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La materia delle fonti del diritto penale è regolata da un principio fondamentale, il principio
di legalità → in base al quale nessuno può essere punito se un fatto non è considerato reato
da un'apposita legge, ed è sancito dall'art 25 della Costituzione e dagli art 1 e 199 del Codice
penale.
L' art 25 Cost afferma: "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia
entrata in vigore prima del fatto commesso; nessuno può essere sottoposto a una misura di
sicurezza se non nei casi previsti dalla legge".
L' art 1 C.P afferma che "Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente
preveduto dalla legge come reato, né con pene che non siano da essa stabilite".
L'art 199 C.P afferma "Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano
espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti".
Ovviamente questo non significa che il giudice non abbia un certo potere discrezionale nel
fissare la misura della pena; ma significa che il principio di legalità è rispettato se il legislatore
preveda un minimo e un massimo edittale per ogni crimine. E il rispetto di tale principio
comporta anche che lo spazio edittale debba per forza oscillare entro un minimo e un
massimo ragionevoli.
Il principio di legalità svolge una funzione di garanzia per i cittadini, perché in tal modo tutti
sono in grado di sapere quali fatti sono vietati e quali sono permessi. Ma vi è anche uno
svantaggio, dato che questo principio vieta di punire condotte non previste dalla legge come
reati anche se sono antisociali e pericolose → in questo modo, sfruttando questa
imperfezione, vi è chi riesce comunque a delinquere.
In contrapposizione al P. di legalità nasce il principio di legalità sostanziale, il quale
considera reato anche un fatto antisociale non espressamente previsto dalla legge, cioè un
comportamento contrario ai valori fondamentali della società.
Il principio di legalità si articola in 3 sottostanti principi:
1). IL PRINCIPIO DELLA RISERVA DI LEGGE → il quale comporta il divieto di punire un fatto
se esso non è espressamente considerato reato da una specifica norma di legge: esso,
quindi, esclude dalle fonti del diritto penale le fonti scritte e le fonti scritte diverse dalla
legge (ordinamenti, ordinanze).
Il monopolio normativo viene attribuito al potere legislativo → ciò significa che solo la legge
statale può essere fonte di diritto penale, elevando un fatto a reato e prevedendone la
sanzione da applicare.
Svolge un ruolo di garanzia per cittadini dall’uso della forza da parte dello Stato. Ciò avviene
affidando il potere punitivo all’organo di maggiore legittimazione democratica nonché il
Parlamento → luogo della dialettica tra minoranza e maggioranza che rende possibile un
controllo democratico. Questa garanzia viene inoltre assicurata dalla Corte costituzionale,
attraverso il giudizio di legittimità costituzionale.
La stessa garanzia, invece, non potrebbe essere assicurata per mezzo delle fonti secondarie
(regolamenti, consuetudini, ecc.) che esporrebbero i cittadini all'arbitrio del potere
esecutivo o del potere giudiziario.
• Fonti primarie leggi ordinarie dello Stato e atti aventi forza di legge, leggi regionali.
• Fonti secondarie regolamenti governativi, regolamenti regionali e degli enti locali.
Le fonti secondarie possono specificare da un punto di vista tecnico il contenuto di elementi
già delineati in sede legislativa, senza sottrarre al legislatore le decisioni finali. → hanno
inoltre un importante ruolo nell’integrare il diritto penale nella realtà sociale.
La riserva di legge nella norma penale si distingue tra:
PRECETTO
PRECETTO → nonché il divieto SANZIONE → nonché la
di compiere un determinato conseguenza al mancato rispetto
atto o di cagionare o del precetto
determinato evento
la quale può essere applicata
può essere specificato da SOLO da autorità legislative
autorità NON legislative dette
Fonti secondarie.
Innanzitutto, bisogna sottolineare che il diritto punitivo è composto da buona parte dai reati
penali, ma non riguarda esclusivamente fatti criminali in senso stretto. In tale categoria,
infatti, rientra anche il cosiddetto diritto punitivo amministrativo che prevede punizioni
diverse, come ad esempio pene pecuniarie, o il ritiro della patente.
La libertà controllata comporta la sospensione della patente e il divieto di allontanarsi dal
comune di residenza: se non vengono rispettate tali prescrizioni si converte in eguale
periodo di reclusione o arresto → consiste quindi in una limitazione potenziale o effettiva.
Per l’illecito amministrativo invece si procede all’esecuzione forzata dei beni, o, se insolubile
tale procedura di arresta senza convertirsi in limitazione della libertà.
In quanto le sanzioni toccano il bene supremo della libertà personale, la Costituzione detta
alcuni principi garantisti: riserva di legge, irretroattività, tassatività.
Non meno importante è il principio di personalità della responsabilità penale (art 27 Cost)
in base al quale non basta che un soggetto abbia compiuto materialmente il fatto, ma per
poter essere rimproverato è necessario che lo abbia voluto compiere o non lo abbia evitato
pur potendo.
CAPITOLO 3 – ELEMENTI OGGETTIVI DEL REATO
All’interno della fattispecie, il legislatore indica sempre gli elementi costitutivi del reato,
ovvero quelli che non possono mai mancare. Affinché un reato esista oggettivamente è
necessario che esso sia compiuto in assenza di cause di giustificazione che vedono il fatto
come lecito.
Infatti, il reato si basa su tre elementi, cioè una concezione tripartita:
• Tipicità → consiste nella conformità del fatto concreto alla fattispecie penale. Il
fatto è tipico quando possiede tutti gli elementi costitutivi necessari perché si verifichi
un illecito penale.
• Antigiuridicità → mancanza di cause di giustificazione;
• Colpevolezza → responsabilità del soggetto per il fatto commesso.
Quindi, gli ELEMENTI OGGETTIVI del reato sono:
1). SOGGETTO ATTIVO → è la persona umana che la norma indica come potenziale autore
di un fatto illecito:
▪ Nei reati comuni viene indicata come “chiunque”;
▪ Nei reati propri invece si riferisce a una determinata categoria di soggetti.
2). CONDOTTA → è la commissione di un fatto, che può essere:
▪ Un’azione: che sotto il profilo normativo consiste nel fare ciò che è vietato,
provocando un reato d’azione;
▪ Un’omissione: che consiste in un comportamento inattivo, ovvero non fare ciò che
deve essere fatto, provocando un reato di omissione.
- Reato omissivo improprio: si realizza quando un soggetto attivo non impedisce il
verificarsi di un evento.
- Reato omissivo proprio: si realizza quando un soggetto non ha avuto un
comportamento adatto.
Per fare un esempio concreto che chiarisca meglio questo concetto: l’omicidio commesso
da un assassino viene punito nello stesso modo di chi lascia morire una persona in modo
cosciente, senza intervenire in qualsiasi forma o possibilità.
➢ Reato a condotta vietata: ossia quando la norma descrive dettagliatamente la
condotta vietata → Es. reato di truffa art 640: “Chiunque, con artifizi e raggiri,
procura a sé o ad altri ingiusto profitto con altrui danno”.
➢ Reato a condotta libera: dove la norma non descrive dettagliatamente la condotta,
ma enuncia l’evento che non deve verificarsi → Es. reato di omicidio art 575:
“Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad
anni ventuno”.
3). EVENTO → è la modificazione della realtà naturale, di cui vanno considerati gli eventi
tipici, cioè quelli richiesti dalla fattispecie per la sussistenza del reato. Alcune norme invece
prevedono l’incriminazione di condotte che non producono alcun evento materiale → Es.
violazione di obblighi di assistenza famigliare art 570.
In base al tipo di evento, distinguiamo tra:
➢ Reati di mera condotta: si verificano con la semplice realizzazione della condotta
incriminata.
➢ Reati d’evento: si verificano solo se si ha quella particolare modificazione del mondo
esterno prevista dalla norma incriminatrice.
4.) RAPPORTO DI CAUSALITA’ → il cod. penale dedica due articoli al rapporto di causalità:
➢ Art 40 c.p. → “Nessuno può essere punito se l’evento non è conseguenza della sua
azione”. Il rapporto di causalità è infatti la premessa indispensabile per poter
collegare la collega la condotta all’evento, in modo che si possa attribuire al soggetto
la responsabilità per averlo causato.
Il compito del giudice penale è quello di appurare il collegamento tra condotta ed
evento per l’applicazione della norma penale → il problema che nasce, quindi, è che
nella determinazione di questo rapporto, concorrono diversi fattori causali, e tra
questi si colloca la condotta del presunto reato.
➢ Questo problema viene approfondito nell’art 41 c.p. → il quale si rifà alla teoria della
condizione necessaria, secondo la quale deve considerarsi causa ogni condizione
antecedente all’evento: dunque, affinché vi sia causalità, basta che l’individuo attui
anche un solo antecedente necessario per il verificarsi dell’evento → parliamo di
concorso di cause.
Per accertare tale nesso si ricorre ad un procedimento mentale che varia in base ai:
❖ Reati attivi → in relazione ai quali si attiva un procedimento di eliminazione mentale:
nella catena di eventi si elimina l’azione del soggetto attivo; se l’evento si verifica
ugualmente, allora la sua condotta non è condizione necessaria. Mentre lo è in caso
contrario.
CASO FORTUITO E FORZA MAGGIORE → sancito dall’art 45 il quale cita “Non è punibile chi
ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore”.
Spesso la forza maggiore è un concetto che viene sovrapposto a quello di caso fortuito, ma
così non è. La forza maggiore è un evento imprevedibile ed inevitabile al quale l’agente non
può oggettivamente resistere. Quindi l’evento non può essere imputato all’agente e sarà
esente da responsabilità.
Si pensi ad esempio ad una forte raffica di vento che provoca la caduta di un soggetto
addosso ad un altro: in questa dinamica si è inserita una forza estranea alla quale il primo
soggetto non si è potuto opporre.
Il caso fortuito si ha quando ci si trova difronte ad un evento imponderabile, imprevisto e
imprevedibile, che si inserisce improvvisamente nell’azione del soggetto e che da esso non
può essere governato.
L’esempio tipico è quello di un automobilista che viaggia a moderata velocità mentre un
passante, volendo suicidarsi, gli si getta all’improvviso sotto alle ruote.
In altri termini, l’agente, pur volendo, non può impedire il verificarsi di un evento dovuto al
caso fortuito. Dunque, il caso fortuito è sinonimo della fatalità. Proprio per questo motivo,
l’evento dovuto al caso fortuito non può essere imputato all’agente, il quale sarà esente da
responsabilità.
❖ Una teoria considera il caso fortuito come un elemento soggettivo del reato e come
un’esclusione della colpa.
❖ Un’altra teoria lo vede come un elemento oggettivo del reato e come un’esclusione
del nesso di causalità tra evento e condotta.
CAPITOLO 4 – ELEMENTI SOGGETTIVI DEL REATO
Gli elementi soggettivi del reato permettono la classificazione del grado di volontà
psicologica di un soggetto nella commissione di un reato.
Bisogna partire dal concetto di colpevolezza che trova fondamento nell’art 27 Cost il quale
cita testualmente “la responsabilità penale è personale”→ ciò implica che, affinché un
soggetto possa essere punito e affinché il reato esista, non basta che il soggetto lo abbia
materialmente commesso, ma è necessario che possa essere rimproverato per averlo
commesso o per non averlo evitato.
La colpevolezza, quindi, è un atteggiamento anti-doveroso della volontà:
o Atteggiamento verso la norma: cioè aver agito nonostante si conoscesse la norma, o
la si ignorasse nonostante si sarebbe potuta conoscere.
LA COLPA → trova fondamento nell’art 43 c.p. “Il reato è colposo, o contro l’intenzione,
quando l’evento anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di
negligenza o imprudenza, ovvero per l’inosservanza di leggi, ordini o discipline”.
In altre parole, la colpa penale sussiste quando un soggetto commette un fatto incriminato
con volontà, ma senza essere consapevole delle conseguenze della sua azione.
Elementi costitutivi della colpa sono:
L’ERRORE → è una falsa rappresentazione della realtà che può condurre o meno
all’esclusione della colpevolezza. È evidente che l’errore, per escludere il dolo, deve ricadere
su un elemento essenziale della fattispecie, sicché sono irrilevanti errori che incidono su
circostanze marginali.
L’errore può avvenire in momenti diversi della realizzazione del reato:
❖ L’errore nella formazione del fatto → cioè nel momento ideativo del reato; questo
nasce da una falsa rappresentazione della realtà -> ignoranza.
❖ L’errore nei mezzi di esecuzione del reato → cioè nel momento in cui la volontà si
traduce in azione.
ERRORE/IGNORANZA SUL FATTO → può essere determinato da un:
• Errore in senso percettivo: Es. il soggetto per sbaglio, crede che ciò che intravede
dietro un cespuglio sia un cinghiale e spara; invece, è un uomo che rimane ucciso →
manca la volontà omicida → reato colposo art 47 cm 1.
• Errore su legge diversa da quella incriminatrice che falsa la rappresentazione del
fatto: Es. Il soggetto crede che il divorzio ottenuto all’estero sciolga il matrimonio
anche in Italia, così si risposa, compiendo il reato di poligamia → ma manca la
consapevolezza di essere legato da matrimonio → reato di bigamia art 556.
ERRORE/IGNORANZA SUL PRECETTO → può derivare:
• Errore in senso percettivo: Es. erronea lettura sulla Gazzetta Ufficiale di una norma
incriminatrice.
• Errore che investe l’interpretazione di una norma incriminatrice: quindi riguarda la
struttura/la forma della norma.
Questo tipo di errore/ignoranza ha una rilevanza molto limitata, che originariamente
veniva esclusa per l’art 5. Rilevanza limitata perché la nostra Costituzione non accetta
ignoranza → la punibilità viene esclusa se l’ignoranza è inevitabile o incolpevole.
L’errore nei mezzi di esecuzione del reato → il nostro codice prevede due ipotesi nel
momento in cui la volontà si traduce in atto:
▪ Reato commesso contro la persona diversa da quella che si voleva offendere: in
questo caso per l’art 81 il colpevole risponde comunque per il dolo, in quanto ha
voluto compiere quel reato e l’identità del soggetto passivo è irrilevante.
▪ Reato diverso da quello che si voleva compiere → il soggetto risponde a titolo di
colpa se è previsto dalla legge come delitto colposo; ma in base all’art 83 il colpevole
risponde anche del fatto voluto, se questo si verifica in aggiunta al fatto non voluto.
1). LEGITTIMA DIFESA → trova fondamento nell’art 52 “Agisce per legittima difesa chi
commette un fatto per necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo
attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.
Quindi, gli elementi essenziali affinché esista legittima difesa sono:
➢ Aggressione ingiusta: l’oggetto dell’aggressione deve essere un diritto o facoltà
giuridicamente protetto, che appartenga a persone fisiche o giuridiche.
L’aggressione deve essere contraria al nostro ordinamento, ed è considerata ingiusta
anche se il soggetto attivo risulta non imputabile (minorenne o infermo di mente).
L’aggressione deve essere un pericolo attuale per il diritto.
➢ Reazione legittima: la reazione affinché sia legittima, deve innanzitutto essere rivolta
verso l’aggressore, e deve essere necessaria per salvare il diritto minacciato.
L’aggredito si deve trovare in una situazione in cui deve scegliere se subire o reagire;
se c’è la possibilità di fuga, la reazione non è legittima.
La difesa deve essere proporzionata all’offesa, in quanto se la reazione è più grave
dell’offesa che si pensa di ricevere, allora la reazione non è più legittima.
4). ESERCIZIO DEL DIRITTO → trova fondamento nell’art 51 secondo il quale non può
essere punito chi, esercitando un diritto, compia atti considerati dalla fattispecie come
reati, in questo modo facendo venir meno l’antigiuridicità del fatto stesso.
Ma vi è un conflitto dato che vi sono norme che disciplinano la stessa situazione di fatto.
Conflitto che può risolversi seguendo 3 diversi criteri:
La sola condotta colposa non basta a ricondurre alla responsabilità medica penale; è
indispensabile che ci sia un nesso eziologico tra il comportamento illecito del medico e il
danno subito dal paziente. Il legame causa-effetto tra condotta ed evento non è, però,
sempre facile da indentificare poiché, spesso, i diversi fenomeni clinici sono possono
presentare complicazioni indipendenti dalla condotta del medico.
In caso di equipe → la responsabilità penale è comunque personale; quindi, ciascun medico
risponderà per colpa dei vari eventi causati, solo se non ha rispettato le regole cautelari del
suo specifico settore, dovendo confidare nel comportamento corretto altrui.
➢ Gli art 92-93 sanciscono lo stato volontario o colposo → nello stato volontario
soggetto è volontariamente in suddetto stato e accetta tale rischio;
nello stato colposo il soggetto è in suddetto stato per negligenza o imprudenza e
poteva evitarlo.
In questi casi è prevista una pena più severa in quanto il soggetto è imputabile e
sanzionabile.
2) MINORE ETA’ → sancita dagli art 97-98. Il nostro ordinamento stabilisce che capacità di
intendere e volere si acquisisce in un processo evolutivo che va dalla nascita alla maggiore
età.
▪ Per coloro che hanno compiuto 18 anni → il soggetto è certamente imputabile tranne
se considerato incapace di intendere e di volere: parliamo di presunzione relativa di
capacità.
▪ Per coloro che hanno meno di 14 anni → il soggetto è sempre non imputabile, e in
alcuni casi verrà valutata la pericolosità: parliamo di presunzione assoluta di
incapacità.
▪ Per coloro che hanno tra 14 e 18 anni → il giudice dovrà valutare caso per caso, non
vi è nessuna presunzione.
Al di sotto dei 18 anni abbiamo due fasce di età:
• Prima dei 14 anni, il soggetto è sempre non imputabile; tuttavia, se il giudice accerta
la sua pericolosità sociale, potrà assoggettarlo ad una misura di sicurezza (riformatorio
giudiziario); non vi è alcun limite per l’applicabilità della misura di sicurezza che.
• Tra i 14 e i 18 anni, sarà necessario un esame caso per caso accertare se il soggetto
aveva la capacità di intendere e di volere. Se il minore è ritenuto imputabile la pena
sarà in misura ridotta e, se il giudice ritiene che sia il caso, possono applicarsi una
volta eseguita la pena, le misure del riformatorio giudiziario o della libertà vigilata.
Al fine di facilitare la redenzione morale dei minori delinquenti è stato consentito di
concedere a costoro i benefici del perdono giudiziale, della sospensione condizionale della
pena, della riabilitazione.
CAPITOLO 7 – LE CIRCOSTANZE DI REATO → sono accessori del reato: si aggiungono alla
fattispecie incriminatrice andando a incidere sulla gravità → nel senso di aggrevare o
attenuare l’entità della pena.
La funzione che soggiace alla disciplina delle circostanze è quella di permettere un migliore
adeguamento della pena in base alla gravità del fatto commesso → rispondendo così
all’esigenza di personalizzazione del trattamento.
La determinazione di limiti extra edittali, definiti tra un minimo e un massimo con cui
gradua la pena, costituiscono gli strumenti di supporto del giudice → in questo modo si ha
la predeterminazione del contenuto tipico e si rispettano le esigenze di discrezionalità e
legalità → circostanze proprie.
Lo stesso fenomeno di previsione legislativa non ha luogo per quelle che sono definite
(proprio per questo motivo) circostanze improprie. La loro individuazione è infatti rimessa al
giudice, laddove l’art. 133 c.p. contiene un elenco generico degli elementi fattuali di cui
dovrà tener conto nell’esercizio del proprio potere discrezionale, ai fini dell’adeguamento
della pena entro i limiti, questa volta, edittali.
Un problema nasce in molti casi in cui il legislatore utilizza espressioni che possono portare
a ritenere di trovarsi in una situazione di circostanza, quando in realtà non è così.
→ a tal motivo il giudice si rifà al criterio interpretativo, secondo il quale si deve individuare
un rapporto di specialità tra la fattispecie semplice e quella circostanziata → cioè le
circostanze devono essere specificate come elementi di una figura del reato.
Originariamente per l’art 59 “Le circostanze, attenuanti o aggravanti, erano imputabili
all’agente obbiettivamente, per il solo fatto di esistere”, ma questo andava contro il
principio di colpevolezza poiché l’agente era soggetto a conseguenze negative anche per
situazioni o fatti di cui non era a conoscenza.
Ma la disciplina dell’art 59 è stata poi modificata, decretando che:
➢ Le circostanze attenuanti si applicano all’agente anche se da lui considerate
inesistenti o sconosciute.
➢ Le circostanze aggravanti sono a carico dell’agente se da lui ignorate o considerate
inesistenti per colpa.
➢ Le circostanze punitive, cioè quelle che il soggetto crede esistente, non hanno
rilevanza.
CLASSIFICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE
Circostanze aggravanti: determinano un aumento “extra edittale” della pena,
aggravandola.
Circostanze attenuanti: determinano una diminuzione “extra edittale”.
Circostanze comuni: applicabili a tutti i reati.
Ogni qual volta la legge si limita a prescrivere che la pena sia aumentata o diminuita, senza
indicarne l'entità, si intende che l'aumento o diminuzione sia fino ad un terzo della pena
base e si è in presenza quindi di circostanze ad effetto comune.
Circostanze speciali: previste per singoli e specifici reati.
Circostanze che determinano un aumento o una diminuzione della pena di oltre un terzo,
che però non viene operato sulla pena ordinaria del reato, bensì sulla pena stabilita per la
circostanza (art. 63).
• Circostanza indipendente → quando c’è una previsione di nuovi limiti edittali.
• Circostanza autonoma → quando viene prevista una specie di pena del tutto nuova.
Circostanze intrinseche: sono quelle attinenti alla condotta e ad altri elementi costitutivi
del fatto tipico.
Circostanze estrinseche: sono estranee alla condotta, consistenti in fatti antecedenti o
successivi che incidono più che altro sulla capacità criminale.
Circostanze oggettive: quelle che concernono i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni
altra modalità dell’azione, la gravità del danno e qualità personali dell’offeso.
Circostanze soggettive: concernono l’intensità del dolo e il grado di colpa, rapporti tra
colpevole e offeso, le qualità personali del colpevole.
ATTENUANTI GENERICHE → sono concesse tutte le volte in cui il giudice decide di tener
conto di alcune circostanze che giustificano una diminuzione della pena decisa durante il
procedimento. (pentimento, buona condotta durante il procedimento, reato poco grave).
Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, le attenuanti generiche sono state
introdotte nel tempo per alleviare le sanzioni che risulterebbero troppo severe. Dunque,
verrebbero concesse quando anche il minimo della pena prevista per legge risulterebbe,
comunque, troppo severa per l'imputato. Le attenuanti generiche, comunque, non vanno
intese come discrezionale concessione da parte del giudice ma come un riconoscimento di
alcune situazioni che meritano di essere prese in considerazione in modo incisivo. Nel
momento in cui il giudice decide di concederle o di negarle, deve comunque sempre
darne motivazione attraverso l'uso corretto del potere discrezionale.
LA RECIDIVA → è sancita dall'art. 99 c.p.: si tratta di quando un soggetto, dopo essere
stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro. Si ha recidiva, quindi,
nel caso di “ricaduta” nel reato.
È quindi una circostanza aggravante soggettiva.
In passato la recidiva era automatica, ovvero era sufficiente la presenza del precedente
penale affinché l’imputato fosse considerato recidivo → con la riforma del ’74 è diventata
facoltativa, il giudice definisce il soggetto recidivo con certi limiti, osservandone la disciplina.
L’art 106 afferma che 1. Agli effetti della recidiva si tiene conto altresì delle condanne per
le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena. 2. Tale disposizione non
si applica quando la causa estingue anche gli effetti penali.
➢ Recidiva aggravata: che comporta un aumento della pena fino alla metà e si
differenzia a sua volta in:
- Aggravata specifica: quando il nuovo delito è della medesima indole del
precedente.
- Aggravata infraquennale: nuovo delitto commesso entro cinque anni.
- Aggravata vera: il nuovo delitto è commesso durante o dopo l’esecuzione del
precedente,
- Aggravata finta: quando il nuovo delitto è commesso durante il periodo in cui il
soggetto si è sottratto all’esecuzione della pena.
➢ Recidiva reiterata: quando il delitto è stato commesso da chi è stato già dichiarato
recidivo e comporta un aumento della pena pari alla metà se la recidiva è semplice;
aumento pari ai due terzi se la precedente è aggravata.
In seguito, la Legge “ex Cirielli”, se da un lato ha seguito la linea della precedente riforma in
ordine al carattere facoltativo della recidiva, sull’altro versante ha posto delle modifiche:
Il problema sollevato dal dolo nel tentativo è se sia ammissibile il dolo eventuale.
Ad esempio: Tizio dà fuoco ad una palazzina prevedendo e accettando il rischio che vi dorma
qualcuno e che muoia; può rispondere - oltre che di incendio - di tentato omicidio con dolo
eventuale?
Secondo una certa opinione la risposta è sì, secondo cui l'elemento soggettivo del tentativo
non può che essere uguale a quello del reato consumato.
In realtà, secondo la dottrina prevalente questa teoria non è esatta.
Perché il punto è che se la condotta deve essere univoca, quando c'è il dolo eventuale la
condotta non è affatto tale. Questo perché, come ha affermato anche la giurisprudenza "il
dolo eventuale implica il dubbio, e il requisito della non equivocità è incompatibile con tale
stato". E quanto alla condotta del reo, questa deve essere diretta ad uno scopo preciso e
non basta la mera accettazione di un rischio.
Per tornare all'esempio, incendiare una palazzina non è un atto diretto ad uccidere.
L’incendiario risponderà a titolo di tentativo di omicidio solo se sapeva con certezza che
dentro la casa dormiva qualcuno, e costui si sia salvato in tempo, ma non se aveva il semplice
dubbio che qualcuno potesse dormirci.
Quanto alla giurisprudenza ha talvolta ammesso la compatibilità tra dolo eventuale e
tentativo, ma più che altro, secondo i commentatori, per esigenze di politica criminale e
quindi di repressione del terrorismo.
Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace alla pena solo per gli atti
compiuti, se costituiscono di per sé un reato.
Il legislatore prevede la non punibilità del tentativo, in quanto c’è la rinuncia a attuare
ulteriori atti per completare il reato.
Parliamo di recesso attivo se il soggetto impedisce volontariamente l’evento, rispondendo
alla pena per il delitto tentato.
Il recesso attivo è una circostanza attenuante soggettiva, dato che l’autore non ha portato
a termine il progetto criminoso (teoria ponte d’oro).
Circostanze attenuanti → l’art 114 c.p., afferma che qualora il giudice ritenga che l'opera
prestata da taluna delle persone che sono concorse nel reato abbia avuto minima
importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato, può diminuire la pena.
La pena può essere diminuita per chi è stato determinato a commettere il reato o a
cooperare nel reato, quando concorrono le condizioni dovute all’età, alle condizioni
psichiche o ai rapporti di supremazia. Deve questo esser del tutto marginale e di così lieve
efficienza causale da risultare quasi trascurabile rispetto all'evento.
IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO PROPRIO → Si definisce “proprio” quel reato che
può essere commesso solo dal soggetto in possesso della qualifica richiesta dalla norma
penale incriminatrice, il quale è l’unico in grado di integrare l’illecito.
➢ Secondo l’art 47 se il concorrente nel reato è consapevole dell’altrui qualifica,
entrambi risponderanno di reato proprio.
CLASSIFICAZIONE DELLE PENE → secondo l’art 20 c.p. si distinguono due tipi di pene:
1). PENE PRINCIPALI → che sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna, e
variano in base a che si tratti di:
LE CIRCOSTANZE → in quanto elementi accessori del reato, rendono la pena sempre più
individualizzata. Con questo il legislatore consente al giudice di diminuire o aumentare la
pena oltre i limiti edittali.
Solo dopo che il giudice ha stabilito la pena- base (ovvero quella che il giudice avrebbe applicato
se la circostanza non si fosse verificata) secondo i parametri fissati dall'art. 133, potrà lo stesso
applicare gli aumenti o le diminuzioni di pena, corrispondenti alle circostanze aggravanti o
attenuanti, specificando le ragioni della propria scelta.
➢ Se concorre una sola circostanza, il giudice aumenta o diminuisce la pena base.
SANZIONI SOSTITUIVE DELLE PENE DETENTIVE BREVI → Con la legge 639 si è aggiunta
un’altra tipologia di sanzioni penali → le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi:
hanno la funzione di far evitare il carcere per reati non gravi e favorire il reinserimento
sociale.
SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA → è una causa di estinzione del reato che
trova la propria disciplina negli art. 163 - 168 c.p.
In particolare, si tratta di un istituto per la cui applicazione è richiesta la pronuncia da parte
del giudice di una sentenza di condanna alla pena di reclusione o dell'arresto della quale, in
presenza di determinati presupposti, ne sospende l'esecuzione per un periodo di tempo
predeterminato dalla legge, a condizione che il reo non commetta altri reati.
➢ Se la pena detentiva non supera i due anni (tre per i minori), il giudice può disporre la
sospensione condizionale della pena.
➢ Se poi trascorsi cinque anni (due per le contravvenzioni) il reo non commette altri reati
e adempie agli obblighi prescritti, la condanna non viene eseguita e il reato si
estingue.
➢ Nel caso in cui non vi sia stato adempimento degli obblighi imposti o il reo abbia
commesso altri reati della stessa indole, la sospensione condizionale della pena verrà
revocata con la conseguenza che le pene irrogate con la sentenza di condanna
verranno eseguite.
La sospensione della pena può essere applicata per → pene principali, accessorie e sanzioni
punitive.
➢ Può essere concessa solo una volta. Salvo se la pena da infliggere, cumulata alla
precedente, non supera due anni di pena detentiva.
➢ È subordinata alla valutazione di gravità del danno e dalla capacità a delinquere del
reo, oltre che al risarcimento del danno e alla riparazione delle conseguenze dannose
del reato.
All’interno della categoria del concorso materiale si rinviene la particolare figura del reato
continuato disciplinato dall’ articolo 81, comma 2 c.p. Tale figura è disciplinata in modo
autonomo rispetto al concorso di reati. Elementi costitutivi del reato continuato 1) Una
pluralità di azioni o omissioni; 2) Più violazioni di legge; 3) Il medesimo disegno criminoso.
Il reato continuato si configura quando un soggetto “viola una o più disposizioni di legge,
con azioni diverse, per realizzare un medesimo disegno criminoso”.
Ad esempio, per sequestrare Caio, Tizio picchia la guardia del corpo, ruba un’auto e trattiene
Caio per diversi giorni; in tal caso commette il delitto di lesioni, sequestro di persona e furto.
Si tratta di tre reati, ma realizzati con l'unico scopo di sequestrare Caio.
Maggiore è la distanza di tempo che intercorre tra le varie azioni, maggiore sarà la prova del
proposito criminoso (e quindi più grave sarà, presumibilmente, la pena irrogata).
Il disegno criminoso è l’elemento che distingue l'ipotesi del concorso materiale da quella del
reato continuato. Se Tizio commette più reati senza uno scopo unitario si ha concorso
materiale; se invece gli stessi reati sono commessi con un unico scopo allora abbiamo reato
continuato.
-Remissione della querela art 152 c.p. → la querela è la richiesta da parte dell’offeso di
punire il colpevole. La remissione è la dichiarazione di volontà contraria che revoca la
querela, e può essere: 1) tacita, se il querelante compie fatti incompatibili con la volontà di
chiedere l’accertamento penale del colpevole; 2) espressa, cioè detta o scritta.
-Prescrizione del reato art 157/172 → La prescrizione del reato determina l'estinzione
dello stesso reato sul presupposto del trascorrere di un determinato periodo di tempo.
I reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo, strage, crimini contro l’umanità, sono
imprescrittibili. L'art. 157 c.p. disciplina il tempo necessario a prescrivere un reato in
considerazione della pena stabilita.
La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena
edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di
delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena
pecuniaria. La prescrizione può essere oggetto di sospensione (nel caso il termine ricomincia
a decorrere dal momento della sospensione) o interruzione (nel caso il termine ricomincia a
decorrere nuovamente dal momento dell'interruzione).
-Oblazione art 162 c.p. → è un pagamento volontario di una somma di denaro che ha come
effetto l’estinzione del reato; è prevista solo per contravvenzioni, cioè tra i reati meno gravi
per i quali il Codice penale prevede la pena dell’arresto o dell’ammenda. Si definisce anche
infatti un rito alternativo al giudizio.
-Sospensione condizionale della pena art 163: è quando il giudice ordina che l’esecuzione
della pena, inflitta con sentenza definitiva, venga sospesa per un certo periodo.
• SE in questo periodo il soggetto non commette nuovi reati, si ha la sospensione del
reato.
• SE in questo periodo il soggetto commette nuovi reati, la sospensione viene revocata
e il soggetto sconterà la pena.
La sospensione avviene per → 5 anni per i delitti; 2 anni per le contravvenzioni.
-Perdono giudiziale art 169 c.p.: Il perdono giudiziale è una causa di estinzione del reato
prevista solo per i minori di diciotto anni, ma che abbiano compiuti quattordici nonché l’età
minima prevista per l’imputabilità.
Si chiama "perdono" poiché il giudice, anche se accerta che il minore ha commesso il reato,
lo assolve con sentenza irrevocabile.
• Il giudice deve ritenere che il minore si asterrà dal commettere ulteriori reati dopo
aver valutato la gravità del reato commesso;
• Non può essere concesso se il minore art 164: è stato condannato in precedenza per
un delitto (anche se è intervenuta la riabilitazione), né al delinquente o contravventore
abituale o professionale.
• Non può in ogni caso essere concesse per più di una volta.
-L’indulto art 174 c.p.: è un provvedimento generale che si limita a condonare (scusare,
perdonare), in tutto o in parte, la pena inflitta senza che vi sia la cancellazione del reato.
L’indulto opera sulla quantità e qualità della pena residua da scontare:
• Indulto proprio: il beneficio è applicato nella fase esecutiva della pena.
• Indulto improprio: cioè quando viene applicato dal giudice stesso durante l’emissione
della sentenza.
-Grazia art 174 c.p.: è un provvedimento di clemenza individuale, di cui beneficia soltanto
un determinato condannato detenuto. In questo caso la pena principale è condonata in
tutto o in parte, con o senza condizioni, oppure è sostituita con una pena meno grave.
-Prescrizione della pena art 172 c.p.: che disciplina l'estinzione della reclusione e della
multa per decorso del tempo.
In particolare, la reclusione si estingue una volta che sia decorso un tempo pari al doppio
della pena inflitta. Ad esempio, in caso di condanna a dieci anni di reclusione, la pena si
estingue e, quindi, non può più essere portata a esecuzione trascorsi venti anni.
La multa, invece, si estingue sempre e comunque dopo dieci anni, a prescindere dalla sua
entità.
In alcuni casi, il trascorrere del tempo non è un elemento sufficiente a determinare
l'estinzione della pena della reclusione o di quella della multa. La pena, infatti, è
imprescrittibile se vi sono motivi di ritenere che la stessa continua ad avere senso anche
dopo che siano trascorsi diversi anni dalla commissione del fatto di reato che ne ha
determinato l'applicazione.
Infatti, non possono "beneficiare" dell'estinzione della pena i recidivi, i delinquenti abituali,
professionali o per tendenza.
-Liberazione condizionale art 176 c.p.: è un premio concesso dal tribunale di sorveglianza
al condannato perché durante il periodo di carcerazione ha tenuto un comportamento tale
da far ritenere sicuro il suo ravvedimento.
Il condannato deve aver scontato una parte consistente della pena → si applica prima la
libertà vigilata, e poi si sospende la pena che rimane da scontare.
-Non menzione della condanna: l giudice può ordinare in sentenza che non sia fatta
menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale richiesto da privati: i
precedenti penali vengono così (teoricamente) resi non conoscibili a terzi: impedendo che
terzi possano avere conoscenza dei precedenti penali del soggetto.
Si tratta di un istituto lodevole nelle intenzioni, ma praticamente inutile nella pratica: le
condanne risultano comunque nella fedina penale e l'autorità giudiziaria ne è quindi a
conoscenza
Scopo del casellario giudiziale è di documentare i precedenti penali di ogni soggetto.
Il beneficio della non menzione nel casellario giudiziale può essere concesso se, con
una prima condanna, è inflitta, alternativamente, una pena:
• detentiva non superiore a due anni di reclusione;
• pecuniaria non superiore a 516,00 euro.
• detentiva non superiore a due anni ed una pecuniaria che, sommata alla pena
detentiva, priverebbe complessivamente il condannato della libertà personale per un
tempo non superiore a trenta mesi.
La non menzione della condanna non è una vera e propria causa di estinzione della pena.
Deve essere intesa piuttosto come una sospensione, a tempo indeterminato, di un effetto
della pena. Qualora il condannato commetta successivamente un delitto, il beneficio di non
menzione nel casellario giudiziale verrà revocato di diritto.
-Riabilitazione art 178 c.p.: La persona che desidera cancellare gli effetti di una condanna
penale, ripulendo la sua fedina penale e tornando a essere (quasi) come un incensurato, può
chiedere la riabilitazione: questa non è atto non di clemenza, ma di giustizia, dato che chi si
trova nelle condizioni previste dalla legge ha un vero e proprio diritto alla riabilitazione.
Le condizioni per ottenere la riabilitazione sono:
1. decorso di un certo periodo di tempo (almeno 3 anni dalla espiazione / estinzione
della pena);
2. buona condotta;
3. pagamento delle spese processuali e degli obblighi risarcitori derivanti dal reato
(obbligazioni civili);
CAPITOLO 13 – LA PERSONA OFFESA DAL REATO → l’art 90 disciplina il titolare del bene
giuridico leso dalla violazione della norma giuridica che lo tutela. → parliamo del soggetto
passivo del reato.
Diviene parte civile se la persona danneggiata dal reato, si costituisce nel processo
esercitando così l'azione risarcitoria. Spesso le due figure coincidono; tuttavia, vi sono dei
casi in cui ciò non avviene: ad esempio nel caso dell'omicidio la persona offesa è la vittima,
ma le persone danneggiate con facoltà di costituirsi parte civile sono i suoi familiari.
• Reati a soggetto passivo determinato → ossia quelli in cui è individuabile il titolare
del bene giuridico tutelato. Es. omicidio, truffa, lesioni.
• Reati a soggetto passivo indeterminato → in cui l'interesse leso appartiene alla
generalità o ad ampie categorie di soggetti. Es. delitti contro l'incolumità pubblica.
• Reati senza soggetto passivo → in cui viene incriminato un determinato
comportamento ritenuto potenzialmente pericoloso, ma senza che sia stata compiuta
un’offesa ad un interesse specifico. Es. reato di porto abusivo.
Di solito al soggetto passivo viene anche affiancato lo Stato, considerato come un soggetto
passivo generico e costante di ogni illecito penale, perché ogni volta che viene commesso
un reato, si verifica una lesione dell’interesse pubblico.
L'oggetto giuridico del reato → è il bene o l'interesse protetto dalla norma penale. Ad
esempio, nel delitto di omicidio l'oggetto giuridico è la vita umana, bene protetto dalla
norma penale che punisce chiunque cagiona la morte di un uomo.
Ha una funzione di garanzia perché svolge una funzione di garanzia perché delimita
l’oggetto della tutela penale.
E’ frequente che il soggetto passivo presenti delle predisposizioni vittimali che lo rendono
particolarmente suscettibile all’attacco di alcune aggressioni. Esse si distinguono in:
➢ Fattori di natura fisica: età senile, menomazioni fisiche, sesso femminile.
➢ Fattori socio-ambientali: minoranze etniche.
➢ Fattori inerenti a precedenti rapporti con l’autore del reato → infatti, spesso reo e
vittima sono legati da interazioni.
-SE la scelta della vittima è data dal caso, il grado diventa massimo.
-SE il reo agisce in base ai suoi legami pregressi con la vittima, le circostanze ambientali e
relazionali hanno un ruolo fondamentale → es. marito uccide la moglie che era con l’amante.
-SE un soggetto agisce per deviazione, il delitto è frutto di fattori casuali e il rischio di
reiterazione è molto alto (compiere di nuovo reati) → questo perché per il reo non è rilevante
l’identità della vittima es. serial killer.
LA POSIZIONE DELLA PERSONA OFFESA NEL PROCEDIMENTO PENALE → l’offeso può
svolgere una funzione di:
➢ Supporto: rispetto ai poteri d’indagine del pubblico ministero.
➢ Controllo: nel caso di inattività del pubblico ministero.
Secondo l’art 101, la persona offesa ha diritti e la facoltà di essere affiancata da un
difensore, il quale assiste le varie fasi del processo penale.
Ha inoltre il diritto di querela, che è l’atto con cui la persona offesa dal reato manifesta la
volontà di perseguire penalmente il fatto costituente reato che essa stessa abbia subito.
Due sono gli elementi di cui si compone la querela:
1) la notizia di reato.
2) la manifestazione della volontà che si proceda penalmente in ordine al reato.
Al contrario, la denuncia può essere presentata da chiunque e non deve contenere
necessariamente una manifestazione di volontà.
Il diritto di querela deve essere esercitato entro il termine di tre mesi dal giorno in cui la
persona offesa ha avuto notizia del fatto che costituisce il reato. Il termine si allunga a sei
mesi per i delitti contro la libertà sessuale.
Inoltre, la volontà punitiva dell’offeso deve essere sempre presente per tutto il processo
penale → in caso contrario, il codice permette:
➢ La rinuncia → dichiarazione irrevocabile proveniente da colui al quale spetta
l'esercizio del diritto di querela, nel periodo successivo alla commissione del reato.
➢ Da non confondere con la rimessione → dichiarazione con cui un soggetto revoca la
querela precedentemente presentata prima che intervenga la condanna penale.
LO STALKING (DELITTO DEGLI ATTI PERSECUTORI)
La fattispecie di “atti persecutori” è sancita dall’art. 612-bis c.p. → punisce con la reclusione
da sei mesi a cinque anni chiunque minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un grave
stato di ansia o paura, tanto da temere per l’incolumità propria o altrui, e costringere lo
stesso ad alterare le abitudini di vita.
Il fenomeno è meglio noto come “stalking”, termine che deriva dal verbo inglese “to talk” e
che significa letteralmente “avvicinarsi di soppiatto alla preda”; nel linguaggio comune è
usato nel senso di “perseguitare”, “molestare”, “disturbare”.
In via di prima approssimazione, si può dire che lo stalking sia il comportamento volto ad
imporre una relazione a un altro individuo (che tale relazione non vuole); codesto
comportamento è caratterizzato da condotte intrusive, molestie e minacce, tali da suscitare
nella vittima disagio, fastidio, angoscia e paura.
Edge sostiene che un persecutore segue la sua vittima come lo fa una persona innamorata
con il proprio partner, o come un bambino con il proprio genitore; però, la grande differenza
sta nel fatto che la vittima di una persecuzione non desidera essere inseguita → si tratta di
una relazione a struttura conflittuale (non reciproca).
I comportamenti riconducibili all’art. 612-bis c.p. possono ricondursi a 3 diverse tipologie:
• Putting people in fear of violence: ipotesi più grave, consiste nel provocare in un’altra
persona, tramite una serie di condotte, il timore di subire una violenza. Anche in questo caso
si richiede il dolo o la colpa.
Manifestazione dello stalking:
1.STALKING EMOTIVO → è quello più comune. I protagonisti sono collegati da una relazione
di tipo affettivo, che si è conclusa per decisione di uno dei due (solitamente la donna), non
condivisa dall’altro.
Colui che è rifiutato comincia a minacciare e a perseguire l’altra persona per indurla a
cambiare idea, oppure per punirla in qualche modo per ciò che ha fatto. All’origine del
fenomeno vi è dunque l’incapacità di accettare il rifiuto.
Si dice che siano questi anche i casi in cui più elevato è il rischio di violenza, proprio a causa
del fatto che il persecutore e vittima si conoscono reciprocamente.
2. STALKING DELLE CELEBRITA’→ in questi casi il molestatore è animato da un sentimento
di ammirazione eccessiva, e la star diventa oggetto di culto. Tra persecutore e vittima non
vi è stata alcuna precedente relazione. Questo genere di stalking è motivato dal desiderio
dello stalker di conquistare una sorta di riconoscibilità da parte della star, cioè la vittima.
3. STALKING OCCUPAZIONALE → è la variante più grave delle persecuzioni sul posto di
lavoro, in quanto le persecuzioni si ripercuotono (al pari delle altre forme di manifestazione dello
stalking) nella vita quotidiana e nella sfera privata della vittima, e non solo sul posto di lavoro.
• AMBIENTE: le operazioni dello stalker prendono luogo nella vita privata della vittima →
lo stesso termine “stalking” indica una persecuzione totale.
• FREQUENZA E DURATA: la ripetitività delle condotte è ciò che contraddistingue lo
stalking. Ci si chiede però quale sia la frequenza e la durata necessaria affinché si possa
parlare davvero di stalking.
Una ricerca tedesca evidenzia che quasi tutti i casi di stalking sono attuati con cadenza
almeno settimanale → frequenza.
Per la durata Edge ritiene che il minimo dovrebbe essere di 3 mesi (durata) → questo perché
la dottrina per il mobbing ha richiesto una durata minima di 6 mesi, e dato che tra mobbing
e stalking vi sono delle grandi differenze, ha ritenuto plausibile fissare il limite minimo
esattamente della metà di quello del mobbing, data la maggiore gravità dello stalking.
Sulle basi della frequenza minima e della durata → emerge che 12 è il numero minimo di
azioni affinché si possa parlare di stalking (tale soluzione prospettata da Ege, pur essendo logica,
non si riflette pertanto nelle decisioni dei giudici).
• TIPO DI AZIONI: nonché azioni violente: fisica, sessuale, psicologica, sociale, economica.
• DISLIVELLO TRA GLI ANTAGONISTI: la vittima, rispetto al persecutore, si trova in una
condizione di costante inferiorità. Lo stalker ha la possibilità di colpire quando e come vuole,
mentre la vittima non ha la minima possibilità di difendersi adeguatamente.
• INTENTO PERSECUTORIO: l’intento dello stalker può essere affettivo o distruttivo.
Volendo tracciare un identikit del molestatore assillante: si può dire che generalmente si
tratta di un individuo di sesso maschile, adulto, con una precaria situazione lavorativa, di
media istruzione, incapace di accettare il rifiuto, l’abbandono e la separazione; è un
individuo il cui tratto più ricorrente è quello dell’antisocialità.
Tuttavia, si è evidenziato che non esiste un unico profilo dello stalker. Sono state prospettate
varie classificazioni dei molestatori assillanti:
• RIFIUTATO → è colui che reagisce alla conclusione indesiderata di una relazione intima, e
le sue azioni mirano a ripristinarla o a vendicarsi per il rifiuto subito, o ad entrambe le finalità.
È considerato uno degli stalker più pericolosi.
• AMANTI OSSESSIVI: neppure costoro hanno avuto una relazione con la propria vittima. In
questo gruppo rientrano coloro i quali non ritengono che i propri sentimenti siano
corrisposti dalla vittima; sono per lo più persone affette da schizofrenia o disturbo bipolare.
• SEMPLICI OSSESSIVI o INSEGUITORI OSSESSIVI: sono soggetti che hanno avuto una
pregressa relazione con le loro vittime, una relazione che può essere non solo sentimentale,
ma anche di lavoro, professionale, di vicinato o di semplice conoscenza. È la categoria più
numerosa (60% dei casi di stalking).
La c.d. “teoria dell’attaccamento” cerca di spiegare la genesi dello stalking. Bisognerebbe
risalire al rapporto che l’individuo aveva durante l’infanzia con i propri “caregiver” primari
→ “colui che si prende cura” e si riferisce naturalmente a tutti i familiari. Un caregiver
presente fa sì che il bambino possa acquisire un senso di sicurezza; se invece è assente o lo
abbandona, questo svilupperà probabilmente un modello di attaccamento insicuro.
La vittima è la persona, per lo più di sesso femminile e di età compresa tra i 19-39 anni, che
subisce le molestie assillanti. Molto più rari sono i casi di uomini perseguiti da donne.