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APPUNTI DI DIRITTO CIVILE

di Fabiana Maraffa

INTRODUZIONE
Nulla è mutato , dal 1942 ad oggi, nel testo normativo dei diciassette articoli (dal 2043 al 2059)
che il codice civile dedica ai fatti illeciti ; al contrario di quanto avvenuto in altre branche del
diritto civile, come il diritto del lavoro, il diritto commerciale o quello di famiglia (modificato
radicalmente con la riforma del 1975. Se volessimo utilizzare una metafora potremmo dire che
"un’ala dell’edificio è stata ristrutturata completamente"; se ci fermassimo alle apparenze, quella
parte dell’edificio che è il fatto illecito, al contrario, è rimasta identica a 70 anni fa. Tuttavia
analizzare esclusivamente il tenore letterale del codice vorrebbe dire affrontare uno studio
fortemente limitato che porterebbe a pensare ad una materia ristretta nella sua estensione e in
qualche modo statica.
Ciò è però vero solo nella forma: la disciplina è mutata moltissimo grazie a numerosi interventi
giurisprudenziali che, pur non mutando il tenore della previsione codicistica, hanno traghettato
verso la modernità le norme sul fatto illecito. Continuando con la metafora, l'edificio non è stato
abbattuto per essere ricostruito, bensì la superficie è rimasta uguale per essere innovato nel suo
interno. La letteratura americana chiama questo tipo di riforme, date da un progressivo
cambiamento dell'orientamento giurisprudenziale, "riforme silenziose"1
Inevitabilmente un approccio basato esclusivamente sulla lettura delle norma non è più sufficiente:
Galgano infatti precisa che il nostro sistema di civil law sta dando sempre più rilievo alle pronunce
giurisprudenziali (con ovvia prevalenza della Cassazione a Sezioni Unite).
→Vedi excursus storico dal Galgano.
Situazioni nuove:
• Imprese che necessariamente producono danni
• Danni ambientali
• Epidemiologia= è la scienza che studia a livello statistico e generale quali sono le
origini delle patologie e quindi cerca di capire le relazioni statistiche tra lo sviluppo di una
certa malattia e l’esposizione a certe fonti di rischio.
• Elementi non giuridici che hanno un forte peso
• Si è aggiunto il diritto UE (codice dell'ambiente, codice del consumo)

ELEMENTI COSTITUTIVI DEL FATTO ILLECITO

L'art. 2043 enuncia gli elementi costitutivi del fatto illecito: "Qualunque fatto doloso o colposo
che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il
danno"

1. Esempio di come possano mutare, in base al tempo, i significati concreti delle previsioni "linguistiche" può essere la definizione di
"patria potestà" e "ius corrigendi". Di fronte ad un padre particolarmente severo che, nell'esercizio della patria potestà, tenta di
educare il figlio tramite cinghiate, non ammettendolo ai pasti ecc.. si avranno inevitabilmente due approcci diversi negli anni 60
(dove la situazione sarebbe accettabile) e gli anni '80-'90 in altro contesto sociale e in un altro assetto normativo. Oggi la legge non
permette più di tenere questo comportamento. Ancora 2000 l’ordinamento non riconosce a figlio e marito una tutela risarcitoria. Ad
oggi queste offese possono essere risarcite!

1
Ingiustizia del danno
Rapporto di causalità
Dolo e Colpa
Elementi oggettivi,
il fatto, che deve essere un fatto umano illecito, cioè ci deve essere un profilo di
antigiuridicità del comportamento, che deve essere contrario al diritto; eccezioni: il
fatto umano ascrivibile al soggetto chiamato a rispondere del danno manca però del
tutto nei casi di danno da cose mentre è presente nei casi di responsabilità indiretta, ma
è commesso da un soggetto diverso da chi è chiamato a rispondere;
il danno, che deve essere qualificabile come ingiusto; è un elemento
universale, infatti senza di esso non c’è responsabilità;
il rapporto di causalità, elemento universale che però si atteggia diversamente
nei diversi casi: è causalità tra fatto e danno nei casi di responsabilità da fatto umano,
mentre è fra cosa e danno nei casi di danno cagionato da cose; bisogna dimostrare che
quel danno ingiusto sia stato verosimilmente causato da quel fatto illecito o che quel
fatto abbia notevolmente accresciuto le possibilità che quel danno si verificasse;
difficilmente in certi casi si può trovare un nesso causale stringente.
L’elemento soggettivo del dolo o della colpa; di regola almeno la colpa di chi ha commesso
il fatto, che deve aver violato quindi una regola di diligenza, prudenza o perizia; spesso
questa regola, però, trova numerose eccezioni nella legge che crea ipotesi di responsabilità
oggettiva, per cui anche se non c’è l’elemento soggettivo il danno viene addebitato al
soggetto per il semplice nesso causale.

L’art. 2046 c.c. pone il requisito dell’imputabilità del fatto dannoso perché si possa essere
chiamati a rispondere delle sue conseguenze; esige cioè che il fatto sia Stato commesso da chi aveva
la capacità di intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso. Non è tuttavia un estremo
universale della responsabilità civile: vale per la responsabilità da fatto proprio, non per la
responsabilità da fatto altrui, né per danno da cose. La veste di “padrone o committente” rilevante
agli effetti di responsabilità per i fatti dannosi dei dipendenti può essere assunta da un minore che
abbia acquisito la qualità di imprenditore commerciale. Le vesti di proprietario, custode e
utilizzatore rilevanti ai fini della responsabilità per danno da cose prescindono invece anche dalla
capacità di intendere e di volere.

Tutto ciò mette in chiara evidenza come la responsabilità civile non assolva una funzione unitaria
e meno che mai può essere ricondotta alla violazione di un generale principio di neminem laedere.
La sua funzione varia, come già accennato, in ragione dei diversi presupposti di volta in volta
richiesti. Non è la sanzione per la violazione di un precetto perché l’estremo dell’antigiuridicità
manca in tutti i casi nei quali non si è chiamati a rispondere per il fatto propria. Talora, come nel
caso di risarcimento del danno cagionato da cose, appare destinata a svolgere una funzione
essenzialmente preventiva, valendo ad indurre il proprietario/utilizzatore/custode ad esercitare sulla
cosa la massima vigilanza. Spesso, ma non sempre, ha la funzione di reintegrare un patrimonio leso
dal danno ingiusto e questa funzione non ha il risarcimento del danno non patrimoniale, cui oggi si
tende a guardare come ad una sorta di pena privata. L’irriducibilità delle varie fattispecie ad una
unitaria nozione di fatto illecito è ormai una constatazione generale. ciascuna di esse dà luogo ad un
diverso criterio di imputazione del danno ingiusto al soggetto chiamato a risponderne; e solo l’art.
2043 c.c. lo imputa al soggetto che, con il proprio comportamento doloso o colposo, lo ha
cagionato. Neppure può dirsi, come riteneva la più antica dottrina, che le norme sulla responsabilità
indiretta e quelle sulla responsabilità oggettiva si pongano quali eccezioni ad una regola generale,
formulata dall’art. 2043 c.c. L’ambito di applicazione di queste presunte eccezioni è, nella vita
economica e sociale, a tal punto esteso da fare dell’art. 2043 c.c., piuttosto che la regola generale,

2
una regola residuale, cui fare ricorso quando mancano gli estremi degli altri criteri di imputazione.

1. L'INGIUSTIZIA DEL DANNO


Il concetto di danno ingiusto si ricollega al romanistico principio del "damnum iniuria datum":
danno ingiusto perché allude al danno che leda la situazione giuridica altrui e al fatto che il danno
non sia ad altri cagionato nell'esercizio di un proprio diritto. Ci sono cioè danni, anche significativi
e lesivi di situazioni giuridiche altrui, che l’ordinamento non considera ingiusti e quindi non
risarcibili (tema che si lega ai danni da attività consentita o da prodotto conforme).2
Il principio della risarcibilità di ogni danno considerato ingiusto è una clausola generale: cioè una
espressione così vasta che necessita di essere circostanziata e specificata dall'apprezzamento del
giudice, il quale decide se l'interesse leso è degno di protezione secondo l'ordinamento giuridico.
Si può parlare in tal senso di atipicità dell'illecito civile , in antitesi con la tipicità dell'illecito
penale, retto dal principio secondo cui nessuno possa essere punito per un fanno non espressamente
previsto dalla legge come reato. Diverso sistema vige in Germania, dove è accolto il principio della
tipicità dell'illecito civile.
Galgano per esemplificare la dilatazione rispetto agli antichi limiti della tutela aquiliana fa
riferimento all'immagine "dell'universo in espansione".
1) Il nucleo del danno ingiusto ai tempi del codice civile era coincidente con la lesione di diritti
assoluti. Si muoveva dalla premessa che solo i diritti della personalità e i diritti reali fossero diritti
erga omnes, protetti nei confronti di chiunque.3
• Diritto della personalità: il ferimento di una persona, quale lesione del diritto
all'integrità fisica; la diffamazione quale lesione del diritto all'onore.
• Diritto reale: danneggiamento di una cosa è lesione del diritto di proprietà
• Diritto al mantenimento leso nel caso di uccisione di chi avrebbe dovuto garantirlo,
esercitato iure proprio da chi avrebbe dovuto goderne4

2) A partire dagli anni settanta la giurisprudenza spezza il nesso fra tutela risarcitoria e diritto erga
omnes; accoglie l'idea che la risarcibilità del danno ingiusto sia una clausola generale, posta a
presidio di ogni diritto, anche relativo, come il diritto di credito.
• L'uccisione colposa dei giocatori di calcio è diventata emblematica.
A) Nel 1949, la caduta di un aereo sul colle di Superga determinò la morte dei componenti
dell'intera squadra del Torino. La società non ottenne il risarcimento, ma la soluzione suscitò
ampie riserve che influirono sul successivo atteggiamento dei giudici.
2 Esempi di danno non ingiusto:
▪ l’inquinamento ambientale ci crea danni aumentando il rischio di patologie, anche se difficilmente riusciamo a dimostrare a
livello individuale la causa scatenante. Nella maggior parte dei casi questi danni non vengono risarciti perché tutto avviene a norma
di legge → vedi inquinamento per macchine che circolano regolarmente in base ai parametri UE;
▪ le acque potabili → falde acquifere con forti inquinanti pur rispettando gli standard minimi di purezza dell’acqua, i danni non sono
risarcibili perché non ingiusti;
▪ esposizione ai campi elettromagnetici: il prof. Levis sta portando avanti una battaglia molto seria per la protezione delle persone
all’esposizione dei campi elettromagnetici, lui sostiene che possano derivare danni alla salute molto gravi se si abita vicini a cavi
dell’alta tensione → si accetta un sacrificio in termini di sicurezza per ottenere l'elettricità.
3 Ciò si ricollega al problema della non risarcibilità del danno non patrimoniale. Se nel 1950 Tizio fosse stato investito da una
macchina, avrebbe potuto ottenere il risarcimento del danno patrimoniale (perdita patrimoniale per cure e riabilitazione, costo del
vestito) non avrebbe potuto chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale.
4 Sempre che non sia intercorso un intervallo di tempo tale da determinare sofferenza e disperazione. La Cassazione nega la
risarcibilità iure successionis della lesione del diritto alla vita.
È risarcibile anche il danno futuro → eventuale diritto successorio (il figlio maggiorenne potrà lamentare lesione dell'aspettativa di
ereditare i risparmi che il genitore avrebbe accumulato)

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B) Nel 1967 Luigi Meroni (leading case), altro giocatore del Torino calcio, viene investito
e ucciso da un automobile. La società ottiene in un primo momento il risarcimento, con una
sentenza che segnò una svolta nella giurisprudenza sulla lesione del credito, nonostante il
giudice di rinvio dovette respingere la domanda, per il principio enunciato dalla Cassazione
della insostituibilità del debitore (ogni calciatore dispone di una riserva). La Cassazione
riconosce comunque l'astratta risarcibilità della lesione del diritto di credito.
La giurisprudenza ha poi riconosciuto la risarcibilità della lesione del credito anche in
ipotesi in cui il fatto del terzo non estingue il rapporto, per cui è più corretto parlare di
lesione dell'aspettativa di prestazione =>
• Quando il terzo abbia reso temporaneamente impossibile la prestazione del
debitore.
Esempio→ il ferimento di una persona che lavora alle dipendenza altrui lede il diritto del
datore di lavoro a ricevere la prestazione (pur dovendolo retribuire o avendo dovuto
assumere un altro dipendente).
• Quando il terzo abbia concorso nell'inadempimento del debitore/l'abbia istigato a
non adempiere. In questa ipotesi si ha concorso di responsabilità contrattuale (del debitore) e
extracontrattuale (del terzo).
Esempio 1→ Tizio si obbliga a vendere un immobile a Caio, che a sua vola si obbliga a
venderlo a Sempronio: per l'inadempimento di Tizio, Caio si rende inadempiente nei
confronti di Sempronio, il quale potrà agire nei confronti sia di Caio che di Tizio, per aver
cagionato l'inadempimento di Caio e perciò leso le sue ragioni di credito. Questo principio è
stato enunciato dalla Cassazione, nel caso in cui Tizio sapeva dell'obbligazione assunta da
Caio, consapevole quindi del danno che avrebbe cagionato a Sempronio.
Esempio 2 → Doppia alienazione. A promette di vendere l'immobile a B, ma prima del
definitivo vende in realtà l'immobile a C, che era consapevole della precedente vendita o
promessa di vendita tra A e B. E' prevalsa la giurisprudenza secondo la quale C risponde
(per responsabilità extracontrattuale) dei danni subiti da B sul solo presupposto della
conoscenza del precedente accordo (altrimenti mancherebbe requisito soggettivo). Se B
aveva precedentemente trascritto la vendita, la conoscenza da parte di C si dà come
presunta. Si è obiettato che C si è giovato della legge di circolazione, che fa prevalere il
primo che trascrive il proprio acquisto (esercizio di un diritto), e che B aveva
consapevolmente assunto il rischio della legge di circolazione. Tuttavia A poteva incorrere
in inadempimento esclusivamente con il concorso di C. B agisce a titolo di responsabilità
contrattuale e cita A per inadempimento contrattuale e una causa contro C per responsabilità
extracontrattuale. Se B non ha trascritto è lui in colpa → negli USA tale atteggiamento si
chiama contributo di negligenza → Art. 1227 cc. "Se il fatto colposo del creditore ha
concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e
l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che
il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza". 5

• Lesione della libertà contrattuale, derivante dall'illegittima interferenza nelle altrui


relazioni contrattuali; quando per falsa informazione del terzo, il contraente sia indotto a
concludere un contratto che altrimenti si sarebbe guardato dal concludere.
Esempio 1 → Falsa informazione sulle condizioni di solvibilità del mutuatario che induce il
mutuante a fare credito

5 Il concorso del danneggiato può quindi incidere sul quantum del risarcimento ma anche sull’an. Tema da riferire anche ai danni da
fumo (il fumatore ha apportato un contributo, cosciente della nocività delle sigarette) e al non utilizzo delle cinture di sicurezza in
caso di incidente →v. diminuzione del 30%

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Esempio 2 → Caso di scuola è quello del falso De Chirico , certificato come autentico
dall'autore, poi disconosciuto per avversione nei confronti del gallerista. L'artista fu
condannato a risarcire il danno subito da chi aveva confidato in quella certificazione ed era
stato indotto a acquisire il dipinto (il valore del quadro diventa pressoché nullo) Questa falsa
informazione determina un’enorme lesione della libertà contrattuale del gallerista per
comportamento illecito del suo autore. La Cassazione conferma che il contraente vittima
della falsa informazione può portare avanti l'azione di annullamento del contratto per dolo
del terzo. (La libertà contrattuale è giudicata meritevole di tutela non di per sè considerata,
ma ex art. 1439).
Esempio 3 → A viene costretto da B a non concludere un contratto usando minacce. Se il
contratto fosse stato concluso sarebbe annullabile, come precedentemente visto, in questo
caso potrà ugualmente esserci un processo civile per lesione della libertà contrattuale.
[Esempio venuto fuori durante la lezione]
Esempio 4 → Warrentests esempio tipico di false informazioni su prodotti industriali, come
quelle relativa all'efficacia. I test possono però essere condotti con metodi errati oppure
possono essere commessi errori → ad esempio Tizio produce prodotti eccellenti ma lo si
colloca in basso nella lista dei prodotti per un test sbagliato per negligenza o per dolo. Ciò
comporta danni di immagine e perdite patrimoniali enormi. Tizio quindi lamenta lesione
della responsabilità contrattuale e danno ingiusto verso chi ha condotto i test. 6
3) Nel corso degli anni novanta viene spezzato anche il nesso tra tutela risarcitoria e diritto
soggettivo; l'area del risarcibile viene estesa fino a comprendere qualsiasi lesione di interesse
degno di tutela.
• Lesione di una situazione di fatto
Esempio 1 → caso emblematico è quello della famiglia di fatto: viene uccisa (fatto illecito),
in un incidente stradale, una persona che provvedeva al mantenimento della sua convivente
→ uccisione del concubino. La Cassazione si è pronunciata favorevolmente alla
risarcibilità di tale danno solo negli anni '90. Il convivente non può lamentare la lesione di
un diritto, ma solo la lesione di una situazione di fatto che l'ordinamento giuridico considera
pienamente lecita e dalla quale traeva la legittima aspettativa di assistenza materiale. Come
presupposti devono esserci I) la convivenza more uxorio e II) la dipendenza economica. In
6 Una tesi opposta tuttavia vuole dare un limite a tale espansione. Ultimo esempio, che è il filo conduttore del corso. Ci sono due
filoni:
• 1. quello del telefono cellulare per cui ci sono forti sospetti sulla possibilità di insorgere in patologie se non si
utilizza l'auricolare → ma epoca di incertezza perché non c’è accordo negli studi. Se venissero pubblicate e pubblicizzate le
ricerche degli allarmisti, ci potrebbe essere il rischio di un calo di vendite che potrebbe essere ingiusto se poi si scopre che
non è così (es: in passato si credeva che fosse nociva la tv a colori!) tali allarmisti potrebbero essere in futuro chiamati a
rispondere del calo delle vendite
• 2. però è vero anche il contrario: due anni fa l’OMS ha detto che effettivamente c’è una situazione di dubbio sulla
nocività del cellulare, ma ci sono fondate probabilità che effettivamente tali rischi ci siano, siano seri. Quindi si dice ai
ministeri della salute di adottare il cd. principio di precauzione, pr. Assolutamente: bisogna adottare misure precauzionali
anche quando c’è solo il sospetto e il dubbio ragionevole circa la nocività di determinate sostanze o prodotti -> misure di
protezione e di sicurezza che non sappiamo se sono effettivamente necessarie ma probabilmente sì → è sperabile che le
precauzioni siano adottate a vuoto con il senno di poi, ma qui c’è una diagnosi/approccio ex ante in situazioni di dubbio
scientifico. Il nostro ministero della salute dal novembre del 2012 ha quindi adottato un approccio precauzionale con
avvertenze del tipo: tenere lontano dal corpo il telefono, usate l’auricolare, ecc… potrebbe essere dannoso. I produttori
potrebbero dire: perché questo allarmismo se non c’è certezza? La giustificazione è appunto il principio di precauzione. La
precauzione può anche imporre di comunicare delle informazioni nel dubbio, informazioni circa la possibile nocività su cui
il consumatore deve essere informato.
Terreno molto scivoloso in ogni caso: pretese risarcitorie da produttori se si crea allarmismo o da consumatori se si
informa poco.

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secondo luogo andrà valutato il tenore di vita. Naturalmente se la relazione si interrompe
non si può richiedere il risarcimento per danno ingiusto, sarebbe esclusivamente una
obbligazione naturale. Analogo ragionamento può essere operato per una coppia
omosessuale e abbiamo un esempio per una coppia incestuosa (formata da fratello e sorella)
per cui l'ordinamento esprime disvalore.
Esempio 2 → pacifica è l'ammissione del risarcimento del danno di chi subisca spoglio o
turbamento nel possesso o nelle detenzione qualificata. Decisivo per la cassazione è che sia
configurabile un "rapporto con il bene" che appaia tutelabile alla stregua delle norme sulla
tutela del possesso. 7
La tipicità dell'illecito civile trova un correttivo nella relativa tipicità dell'interesse leso, che
deve apparire meritevole di tutela "secondo l'ordinamento giuridico"; espressione mutuata
dall'art. 1322 comma 2, che segna il limite ultimo del danno ingiusto, oltre il quale la tutela
aquiliana non può essere accolta.
• Lesione di un interesse legittimo, ossia un interesse solo indirettamente protetto da
una norma posta a tutela dell'interesse generale. Il soggetto danneggiante è la P.A. La
giurisprudenza, in passato, adduceva come causa di esclusione l'immunità della pubblica
amministrazione, rispetto al diritto comune in base all'art. 28 Cost → era una ingiustificata
esclusione dato che, per la medesima lesione, un privato avrebbe dovuto risarcire il danno.
Nel 1999 si apre questa nuova frontiera del danno ingiusto.
Esempio 1 → Caso della CONSOB (ente per la tutela di un interesse generale) che,
dovendo fare un’opera di vigilanza sull’intermediazione finanziaria, aveva invece aveva
permesso che fossero fatte offerte che non rispettavano le adeguate garanzie; si ledeva
quindi la libertà degli investitori che investivano sulla base di rappresentazioni non corrette.
Esempio 2→ espropriazione, mancante dei presupposti formali di legittimità, di un terreno
da parte dello Stato. Il soggetto leso potrà attivare l'azione contro lo Stato per rientrare nella
disponibilità del bene ma comunque ne deriverà un danno economico, mancati guadagni,
ecc…
Esempio 3 → ricorrenti per un test di ammissione all'università svolto in modo non corretto
→ accedere per merito all'università è un interesse legittimo, ma la pronuncia a loro favore
può arrivare anni dopo, facendone derivare dei danni (pagamento di tasse, ritardo nello
studio, ecc…).
La frontiera più avanzata in fatto di responsabilità dello Stato è tracciata dalla Corte di
Giustizia , che ha affermato la responsabilità dello Stato nei confronti dei privati per i danni
cagionati dalla mancata attuazione di una direttiva. È superato quindi la visione che vedeva
le direttiva ad esclusiva protezione di un interesse generale → non si applica l'art. 2043 ma
responsabilità oggettiva (più semplice per il cittadino, non dovendo provare l'elemento
soggettivo)
Non di rado l'Italia è stata inadempiente (mancata recezione di una direttiva) come per la
situazione dei detenuti e la mancata attuazione responsabilità del produttore; ma può altresì
accadere che la direttiva sia stata recepita, tuttavia il giudice continui a riferisti alle norme
pre-direttiva (fenomeno presente anche in altri Stati membri: tendenza della giurisprudenza a
continuare a muoversi sul sistema giuridico conosciuto e praticato fino ad allora, con
resistenze a praticare il diritto nuovo). Anche l'affermarsi di un filone giurisprudenziale
costante che disattende la normativa europea comporta la responsabilità a carico dello Stato
7 L'azione spetta al detentore che abbia subito uno spoglio violento o clandestino. Laddove il rapporto di fatto con il bene
non riceva alcuna protezione da parte dell'ordinamento giuridico chi subisce una perdita del bene o è molestato non può
lamentare di avere subito un danno qualificabile come ingiusto. Per superare questo limite dovrà dare la prova non di un semplice
rapporto di fatto, ma di un rapporto di diretto e invocare la tutela aquiliana del credito.

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(mancata attuazione indiretta).

Responsabilità endo-familiare
Galgano ha coniato l'espressione “le mobili frontiere del fatto illecito” perché esso ora include aree
che prima erano totalmente escluse. Uno degli ambiti più innovativi è quello della responsabilità
civile endo-familiare. Prospettiva molto recente, dal 2000 in poi.
Vi era la classica distinzione tra rapporti orizzontali tra coniugi e rapporti verticali genitori-
figli, in cui può esserci una responsabilità civile.
Esempio 1→Un uomo adulto scopre che suo padre è un ricco imprenditore; il padre non l’aveva
mai riconosciuto e non si erano mai conosciuti. Il figlio chiede l'accertamento della paternità e il
mantenimento. Ma in che termini? Chiede il mantenimento minimo fino alla maggiore età, ma
magari i figli riconosciuti hanno un alto tenore di vita, quindi viene anche chiesto il risarcimento
del danno per il fatto di non aver potuto aspirare ed avere quel tenore di vita. La Cassazione ha
accolto la richiesta: sono stati violati diritti fondamentali personalissimi. Per la prima volta la
responsabilità civile entra in ambito familiare e il risarcimento è stato notevole. Il ragazzo
effettivamente ha avuto un danno. Non c'è stato dolo né colpa, si è i una sorta di responsabilità
oggettiva.
L'entrata della responsabilità civile nei rapporti orizzontali è forse più sorprendente.
Esempio 2→ Tizio abbandona il tetto coniugale senza giusta causa (c'è norma del cc al riguardo) ;
seguirà la perdita del diritto al mantenimento e altri benefici economici. La coabitazione è un
obbligo giuridico per due coniugi; ci sono doveri che nascono dal matrimonio: obbligo di fedeltà, di
assistenza materiale e morale, obbligo di coabitazione e altri. Quindi il soggetto che abbandona il
tetto coniugale viola un dovere che nasce dal matrimonio. Sono veri e propri obblighi giuridici o
indicazioni con valenza più che altro etica? Nel corso del tempo ci sono state varie letture; erano
prima viste come veri e propri obblighi, poi si sono inseriti dubbi a riguardo: non c’è possibilità di
coercizione, semplicemente posso far valere la violazione di questi obblighi in sede di separazione
(non posso costringerti a non tradirmi). Questa concezione si è fatta sempre più strada. Tuttavia ad
oggi sembrano più dei veri e propri obblighi giuridici perché vengono in rilievo per il
risarcimento. Sono tendenzialmente obblighi in senso proprio previsti dal codice, dei doveri
giuridici e quindi non delle obbligazioni.
Prima potevi far valere la violazione solo in sede di separazione, addebitando la separazione alla
controparte.8 Ma se il marito tradisce la moglie, la moglie può chiedere oggi il risarcimento danni?
Bisogna vedere poi cos’è la fedeltà, il contenuto è stemperato e soggettivo.
Esempio 3→Tizio, sposato, ha con Caia una forte amicizia pubblica che mette in cattiva luce la
moglie, quindi il dovere di fedeltà ha diverse sfaccettature, ad oggi non solo tradimento carnale
(ius in corpus) -> oggi la fedeltà la tendiamo in senso lato come dovere di lealtà.
Oggi si tende a dire che non è necessario l’addebito per avere un risarcimento. Io posso chiedere
anche solo il risarcimento. Quando scatta il diritto al risarcimento? Es: il vicino mi insulta -> reato
di ingiuria. Se lo fa mio marito -> eh ma nel matrimonio succede, non è reato. Non va bene questo
8 L’addebito è un residuo della vecchia colpa. Quando è entrato in vigore il codice civile il divorzio non esisteva e ci si
poteva separare solo per colpa, quando fosse conclamato un comportamento non rispettoso di tali doveri giuridici dal coniuge.
Certi comportamenti poi erano colpa se commessi dalla moglie e non dal marito. Certi obblighi giuridici se violati al massimo
potevano comportare l’addebito -> tuttora permette di far dichiarare al giudice che se il matrimonio è finito è colpa della
controparte -> soddisfazione personale ma sotto il profilo concreto cosa succede? In caso di addebito semplicemente perdo il
diritto al mantenimento se secondo gli altri criteri del codice civile l’avrei conseguito (non posso avere lo stesso tenore di vita
che avevo prima), qualora ne avessi avuto diritto. Se sono il coniuge ricco, l’addebito all’altro coniuge sì che ha delle
conseguenze concreto -> non devo più mantenerlo. Solo che per darti statistici la violazione dei doveri coniugali è posta in essere
dal coniuge ricco, cui viene addebitata la separazione -> per lui non ci sono riscontri concreti quindi, solo riscontri “etici”. Se
sono povero e colpevole fatti miei, se sono ricco e colpevole non mi cambia nulla, non ho conseguenze patrimoniali.

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ragionamento, perché si tratterebbe del matrimonio come una scriminante. È un eccesso. Ma un
eccesso anche il contrario. Serve una via intermedia: la violazione di un dovere coniugale può
fondare una richiesta risarcitoria in alcuni casi -> quando vi è un danno.
Esempio 4→La moglie per un comportamento del marito è entrata in depressione e rimane chiusa in
casa. Il marito le passa il cibo dalla porta e richiude e ha vissuto per 4 anni in questo modo. Il
problema è sorto quando sono stati sfrattati e l’ambulanza ha dovuto applicare un trattamento
sanitario obbligatorio e portare a forza la donna fuori casa. Con le cure mediche la donna ha
riacquisto coscienza di sé. Il marito non ha operato l' assistenza morale e per alcuni versi neanche
materiale. Per 4 anni il marito ha fatto finta di nulla. Fino a questa sentenza ciò comportava
semplicemente l’addebito (Matrimonio come scriminante, perché all’esterno sarebbe omissione di
soccorso). Posso chiedere un risarcimento quando tale violazione ha influito in modo incisivo
negativamente su un diritto fondamentale costituzionale della persona. In questo caso si va al di
fuori del sistema del diritto di famiglia. Il marito non è stato solo negligente, quindi comportamento
non solo colposo; effettivamente serve l’elemento soggettivo del dolo, laddove ci sia solo la colpa
probabilmente non si integra la responsabilità civile. Il marito avrebbe evitato queste conseguenze
con la separazione, perché i doveri si affievoliscono. Se un coniuge fosse gravemente malato, c’è un
obbligo di assistenza di morale, se chiedo la separazione perché è malato? Posso farlo? Dipende
dagli eventi, non è semplice dare una risposta.

2. RAPPORTO DI CAUSALITÀ
Elemento necessario fondamentale per applicare le norme della responsabilità civile è il nesso
causale da dimostrare tra fatto illecito e danno ingiusto, cioè che quel danno ingiusto sia stato
verosimilmente causato da quel fatto illecito o che quel fatto ha notevolmente accresciuto le
possibilità che quel danno si verificasse. Difficilmente in certi casi si può trovare un nesso causale
stringente. Ammesso che io abbia trovato il nesso di causalità, presupposto affinché le norme
funzionino, dovremmo trovare il titolo della responsabilità, che, ovviamente, porta all'applicazione
di norme diverse e ciò è importantissimo perché ogni titolo prevede un modo di liberarsi, da parte
del danneggiante, molto diverso. Esempio lineare: è caduto un vado sulla mia auto e nel terrazzo
sopra la mia auto manca un vaso in una fila di venti → le probabilità di trovare il nesso sono
elevate.
Poniamo il caso che i terrazzi sono tanti e manchino alcuni vasti da diversi terrazzi → non si
capisce quale dei vasi abbia colpito la macchina →problema della causalità non certa. Ho subito un
danno, so che uno dei tre proprietari dei terrazzi è responsabile, ma chi di loro? Problema di
incertezza causale e di pluralità di danneggianti. Rodotà nel 1964 ne "Il problema della
responsabilità civile" parla di danni anonimi, cioè abbiamo individuato in linea di massima i
responsabili, ma non sappiamo chi esattamente abbia cagionato il danno. Nel nostro esempio le
percentuali sono nette: un soggetto è responsabile al 100% e gli altri due non lo sono affatto. Ci
sono dei casi però in cui c'è una pluralità di danneggianti e più o meno tutti hanno dato un
contributo ma non so in che misura (es. nelle patologie multifattoriali). Esempio di una linea di
farmaci prodotti negli anni sessanta, contro la nausea da gravidanza. Diverse case farmaceutiche
mettono in commercio lo stesso principio attivo ma con nomi diversi. Purtroppo i danni causati si
manifestano solo quando gli allora feti diventano persone adulte. La scienza scopre correlazione tra
il principio attivo e i problemi riscontrati. La scienza sa che le case farmaceutiche sono responsabili,
ma non si è sicuri di chi fosse il prodotto usato da queste donne. Una soluzione è questa: se il danno
è 100 le case farmaceutiche lo divideranno in base alle quote di mercato. Se x ha il 50% delle quote,
pagherà il 50% del danno. Questo metodo è stato utilizzato da una celebre sentenza statunitense e lo
si usa da quasi 30 anni, ma noi in Italia non lo usiamo
Caso della Cassazione a Sezioni unite n. 581/2008. Affronta diversi problemi importantissimi, tra

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cui il nesso causale. Delle persone negli anni ’80 hanno contratto l’epatite B o l’HIV perché hanno
ricevuto delle trasfusioni di sangue infetto o hanno utilizzato prodotti emoderivati ricavati da sangue
infetto. Il problema è che hanno subito un danno alla salute e questo è stato determinato dal fatto
che i prodotti utilizzati per la loro cura erano infetti e il responsabile in questo caso è la p.a. perché
chi doveva controllare i prodotti era il Ministero della Salute, ed è al ministero che questi soggetti
chiedono il risarcimento del danno perché ha omesso di effettuare la vigilanza secondo le modalità
che erano richieste. Il Tribunale e la Corte d'appello condannano la p.a. Arriva in Cassazione. I
requisiti richiesti dalla legge arrivavano fino ad un determinato livello, tuttavia la scienza aveva
fatto dei progressi che avrebbero permesso di usare tecniche più raffinate per individuare problemi
al sangue. Torniamo di nuovo al problema dei livelli di sicurezza, essendo la scienza molto più
veloce della legge. Il ministero non faceva tutto il possibile ma ciò non era imposto dalla legge. Tali
controlli avrebbero fatto in modo che si scoprisse che quelle partite di sangue erano infette e quelle
persone non si sarebbero ammalate. In primo luogo notiamo che il ministero ha "omesso di fare
qualcosa". Il danno dipende da un fatto omissivo e c'è il problema della rilevanza dell'omissione.
Ma il ministero cosa era davvero tenuto a fare? Cosa è rimproverabile? Quindi dobbiamo in primis
verificare la rilevanza dell'omissione, verificare cioè se il fatto che quel controllo non eseguito e il
danno subito. C'è un rapporto di causalità? Poi naturalmente, accertato il nesso, ci si può anche
chiedere se il comportamento che doveva essere tenuto. Posso dire che quel danno che ho subito sia
una conseguenza di quella omissione e allora chi ha omesso quel comportamento è responsabile?
Intanto c'è un problema: c'è un periodo di latenza tra quando il fatto accade e la malattia si
manifesta -> problema della prescrizione, filone importante -> da quando inizia a partire la
prescrizione? Qual è il dies a quo? C'è un ulteriore problema: il nesso di causalità tra quella
omissione e quella patologia potremmo dire che è stato scoperto solo dopo molto tempo. Solo ex
post ci siamo accorti che quel controllo avrebbe potuto evitare. In più l'AIDS è stata isolata sono nel
1981 nella mente di quei medici quindi non esisteva. Rifaremo questo discorso per i danni da
prodotto: io metto in circolazione un prodotto che solo dopo molto tempo scopro che fa male, come
il cellulare. Dopo 15 anni di diffusione massiccia del prodotto riesco a cogliere dei nessi tra il
prodotto e determinate patologie. Anche per il fumo è andata così, ci sono voluti decine di anni per
confermare che determinate patologie fossero legate al fumo. Il problema quindi è capire se al nesso
ex post si deve dare rilevanza oppure no. Quantità di problemi complicatissimi:
1. come si fa a dire che l'omissione è stata determinante?
2. bisogna valutare il momento in cui questo è successo?
3. prescrizione?
Trattiamo il primo problema e recuperiamo le nozioni di diritto. Quali sono le teorie? Tra tanti
possibili cause che ci sono, questa omissione è stata determinante oppure no? E' questo il punto:
stabilire se l’azione o omissione è stata determinante per il verificarsi del danno e soprattutto, visto
che siamo di fronte ad un illecito omissivo, quello che io lamento, il ministero doveva farlo oppure
non era tenuto a farlo? Se non è stato determinante il problema non si pone. Se io fossi l'avvocato
del ministero, direi che potrebbe aver contratto l'epatite per una causa diversa, ad esempio da
un'altra struttura sanitaria, infezione per via sessuale, ecc... non è detto che la trasfusione che ho
fatto io sia stata la causa. Quale è quella che diventa la causa rilevante per il diritto? Primo test è
quello della condicio sine qua non -> immagino che la condotta non sia stata posta in essere o, in
caso di omissione, che sia stata posta in essere. Nell'esempio, potremmo dire che se io avessi
effettuato il controllo, l'infezione non si sarebbe verificata. Però questo ragionamento non ci porta
ad escludere completamente la rilevanza di altre cause o concause, ma escludiamo soltanto quello
che non c’entra assolutamente. La teoria della condicio sine qua non può essere un buon passo, ma
non è abbastanza. Ad esempio: ho preso il raffreddore. L'ho preso perché ero vestito leggero o
perché il tizio accanto mi ha tossito in faccia ecc... Per la condicio sine qua non , tutte queste sono
condizioni ma ce ne sono anche altre. Correttivi? Se sono il solo ad aver subito il danno, dimostrare

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che quell'azione o omissione mi abbia provocato il danno è molto più difficile. Se a subire il danno
siamo un gruppo (tutti stesso danno, tutti stesso contesto, come l’ intossicazione ad una festa) è più
facile -> è più facile provare la causalità sui gruppi che sugli individui. Bisogna circostanziare
ancora -> teoria della causalità adeguata, più stringente, facendo riferimento al parametro
dell’uomo medio e secondo le conoscenze dell’epoca -> quell'evento omissivo o commissivo
verosimilmente può provocare quel danno? È una previsione, un giudizio ipotetico ex ante. Esempio
del raffreddore: quando vi interrogate sul perché, tutte le cause subiscono il doppio test. Quella
causa è qualcosa che può verosimilmente portare al raffreddore? Quindi quando vado alla ricerca
della causa che deve avere rilevanza giuridica, l'evento in questione dovrà essere un antecedente
senza il quale l'evento non si sarebbe verificato (condicio sine qua non) e poi dovrà superare il
giudizio di adeguatezza: è rilevante quello che ad un giudizio ex ante mi sembra ragionevolmente la
causa di quel risultato. Altro grande tema del nostro corso: l'avvocato del ministero dice che quel
tizio che ha contratto l'epatite, l'ha fatto perché ha giocato a rugby per tanti anni in una squadra dove
altri giocatori avevano l'epatite. Stesso discorso per l’esempio dei vasi caduti: il proprietario di uno
dei vasi dice che il danno è stato provocato da un secondo vaso, che si trova metri più avanti, a
causa di una forte raffica di vento. Riprendiamo l’esempio del raffreddore: Possibili cause sono 1)
ho sudato 2) ero vestito leggero 3) treno pieno di gente infetta 4) ero stanco perché ho studiato
troppo. La condicio è il passo logicamente necessario al secondo passaggio. Il primo passaggio
serve ad eliminare del tutto quello che proprio non può c'entrare con il danno, ma ci possono essere
fatti concorrenti. La condicio può escludere la stanchezza da studio. La condicio sine qua non però
include troppi fattori, non seleziona abbastanza, quindi serve il giudizio di adeguatezza, che ne è
una specificazione. Per mettere un punto potremmo dire che la tesi del ministero sul rugby è poco
probabile. Quindi un ulteriore criterio è quello della probabilità statistica. Entra in ballo quindi la
statistica e il tema dell'epidemiologia --> leggi medico/scientifiche supportate da studi
epidemiologici. È necessaria una copertura scientifica alle affermazioni che stiamo facendo. I
penalisti le chiamano "leggi scientifiche di copertura". Tradotto in termini giuridici potremmo dire
che usiamo come metro di paragone una "grossolana statistica empirica". Le regole di esperienza ci
dicono più facilmente che è probabile una contusione. Conoscenza comune = substrato di
conoscenza che tutti hanno date dalle esperienze nel corso degli anni. Le decisioni si orientano in
base a queste conoscenze.

Partiamo dalla sentenza delle Sezioni unite: nel nostro caso l'epatite B era stata contratta
probabilmente a seguito dell'assunzione di farmaci infetti, o durante l'attività da rugbista o magari
svolge un lavoro che lo espone in modo significativo al contagio, ad esempio fa l'infermiere.
Potrebbe aver contratto l'epatite per diverse cause e in questo caso abbiamo tre possibilità. Usiamo
il metodo logico che la Cassazione ci ha dato per risolvere il problema. Tre passaggi:
1. criterio della condicio sine qua non = serve ad escludere tutti gli antecedenti logici
che nulla hanno a che fare con l'avvenimento. Ma è troppo includente, in caso di incidente
automobilistico per esempio include anche il "se non fossi uscito di casa non avrei avuto
l'incidente" perché se escludo questa scelta l'incidente non sarebbe successo.
2. criterio della causalità adeguata
3. Giudizio di probabilità = è causa giuridicamente rilevante di un evento quella che,
sulla base di un giudizio ex ante dell'uomo medio, appare una possibile causa di quello che
poi è successo.
Tuttavia neppure in questo modo si seleziona abbastanza.
Riprendendo l'esempio dell'epatite vediamo le due possibili cause alternative:
A) Praticare lo sport di contatto del rugby con altri soggetti infetti aumenta o crea la possibilità di
infezioni? E' adeguata come causa con una valutazione ex ante? Ex ante, quando valuto, i rischi che
mi posso prendere giocando a rugby, ce ne sono diversi (per esempio infortuni o contusioni) ma non
di certo l’epatite B.

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B) L'emotrasfusioni sono una causa probabile? Attraverso i giornali e la tv, questa paura è arrivata a
tutti. Si è creata in noi questa idea.
Mettiamoci nei panni dei giudici. In primo luogo bisogna rivolgersi ad un esperto di medicina
sportiva o infettivologo ecc... Costui ci direbbe che le probabilità di contrarre l'epatite b giocando a
rugby, secondo i più accreditati studi scientifici, sono, ad esempio, del 0.5% -> percezione del
soggetto che non credeva ex ante si potesse prendere l'epatite giocando è certificata da studi
epidemiologici (studi che prendendo in esame un grandissimo campione di popolazioni e studiano
l’incidenza statistica di certi fattori di rischio rispetto all'insorgere di determinate malattie). Ci sono
poi, poniamo caso, studi epidemiologici che dicono che con una percentuale dell'8% i tatuaggi
possono causare l'epatite. Rispetto al rugby è un rischio grandissimo ma comunque molto poco. Poi,
rispetto all'aver ricevuto trattamento medico con sangue infetto le probabilità sono superiori al 50%.
Poi il lavoro dell'infermiere può incidere circa al 50 per cento (non stiamo dividendo un 100%,
stiamo parlando di rischi separati). La Cassazione in materia civile usa il criterio del "più
probabile che non" = se è più probabile che l'abbia causato che probabile che non l'abbia causato,
superata la soglia del 50%. Ho trovato quindi il nesso causale, sicuramente non è certo al 100 ma mi
devo accontentare di un livello di probabilità più basso (diversamente ad esempio dai
danneggiamenti dolosi). Se noi invece dovessimo accertare il nesso di causalità a livello penale,
questo sistema logico giuridico non si potrebbe utilizzare e lo standard di probabilità deve essere
molto più elevato -> oltre ogni ragionevole dubbio. È possibile che il giudice si "scelga le
statistiche" ed è vero, perché le statistiche sono moltissime -> problema dell'affidabilità e della
discrezionalità delle statistiche. Quando verrà il prof. Levis per i danni da cellulare, vedremo
come le statistiche possono essere orientate già dall'inizio per portare a determinati risultati.
Ovviamente poi le valutazioni della Cassazione sulle percentuali incidono anche sui giudizi
successivi. Abbiamo visto come ad esempio per gli incidenti si abbia una riduzione del 30%
sull'importo da pagare nel caso in cui il danneggiato non avesse la cintura. Poi si è creato un filone
per cui tutte le sentenze di allineano a questo -> la statistica è diventata diritto vivente.
Immaginiamo che dentro questa nostra statistica ci siano come cause probabili l'emotrasfusione e il
fatto che il soggetto fosse un infermiere. Una volta trovato il nesso con la regola del più probabile
che non, ne deriva una "facilità" diversa di liberarsi da responsabilità in base alla norma da
utilizzare. Poniamo il caso che il titolo di responsabilità sia o l'art 2043 c.c. o l'art 2050. Il giudice
sceglie in modo abbastanza arbitrario. Ma il nesso che serve è sempre lo stesso. Poi però in base alla
norma è più o meno facile liberarsi. Il ministero ad esempio si libera dal 2043 dimostrando che non
c'era colpa. Ma se il titolo è il 2050 liberarsi è molto più difficile. Se invece si trattasse di un
imprenditore che risponde con l’art. 114 del codice del consumo, se io dimostro che il prodotto non
è difettoso non rispondo anche se c'è nesso. Con la stessa probabilità di nesso, il produttore si libera
molto più facilmente rispetto al datore di lavoro. Vedi per collegamento con il processo simulato.
Riprendiamo il caso: sappiamo che al 50% sono probabili sia l'emotrasfusione che il fatto che sia un
infermiere e che possa essersi ammalato a causa del lavoro. Le statistiche possono aiutarci a
scegliere tra le due cause rilevanti. Qual è la più probabile? Dobbiamo individuarla grazie alle leggi
statistiche di copertura -> scelta del giudice, che magari è arbitraria. Nelle norme di responsabilità
civile è atto salvo il caso fortuito = evento particolare che, al di là della normale prevedibilità, è
idoneo a cagionare l'evento. Esempio di scuola è sempre quello del fulmine che rompe la catena del
cane. Per rispondere del danno è sufficiente che ci sia una probabilità di almeno del 50%, ma ci si
può liberare provando il caso fortuito. Esempio con art. 2051 c.c.: Caio è proprietario della cosa, la
probabilità che la cosa mi abbia cagionato il danno è del 51%. Io per ottenere il risarcimento ho
bisogno della probabilità del 51% e Caio per liberarsi deve trovare un nesso causale alternativo che
colmi il 49% di incertezza. Entri con un nesso causale probabilistico, esci con un nesso causale
certo. Cause ignote? Quando non c'è certezza al 100% c'è un dubbio, ovviamente. Le cause ignote
sono a carico del danneggiante, se non riesce a provare altrimenti nelle norme in cui viene richiesta
come liberatoria la prova del fortuito. Anche in termini di analisi economica del diritto, scegliere il

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criterio del più probabile che non sposta la sistemazione dei costi dei danni. Anche nel caso dei vasi
-> applicando le leggi della fisica, un vaso che cade, cade perpendicolare. Al 95% a danneggiare la
macchina è quello che è là, al 2% una folata di vento ha spostato il vaso che ti ha rotto la macchina
e quindi c'è il 2% di possibilità che il vaso che ti ha rotto la macchina sia l'altro.

Problema della conoscenza scientifica nel momento in cui il fatto è avvenuto : per il giudizio
facciamo un giudizio ipotetico ex ante, prima che il danno si verificasse, quando il comportamento
o l'omissione è stato posto in essere. Ad esempio nel 1976 ci mettiamo nei panni del Ministero della
salute e dei medici. Dobbiamo ragionare con una causalità adeguata statisticamente ex ante. Il
problema è allora: cosa succede quando i nessi causali vengano scoperti solo successivamente? Il
problema è: quello che è successo prima, quando il nesso c'era ma non si conosceva, come deve
essere considerato? L'orientamento che abbiamo seguito fino a questo momento ci dice che il nesso
può essere trovato con una prospettiva ex ante -> valutazione consapevole della possibilità che il
danno accada. Se io scopro oggi il nesso, da oggi inizio a rispondere. Ad esempio per i danni da
fumo, dividiamo in due parti: una precedente e una successiva rispetto alla scoperta del nesso
causale. Il nesso vale solo se è possibile formulare un giudizio ex ante, cioè solo se la persona si
può rappresentare come possibile l'evento come reazione alla sua azione o omissione. Se il nesso
viene trovato dopo, e l'azione o omissione si colloca prima, i giudizi di causalità non si possono fare
-> è necessaria una consapevolezza almeno teorica. Tutto ciò non era espresso nelle norme positive
ma nella giurisprudenza. Il legislatore lo esprime in termini espliciti solo di recente solo all’art. 118
lettera e) del codice del consumo, secondo il quale il produttore non è responsabile per i rischi da
sviluppo -> se non ci sono studi sul nesso tra prodotto e danno al momento in cui il produttore lo
mette in commercio, il produttore non risponde. Questa valutazione di irrilevanza dei nessi scoperti
successivamente è una valutazione che il nostro legislatore del codice non ha espresso, l'ha
individuato la Cassazione nel 2008 ed è stato poi espresso nel codice del consumo. Il legislatore
europeo lasciava la possibilità di accogliere o meno tale prospettiva: l’Italia l’ha accolta come la
gran parte dei Paesi, ma no per es. la Finlandia. Principio quindi ricavato dal diritto vivente prima e
da un esplicita norma del codice del consumo poi. Il rischio da sviluppo è causa di esclusione
della responsabilità. Il ragionamento che c'è dietro: il nesso causale è rilevante solo dal momento
in cui viene scoperto, perché il soggetto ha la possibilità di valutare le conseguenze della propria
azione o omissione. Il problema è: questa scoperta che noi oggi possiamo considerare acquisita è
stata fatta studiando gli sviluppi della patologia, confermando la relazione. E' una consapevolezza
tratta dal passato da utilizzare per il futuro. Ma io posso avere una pretesa risarcitoria se un fatto è
stato commesso nel 2000 (avevo indicato il fatto come possibile causa) e la scoperta scientifica del
nesso arriva solo nel 2005? No, i nessi causali la cui scoperta è posteriore no valutabili -> causa di
esclusione -> esimente del rischio da sviluppo. Se lo scopriamo dopo, quel rapporto causa effetto
non rileva. Se non ci sono consapevolezze circa la dannosità al momento della messa in mercato il
produttore non è responsabile. Questo è molto importante perché è l'unica previsione legislativa che
ci dice come un nesso sia utilizzabile esclusivamente ex post e la Sezioni unite dicono la stessa
cosa. Un fatto è causa di un danno se c'è una legge scientifica che lo vede come probabile causa di
quell'evento con una probabilità superiore al 50%, in una prospettiva ex ante. I fatti e i danni
prima della consapevolezza non rilevano. Diamo per scontato che per il passato non ci sono
responsabilità mentre pro futuro sì. Arriviamo al problema: dal 1980 circa c'era la consapevolezza
scientifica che quando si utilizzano emoderivati si devono fare controlli superiori (e si erano
individuato rischi e sistemi per evitare i rischi) a quelli imposti dalla legge. Si era creato un divario
tra ciò che era possibile fare per rendere il prodotto sicuro e quello che la legge imponeva di fare. I
criteri di legge erano obsoleti rispetto alla scienza e alla tecnica . Coloro che sono stati
danneggiati lamentano che il ministero ha omesso di fare controlli che non erano imposti dalla
legge, perché pretendevano non lo standard legale ma un qualcosa di più, cioè lo standard
scientifico. Non parliamo neppure di principio di precauzione perché le certezze scientifiche sono

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appunto certe. Quindi parliamo di un qualcosa di più. La Cassazione per gli illeciti omissivi esprime
un principio interessante -> obbligo giuridico di attivarsi. Posso rimproverarti l'omissione solo se
c'è una legge che ti impone l’obbligo di attivarti. Per uscire da questo impasse si potrebbe 1)
classificare l'attività come pericolosa, così da dover fare quanto tecnicamente possibile ->
conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici possibili, oppure 2) come dice la sentenza, far
riferimento alla particolare natura del soggetto a cui l'omissione è riferita e cioè il Ministero
della salute, che si trova in una posizione giuridica tale da non poter pensare come accettabile il
fatto che ci si possa appiattire sui controlli richiesti dalla legge; si richiede quindi, nonostante la
legge chieda un certo livello, un aggiornamento e l’adozione di misure che coincidono con i più alti
livelli scientifici possibili. Quando c'è un soggetto particolarmente qualificato come il ministero o
quando c'è attività pericolosa, si chiede un dovere di aggiornamento al di là delle previsioni di
legge. Non è detto che sia sempre così, ad esempio per i produttori la regola è esattamente l'opposto:
finché la legge non ti impone di fare il massimo, non è rilevante la tua omissione "scientifica". Ad
esempio che le cinture di sicurezza facessero sì che diminuissero i danni da incidente è conoscenza
acquisita già negli anni ‘50 e la nostra Cassazione ha iniziato a dire da molto tempo da che
bisognava detrarre il 30% di risarcimento a chi non le allacciava, ma per tanti anni molte auto non
avevano le cinture di sicurezza. I produttori, pur essendo la scienza consapevole, non avevano
obbligo di costruirle. Tuttavia il divario non è così netto: tra il momento in cui c'è certezza
scientifica e il momento in cui ancora non si sa nulla, non ci si passa da un giorno all'altro -> si
inizia a sospettare su relazioni causa-effetto, poi iniziano molte ricerche tra loro divergenti, che
magari durano decenni. Ad esempio OGM o cellulare: ci sono gruppi di ricerca che pronosticano
danni enormi rispetto a questi prodotti mentre altri studi sono estremamente rassicuranti. In questo
momento storico non siamo affatto sicuri. L'Unione europea dice che non ci sono studi scientifici
conclusivi e conclusivi è la parola chiave. Ci sono dei rischi potenziali, dei rischi possibili... chi ha
ragione lo vedremo magari tra un decennio. C'è chi sostiene che quando si iniziano ad avere sospetti
sulla dannosità e si può scientificamente fare di più di quanto richiesto dalla legge, questo si debba
fare. Non ci si può accontentare del livello minimo; questo discorso ha una base giuridica fortissima
da almeno venti anni -> per formare obblighi anche in caso di incertezza scientifica. Il principio di
precauzione è enunciato nella legislazione dell’Unione Europea ed è ricavabile anche dai principi
del Trattato dell'Unione europea. In situazioni di emergenza sono legittime le precauzioni
giustificate da un dubbio, non da una certezza. E' un’idea fondamentale perché permette di risolvere
queste situazioni e molte altre che sono in uno stadio intermedio tra la completa conoscenza e la
totale non conoscenza. Ulteriore esempio potrebbe essere quello dei voli che non partono per il
principio di precauzione in caso di uragani -> enorme danno per le compagnie aeree, anche se poi la
scelta si rivela eccessivamente prudente. Al contrario, nel caso di terremoti in Italia, qualcuno è
Stato condannato per difetto di precauzione. Ultima questione trattata dalla cassazione:
tema delle patologie lungo latenti = che si manifestano in un momento ma hanno avuto la loro
origine in un altro. Esempio: malattia contratta nel 2006, poi c'è il periodo di incubazione in cui non
ci sono sintomi r il soggetto si accorge nel 2020 della patologia. Sono passati 14 anni. Se noi ci
muoviamo nell'ambito del contratto sociale, la prescrizione è di 10 anni, ma è peggio se ci
muoviamo nella responsabilità da fatto illecito in cui il termine di prescrizione è di 5 anni. Il vero
problema è relativo al dies a quo. Se il termine fosse il giorno da cui è successo il fatto i 5/10 anni
sono già passati e la prescrizione è già consumata. Quindi? La Cassazione a Sezione unite ci dice
che il dies a quo parte dal momento in cui la malattia si manifesta e il danneggiato è in grado
di percepire la lesione del diritto. Questo somiglia al ragionamento fatto per il nesso causale: non
valgono i nessi rispetto a cui non vi era consapevolezza. Anche la prescrizione decorre dal momento
in cui vi è la consapevolezza del danno.
3. ELEMENTO SOGGETTIVO
Come regola generale, per rispondere di un fatto illecito, è necessario l'elemento soggettivo,

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quantomeno della colpa; questo è un primo limite alla responsabilità civile: nulla poena sine culpa,
regola generale di derivazione romana. Nell’ottica del danneggiante è una regola molto garantistica,
tuttavia trova dei limiti nella presenza di ipotesi di responsabilità oggettiva.
• DOLO
E' dolo l'intenzione di provocare l'evento dannoso; è perciò fatto doloso il comportamento assunto
con l'intenzione di provocare il danno.
• COLPA
E' colpa la mancanza di diligenza, di prudenza, di perizia: l'evento dannoso non è voluto, ma è
provocato per negligenza, imprudenza, imperizia o per inosservanza di norme di comportamento
fissare per la legge o per regolamento, accertata la quale inosservanza è superflua una ulteriore
prova, sempre che esita rapporto di causalità.
La diligenza deve essere valutata attraverso lo standard dell’uomo medio/ragionevole/il buon padre
di famiglia (quest'ultima locuzione ad esempio non più utilizzata in Francia perché discriminatoria),
tuttavia tale criterio implica molta discrezionalità da parte del giudice, essendo questo un parametro
empirico soggetto a valutazione soggettive;è venuta creandosi nel corso degli anni l'esigenza di uno
standard oggettivo s vantaggio della prevedibilità, della certezza del diritto, dell’armonizzazione
delle soluzioni nel contesto nazionale o europeo. L'ordinamento opera una prevalutazione degli
standard di comportamento→ In strada è facile provare la colpa, perché l'ordinamento ha già
stabilito regole oggettive (allo stop è necessario fermassi, ad esempio), un reticolato complesso di
norme, nonostante ci sia spazio per ulteriori specificazioni e valutazioni.
Esempio 1 → i ristoranti devono rispettare il protocollo hccp, protocollo usa adottato da OMS e
UE, ci sono regole molto dettagliate che variano poi da settore a settore. Tuttavia sono regole
specifiche per determinate parti dell’ordinamento; per esempio se faccio una cena con amici si farà
riferimento al parametro tradizionale dell’uomo medio, perché si fuori da un contesto professionale.
Lo Standard oggettivo va a vantaggio della prevedibilità, della certezza del diritto,
dell’armonizzazione delle soluzioni nel contesto nazionale o europeo (Es. Tizio ha una catena di
alimentari in giro per l’UE). Importante in questo senso è anche il tema delle assicurazioni( in
alcuni casi obbligatorie e in altre semplicemente convenienti) poiché la polizza dipende dalla
probabilità che il rischio si verifichi e più il rischio è prevedibile meno l’assicurazione sarà costosa.
Ne consegue che se l'attività ha grandi dimensione, si svolge in più Paesi è fondamentale uno
standard comune per poter fornire all'assicurazione una visione chiara della situazione.
Quindi per il bambino che fa le acrobazie in campagna si usa la valutazione con riferimento
all’uomo medio; il bambino che fa le acrobazie in strada non solo è valutato ex art. 2043 ma anche
2054 c.c. sulla circolazione stradale; oggi l’art. 2043 c.c. ormai non ha più nulla a che fare con la
circolazione stradale. È un sistema che si è proprio distaccato dal sistema tradizionale, che all’inizio
invece continuava a vigere anche per la circolazione stradale (si applicava la norma che ad oggi è
inclusa nell’art. 2043 c.c.).

Può accadere che un evento dannoso sia il risultato del concorso di un antecedente fatto illecito
doloso di un soggetto e di un successivo fatto illecito colposo di un altro soggetto, in rapporto tra
loro tale per cui senza il comportamento colposo, il fatto doloso non avrebbe potuto produrre il
danno (e viceversa).

• DOLO EVENTUALE E COLPA COSCIENTE


La differenza tra dolo e colpa può apparire problematica quando il dolo assume il carattere del dolo

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eventuale o quando la colpa si configura come colpa cosciente.
►È dolo eventuale l'atteggiamento psicologico di chi, pur non agendo per realizzare l'evento
dannoso, si rappresenta il suo possibile verificarsi quale conseguenza della propria azione o
omissione. → colui che spara allo scopo di intimidire ma in realtà ferisce
Tizio, normalmente, non agirebbe se il rischio si ripercuotesse su di lui; molto più semplice dal
punto di vista psicologico il caso in cui il rischio ricada su una massa anonima (es. la clientela).
Esempio 3 → Caso Ford- sarebbe costato di più cambiare il progetto che risarcire successivamente
gli eventuali effetti dannosi che il prodotto difettoso avrebbe potuto determinare (si opera una
valutazione dei costi).
Esempio 5 → Il lancio del coltello, in cui la modella si sottopone lei stessa al rischio -> rischio
accettato e rivolto a sè.
Esempio 6 → l'induzione in inadempimento A promette a B, che lo promette a C; se A non adempie
B sarà a sua volta inadempiente. A non vuole danneggiare C, ma sa che dal suo inadempimento
deriverà un danno.

►È colpa cosciente l'atteggiamento di chi si comporta imprudentemente o negligentemente con la


previsione (non mera prevedibilità) del possibile evento dannoso, confida di potere evitare il
danno. Per intravedere la colpa cosciente occorre utilizzare una prospettiva individuale.
Esempio 7 → Tizio è di fretta e passa con il semaforo rosso (o si mette alla guida leggermente
alticcio; è consapevole del rischio ma confida nelle sua capacità di poterlo evitare. / Sciatori che
vanno fuori pista.
Esempio 7 → Nei casi di lesione della libertà contrattuale, basta la colpa, ad esempio della banca
che per negligenza abbia fornito al cliente notizie non rispondenti al vero sulla solvibilità di un
terzo.

Tradizionalmente si tende a sottovalutare la distinzione sul presupposto che ai fini della


responsabilità dell'agente è sufficienti la seconda, in realtà la differenza è rilevante:
• è esclusa l'assicurazione per responsabilità civile per chi ha agito con dolo (anche
eventuale)
• sussistono ipotesi nelle quali il fatto illecito è configurabile come fatto doloso

RESPONSABILITÀ OGGETTIVA
Il fatto illecito, stando alla nozione ex art. 2043, deve presentare l'elemento soggettivo quantomeno
della colpa; tuttavia nello stesso codice civile sono presenti numerose eccezioni a questo principio
generale; le eccezioni sono tali e tante che qualcuno fa presente che il risultato tra particolarità e
generalità è capovolto, cosicché il principio di derivazione romana si traduce in principio
residuale.
L'espansione della portata della responsabilità oggettiva si ricollega alle caratteristiche della
moderna società industriale, basata sull'impiego di mezzi di produzione che sono di per se stessi
fonti di pericolo (vi è l'esigenza di risarcire chi subisce il danno, indipendentemente dall'elemento
soggettivo, per contro chi accetta il pericolo accetta anche la possibilità di dover risarcire il danno).
Spesso ci si assicura contro il rischio da responsabilità civile, così sarà l'assicuratore a dover
risarcire il danno: questo sistema è volto a ripartire il costo fra tutti coloro che usano mezzi
pericolosi → Guido Calabresi "ogni qual volta il legislatore individua casi di responsabilità
oggettiva, l'ordinamento alloca un costo su qualcuno, "togliendolo" a qualcun altro (tema
dell'allocazione dei costi).
• Responsabilità oggettiva per attività pericolosa
Art. 2050 "Chiunque cagiona danno altri nello svolgimenti di un'attività pericolosa, per sua natura

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o per natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le
misure idonee ad evitare il danno".
Ciò che è posto in rilievo non è la pericolosità del comportamento posto in essere, ma la
pericolosità dell'attività nel corso della quale il danno si è prodotto; è una norma molto stringente
e severa.
Nella moderna società industriale, esempi di attività pericolose sono le imprese chimiche, le
imprese per la gestione di reti elettriche, le imprese portuali di carico e scarico, la produzione di
bombole a gas, la gestione di una diga, la produzione di farmaci, la produzione di sigarette.
La Cassazione è altalenante in merito alla gestione dei maneggi, distinguendo tra "cavaliere
esperto" e "dilettante"(anche se in realtà l'esperto si assume un rischio maggiore); a prescindere da
ciò il cavaliere si assume il rischio, la pericolosità è parzialmente controllata dal soggetto,
nonostante sia intrinseca, in parte, nell'attività. L'equitazione è comunque una attività fortemente
discussa. Se una persona in un maneggio, cavalcando cade e riporta delle fratture il giudice
risolverà il caso 1) secondo alcuni con l'art. 2043 c.c. perché il cavaliere decide di sottoporsi al
rischio pur sapendo che ci sono variabili poco controllabili e certi incidenti succedono; usando il
2043 il gestore del maneggio non risponderebbe, adducendo come motivazione che ha gestito tutto
secondo le regole9 (dubbi anche in merito agli impianti sciistici; anche se contro intuitivo rispetto al
maneggio, sembra più pericoloso del maneggio).
Non sempre la Cassazione distingue utilizzando il criterio del "possibile controllo" da parte di chi
subisce il danno; dipende se il soggetto ha deciso di accettare e in che misura accetta il pericolo.
L’assicurazione valuta le polizze poi in base alla pericolosità e alla probabilità di danni, anche in
base a cosa pensa la giurisprudenza: se l’attività è trattata con l’art. 2043 la possibilità di pagare un
risarcimento è più bassa.
La gestione di dighe e di impianti di energia elettrica sono servizi essenziali e attività pericolose, al
contrario della gestione di linee tranviarie.
Quindi l'attività pericolosa non è tipizzata, non essendoci discriminanti certi. La Cassazione indivia
i criteri della frequenza o della gravità del rischio (criterio statistico); ciò pone il problema della
poca attendibilità delle statistiche utilizzate10, tali e tante da poter dimostrare ugualmente uno o
l'altra tesi; inoltre la Cassazione cita tali studi senza mai farne riferimento specifico → Il giudice si
basa su proprie intuizioni personali e su un concetto empirico di statistica (es. abbiamo la
percezione che l'aereo sia più pericoloso dell'automobile).
Questo comporta una notevole incertezza, non potendo il soggetto sapere in anticipo se la sua
attività possa essere qualificata come pericolosa o meno e conseguentemente non può prevedere i
costi risarcitori.11
La cui prova liberatoria è quasi una prova diabolica, tant'è che per Carlo Castronovo l’ordinamento
non si accontenta di nessuna misura, qualsiasi danno di fatto va pagato, perché quasi mai c’è
liberazione da responsabilità in caso di attività pericolosa.
Gli unici modi per liberarsi sono:
• dimostrare il rilevante contributo del danneggiante (concorso colposo, es.
9 Nell’equitazione, come in altre attività, accade spesso che si faccia firmare una sorta di assunzione del rischio. Ha valore? Dipende
dalla classificazione dell'attività stessa: se rientra nell’art. 2043 viene preso in considerazione dal giudice, se l’attività viene
classificata dal giudice come pericolosa, il modulo non vale niente→ il gestore risponde salvo provando di aver adottato tutte le
misure tecnologicamente più avanzate. Idem per mini moto e go-kart.
10 Così Castronovo, Monateri e Franzoni
11 Esempio Prof. Roveri, che ha brevettato il dentifricio Bio Repair. Negli USA, dopo una serie di controlli, ottenuta l'assicurazione
della full and ddrag administration, si è sollevati da qualsiasi responsabilità. Ne consegue che l'assicurazione è a minima, coprendo
solo i difetti di produzione. In Italia l'assicurazione (e quindi il prodotto) è più costosa perché c'è un grande margine di incertezza.

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dell’arrampicatore sui cavi dell’alta tensione),
• dimostrare il caso fortuito o concorso di un terzo (il danno deriva da un altro
danneggiante).
Per liberarsi è necessario adottare tutte le misure idonee; secondo la giurisprudenza: anche le
tecniche sperimentali: è necessario aver fatto il massimo possibile tecnicamente per liberarsi, il
massimo della tecnica. È una soglia molto alta, al di sopra degli standard legali. Anche il caso
fortuito permette la prova liberatoria.
Esempio → A produce delle automobili e B fa un incidente da solo, B cita in giudizio A perché la
macchina non è sufficientemente sicura.
Esempio → La bombola a gas esplode producendo un danno e viene citato in giudizio il produttore
perché la bombola non era sicura. La produzione di bombole a gas è attività pericolosa, quindi
bisogna fare riferimento all’art. 2050 c.c., quindi secondo la giurisprudenza ci si libera solo
dimostrando di aver adottato le tecniche più idonee teoricamente possibili + le tecniche
sperimentali. Si può liberare dimostrando che un soggetto ha manomesso la bombola o dimostrando
che in realtà la causa è un’altra (l’esplosione è stata determinata da un altro fattore, ad es.).
La causa ignota è a carico del danneggiante. Oppure non sono state effettuate operazioni di
manutenzione che spettano all’utilizzatore, in questo caso la colpa sarà del danneggiato.
Per esempio, nel caso delle bombole, ci sono dei protocolli legislativamente definiti che
impongono di produrre con certe caratteristiche tecniche, a regola d’arte e di informare l’utilizzatore
sull’utilizzo che va fatto del prodotto. La regola dell’arte ad oggi è uno standard legale, non c’è più
bisogno di un perito per analizzare se la cosa è prodotta con la regola dell’arte. Le bombole al di
sotto dello standard legale sono difettose o perché lo standard è stato rispettato nel progetto ma c’è
un difetto di fabbricazione o perché c’è un difetto alla base di progettazione (spesso c’è
un’autocertificazione sotto la propria responsabilità, quindi non è detto che ci siano davvero tali
caratteristiche, ma le certificazioni da terzi comunque possono non essere corrette).

Lo standard legale non è uguale allo standard massimo che la tecnica permette. Lo standard legale
coincide invece con il minimo necessario perché il legislatore non può sempre essere aggiornato e
ci sarebbe anche un problema di costi. Tra lo standard legale e il massimo possibile c’è invece
grande possibilità di gradazione: ci sono infatti cose che costano molto e cose che costano poco
anche con riferimento al livello di sicurezza e all’interno di questo gap variano le scelte e le
valutazioni del consumatore (es: acquisto di automobili: da un decennio c’è un ente che valuta la
sicurezza delle auto, anche attraverso crash test → per forza per girare questa auto deve essere
omologata, quindi per esempio essere sicura per incidenti ai 50km/h, poi ovvio che ci sono
macchine molto costose molto sicure e macchine poco costose e poco sicure, anche sullo stesso
modello in base agli optional disponibili, che comunque la legge non impone).

Per Calabresi la macchina super-sicura si potrebbe realizzare ma avrebbe dei costi elevatissimi e
non riusciremmo tutti a comprarla; l’ordinamento non mira a raggiungere la sicurezza assoluta
ma la sicurezza ragionevole, per una questione di costi. Compromesso tra sicurezza e equilibrio
economico e pratico del sistema. Se ci fossero meno acquirenti allora ci sarebbero anche meno
lavoratori nel settore, ecc…

Manca una tipizzazione delle attività pericolose, ne elenca qualcuna ma poi lascia il giudice libero
di individuarne altre attraverso l’opinabile criterio della statistica→incertezza. Il produttore di OGM
non sa come assicurarsi, quale regola gli si applicherà, ecc…

La lettura tradizionale dell’art. 2050 c.c. per cui non c’è mai la prova liberatoria è ormai vetusta e
meriterebbe di essere rivista per come è oggi il nostro sistema giuridico.

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• Responsabilità oggettiva per danno cagionato da cose
• Responsabilità oggettiva per danno cagionato da animali
Art. 2052: “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è
responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse
smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito"
• Responsabilità oggettiva per danno da cose in custodia
Art. 2051: "Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che
provi il caso fortuito"
Anche in questo caso, come i precedenti, la giurisprudenza a luogo ha continuato a parlare di
"presunzione di colpa" ma di fatto essa richiede per la liberazione, non la prova di assenza di colpa,
ma la prova positiva del caso fortuito (inoltre risponde anche se capace di intendere e di volere).
Siamo quindi in presenza, come conferma anche la Cassazione, in presenza di una ipotesi di
responsabilità oggettiva.
CASO "SGRETOLAMENTO PRIVILEGIO P.A."
(Cass. N.2308/2007)

Il sig. R, a seguito della presenza di un cane che gli taglia la strada, sbanda; l'autovettura di ribalta e
il soggetto si ferisce. Tizio chiede i danni al concessionario gestore dell'autostrada.

Viene in rilievo l'art. 2051, considerando la strada come cosa in custodia → prassi ora accettata, ma
frutto di una lenta elaborazione giurisprudenziale 12 (da qui il riferimento allo sgretolamento del
privilegio, riservato alla p.a., del non utilizzo dell'art. 2051).

Per il giudice di secondo grado (la suprema corte non esprime riserve rilevanti in tal senso) la
società concessionaria aveva l'obbligo di munire il percorso di una rete di protezione e di curarne
la manutenzione con controlli diretti ad evitare danni; non avendo la società appellata fornito la
prova che la presenza dell’animale sulla sede autostradale fosse riconducibile al fortuito
(abbattimento della recinzione per precedente incidente) ovvero al fatto del terzo (il proprietario del
cane lo abbandona in autostrada/ taglio vandalico della recinzione), essa dovesse rispondere dei
danni derivati all’appellante.

Il danneggiante avrebbe potuto fornire la prova del fortuito consistente non esclusivamente nella
dimostrazione dell’interruzione del nesso di causalità determinato da elementi esterni o dal fatto
estraneo alla sfera di custodia bensì anche dalla dimostrazione in applicazione del principio di c.d.
vicinanza alla prova – di aver espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della
cosa, tutte le attività di controllo, di vigilanza e manutenzione su di essi gravanti in base a
specifiche disposizioni normative (tutto standardizzato dalla legge)

Inoltre, a carico del gestore, ci sono una serie di obblighi accessori, atti a diminuire il danno una
volta che il fatto si è già prodotto: nel caso di specie la società avrebbe dovuto segnalare la presenza
del cane, o riparare la barriera rotta; così facendo la responsabilità non si esclude ma è mitigata.

CASO RESPONSABILITÀ PER DISSESTI


STRADALI (Cass. N. 22684/2013)

M.A., camminando, inciampa su un tombino non allineato con il manto stradale, provocandosi
12 Tant'è che il giudice muta la qualificazione giuridica; l'articolo citato dall'attore era infatti il 2043. (E'
legittimo perché i fatti allegati rimangono immutati).

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alcune lesioni alla gamba. Chiede al Comune il risarcimento del danno. Ottenere il risarcimento a
carico del comune è stato a lungo impossibile poiché la giurisprudenza non riconosceva
l'applicabilità al manto stradale dell'art. 2051 e in secondo luogo perché non riconosceva
l'applicabilità nei confronti della pubblica amministrazione.
Questo approccio si traduce in un fenomeno difficilmente gestibile da parte delle pubbliche
amministrazioni, le cui casse sono gravate dai sempre più ingenti costi delle polizze assicurative,
divenute indispensabili per soddisfare la costante escalation di richieste di risarcimento dei danni13.

Anche in questo caso viene in rilievo il tema della distribuzione dei costi nel caso di incidenti: il
comune opera uno studio statistico sull'ammontare della cifra che si troverà a risarcire durante un
anno; o accotonerà la spesa o stipulerà un'assicurazione. Ovviamente il costo in entrambi i casi
andrà a gravare sui contribuenti (o potranno essere recuperati in parte attraverso le multe). Per
Calabresi ciò è razionale, poiché il comune è il soggetto più capace di frazionare la spesa; mentre
per il danneggiato (ipotizziamo un ragazzo che fa consegne in bicicletta) il costo delle cure e del
mancato guadagno potrebbe essere un grave danno economico.

• Responsabilità oggettiva per danno da rovina di edificio


Art. 2053 "Il proprietario di un edificio, o di altra costruzione, è responsabile dei danni cagionati
dalla loro rovina salvo che non provi che questa è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di
costruzione".
E' un criterio che può apparire analogo a quello delle attività pericolose, tuttavia la prova
liberatoria è diversa perché nel caso dell'edificio è necessario dare la prova del fatto specifico che
ha provocato il sinistro (eccezionale tempesta di vento). Anche qui le cause ignote restano a carico
del proprietario
Vi era quindi una presunzione di colpa, superata poi ad opera della Cassazione, che dopo aver
eliminato il preambolo ormai ridondante, ha finito per identificarle come vera e propria
responsabilità oggettiva, superabile solo ove ricorrano gli estremi del caso fortuito (si interrompe
il nesso causale) o della forza maggiore, ovvero del fatto del terzo.
L'art. 2053 opta per una diversa allocazione dei costi rispetto alla regola generale. Spesso ciò porta
il proprietario ad assicurarsi (ovviamente nel caso in cui ci sia vera e propria colpa, l'assicurazione
non coprirà il danno; ad es. no l'adeguata manutenzione).
I alcuni casi il danno potrebbe dipendere da colpa del costruttore, in questo caso si applicherà l'art. 1669 c.c. 14 in materia di appalti.
In particolare
1. Può esserci responsabilità solidale tra proprietario e costruttore (concorso di responsabilità), ciò rappresenta un vantaggio per il
danneggiato poiché è più probabile che il costruttore sia più solvibile. Ad esempio il proprietario conosce il difetto e accetta il
rischio. Il danneggiato potrà agire anche nei confronti di uno solo dei soggetti che poi si rifarà sul secondo responsabile.
2. Il proprietario può liberarsi dimostrando un vizio di costruzione → colpa interamente del costruttore
3. Può accadere che il progetto fosse corretto così anche la realizzazione del progetto; difettosi erano invece i materiali (il cemento
armato certificato come tale è in realtà sabbia). Le caratteristiche tecniche sono certificate in anticipo da società apposite o attraverso
un’autocertificazione sotto la sua responsabilità del produttore. Se il produttore ha utilizzato un bene senza le caratteristiche

13 Il Comune di Trieste nel giro di due anni ha risarcito più di 1 milione e 300 mila euro per infortuni causati da buche o da altri
dissesti stradali. Il Comune di Verona ha speso nel 2012 circa 2 milioni di euro per la stipula di polizze assicurative imposte dalla
legge e, tra queste, la polizza più onerosa è risultata essere quella per i danni causati dalle insidie stradali, che ammontava a 1 milione
e 200 mila euro causati dalle insidie stradali, che ammontava a 1 milione e 200 mila euro mune per scegliere la migliore polizza
assicurativa sono state disertate dalle stesse compagnie di assicurazione, terrorizzate dall’ingestibilità casi nei quali i Comuni hanno
dovuto rinunciare alla copertura assicurativa, com’è recentemente accaduto a Novi Ligure, Lamezia Terme, Viterbo, Cosenza e
Messina
14 Art. 1669 c.c. Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci
anni dal compimento, l'opera, per vizio del suolo o per difetto di costruzione, rovina in tutto i un parte, ovvero presenta evidente
pericolo di rovina, o gravi difetti, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché la
denuncia sia fatta entro un anno dalla scoperta.

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necessarie pur sapendolo, rispondono entrambi e risponderà anche il certificatore: c'è una catena di responsabili.

• Responsabilità oggettiva per danno nella circolazione dei veicoli


La circolazione di auto è l'attività che statisticamente causa il maggior numero di eventi dannosi.
Art. 2054 comma I: "Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il
danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il
possibile per evitare il danno"
Il conducente è responsabile del danno anche se non è in colpa, nonostante la guida diligente,
esperta e prudente. Anche in questo caso la prova liberatoria consiste nel provare di aver fatto tutto
il possibile per evitare il danno, potendosi dedurre che lo stesso fosse inevitabile. I giudici, a livello
applicativo, richiedono la prova storica dell'evento interruttivo del nesso.
Esempio 1→Eugenio ha subito il danno e Martina è l’investitrice, ma Martina è figlia di Stefano
che è proprietario dell’auto. Oggi non si applica l’art. 2043 c.c. perché già il c.c. del 1942 prevede
un sistema diverso: si applica l’art. 2054 c.c. + altre norme fuori dal codice civile. Art. 2054 c.c.
dice che chi è alla guida del veicolo deve rispondere del danno, senza parlare di dolo o colpa ->
eccezione alla regola generale del diritto romano -> responsabilità oggettiva: si risponde perché ci
sono gli elementi oggettivi dell’illecito (fatto, danno ingiusto e nesso di causalità). Quindi Martina
risponde in ogni caso e Stefano risponde non solo per responsabilità oggettiva come Martina ma
anche per responsabilità oggettiva indiretta, perché è proprietario del bene da cui scaturisce il
danno ance se non esercita materialmente l’attività da cui è scaturito il danno -> responsabilità
oggettiva del guidatore e responsabilità oggettiva e indiretta del proprietario e responsabilità
solidale fra i due: l’ordinamento si preoccupa di tutelare il danneggiato, quindi responsabilizza
oggettivamente insieme proprietario e guidatore per garantire la solvibilità, perché si presuppone
che il proprietario sia più solvibile e si alzino così le probabilità per il danneggiato di ottenere il
risarcimento. Saranno poi loro a ripartirsi gli oneri in base alle colpe. Il proprietario può liberarsi
dimostrando che la circolazione è avvenuta senza il suo consenso: è il caso dell’auto rubata, del
furto (e per alcuni giudici anche sotto certe condizioni, perché se lascio la macchina aperta e la
rubano non è circolazione contro la volontà del proprietario), no nel caso l’auto sia dei vostri
genitori e voi la usate senza il loro consenso o addirittura se c’è un loro divieto. Altro problema:
auto intestata all’impresa di lavoro, auto aziendale: anche in questo caso responsabilità solidale tra
guidatore e impresa. Molte norme sulla circolazione stradale sono regolate ovviamente dal codice
della strada, già dalla fine degli anni ’20 e poi continuamente aggiornato -> componente
fondamentale di questo sistema. Settore della responsabilità civile molto particolare, con regole
proprie. Terzo elemento: sistema obbligatorio di assicurazione, introdotto nel 1969, perché è un
settore con molti rischi. Questo è un limite all’autonomia contrattuale: se decido di essere
proprietario di un auto, obbligatoriamente mi devo assicurare per alta potenzialità lesiva
dell’attività, a tutela del danneggiato. Sottosistema della responsabilità civile. Ma la colpa in questo
sistema che ruolo ha? C’è una sorta di inversione dell’onere della prova: si presume la colpa e se
non sei in colpa devo dimostrare il contrario. L’assicurazione pagherà il danno ad Eugenio perché
Martina è assicurata. È bastato provare il fatto, il danno e il nesso causale per conseguire il
risarcimento. La domanda va fatta nei confronti del danneggiante ma il danneggiante è assicurato
perché è obbligatorio e l’assicurazione paga per Martina Eugenio, sollevando Martina. Ma se
Martina non si fosse assicurata? Paga lei direttamente, come si faceva prima del 1969 e come fa
tuttora colui che fa le acrobazie in campagna. La colpa c’entra in molti di questi frangenti.
L’assicurazione paga Eugenio e poi va da Martina: dal verbale dei vigili deduco che tu sei passata
con il rosso e il tuo tasso alcolemico era troppo alto, quindi tu sei oltretutto in colpa, misurata
secondo standard oggettivi previsti ex lege. L’assicurazione paga ma rivuole indietro i soldi perché
l’azione che hai compiuto non era nei rischi assicurati, io copro una responsabilità oggettiva e non
una responsabilità per colpa, pago per un guidatore che sta alle regole, per la condotta di un

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guidatore modello. Nei loro rapporti interni, l’assicurazione vuole indietro i soldi. L’assicurazione
riguarda anche la professione medica o altri tipi di professione e, sebbene possa essere sia
facoltativa che obbligatoria, il funzionamento è simile. La colpa viene in rilievo nei rapporti
interni assicurazione-danneggiante e la colpa viene stabilita in base alle norme, cioè è
predeterminata e non fa riferimento all’uomo medio. Tanti elementi tutti integrati tra di loro. Un
altro aspetto molto importante è quello del concorso colposo del danneggiato, della responsabilità
civile del danneggiato, referente normativo nascosto è l’art. 1227 c.c., dove si parla
dell’adempimento delle obbligazioni e dei contratti. Esempio: trasporto dei bicchieri imballati male.
Quando si tratta di stabilire il risarcimento del danno, si deve fare riferimento all’art. 1227 c.c. ->
c’è un rinvio. Il danneggiato si deve essere comportato in modo irreprensibile, altrimenti se c’è
concorso il risarcimento viene ridotto in modo proporzionale. Esempio: semaforo verde per l’auto e
l’auto passa investendo il pedone che invece passava con il rosso, ma l’automobilista non aveva
visto il pedone perché stava mandando un sms -> c’è colpa di entrambi. Il pedone poteva anche aver
fatto una scommessa con gli amici. Altro esempio simile: amici ubriachi si avvicinano ad un palo
della luce con tutte le protezioni, uno fa una scommessa con gli amici e si arrampica fulminandosi e
chiede il risarcimento (caso arrivato in Cassazione). Ci può essere una diminuzione proporzionale
oppure può spezzare il decorso causale perché è una condotta troppo anomala -> viene in rilievo il
caso fortuito.
CASO MANCATO RISPETTO DELLO STOP: COLPA E RISCHIO
ELETTIVO (N.1309/2007)
Il Consiglio di Stato ha negato il riconoscimento della causa di servizio ad un dipendente
dell'INPS15 per le lesioni subite in seguito ad un sinistro stradale, verificatosi mentre questi si stava
recando al lavoro con la propria vettura. La copertura assicurativa non è stata riconosciuta
poiché l'incidente è stato causato da una mancanza inescusabile del danneggiato (non era colpa
lieve)
Il commentatore, Guglielmo Corsolini, si trova in disaccordo con la sentenza del CdS; richiama il
principio secondo cui la colpa del lavoratore non esclude l'indennizzabilità nemmeno quando si
tratta di infortunio in itinere; quindi anche la violazione di norme fondamentali del codice della
strada non può escludere la protezione previdenziale.
Per l'autore, che opera una deduzione a contrario attraverso una serie di argomenti propri del diritto
del lavoro, «il comportamento elettivo del lavoratore non va equiparato ad un comportamento
colposo...Il rischio elettivo, in particolare, è un rischio collegato ad un comportamento
volontario, volto a soddisfare esigenze meramente personali e comunque indipendente dall'attività
lavorativa.» → tutti quei comportamenti eccentrici rispetto al lavoro.
La modifica del percorso è emblematica, ma analogo discorso può essere operato per altre ipotesi (il
soggetto porta con sè persone che con i loro comportamenti mettono a rischio la sicurezza). In ogni
caso, accertato il nesso con l'attività lavorativa, non può venire in rilievo la colpa se non condotte
particolarmente gravi (guida senza patente, stato di ubriachezza). Se così non fosse ogni infortunio
derivante da un rischio che il danneggiato avrebbe potuto eludere dovrebbe essere escluso dalla
tutela (sceglie il rischio chi non indossa le scarpe antinfortunistiche).

Il punto cruciale della decisione del Consiglio di Stato sta, anche in questo caso, nell'attenzione che
si rivolge al problema della distribuzione dei costi. Il datore di lavoro si trova a sopportare costi
eccessivi per l'assunzione dei rischi suddetti. Se tali ipotesi non gravano più sull'inps, il sistema
previdenziale è alleggerito. Adottando la linea espressa da Corsolini si privilegia il lavoratore a
carico del sistema previdenziale. Adottare una o l'altra tesi, quindi, significa operare una scelta di
politica importante di distribuzione dei costi.

15 Nel nostro sistema giuridico il datore di lavoro deve obbligatoriamente assicurarsi.

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Poniamo il caso che il soggetto guidi la macchina del padre, per andare a lavorare.
Il datore di lavoro risponderà, risponderà anche il guidatore ex art. 2054 ed anche il padre come
proprietario. Il danneggiato chiederà il risarcimento al più solvibile (datore o padre) il quale poi si
rifarà sul responsabile. La legge, prevedendo la responsabilità solidale, dà la possibilità al
danneggiato di scegliere da chi essere risarcito.

CASO SULL'AMBITO DI OPERATIVITÀ DELL'ASSICURAZIONE


(Cass. N.8090/2013)

M. viene investita sulla rampa di un garage; nonostante la bassa velocità dell'auto, la bambina,
molto piccola, riporta danni rilevanti. I genitori chiedono il risarcimento, proponendo azione
diretta contro l'assicurazione, adducendo come motivazione che il sinistro fosse avvenuto in luogo
aperto alla circolazione (equiparabile ad area pubblica). La società assicuratrice eccepisce che il
luogo dell'incidente fosse privato e che la minore non fosse sorvegliata e, conseguentemente, che
non fosse proponibile azione diretta.

La scriminante tra luogo privato scrictu sensu e luogo aperto al pubblico equiparabile ad area
pubblica sta nella possibilità che vi accedano un numero indistinto ed indeterminato di persone.
La giurisprudenza ha infatti più volte riconosciuto la valenza in questi contesti del codice della
strada e quindi la possibilità di esercitare domanda diretta; tuttavia il caso di specie non rientra in
questa fattispecie, non rappresentando la rampa di accesso ad un garage un luogo il cui accesso è
consentito ad un numero indeterminato di persone. 16

• Responsabilità indiretta del proprietario


• Responsabilità del produttore
Ogni prodotto industriale deve essere usato in condizioni di sicurezza tali da non pregiudicare
l'integrità fisica dell'utente. La "sicurezza" è in assonanza con l'art. 41 della Costituzione, che pone
il limite della salvaguardia della sicurezza umana alla libertà di iniziativa economica. Questo
principio ha assunto rilevanza all'interno del nostro ordinamento con la direttiva comunitaria n.
374 del 1985, attuata in Italia con il d.p.r. n. 244 del 1988 (oggi confluita del codice del consumo
del 2006).
Art. 114 Codice del consumo: "il produttore è responsabile del danno causato da difetti del suo
prodotto" e Art. 117 Codice del consumo: "un prodotto è difettoso quando non offre la sicurezza
che ci si può legittimamente attendere tenuto conto delle circostanze"; la difettosità è altro dalla non
idoneità rispetto all'uso a cui l'oggetto è preposto.
Leading case è il caso Saiwa (Cass. 1270/1964): un avvocato romano, più agguerrito che
danneggiato, chiede il risarcimento delle spese mediche, dovute all'ingerimento di alcuni biscotti
avariati. La sentenza è stata volta a favore del consumatore: i giudici ritennero la società
produttrice responsabile in via aquiliana dei danni derivanti dai biscotti.
La sentenza fa riferimento alla regola generale ex art. 204317, poiché ancora non c'erano norme
specifiche per la responsabilità del produttore. Era dunque necessario provare l'elemento soggettivo,
analizzando come la Saiwa conservava e impacchettava gli alimenti. Si trattava di mettere in
discussione i processi produttivi di un colosso industriale. La diligenza nella produzione è stata
16 Situazione analoga è stata già citata: i ciclisti che in aperta campagna pongono in essere manovre azzardate, causando un
incidente, rispondono con la diligenza dell'uomo medio; se la stessa azione fosse posta in essere in una strada pubblica,
risponderebbero in base alle condotte oggettive richieste dal codice della strada.
17 Non è utilizzabile né l'art. 2050 perché fare biscotti non è attività pericolosa, né il 2051 a carico del rivenditore
(nonostante l'avvocato avesse citato anche costui).

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valutata dalla Cassazione su un paramento elevato (molto più dell'uomo medio) a causa delle
dimensioni e del calibro dell'industria.

Il caso Saiwa è fondamentale perché opera un’inversione dell’onere della prova: se un prodotto
confezionato arreca un danno ad una persona, si presume che il produttore non abbia agito con le
modalità che la diligenza imponeva di adottare; si presume quindi che il prodotto sia al di sotto del
livello di qualità atteso. Ci si avvicina alla richiesta dell'utilizzo di "tutte le tecnologie possibili" ex
art. 2050 c.c, tuttavia in questo caso la responsabilità non è oggettiva, è la colpa ad essere presunta.

Questa svolta giurisprudenziale aggrava la posizione del produttore, che statisticamente è obbligato
ad assistere ad alcuni errori all'interno della sua produzione.
Nel 2012 viene introdotta l'azione collettiva risarcitoria di classe (cd. class action ): fino a tale data
ogni soggetto danneggiato avrebbe dovuto provare individualmente il danno subito. L'azione
collettiva è uno strumento che permette di convogliare insieme tutti i singoli casi, ottenendo una
maggiore e più facile tutela; tuttavia la condizione risarcitoria può risultare minore poiché la somma
è "forfettaria" e andrà divisa tra tutti i danneggiati.18
Le azioni collettive hanno tre vantaggi:
1. le spese economiche sono più basse per i singoli (unico processo, unico avvocato),
2. la pressione economica sul danneggiante è più alta (importante prevenzione
generale)
3. l’onere della prova del nesso causale è molto meno gravosa

Come si ricorda Trimarchi (che scrive nello stesso anno di G. Calabresi ma in maniera indipendente
da lui) più aumenta la responsabilità dei fabbricanti più questi si assicurano, aumentando il costo
dei loro prodotti per coprire le spese di assicurazione (o pagare direttamente i risarcimenti). Se in un
primo momento il costo va a porsi a carico dei produttori, questi fanno in modo di redistribuirlo
facendolo gravare nuovamente sui consumatori, ma distribuendolo in modo diverso, non più solo a
carico dei danneggiati.
L'aumento ragionevole del costo del prodotto produce un frazionamento positivo del costo:
quando l'intero ammontare gravava esclusivamente sul danneggiante, questi era costretto a ricorrere
a misure drastiche per non fallire (ad esempio licenziare molti dipendenti).
Se il caso Saiwa succedesse oggi il danneggiante avrebbe l’onere della prova, se dimostrasse di aver
rispettato tutti gli standard europei il danno non sarebbe a lui imputabile (sistema oggettivo di
controllo della colpa).
Nonostante non operi più in tale ambito l'art. 2043 ma il codice del consumo, in campo alimentare
ci sono dei casi in cui vige ancora il vecchio principio della responsabilità da fatto illecito: ad
esempio nell'ambito di una cena a casa di privati o nel caso di un produttore di farina che danneggia
la produzione di biscotti (il codice del consumo di applica solo a produttore-consumatore).

RESPONSABILITÀ INDIRETTA
Ulteriori ipotesi di divergenza rispetto all'art. 2043 sono i casi di cd responsabilità indiretta. La
previsione codicistica chiama a rispondere "colui che ha commesso il fatto", tuttavia ci sono delle
norme che chiamano in causa soggetti che non hanno commesso alcun fatto illecito, per la sola

18 Nelle azioni collettive statunitensi sono automaticamente inclusi tutti i membri della categoria, per non partecipare il soggetto
deve dichiarare la sua volontà; spesso sono accompagnate da condanne al pagamento dei danni punitivi: il produttore è condannato a
pagare una multa, per aver tenuto quel comportamento. In Italia non può applicarsi poiché l'azione è volta esclusivamente a risarcire i
danneggiati.

23
relazione tra lui e la cosa/persona che ha cagionato il danno. Anche in questo caso il soggetto
risponde a prescindere da ogni sua colpa.
Vi sono ulteriori ipotesi in cui responsabilità indiretta e responsabilità oggettiva si combinano.
1)responsabilità oggettiva del conducente+responsabilità indiretta del proprietario, 2) responsabilità
oggettiva del produttore+responsabilità indiretta dei soggetti diversi dal produttore (chi importa, chi
certifica ecc..)
• Responsabilità dei padroni e dei committenti
• Responsabilità dei sorveglianti di incapaci (genitori, tutori, precettori)
Ex art. 2046 "se il fatto è commesso da persona incapace di intendere e di volere, questa non ne
risponde, a meno che lo stato di incapacità non derivi da sua colpa" 19
Art. 2047 "In caso di danno cagionato da persona incapace d'intendere o di volere, il risarcimento
è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto
impedire il fatto. Nel caso in cui il danneggiato non abbia potuto ottenere il risarcimento da chi è
tenuto alla sorveglianza, il giudice, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, può
condannare l'autore del danno a un'equa indennità"20
Art. 2048 "Il padre e la madre, o il tutore, sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito
dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela (343 e seguenti, 414 e
seguenti), che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all'affiliante. I precettori e coloro
che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei
loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. Le persone indicate dai
commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non avere potuto
impedire il fatto"
In questo caso il presupposto della responsabilità indiretta è l'incapacità legale, non quella naturale
di chi ha cagionato il danno.
In entrambi i casi la responsabilità è anche configurabile come consistente nel mancato
adempimento di sorveglianza, così sicuramente la loro responsabilità ha natura mista, al tempo
stesso diretta e indiretta.
Quanto ai genitori, viene in considerazione anche il loro dovere di educare i figlio minori. La
giurisprudenza tendenzialmente distingue tra figlio incapace di intendere e di volere e di figlio,
benché minore, naturalmente capace. Riguardo al primo caso i genitori risponderanno per omessa
vigilanza (culpa in vigilando), nel secondo per culpa in educando. Tutte queste previsioni hanno
origine romana e possiedono un substrato di elemento soggettivo, seppur debole che le ricollega
alla colpa.
Per i precettori, si ammette che il dovere di vigilanza vada attenuandosi progressivamente con
l'avvicinarsi da parte degli allievi all'età del pieno discernimento. I genitori non rispondo se
l’obbligo di sorveglianza era temporaneamente trasferito ad un terzo, una babysitter ad es.
(ovviamente la scelta dei genitori deve essere avveduta)
Esempio 1 → Bambino molto piccolo, gioca sul terrazzo, prende un vaso e lo lancia dal balcone,
magari colpisce un passante.

19 In questo caso non consegue un risarcimento ma un indennizzo. Se Caio sviene mentre guida e investe qualcuno, dovrà
corrispondere un indennizzo, non un risarcimento pieno, dovrà quindi solo una cifra che non integra del tutto il danno, perché
l’ordinamento dà rilievo al fatto che sei incapace di intendere e di volere. Ovviamente non deve dipendere dal soggetto (se si è in
stato di ubriachezza, si è assunto un farmaco che induce sonnolenza, ecc) altrimenti si ha colpa cosciente o dolo eventuale.

20 Dopo la riforma dell'assistenza psichiatrica la portata della norma è stata ridotta essenzialmente minori affidati a istituti di
protezione dell'infanzia e a privati che abbiano assunto il compito di sorveglianza.

24
Esempio 2 → Un ragazzo quindicenne, guidando un motorino, provoca un incidente da cui viene
danneggiata una persona.
Esempio 3 → Il compagno della madre di Marco decide di regalargli un motorino , nonostante il
fatto che il padre del ragazzo fosse contrario. Marco vive stabilmente con la madre e il nuovo
compagno, così il padre è impossibilitato ad educare realmente il figlio. Marco provoca un
incidente e il padre si giustifica adducendo come motivazione l'impossibilità di invocare la culpa in
educando, essendo, come direbbe Cavina "Un padre spodestato".
In Francia, Inghilterra e in alcuni stati americani si prevede un parziale trasferimento di diritti e di
responsabilità a carico del compagno convivente. In Italia (pare) il padre risponde a prescindere.
In realtà né al danneggiato né all'ordinamento interessa quale dei due soggetti sia chiamato a
pagare, serve solo allocare i costi; tuttavia possiamo spingerci a sostenere che tale impostazione non
sia corretta e che sarebbe quantomeno ravvisabile una responsabilità condivisa con il nuovo
compagno della madre.
La giurisprudenza è severissima per quanto riguarda la prova liberatoria. Unici due modi per cui il
soggetto può liberarsi sono:
• concorso del danneggiato(es: acrobazie sul motorino del passeggero danneggiato)
• caso fortuito (ad es. il motorino era stato manomesso da un compagno di scuola).

Potremmo dire che è una responsabilità ancora più stringente della responsabilità personale poiché
1) il genitore risponde anche se non c’è colpa né dolo nel comportamento del minore 2) ed è più
severa della responsabilità propria perché anche il quel caso sarebbe necessario l'elemento
soggettivo.

RESPONSABILITÀ MEDICA
.
Negli ultimi decenni, il progresso scientifico, la crescita delle aspettative di cura hanno ampliato
l'ambito di indagine concernente la responsabilità del medico. In particolare, di rilievo è stata
l'evoluzione che ha interessato la responsabilità del professionista. Le ragioni di tale mutamento
vanno rinvenute nella maggior sensibilità sviluppatasi nei confronti di tutti gli aspetti che
concernono la tutela della persona e, in particolare, della salute, quale fondamentale diritto
dell'individuo ed interesse della collettività, come sancito dall'art. 32 Cost.
Tale evoluzione, di matrice prevalentemente giurisprudenziale, ha riguardato principalmente la
natura giuridica della responsabilità medica. In particolare si è passati da un sistema "a doppio
binario" (nel quale cioè alla responsabilità della struttura sanitaria si riconosceva origine
contrattuale, mentre a quella del professionista si attribuiva natura aquiliana), ad un sistema che, al
contrario, si caratterizza per l'affermazione della natura contrattuale sia della responsabilità
della casa di cura (pubblica o privata), sia di quella del professionista.
Anni 50 60 art 2043
78 SSN e doppia partizione
Anni 80 si inverte onere della prova tramite giuri e si aggrava medico
Perplessità sulla bipartizione
1999 giuri elabora contatto sociale e si unificano
2012 legge Balduzzi
Operando un breve excursus storico, potremmo dire che negli anni ’50-’60, il medico veniva

25
valutato con l’ art. 2043 ed era necessario quindi provare la colpa e l'assenza di diligenza del
medico medio, i rapporti medico-paziente si basavano su una responsabilità contrattuale, essendo
gli stessi pazienti a scegliere il proprio medico. Il costo, spesso drammatico, ricadeva sui pazienti
danneggiati.
Negli anni ‘70-’80 la situazione cambia: si vede l'obbligazione del medico come un’obbligazione
di mezzi, la qualità deve non essere inferiore alla media e lo standard che era ancora quello del
medico medio; l'onere della prova gravava sul danneggiato.
Nasce nel 1978 il servizio sanitario nazionale quindi alcuni medici sono dipendenti del servizio
sanitario nazionale e rispondono con un tipo di responsabilità extracontrattuale mentre altri
continuano a rispondere con la responsabilità contrattuale; potremmo dire che fino al 1999 (data
convenzionale) si potevano individuare più modelli giuridici del rapporto medico-paziente:
1. rapporto con il libero professionista— dove valeva la disciplina contrattuale
2. rapporto con l'ospedale- di stampo contrattuale, basato sull'obbligazione ex lege che
l'ospedale ha di fornire quel determinato servizio.
3. rapporto con il medico dipendente del servizio sanitario nazionale- con cui però non
si ha
rapporto di fiducia, perché è un rapporto determinato dalla turnistica ospedaliera;
disciplinato da norme sulla responsabilità civile.
Poi c’è un cambiamento a favore del paziente, che ha portato a dire che la distinzione tra
obbligazione di mezzi e di risultato è andata sfumandosi. La giurisprudenza negli anni ‘80 ha
cominciato a invertire l'onere della prova, dicendo che in determinati interventi standard, tipo
l’intervento per asportare l’appendice, se il medico non era riuscito nell’operazione si presumeva
che la condotta del medico fosse al di sotto degli standard del livello medio richiesto. Se
l’operazione non presenta particolari difficoltà e normalmente non ha complicazioni, e invece tali
complicazioni si presentano e l’intervento ha un risultato infausto distaccandosi dalle statistiche,
non è il paziente che deve dimostrare la colpa del medico, ma è il medico che deve dimostrare di
non essere in colpa e di aver eseguito tutto secondo la regola dell'arte e nonostante ciò l'intervento
non è riuscito. Se le cause per cui le cose sono andate male restano ignote, è il medico che paga. Il
rovesciamento dell'onere aggrava molto la posizione del medico. Rimaniamo comunque
ovviamente nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, dei medici del servizio sanitario
nazionale. In merito alla distribuzione dei costi, in un'epoca precedente il medico era abbastanza
tranquillo che comunque i costi non li pagasse, mentre dagli anni ’80 in poi i costi gravano sempre
più sul medico, avvicinandosi al sistema americano. Nasce così per i medici l'esigenza di assicurarsi
e per l'assicurazione il fatto che il tempo di prescrizione sia più lungo è importante e in base a ciò
ovviamente varia il costo della stipula. Emerge anche il problema della medicina difensiva e anche
questo ha dei costi, che ricadono ovviamente sul paziente, che viene sottoposto ad accertamenti e
trattamenti non necessari, e sul sistema sanitario che non lavora razionalmente e su cui vengono
addossati i costi economici di accertamenti inutili. La medicina difensiva in Italia costa un'enorme
quantità di denaro. Se questa potesse essere ridotta il sistema sanitario potrebbe indirizzare in modo
più razionale quelle risorse. La legge, interpretata in modo più rigoroso a partire dagli anni ’80,
sposta il costo sui medici. Però la vita professionale e familiare di quel medico subiva una
deviazione importante se si trovava a risarcire una somma grandissima.

Nella bipartizione libero-professionista/medico dipendente, comunque, ci sarà differenza di


disciplina per uno stesso evento e per la stessa condotta e questo lascia perplessi, perché potrebbero
esserci probabilmente due risarcimenti diversi, anche se obiettivamente, secondo alcuni, sarebbe
giusto che il medico che mi scelgo abbia una responsabilità più forte nei miei confronti. Già dai
primi anni 90 erano sempre più forti comunque le voci di coloro che nutrivano perplessità in merito
a questa differenziazione. Il medico del servizio sanitario nazionale, infatti, avrebbe comunque un
obbligo di protezione in favore dei suoi pazienti, che ha come nucleo fondamentale

26
la propria attività lavorativa di offrire un servizio a terzi. Questa considerazione ha aperto la porta a
moltissime dispute. Caso tipico era quello del figlio nato malformato per colpa del medico (es: per
operazione maldestra durante il parto o errata diagnosi prenatale), il punto era se il figlio potesse
chiedere il risarcimento e a chi, dal momento che quando si è sviluppato il danno, il figlio non
esisteva ancora, non era soggetto di diritto. Però esistono comunque degli obblighi di protezione tra
medico e madre in favore del nascituro. Il medico del servizio sanitario nazionale non è un
consociato qualsiasi, ma ha un obbligo ex lege di cura e protezione nei confronti di coloro che
chiedono le cure del servizio sanitario nazionale. Però è necessario trovare un fondamento giuridico
di questo obbligo di protezione. Tra medico del servizio sanitario nazionale e paziente il contratto
non c'è. Si diceva che il paziente, pur non conoscendo personalmente il medico, nutre un rapporto di
fiducia dato dal fatto che è dipendente del servizio sanitario nazionale e per di più il medico ha un
obbligo lavorativo di prestare cura nei miei confronti. Si è aperta così l'ipotesi del contratto sociale
con la fondamentale sentenza della Corte di Cassazione del 1999. Sicuramente ho una aspettativa di
fiducia ma per spostare il titolo della responsabilità extracontrattuale all'ambito contrattuale è
necessario capire come si può rispondere per una obbligazione anche se non derivante da contratto.
Quali sono le fonti dell'obbligazione? Contratto, fatto illecito e ogni altro atto o fatto idoneo ex art.
1173 c.c. Il contratto non lo abbiamo, il fatto illecito è quello che io voglio evitare. “ Ogni altro
fatto o atto idoneo" è una definizione abbastanza ampia, invece, da poter comprendere anche quel
rapporto privilegiato che un medico per forza ha nei confronti del paziente proprio per il suo ruolo e
la sua professionalità accertata dal servizio sanitario nazionale tramite concorso e assunto dal ssn
perché si occupi di me nel momento del bisogno -> il rapporto medico paziente non è casuale come
il tamponamento al semaforo e il bene alla salute è di rango primario. Non c’è un contratto con il
medico ospedaliero ma faccio affidamento sulla sua professionalità, sul fatto che è inserito in questo
contesto istituzionale e sul fatto che ho un contatto con la struttura a cui faccio riferimento --> le
norma non sono più quelle della responsabilità civile ma quelle della responsabilità contrattuale ->
quindi si trasforma il titolo della responsabilità da ex 2043 a 1218 del c.c. e la prescrizione da 5 anni
va a 10. La teoria del contratto sociale ha consentito di applicare le regole che governano la
responsabilità per inadempimento delle obbligazioni contrattuali a quei rapporti che, pur non
scaturendo da un contratto, si caratterizzano per la presenza in capo ad una delle parti di un dovere
di protezione che deriva dalla particolare posizione che essa riveste. Questa ricostruzione
interpretativa ha consentito il formarsi di un diritto giurisprudenziale in ragione del quale i costi
degli incidenti provocati da errori medici sono stati allocati secondo una logica funzionale a
privilegiare il danneggiato. La prospettiva dell’analisi economica del diritto ha evidenziato che la
teoria del contratto sociale ha conseguito risultati coerenti in alcun settori, come nel caso della
responsabilità degli insegnanti, ma bisognosi di correttivi nell’ambito sanitario. Proprio in
quest’ottica è possibile cogliere le finalità delle recenti riforme legislative e la condivisibilità degli
orientamenti giurisprudenziali che, valorizzando la ratio, ne danno un’interpretazione tale da
limitare l’ambito di della teoria del contratto sociale in materia di responsabilità medica.

Nuova norma introdotta dalla Legge Balduzzi del 2012 sulla responsabilità professionale
dell'esercente professioni sanitarie che ha portato cambiamenti rispetto al diritto vivente
precedente e posto diversi dubbi, dividendo la dottrina e gli interpreti. L’esercente la professione
sanitaria nella propria attività si conforma a buone pratiche e si attiene a linee guida accreditate
dalla comunità scientifica = standard curativi, non c’è più la diligenza del medico medio -> grande
novità molto recente, parallela agli standard introdotti nella circolazione stradale, e il fatto che siano
previsti proprio dal legislatore è straordinario -> si abbandona il criterio generale dell'uomo medio e
si usa uno standard oggettivo. Per quanto riguarda la responsabilità penale, non risponde per colpa
lieve se dimostra di essersi attenuto alle nuove pratiche -> esonero a favore del medico. Dal punto
di vista della responsabilità civile, invece, resta comunque fermo l’art. 2043 c.c. ma il giudice,
anche nella determinazione di quanto dovuto con il risarcimento, tiene debitamente conto del

27
comportamento rispetto alle buone pratiche. Evidentemente al legislatore non piaceva la tendenza
giurisprudenziale che si stava affermando per cui il medico rispondeva per responsabilità
contrattuale -> vanifica quindi l'opera che la giurisprudenza aveva fatto per far applicare le norme
sulla responsabilità contrattuale. Il Tribunale di Enna, nel 2013, dice che il legislatore traccia una
riga sulla teoria del contratto sociale. Analisi economica del diritto: il risultato della riforma è
quella di deviare il flusso del contenzioso per errore dei medici dai sanitari alle strutture
ospedaliere, alleggerendo la posizione dei medici e scongiurando il proliferare della medicina
difensiva. Se la legge Balduzzi viene interpretata secondo il tenore letterale, lo scopo è quello di
scarica la responsabilità sulla struttura. Questa è la lettura del tribunale di Enna ed è anche la lettura
della commentatrice Daniela Zortiz (sull’ebook), che fa un’analisi molto dettagliata e attenta.
Secondo la commentatrice, l'orientamento giurisprudenziale che viene spazzato via aveva diversi
problemi:
c'era stata una esplosione dei risarcimenti;
eccessivo ricorso alla medicina difensiva -> ci sono più rischi, quindi adottiamo un
comportamento troppo prudente che produce costi inutili;
abbiamo avuto fuga degli assicuratori, che non vogliono assicurare in queste condizioni
determinate figure e professioni perché pagherebbero troppo più di quello che
incasserebbero;
fuga rispetto determinate specializzazioni da parte dei medici, già successo in America e
stava accadendo anche in Italia (ad esempio, chirurgia).
In generale la teoria del contratto sociale si presentava come difficilmente conciliabile con la
sostenibilità economica complessiva dei costi assicurativi e del sistema sanitario nazionale. L'idea di
fondo è che i giudici hanno una visione molto puntuale del caso concreto ma non hanno una visione
complessiva delle conseguenze economiche delle loro decisioni. La tesi del contratto sociale
è molto apprezzabile per determinate questioni ma mette in pericolo la sostenibilità economica del
ssn. Il ritorno quindi al precedente orientamento è dato dall’esigenza di conciliare il diritto alla
salute con la sostenibilità economia del sistema nazionale. Quindi l'idea di fondo è quella di
spostare la responsabilità dai medici alle strutture e creare una disciplina che renda questi costi
sostenibili, a beneficio di tutti gli utenti. Quindi il modo più razionale per distribuire i costi
inevitabili (perché è inevitabile che la pratica venga eseguita) è quello di frammentare i costi, fare in
modo che sia il meno frammentato possibile, che sia il più diffuso possibile. Uno dei sistemi può
essere anche quello di scaricarlo sul sistema che più facilmente può sopportarlo. In termini
semplicistici potremmo dire che il costo, se trasferito su una struttura, è meglio perché ha una
struttura finanziare solida, il danno è quindi importante ma sostenibile e in più ha strumenti che
possono ulteriormente frammentare il costo. È la tesi di Calabresi: quando ci sono dei costi
importanti, il miglior modo è quello di frammentarli e quindi di trasferirli su soggetti che hanno
strumenti efficaci per frammentare. Criteri di efficienza economica apprezzabili. Questo discorso
l'abbiamo già fatto per gli incidente per caduta sulla strada (ad es. le buche) e per il caso Saiwa, e lo
ritroveremo ancora. La nota di Daniela Zorfiz è interessante anche perché a un certo punto sconfina
in un altro campo, cioè dice che alla base della riforma Balduzzi ci sono degli studi di uno psicologo
inglese, il prof. Reason, che ha fatto uno studio sui rischi delle attivitià organizzate. Lui ha
dimostrato che in tutte le attività organizzate (ad es. trasporto aereo) ci sono inevitabilmente degli
incidenti, che materialmente vengono provocati da delle persone (ad es. il pilota) ma secondo questa
tesi il pilota è solo l'ultimo anello della catena. Il pilota è quello che materialmente causa
l’incidente, ma in realtà l'incidente non dipende solo o non dipende affatto da lui ma deriva da una
organizzazione non razionale che induce il pilota ad una situazione inevitabile. Discorso analogo
per gli incidenti ferroviari. La tesi della Zorfiz sul fatto che la Legge Balduzzi “tira una riga” sul
diritto vivente precedente è stata accolta non solo dal Tribunale di Enna ma anche, per esempio, dal
Tribunale di Milano. Ci sono però altre pronunce, ad esempio Cassazione 19 febbraio 2013 n.
4030, che sostengono che la legge Balduzzi non muta il diritto vivente in materia di responsabilità

28
civile del medico, quindi rimane ferma la possibilità di rinvenire la teoria del contratto sociale. Così
si sposa un orientamento completamente opposto rispetto a quello finora esposto La legge in
sostanza nulla cambierebbe tra medico e paziente e non cancellerebbe quanto elaborato dalla
giurisprudenza. Questa seconda lettura interpretativa è stata svolta dalla Cassazione e questo non è
indifferente, anche se ciò non vuol dire che sia l'orientamento da preferire. Il commento alla
sentenza n. 2030 del 2013 è Vincenzo Carbone, un ex magistrato più che ottantenne, direttore di
varie riviste e che è Stato primo presidente della Cassazione, voce quindi che non può lasciare
indifferenti. Lui sostiene che la teoria del contratto sociale sarebbe da mantenere. Dice che nel
nostro ordinamento la teoria non riguarda solo medico-pazienti, ma anche ad esempio gli insegnanti
delle scuole. Il contratto sociale serve perché questo ragazzo è soggetto anche alla vigilanza di altri
soggetti diversi dai genitori. Il legislatore in questo ambito però ha fatto una valutazione ad oggi,
con studi empirici e statistici, quindi non c’è una necessità di adeguamento come invece nell’ambito
dell’insegnamento, quindi contrastare la legge Balduzzi è una libertà che la giurisprudenza non
potrebbe prendersi, non c’è una giustificazione. La perplessità quindi è molto seria e legittima.
Problema aperto.

È differente il rapporto che intercorre tra un il cardiologo di fiducia di una clinica privata e il suo
paziente, rispetto a quello che vi è tra il medico del pronto soccorso e il soggetto che là viene
portato, ad esempio da un'ambulanza.
Nel primo caso c'è un rapporto di fiducia che giuridicamente è un rapporto fondato su un
contratto d'opera intellettuale. Sarà quindi disciplinato dal 1218 e ss. Il tizio che viene portato in
ospedale non ha un rapporto fiduciario con il medico, che probabilmente conoscerà solo quando
si sveglia. Fino al 1999 si diceva che non potesse esserci responsabilità contrattuale del medico
dipendente del servizio sanitario nazionale.
Tuttavia la differenza di trattamento per un medico ospedaliero e uno privato lasciava perplessi:
la stessa condotta portava a conseguenze diverse e probabilmente diversi risarcimenti.

Qualcuno risponde: non possiamo dire che siano due situazioni uguali. In un caso il medico lo
scelgo, lo pago. Quindi non è totalmente infondato che abbia una responsabilità più forte del
medico che non ho mai visto.

X dice che la differenza sta anche nel fatto che il medico privato possa rifiutarsi di operare
dichiarando inoperabile, mentre il medico del ssn no. La prof risponde che non è esattamente così,
ciò viene smentito dalla prassi e dal codice dei medici. Se un tizio viene portato per cure immediate
in una casa di cura il medico non si potrà rifiutare. Parallelamente un medico del ssn può dichiarare
inoperabile un soggetto quando non c'è più nulla da fare.

La responsabilità del medico è, nel corso dei decenni, andata sempre più aggravandosi, ciò ha
portato alla medicina difensiva (dichiaro inoperabile anche se ci potrebbero essere possibilità di
riuscita e a prescrivere esami non necessari) --> Ci sono pochissimi candidati alla specialità di
chirurgia.

Negli anni '90 si fanno sempre più forti le voci di coloro che nutrivano perplessità in merito a
questa differenziazione: il medico, seppure del SSN, non è un consociato qualsiasi (ha un obbligo
diverso rispetto allo sconosciuto che tampona al semaforo) ha come nucleo fondamentale della
propria attività lavorativa l'obbligo ex lege di cura e protezione nei confronti di terzi 21.
21 Questa considerazione apre le porte a moltissime dispute; il caso tipico era quello del figlio nato malformato per colpa del medico
(operazione maldestra durante il parto o errata diagnosi prenatale). Il figlio può chiedere il risarcimento? A chi? Il danneggiato al
momento del danno non era soggetto di diritto. Però esistono obblighi di protezione tra medico e madre in favore del nascituro.

29
Vi era la necessità di trovare una "cornice giuridica" e un fondamento giuridico a tale
considerazione: si diceva che il paziente, pur non conoscendo personalmente il medico, nutrisse
fiducia, nata dal fatto che il SSN l'avesse inserito nel proprio apparato. Nasce così l'idea del
contatto sociale. Così viene accettata l'aspettativa di fiducia, ma l'ombrello giuridico per "spostare"
il titolo della responsabilità dell'ambito di quella contrattuale si trova all'art. 1173 c.c. : "ogni altro
fatto o atto idoneo..." è una definizione abbastanza ampia da poter comprendere anche quel
rapporto privilegiato che un medico ha nei confronti del paziente proprio per il suo ruolo e la sua
professionalità accertata al ssn tramite concorso.

DANNO AMBIENTALE

Problematica si rivela la definizione stessa del bene in esame: non esiste nè nel codice civile, né,
espressamente, nella Costituzione. L'unico riferimento lato lo ritroviamo all'art. 9 Cost. al comma
II "La Repubblica...tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione". Tuttavia nel
pensiero dei costituenti non c'era la volontà (né la sensibilità) di dare rilievo al bene ambiente come
sarebbe calibrato oggi; tant'è che il bene ambiente all'art. 9 è strumentale rispetto alla ricerca e alla
cultura, nonché coincidente con il patrimonio storico. Il livello definitorio è importante per definire
l'ambito di applicazione della tutela.22

A lungo si è ritenuto che non sussistesse un diritto del singolo sul "bene ambiente", che non fosse
quindi un bene in senso privatistico → veniva ritenuto quasi un bene adespota, che veniva in rilevo
come interesse relativo.

Il singolo veniva tutelato con estrema difficoltà23; è stata quindi sopratutto la Corte Costituzionale
a spianare la strada, leggendo l'art. 9 in combinato disposto con l'art. 32 Cost. (diritto alla salute);
iniziando a intravedere una tutela per il singolo in primo luogo nel caso in cui la lesione del bene
ambiente avesse provocato al singolo la lesione del bene della salute. Anche in questo caso però non
si tutela il bene ambiente in quanto tale, ma rimane sempre strumentale ad un altro bene.

Con la "costituzionalizzazione" del bene, si pone il problema del bilanciamento con altri diritti
costituzionalmente garantiti (es. art. 41 Cost→ iniziativa economica). Per avere una tutela integrale,
per l'importanza del bene, questo deve tendenzialmente prevalente. La prima sentenza della
Consulta sul tema, del 1979, avvalora sempre più l'idea della preminenza del bene ambiente.

Solo negli anni '80 con la l. 345/1986 si è avuta una normativa esplicitamente preposta alla tutela
dell'ambiente; all'art. 18 disponeva che "qualunque fatto doloso o colposo in violazione di
disposizioni di legge o di provvedimento adottati in base a legge che comprometta l'ambiente, ad
esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga
l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato".

La disciplina, scritta in concomitanza con l'istituzione del Ministero dell'ambiente, viene


sostanzialmente ricalcata sui canoni classici di responsabilità soggettiva.

22 Non sarebbe soddisfacente una definizione "aritmetica" che veda il bene come somma di ulteriori beni (come quelli demaniali).
L'atmosfera, l'aria non sono beni demaniali. Per una tutela efficacie deve essere un bene unitario, non frazionato. Non può essere un
bene frazionato, quale somma delle singole voci. Deve essere un bene unitario e la tutela per essere efficace deve essere una "tutela
integrale".
23 Era molto difficile, già sul piano strettamente procedurale: era difficile individuare la condotta, individuare il responsabile (sono
condotte che si verificano in decine di anni e magari i responsabili si avvicendano), talvolta era difficile individuare il nesso causale,
poiché fattori pericolosi si sono rilevati solo successivamente tali.

30
Tuttavia, in attuazione di una direttiva europea del 2004, la norma viene riformulata dall'art. 311 del
cosiddetto codice dell'ambiente (d.lgs. 152/2006). La normativa formula la definizione di
"ambiente", qualificando il danno come "deterioramento significativo" e il bene quale "qualsiasi
risorsa naturale". Inoltre divide tra attività qualificate come pericolose (smaltimento rifiuti,
produzione OGM, attività con un impatto diretto sul bene ambiente) e tutte le altre attività; per le
prime poneva una responsabilità oggettiva, rimandando così un'ipotesi residuale la responsabilità
soggettiva. L'articolo ha avuto diverse vicissitudini, probabilmente perché il legislatore interno, nel
recepire la direttiva, era troppo legato alla tradizionale visione di responsabilità e non ha inteso
quale fosse l'indicazione posta dalla direttiva (facendo nuovamente riferimento all'elemento
soggettivo).24 A questa mancanza provano a supplire i giudici interni; l'Unione avvia così la prima
procedura di infrazione per mancato adempimento della direttiva, laddove non veniva rispettata
l'indicazione sulla responsabilità oggettiva per le attività pericolose (elencate e allegate alla stessa
direttiva). → Il legislatore si limita dunque a tradurre la direttiva.

In un secondo momento si pone un altro problema di contrasto (e la seconda procedura di


infrazione): in caso di danno ambientale il legislatore aveva sostanzialmente ricalcato l'art. 205825
, mentre la direttiva prevedeva esclusivamente il ripristino in forma specifica (in via sia primaria
che complementare), non era previsto un risarcimento per equivale.

Tradizionalmente la tutela risarcitoria classica consiste in una obbligazione di pagamento (e nel


caso in cui il soggetto non adempia si può ottenere quanto dovuto con, ad esempi, un
pignoramento). Questa via non è praticabile nel caso di condanna al ripristino dello status quo ante
del bene ambiente. La soluzione è quindi quella di delegare ad un terzo soggetto il ripristino, con i
costi a carico del soggetto danneggiante: il ministero opera come in surroga e il danneggiante paga
quanto dovuto.

Sicuramente quindi la chiave ripristinatoria è dominante per lo meno dove non siano individuati
danni ai singoli. Laddove ciò accada, oltre al profilo materiale che potrebbe essere in astratto
soddisfatto tramite la tutela ripristinatoria, resta tutto il profilo non patrimoniale.

Se nel modello americano, in relazione al bene ambiente, prevale l'interesse nel singolo,
tradizionalmente nel nostro ordinamento il bene in questione viene visto in chiave pubblicistica ; la
Consulta tenta di avvicinare il bene quasi adespota a chi può, nei fatti, aver subito un danno.
L'attuazione della direttiva sembra interrompere questo percorso. Si ravvisa una violazione del
diritto alla difesa dei propri diritti e interessi legittimi ex art. 24 delle Costituzione, principio
meno passibile di bilanciamento rispetto, ad esempio, alla libertà di iniziativa economica, essendo
un bene meno accessorio alla personalità umana e indispensabile baluardo di democrazia. Sarebbe
una disciplina troppo stringente e andrebbe a collidere con il clima ravvisabile nelle sentenze di San
Martino del 2008 sulla risarcibilità del danno non patrimoniale anche laddove non ci sia reato quale
atto lesivo →è quindi necessario conciliare le due discipline. Il danneggiato può subire una serie di
danni strettamente materiali (macchina distrutta da fiume illegittimamente deviato da un'impresa) e
venire risarcito attraverso le classiche norme (art.2043); il profilo più problematico concerne tutto
24 La prima versione dell'articolo- Chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con
violazione di legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di
norme tecniche, arrechi danno all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al
ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato.
25 L'art. 2058 prevedeva in astratto la restitutio ad integrum "Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma
specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile. Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per
equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore". In concreto tuttavia non
avveniva di sovente che si avesse la restituzione in forma specifica; in primo luogo per il II comma, per la difficoltà di portare la
controversia in ambito privatistico.

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ciò che non è materiale: sicuramente problema fondamentale è quello della tutela del diritto alla
salute.

LEZIONE DOTTORESSA BELPOGGI

Fiorella Belpoggi è una biologa, direttrice del centro di ricerca sul cancro Cesare Maltoni
dell’Istituto Ramazzini.

La dottoressa Belpoggi è stata chiamata negli Usa nella primavera del 2012 dallo studio legale
Peter Angelos26 & co. (un pool di avvocati specializzati in reati ambientali e risarcimenti per danni
alla salute legati all’inquinamento da amianto) in qualità di esperta di Mtbe, un additivo della
benzina verde che, secondo gli studi del Ramazzini, è cancerogeno. Il processo che l’ha vista teste
expert della parte civile si è tenuto a Baltimora, Maryland, ed è nato dalla denuncia di 160 famiglie
di Jacksonville (nello stesso Stato) contro la compagnia petrolifera Exxon Mobil Corporation.

L’accusa: aver inquinato nel 2006 a attraverso una falla nella cisterna di un distributore di benzina
le falde acquifere a cui attinge per abbeverarsi attraverso pozzi privati nel quartiere residenziale
di Jacksonville. Precisamente, alla Exxon veniva contestato di aver dolosamente lasciato che
fuoriuscissero dall’impianto più di 100 mila litri di benzina. Dolosamente perché la multinazionale
sapeva da subito della perdita, ma non se n’era preoccupata. L’impianto è stato chiuso solo quando
il sapore e l’odore dell’acqua sono cambiati tanto da rendere impossibile il non accorgersi
dell'avvenuto inquinamento.

Un sabato mattina l'operatore della pompa chiama dicendo che c'è una perdita perché c'è un calo di
pressione. I colleghi confermano, ma ignorano tutti la cosa. Man mano che la cisterna va
svuotandosi, la cisterna viene riempita. La cisterna viene chiusa, ma senza dichiarare il guasto,
giustificando la cosa come esigenza di operare alcuni lavori: 100 mila litri di benzina con il 15% di
tombe dispersi nelle falde; la benzina è oleosa quindi non è finita tutta nelle acqua, ma l'imbelle sì.

Il composto metilterbutiletere (mtbe), additivo che viene usato come sostituto del piombo nelle
benzine verdi, è un molto volatile e con tanto ossigeno che ottimizza la combustione della benzina.
E' un etere quindi molto solubile in acqua a differenza di tutti gli altri componenti della benzina. 27

Solo dopo 34 giorni viene dato l'allarme, perchè i cittadini svenivano e si sentivano soffocare sotto
la doccia, poiché il composto in questione anestetizzava il cervello. I medici quindi denunciano
l'evento alle autorità e i cittadini fanno causa alla compagnia petrolifera.

C'è una prima causa per i danni materiali per riparare le condutture, fare gli scavi ecc...il
risarcimento ammonta a 15 miliardi28 di dollari ( nel caso di Erin Brockovich si arriva a 60 milioni)
Si hanno 5 milioni per ogni ricorrente, dati dal dolo. Negli USA colpire i cittadini- dice la
dottoressa- è come colpire lo Stato, è un crimine gravissimo; non come da noi con la terra dei
fuochi, Gela, Taranto.

26 Peter G. Angelos è un avvocato greco di umili origini, ora è il "padrone" di Baltimora, è proprietario di moltissime cose in città.
Miliardario di grande successo, ma che continua a fare il suo lavoro per la difesa di cittadini e sopratutto per i lavoratori. Anche
quando si assistono persone povere, con la vittoria queste diventano milionarie (in America i risarcimenti sono altissimi)...in Italia
questo non accade e quindi i grandi avvocati non hanno incentivi a difendere i più umili.
27 Nelle benzine europee è presente fino al 15% anche se non è mai stato dimostrato che facesse meno male del piombo. Alcuni
Stati USA hanno bandito il composto mbte dalle loro benzine; un senatore americano si è pubblicamente battuto per
difendere l'istituto Ramazzini, sostenendo che quell'additivo dovesse sparire dagli Stati Uniti.
28 Per ogni ricorrente 5 milioni sono dati dalla presenza del dolo

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La dottoressa viene chiamata a spiegare alla Corte i danni serissimi che l’Mtbe può provocare
alla salute a distanza di anni. Gli esperimenti del Ramazzini sull’Mtbe sono iniziati nel lontano
1989, i primi risultati sono stati pubblicati tra il 1995 e il 1997 e contestualmente è stato lanciato
l’allarme sulla sua pericolosità. Lo studio ha osservato le conseguenze dell'assunzione per via orale
del composto, notando un drastico aumento di linfomi, leucemie e tumori testicoli (oggi infatti
sappiamo che il mtbe è un enterferente endocrino, che interferisce sul sistema ormonale). Nel 1988
l'esperimento costò circa 1 milione di lire per ogni animale: 360 milioni di lire, pagati in parte dalla
regione Emilia-Romagna e in parte dai cittadini di Bologna; è stato quindi uno studio indipendente,
dato dal mero interesse di capire quale fosse l'impatto della sostituzione del piombo.

Anche la Exxon aveva effettuato degli studi (due sui ratti e uno sui topi) che poi fu costretta a
pubblicare: avevano anche loro visto degli effetti cancerogeni, ma li avevano negati.

Dopo la testimonianza della dottoressa la giuria ha condannato la Exxon anche per i danni a lungo
termine (danni materiali erano già stati pagati) la condanna ammontava ad 1 miliardo e 495
milioni di dollari (495 come danno materiale ulteriore rispetto a quello già dato, perché anche a
lungo termine ci potranno essere altri problemi alla struttura).

La Exxon ricorre in appello. La strategia è screditare il lavoro del team della dottoressa Belpoggi e
lo stesso istituto (l'ostracismo è così forte che l'istituto perde fondi e i ricercatori passano da 170 a
9). La difficoltà maggiore è stata difendere l'integrità dell'istituto. Prima di accettare la dottoressa
quale testimone, la difesa ha voluto che rilasciasse una deposition (interrogatorio, con limiti
temporali concordati che viene svolto in un luogo certificato come un hotel, con la presenza di
telecamere e un incaricato alla trascrizione) con una traduttrice che però viene scelta dalla difesa e
che lavora in modo tendenzioso. La deposizione è avvenuta in due giorni e l'avvocato difensore
sosteneva che la dottoressa non potesse testimoniare per mancanza di qualifica (poi si è scoperto
essere falso)

Avviene il patteggiamento: se davvero la exxon avesse creduto che quei dati non erano esatti, non
avrebbe patteggiato per un miliardo di dollari. Lo ha fatto sapendo che lo studio si stava muovendo
ed era stato interpellato il governo americano, quindi il risarcimento senza patteggiamento sarebbe
ammontato a 5 o 6 miliardi.

→ dimostrare la credibilità

Gli avvocati dell'accusa hanno immediatamente chiesto alla dottoressa di preparare un dettagliato
curriculum. Eminente rilevanza hanno avuto le esperienze esterne alla vita scientifica: quelle come
consigliere di quartiere, come parte di un comitato per le donne → rispecchiavano una persona che
voleva mettere in gioco il proprio pensiero. In America l'impegno politico è simbolo di una persona
che ha il coraggio di mettere le proprie idee in primo piano.

Era necessario poi far capire cosa fosse l'istituto Ramazzini.


È un istituto con una esperienza di circa 40 anni, situato in un castello rinascimentale esempio raro
di bellezza alle porte di Bologna; segue le buone pratiche internazionali e ha ricercatori giovani.
Bernardino Ramazzini era uno studioso che sosteneva che fosse meglio prevenire che curare, che si
è reso conto che le malattie provengono dall'ambiente esterno e che non sono sempre endogene.
Uno che diceva: vi siete accorti che i contadini muoiono di raffreddore da fieno alle suore viene il
cancro al seno perché allattare aiuta? Classificò. Fece questo studio sul campo che fu la base della
medicina ambientale.

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→ modello di ricerca

Il modello utilizzato dalla dottoressa era un modello uomo equivalente : cioè se si osservando la
vita di questi ratti che interagiscono con le dosi di prodotto che vengono somministrati agli uomini
e comparando l'insorgenza di malattie degenerative in archi di età comparabili ottengo delle curve
sovrapponibili: cioè le patologie sono simili a quelle dell'uomo per distribuzione di età. Tutta la
legislazione delle plastiche negli anni 70 fu risolta sulla base di questi studi, perché ci fu la
conferma che Maldoni aveva visto giusto: gli operai morivano dello stesso cancro dei ratti.

Quando Maldoni è morto questa consapevolezza non era stata dimostrata; le teorie avverse
sostenevano che nei ratti del laboratorio si fossero riscontrati molti più tumori che negli esseri
umani. Per la dottoressa l'obiezione è semplice: l'autopsia si effettua su tutti i ratti, riscontrando così
i tumori palesi e quelli occulti, negli uomini non facciamo l'autopsia su tutti i soggetti. La dottoressa
ha trovato un medico a Trieste che faceva l'autopsia a tutti quelli che morivano nel suo ospedale,
avendo ottenuto un permesso speciale dal prefetto. Così comparando le persone morte in quell 'anno
e i ratti si è vista la stessa curva. Se si considerano sedici settimane di vita in un ratto (che vive 3
anni) che valgono 10 anni di vita di un uomo. Questo per provare alle exxon che si può comparare.
Per il cancro mammario è un modello assolutamente riproducibile, tant'è che la maggior parte dei
farmaci di questo tipo sono stati studiati su questo modello sperimentale.

Negli esperimenti condotti per le grandi industrie, sì seguono le linee guida internazionali: tutti gli
animali vengono uccisi a 104 settimane (65 anni nell'uomo) prima della morte naturale. Così di
lascia fuori buona parte dei tumori che si sarebbero sviluppati . L'80 % dei tumori sia negli uomini
che negli animali si sviluppa a quell'età. Questa aberrazione è il frutto di una contrattazione con le
agenzie: scartando tutto quel pezzo di vita i risarcimenti che si dovranno pagare diminuiscono di
2/3. Sicuramente quindi le linee guida dovranno cambiare. Molti studi americani la pensano così,
questo avvalorava l'idea del Ramazzini. La dottoressa ha portato come esempio della affidabilità del
suo istituto, studi fatti negli anni '70 che hanno salvato un sacco di persone (cloruro di vinile,
benzene, xilene) continuati dopo le 104 settimane.

→Favola dei tre porcellini: parlare ai non addetti ai


lavori Quali sono le cause del cancro?
1) Età
2) Predisposizione (nel caso di cancro alle mammelle, all'intestino, e per uomini quelli endocrine è
stato già consolidato un rilevante apporto genetico)

Il nostro organismo ha una specie di muratore che ripara i danni; con l'età inizia a funzionare meno,
non è efficiente. Anche una particolare sostanza cancerogena “blocca i muratori”: le cellule
danneggiate rimangono in latenza finché l'organismo riesce ad essere un minimo efficiente e poi
emergono.

Favola dei porcellini


La Giuria era formata da persone comuni e bisognava spiegare come si fosse la possibilità di danno
per soggetti esposti per 36 giorni a questo composto cancerogeno.

La predisposizione è data dal DNA (che considero come una casa che può essere di paglia di legno
o di pietre) e poi c'è il lupo cioè l'agente esterno.

Se ho una casa di paglia (e tutti i bambini hanno la casa di paglia→tanto più debole quanto più

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piccoli) il soffio del lupo farà traballare la casa che crollerà molto presto → interazione tra età e
danno.

Altrettanto la casa di legno, che è la più diffusa: .sta 70 80 anni senza creare problemi, la casa
resiste ma col passare del tempo cade giù molto prima a causa del fattore esterno.

Se poi la casa è di mattoni: è il caso del vecchietto che fuma da 40 anni pacchi e pacchi di sigarette,
si faceva pure le canne e sta benone. Quindi se anche la tua casa è di mattoni e non cade, il fattore
tempo aiuterà l'agente esterno ad esprimere il danno. Se il vecchietto avrà la fortuna di di campare a
120 130 anni forse il cancro verrà anche a lui.
Questa “favoletta” viene anche chiamata epigenetica, ma ci vuole il coraggio di essere umili, in
modo che le persone capiscano.

Ulteriore esempio portato alla giuria di affidabilità dell'istituto:


L'istituto in 40 anni ha studiato 208 composti, solo 51 di questi sono risultati cancerogeni, di questi
è stata osservata la leucemia in 8 composti. Non erano quindi né in malafede, né incapaci.
Un ottimo successo è stato scoprire, 11anni prima che venisse riconosciuto, come questi 8 composti
quando sono nel corpo umano si catabolizzano in forma aldeide, che nella 2009 è stata riconosciuta
come leucemoceno.

DANNO NON PATRIMONIALE COME DANNO ALLA PERSONA

Il danno non patrimoniale è previsto dall’art. 2059 c.c.. Nella sua tradizionela concesione è il
danno consistente nelle sofferenze fisiche o psichice del danneggiato (il risarcimento consisteva
tradizionalmente nella pecunia doloris ma è stao mutato) → è liquidato in via equitativa e i giudici
utilizzano solitamente tabelle.
L'articolo limita la risarcibilità del danno non patrimoniale dove si enuncia che può essere risarcito
solo nei casi determinati dalla legge. La norma non è mai stata modificata nel corso tempo dal
legislatore e, sebbene la corte costituzionale sia stata chiamata a pronunciarsi sulla sua legittimità
più volte, i ricorsi sono sempre stati respinti. Ciò nonostante, la giurisprudenza è intervenuta più
volte sul punto, andando a sconvolgere dalle fondamenta la lettura della norma. L'evoluzione del
profilo non patrimoniale è molto recente, dopo gli anni 2000, anche se il percorso evolutivo ha
avuto inizio molti anni fa (anni '80) in modo disordinato e non uniforme, in collegamento con
l’espansione del danno ingiusto. L’art. 2059 c.c., con il suo testo, si poneva, in una visione
restrittiva della questione, come limite fermo alla riconoscibilità di danni non patrimoniali scaturenti
da fatti diversi dal reato, unico caso strettamente previsto dalla legge per la risarcibilità del danno
non patrimoniale. l’art. 185 del cp, infatti, prevede che: ogni reato, che abbia cagionato un danno
patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle
leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui. La norma comunque non delibera che ci sia
risarcimento del danno non patrimoniale solo quando ci sia reato, ma semplicemente che in caso di
reato c’è risarcibilità del danno non patrimoniale. Ma in altri casi la risarcibilità del danno non
patrimoniale non era prevista. Che riflessi ha? Tutti i danni non patrimoniali, fuori da reato, non
sono risarcibiti (anche se è una letturaa contrario non corretta). In concreto ci sono situazioni che
stridono.
Il caso emblematico fu il Caso Gennarino (1971) considerata da Rodotà una "sentenza
classista". Un bambino viene investito da una macchina e i genitori chiedono il risarcimento per
danno patrimoniale (spese mediche come danno emergente, invalidità permanenti…) e il danno che
si riverbera nel futuro (sia patrimoniale che non). Si tenta di trasformare in patrimoniale ciò che
patrimoniale non era, ad esempio ciò che quel bambino non potrà fare da solo in futuro. Solo così si

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poteva aggirare il 2059. Con la monetizzazione del danno alla persona si tenta di allargare il 2043.
Dovendo patrimonializzare tutto però entrano in gioco degli indici per quantificare questa perdita
patrimoniale, ad esempio l'aspettativa di lavoro. Nell'ottica patrimonializzata non c'è danno per il
bambino che va a scuola. Quindi si avevano situazioni per cui chi poteva produrre reddito aveva
risarcimento e chi non produceva reddito non lo aveva, a parità di evento lesivo. Questo Gennarino
era figlio di un operaio, quindi i giudici per quantificare il danno futuro guardarono al lavoro svolto
dal padre, dovendosi ritenere, secondo i giudici, che il bambino arriverà a quella classe sociale, a
quella istruzione ecc... viene esclusa qualsiasi ascesa sociale . Il bene la cui compromissione deve
essere risarcita non è l'organismo in sé ma la sua efficienza. Oltre al caso Gennarino c'è un altro
caso agghiacciante del tribunale di Firenze che dice "possono esistere uomini di nessun valore, se
per vecchiaia o malattia sono inetti a qualsiasi produzione redditizia". Quindi il risarcimento del
danno non patrimoniale, a causa della lettura stringente del 2059, era relegato alla capacità
reddituale della persona lesa.
In una prima sentenza del ’79 stabilisce che non esiste un diritto incondizionato al risarcimento
del danno non patrimoniale e questo non va a porsi in contrasto con la Costituzione. In base al
parametro dell'art. 3, il principio di ragionevolezza per cui a situazioni diverse possono
corrispondere diversi trattamenti, l’argomentazione potrebbe anche essere legittima, ma non in base
all'art. 24 perché se non hai diritti patrimoniali non puoi far valere nessun diritto. La Corte
costituzionale ci dice però che l'art. 24 della Costituzione non è direttamente applicabile, perchè
ha valore eminentemente processuale e non incide sulla qualificabilità di un danno come risarcibile
o meno. Se quella situazione è un diritto allora è risarcibile, ma in assenza di reato non c’è un diritto
risarcibile quindi nemmeno l'art. 24 viene ad essere leso secondo l’argomentazione della corte
costituzionale. argomentazione però fragile. Quindi si salva l’art. 2059 c.c.per la prima volta.
In una seconda sentenza dello stesso anno, la Consulta dice che è impossibile che un determinato
evento possa essere risarcito o meno in base alla sola capacità reddittuale, pur in un’ottica
patrimonializzata. Tuttavia la lettura rigorosa del 2059 non era posta in dubbio, probabilmente
perché non si rinvenivano altri indici rispetto al 185. La Corte costituzionale sembra aprire una
breccia ma poi torna su suoi passi: dice che il danno alla salute è tutelato dalla Costituzione e quindi
è di rango primario (è una delle prime volte che si parla espressamente di bene salute). Dice anche
che il risarcimento del bene salute quindi non può essere limitato", tuttavia il giudice di merito ha
sollevato la questione in un caso di merito in cui il reato c'era, quindi la corte costituzionale dice
"quello che mi dici potrebbe anche essere vero, cioè il danno alla salute lede l’art. 32 quindi non
può essere limitato, tuttavia nel caso il reato c'è e dato che mi devo limitare al caso concreto non
posso fare molto”. C’è una sentenza interpretativa, ma di rigetto.
Allora si allargano le maglie dell’art. 2043, dato che su 2059 non si riesce ad intervenire. Ad oggi,
tuttavia, il reato non viene considerato come unico caso in cui ci sia risarcibilità del danno non
patrimoniale, in particolare poiché, nel corso degli anni, è stato valorizzato il ruolo della
Costituzione. Fino agli anni ‘80 è sempre stata vista come un insieme di norme di principio. Con il
passare del tempo si è detto che la Costituzione vale anche come legge che trova applicazione anche
nei rapporti tra privati.
Per porre rimedio a questi problemi si è infatti cercato di interpretare costituzionalmente l’art.
2043 c.c. attraverso i principi che la corte ci ha detto nella seconda sentenza del 79, cioè se il bene è
di rango primario io non posso limitare la risarcibilità. Inizio quindi ad operare quelle
interpretazioni ermeneutiche sono espresse in simboli matematici come "2043+ 32" "2043+2”, cioè
leggo l’art. 2043 con una lettura costituzionalmente orientata -> il 2043 mi copre gli aspetti
patrimoniali, ma so che ci sono beni di rango primario che devo tutelare, quindi oriento
costituzionalmente il 2043 per offrire copertura anche a situazioni che non nascono con riflessi
patrimoniali.

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Ciò pone dei problemi: si rischia di "allargare troppo", non avendo un indice di riferimento. Si
arriva a situazioni eccentriche, si inizia a parlare di danni con nomi più strani: biologico,
esistenziale, alla vita relazionale, estetico....proliferano le voci di danno; perché tutte queste voci
trovano una copertura costituzionale se l’art. 2 viene letto in senso lato -> posso trovare la copertura
a qualsiasi cosa. Sembra quasi una gara per creare una nuova voce di danno: si formano sopratutto
due scuole, quella di Genova e quella di Pisa. Ognuno ha propri criteri di risarcibilità. È un marma
incontrollabile.
In questo contesto si ripropone il problema della compatibilità del 2059 con l'ordimento. Sentenza
184/86 sul problema della compatibilità dell’art. 2059 con gli art. con 2, 3, e 24 della Costituzione.
La consulta usa sempre le medesime argomentazioni, ma porta sempre più avanti la soglia della
risarcibilità raggiunta dalla giurisprudenza. Per quanto riguarda l’art. 3 riprende
uguaglianza/ragionevolezza e va a richiamare i lavori preparatori del codice (che pur non essendo
vincolanti danno degli indici persuasivi) che dicono, in relazione all'art 3, che il 2059 è in
riferimento al danno morale soggettivo, perché anche in questo senso va la giurisprudenza costante
che è espressione della nostra coscienza giuridica. Quindi la corte non guarda alla meritevolezza del
bene leso, lo guarda sotto un altro aspetto: quello della sanzione. Guarda in un'ottica penalistica,
quella general-preventiva e non in un'ottica riparatoria, propria del diritto civile. Solo dove c'è
maggior disvalore prevedo il risarcimento. per la prima volta si parla della sanzione nella resp.
civile e allora si pone il problema di dire: ma allora la resp. civile che funzione ha? Sicuramente il
risarcimento per chi ha commesso il danno e il suo interesse a vederlo "riparato" e per 40 anni si è
detto che fosse la sola (il 2043 dice così) anche perché la funzione preventiva è tipica del diritto
penale. Con questa sentenza la corte fa pensare che il diritto civile possa anche non avere solo una
funzione riparatoria, problema che anche oggi si pone in merito ai danni punitivi (si strumentalizza
la situazione per prevenzione) che nel nostro ordinamento non sono previsti ma in usa sì (forse con
questa sentenza si apre una prima breccia sull'argomento?). Altro aspetto rilevante è che la corte
cost. distingue e dà indici concreti per distinguere "i danni" e non confondere danno morale con
danno biologico. Argomenta questa differenza ontologica in modo abbastanza complessa, da cui
nasce la distinzione tra danno evento e danno conseguenza (forse oggi un poco superata) che negli
anni ‘80 era il punto centrale della risarcibilità. La corte dice che il danno morale è tipicamente un
danno conseguenza, nel senso che non riusciamo ad inserire il danno morale dentro gli el. ogg. del
fatto illecito poiché è elemento transeunte, è un aspetto ulteriore del danno, che può esserci o no:
può esserci l'uccisione del famigliare, non è detto che ci sia per forza il danno morale dei congiunti
perché potrebbe darsi che non amavano affatto quella persona e non abbiano sofferto alcun
patimento. Il danno biologico non ha la stessa difficoltà di collocazione perché è un danno evento:
se c'è quella condotta lesiva c'è anche quel danno, non ci può essere condotta lesiva senza danno e
viceversa, è un elemento essenziale della fattispecie e un evento naturalistico che viola da sé l'art.
32, se provo la condotta non devo provare anche il danno perché è danno in re ipsa. la risarcibilità
dipende dalla natura ontologica del danno. Quindi c'è una disciplina diversa: uno è sotto il 2043 e
l'altro è sotto il 2059. È complesso. Quindi il danno morale soggettivo è ricompreso nel 2059
mentre il danno biologico non può trovare limitazione di risarcimento ed è 2043+32. Così si tenta di
superare il caso Gennarino: io risarcisco la lesione del bene salute e non la capacità reddituale -> se
devo patrimonializzare per lo meno sotto il profilo liquidatorio lo faccio con il 2043 altrimenti non
so come risarcirlo perchè il 2059 non me lo permette. Il 2043 per evitare le storture non può trovare
limiti nella capacità reddituale della persona e deve essere costituzionalmente orientato. La corte
distingue tra:
• danno patrimoniale: art 2043
• danno non patrimoniale: art 2059
• danno alla salute: 2043 più art. 32 della cost. -> lettura costituz. Orientata

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• danno morale: art 2059 più 185 cp
• danno biologico: art 2043
La capacità reddituale però non viene totalmente meno, basta pensare alla sentenza della corte
d'appello di Bologna del 1995: caso di un incidente, il bambino rimane vittima. I genitori chiedono
il risarcimento del danno patrimoniale come danno emergente (spese mediche quantificabili come 3
milioni di lire) e poi chiedono il danno patrimoniale come mancato danno futuro (ciò che il figlio
avrebbe potuto dare loro se avesse potuto vivere e crescere). Il tribunale dice "è ragionevole
presumere che il figlio avrebbe fatto lo stesso mestiere del padre cioè il coltivatore diretto", come
per il caso Gennarino; inoltre per la corte avrebbe potuto contribuire al reddito solo limitatamente:
per il tempo intercorrente tra la raggiunta maturità in cui smette di studiare e il momento in cui si si
sarebbe presumibilmente fatto una sua famiglia. Il risarcimento, considerata anche la condotta
colposa del bambino che aveva attraversato senza guardare, è stato di un milione e mezzo di lire che
parametrato ad oggi sono 700 euro. Ciò che differenzia rispetto al caso Gennarino è che in quel caso
il bambino, pur con una invalidità permanente, era ancora in vita e chiedeva un risarcimento iure
proprio; in questo caso invece il bambino era deceduto e i genitori chiedevano un risarcimento
come "perdita di chances". Questa sentenza fece molto discutere.

Tribunale di Padova anticipa quello che sarebbe successo per i successivi 20 anni: perché devo
introdurre il danno biologico, che abbiamo detto non avere natura patrimoniale, proprio nel 2043 che ha
strettamente natura patrimoniale e non nel 2059 rubricato proprio al danno non patrimoniale? Perché
devo interpretare costituzionalmente il 2043 e non il 2059? Se devo forzare le maglie del 2043 perché
devo farlo in base ad un'ottica patrimoniale da cui poi voglio sfuggire? Perché non posso fare 2059+2 e
2059+32? Questo ragionamento oggi è quasi banale, all' epoca è così fuori dal mondo che la corte
costituzionale non dà minimamente peso a quanto detto dal giudice di merito.
Sentenza n. 372 del 1994 Cassazione: in cui si tratta il problema del rapporto tra bene salute e
bene vita. Queste sono due cose diverse o l'una confluisce nell'altra? Ad esempio, incidente stradale
in cui un soggetto muore. I parenti chiedono il danno biologico. Si è subito il massimo danno alla
salute, quindi il diritto di risarcimento passa agli eredi? La Cassazione dice che se non c'è stato
intervallo di tempo per rendersi conto del danno, non c'è danno; quindi non si trasmette agli
eredi.Problema della risarcibilità del danno da morte: se il danno da morte subito da un congiunto
potesse essere risarcito. A che titolo? Il mancato spazio di vita tra incidente e evento morte
comportasse eventualmente un vantaggio risarcitorio per il danneggiante perchè la vittima non
poteva svilippare danno biologico e danno morale. PARADOSSO! Inoltre questo intervallo di vita
quanto deve essere lungo per maturare il danno? La giurisprudenza ne ha dette di ogni. Se non c'è
danno i parenti che diritto possono richiedere? Danno biologico? La morte del fratello era stata così
pesante che i parenti hanno subito danno magari cadendo in depressione. La corte dice che sarebbe
una sorta di danno biologico indiretto ma non lo ammette e afferma che la sofferenza dei parenti è
danno soggettivo conseguenza e quindi va provato -> si continua quindi ad avvallare il 2059.
Quindi cambia il significato del danno biologico come perdita del valore di una persona.
Conseguenze? Ci possono essere conseguenze spiacevoli come doversi sottoporre a cure o perdita
di attività piacevoli, per esempio prima dell’incidente giocavi a calcetto ora non puoi più farlo. La
corte dice che se non ci sono queste conseguenze non c'è danno biologico.
Con la sent. 293/1996 il Tribunale di Bologna afferma che il danno biologico non è più lesione di
integrità fisica ma alterazione di un bene non patrimoniale inerente alla persona → danno biologico
e danno morale sono ontologicamente la stessa cosa, si produce la lesione dello stesso bene (cambia
solo il risarcimento) Quindi non ha senso limitare il 2059 al solo danno morale; ci sarebbe
violazione di norme costituzionali.

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La corte ( quale? ) dice che sono due cose diverse e salva il 2059. Bisogna però stabile quante ore
sono necessarie di sofferenza prima della morte affinchè il soggetto possa patire il danno biologico
si risarcisce il danno solo se c'è reato.
Sentt. 8827/2003 e 8828/2003 cassazione, sentenza gemelle: uccisione del congiunto + colpa
medica. Caso di un bambino rimasto in stato vegetativo per colpa del medico durante il parto. I
genitori lamentano il danno patrimoniale per le spese affrontate per lo stato vegetativo. Chiedono
inoltre il danno morale per le sofferenze causate dalla condizione del figlio.
Lamentano anche una modificazione delle condizioni di vita cioè il fatto che abbiano dovuto
cambiare le condizioni di vita (per esempio adattare il lavoro a tale condizione). La corte ripete che
c'è danno non patrimoniale è risarcibile solo quando c'è reato. Qua un reato non si può configurare
ma è evidente il cambiamento dello stile di vita dei genitori. La cassazione afferma che questo è una
situazione difficile da collocare sotto la categoria di danno, ma è comunque risarcibile.
Quindi il danno non patrimoniale non è solo quello morale soggettivo ma è ogni ipotesi in cui è leso
un valore alla persona, si scardina quindi quella tripartizione. La giurisprudenza e il legislatore
vogliono tutelare maggiormente i valori della persona. La cassazione dice che bisogna valutare
diversamente le varie categorie di danno.
Quindi nella nostra scaletta rimane I) il 2043, II) il 2059 che non dipende più dal 185 cp e III) il
danno alla salute letto con l’ art 32 costituzione
Cade quindi il limite del 185 legato al 2059 e vi è risarcimento anche quando non c'è reato. Quindi
anche se non sulla carta, questo danno esistenziale può essere fatto rientrare nel 2059. Questo
ampliamento però, pur significativo, non può portare a risarcire qualsiasi interesse, deve essere
operata una lettura costituazionelmente orientata Inoltre si devono accertare gli elementi del fatto
illecito affinché vi sia danno quindi nesso, evento, elem. sogg. Inoltre si devono poi selezionare le
conseguenze che meritano risarcimento, sempre in base ad una lettura costituz. orientate, quindi
2059 in combinato con un articolo della costituzione. La corte sottolinea quindi come questo danno
rimanga un danno conseguenza e non in re ipsa. La tripartizione rimane. La costituzione non solo è
legge, ma è legge sovraordinata che deve trovare applicazione → 2059 deve essere
costituzionalmente interpretato; la corte di cassazione diceva che il danno biologico nel 2043 non
andava più bene e che doveva passare una interpretazione diversa.
Interviene nuovamente la Corte cost. 233 del 2003 (sono passati pochi mesi dalle sentenze
gemelle). Problema della compatibilità del 2059 con il nostro ordinamento: anche questa volta lo
salva e riprende il fatto che quando il reato non era concretamente sussistente, secondo l'opinione
più antica, non ci poteva essere risarcimento anche se in astratto gli elementi fondamentali del reato
ci fossero stati. La sussistenza del resto lo accerta in via incidentale il giudice civile.

Inizialmente il reato doveva sussistere per tutti i suoi elementi e accettato dal giudice civile in via
incidentale (se fosse stato portato al giudice penale ci sarebbe stata condanna), l'evoluzione ha
portato al fatto di affermare la configurabilità astratta del reato, non l'imputabilità (anche se in
concreto poi la fattispecie penalistica non possa venire in essere) caso tipico è quella del reato
operato dal minorenne: per l idea più antica, non essendoci imputabilità non c'era risarcimento. In
realtà la giurisprudenza aveva fatto passi avanti dicendo: è sufficinete la configureabilità astratta del
reato anche se non c'è in concreto. Ai fini dell'accertamento dell'elemento sogg, non è necessario
capire se il soggetto fosse imputabile in quel caso. Il danno non patrimoniale deve essere risarcito
anche se la colpa risulti da una presunzione, cioè non ci sia l'accertamento concreto.

L'indirizzo interpretativo restrittivo dell'art 2059 deve essere superato anche secondo la corte cost,
anche se èin parte è stato già fatto per le sentenze gemelle. Il 2059 non ha più funzione
esclusivamente sanzionatoria tanto che è sufficiente che il reato sussista astrattamente. Questa

39
ricostruzione valorizza il bene persona e dà maggiore coerenza al sistema. Il 2059 non più
identificabile con il danno morale soggettivo ma esteso (dalle sentenze gemelle) a tutte le lesione
degli interessi costituzionalmente garantiti inerenti alla persona quale il danno biologico in senso
stretto e il danno esistenziale. La consulta reinserisce il danno morale nel danno non patrimoniale,
facendo riferimento al fatto che l'avesse già fatto la cassazione, in reatà la suprema corte aveva
detto che la posizione del danno biologico nel 2043 strideva e che nella prima occasione avrebbe
dovuto rivedere tale posizione: la consulta fa dire alla cassazione qualcosa che la cassazione aveva
semplicemente annunciato, cioè che il danno biologico va fatto rientrare nell'ampia figura del danno
ex art. 2059 (anch'esso costituzionalmente interptretato). Questa è una decisione epocale, non si fa
più riferimento al 2043.

Con la corte cost. del 2003 si ricostruisce la figura del danno non patrimoniale:
1. Prima era tripartita (bipartito l'illecito non patrimoniale + danno patrimoniale)
2. e adesso bipartito l'illecito nel suo insieme (patrimoniale 2043 e non patrimoniale 2059)
L'illecito ha struttura bipolare, senza interpretazioni intermedie. Il 2043 è esclusivamente
patrimonialistico.

Ulteriore storico passaggio: Sentenze Di San Martino della cassazione sez.unite del 2008:
riprendono quello che ha detto la corte costituzionale nel 2003 in parte per confermarlo.
L'illecito ha struttura bipolare: 2043 patrimoniale e 2059 non patrimonial e mentre il 2043 é
fortemente atipico il 2059 e' strettamente tipico, ovvero è applicabile nei soli casi previsti dalla
legge.
Rientrano nel 2059:
• le ipotesi di reato anche solo astrattamente configurabili con accertamento non in
concreto, rientrano
• tutte le ipotesi di danno non patrimoniale al di fuori di reato tipo previsti da singole
leggi tipo ingiustificata durata del processo, trattamento dei dati (vedi galgano per altre
ipotesi se non sbaglio 170 171)
• risarcimento danno biologico e danno esistenziale
• danno morale in senso stretto (danno transeunte, danno di riflesso da morte...la
differenza con il danno esistenziale viene poi messa in crisi. Secondo la definizione uno è
momentaneo, l'altro "Muta l'agenda di vita" come disse il padre del danno esistenziale).

Il giudice deve stare attento a non rendere il danno non patrimoniale un danno atipico, avendo
tante voci diverse; l'articolo è espressamente tipico e non si può far finta chr questa limitazione non
ci sia.

Il giudice di merito deve accertare che sia superata una certa soglia di incisività della lesione, cioè
che non sia eccessivamente lieve, non possiamo risarcire -dice la cassazione- "i danni bagatellari"
Deve essere raggiunta una minima soglia di incisività, altrimenti il danno non patrimoniale diventa
la chiave di volta, in una società con moltissimi rapporti interprivati, per risarcire paradossalmente
le antipatie: mi dà fastidio vederti, mi provoca turbamento, ti chiedo il risarcimento.
→si era arrivati a casi eccessivi: un giudice di pace aveva risarcito il danno esistenziale da tacco
rotto: signora stava andando da una festa durante il tragitto le si rompe il tacco e non si gode la festa
chiede risarcimento al calzolaio del danno perché non si é goduta la festa.

La preoccupazione della corte è ribadire i contorni dell'illecito cercando di contenere quello che
poteva espandersi senza limiti. Lesione di un interesse costituzionale garantito (non vuol dire solo
diritti fondamentali) e si supera quella soglia di incisività minima e allora puoi pronunciare
risarcimento del danno non patrimoniale a prescindere dalla sua fonte (importante!) → Si può

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risarcire il danno non patrimoniale sia dalle ipotesi di resp contrattuale che extracontrattuale.
Grande passo avanti perché fino al 2008 non si ammetteva la risarcibilità del danno non
patrimoniale derivante da resp contrattuale (prima erano risarcibili danni di natura strettamente
patrimoniale). Prima danno contrattuale alle sole ipotesi patrimoniale, perché nel contratto ci sono
prestazioni valutabili patrimonialmente, dall'altro in ambito contrattuale non c'é una norma come il
2059 e quindi si era sempre detto che il danno contrattuale fosse solo patrimoniale.

Si comincia a parlare di risarcibilità del danno non patrimoniale derivante da contratto per il danni
da vacanza rovinata.

Esempio → pacchetto turistico in un villaggio turistico e arrivo lì e il villaggio turistico deve


ancora essere costruito e in più è a 20 km dal mare ecc
Sicuramente è un danno patrimoniale; non solo il fatto che io abbia speso più di quanto avrei dovuto
C'è forse una lesione non patrimoniale, ma non c'è reato (non è detto che ci sia la truffa perchè
richiede degli elementi che non è detto che ci siano). Per molto tempo quindi non si è risarcita farmi
risarcire la mancata fruibilità della funzione specifica della vacanza. Qualcuno diceva che risarcire
il danno da mancato relax sarebbe un pò troppo allargare la risarcibilità. Qualcuno voleva risarcire
in base all'art. 36 cost (diritto alla ferie).

In altri paesi questo danno veniva risarcito però. Adesso cod. del consumo e cod. del turismo
prevedono la risarcibilità del danno. In altri paesi veniva risarcito (il tedesco che subibva il mio
stesso danno veniva risarcito) quindi bisognava risarcire perchè lo diceva la direttiva europea
(addirituttra qualcuno diceva self executive)...ma il problema nasceva tutto dal fatto che dietro c'era
un contratto non un fatto illecito.

Tutto questo aveva fatto spendere milioni di pagine e diverse sentrenze che poi viene liquidata in un
rigo e mezzo dalla consulta con un"se sussiste la soglia".

Altro caso: il fotografo ad un matrimonio non inserisce il rullino nella macchina fotografica → i due
sposini non hanno foto del loro matrimonio e mai le avranno. Nonostante il fotografo non voglia,
ovviamente, essere pagato i due chiedono risarcimento non patirmoniale (il danno patirmoniale non
veniva in essere dato che lui non voleva farsi pagare). Non si poteva risarcire danno patrimoniale da
contratto. Oggi si ammette risarcimento del danno non patrimoniale anche a questo caso (secondo la
Spangaro sarebbe risarcibile...ma boh...dove è la copertura costituzionale?) E' il giudice che deve
scegliere se si supera la soglia o meno. Questo poichè, prendendo la definizione di contratto e
un'altra norma (che la prof non specifica) sappiamo che le prestazioni possono soddisfare anche
interesse non patrimonile (la donazione) Questo profilo apre le porte al risarcimento a casi finora
inimmaginabili- anche danno non patrimoniale da contratto (per qualsiasi fonte). La donazione é un
contratto ma anche un interesse non patrimoniale, il biglietto del cinema soddisfa anche un interesse
patrimoniale. Quindi non vi è dubbio che un contratto possa soddisfare un interesse non
patrimoniale. Da qui la risaciblità su cui già ci siamo soffermati.

Quindi le cassazioni del 2008 ribadiscono struttura bipolare dell'illecito, aprono anche al danno
non patrimoniale del contratto e ci dicono anche che → il 2059: danno non patrimoniale da fatto
illecito: stratta configurabilità del realtà, leggi speciali e danno morale in senso stretto, danno
biologico e danno esistenziale (abbiamo già visto che questa tripartizione può dare problemi perchè
ci sono danni che possono stare in tutte e tre le voci)...quindi queste tre voci non esistono, è tutto
danno non patrimoniale che è un'unica ampia categoria, le tre voci classiche le potete mantenere a
livello descrittivo ma livello di fattispecie non esistono. Il danno non patrimoniale e' un solo, ed é
una sola la voce risarcitoria. Anche in questo caso il problema è limitare risarcimento perchè c'era il

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porblema della duplicazione delle voci della risarcibilità (un danno veniv risarcito due volte).

L'effetto indiretto è che andavano scomparendo le voci, la maggior parte delle volte il danno non
patrimoniale era biologico. Se si eccede da una parte é un problema ma se si eccede dall'altra lo é
ugualmente...si era passati dal troppo al troppo poco. Si é arrivati alla somatizzazione del danno
non patrimoniale, o il danno non patrimoniale comporta un danno fisico o non viene risarcito.

Si assiste ad una sorta di franchigia del danno alla salute. Quasi solo danno biologico. Questa e'
conseguenza di una interpretazione rigorosa della cassazione del 2008.

Cassazione del 2010 caso di danno esistenziale da demansionamento. Inizia a scricchiolare


l'impostazione descritta, tant'è che alcuni giudici, anche in cassazione, si discostavano da quanto
stabilito nel 2008: molte sentenze continuavano a parlare di danno biologico, danno morale in senso
stretto ecc...

Cassazione 23 gennaio 2014 Sentenza Scarano.


Deve escludersi che le sezioni unite nel 2008 abbiano negato la configurabilità del danno
esistenziale. Il danno esistenziale costituisce un peculiare aspetto del danno non patrimoniale quindi
c'é ed é compreso nell'art. 2059 e anche il danno morale ha una sua autonomia ontologica e trova
riscontro in alcune previsioni legislative ( ne parla il DPR 37 del 2009 casi di miliari occupati
all'estero e DPR 181 del 2009 sulle vittime del terrorismo): Se ci sono delle leggi che utilizzano
quella terminologia dobbiamo escludere che ci possa essere una interpretazione abrogativa. La
categoria generale del danno non patrimoniale si compone di danno morale, danno biologico e
danno esistenziale e dà anche le tre definizioni. Ove esse ricorrano insieme bisogna tenere conto
in sede di quantificazione del danno, senza che ciò possa comportare la duplicazione delle
rispettive voci risarcitorie. Il giudiche analizza il danno, lo qualifica, lo identifica in una o più di
quelle voce e lo risarcisce.

Problema del danno da morte:


Alcune decisioni avevano portato a paradossi aberranti per cui era risarcibile solo il danno da
morte solo se vi era spazio di vita tra l'evento lesivo e la morte, se si accorgeva di star morendo
(il commento lo dice ovviamente molto meglio) → meglio ammazzarlo subito!!!
La sentenza Scarano, al contrario, ci dice che il danno non patrimoniale da morte è diverso dal
danno biologico (danno alla salute tradizionalmente inteso) esso rileva ex se a prescindere dalla
consapevolezza dell'evento della vittima primaria. Se chiamassi il danno da morte dentro il danno
biologico farei fatica ad uscire dallo schema prima detto perchè il danno biologico è danno alla
salute, se la salute non c'è(morte immediata) e non c'è spazio di vita, alla fine non lo risarcisco. Non
posso risarcire quel soggetto che non si rendeva conto di ciò a cui andava incontro. Quindi
risarcibilità a prescindere dalla durata dello spazio di vita tra l'evento e la morte e dalla
consapevolezza del deceduto. Anche il danno da morte immediata é risarcibile.

E il danno da morte lo liquido iure ereditatis agli eredi. E' quindi trasmissibile iure successionis ai
congiunti. La quantificazione di questo danno ovviamente può variare sulla sue degli elementi
soggettivi (età, stato di salute) riconducibili alla vittima primaria e a quelle che si chiamavano
vittime secondari (con una definizione che la cassazione vuole superare dicendoci che è meglio
parlare di illecito plurioffensivo perchè con uno stesso danno si ledono più persone, altrimenti si
penserebbe ad un danno subito solo dalla vittima primaria). Al di là delle definizioni, ciò che rileva
è che il danno da morte è risarcibile ex se, a prescindere da tutti gli spazi di vita. (Tendenzilamente
no reati in re ipsa →naturalemnte le allegazioni servono ai fini della quantificazione)

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CASO DEL VACCINO ANTI-INFLUENZALE

Ci sono stati dei casi sospetti di morte dopo 48 ore rispetto alla somministrazione del vaccino anti-
influenzale. Argomento ci interesserà in particolare per il secondo semestre. L’Aifa (agenzia italiana
del farmaco) sostiene che abbiamo ritirato i vaccini per precauzione, ma ancora è da accertare il
nesso di causalità→ il tema del nesso causale è fondamentale, qui nella variante di nesso incerto
perché questi eventi dannosi dipendono da una molteplicità di fattori.
Ricorre sempre il tema per cui queste persone o sono molto anziane o con organismi comunque
molto indeboliti e che quindi l’influenza avrebbe scatenato ugualmente l'evento dannoso→
problema delle concause. Non è escluso che ci sarà un’azione collettiva risarcitoria in futuro.
Non c'è incertezza circa chi sarebbe il responsabile, una volta verificato il nesso causale perché le
regioni hanno fatto il programma di vaccinazione sulla base di un solo vaccino, di un unico
produttore.
Occorre tenere in considerazione che i ritiri, nonostante avvengano perché ritenuti opportuni
dall’agenzia nazionale del farmaco e dall’istituto superiore di sanità, non stanno avvenendo con le
stesse modalità in tutte le regioni: ci sono regioni come la Lombardia che sono più rassicuranti e
aderiscono alla posizione pro vaccino (non ritirano il vaccino) e altre che hanno un atteggiamento
più prudente. Forse sarebbe più opportuno un indirizzo nazionale.
È responsabile chi in questo caso? Il produttore perché ha messo in commercio i vaccini, che deve
dimostrare di aver rispettare tutte le regole sulla commercializzazione e produzione, ma anche lo
Stato, perché tali vaccini vengono controllati da organi della p.a. che devono controllare che tutto
sia in regola su igiene e sicurezza.
Si pone il problema di uno standard di sicurezza imposto dalla legge, questo potrebbe però non
essere sufficiente ad evitare i danni. Bisogna vedere anche se è vera la sicurezza che viene
dichiarata dal produttore. E' un problema molto simile a quello degli emoderivati. Non c’è bisogno
solo di un'auto-dichiarazione ma anche di un controllo della pubblica amministrazione.
Entra in gioco anche la responsabilità del produttore: serve utilizzare il principio di precauzione,
cioè assumere delle decisioni restrittive dell’iniziativa economica privata per un rischio possibile
ma non provato, nel dubbio. Questo principio di precauzione opera nei rapporti tra pa e
danneggiato. Non impone allo stesso produttore di assumere delle iniziative in tal senso, non
devono farsi cattiva pubblicità nel dubbio.
Se questa decisione si rivelerà troppo prudente, seguirà un enorme danno per i produttori perché
non ci saranno vendite e si diffonderà una sorta di psicosi → i produttori chiederanno risarcimento.
La pa si trova in una situazione molto delicata: se assume situazione che sottovaluta i rischi dovrà
risarcire i danneggiati, altrimenti i produttori: problema di bilanciare diritto alla salute e
iniziativa economica, quindi art. 32 e 41 della Costituzione.
Gli studi clinici d’altronde sono tanti e in moltissimi casi c’è successo del vaccino. Aifa: si sta
parlando di sicurezza ragionevole, non assoluta, perché tutti sappiamo che c’è un numero
predeterminato di reazioni avverse al vaccino. Il vaccino deve rispettare tali livelli di sicurezza, ma
si sa già che su un enorme campione di popolazione alcuni avranno necessariamente reazioni
avverse. Il vaccino è un prodotto ragionevolmente sicuro e anche l’attenzione più grande non porta
mai ad una sicurezza assoluta. Si fa fatica questo a spiegarlo ad un gruppo di non specialisti, ma per
noi è un discorso importante. C’è un analisi costi-benefici fatta in anticipo. Se tutta la popolazione
viene avvicinata meno persone al ps e meno persone si ammalano quindi salvate moltissime vite e
reso più efficiente il servizio sanitario nazionale.

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Quando parliamo di sicurezza ragionevole indaghiamo un tema molto attuale. Tema dell’analisi
economica del diritto. Bisogna vedere se sono prodotti difettosi o no. I prodotti difettosi possono
essere dannosi oppure no (es: la macchina che non parte o il cellulare che non va) e i prodotti
conformi possono essere dannosi.
Problema dei danni inevitabilmente prodotti da prodotti conformi usati in modo non anomalo.
Torna esigenza di obiettività delle statistiche.
PROCESSO SIMULATO

Analisi dei fatti

▪ 1984 → Il Caporale Stefano Rossi si arruola con regolare contratto pubblico in qualità di
tecnico elettronico
→ (Doc. 2) Nato avvisa i paesi membri dell'utilizzo di UI "se penetra nell'organismo può essere
pericoloso"

▪ 1988-1991 → Missione conflitto del Golfo

▪ 1993 → (Doc. 1) Pentagono diffonde circolare ai militari americani (ingerire e inalare uranio
porta rischio di cancro => proteggere tutto il corpo con tute e maschere di ultima
generazione+detergere frutta e verdura+non consumare carne del luogo)

▪ 1994 → diagnosticata una gammopatia monoclinale benigna asintomatica, patologia di


per sé asintomatica, o comunque dalla sintomatologia molto lieve (formicolio,
intorpidimento, dolori ai nervi), il cui insorgere è ricollegato all’interferenza di una
molteplicità di fattori (età, peso, cambiamenti genetici) fra cui si annoverano anche i fattori
ambientali, nello specifico l’esposizione a particolari sostanze o radiazioni nocive.
Successivamente nessun controllo specifico veniva effettuato da parte della marina
militare.

▪ 1996-2000 → missione nei Balcani, per supportare il contingente militare italiano e la


NATO. In tale contesto il Rossi veniva sovente esposto al contatto con numerosi agenti
inquinanti, sviluppatisi a seguito dei bombardamenti delle forze alleate effettuati con
munizioni all’uranio impoverito, che, in ragione delle alte temperature e dei lunghi tempi
di combustione dei bersagli bombardati, i quali andavano rilasciando polveri tossiche
nell’aria, costringendo il Rossi (e l’intero contingente sul posto) a lavorare in un ambiente
insalubre e nocivo. Neppure a seguito di tale missione il ricorrente viene sottoposto a
controlli da parte della marina militare.

▪ 2000 → dopo il rimpatrio, al Rossi veniva diagnosticata una gammopatia monoclinale


igGK con probabile iperparoitiridismo e contemporaneamente iniziavano a circolare le
prime informazioni circa la cd. “Sindrome dei Balcani”, ovvero quel complesso di
patologie – linfomi di Hodgkin, neoplasie e altre forme tumorali- che aveva colpito una
percentuale elevatissima di militari di ritorno dalle missioni nelle zone della Ex Jugoslavia
causando un aumento del 420% dell’incidenza dei tumori nei Balcani. È solo in questo
momento, e grazie alla parallela diffusione dei primi studi che testimoniavano la pericolosità
dell’UI, che il Ministero della difesa sottopone i suoi militari, fra cui il Rossi, ai primi
esami di laboratorio.

▪ 2004 → (Doc. 3) Commissione parlamentare di inchiesta. G.B. Testimonia: gli americani


utlizzavano pesanti tute impermeabili e sofisticate maschere antigas. Italiani solo consigliata
mascherina protettiva. No altre informazioni → "inutili precauzioni" Doc 4 → militari
Usa: incremento fenomeni neoplastici.
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▪ 2006 → il ricorrente viene sottoposto alle prime terapie chirurgiche invasive ed invalidanti,
rivelatesi poi inefficaci visto il successivo aggravamento della malattia nel 2009

▪ 2007 → Perizia medico-legale => si intravede possibilità di correlazione, ma anche esposti ad


altri agenti

▪ 2010 → l’accertamento e la certificazione della presenza di un mieloma multiplo

▪ 2011→ un’indennità da parte del Ministero della difesa per coprire l’accertata infermità
derivante da causa di servizio. Sempre nel 2011 esami specifici effettuati privatamente dal Rossi
evidenziavano la probabile connessione fra l’aggravarsi della sua malattia e la contaminazione
da UI verificatasi nella missione nei Balcani.

Nel frattempo la patologia va peggiorando, generando nel Rossi un’invalidità permanente quasi
totale, che gli impedisce di provvedere autonomamente a se stesso e culmina nel 2012 in una
sindrome depressiva reattiva del soggetto tuttora in corso.

Doc. 6 → Cass. 576/ 2008: termine di prescrizione dal momento in cui viene percepita la
malattia quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo, usando ordinaria
diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche

Doc. 7 → Cass. 584/ 2008 (emoderivati): sussiste nesso causale se fatto è avvenuto in un periodo
nel quale si conosceva la pericolosità dell'azione → l'evento non poteva considerarsi per la scienza
imprevedeibile e improbabile

Doc. 8 → Contratto di lavoro: prende atto che l'attività sarà in condizioni di rischio estremo;
libera il ministero da ogni responsabilità (ferme le indennità retributive e pensionalistiche). Il
datore assicura la massima sicurezza, impiegando le migliori tecnologie disponibili.

Analisi del Prof. sui temi del processo

1) Danni da attività o da prodotto conforme (armia uranio impoverito prodotte ex


lege) → responsabilità del produttore, che però no venuta in rilievo.
2) Italia paese NATO: il ns Paese doveva rispettare tali scelte
3) Tema della dannosità accertata → consapevoli che ci sono attività pericolose, non
fermiamo ma adottiamo precauzioni (attività indispensabili). Anche se tutto si è rivelato
inutile.
4) Assicurazioni, indennità per chi subisce il danno →contenere dannosità inevitabile
(come
circolazione stradale, vaccini ecc...) → il legislatore opera un bilanciamento per il bene
comune
→ minimizzare i danni
→ accordo commerciale USA UE = standard per alimenti/cosmetici ecc...
ragionamento simile quando viene in rilievo che è la NATO responsabile (II Semestre)
5) Ci sono modi diversi per ripartire i costi: indennità → sistema di compensazione
pubblica
(socializzazione del costo: lo Stato paga attraverso il prelievo fiscale→come buche strada)
6) Tema del danno alla persona
7) Tema della sicurezza sul lavoro: cautele più pregnanti rispetto all'art. 2043 ( risultati
ex art. 2043 ≠ risultati ex. Art. 2087 → nel processo abbiamo usato 2043 altrimenti non ci
sarebbe stato il focus sulla colpa) Simile al caso da telefono cellulare per lavoratore

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8) Problema standard legale ≠ standard scientifico (caso emoderivati: Cass)
9) Se non c'è consapevolezza no rilievo nesso causale impossibile da cogliere
Quando non c'è certezza piena? In linea di massima non obbligo di precauzioni addizionali
(II semestre)
10) Il privato non deve comunicare incertezze, la P.A. Sì → dott. Levis
11) Conoscenza comune: 600 articoli di giornale parlavano di uranio impoverito →
difesa utilizzata da molti produttori o I) lo sapevi o II) l'hai usato male. Difesa usata da molti
produttori, specialmente americani → Philip Morris (tribunale di Milano) fino al 91
"sapevano tutti che il fumo fa male e poi l'attore ha fumato troppo"→ autoresponsabilità. Se
do importanza alla conoscenza comune tolgo spazio al dovere di informazione.
→ nessuno ha mai condannato un produttore di shampoo per non aver scritto “non bere”
perchè è una conoscenza data dal senso comune.
Solitamente nelle sentenze si è molto vaghi, il convenuto ha invece trovato un parametro
oggettivo quale il numero degli articoli: non è conoscenza comune se si fa riferimento al
Lancet (rivista medica specializzata), sì se su riviste comuni, tg, internet, ecc… dire "lo
sanno tutti" è facile, certificare la conoscenza comune è più difficile.

RICHIESTE DELL'ATTORE

Il Sig. Rossi agisce legalmente per il risarcimento dei danni 1) patrimoniali, 2) morali, 3)
biologici, 4) esistenziali in seguito all’esposizione continuata e duratura ad Uranio Impoverito.

L'attore invoca:

• Artt. 2, 32 Cost. In violazione della tutela del diritto alla salute e dell'integrità
psicofisica come fondamentale diritto dell'individuo garantito dalla Repubblica.

• Art. 2043 c.c. ai sensi del quale richiede risarcimento per fatto illecito. Si invoca
responsabilità extracontrattuale e colpevole della P.A. che non ha adottato le necessarie
cautele al fine di prevenire il rischio derivante dall’esposizione dei militari a contatto con
l’Uranio Impoverito, la cui presenza nei territori bellici era ben nota o facilmente
accertabile. Si invoca inoltre anche responsabilità colposa della P.A. poiché preesisteva
una patologia che affliggeva il Sig. Rossi e che era suscettibile di evolversi in grave
infermità, come accaduto, mentre la P.A. ha ritenuto di non dover sottoporlo ad ulteriori
accertamenti; inoltre il comportamento omissivo della P.A. che era a conoscenza della
pericolosità dell’Uranio Impoverito, ha permesso il degenerare della patologia.

• Art 2087 c.c. La P.A. ha violato le norme a tutela delle condizioni di lavoro non
tutelando l’integrità fisica e la personalità morale del proprio prestatore di lavoro.

• Art. 2050 c.c. La P.A. è tenuta risarcire il danno in quanto pur svolgendo un’attività
certamente pericolosa per il bene supremo della vita non ha adottato alcune misura che
potesse evitare il danno stesso.

• Artt.1218, 1175 c.c. Invoca responsabilità contrattuale della P.A. la quale non ha
adempiuto correttamente alle obbligazioni derivanti dal contratto di lavoro. Essa ha
dunque disatteso l’Art 7 di suddetto contratto, non adempiendo ai propri obblighi di datrice
di lavoro in merito all’adozione di tutte le misure necessarie ed idonee a proteggere
l’incolumità dei lavoratori.

46
• Art 2057 c.c. ai sensi del quale si richiede risarcimento per danni permanenti .

• Art 2059 c.c. ai sensi del quale si domanda


risarcimento anche dei danni non patrimoniali. Nesso
Causale
L'aggravamento della malattia del nostro assistito (da patologia meramente ematologica a forma
maligna di mieloma multiplo iGg-K) sia in evidente rapporto causale con la sua permanenza nei
territori balcanici in base a un nesso di causalità che può essere affermato ex. Artt 2043, 2050 e
2087 c.c..→ duplice giudizio:

◦ condicio sine qua non (ex post)→ riferimento a perizia medico legale, commissione
inchiesta, accertati studi scientifici e statistici (incidenza in Bosnia e altri scenari bellici)
◦ causalità adeguata (ex ante) → in quel periodo, la pericolosità dell’impiego
dell’Uranio Impoverito era stata da tempo segnalata. Basti pensare al Documento di
raccomandazioni trasmesso dalla NATO a tutti i Paesi membri nel 1984 e la Circolare
pubblica diffusa nel 1993 dal Pentagono a tutti i militari americani in partenza per il
Corno d’Africa (DOC1).
=> sussiste il nesso causale tra la condotta del Ministero della Difesa e il danno a capo
del militare Stefano Rossi.
Riferimento → l'evento dannoso non poteva considerarsi, per la scienza e per la regola
statistica, imprevedibile ed improbabile” (Cass. civ. Sez. Unite Sent., 11/01/2008, n. 584
(DOC7)).

Principio di precauzione doveva essere utilizzato (no appiattimento ex lege):


◦ particolare natura dell’attività esercitata da esso e dai suoi militari (ex Art. 2050);
peculiare natura del soggetto danneggiante, giustifica il sentimento di affidamento
generatosi nei consociati e, soprattutto, nei suoi stessi dipendenti

Obbligo del datore e conoscenze

Il datore di lavoro ha un obbligo generale di sicurezza e tutela della salute dei propri lavoratori,
che deriva direttamente dalle norme generali dell'ordinamento giuridico, tra cui l'Art. 32 della
Costituzione.

L'Art. 2087 c.c. prescrive che il datore di lavoro adotti le misure necessarie a tutelare l'integrità
fisica del lavoratore. In questo caso vi è quindi un obbligo generale di controllo e lo stesso
contratto di lavoro obbliga il datore di lavoro ad assicurare le condizioni di massima sicurezza sul
luogo di lavoro, impiegando le migliori tecnologie disponibili a fine di proteggere il lavoratore dai
rischi ordinari connessi alle attività belliche.

L'Art. 2050 c.c. stabilisce che chiunque cagiona danno nello svolgimento di un'attività
pericolosa è tenuta al risarcimento del danno, se non prova di aver adottato tutte le misure
idonee ad evitarlo.

Lo Stato avrebbe dovuto sottoporlo a controlli per verificare la sua idoneità al lavoro. Commissione
d’inchiesta del Parlamento italiano sulla cd. “Sindrome dei Balcani” Anno 2004 (DOC3) rileva
come gli Americani fossero muniti dell’equipaggiamento e dell’informazione necessari per
affrontare i rischi in questione, mentre i militari Italiani fossero completamente ignari dei pericoli
incombenti nonché sprovvisti dei mezzi necessari per prevenirli + vedi nesso causale

=> QUANTIFICAZIONE Per quanto riguarda la quantificazione del danno, i parametri di

47
riferimento sono costituiti dalle tabelle del Tribunale di Milano in combinato disposto con l'Art.
2059.
Danno ai famigliari

Non possono essere esclusi anche i patimenti dei suoi parenti più prossimi, moglie e figlie, le quali
si sono dovute addossare la cura e il soddisfacimento delle necessità sempre più gravose del Rossi:
• Figlie ancora in età scolare, dal 2006
• Rossi unico titolare di uno stipendo => completa impossibilità lavorativa
• Riconoscimento di una irrisoria pensione di accompagnamento, se paragonata allo
stipendio sul quale l'intera unità familiare si basava in precedenza
• Sig. Rossi viene diagnosticata una sindrome depressiva reattiva ancora in corso,
aggravando ulteriormente la già critica situazione familiare in cui crescono le tre minorenni.
Questo implica quindi un pregiudizio morale oltre che assistenziale per le parenti prossime
del Sig. Rossi, vistesi spogliate di un padre e di un marito
• Come le Sezioni Unite affermano nella celebre Sent. 26972/2008, "nell'ambito della
categoria generale del danno non patrimoniale la formula "danno morale" non individua
un'autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non
patrimoniali, un tipo di pregiudizio costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato
in sé considerata […] la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini
dell'esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento […] e la sofferenza
morale cagionato dal reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto penoso
protrarsi anche per lungo tempo", è facilmente rinvenibile un danno morale continuato ai
danni della moglie e delle figlie, e come specifica la Corte di Cassazione Civile con Sent.
24745/2007 "ai prossimi congiunti della vittima di un reato spetta iure proprio il diritto al
risarcimento del danno, avuto riguardo al rapporto affettivo che lega il prossimo congiunto
alla vittima, non essendo ostativi al riconoscimento di tale diritto né il disposto dell'Art.1223
del codice civile […] in quanto tale danno trova causa diretta ed immediata nel fatto
illecito". La legittimazione ad agire, quindi, è attribuita ai prossimi congiunti, moglie e figlie
nel caso di specie, in vista della sussistenza in capo a costoro di sofferenze e patemi d'animo,
cagionati dalle sofferenze della persona cara e immediatamente ricollegabili all'illecito,
poiché il risarcimento "iure proprio" del danno subito è risarcibile quale "danno arrecato
all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia
e all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona
umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia
(Cassazione civile, sez. III, 16 settembre 2008, n. 23725)

Si richiede:
▪ Il mantenimento in favore della moglie e delle figlie a carico del convenuto
valutato in maniera equitativa tenendo conto della differenza che intercorre fra
l'attuale pensione di accompagnamento e lo stipendio garantito al Sig. Rossi
▪ Il risarcimento in via equitativa di una somma pari a quanto avrebbero avuto
le figlie e la moglie se il marito non fosse diventato invalido
▪ Il risarcimento del danno morale subito da moglie e figlie del Sig. Rossi per
la perdita effettiva ed affettiva dovuta all'invalidità e al successivo stato di
depressione

MEMORIE DEL CONVENUTO

• Introduzione
→ no negare nesso UI-malattia

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→ decisione NATO
→ è danno di massa => erogazioni da parte dello Stato
• Risarcimento in iure proprio
• Responsabilità contrattuale → Non si applica l'art 2087 perché:
• Difetto di giurisdizione → competenza del giudice amministrativo (v.
Cass; regolamenti di giurisdizione e dottrina)
• Prescrizione
→ Cass. "può essere percepita quale danno ingiusto, usando l'ordinaria
oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze
scientifiche"
→ Studi in Italia nel 2000
→ Cass, in caso di danno sul luogo di lavoro: la prescrizione "inizia a
decorrere, ove l'illecito sia permanente e si sia perciò protratto nel tempo, al
momento della definitiva cessazione della condotta inadempiente” (cfr Cass.
Sez. Lavoro nr. 7272 del 30.3.2011); e ciò si ha nel 2000 con il rientro in
patria del Rossi.
→ Diffusione delle conoscenze scientifiche: più di 600 articoli
giornale
→ Nel 2000 nascono associazioni a sostengo delle vittime da UI
= > con l'ordinaria diligenza si sarebbe potuto accorgere del nesso nel 2000 e
in quella data va individuato il dies a quo
• Assenza di nesso causale →Il nesso causale è composto da 2 elementi: la
possibilità che dalla condotta corrisponda un danno e la possibilità di
conoscenza scientifica all'epoca dei fatti. L'Amministrazione non nega il fatto
che l'UI aumenti il rischio di contrarre patologie ematologiche, ma ribadisce
il fatto che:
• Il ministero ha adottato le migliori misure di protezione esistenti
all'epoca dei fatti
• Le conoscenze scientifiche all'epoca dei fatti non permettevano
una piena consapevolezza del rischio connaturato al prodotto ed al suo
impiego (v. Cass in materie di AIDS doc 7; v. documenti e
commissioni di indagine; v. documento USA doc 3 confrontato con
doc 4)
• Il militare ha espressamente accettato il lavoro pericoloso (v. contratto di
lavoro doc 8)
• liberazione del Ministero da ogni responsabilità per danni riportati
dal lavoratore nelle attività militari (v. contratto di lavoro doc 8)
• (il Ministero è vincolato a proteggere il militare dai rischi ordinari,
mentre il rischio di contrarre una patologia a seguito di esposizione a
UI è straordinario (v. contratto di lavoro doc 8)
• Era stato informato ed era consapevole di tutti i rischi della
missione, in particolare del fatto di dover operare in zona
caratterizzata dalla presenza di UI
• Il soggetto è già risarcito tramite la concessione del riconoscimento
stato della causa di (l. 1094/1970; d.p.r. 37/2009) → principio ne bis in
servizio idem
• Responsabilità extracontrattuale → Non si applica:
• la responsabilità extracontrattuale, perché: la pretesa risarcitoria proposta
dal dipendente per lesione della salute è “contrattuale” quando essa incide
solo sulla sfera dei lavoratori dipendenti (v.Cass)

49
• La prescrizione -> v. prima
• l'art 2043, perché
• Assenza di nesso casuale→ v. prima
• Assenza di dolo o colpa del Ministero
• Altro
• l'art 2050, perché
• l'attore ha scelto volontariamente di far parte delle forze
armate ne ha accettato il rischio
• Assenza di nesso causale → v. prima
• Il Ministero ha adottato le migliori misure di protezione
esistenti all'epoca dei fatti (v. documenti) →v. prima
• l'art 2059
• Risarcimento dei famigliari → non si applica l'art 2043, perché
• non c'è danno patrimoniale dovuto al venire meno del diritto al
mantenimento perché il militare ha ricevuto una pensione di invalidità
• non c'è danno non patrimoniale perchè non si ravvede diritto costituzionale leso
Nella denegatissima ipotesi risarcibile il presunto danno subito dai familiari di S.R., dall'importo da
liquidarsi a titolo di risarcimento deve essere detratto quanto già percepito indennizzo compensatio
lucri cum damno.
Processo Simulato di diritto civile
Difesa del convenuto
Introduzione
La causa di cui si tratta ha come oggetto la presunta responsabilità del Ministero della Difesa per la
malattia contratta dal Caporale Maggiore dell’Esercito Italiano Stefano Rossi a seguito
dell'esposizione a Uranio Impoverito nel corso delle missioni nel Golfo Persico e nei Balcani, quale
tecnico specializzato in guerra elettronica. Preliminarmente ci preme sottolineare alcune questioni.

In primo luogo vogliamo sottolineare il fatto che la parte da noi difesa non nega che l’esposizione
ad Uranio Impoverito possa essere dannosa né che possa essere stata fonte di patologie. Afferma
invece, il che è ben diverso, di non aver alcun tipo di responsabilità in merito ai danni subiti dai
militari italiani nei conflitti nel Golfo Persico e nei Balcani. Questo perché l’utilizzo di armi
contenenti UI non dipendeva dal Ministero della Difesa italiano, quanto piuttosto dal contingente
NATO. Inoltre all’epoca degli eventi bellici non era affatto certo che l’UI fosse così dannoso e non
esistevano misure di sicurezza e prevenzione che potessero ridurre il rischio di contrarre una
patologia, misure che per altro non esistono neppure oggi. Di conseguenza qualunque precauzione
avesse adottato l’amministrazione italiana, ciò non avrebbe impedito danni ai suoi militari. Lo Stato
italiano, dispiaciuto e preoccupato per i numerosi casi di patologie ematologiche dovute
all’esposizione di UI, ha previsto negli ultimi anni numerose forme di indennizzo e contribuiti. La
richiesta di un risarcimento dei danni per via giudiziale, invece, non coglie nel segno perché
finirebbe per ritenere responsabile il Ministero per un fatto che non poteva essere evitato, con grave
violazione del principio di diritto ad impossibilia nemo tenetur.

In secondo luogo, la condotta illecita che viene contestata all'Amministrazione non può consistere
nell'inquinamento ambientale da UI, ascrivibile all'azione della NATO o di altre coalizioni, che
colpisce indiscriminatamente militari e non, bensì nella sola presunta omissione di misure di
protezione riguardanti l'attività svolta dai soggetti in armi. La patologia riscontrata da S.R. è
esclusivamente connessa all’esercizio dell’attività nell’esercito e, pertanto, è necessaria la
qualificazione in termini solo contrattuali dell’azione, con l'esclusione della presunta responsabilità

50
extra-contrattuale del Ministero. Secondo giurisprudenza costante e consolidata «la riconduzione
della pretesa risarcitoria proposta dal dipendente con riguardo alla lesione della propria salute
deve essere ritenuta “contrattuale” alla stregua della identificazione degli effetti della violazione
delle norme attribuibile alla Amministrazione, nel senso che la sua incidenza sulla sola sfera dei
lavoratori dipendenti ne restringe l’imputazione alla violazione (contrattuale) degli obblighi di
“protezione” nel mentre la sua diffusività verso la generalità dei cittadini evidenzia la
responsabilità extracontrattuale dell’autore della condotta» (Cfr. Cass., sez. un., ord., 9 ottobre
2009, n. 21474, cit. Cfr. anche in tal senso: Cass., sez. un., 4 marzo 2008, n. 5785, cit.; cfr. altresì:
Cass., sez. un., 6 marzo 2009, n. 5468, cit.; Cass., sez. un., 8 luglio 2008, n. 18623, cit.; Cass., sez.
un., 13 ottobre 2006, n. 22101, cit.; Cass., sez. un., 7 febbraio 2006, n. 2507, cit.; Cass., sez. un., 2
luglio 2004 n. 12137, cit.). Dunque si deve concludere che la presunta condotta lesiva della
pubblica amministrazione può aver avuto effetto solamente sui propri dipendenti e che quindi
l'unica norma che la parte attoriale può legittimamente invocare è l’art. 2087 c.c. In tal senso si sono
espressi sia in specifici precedenti i giudici amministrativi (Cfr. T.a.r. Campania, 5 agosto 2010, cit.,
e T.a.r. Campania Napoli, 28 novembre 2007; cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 2007, n.
3767), sia numerose decisioni dei tribunali ordinari (Trib. Roma, 15 luglio 2009; Tribunale Cagliari,
04/08/2011; Cassazione civile, sez. un. 05/05/2014 n. 9573; Cassazione civile, sez. un. 06/05/2014
n. 9666).

In ultimo, l'esposizione ad Uranio Impoverito sembra aver provocato danni a un elevato numero di
soggetti. A fronte di tali numeri, la categoria giuridica che pare più idonea a descrivere
compiutamente la fattispecie in questione è quella dei danni di massa. Nel caso dei danni di massa il
ricorso agli ordinari strumenti risarcitori giurisdizionali non sempre risulta agevole per tutti i
soggetti, a causa degli alti costi di accesso alla giustizia, l'incertezza del nesso causale e la durata
dei processi; inoltre la numerosità dei soggetti lesi ingenera una valenza politica delle vicende.
Rilevanza che viene ad essere acuita dal fatto che è la stessa amministrazione statale ad essere
chiamata in causa. La soluzione più funzionale ad un soddisfacimento di tutti i soggetti danneggiati
non è, pertanto, la tutela aquiliana, quanto meccanismi diversi, come l'equo indennizzo o erogazioni
connesse alla morte o all'invalidità previste per tutti i danneggiati da parte dello Stato in un’ottica di
intervento di sicurezza sociale.

Risarcimento in iure proprio

Responsabilità contrattuale

Difetto di giurisdizione
Come già ribadito, la domanda di risarcimento del danno proposta dal militare per lesione
dell'integrità psico-fisica, alla stregua della natura, dei tempi e delle modalità del fatto denunziato,
deve essere qualificata come diretta a far valere eventualmente solo una responsabilità di natura
contrattuale.
L'art. 3, d.lgs. n. 165/2001 («Personale in regime di diritto pubblico») statuisce che «in deroga
all’art. 2, commi 2 e 3, rimangono disciplinati dai rispettivi ordinamenti: i magistrati ordinari,
amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare...»; e l’art. 63,
d.lgs. cit., statuisce che «restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le
controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, nonché, in sede di giurisdizione esclusiva, le controversie relative ai rapporti di
lavoro di cui all’art. 3 ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi.» La normativa è
chiara nel senso che, nelle controversie concernenti il personale rimasto in regime di diritto
pubblico (tra cui il personale militare), la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, in sede di
giurisdizione esclusiva, la quale comprende ex art. 63, comma 4, dello stesso d.lgs., anche i diritti

51
patrimoniali connessi, con ciò includendo tutte le controversie inerenti al rapporto, comprese quelle
risarcitorie (cfr. tra le varie, Cass. n. 20751/2008). Ai fini del riparto della giurisdizione rileva non
solo la prospettazione della parte attoriale, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato
soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione soggettiva
dedotta in giudizio (cfr. Cass. n. 2507/2006 cit.). In base a tali principi, si deve affermare che la
cognizione della controversia spetta al giudice amministrativo (Cass., sez. un., 4 marzo 2008, n.
5785, cit., e Cass., sez. un., 13 ottobre 2006, n. 22101, cit. Cfr. altresì Cass., sez. un., 6 marzo 2009,
n. 5468, cit.; Cass., sez. un., 31 luglio 2008, n. 20751, in Le banche dati de Il Foro it.; Cass., sez.
un., 8 luglio 2008, n. 18623, cit.; Cass., sez. un., 20 aprile 2006, n. 9153, ivi; Cass., sez. un., 7
febbraio 2006, n. 2507, cit.; Cass. sez. un., 2 luglio 2004 n. 12137, cit. Con riguardo ai danni da UI,
cfr. in tal senso Trib. Roma, 15 luglio 2009, cit.). Poiché, dunque, la fattispecie di presunta
responsabilità può essere ricondotta solo alla violazione degli obblighi contrattuali stabiliti dall’art.
2087 c.c., indipendentemente dalla natura dei danni subiti dei quali si chiede il ristoro e dai riflessi
su situazioni soggettive (quale il diritto alla salute) che trovano la loro tutela specifica nell’ambito
del rapporto obbligatorio (cfr. Cass. n. 8438/2004; Cass. n. 2507/2006), chiediamo che venga
dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e la remissione della causa alla
giurisdizione del giudice amministrativo. Così peraltro si è già pronunciata la Cassazione a Sezioni
Unite per almeno due regolamenti di giurisdizione nell’ultimo anno, aventi ad oggetto proprio
risarcimenti del danno dovuti all’esposizione ad UI (Cassazione civile, sez. un. 05/05/2014 n. 9573;
Cassazione civile, sez. un. 06/05/2014 n. 9666).

Prescrizione
Quanto alla violazione degli obblighi contrattuali, il diritto al risarcimento del danno si prescrive in
dieci anni. Nel caso in questione ci si riferisce al risarcimento di chi assume di aver contratto una
malattia per fatto doloso o colposo di un terzo. Tale termine decennale "decorre dal momento in cui
la patologia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto, usando l'ordinaria
oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche" (Cass. Civ. Sez.
Unite Sent. n. 576/2008).
Studi più approfonditi che denunciano la pericolosità dell'Uranio Impoverito sono stati pubblicati in
Italia nel 2000, quando si iniziava a diffondere la cd. "Sindrome dei Balcani". Nello stesso anno al
Rossi veniva diagnosticata una "gammopatia monoclonale IgGK" quale forma intermedia della
stessa sindrome che lo aveva colpito in forma benigna già nel 1994. Se il militare avesse effettuato
fin dall'inizio ulteriori controlli anche privatamente, cosa che invece fa solo nel 2011, forse avrebbe
potuto evitare la degenerazione della malattia. Ma, come ha ribadito la Cassazione, in caso di azione
per risarcimento del danno alla salute patito dal lavoratore ex art. 2087 cod. civ. (ossia del danno
dovuto alla mancata adozione da parte del datore di adeguate misure di sicurezza delle condizioni di
lavoro), la prescrizione "inizia a decorrere, ove l'illecito sia permanente e si sia perciò protratto nel
tempo, al momento della definitiva cessazione della condotta inadempiente” (cfr Cass. Sez. Lavoro
nr. 7272 del 30.3.2011); e ciò si ha nel 2000 con il rientro in patria del Rossi.
La tematica dell'aggravamento dello stato di salute del ricorrente, inoltre, non sposta la collocazione
dell'inizio della malattia a un momento successivo rispetto alle precedenti diagnosi; infatti "la
prescrizione decorre dal momento in cui il danno si è manifestato, divenendo oggettivamente
percepibile e riconoscibile e non dal momento di un successivo aggravamento che non sia dovuto
ad una causa autonoma, dotata di propria efficienza causale" (cfr. Cass. Sez. Lav. nr. 19022/2007).
Inoltre, facendo riferimento alla “diffusione delle conoscenze scientifiche” quale riferimento alla
conoscibilità degli sviluppi di queste da parte dell’uomo medio, si può rinvenire come tra gli anni
1999 e 2001 gli articoli al riguardo nelle due tra le maggiori testate giornalistiche del Paese
(Corriere della Sera e Repubblica) superino il numero di 600 pezzi; addirittura nel 2001 nascono
l’Osservatorio per la tutela della Forze Armate, l’associazione nata dopo i primi casi di sottoufficiali
morti per leucemia dopo alcune missioni in Bosnia, nonché l’associazione “Vittime dell’Uranio”. Si

52
suppone che tutto ciò fosse facilmente conoscibile dal Rossi. Dunque riteniamo che sia da
considerare l'anno 2000 il termine di riferimento dal quale inizia a decorrere la prescrizione, ovvero
l'anno in cui il Rossi, se avesse utilizzato l'ordinaria oggettiva diligenza, avrebbe potuto svolgere
ulteriori controlli e, soprattutto, l'anno dal quale il militare, una volta tornato in patria, non è più
soggetto alla presunta condotta inadempiente del Ministero della Difesa. Di conseguenza, il termine
di prescrizione della responsabilità contrattuale sarebbe definitivamente decorso nel 2010.

Assenza di nesso causale


Come molte delle vicende che hanno ingenerato danni di massa, anche quella dell’UI è strettamente
collegata alle conoscenze tecnologiche. Acclarata infatti l’esistenza di un numero elevato di soggetti
che hanno subito un danno in seguito all’esposizione all’UI, punto cruciale per la responsabilità
della parte da noi difesa risulta l’accertamento dell’eziologia causale e dello stato delle conoscenze
esistenti nel momento in cui le lesioni si sono prodotte. Affinché sia configurabile una
responsabilità in capo allo Stato è indispensabile provare non solo il nesso tra l’impiego di una
specifica tecnologia e gli effetti patologici (fatto che noi non contestiamo), ma anche la conoscenza
del rischio correlato a tale tecnologia di cui effetti patologici sono espressione. Ed è proprio questa
conoscenza al momento dei fatti che nel caso in specie viene a mancare. Il danno denunciato dal
militare è stato subìto in un periodo nel quale non si conosceva la pericolosità dell'Uranio
Impoverito, cosa tuttora impossibile da stabilire con certezza. In merito va osservato che
l’inalazione di UI non ha effetti esteriori nel breve periodo, ma diviene fonte di effetti metageni a
livelli cellulari che incidono sul DNA, in ragione delle quantità assorbite, delle caratteristiche
fisiche delle particelle e dei tempi di esposizione. Proprio per questo l’effetto patologico non può
essere considerato in rapporto al singolo soggetto irradiato, ma in termini probabilistici sulla base
della popolazione esposta. All'epoca dei fatti, mancavano studi sui possibili danni derivanti
dall’impiego bellico dell’UI proprio per l’assenza di un campione di soggetti esposti su cui operare
indagini e ricerche. Si sapeva che l’inalazione di grandi quantità di UI fosse dannoso, ma non si
poteva immaginare che bastavano minime quantità di Uranio per far sì che i danni all’organismo
fossero ingenti. Da tali considerazioni si deduce che le conoscenze tecnico-scientifiche non
permettevano una piena consapevolezza del rischio connaturato al prodotto e al suo impiego. Ciò si
evince, inoltre, dalle molteplici ricerche svolte in quegli anni. Una fra queste si riferisce agli studi
condotti nel 1996 proprio sui militari tornati dalla guerra del Golfo e dalla missione nei Balcani, i
quali indicano come "non ci sia evidenza di incremento del rischio di tumori nelle coorti di veterani
di queste guerre o nei militari dispiegati in missione di pace negli stessi teatri, né vi è evidenza
consistente di un incremento del rischio per le neoplasie che potrebbero essere potenzialmente
associate ad esposizioni a Uranio Impoverito” (Progetto SIGNUM, p.40, 41). Emerge dunque la
mancata correlazione significativa tra l'esposizione all'Uranio Impoverito e l'incidenza delle
patologie riscontrate fra i militari.
Inoltre, anche dalla giurisprudenza della Suprema Corte si evince che la risarcibilità di un danno è
subordinata alla presenza di un nesso causale fra la condotta omissiva o commissiva del
danneggiante e il danno subìto dal danneggiato, allorché tale danno ingiusto risulti avvenuto in un
periodo nel quale si conosceva la pericolosità della condotta che l'ha provocato. Detto collegamento
deve essere considerato proprio in relazione alle conoscenze scientifiche presenti all'epoca dei fatti,
e, solo per questo motivo, in un caso simile la Cassazione (Cass.. Civ. Sez. Unite Sent. n. 584/2008)
afferma la sussistenza del nesso di causalità fra il comportamento omissivo di una struttura
ospedaliera e il contagio da Hiv di una paziente, ritenuto un evento dannoso che "non poteva
ritenersi, per la scienza e per la regola statistica, imprevedibile e improbabile". Diversamente, per
quanto riguarda il caso di cui si sta trattando, non essendo ancora oggi possibile dimostrare una
relazione causale certa fra l'Uranio Impoverito e la patologia sviluppata nel ricorrente, il Ministero
della Difesa non può essere ritenuto responsabile, valutandosi come "imprevedibile e improbabile in
relazione alla scienza e alla regola statistica" il danno subìto dal militare.

53
Elemento da non trascurare è che la stessa NATO, in un documento trasmesso a tutti i Paesi membri
nel 1984, rassicurò circa il “ rispetto di tutti i più avanzati standard di sicurezza ed efficienza” nella
fabbricazione degli ordigni contenenti UI, palesando solo in forma residuale le sue potenziali
implicazioni dannose. Perfino negli Stati Uniti, nonostante si fossero prese precauzioni maggiori
rispetto all'Italia, si è verificato un incremento dei fenomeni neoplastici statisticamente significativo,
il quale "può essere posto in connessione all'esposizione a sostanze nocive" (Relazione della
Commissione d'Inchiesta del Congresso Americano sulla diffusione della cd. "Sindrome dei
Balcani"). Questo prova come, anche utilizzando misure di protezione superiori rispetto a quelle
usate dall'Italia, gli Stati Uniti non erano in grado di conoscere la dannosità dell'Uranio Impoverito
e, di conseguenza, neanche di adottare l'equipaggiamento adeguato per salvaguardare i suoi militari.
Peraltro nell'Aprile 2001, data successiva a quella del rientro in patria del ricorrente,
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) pubblicò "L’uranio Impoverito: Fonti, Esposizione
e Rischi per la Salute" in cui si ammette la mancanza di informazioni esaustive in merito agli effetti
dell’Uranio esaurito sul corpo umano e vengono identificate aree nelle quali svolgere ricerche più
accurate. Tutte le altre documentazioni redatte rimandano a uno studio più approfondito comunque
ex post rispetto alla vicenda del Rossi.
Infine, una considerazione per quanto riguarda lo stato delle conoscenze in relazione alla misure di
sicurezza da adottarsi. Va rilevato come all’epoca dei fatti si riteneva che fossero sufficienti a
proteggere dall’UI filtri, maschere, tute, come conferma la “Circolare pubblica diffusa nel 1993 dal
Pentagono a tutti i militari americani in partenza per il Corno d’Africa” (doc 1). L’efficacia di tale
misure si è oggi dimostrata inconsistente, con riguardo specialmente alla possibilità delle maschere
di proteggere dall’inalazione di particelle di UI con dimensioni inferiori a 0,1 micron. Quanto detto
dimostra che il danno subito dai militari era inevitabile: qualsiasi misura ritenuta idonea all’epoca
dei fatti si fosse adottata, non avrebbe comunque impedito il verificarsi dell’evento dannoso.

Il contratto di lavoro
Stefano Rossi si era arruolato nel 1984 con regolare contratto di diritto pubblico: il Rossi
sottoscrivendo questo contratto prese atto che l’attività lavorativa sarebbe stata svolta in condizioni
di rischio estremo, connesso agli scenari bellici frequentati, derivandone la liberazione del
Ministero Datore di Lavoro da ogni responsabilità per danno riportato dal Lavoratore nelle attività
ordinariamente connesse a detti scenari (v. doc. 8).
È attestato che l’uranio impoverito fu impiegato per la prima volta in un conflitto armato nel 1991,
durante la guerra del Golfo, e successivamente nelle operazioni militari che videro coinvolte le
truppe NATO in Kosovo. S.R. ha proprio partecipato al conflitto nel Golfo Persico dal 1988 al 1991
e nel 1994 gli è stata diagnosticata una gammopatia monoclinale benigna asintomatica.
Un documento di raccomandazione, trasmesso dalla NATO a tutti i paesi membri nel 1984, attesta il
fatto che la NATO utilizzasse Uranio Impoverito nella costruzione degli ordigni nel rispetto di tutti i
più avanzati standard di sicurezza ed efficienza, sollevando fra l'altro la pericolosità presunta ma
non accertata del suddetto metallo. Sembra a questo punto abbastanza singolare sostenere che il
nostro esercito nulla sapesse sull'uso di armi contenenti UI. Il militare, consapevole dell’utilizzo
dell’Uranio e, inoltre, consapevole di essere affetto da una patologia, seppur benigna, accetta di
partire per la missione nei Balcani, accettando così anche il rischio di prestare la propria attività
lavorativa in zone belliche caratterizzate dalla presenza dell’Uranio Impoverito.

In base al secondo paragrafo dell’art 7 del contratto di lavoro: « Il datore di lavoro si impegna ad
assicurare le condizioni di massima sicurezza sul luogo di lavoro impiegando le migliori tecnologie
disponibili idonee a proteggere l’incolumità del lavoratore dai rischi ordinari connessi alle attività
belliche, secondo le conoscenze tecniche e scientifiche acquisite al tempo in cui l’attività lavorativa
è compiuta».

54
Da ciò si riscontra che il Ministero della Difesa si obbliga contrattualmente a proteggere i militari
dai rischi ordinari esentandosi quindi dalla responsabilità per rischi straordinari.
A tal proposito occorre tenere presente che sebbene il contingente militare fosse a conoscenza
dell’utilizzo dell’Uranio Impoverito nei territori dove sarebbe andato ad operare, come detto più
sopra, è anche da considerare che nel tempo in cui lo stesso prestava servizio nel Golfo Persico
(1991) e sul territorio dei Balcani (1996) non c’erano in Italia conoscenze scientifiche che
accertassero il rischio di contrarre determinate patologie causate da contaminazione da Uranio
Impoverito. In precedenza a questo periodo storico inoltre non si erano nemmeno verificati
fenomeni epidemiologici connessi all’Uranio Impoverito tali da far immaginare rischi così gravi. Si
evince dunque che a quel tempo la pericolosità dell’Uranio Impoverito non fosse ancora
comprovata e per di più non era immaginabile in che misura quel metallo potesse provocare danni
né quanto potesse essere pericoloso. Da queste osservazioni si può concludere che il rischio di
contrarre quella patologia a seguito di esposizione a UI doveva essere considerato un rischio
straordinario, ossia un rischio che né il Ministero della Difesa né i militari potevano rappresentarsi
partendo in missione. I rischi ordinari connessi alle attività belliche infatti sono altri: ad esempio, i
rischi derivanti dal possibile rinvenimento di ordigni bellici inesplosi, i rischi da incendio o da
esplosione. Trattandosi di rischio straordinario, il Ministero della Difesa è da considerarsi privo di
responsabilità.

Il riconoscimento della causa di servizio


In ultimo, nella denegata ipotesi in cui venisse riconosciuto dal collegio giudicante l'esistenza del
nesso causale tra la presunta omissione delle misure di sicurezza da parte del Ministero e la malattia
di S.R., bisogna tenere conto del fatto che il militare nel 2011 ha proposto un'istanza per il
riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell'accertata infermità; riconoscimento che
interveniva con Decreto del Ministero della Difesa, a seguito di parere favorevole della
Commissione Medica Ospedaliera e del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio.
Da questo si deduce che l'attore ha già usufruito di un primo strumento di tutela: il militare ha già
ottenuto risposta alle sue istanze attraverso il procedimento amministrativo volto al riconoscimento
della causa di servizio e dei benefici correlati, consistenti nella concessione della pensione
privilegiata e dell’equo indennizzo di cui alla l. n. 1094 del 1970. Un significativo stanziamento di
fondi, di cui ha usufruito l'attore, è stato inoltre previsto nella legge finanziaria 2008 (Cfr. art. 2,
commi 78 e 79, l. n. 244 del 2007), stanziamento che è diventato poi operativo con il d.P.R. n. 37
del 2009 («Regolamento per la disciplina dei termini e delle modalità di riconoscimento di
particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all’estero,
nei conflitti e nelle basi militari nazionali»). Tale normativa ha infatti previsto la concessione di
un’elargizione speciale in favore di una pluralità di soggetti « che abbiano contratto menomazioni
all’integrità psicofisica permanentemente invalidanti o a cui è conseguito il decesso, delle quali
l’esposizione e l’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e la dispersione nell’ambiente di nano-
particelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico abbiano costituito la
causa ovvero la concausa efficiente e determinante ». L’entità dell’elargizione è fissata nella misura
di 2.000 euro a punto di invalidità, con divieto di cumulo con altri benefici specificatamente
indicati. Di conseguenza, l'ulteriore risarcimento richiesto dall'attore per via giudiziale si trova a
scontrarsi con il principio generale di diritto del divieto di ne bis in idem, in base al quale lo stesso
soggetto (nel caso in specie, lo Stato) non può essere chiamato a pagare due volte per uno stesso
fatto.
Nella denegatissima ipotesi in cui il giudice dovesse ritenere risarcibile il presunto danno
patrimoniale subito dal lavoratore, dall'importo da liquidarsi a titolo di risarcimento patrimoniale
deve essere detratto quanto già percepito dal danneggiato a titolo di pensione di inabilità, oppure a
titolo di equo indennizzo, in base al principio della compensatio lucri cum damno.

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Responsabilità extracontrattuale
Nella denegata ipotesi in cui la presunta condotta lesiva dell’Amministrazione da noi difesa debba
essere valutata alla luce della responsabilità extracontrattuale, riteniamo che neppure in questo caso
possa essere contestata la condotta del Ministero.

La prescrizione
Innanzitutto riteniamo che l’azione di responsabilità extra-contrattule del militare S.R. si sia
prescritta. Come già ricordato sopra, il termine, in questo caso quinquennale, "decorre dal momento
in cui la patologia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto, usando l'ordinaria
oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche" (Cass. Civ. Sez.
Unite Sent. n. 576/2008). Per le medesime considerazioni in tema di prescrizione dell’azione di
responsabilità contrattuale, riteniamo che tale termine debba vedere il suo dies a quo nell’anno
2000.

L’art 2043
Come si è già ribadito più volte, è da escludersi una responsabilità ex art. 2043 del Ministero della
Difesa nei confronti del Rossi.
In primo luogo, occorre ribadire che una autorevole e ricorrente giurisprudenza (cfr. in primis Cass.,
sez. un., ord., 9 ottobre 2009, n, 21474 et alia) ritiene che la “lesione della propria salute” subita dal
dipendente nel ristretto ambito delle sue mansioni lavorative sia da considerarsi come responsabilità
contrattuale ex art. 2087; per contro, la diffusività del danno verso la generalità dei cittadini
evidenzierebbe la responsabilità extracontrattuale dell’autore della condotta. Nel caso in specie si
lamenta un danno subito da un militare per omessa protezione rispetto ai rischi di contaminazione
da UI e non una presunta azione dannosa diretta genericamente verso tutti i soggetti presenti in area
bellica. Non c’è responsabilità extra-contrattuale ex art 2043 perché ciò che può essere contestato al
Ministero della Difesa è al massimo la violazione dell’art 2087, ma non il fatto di aver provocato un
fatto illecito (come ad esempio l’inquinamento ambientale) nei confronti di un numero
indeterminato di persone anche non legate da alcun tipo di rapporto contrattuale con esso.
Si ritiene, in ogni caso, che non ci sia stata alcuna violazione del principio del neminem laedere,
poichè il Ministero della Difesa, non ha mai avuto alcuna intenzione di cagionare danno ai propri
militari; l’assenza di dolo, nella componente della “volontarietà”, si deduce facilmente dal
controsenso che nascerebbe dall’azione del convenuto mirata a danneggiare volontariamente un suo
proprio militare. Si ribadisce, inoltre, l’assenza di consapevolezza. Quando la NATO ha fornito lo
Stato Italiano di armamenti all’UI, la dannosità delle radiazioni era prefigurata solo come un danno
collaterale di entità minima e residuale. Per tutelare e proteggere i militari esposti all’UI,
l’amministrazione ha pertanto consigliato di indossare mascherine per prevenire l’inalamento delle
particelle radioattive così come testimoniato dal teste Giulio Bianchi.
Altre ipotesi di cause scatenanti il danno, oltre a quello (probabile) dell’inalazione di particelle
radioattive, non sono da imputare ad una ipotetica colpa del Ministero. Il contatto con le polveri di
UI, ha un effetto biologico lieve (se non nullo); è scientificamente dimostrato, infatti, che la
radioattività dell'uranio impoverito sia "di basso livello". Tale dato è confermato dalla perizia
medico legale del 2007 allegata (doc. 5). L’assenza di disposizioni con riguardo all’utilizzo di tute
non è rilevante in questa sede.
Si configurerebbe una terza ipotesi, cioè la possibilità che il Rossi si sia ammalato per aver ingerito
cibo non opportunamente deterso (frutta, verdura). Non è una eventualità da escludere; tuttavia la
diligenza dell’uomo medio avrebbe dovuto portare Rossi, cosciente di trovarsi in un teatro bellico,
ad adottare tutte le cautele che si richiedono in una situazione di incertezza e criticità.
Riteniamo giusto ribadire che queste misure di sicurezza debbano essere considerate adeguate e
proporzionate alle informazioni a disposizione del Ministero della Difesa all’epoca dei fatti.
Giova ricordare, infatti, che anche tra le fila dell’esercito statunitense, nonostante l’adozione di

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misure - secondo quanto testimoniato dal Bianchi (doc. 3) - più sofisticate, si siano verificati molti
casi simili a quello del Rossi (doc. 4), in percentuali tali da suggerire che anche l’equipaggiamento
adottato dalle forze statunitensi, quale ulteriore precauzione possibile all’epoca del fatto, si sarebbe
rilevato inefficace.
Per quanto riguarda le considerazioni in tema di nesso causale rimandiamo a quanto detto sopra.
Per tutti questi motivi riteniamo che non sia configurabile una responsabilità extra-contrattuale.

L’art 2050
Non sussiste neppure una responsabilità ex art. 2050 cod.civ.. Per definizione l'appartenenza alle
forze armate è un lavoro che comporta dei rischi connessi con il possibile impiego in zone
operative. Questo rischio era ben conosciuto da S.R. dal momento che egli ha scelto
volontariamente di far parte delle forze armate, stipulando nel Settembre del 1984 un regolare
contratto di diritto pubblico, quale tecnico specializzato in guerra elettronica. All’art 7 del contratto
il militare aveva preso “atto che l’attività lavorativa” sarebbe stata “prestata in condizioni di
rischio estremo (anche mortale), connesso agli scenari bellici frequentati” e liberava il Ministero da
ogni responsabilità per i danni da lui riportati dal Lavoratore nelle attività belliche.
Inoltre secondo l’orientamento giurisprudenziale l'applicabilità dell'art 2050 alla p.a. è stata, invece,
sempre esclusa in relazione alle attività che, come quella di polizia o quelle militari, "siano svolte
per soddisfare imprescindibili esigenze della collettività, nelle quali si identificano le sue stesse
finalità istituzionali" (per le attività di polizia: Cass., 30 novembre 2006, n. 25479; per le attività
militari: Cass., 12 ottobre 1964, n. 2575, Cass., sez. un., 4 gennaio 1964, n. 3, Cass., 23 febbraio
1956, n. 507; Cass sez. III Civile, 17 luglio – 10 ottobre 2014, n. 21426). Quanto alle ragioni che
giustificano, nelle ipotesi anzidette, un tale esonero dall'applicazione dell'art. 2050 cod. civ., la
Cass. n. 25479 del 2006 le ha ravvisate, in sostanziale continuità con l'orientamento precedente,
nella presenza "di un fine utilitario proprio dell'amministrazione e non potendo il Giudice
sindacare l'idoneità e la sufficienza delle misure e dei mezzi da essa posti in essere
nell'organizzazione dei suoi servizi".
Per tutti questi motivi riteniamo che sia non configurabile una responsabilità ex art 2050 in capo al
Ministero della Difesa.

Il danno non patrimoniale


Posto che è stata fatta richiesta per il risarcimento di un danno non patrimoniale, pongo
all’attenzione del collegio giudicante le seguenti argomentazioni:
In primo luogo non sono risarcibili i danni psichici, esistenziali e morali poiché rientrano nell’unica
categoria del danno biologico; infatti secondo la Cassazione (Cass. Sez. Unite civili 24 giugno - 11
novembre 2008, n. 26972) il danno non patrimoniale manca del carattere della atipicità, perché è
risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, tra i quali rientrano, in virtù della interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 2059, i casi di lesione di valori della persona
costituzionalmente garantiti. Di conseguenza non sarebbe possibile concepire categorie
generalizzanti, come quella del danno esistenziale, che finirebbero per privare il danno non
patrimoniale del carattere della tipicità (Cassazione n. 15760/2006, n. 23918/2006, n. 9510/2006, n.
9514/2007, n. 14846/2007) Al danno esistenziale non può essere quindi riconosciuta dignità di
autonoma sottocategoria del danno non patrimoniale.
In secondo luogo va abbandonata, oltre alla sottocategoria del danno esistenziale, anche quella del
danno morale, perché bisogna solo verificare la lesione di diritti inviolabili della persona.
Nella sostanza la Cassazione accoglie l’idea di un danno non patrimoniale risarcibile nei casi di
violazione di diritti costituzionalmente qualificati, eliminando le categoria concettuali, anche al fine
di evitare duplicazioni di voci risarcitorie.
Spostando quindi l’attenzione sul solo danno biologico, esso non risulta risarcibile poiché già
coperto dalle indennità retributive e pensionistiche riconosciute in caso di danni riportati dal

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lavoratore nelle attività ordinariamente connesse alla missione, secondo quanto si evince dal
contratto di lavoro. Il lavoratore, come già specificato, ha ottenuto il riconoscimento della causa di
servizio e dei benefici correlati, consistenti nella concessione della pensione privilegiata e dell’equo
indennizzo di cui alla l. n. 1094 del 1970. Inoltre ha beneficiato dello stanziamento di fondi previsto
nella legge finanziaria 2008. Fuori dalle citate indennità l’attore non può perciò addurre ulteriori
pretese.
Nella denegatissima ipotesi in cui il giudice dovesse ritenere risarcibile il presunto danno non
patrimoniale subito dal lavoratore, dall'importo da liquidarsi a titolo di risarcimento non
patrimoniale deve essere detratto quanto già percepito dal danneggiato a titolo di pensione di
inabilità, oppure a titolo di equo indennizzo, in base al principio della compensatio lucri cum
damno.

Risarcimento dei famigliari


È noto a questa parte che dalla degenerazione della gammopatia monoclinale IgGK in mieloma
multiplo iGg-K deriva un'invalidità permanente del Rossi, che questi sia incapace di svolgere alcuna
attività lavorativa e che sia costretto ad avvalersi della continua assistenza della moglie e delle
figlie, anche per attendere alle ordinarie attività della vita quotidiana, essendo peraltro costretto a
letto per la maggior parte del tempo; così come è a conoscenza della sindrome depressiva tuttora in
corso. Tuttavia, la pretesa di risarcimento dei danni ai famigliari ex art. 2043 cod. civ. non può
essere da noi accolta per i seguenti motivi:
In primo luogo il nesso di causalità tra la condotta imputata alla parte convenuta in questo giudizio
e il danno riscontrato dalla parte attrice non sussiste, per gli stessi motivi indicati in tema di nesso
causale.
In secondo luogo non vi è responsabilità per dolo o per colpa, per gli stessi motivi di cui supra.
In ultimo mancano i presupposti per configurare tale danno come ingiusto. Difatti il danno che qui
si discute, nella sua componente patrimoniale, non può essere ricollegato alla lesione di un diritto al
mantenimento perché la lesione del diritto al mantenimento, quale lesione di un diritto assoluto, è
stata da sempre ricondotta alla uccisione del coniuge o dei figli della persona che lamenta la
violazione di un tale diritto. Nel caso di specie non si fa riferimento ad alcuna uccisione e il diritto
al mantenimento continua ad essere esercitato dalla moglie e dalle figlie del Rossi dal momento che
questi gode di una pensione privilegiata. Si precisa che quest’ultima è stata debitamente
riconosciuta dal Ministero della Difesa a seguito dell’avvenuta individuazione, in costanza di
rapporto di lavoro, della “causa di servizio” rispetto ad un’inabilità che ne comprometta l’attitudine
totale alla continuazione del rapporto.

Per ciò che concerne il carattere non patrimoniale del danno ex art. 2059 cod. civ. esso non viene in
rilievo per le ragioni che seguono. Per aversi danno non patrimoniale, che nella sua tradizionale
concezione è il danno consistente nelle sofferenze fisiche o psichiche del danneggiato, deve
sussistere il seguente requisito: il suo risarcimento deve essere previsto da norme di legge ex art.
2059 cod. civ. Questa parte non può quindi accogliere le pretese risarcitorie dell’attore, riguardo a
qualsivoglia diritto non patrimoniale che non sia legislativamente qualificato, essendo la tipicità la
caratteristica principale del danno non patrimoniale. È altresì vero che è stato attuato un profondo
sconvolgimento nell’interpretazione dell’art. 2059 cod. civ. provocato dalla giurisprudenza della
Suprema Corte di Cassazione, che ha adeguato questa norma ai principi fondamentali della
Costituzione e, in particolare, all’art. 2, che presiede ai diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo
sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Quello che questa parte pone sotto
l’attenzione del Collegio è che detta giurisprudenza (Cassazione civile, sez. III, 09.04.2009 n. 8703)
ha diffusamente precisato che:
la rilevanza costituzionale deve riguardare l’interesse leso e non il pregiudizio
consequenziale sofferto;

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la risarcibilità del danno non patrimoniale presuppone che la lesione sia grave, cioè superi la
soglia minima di tollerabilità, imposto dai doveri di solidarietà sociale;
non deve trattarsi di un danno “futile”, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi o
sia addirittura meramente immaginario.
Nel caso di specie, l’interesse leso che ha semmai rilevanza costituzionale è l’invalidità di S.R. e
non il fatto che sia richiesta la continua assistenza da parte della moglie e delle figlie, che si
configura piuttosto come un pregiudizio consequenziale al danno subito da S.R.. Inoltre non si può
ritenere che la necessaria assistenza comporti una lesione grave in quanto rientra nell’ambito dei
doveri di solidarietà familiare; l’invalidità subita da S.R., che si ripercuote nella vita dei suoi
famigliari, implica piuttosto un disagio subito da costoro.
Alla luce di ciò riteniamo che debba respingersi la richiesta di risarcimento proposta dai familiari di
S.R.

Nella denegatissima ipotesi in cui il giudice dovesse ritenere risarcibile il presunto danno subito dai
familiari di S.R., dall'importo da liquidarsi a titolo di risarcimento deve essere detratto quanto già
percepito a titolo di pensione di inabilità, oppure a titolo di equo indennizzo, in base al principio
della compensatio lucri cum damno.

SENTENZA

PRESCRIZIONE
Ai sensi dell'art. 2947, comma 1 c.c., rileva che il termine quinquennale di prescrizione decorre non
dal momento in cui il terzo produce una lesione all'altrui diritto o dacché la malattia si manifesti
all'esterno, bensì dal momento in cui la patologia è percepita o può essere percepita come danno
ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo del terzo, usando l'ordinaria diligenza e
tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche al momento della rilevazione del danno.
Si considera, pertanto, che il termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento del
danno da responsabilità extracontrattuale decorra dal 2011, anno in cui il sig. Stefano Rossi si
sottoponeva privatamente ad accurate ed ulteriori analisi medico-legali, dalle quali emergeva il
nesso tra la patologia e la contaminazione da uranio impoverito avvenuta durante lo svolgimento
dell'incarico militare sul territorio balcanico, a partire dal 1996 fino al 2000.
Per quanto concerne il termine di prescrizione decennale del diritto al risarcimento del danno da
responsabilità contrattuale, ex art. 2935 “La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il
diritto può essere fatto valere”. Il sig. Stefano Rossi avrebbe potuto far valere il proprio diritto
soltanto dal momento in cui avesse avuto conoscenza della causa comportante la lesione dello
stesso, e cioè la contaminazione da uranio impoverito, quindi non prima dei risultati delle visite
medico-legali cui si era sottoposto nel 2011.
2043: RESPONSABILITÀ EXTRACONTRATTUALE
-NESSO DI CAUSALITÀ (EX ANTE, EX POST)
L’accertamento del nesso causale è il presupposto che permette di collegare il danno subito da un
soggetto ad un fatto posto in essere da un altro soggetto, cioè di qualificare giuridicamente il primo
come conseguenza del secondo. E’ pacifico che non solo un comportamento commissivo, ma anche
uno omissivo possa essere fonte di responsabilità qualora vi sia un dovere giuridico di agire.
La giurisprudenza costantemente ritiene che la sussistenza di tale nesso vada verificata sulla base di
due criteri: quello cosiddetto della condicio sine qua non (ex post) e quello della causalità adeguata (ex
ante). In particolare, come correttamente citato dalle parti, la S.C. ha ritenuto, in un caso di contagio da
HIV di un paziente sottoposto a trasfusione, che il collegamento eziologico è da considerarsi alla luce
delle conoscenze scientifiche presenti all’epoca dei fatti. Non è necessario, a questo riguardo, una
certezza scientifica, ma la mera possibilità di prefigurarsi, da parte del

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danneggiante, l’astratta eventualità del danno.
Per quanto riguarda il caso di specie, il primo criterio può ritenersi soddisfatto dalla presenza di
reiterati studi scientifici che attestano la connessione tra l’ingestione o l’ inalazione di particelle di
DU e l’insorgenza di patologie neoplastiche, come la perizia medico-legale condotta su un
campione di soldati coinvolti nella missione NATO nei Balcani. Dall’analisi dei fatti è risultato che
al ritorno dalla missione nel conflitto del Golfo Persico al Rossi era stata diagnosticata una
gammopatia monoclinale benigna asintomatica, degenerata verso la forma maligna di mieloma
multiplo iGg-k, successivamente al suo ritorno dalla missione nei Balcani (1996-2000). La
derivazione della patologia del Sig. Rossi dalla frequentazione di aree contaminate da DU è stata
certificata da approfondite analisi medico-legali a cui lo stesso si era sottoposto nel 2011. Questa
correlazione è peraltro stata accertata dalla Commissione medico-ospedaliera e dal Comitato di
Verifica per le Cause di Servizio, cui seguiva il riconoscimento da parte dello stesso Ministero
della dipendenza da cause di servizio dell’infermità di Rossi.
In base ad una corretta adozione del criterio probabilistico nella ricostruzione del nesso causale
bisogna senz’altro riconoscere quale concausa preponderante -se non nella genesi, quantomeno nel
divenire e nell’aggravarsi del decorso nosologico- l’esposizione prolungata a DU del danneggiato in
zone teatro di guerra.
Per quanto riguarda invece la prevedibilità del danno, all’epoca dei fatti, da parte del convenuto,
bisogna innanzitutto avere riguardo alla posizione privilegiata dello stesso, dal quale, in quanto
Ministero della Difesa, ci si aspetta una accurata valutazione di tutti gli elementi in suo possesso
e una conoscenza puntuale delle potenziali implicazioni dannose degli strumenti bellici
utilizzati. In particolare, in virtù della perizia richiestagli, non poteva ignorare il Documento
di Raccomandazione trasmesso dalla NATO nel 1984 in cui si rilevava che il DU “se penetra
all’interno dell’organismo può essere molto dannoso”, né la Circolare pubblica diffusa nel 1993
dal Pentagono in cui si affermava in maniera più circostanziata che “quando i soldati inalano o
ingeriscono DU essi incorrono in un potenziale incremento nel rischio di cancro”, prescrivendo
di conseguenza dettagliate e meticolose misure di sicurezza.
Alla luce di queste argomentazioni risulta accertato il nesso eziologico sia per quanto riguarda
l’attitudine del contatto prolungato con DU subito dal Rossi a causare l’insorgenza della
patologia neoplastica, sia per quanto riguarda la prevedibilità di questa da parte della pubblica
amministrazione.
-COLPA: Ai fini della configurabilità di una responsabilità del Ministero della Difesa rilevano, ex
art. 2043, l’elemento soggettivo insito nella condotta, nonché la specifica posizione qualificata
ricoperta dal danneggiante: nel caso di specie, il convenuto pone in essere una condotta colposa
omissiva, mancando di adottare tutte le opportune cautele atte a tutelare i propri soldati dalle
conseguenze dell’utilizzo dell’UI.
(*)È configurabile, dunque, la responsabilità extracontrattuale in quanto i danni del Rossi sono
causati da “fuoco amico”: infatti le munizioni utilizzate dal contingente italiano, fornite dalla
NATO, contengono UI e l’attore veniva inviato proprio nei siti dove da poco si erano conclusi i
bombardamenti delle forze alleate.
Il Ministero della Difesa omette di informare adeguatamente i propri militari circa i potenziali rischi
derivanti dall’esposizione all’UI. Con la lettura della circolare NATO del 1984, portata a
conoscenza di tutti i paesi membri, e quella pubblica del Pentagono del 1993, il Ministero della
Difesa era certamente in grado di desumere un eventuale rischio per i propri dipendenti: “il DU
presenta bassi livelli di radiazione, tuttavia, se penetra all’interno dell’organismo, può essere molto
pericoloso.” (Circolare NATO 1984), “Quando i soldati inalano o ingeriscono UI, essi incorrono in
un potenziale incremento del rischio di cancro.”(Circolare Pubblica del Pentagono 1993).
Nel caso di specie tenuto conto del prevedibile rischio, nonostante la non certezza del reale grado di
pericolosità, risulta essere ancora più grave l’omessa informazione al Rossi in quanto già nel 1994
gli era stata diagnosticata una patologia con probabile degenerazione, senza effettuare alcun tipo di

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controllo ulteriore prima della partenza nel 1996.
Dalla conoscenza da parte del Ministero della pericolosità delle armi deriva la colpa per la mancata
dotazione ai propri militari delle attrezzature idonee a limitare l’esposizione all’UI (vedi documento
del 1993), adottate invece dal Pentagono per la protezione delle proprie forze armate in presenza di
rischi analoghi.
Come risulta dalla testimonianza di G.B. nel 2004, alla richiesta di informazioni ai suoi superiori
consegue una valutazione sbrigativa e superficiale in merito alle pratiche precauzionali adottate dai
contingenti alleati. Proprio in virtù della particolare natura del convenuto è da ritenere necessaria
l’attuazione del principio di precauzione, come da giurisprudenza unanime, che nel caso di specie si
concretizza con l’utilizzo di misure idonee a prevenire, o quanto meno ridurre, un probabile rischio
per i propri dipendenti. Sussiste responsabilità extracontrattuale in virtù del principio civilistico per
cui è sufficiente la sola probabilità come giustificazione ad un intervento precauzionale da parte del
Ministero della Difesa.

RESPONSABILITÀ CONTRATTUALE
Il ricorrente lamenta la violazione degli obblighi di sicurezza ex. Art. 2087 del codice civile
(testuale: (“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro”) connessi all’attività da lui posta in essere in qualità di
dipendente del Ministero della Difesa, assunto con regolare contratto di diritto pubblico nell’anno
1984. La norma richiede al datore di lavoro, nel nostro caso la P.A., una condotta attiva consistente
nell’approntare tutte le misure di sicurezza necessarie che, in relazione alle condizioni concrete di
impiego e alla effettiva esperienza del soggetto, consentano di scongiurare i rischi connessi
all’attività lavorativa: rischi che debbono ricadere, lo ricordiamo, sull’integrità fisica e sulla
personalità morale del lavoratore, beni fondamentali ed indisponibili, espressamente tutelati nella
Carta Costituzionale, nonché in numerose convenzioni europee ed internazionali. Nel caso di
specie, il contesto di lavoro del Rossi richiedeva evidentemente misure cautelari più specifiche e
pregnanti, in quanto trattasi di contesto bellico definito nello stesso contratto di lavoro all’articolo 7
“estremamente rischioso”, e dunque bisognoso di una maggiore attenzione da parte del soggetto
pubblico datore di lavoro.
Il Ministero della Difesa respinge la richiesta del ricorrente adducendo in primo luogo la presunta
consapevolezza, da parte dei soggetti impiegati nella Missione nei Balcani (e dunque anche del
Rossi) dell’utilizzo di armi contenenti UI, e dunque, nel caso di specie, la “tacita accettazione” di
tale rischio tramite l’assenso prestato all’invio nei Balcani nel 1996. Consapevolezza che, a detta
del convenuto, sarebbe dovuta derivare dalla conoscenza della raccomandazione NATO del 1984 in
cui veniva per la prima volta menzionata “la possibile pericolosità” dell’uranio impoverito,
contenuto, sempre a detta della NATO negli armamenti bellici utilizzati.// In secondo luogo, il
Ministero della Difesa si difende sostenendo che, come da previsione contrattuale, esso era tenuto a
proteggere i militari dai rischi ORDINARI connessi all’attività lavorativa svolta nei contesti bellici
di invio e quindi, come giustamente sostenuto nelle Memorie, da quei“ rischi derivanti dal possibile
rinvenimento di ordigni bellici inesplosi, i rischi da incendio o da esplosione”, non anche da quelli
straordinari, come l’esposizione da UI ed il danno derivatone, la cui entità, a detta dello stesso, era
“non immaginabile”. Il M.d.d si ritiene in conclusione esente da responsabilità nei confronti dei
suoi militari in quanto ha assicurato condizioni di massima sicurezza sul luogo di lavoro,
impiegando le migliori tecnologie disponibili al tempo e per le conoscenze scientifiche possedute,
rispettando dunque i suoi obblighi contrattuali.
Considerate le argomentazioni delle parti, è in primo luogo necessario definire la portata dell’art.
2087 e la tipologia di misure cautelari richieste al datore di lavoro: esso, come confermato da
copiosa giurisprudenza, si sostanzia non soltanto in un obbligo PASSIVO, costituito dal controllo e
dalla vigilanza sull’attività lavorativa dei dipendenti, ma anche, e soprattutto, in un obbligo

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ATTIVO di predisporre tutti gli strumenti e le misure che, in concreto, possano evitare la lesione di
diritti fondamentali del lavoratore, avuto riguardo alle particolari condizioni in cui il dipendente
opera e alle conoscenze scientifiche e tecnologiche a sua disposizione. In questo senso il Ministero
della Difesa, pur avendo effettuato dei controlli concernenti la situazione in cui avrebbero lavorato i
suoi dipendenti, ha omesso di munire gli stessi di tutti i mezzi necessari a tutelare la loro integrità
fisica e morale, tenuto conto della prospettabilità del rischio ingente cui questi andavano incontro e
degli studi scientifici allora disponibili: come affermato dallo stesso convenuto, se erano
prospettabili dal lavoratore i rischi connessi all’utilizzo di UI, a fortiori lo erano per una Pubblica
Amministrazione datrice di lavoro, la quale è “per sua stessa natura” chiamata a conoscere più
approfonditamente i pericoli connessi all’attività che essa stessa richiede ai suoi militari nonché
agevolata nel reperire tali informazioni. Peraltro non è condivisibile l’argomentazione della parte
convenuta secondo la quale non era immaginabile l’entità, il quantum, del danno da UI, giacché ciò
che rileva in questa sede è la sua semplice verificabilità, prospettabile e non contestata dallo stesse
ministero. Di qui, stando ad un generale e auspicabile principio di precauzione, il Ministero della
difesa, data la sua particolare natura di soggetto pubblico e le finalità da esso perseguite, avrebbe
dovuto adottare maggiori misure cautelari non avendo certezza circa la reale dannosità degli
armamenti utilizzati nel contesto bellico di riferimento.
Non è da ritenere meritevole di accoglimento l’argomentazione per cui il M.d.d si ritiene esente da
responsabilità sulla base dell’assenso prestato dal dipendente nel contratto di lavoro circa i rischi
ordinari dell’attività che andava a svolgere: se di questi il M.d.d può ritenersi non responsabile, lo
stesso non può dirsi per i rischi straordinari entro cui va fatto rientrare il contagio da UI (rischio
infatti non prevedibile e non strettamente connesso a ciò che ordinariamente ci si può aspettare da
un conflitto bellico), per cui anzi il Ministero avrebbe dovuto adottare tutte le misure etc.
Da ultimo si consideri che l’accettazione circa la lesione di beni indisponibili, quali l’integrità fisica
e morale, non può liberare il datore di lavoro da responsabilità, poiché, assecondando la rinuncia del
lavoratore, mancherebbe di tutelare beni di primaria e fondamentale importanza.
Inoltre consideriamo l’art. 2050: in merito la richiesta della parte attrice non puo essere accolta,
giacchè, come sostenuto da copiosa giurisprudenza, le attività militari e di polizia non costituiscono
attività pericolosa.
*L’inversione dell’onere della prova in ordine alla responsabilità dell’Amministrazione di
appartenenza del militare per mancata osservanza delle misure minime di sicurezza necessarie a
salvaguardare l’integrità fisica dei dipendenti (sul punto cfr. Cass. Civ. n° 17017 del 2.8.2007):
pertanto, non essendovi stata alcuna allegazione contraria da parte dell’Avvocatura dello Stato (ma,
anzi, risultando la cosa avvalorata dal fatto che l’affezione è stata riconosciuta come dipendente da
causa di servizio fin dal primo provvedimento qui impugnato, essendo il diniego del riconoscimento
dell’equo indennizzo giustificato esclusivamente con la pretesa tardività della richiesta) deve essere
ritenuto sussistente il nesso di causalità tra l’omissione della P.A., che non ha adottato alcuna
misura cautelativa, e il pregiudizio che è derivato all’odierno ricorrente.
DANNO DI ROSSI

PATRIMONIALE
2043 o 1218 (indipendentemente)
Il LUCRO CESSANTE è dato dalla differenza tra il prima ed il dopo del fatto di responsabilitá.
Nel caso di specie viene in rilievo la mancata acquisizione delle retribuzioni che il Rossi avrebbe
continuato a percepire se non fosse intervenuto l'evento lesivo che gli cagionava una invaliditá
permanente tale da non consentirgli la prosecuzione dell'attivitá lavorativa.
Il DANNO EMERGENTE si sostanzia in ogni perdita, o necessitata erogazione, di valori
economici già esistenti nel patrimonio del danneggiato. Nel caso di specie, viene a concretizzarsi
nelle spese mediche sostenute dal Rossi con l'aggiunta di quelle che prevedibilmente si troverá a

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dover sostenere in futuro per avere perduto la propria autosufficienza ed essere costretto a servirsi
della assistenza altrui.
Dal danno patrimoniale così complessivamente inteso come comprensivo di tutte le suddette
componenti, va detratto quanto dalla parte convenuta giá corrisposto a titolo indennitario, secondo
il principio della compensatio lucri cum damno.

NON PATRIMONIALE
Si premette che, in tale sede, si considererá il danno non patrimoniale come comprensivo di tutte le
voci e componenti che di tale genus costituiscono species.
Art. 2059. Si accerta la sussistenza del danno non patrimoniale in quanto, pure in difetto di una
condotta qualificabile come reato ai sensi dell'art.2059, giurisprudenza ormai consolidata amette
che tale presupposto dirimente sia soddisfatto anche al verificarsi di lesioni di beni
costituzionalmente garantiti quale di certo è il bene della vita (artt. 2 e 32 Cost). Tale danno è da
liquidarsi in via equitativa sulla scorta delle tabelle del Trib. Di Milano (ritenute di rilievo nazionale
dalla Corte di Cassazione).
Particolare attenzione merita la condizione psicologica sofferta dal Rossi in seguito agli interventi
medici invasivi ed invalidanti cui si è sottoposto; la sua accertata sindrome depressiva, nonché il
profondo patema d'animo derivatogli dalla impossibilitá di continuare a svolgere il proprio ruolo
all'interno della famiglia, nonché nelle sue relazioni sociali. Tali elementi costituiscono privazioni
di valori personali non patrimoniali ai quali il risarcimento deve essere equitativamente
commisurato (corte cost. 372/94). Non potendosi disporre risarcimento alcuno nelle ipotesi in cui
suddetta lesione non si concretizzi in alcun danno materialmente apprezzabile.
Non rileva in questa sede l'indennitá pensionistica corrisposta al Rossi, ai fini della compensatio
lucri cum damno, avendo questa natura preminentemente ed esclusivamente patrimoniale.

DANNO DELLA FAMIGLIA Danno patrimoniale.


Ricorso ex. Art. 2043. Preliminarmente si rileva che il diritto al mantenimento non costituisce
affatto un diritto assoluto della persona bensì un diritto relativo al sussistere di un rapporto
familiare.
Procedendo all'esame concreto é da considerarsi che il danno patrimoniale subito dai familiari del
sig. Rossi si concretizza in nient'altro che nella perdita delle retribuzioni spettanti allo stesso, oltre
che nella sua futura necessitá di assistenza esterna. Si ritiene pertanto che questo sia assorbito dal
risarcimento giá corrisposto al Rossi come conseguenza della sua accertata lesione patrimoniale
secondo il principio generale del ne bis in idem.

Danno non patrimoniale.


Ai congiunti prossimi del S.R. spetterebbe, secondo le pretese della parte attrice, un diritto al
risarcimento del danno morale a titolo di iure proprio, non essendo intervenuta la morte del
danneggiato. Ipotesi quest'ultima che avrebbe dato àdito ad azione ex iure successionis (a titolo
derivativo).
Tuttavia è interpretazione vivente dell' art. 2059 cc, come sottolineato dal Ministero, che sia esclusa
la risarcibilità del danno subìto dai familiari come mera conseguenza della lesione del bene
costituzionale (costituito dalla integrità fisica) patita dal coniuge (come argomentato da Corte di
Cass. N. 8703 del 9 Aprile 2009). Ciò a differenza di quanto non sarebbe previsto se la condotta
lesiva posta in essere fosse ascrivibile ad una fattispecie costituente reato.
Tuttavìa, agli occhi di questa Corte, considerato che, in caso di lesioni non mortali, il danno è di
identica natura e identica è la categorìa dei congiunti, non pare consentito, pena la contraddizione,
negare il risarcimento nel caso di lesioni personali dalle quali, ugualmente. ai congiunti sia derivato
danno morale. Pertanto, svolgendo una interpretazione costituzionalmente orientata della norma in
esame, appare opportuno, ai fini della risarcibilitá del danno non patrimoniale, prendere in

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considerazione un segmento della catena causale che dal danno cagionato al S.R., ed imputabile alla
sfera soggettiva della parte convenuta, si estenda fino al danno subìto dai congiunti quale
conseguenza immediata e diretta di quello inferto al Rossi.
Ai fini del computo rileva l'entitá del danno provata dalla parte, equitativamente apprezzata da
questo Collegio.
Irrilevante é la proposta compensatio lucri cum damno (v. Supra).

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