei mesi in cui non vi erano terapie sperimentate e non avviare il paziente alla terapia
equivaleva alla morte→queste riflessioni non sono sfociate in una modifica normativa perché si
è ritenuto che di fronte all’elaborazione giurisprudenziale circa il nesso tra inadempimento del
medico dell’evento lesivo della salute effettivamente non ci sono rischi di un eccesso di pretese
risarcitorie destinate a sfociare in esiti di condanna a carico dei componenti della classe medica
ed erigere uno scudo sanitario →perché? Perché in effetti quell’orientamento giurisprudenziale
ha come corollario quello di far ricadere l’onere della prova sul paziente soprattutto in casi di
causa incerta (nesso di causalità)→nel caso della possibile responsabilità dei sanitari e dei
medici per glie venti letali correlati alla pandemia del covid effettivamente sarebbe stato ed era
difficile per il paziente dimostrare che vi sia stato un nesso di causalità tra inadempimento e
l’esito letale→e prima ancora, proprio per il contesto dei fatti, sarebbe difficile dimostrare che
l’esito letale sia dipeso da condotte negligenti e non dal contesto drammatico in cui si è
sviluppata tutta la situazione →affidata alla disciplina generale con la precisazione che in
materia di responsabilità penale vi è stata una scelta normativa nel senso di erigere uno scudo
penale nei confronti dei medici che abbiano partecipato alla campagna vaccinale connotata da
un intrinseca caratteristica di straordinarietà
• Altre possibili utilizzazioni dell’istituto aquiliano→Alcune associazioni di parenti delle vittime della
pandemia e parenti hanno sollevato dubbi e contestazioni che non sono ancora sfociate in un
contenzioso giudiziario→di che genere sono state queste pretese risarcitorie coltivata da un
numero imponente di soggetti innanzi a un tribunale →la tesi sottostante alla domanda risarcitoria
è quella per cui vi darebbero stati ritardi colpevoli da parte dello stato nella predisposizione del
piano pandemico nazionale→in effetti qualche ritardo vi è stato verosimilmente imputabile a
questo o a quel governo (vi era un piano pandemico risalente al 2006 che non era stato mai
aggiornato e che non teneva conto delle peculiarità della pandemia da covid)→quale è l’oggetto di
questa contestazione? Queste negligenze nella predisposizione del piano pandemico avrebbero
avuto una rilevanza causale o concausale nel scatenarsi della pandemia, e quindi, a cascata,
avrebbero prodotto le conseguenze in termini di perdite di vite umane che hanno riguardato una
certa area geografica (Lombardia)→il ritardo nella predisposizione degli strumenti amministrativi
generali della emergenza ha determinato una ricaduta in termini di danni alla salute
 punto molto opinabile: nell’ambito della predisposizione da parte di uno stato di misure
volte a prevenire o a contenere le conseguenze della calamità, lo stato è sempre chiamato
a operare una serie di scelte di politica della gestione dell’emergenza→es: immaginiamo
tutte le possibili calamità che si possono verificare nell’ambito di un determinato paese
(inondazione, terremoto), lo stato non adotta le misure per fronteggiare il cambiamento
climatico che si aggrava si verifica inondazione che spezza vite umane, la domanda è: lo
stato è responsabile?→quale è il punto debole dell’impostazione difensiva di chi agisce in
giudizio? Ogni entità statale deve operare delle scelte che si ricollegano alla considerazione
che le risorse finanziarie sono scarse e i problemi dell’emergenza sono tanti→di fronte alle
varie emergenze possibili le risorse vanno indirizzate verso l’una o all’altra→dal punto di
vista dell’incidenza statistica di eventi pandemici è difficili sostenere che sia una incidenza
superiore ai terremoti→negli ultimi 13 anni ci sono stati 2 eventi sismici molto gravi che
hanno interessato il nostro paese→è difficile negare che uno stato che voglia gestire
adeguatamente la protezione civile non debba destinare una percentuale importante a
fronteggiare gli eventi sismici →è sostenibile che ci sia una colpa nel non avere dato la
priorità alla prevenzione della pandemia? a posteriori diremmo certamente perché di
fronte all’elevata incidenza statistica degli eventi pandemici, se si leggevano le
anticipazione di qualche virologo una nuova pandemia dopo la Sars del 2003, la spagnola
fine guerra, dovremmo essere pronti su quel versante→tuttavia il dubbio e se si possa

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ipotizzare un giudizio di colpa dello stato per non avere impresso priorità ad un
determinato filone di problemi, rispetto a un altro
• Siamo davvero sicuri che la responsabilità civile per quanto investita di questa funzione di first
responder a fronte dei fatti che interpellano un problema di perdita sia sempre lo strumento
giusto?→in altre parole soprattutto quando si ipotizza la responsabilità dello stato, siamo sicuri che
si abbia sempre chiara la distinzione tra quello che può essere un profilo di responsabilità politica
dello stato, che in ipotesi abbia mal amministrato (che in questo caso ci sarebbero i presupposti per
mandarlo a casa)→esatta delimitazione delle funzioni della responsabilità civile: quanto è un
problema di perdite che possano essere inserite all’interno del giudizio di responsabilità civile,
quanto è un problema di responsabilità politica →che questa riflessione abbia un suo peso risulta
dimostrando un’altra considerazione →
• Possibili pretese risarcitorie di chi non lamenti un danno alla salute o una perdita della vita da parte
dei propri parenti, ma il fatto che il lockdown sia stato troppo severo→eventualità di un soggetto
esercente l’attività imprenditoriale che sia stata stroncata dalle misure di contenimento, facendo
valere la pretesa risarcitoria per l’esuberanza delle misure stesse→ qui emerge ancora più
nitidamente il limite di queste pretese risarcitorie: anche in materia di scelta del lockdown si
trattava di scelte politiche che inevitabilmente presupponevano un bilanciamento molto
complesso di interessi→allora entra in gioco il principio, che per altro la cassazione ha più volte
affermato, secondo cui la discrezionalità politica del legislatore e dell’amministrazione rimane
estranea ad un giudizio di responsabilità civile →ecco dunque che torniamo alla riflessione sulle
funzioni della responsabilità civile che non può essere caricata di questa funzione di critica politica
allo stato
• Riflessione rafforzata da un altro filone di considerazione: problema della tutela indennitaria che è
prevista in alcuni settori→perché è importante tenere presente questo conteso di problemi? La
scelta del legislatore nel dare ingresso alla tutela indennitaria è una scelta che si spiega perché
costituisce il punto di emersione del fatto che quel pregiudizio si inserisce all’interno o di una
attività che presenta un tasso di utilità sociale significativo, o di un’attività che interpella in valore
della solidarietà →condotta che è fortemente raccomandata all’interno di una prospettiva di
solidarietà
• Epidemia litigiosa →pretese risarcitorie che a valle degli infiniti accadimenti di danno che ha
determinato la pandemia vorrebbero incanalare le istanze di tutela nell’alveo dell’istituto
aquiliano→danno non patrimoniale→pensiamo al profilo di danno non patrimoniale che ove si
accerti la responsabilità del medico, della struttura sanitaria per la situazione in cui si sia trovato a
passere gli ultimi secondi della sua esistenza un malato di covid→pensiamo ai profili di danno
catastrofale che potrebbero essere fatti valere (la percezione ragionevolmente certa della propria
dine non lontana e la sofferenza derivante dal fatto di dover affrontare da solo→una voce di danno
non solo di incidenza drammatica anche molto significativa)→la gestione dell’emergenza
pandemica potrebbe dar luogo a pretese risarcitorie che non sembrano destinate ad un esito
positivo, la ragione è quella dell’attinenza delle scelte amministrative alla sfera politica
insindacabile del giudice ordinarie, tranne il caso della norma di legge che obblighi lo stato
amministrazione a porre in essere una determinata condotta che viene disattesa
• Possibile contenzioso (non scoppiato) non attinente a profili di danno alla salute, ma a profili di
danno meramente patrimoniale→venir meno dei redditi di una attività imprenditoriale impedita
nei provvedimenti di lockdown→un eventuale epidemia litigiosa sarebbe molto più facilmente
contenibile di quella sanitaria
• Ulteriore notazione→aspetto che vola un po' più basso rispetto ai profili di gestione della
amministrazione statale→Eventualità che lo stato-amministrazione che si occupa
dell’organizzazione del servizio sanitario strutturalmente predisponga un livello di disponibilità di
posti in terapia intensiva manifestamente inadeguato→ipotesi un po' diversa, perché non è la

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scelta di concentrazione di risorse per una emergenza piuttosto che un’altra in base all’incidenza
statistica→qui è l’ipotesi è di strutturalmente insufficiente livello della medicina di
emergenza→responsabilità ravvisabile dalla CEDU, la quale ha affermato che una violazione del
diritto alla vita (art 2 CEDU) può essere affermata solo nei casi in cui sia provata solo una
disfunzione sistemico-strutturale dell’ospedale in cui colui che lamenta il danno sia stato ricoverato
così da dar luogo per accesso del danneggiato
• Questa carrellata sulle problematiche risarcitorie ricollegabile alla pandemia apre la strada alla
considerazione finale sul problema delle funzioni della responsabilità civile → tuttora nel disegno
dell’istituto della responsabilità civile che emerge dal cc che non è smentito da quei sottosistemi di
responsabilità civile (danno ambientale, magistrato) in realtà rimane la funzione compensatoria
quella che assume un ruolo più significativo delle altre→ quello che però sono in grado di fare
questi sottosistemi (così come quella sentenza del 2017 in materia dei danni punitivi)→la pur
centrale funzione riparatoria si trova contornata da altre funzioni dell’istituto aquiliano
(sanzionatoria)→anche quelle che si ricollegano alla bipolarità del danno patrimoniale e non→il
risarcimento del danno non patrimoniale→Moltiplicazione funzionale che mal si presta ad una
riduzione ad unum quindi potremmo forse descrivere l’assetto delle funzioni della responsabilità
civile con l’immagine della costellazione una insieme di plessi funzionali, qualcuno più significativo
dimensionalmente, altri meno significativi per l’incidenza quantitativa nelle singole vicende di
danno

16.1 La pandemia e la responsabilità civile


• Keynes→”apparire eterodossi e problematici agli occhi dei nostri genitori per fare qualcosa di
buono”
• Perché parlare di responsabilità civile in relazione alla pandemia? Per due ragioni:
1. Essenza stessa del diritto aquiliano→ first responder→presa in considerazione come tecnica
rimediale a fronte dell’immane carico di perdite determinato dalla pandemia, prospettandosi
responsabilità di alcuni organismi statali e regionali per ritardi e negligenze nella preparazione
del piano di gestione della pandemia→esemplare è la iniziativa proposta dal comitato “Noi
denunceremo” che sembra consistere in una denuncia in sede penale nei confronti del Ministero
della Salute, corredata da pretese risarcitorie da far valere per mezzo della costituzione civile in
sede penale
2. Calibrata sui problemi che stiamo vivendo→ tutela della salute delle persone→idoneità
dell’assetto attuale della responsabilità sanitaria, normativo e di diritto giurisprudenziale, a
fornire una risposta adeguata alle questioni innescate dalla contingenza del momento
• Emergenza anche giuridica→poiché la pandemia ha messo in luce la preesistenza di un apparato
normativo incompleto e frammentario, sul quale si è innescata una legislazione emergenziale
disordinata e non specificamente riferita alla materia della responsabilità e questo in un quadro
giuridico, quello italiano, che non conosce una regolamentazione destinata a fronteggiare
emergenze epidemiologiche
• Responsabilità sanitaria è, inevitabilmente, la più investita→si era ipotizzato di introdurre una
regolamentazione speciale della responsabilità sanitaria in presenza di eventi dannosi che avessero
trovato causa nel diffondersi dell’infezione da Covid-19→l’obiettivo era quello di prevenire il rischio
che si innescasse un contenzioso infondato, se non pretestuoso, nei confronti degli operatori
sanitari impegnati nella cura dei pazienti infettati e quanto alla condotta dei quali, pure in presenza
di un esito infausto del trattamento terapeutico praticato, non fosse possibile formulare alcun
addebito di imperizia, negligenza o imprudenza→questo perché l’esito infausto era ascrivibile alla
drammatica sproporzione tra il numero dei pazienti bisognosi di trattamenti sanitari (soprattutto
nella forma della terapia intensiva), e la disponibilità delle strutture sanitarie→sproporzione che
inevitabilmente poneva il problema di scelte “tragiche” tra i pazienti cui dovessero essere

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assicurate le terapie, in relazione al criterio della maggioranza speranza di vita degli stessi, e quelli
le cui cure dovessero essere negate
- Scoditti→la modifica normativa, così come prefigurata anche nelle proposte di emendamento
e che limitavano la responsabilità ai casi di responsabilità dipendente da dolo o colpa grave,
rischiava di non realizzare l’obiettivo che si prefiggeva, posto che “ciò che entra in gioco è un
profilo esterno alla perizia medica, è il contesto nel quale la prestazione viene resa, rispetto al
quale valgono, come criterio di giudizio, le comuni regole di diligenza e prudenza. In base al
combinato disposto degli artt. 1218 e 1176, la circostanza della pandemia ben potrebbe
rilevare ai fini dell’esenzione da responsabilità risarcitoria. È vero che la disciplina
dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione di cui all’art 1218 trova applicazione anche in
presenza di problemi tecnici di speciale difficoltà, operando l’art 2236 solo al fine di stabilire se
c’è l’inadempimento (che non vi sarebbe in caso di colpa lieve), mentre l’art 1218 regola le
conseguenze di un inadempimento che sia stato accertato. Se però all’emergenza
epidemiologica Covid-19 si conferisce rilevanza in sede di criterio per determinare se vi sia
stato adempimento della prestazione professionale, non può la medesima circostanza della
pandemia tornare ad avere rilievo anche sotto il profilo della causa non imputabile di
inadempimento, che costituirebbe la sua sede propria, tra l’altro. Quel presupposto di fatto o
ha rilievo per la disciplina sull’adempimento o ha rilievo per quella sulla responsabilità del
debitore, stabilendosi una contraddittorietà dell’ordinamento. I giudici, quindi, non potrebbero
dare rilevanza al Covid-19 dal punto di vista dell’art 1218, cioè nella sede nella quale la
pandemia dovrebbe essere collocata correttamente
• Abbandonata l’idea di un intervento legislativo il discorso si è risolto nell’adozione di un ordine del
giorno che impegna il governo ad occuparsi della materia in future iniziative di riforma→soluzione
considerata con favore (Scoditti) nella misura in cui ha consentito un dibattito sulla materia più
pacato e in grado di valorizzare gli spazi interpretativi ed argomentativi interni alla responsabilità
sanitaria, peraltro già oggetto di recente modifica, tesa a arginare il proliferare incontrollato delle
pretese risarcitorie nei confronti del singolo medico
- Scoditti→l’ordinamento giuridico è attrezzato per una risoluzione conforme a giustizia delle
controversie che potranno insorgere per venti di danno riconducibili alle prestazioni sanitarie
rese in occasione del diffondersi del Covid-19, cosicché un eventuale intervento normativo in
materia dettato dall’emergenza sanitaria potrebbe semmai consistere nella previsione
normativa secondo la quale “costituisce causa non imputabile ai sensi del 1218 cc. la
sproporzione tra le risorse disponibili e il numero di pazienti, determinatesi nel corso
dell’emergenza epidemiologica, che abbia cagionato l’impossibilità di eseguire esattamente la
prestazione sanitaria→l’effetto sarebbe quello di precostituire ex lege il giudizio di non
imputabilità della causa di impossibilità della prestazione. Resterebbe di competenza del
giudice nella singola controversia l’accertamento dell’esistenza del requisito oggettivo, e cioè
se la sproporzione tra le risorse e il numero di pazienti abbia nel concreto determinato
l’impossibilità si rispettare le regole di diligenza professionale
• Allora la soluzione quale sarebbe, alla luce della legge 24/2017? Duplice:
1. Affidare all’interpretazione giurisprudenziale la concretizzazione dei principi affermati da ultimo
in materia dalla giurisprudenza di legittimità (Progetto Sanità)
2. Portare a compimento il processo di canalizzazione della responsabilità verso la struttura
sanitaria→escludere la legittimazione passiva del singolo medico a fronte dell’azione risarcitoria
contrattuale proposta e salva la possibilità della struttura di esperire la azione di rivalsa, secondo
quanto previsto dall’art 9 l. n. 24/1017
2.1. Sul secondo punto ancora Scoditti→richiamando il modello di responsabilità civile dei
magistrati, ipotizza che “La disposizione dovrebbe prevedere che, per le azioni o omissioni
relative all’emergenza epidemiologica Covid-19, l’esercente la professione sanitaria non

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possa essere chiamato in causa, ma possa intervenire in ogni fase e grado del procedimento
promosso nei confronti della struttura”→troverebbe poi applicazione anche l’art 9 (rivalsa
2.2. Anche Franzoni→separare e rendere autonome le responsabilità della struttura e del
medico→tra l’altro l’Autore evidenzia come la questione della pandemia non ha riguardato
un tema di malpratice medica da imputare alle difficoltà e alla stanchezza del personale del
sanitario, ma ha riguardato prevalentemente carenze strutturali del settore sanitario
• Conclusione→i civilisti sono stati “problematici”, rispetto alle questioni poste dalla pandemia, ma
che tale attitudine non è sfociata nello sviluppo di soluzioni eterodosse, essendo stati ritenuti
sufficienti a governare l’emergenza i margini di elasticità interpretativi offerti dalla disciplina
normativa già vigente e salva soltanto la prospettiva di uno sviluppo della regolamentazione della
materia nel solco della legge Gelli-Bianco

16.2 Le pretese risarcitorie relativi a danni alla salute ipotizzabili in seguito alla pandemia:
mass tort litigation o “epidemia litigiosa”?
• I profili di rilievo della pandemia Covid-19 intercetta anche il discorso delle funzioni della
responsabilità civile→indagine che appare ancora più interessante ove si consideri l’eventualità
che, accanto ad ipotesi di pretese risarcitorie più facilmente riconducibili alla responsabilità
sanitaria, ce ne sono altre dove si potrebbe prospettare la responsabilità della PA sotto la
violazione di obblighi di prevenzione e tutela della salute→
1. domande contro organi delle amministrazioni statali o regionali, addebitando a questi ultimi di
non aver adottato più tempestivamente i provvedimento di distanziamento sociale, con ipotesi
pregiudizievoli sul piano della diffusione del contagio;
2. o per aver inadeguatamente organizzato il Servizio sanitario nazionale nel suo complesso,
senza prevedere, e senza tener conto della previsione per l’adozione delle misure contingenti,
la possibilità di uno scatenarsi della pandemia
3. ritardo nella somministrazione del vaccino, in violazione dei criteri di priorità per le singole
fasce di popolazione che risultano essere allo stato dettati
• Aumento dei contagi→articolazione del contenzioso risarcitorio da Covid-19→quest’ultimo può
spaziare da controversie nelle quali si faccia valere:
1. la responsabilità della struttura sanitaria e/o degli esercenti la professione sanitaria per
condotta sanitaria colposa
2. la responsabilità delle strutture sanitarie per carenza organizzativa
3. dai danni pretesi dagli eredi del personale sanitario che sia rimasto vittima del contagio per
inadeguatezza dei dispositivi di protezione individuale
4. quelli suscettibili di essere domandati dai familiari delle persone decedute in RSA
5. chi avendo altre patologie diverse dal covid, abbia dovuto rinunciare ad accedere alle terapie
intensive altrimenti praticato, con esiti peggiorativi del suo stato di salute
- Il quadro si complica tenendo conto che all’interno dei percorsi risarcitori vi sono plurime voci
di danno→consideriamo i casi di pretese risarcitorie degli eredi della vittima primaria
dell’ipotetico inadempimento (non sottoposto a terapia intensiva), il quale, a causa
dell’estrema contagiosità della malattia abbia dovuto trascorrere in solitudine l’ultimo periodo
della degenza→nel caso in cui la vittima sia stata cosciente, in quell’arco temporale, ed abbia
avuto consapevolezza della propria situazione, potrebbe dischiudersi lo spezio per domande
risarcitorie degli eredi che intendono far valere, appunto in via ereditaria, il credito sorto nel
patrimonio del dante causa a titolo di danno non patrimoniale per la sensazione di sofferenza
derivante dalla consapevolezza della morte imminente→punto sulla questione è stato fatto in
riferimento ad una ipotesi diversa: domanda risarcitoria formulata dal padre della vittima di un
incidente stradale deceduta tre giorni dopo il sinistro da Cass. ord. 18056/2019

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• Sia che limitiamo a considerare i due possibili nuclei di contenzioso appena evocati (responsabilità
PA per aver mal esercitato il proprio potere discrezionale avuto riguardo alla finalità della
prevenzione della diffusione del virus e della predisposizione di misure organizzative congrue ad
assicurare la cura del maggior numero di malati e quello della struttura sanitaria e di coloro che
hanno operato al loro interno) ci troviamo davanti ad una pandemia giudiziaria→Briguglio parla di
“epidemia litigiosa” e affermare che per scongiurare il fenomeno nella materia della responsabilità
sanitaria auspica, quanto al forense, un atteggiamento di responsabile rispetto verso la classe
medica
• Quando parliamo di epidemia litigiosa parliamo di un proliferare del contenzioso, e dunque, ci
avviciniamo al fenomeno della c.d. mass tort litigation e cioè ad ipotesi nelle quali l’entità stessa
dei danni che si delineano è tale da revocare in discussione la concreta utilizzabilità di una
complessiva strategia rimediale che resti collocata internamente alla responsabilità civile
- Allora l’attenzione del discorso si sposta su un meccanismo di indennità (Travaglino) tale da
apprestare una risposta di tipo previdenziale e solidaristica a fronte della molteplicità di fatti
dannosi suscettibili di derivare dalla pandemia Covid-19→Ponzanelli: il modello che si guarda
non è quello della legge 210/92, ma è inedito: una legge statale volta ad attribuire alle vittime
dell’emergenza sanitaria determinata da Covid un beneficio avente esplicita natura risarcitoria
che contempli anche la rinuncia ad intraprendere o mantenere azioni risarcitorie nei confronti
degli enti erogatori che facciano parte del sistema sanitario, lasciando impregiudicata per i
destinatari di tale normativa la facoltà di optare per la via giudiziaria o accettare la proposta
transattiva fatta dal Fondo→proposta che la legge, oltre a quantificare in modo congruo, ma
condizionato dalla consapevolezza di rappresentare un’erogazione a carattere molto anticipato
rispetto a quella attesa in esito al giudizio vittorioso, potrebbe giungere a giustificare
richiamando anche il valore alla solidarietà

16.3 L’ipotesi della predisposizione di un sistema indennitario in materia


• Il fondamento del meccanismo della tutela indennitaria è il principio solidaristico→principio già
evocato in relazione a:
1. Interventi normativi emergenziali
2. Auspicando che dalla tragedia si possa uscire riscoprendo le ragioni della solidarietà e del vivere
assieme
3. Destinare una quota delle prestazioni risarcitorie dovute alle vittime di fatti lesivi dell’integrità
psico-fisica della persona “a beneficio della salute collettiva, e quindi al sistema sanitario, alla
ricerca ed all’assistenza →Maggiolo: idea argomentata sulla base di una elevata entità dei
risarcimenti
• Tuttavia il valore della solidarietà , ancorché del tutto condivisibili sul piano della gerarchia dei
principi, non rappresenta da solo una direttiva sufficientemente specifica per scegliere una
determinata soluzione normativa→una difficoltà del genere è emersa con chiarezza nel dibattito
che si è sviluppato nel quadro delle riflessioni originate dagli effetti giuridici della pandemia Covid
19 sul versante dei diritti dei contratti (Mattei-Quarta): la solidarietà intesa come strumento di
conformazione del contratto, iscritto nella sua stessa causa non va molto lontano perché
condurrebbe a soluzioni giuridiche fuori dal mercato
- Nel giudizio di responsabilità civile la protezione delle vittime dei danni è conseguita ponendo il
costo ma carico di un altro associato, e non può quindi assorbire la funzione dell’istituto
• Troverebbe applicazione la predisposizione, a fronte di una data categoria di fatti dannosi, di
sistemi compensativi, il cui costo gravi sull’intera collettività; ma anche in quest’ultimo caso il
principio di solidarietà non risulta esaustivo, poiché la verifica circa l’opportunità di introdurre
sistemi indennitari, al fine di risolvere i problemi derivanti dal proliferare delle pretese risarcitorie

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passate poc’anzi in rassegna, deve essere condotta sulla base di una valutazione di complessiva
efficienza→Scharchillo:
1. Pregi→deflazione del contenzioso, in quanto accompagnata da un’amministrazione efficiente
delle modalità attributive degli indennizzi
2. Limiti→importo inferiore a quello che gli spetterebbe in caso di risarcimento del danno e
disincentivazione degli operatori sanitari a migliorare la propria efficienza
• Sistema indennitario già presente nel nostro ordinamento→a fronte dei pregiudizi alla persona
derivanti da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati (L. n.
210/1992)
• Come è strutturato?→
1. finanziamento dal bilancio statale
2. non preclusivo della possibilità di agire per la riparazione integrale del danno e soprattutto di
far valere azioni risarcitorie contro coloro che in effetti risultassero responsabili di condotte
qualificate da colpa
• Vantaggio
1. alleggerire la pressione che il delinearsi di un nuovo fronte di contenzioso sarebbe destinata a
produrre sul sistema assicurativo→l’impresa assicurativa è un tassello importante nel
complessivo disegno normativo della responsabilità civile sanitaria ed essa, di fronte ad un
ulteriore incremento delle controversie in materia, potrebbe uscire definitivamente dal
mercato (Facci)
2. rappresenterebbe un passo in avanti dal punto di vista dell’efficienza del sistema
giurisdizionale e della tutela dei diritti→ma questo in realtà dipende dalla modalità in cui la
tutela indennitaria sia concretamente amministrata
- un esempio è proprio l’indennizzo a fronte di danni derivanti da vaccinazioni obbligatorie (o
fortemente raccomandate) trasfusioni e somministrazioni di emoderivati→Ha innescato
numerosi ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo dai beneficiari della tutela che avevano
subito ritardi nell’erogazioni degli indennizzi da parte dello Stato Italiano o che avevano
lamentano l’inadeguatezza degli stessi in relazione al principio di effettività sancito dall’art 13
della CEDU→dunque l’effetto deflattivo del contenzioso non è stato conseguito, anzi→e
sarebbe proprio questa la ratio essendi di un sistema indennitario
• Conclusione→l’introduzione di un sistema indennitario postulerebbe:
1. oltre che l’acquisizione di risorse finanziarie congrue allo scopo e tali da essere messe a
disposizione ai beneficiari in tempi ragionevoli, così da disinnescare fin da subito una spirale di
controversie di ritardo
2. la predisposizione di una tecnica di liquidazione degli indennizzi in grado di assicurare la
prevedibilità degli stessi da parte dei beneficiari, anche sotto il profilo delle voci di pregiudizio
suscettibili di essere prese in considerazione
3. regolamentazione puntuale conforme alle indicazioni impartite dalla giurisprudenza di
legittimità proprio nella materia di indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992, dei rapporti tra
risarcimento e indennizzo, nel senso dell’operare della regola del diffalco del primo dal
secondo tutte le volte che vi sia identità tra soggetto tenuto alla prestazione indennitaria e a
quella risarcitoria
• Per ritornare a Keynes→occorrerebbe essere eterodossi rispetto alle precedenti impostazioni

16.4 I danni alla salute discendenti dalla pandemia e la – difficilmente sostenibile-


responsabilità civile della P.A.
• L’addebito di un ipotetico di ritardo nell’adozione del lockdown→difficolta di queste pretese
risarcitorie:

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1. sul piano del nesso causale→per quanto si voglia alleggerire l’onere della prova gravante sul
danneggiato, non sembra agevolmente percorribile un itinerario argomentativo tale da
sostenere una specifica correlazione tra il ritardo ipotizzato e la contrazione dell’infezione
2. L’adozione di atti normativi in senso lato, da parte di organismi statali o regionali competenti a
farlo, ha rappresentato l’estrinsecazione di un potere politico, incoercibile e sottratto al
sindacato giurisdizionale, rispetto al quale non si possono configurare situazioni giuridiche
soggettive dei singoli protette dall’ordinamento→assunto ancora più persuasivo nella misura in
cui l’esercizio di quel potere politico ha implicato un bilanciamento tra libertà o diritti tutti
dotati di garanzia costituzionale, come il diritto alla salute, da un lato, e il diritto di libertà
personale o di circolazione dall’altro→del resto la insindacabilità sul piano giurisdizionale è
confermata dagli studiosi di diritto costituzionale nel senso che essi sono imposti da uno stato
di necessità come fonti extra ordinem del Governo in carica
• Per quanto riguarda le pretese risarcitorie fatte valere nei confronti delle articolazioni della PA
preposte all’organizzazione delle strutture del Servizio sanitario nazionale, per non avere
organizzato le stesse in modo ale da poter fare fronte alla pandemia, le stesse di dovrebbero
confrontare con la giurisprudenza della Corte EDU in materia di violazione del diritto alla vita
riconosciuto dall’art 2 CEDU: giurisprudenza che ha affermato che una violazione di quel diritto può
esservi solo in casi in cui sia dedotta una disfunzione sistemica o strutturale dell’ospedale in cui
colui che afferma di essere stato danneggiato sia stato ricoverato, così da determinare il rifiuto
all’accesso del danneggiato al trattamento medico→e se è vero che, quanto meno nei momenti di
massima gravità della pandemia, l’insufficiente disponibilità di trattamenti di terapia intensiva ha
effettivamente condotto a non dare corso alle pratiche terapeutiche che sarebbe state necessarie;
è anche vero che non sembrano ravvisabili i presupposti in termini di condotta colpevole della PA,
che la giurisprudenza della EDU descrive nei termini della conoscenza, o conoscibilità, della
situazione di disfunzione sistemica o strutturale, accompagnata dall’assenza dell’adozione delle
necessarie misure di prevenzione
• Conclusione→l’utilizzazione del rimedio aquiliano per porre riparo ai molteplici profili di danni alla
salute debbono essere verificate dall’interprete con cautela→tenendo conto dei limiti funzionali
dell’istituto dovuti alla sua stessa logica privatistica e bilaterale e che quindi mal si adattano a
rispondere ad esigenza di sistema

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