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CAPITOLO 1 - PRINCIPIO DI LEGALITA’

La materia delle fonti del diritto penale è regolata da un principio fondamentale, il principio
di legalità → in base al quale nessuno può essere punito se un fatto non è considerato reato
da un'apposita legge, ed è sancito dall'art 25 della Costituzione e dagli art 1 e 199 del Codice
penale.
L' art 25 Cost afferma: "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia
entrata in vigore prima del fatto commesso; nessuno può essere sottoposto a una misura di
sicurezza se non nei casi previsti dalla legge".
L' art 1 C.P afferma che "Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente
preveduto dalla legge come reato, né con pene che non siano da essa stabilite".
L'art 199 C.P afferma "Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano
espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa preveduti".
Ovviamente questo non significa che il giudice non abbia un certo potere discrezionale nel
fissare la misura della pena; ma significa che il principio di legalità è rispettato se il legislatore
preveda un minimo e un massimo edittale per ogni crimine. E il rispetto di tale principio
comporta anche che lo spazio edittale debba per forza oscillare entro un minimo e un
massimo ragionevoli.
Il principio di legalità svolge una funzione di garanzia per i cittadini, perché in tal modo tutti
sono in grado di sapere quali fatti sono vietati e quali sono permessi. Ma vi è anche uno
svantaggio, dato che questo principio vieta di punire condotte non previste dalla legge come
reati anche se sono antisociali e pericolose → in questo modo, sfruttando questa
imperfezione, vi è chi riesce comunque a delinquere.
In contrapposizione al P. di legalità nasce il principio di legalità sostanziale, il quale
considera reato anche un fatto antisociale non espressamente previsto dalla legge, cioè un
comportamento contrario ai valori fondamentali della società.
Il principio di legalità si articola in 3 sottostanti principi:
1). IL PRINCIPIO DELLA RISERVA DI LEGGE → il quale comporta il divieto di punire un fatto
se esso non è espressamente considerato reato da una specifica norma di legge: esso,
quindi, esclude dalle fonti del diritto penale le fonti scritte e le fonti scritte diverse dalla
legge (ordinamenti, ordinanze).
Il monopolio normativo viene attribuito al potere legislativo → ciò significa che solo la legge
statale può essere fonte di diritto penale, elevando un fatto a reato e prevedendone la
sanzione da applicare.
Svolge un ruolo di garanzia per cittadini dall’uso della forza da parte dello Stato. Ciò avviene
affidando il potere punitivo all’organo di maggiore legittimazione democratica nonché il
Parlamento → luogo della dialettica tra minoranza e maggioranza che rende possibile un
controllo democratico. Questa garanzia viene inoltre assicurata dalla Corte costituzionale,
attraverso il giudizio di legittimità costituzionale.
La stessa garanzia, invece, non potrebbe essere assicurata per mezzo delle fonti secondarie
(regolamenti, consuetudini, ecc.) che esporrebbero i cittadini all'arbitrio del potere
esecutivo o del potere giudiziario.
• Fonti primarie leggi ordinarie dello Stato e atti aventi forza di legge, leggi regionali.
• Fonti secondarie regolamenti governativi, regolamenti regionali e degli enti locali.
Le fonti secondarie possono specificare da un punto di vista tecnico il contenuto di elementi
già delineati in sede legislativa, senza sottrarre al legislatore le decisioni finali. → hanno
inoltre un importante ruolo nell’integrare il diritto penale nella realtà sociale.
La riserva di legge nella norma penale si distingue tra:
PRECETTO
PRECETTO → nonché il divieto SANZIONE → nonché la
di compiere un determinato conseguenza al mancato rispetto
atto o di cagionare o del precetto
determinato evento
la quale può essere applicata
può essere specificato da SOLO da autorità legislative
autorità NON legislative dette
Fonti secondarie.

Norma perfetta → precetto e sanzione ben definite;


Norma penale in bianco → sanzione ben definita, precetto con carattere generico la cui
specificazione è affidata alle fonti secondarie.
In fine, il carattere assoluto della riserva di legge viene rispettato purché lo Stato indichi
“caratteri, presupposti, contenuto e limiti dei provvedimenti delle fonti secondarie”.
La fattispecie penale può dunque essere determinata solo dalla legge: per legge si intende
non solo la legge ordinaria, ma anche i decreti-legge e le leggi delegate, dato che la stessa
Costituzione riconosce a tali atti la medesima efficacia delle leggi ordinarie. E difatti varie
volte sono stati emanati decreti-legge in materia penale, come i cosiddetti decreti
anticriminalità e antiterrorismo.
La legge delegata, però, finisce per affidare all'esecutivo la regolamentazione della
fattispecie penale; ancora peggio i decreti-legge, che devono essere emanati sul
presupposto della necessità e dell'urgenza, vanno contro quelle "esigenze di ponderazione
che non possono essere eluse in sede di criminalizzazione delle condotte umane" → quindi,
se il principio della riserva di legge serve anche ad assicurare un controllo delle minoranze
sull'operato della maggioranza, i decreti-legge in particolare, eludono completamente
questa esigenza perché sono emanati dal solo potere esecutivo.
Tuttavia, i decreti-legge e le leggi delegate sono molto frequenti; cosicché alcuni autori
hanno proposto di adottare un compromesso anche se poco accettabile: cioè che il decreto-
legge non sia applicabile fino a che non sia convertito in legge, altrimenti si violerebbe sia il
principio di legalità, sia l'art 101 della Costituzione (secondo cui il giudice può essere sottoposto
solo alla legge). Di conseguenza il giudice, in attesa della conversione in legge, dovrebbe
sospendere il processo.
Ma quest'ultima tesi, indubbiamente, anche se dettata da esigenze di rispetto del principio
di legalità, non può essere accolta; anche perché il principio della soggezione del giudice alla
legge non viene violato, perché hanno valore di legge anche i decreti-legge, ancorché siano
emanati dal potere esecutivo.
La dottrina dominante esclude le leggi regionali dalle fonti della legge penale. Tale
esclusione può essere giustificata con vari argomenti. Per esempio:
La restrizione dei beni fondamentali della persona è un atto così importante che non può
che essere lasciata allo Stato.
La restrizione della libertà, inoltre, non può che essere uniforme su tutto il territorio
nazionale a meno che non si violi l’art 3 della Costituzione.
L'art 120 della Costituzione, poi, vieta alle regioni di adottare provvedimenti che sono di
ostacolo al libero esercizio dei diritti da parte dei cittadini.
Riserva di legge e sentenze della Corte costituzionale
Il principio di riserva di legge costituisce un limite generale alla possibilità per la Corte
costituzionale di emettere sentenze da cui derivi un effetto sfavorevole per il reo. In altri
termini, la Corte costituzionale non può introdurre nuove incriminazioni, non può neppure
estendere quelle esistenti a casi non previsti, né emettere decisioni che peggiorano il regime
sanzionatorio del reo. Tutte queste decisioni sono riservate alla esclusiva discrezionalità del
legislatore.

2). PRINCIPIO IRRETROATTIVITA’ art 25 Cost, art 2 CP


Introduzione al principio: i limiti temporali all’applicabilità della legge penale
Nel nostro Stato vi è la fondamentale esigenza di assicurare che il cittadino sia in grado di
conoscere, prima di agire, se dal suo comportamento potrà derivare una responsabilità
penale e, eventualmente, quali siano le sanzioni in cui potrà incorrere. Solo sulla base di
queste condizioni il cittadino può compiere libere scelte di azione.
Nel nostro ordinamento vige il principio di irretroattività della legge penale tale per cui,
nelle ipotesi di successione di leggi nel tempo, “nessuno può essere punito se non in forza di
una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
COMMA 1 → Principio di IRRETROATTIVITA’ della legge penale SFAVOREVOLE →
secondo cui la legge può punire solo i fatti commessi dal momento della sua entrata in
vigore. Svolge una funzione di garanzia del singolo cittadino in quanto permette di
conoscere quali comportamenti sono considerati reati, di calcolare le relative conseguenze
penali, e opporsi a un eventuale ’abuso punitivo.
“Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu
commesso, non costituiva reato”
COMMA 2 → Principio RETROATTIVITA’ della legge penale FAVOREVOLE →
stabilisce l'efficacia retroattiva del c.d. abolitio criminis: qualora sopravvenga l'abrogazione
di una precedente norma incriminatrice sotto la cui vigenza è stato commesso il fatto, il suo
autore non potrà più essere condannato e, se è già intervenuta la condanna, ne cessano
l'esecuzione e tutti gli effetti penali.
Si applica il principio della retroattività della legge favorevole al reo, poiché sarebbe illogico
continuare a punire l’autore di un fatto che l’ordinamento non ritiene più antigiuridico.
“Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce
reato”
3). PRINCIPIO DI TASSATIVITA’-DETERMINATEZZA → indica il dovere per il legislatore di
procedere ad una precisa determinazione della fattispecie legale nel momento della
creazione della norma, affinché risulti tassativamente stabilito ciò che è reato e cosa non lo
è.
Inoltre, indica il divieto per il giudice di ricorrere alla c.d. analogia → cioè applicare la
fattispecie penale a casi da essa non espressamente previsti, cioè analoghi. Tale divieto
svolge una funzione garantista in quanto viene escluso il rischio che il giudizio si basi su
valutazioni del giudice arbitrarie ed extragiuridiche.
Il principio di tassatività, nella sua interezza considerato, postula e presuppone quello di
determinatezza, senza la quale si avrebbe una forma di analogia anticipata.
La determinatezza assicura la conoscibilità del precetto, condizione necessaria affinché
l’autore possa considerarsi colpevole e responsabile. Funzione di garanzia sotto 2 aspetti:
1). Profilo sostanziale → più è precisa e netta la descrizione dei comportamenti criminosi,
più è semplice l’interpretazione della norma stessa (e come detto, si limita la discrezionalità del
giudice);

2). Profilo processuale → la determinatezza consiste nell’individuazione del confine tra


lecito e illecito, nonché il presupposto dell’esercizio della difesa.
Anche la descrizione della pena deve essere determinata, cioè la sanzione che segue il
precetto; il legislatore, infatti, deve stabilire un minimo e un massimo edittale.
Mentre al giudice è lasciato il potere di individuare la giusta misura per il caso concreto,
tenendo conto dell’art 133 (intensità del dolo, gravità del danno) → in tal modo viene garantito
il principio di eguaglianza e la possibilità di applicare una pena quanto più personale
possibile.
L’EFFICACIA DELLA LEGGE PENALE NELLO SPAZIO → si rifà al principio di territorialità art 3
c.p. il quale stabilisce che “chiunque commette un reato nel territorio italiano viene punito
con la legge italiana”. Ai sensi dell’art. 4 c.p. è territorio dello Stato – ai fini della legge penale
– il territorio della Repubblica ed ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato.
Parliamo di Locus commissi dellicti quando il reato (l’azione o omissione) è posto in essere
“all’interno” del territorio dello Stato. Vi sono però delle eccezioni, ovvero quei reati
commessi all’estero ma soggetti alla legge italiana:
- Art 7: reati commessi contro la personalità dello Stato, falsità monete, contraffazione,
o altri reati che prevedono l’intervento della legge italiana;
- Art 8: delitti politici (puniti dal Ministro della Giustizia) e si distinguono in:
° oggettivamente politici → offendono interessi dello Stato;
° soggettivamente politici → determinati da motivi politici.
L’EFFICACIA DELLA LEGGE NEL PERSONALE → trova fondamento nell’art 3 cm 1 il quale parla
“dell’obbligatorietà delle legge penale, salvo le eccezioni stabilite dal diritto pubblico italiano
o internazionale”.
Con il termine immunità si indica il fenomeno giuridico in forza del quale determinati
soggetti, per l’ufficio pubblico che ricoprono, sono sottratti alle conseguenze sanzionatorie
penali derivanti da un illecito di cui gli stessi si siano resi autori.

CAPITOLO 2 – REATO COME ILLECITO


Il reato è un fatto vietato dalla legge sotto la minaccia dell’inflazione di una sanzione.
L’illecito civile ha come conseguenza le sanzioni civili (risarcimento, restituzioni). Il reato invece
è un torto sanzionato con la pena, che è più severa.
PENA PECUNIARIA: consiste in pagamento di PENA DETENTIVA: consiste nella privazione
denaro e prende il nome di: della libertà e prende il nome di:
- ammenda per le contravvenzioni; - arresto per le contravvenzioni;
- multa per i delitti. - reclusione/ergastolo per i delitti.
Se il condannato non può pagare la somma
di denaro, essa si converte in reclusione.

Innanzitutto, bisogna sottolineare che il diritto punitivo è composto da buona parte dai reati
penali, ma non riguarda esclusivamente fatti criminali in senso stretto. In tale categoria,
infatti, rientra anche il cosiddetto diritto punitivo amministrativo che prevede punizioni
diverse, come ad esempio pene pecuniarie, o il ritiro della patente.
La libertà controllata comporta la sospensione della patente e il divieto di allontanarsi dal
comune di residenza: se non vengono rispettate tali prescrizioni si converte in eguale
periodo di reclusione o arresto → consiste quindi in una limitazione potenziale o effettiva.
Per l’illecito amministrativo invece si procede all’esecuzione forzata dei beni, o, se insolubile
tale procedura di arresta senza convertirsi in limitazione della libertà.
In quanto le sanzioni toccano il bene supremo della libertà personale, la Costituzione detta
alcuni principi garantisti: riserva di legge, irretroattività, tassatività.
Non meno importante è il principio di personalità della responsabilità penale (art 27 Cost)
in base al quale non basta che un soggetto abbia compiuto materialmente il fatto, ma per
poter essere rimproverato è necessario che lo abbia voluto compiere o non lo abbia evitato
pur potendo.
CAPITOLO 3 – ELEMENTI OGGETTIVI DEL REATO
All’interno della fattispecie, il legislatore indica sempre gli elementi costitutivi del reato,
ovvero quelli che non possono mai mancare. Affinché un reato esista oggettivamente è
necessario che esso sia compiuto in assenza di cause di giustificazione che vedono il fatto
come lecito.
Infatti, il reato si basa su tre elementi, cioè una concezione tripartita:
• Tipicità → consiste nella conformità del fatto concreto alla fattispecie penale. Il
fatto è tipico quando possiede tutti gli elementi costitutivi necessari perché si verifichi
un illecito penale.
• Antigiuridicità → mancanza di cause di giustificazione;
• Colpevolezza → responsabilità del soggetto per il fatto commesso.
Quindi, gli ELEMENTI OGGETTIVI del reato sono:
1). SOGGETTO ATTIVO → è la persona umana che la norma indica come potenziale autore
di un fatto illecito:
▪ Nei reati comuni viene indicata come “chiunque”;
▪ Nei reati propri invece si riferisce a una determinata categoria di soggetti.
2). CONDOTTA → è la commissione di un fatto, che può essere:
▪ Un’azione: che sotto il profilo normativo consiste nel fare ciò che è vietato,
provocando un reato d’azione;
▪ Un’omissione: che consiste in un comportamento inattivo, ovvero non fare ciò che
deve essere fatto, provocando un reato di omissione.
- Reato omissivo improprio: si realizza quando un soggetto attivo non impedisce il
verificarsi di un evento.
- Reato omissivo proprio: si realizza quando un soggetto non ha avuto un
comportamento adatto.
Per fare un esempio concreto che chiarisca meglio questo concetto: l’omicidio commesso
da un assassino viene punito nello stesso modo di chi lascia morire una persona in modo
cosciente, senza intervenire in qualsiasi forma o possibilità.
➢ Reato a condotta vietata: ossia quando la norma descrive dettagliatamente la
condotta vietata → Es. reato di truffa art 640: “Chiunque, con artifizi e raggiri,
procura a sé o ad altri ingiusto profitto con altrui danno”.
➢ Reato a condotta libera: dove la norma non descrive dettagliatamente la condotta,
ma enuncia l’evento che non deve verificarsi → Es. reato di omicidio art 575:
“Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad
anni ventuno”.
3). EVENTO → è la modificazione della realtà naturale, di cui vanno considerati gli eventi
tipici, cioè quelli richiesti dalla fattispecie per la sussistenza del reato. Alcune norme invece
prevedono l’incriminazione di condotte che non producono alcun evento materiale → Es.
violazione di obblighi di assistenza famigliare art 570.
In base al tipo di evento, distinguiamo tra:
➢ Reati di mera condotta: si verificano con la semplice realizzazione della condotta
incriminata.
➢ Reati d’evento: si verificano solo se si ha quella particolare modificazione del mondo
esterno prevista dalla norma incriminatrice.
4.) RAPPORTO DI CAUSALITA’ → il cod. penale dedica due articoli al rapporto di causalità:
➢ Art 40 c.p. → “Nessuno può essere punito se l’evento non è conseguenza della sua
azione”. Il rapporto di causalità è infatti la premessa indispensabile per poter
collegare la collega la condotta all’evento, in modo che si possa attribuire al soggetto
la responsabilità per averlo causato.
Il compito del giudice penale è quello di appurare il collegamento tra condotta ed
evento per l’applicazione della norma penale → il problema che nasce, quindi, è che
nella determinazione di questo rapporto, concorrono diversi fattori causali, e tra
questi si colloca la condotta del presunto reato.

➢ Questo problema viene approfondito nell’art 41 c.p. → il quale si rifà alla teoria della
condizione necessaria, secondo la quale deve considerarsi causa ogni condizione
antecedente all’evento: dunque, affinché vi sia causalità, basta che l’individuo attui
anche un solo antecedente necessario per il verificarsi dell’evento → parliamo di
concorso di cause.
Per accertare tale nesso si ricorre ad un procedimento mentale che varia in base ai:
❖ Reati attivi → in relazione ai quali si attiva un procedimento di eliminazione mentale:
nella catena di eventi si elimina l’azione del soggetto attivo; se l’evento si verifica
ugualmente, allora la sua condotta non è condizione necessaria. Mentre lo è in caso
contrario.

❖ Reati omissivi → in relazione ai quali si attiva un procedimento di inserimento


mentale: si inserisce nella catena di eventi la condotta doverosa non tenuta nella
realtà; se l’evento si verifica ugualmente allora la sua condotta non è condizione
necessaria. Mentre lo è in caso contrario.
5). SOGGETTO PASSIVO → in ambito penale è la persona offesa dal reato, nonché il titolare
del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, il quale è stato leso da un
comportamento umano. Il soggetto passivo, al contrario di quello attivo, può essere anche
una persona giuridica, compreso lo Stato.
Il soggetto passivo va distinto dall’oggetto materiale del reato, cioè la persona o la cosa su
cui cade l’attività del reo → di solito coincidono, ma non sempre: Es. mutilazione della
propria persona per truffare l’assicurazione; soggetto passivo = assicurazione, oggetto
materiale = l’autore stesso.

CASO FORTUITO E FORZA MAGGIORE → sancito dall’art 45 il quale cita “Non è punibile chi
ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore”.
Spesso la forza maggiore è un concetto che viene sovrapposto a quello di caso fortuito, ma
così non è. La forza maggiore è un evento imprevedibile ed inevitabile al quale l’agente non
può oggettivamente resistere. Quindi l’evento non può essere imputato all’agente e sarà
esente da responsabilità.
Si pensi ad esempio ad una forte raffica di vento che provoca la caduta di un soggetto
addosso ad un altro: in questa dinamica si è inserita una forza estranea alla quale il primo
soggetto non si è potuto opporre.
Il caso fortuito si ha quando ci si trova difronte ad un evento imponderabile, imprevisto e
imprevedibile, che si inserisce improvvisamente nell’azione del soggetto e che da esso non
può essere governato.
L’esempio tipico è quello di un automobilista che viaggia a moderata velocità mentre un
passante, volendo suicidarsi, gli si getta all’improvviso sotto alle ruote.
In altri termini, l’agente, pur volendo, non può impedire il verificarsi di un evento dovuto al
caso fortuito. Dunque, il caso fortuito è sinonimo della fatalità. Proprio per questo motivo,
l’evento dovuto al caso fortuito non può essere imputato all’agente, il quale sarà esente da
responsabilità.
❖ Una teoria considera il caso fortuito come un elemento soggettivo del reato e come
un’esclusione della colpa.
❖ Un’altra teoria lo vede come un elemento oggettivo del reato e come un’esclusione
del nesso di causalità tra evento e condotta.
CAPITOLO 4 – ELEMENTI SOGGETTIVI DEL REATO
Gli elementi soggettivi del reato permettono la classificazione del grado di volontà
psicologica di un soggetto nella commissione di un reato.
Bisogna partire dal concetto di colpevolezza che trova fondamento nell’art 27 Cost il quale
cita testualmente “la responsabilità penale è personale”→ ciò implica che, affinché un
soggetto possa essere punito e affinché il reato esista, non basta che il soggetto lo abbia
materialmente commesso, ma è necessario che possa essere rimproverato per averlo
commesso o per non averlo evitato.
La colpevolezza, quindi, è un atteggiamento anti-doveroso della volontà:
o Atteggiamento verso la norma: cioè aver agito nonostante si conoscesse la norma, o
la si ignorasse nonostante si sarebbe potuta conoscere.

o Atteggiamento verso il fatto: che si distingue in dolo, colpa, preterintenzione.

IL DOLO → rappresenta la forma di colpevolezza più grave e costituisce la principale forma


di responsabilità penale. La definizione trova spiegazione in due articoli:
➢ Art 42 → “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto
se non lo ha commesso con dolo”; questo articolo esclude i delitti preterintenzionali
o colposi espressamente previsti dalla legge come tali.
Viene richiesta quindi l’esistenza di un nesso psichico tra l’agente e il fatto, che si viene
a creare quando la condotta è attuata volontariamente o senza lo sforzo di averlo evitato.
➢ Art 43 → “Il delitto è doloso quando l’evento dannoso è dall’agente preveduto e
voluto, ed è conseguenza della propria azione o omissione”
Quindi gli elementi strutturali del dolo sono: coscienza, volontà, previsione dello stesso.
Le diverse forme di dolo:
1) Dolo generico → il quale si manifesta per il semplice fatto che chi commette il reato è
consapevole e ha agito in modo volontario. Es. Art 575 delitto di omicidio: in cui coscienza
e volontà provocano come conseguenza della condotta la morte di un altro; non hanno
rilevanza gli altri scopi.
2) Dolo specifico → quando il soggetto pone in essere una condotta prevedendone un fine
preciso; non è necessario che questo fine si realizzi: il reato è completo per il semplice
prefiggimento di compierlo.
3) Dolo d’impeto → quando il reato viene commesso d’impulso, senza che passi troppo
tempo tra la decisione e l’attuazione.
4) Dolo di proposito → nel quale tra il proposito criminoso e la sua realizzazione passa un
notevole intervallo di tempo. Fa parte del dolo di proposito la premeditazione.
5) Dolo intenzionale o di primo grado → che si verifica quando lo scopo del delitto
commesso è proprio quello di realizzare la condotta criminosa.
6) Dolo diretto o di secondo grado → si verifica quando vengono posti in essere gli elementi
costitutivi del reato, anche se la volontà non è rivolta verso l’evento tipico, ma il soggetto sa
che certamente o molto probabilmente sarà la conseguenza del suo agire.
7) Dolo indiretto → quando il soggetto non ha intenzione di compiere l’evento, ma lo
prevede come un effetto collaterale, e decide consapevolmente di agire lo stesso pur di non
rinunciare ai vantaggi che otterrebbe.

LA COLPA → trova fondamento nell’art 43 c.p. “Il reato è colposo, o contro l’intenzione,
quando l’evento anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di
negligenza o imprudenza, ovvero per l’inosservanza di leggi, ordini o discipline”.
In altre parole, la colpa penale sussiste quando un soggetto commette un fatto incriminato
con volontà, ma senza essere consapevole delle conseguenze della sua azione.
Elementi costitutivi della colpa sono:

• la mancanza della volontà del fatto


• l’inosservanza delle regole cautelari che il soggetto avrebbe dovuto/potuto
osservare.
Le diverse forme di colpa:
1) Colpa specifica → quando è conseguenza dell’inosservanza delle leggi, regolamenti e
norme che impongono particolari cautele: sono chiamate regole cautelari scritte.
2) Colpa generica → quando si agisce con imprudenza o negligenza: si trasgrediscono le
regole cautelari non scritte.
3) Colpa cosciente →quando il soggetto trasgredisce consapevolmente la norma cautelare,
ma non immagina di causare un evento con la propria condotta.
4) Colpa incosciente → il soggetto non si rende conto di trasgredire una norma cautelare, e
quindi, ancor meno, non prevede di causare un evento con la propria condotta.
DIFFERENZA tra dolo e colpa: nel dolo è necessaria la conoscenza e la volontà del fatto
tipico; nella colpa è necessaria la non-volontà di tale fatto
PRETERINTENZIONE → trova fondamento nell’art 43 “Il delitto è preterintenzionale
quando dall’azione o omissione ne deriva un evento dannoso più grave di quello voluto
dall’agente”.
Quindi gli elementi strutturali della preterintenzione sono:
• La volontà dell’evento minore → il dolo
• La non-volontà dell’evento più grave → la colpa
La fattispecie del delitto preterintenzionale punisce:
▪ Omicidio preterintenzionale art 584 → nonché la conseguenza di atti diretti a
commettere reati di percosse o lesioni.
▪ Omicidio preterintenzionale art 18 → chiunque cagiona l’interruzione della
gravidanza senza il consenso della donna.
Il problema centrale è quello di stabilire se l’evento più grave deve essere posto a carico del
soggetto attivo. Al riguardo sono state sviluppate diverse teorie:
1) Per la prima teoria l’evento più grave andrebbe imputato al soggetto a titolo di
responsabilità oggettiva e quindi sulla sola base del rapporto di causalità, a prescindere da
ogni indagine di colpa o prevedibilità.
2) Per la seconda teoria, l’evento più grave andrebbe imputato all’agente a titolo di colpa,
per mancanza di attenzione nell’attività esecutiva e per aver disatteso il precetto di non
porre in essere atti diretti a percuotere o ledere.
3) Per la terza teoria, il delitto preterintenzionale sarebbe un misto tra dolo e colpa; l’evento
più grave però può essere imputato al soggetto dopo un’effettiva verifica della sua
prevedibilità e affidabilità → questa teoria è affine ai precetti costituzionali.
4) Una quarta teoria ritiene che il rischio dell’evento più grave debba essere assorbito nel
danno recato alla vittima con la condotta base, in modo tale che non si agisca più con
imprudenza o negligenza → teoria accolta dalla giurisprudenza della cassazione.
REATI AGGRAVATI DALL’EVENTO → sono quei reati per i quali è previsto un aumento di
pena dato il verificarsi di un ulteriore evento oltre al fatto che già costituisce reato.
1) In un primo gruppo rientrano quei reati in cui l’evento ulteriore deve essere
necessariamente non voluto → in quanto, in caso contrario, si applicherebbe una diversa
fattispecie penale.
Si tratta dei maltrattamenti in famiglia (art 572); abbandono di persone minori e incapaci (art
591). Delitti in cui, se si verifica una lesione o la morte della persona, si ricade nella più grave
fattispecie della lesione o dell’omicidio doloso.
2) In un secondo gruppo troviamo quei reati rispetto ai quali è indifferente che l’evento
aggravante sia voluto o meno.
Ad esempio, è il caso della calunnia (art 368); falsa testimonianza (art 372 e 375), della frode
processuale (art 374 e 375), e dell’uso delle armi in duello.
3) In un terzo gruppo sono ricompresi quei reati nei quali l’aumento della pena è subordinato
al verificarsi di un ulteriore evento e necessariamente voluto.
Ad esempio, mutilazione della propria persona per truffare l’assicurazione → vi è un
aumento della pena se l’individuo riesce concretamente nel suo scopo.

L’ERRORE → è una falsa rappresentazione della realtà che può condurre o meno
all’esclusione della colpevolezza. È evidente che l’errore, per escludere il dolo, deve ricadere
su un elemento essenziale della fattispecie, sicché sono irrilevanti errori che incidono su
circostanze marginali.
L’errore può avvenire in momenti diversi della realizzazione del reato:
❖ L’errore nella formazione del fatto → cioè nel momento ideativo del reato; questo
nasce da una falsa rappresentazione della realtà -> ignoranza.
❖ L’errore nei mezzi di esecuzione del reato → cioè nel momento in cui la volontà si
traduce in azione.
ERRORE/IGNORANZA SUL FATTO → può essere determinato da un:
• Errore in senso percettivo: Es. il soggetto per sbaglio, crede che ciò che intravede
dietro un cespuglio sia un cinghiale e spara; invece, è un uomo che rimane ucciso →
manca la volontà omicida → reato colposo art 47 cm 1.
• Errore su legge diversa da quella incriminatrice che falsa la rappresentazione del
fatto: Es. Il soggetto crede che il divorzio ottenuto all’estero sciolga il matrimonio
anche in Italia, così si risposa, compiendo il reato di poligamia → ma manca la
consapevolezza di essere legato da matrimonio → reato di bigamia art 556.
ERRORE/IGNORANZA SUL PRECETTO → può derivare:

• Errore in senso percettivo: Es. erronea lettura sulla Gazzetta Ufficiale di una norma
incriminatrice.
• Errore che investe l’interpretazione di una norma incriminatrice: quindi riguarda la
struttura/la forma della norma.
Questo tipo di errore/ignoranza ha una rilevanza molto limitata, che originariamente
veniva esclusa per l’art 5. Rilevanza limitata perché la nostra Costituzione non accetta
ignoranza → la punibilità viene esclusa se l’ignoranza è inevitabile o incolpevole.
L’errore nei mezzi di esecuzione del reato → il nostro codice prevede due ipotesi nel
momento in cui la volontà si traduce in atto:
▪ Reato commesso contro la persona diversa da quella che si voleva offendere: in
questo caso per l’art 81 il colpevole risponde comunque per il dolo, in quanto ha
voluto compiere quel reato e l’identità del soggetto passivo è irrilevante.
▪ Reato diverso da quello che si voleva compiere → il soggetto risponde a titolo di
colpa se è previsto dalla legge come delitto colposo; ma in base all’art 83 il colpevole
risponde anche del fatto voluto, se questo si verifica in aggiunta al fatto non voluto.

CAPITOLO 5 – LE CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE → dette anche scriminanti. Sono situazioni


in cui c’è un fatto tipico, che possiede tutti gli elementi necessari richiesti dalla norma
incriminatrice, ma non è considerato dalla legge come reato. Il fatto deve essere lecito per
l’intero ordinamento giuridico: penale, civile, amministrativo.
Si distinguono in:
➢ Cause di giustificazione comuni: applicabili a tutti i reati.
➢ Cause di giustificazione speciali: sono previste solo per determinati reati.
Le cause di giustificazione costituiscono gli elementi negativi della fattispecie incriminatrice
poiché questa sussiste solo in loro assenza.
Secondo l’art 59 cm 1: le cause di giustificazione operano oggettivamente, cioè solo per la
loro materiale esistenza, anche se sono sconosciute dall’autore di reato. Es. Tizio uccide
Caio per vendicarsi di un’offesa, senza sapere che Caio stava per ucciderlo a sua volta.
Secondo l’art 59 cm 4: le cause di giustificazione anche se sono erroneamente supposte,
operano a favore del soggetto attivo; Es. un gioielliere spara a un soggetto poiché
quest’ultimo è entrato nel suo negozio con le mani in tasca facendo intendere volesse
compiere una rapina → il gioielliere non è punibile.
Le cause di giustificazione comuni sono:

1). LEGITTIMA DIFESA → trova fondamento nell’art 52 “Agisce per legittima difesa chi
commette un fatto per necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo
attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.
Quindi, gli elementi essenziali affinché esista legittima difesa sono:
➢ Aggressione ingiusta: l’oggetto dell’aggressione deve essere un diritto o facoltà
giuridicamente protetto, che appartenga a persone fisiche o giuridiche.
L’aggressione deve essere contraria al nostro ordinamento, ed è considerata ingiusta
anche se il soggetto attivo risulta non imputabile (minorenne o infermo di mente).
L’aggressione deve essere un pericolo attuale per il diritto.

➢ Reazione legittima: la reazione affinché sia legittima, deve innanzitutto essere rivolta
verso l’aggressore, e deve essere necessaria per salvare il diritto minacciato.
L’aggredito si deve trovare in una situazione in cui deve scegliere se subire o reagire;
se c’è la possibilità di fuga, la reazione non è legittima.
La difesa deve essere proporzionata all’offesa, in quanto se la reazione è più grave
dell’offesa che si pensa di ricevere, allora la reazione non è più legittima.

2). STATO DI NECESSITA’ → trova fondamento nell’art 54 cm 1 “Agisce per stato di


necessità chi commette il fatto perché costretto dalla necessità di salvare sé stesso o altri
da un pericolo attuale di un danno grave alla persona, sempre che il fatto sia proporzionato
al pericolo”.
➢ Il pericolo deve essere attuale e può provenire dalla natura o da un’ingiusta condotta
umana.
➢ Il fatto deve essere necessario per salvare sé stessi o altri e non può essere evitato.
➢ L’offesa rivolta al terzo innocente non deve essere più grave di quella che il soggetto
teme per sé stesso → quindi deve essere proporzionata.
➢ La situazione di pericolo non deve essere causata volontariamente da chi cerca di
salvarsi; a meno che non siano degli obblighi previsti dalla legge (vigili del fuoco).
DIFFERENZE legittima difesa – stato di necessità:
-Nella legittima difesa, la condotta difensiva è rivolta contro un’aggressione ingiusta → si
agisce contro un’offesa ingiusta idonea a ledere un diritto proprio o altrui.
Esempio: legittima difesa domiciliare armata: il padrone di casa intima ai malviventi di
andarsene ma uno di questi, anziché obbedire, addirittura mostra l’intenzione di fare del
male alla figlioletta. L’azione del padrone di casa di sparare ai malviventi è, dunque,
legittimata.
E’, invece, difesa illegittima sparare alle spalle una persona che si sta dando alla fuga.
-Nello stato di necessità, invece, la condotta tipica è rivolta contro un soggetto che non ha
provocato la situazione di pericolo → il pericolo che si fronteggia deve avere ad oggetto un
danno grave alla persona.
Esempio: l’alpinista che taglia la corda del compagno che ha perso la presa e che rischia di
trascinarlo con sé; la manovra di emergenza di un automobilista che per evitare un camion
sterza bruscamente investendo un passante.
Esistono però anche casi di eccesso di giustificazione: Es. un individuo si trova in una
situazione di legittima difesa e ritiene che l’aggressore sia più forte e lo uccide, quando
invece bastava tramortirlo.
L’eccesso può essere:
❖ Doloso → quando eccede i limiti stabiliti dalla legge con consapevole volontà. Es.
l’aggredito conosceva bene l’aggressore come persona fisicamente poco dotata.
❖ Colposo → quando eccede i limiti stabiliti dalla legge per colpa.
❖ Incolpevole → quando eccede i limiti stabiliti dalla legge senza alcuna colpa. Es.
l’aggredito è al buio e non può sapere se l’aggressore è fisicamente dotato o no.

3). IL CONSENSO DELL’AVENTE DIRITTO → è una causa di giustificazione prevista dall’art


50, in base al quale non è punibile chi lede o mette in pericolo un diritto se vi è il consenso
della persona offesa.
Il consenso deve essere libero, attuale e volontariamente dato dal titolare del diritto → il
soggetto passivo deve essere capace di intendere e di volere, o dimostrare di comprendere
chiaramente il valore del bene giuridico.
Il titolare può revocare il consenso in ogni momento, in modo espresso o tacito.
L’efficacia del consenso però non è illimitata: infatti il consenso del soggetto passivo
giustifica l’illecito solo se il soggetto passivo esercita tale facoltà in riferimento ai cosiddetti
diritti disponibili: nonché i diritti patrimoniali e gli attributi della personalità, quali l’onore,
libertà morale e personale.
Il consenso è privo di efficacia quando si tratta di lesioni dell’integrità fisica o lesioni
contrarie alla legge o al buon costume.
Sono generalmente considerati diritti indisponibili quelli che si riferiscono allo Stato, agli
enti pubblici o alla famiglia.

4). ESERCIZIO DEL DIRITTO → trova fondamento nell’art 51 secondo il quale non può
essere punito chi, esercitando un diritto, compia atti considerati dalla fattispecie come
reati, in questo modo facendo venir meno l’antigiuridicità del fatto stesso.
Ma vi è un conflitto dato che vi sono norme che disciplinano la stessa situazione di fatto.
Conflitto che può risolversi seguendo 3 diversi criteri:

• Criterio generico: la norma superiore prevale su quella inferiore.


• Criterio cronologico: la norma posteriore prevale su quella anteriore.
• Criterio di specialità: la norma speciale prevale su quella generale.
L’esercizio del diritto postula e presuppone l’adempimento al dovere: cioè la punibilità è
esclusa se vi è l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine
legittimo della pubblica autorità.
Il dovere attribuisce al soggetto il diritto di compiere un’azione doverosa e legittima, quindi
a differenza del diritto, non si può decidere se compierla o meno.
L’ordine deve essere legittimo:
➢ Sia formalmente: il superiore è competente per emanarlo e l’agente è competente
per eseguirlo.
➢ Sia sostanzialmente: non deve essere manifestamente criminoso.
Non è però sufficiente l’esistenza di un ordine legittimo del superiore per scriminare
qualsiasi condotta tenuta dal subordinato: infatti bisogna compiere un concreto
bilanciamento tra il bene protetto dalla norma incriminatrice e la causa di giustificazione →
al fine di accertare l’esclusione dell’antigiuridicità del fatto.
Se l’ordine è illegittimo e si verifica un eventuale reato, viene data la responsabilità al
soggetto che lo ha impartito e non verrà attribuita nessuna causa di giustificazione al
subordinato che lo ha eseguito.
5). USO LEGITTIMO DELLE ARMI → l’art 53 cm 1 esclude la punibilità di un pubblico
ufficiale che, al fine di adempiere al suo dovere di ufficio, fa uso o ordina di far uso delle
armi o di un altro mezzo di coazione fisica.
Si deve trattare di una situazione di urgente necessità di respingere una violenza o
comunque impedire la consumazione di delitti, strage, rapine a mano armata, ecc. → l’uso
delle armi è ammesso però solo ai pubblici officiali o a chi è segnalato come assistente.
La violenza da sopprimere può essere: fisica, psichica, una minaccia o una resistenza
all’autorità → l’eliminazione di questi ostacoli o pericoli deve essere attuale, necessaria,
inevitabile e proporzionale al pericolo in corso.

6). ATTIVITA’ MEDICO-CHIRURGICA → Ciascun uomo è titolare di diritti fondamentali,


riconosciuti e garantiti dallo Stato. Azioni di inviolabilità non sono tollerate dalle leggi.
A tal proposito l’art. 32 Cost cita “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto
dell’individuo”. Sennonché è oggettivamente impossibile curare un malato senza violarne
l’integrità psicofisica; a legittimare la liceità dell’attività medica è il consenso reale,
consapevole e attuale del paziente, ovvero la scriminante del consenso dell’avente diritto.
L’art. 5 Cost tutela dell’integrità fisica ed emerge la necessità di una valutazione in termini
di bilanciamento di interessi, tra gli atti di disposizione del proprio corpo e la tutela della
persona in tutte le sue manifestazioni.
Dall’analisi estensiva dell’art. 21 Cost emerge un’esigenza informativa: il diritto ad essere
informati diventa un obbligo costituzionale a carico di certi soggetti nell’ottica della tutela
della persona, come valore assoluto.
La responsabilità medica penale è la responsabilità tipica delle professioni medico-sanitarie
che riguarda le attività lavorative dove si hanno conseguenze gravi al paziente, a causa di
errori, omissioni o violazioni degli obblighi inerenti alla professione stessa.
La responsabilità medica penale sussiste se vi è il nesso causale tra l’attività del medico e
l’evento dannoso, considerando anche l’incidenza della colpa.
Quando la propria commissione o omissione porta ad una grave lesione o anche alla morte
del paziente, il medico è obbligato a rispondere delle conseguenze sulla base del concetto
di colpa come definito dall’art. 43 del Codice penale.

La sola condotta colposa non basta a ricondurre alla responsabilità medica penale; è
indispensabile che ci sia un nesso eziologico tra il comportamento illecito del medico e il
danno subito dal paziente. Il legame causa-effetto tra condotta ed evento non è, però,
sempre facile da indentificare poiché, spesso, i diversi fenomeni clinici sono possono
presentare complicazioni indipendenti dalla condotta del medico.
In caso di equipe → la responsabilità penale è comunque personale; quindi, ciascun medico
risponderà per colpa dei vari eventi causati, solo se non ha rispettato le regole cautelari del
suo specifico settore, dovendo confidare nel comportamento corretto altrui.

CAPITOLO 6 – NOZIONE DI IMPUTABILITA’ art. 85: “E’ imputabile chi ha la capacità di


intendere e di volere" → Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come
reato se, al momento del fatto, non era imputabile.
La capacità di intendere è la capacità di capire cosa si sta facendo; nonché l’attitudine ad
orientarsi e percepire la realtà correttamente→ quindi la capacità di rendersi conto che l’atto
che si compie ha un valore sociale.
La capacità di intendere è valutata in concreto, nel momento in cui effettivamente l'atto è
compiuto. Non è necessario, poi, che il soggetto sia in grado di giudicare che la sua azione è
contraria alla legge nello specifico; basta che possa genericamente comprendere che sta
commettendo un'azione sbagliata.
Ad esempio, un ubriaco, un drogato, un malato mentale, non percepiscono la realtà.
La capacità di volere è, invece la capacità di distinguere ciò che bisogna fare e ciò che non
bisogna fare → la capacità di autodeterminare i propri istinti o in caso di non-autocontrollo,
la capacità di volere gli effetti che si sono prodotti.
Il contenuto di tale capacità è uno stato della persona, che deve esistere nel momento in cui
la persona commette il reato (maturità psichica e nella sanità mentale).

La dottrina penalistica individua le ragioni secondo le quali il legislatore stabilisce


l’imputabilità:
➢ La prima ragione si riferisce all’art 27 cost secondo cui, risponde penalmente di un
fatto chi può comprendere il valore delle sue azioni e decide liberamente se agire o
meno.
➢ La seconda ragione è legata alle funzioni della pena, che può essere:
Retributiva → tesa ad essere un castigo, il soggetto deve comprendere di aver compiuto
un’azione negativa.
Prevenzione generale → tesa ad esercitare un’efficacia dissuasiva, con la minaccia della
pena; il soggetto deve comprendere il significato della norma e aver timore delle
conseguenze che ne possono derivare.
Prevenzione speciale → tesa ad impedire che il reo commetta nuovi reati, come ad esempio
la pena rieducativa.
In fine, bisogna tener conto della stretta connessione tra imputabilità e colpevolezza, in
quanto la prima è il presupposto della seconda → per avere colpevolezza, infatti, è
necessario che l’autore abbia agito con consapevolezza in base alla propria volontà.

Il problema sorge quando di tratta di accertare la capacità di intendere e di volere del


soggetto attivo → l’imputabilità è considerata normalmente esistente ed è esclusa o
diminuita solo in determinate circostanze previste dal Codice penale.
Il giudice nella fase di accertamento deve valutare le capacità intellettive o volitive
riferendosi unicamente al momento esatto in cui è avvenuta la condotta criminosa, e
riferendosi al singolo fatto concreto posto in essere.
Se in riferimento all’illecito il soggetto risulta non imputabile o semi-imputabile, il giudice
valuterà secondo l’art 133 il suo grado di pericolosità sociale → questo accertamento deve
essere svolto tenendo conto di vari elementi: natura e modalità di commissione del reato,
motivi a delinquere, carattere del reo, precedenti penali, condizioni di vita individuali,
familiari e sociali del reo.

CAUSE DI ESCLUSIONE O DIMINUZIONE DELLA PENA → dopo aver definito


l’imputabilità, gli articoli a seguire elencano le cause di esclusione o diminuzione, suddivise
in: alterazioni patologiche e immaturità fisiologica e para fisiologica.
Tali casi sono quelli previsti dal legislatore, ma il giudice non si limita a riconoscere come non
imputabili solo gli appartenenti a suddette categorie, ma tutti coloro che dopo la dovuta
valutazione, risulteranno incapaci di intendere e di volere al momento del fatto criminoso.

1). INFERMITA’ DI MENTE → fa parte della categoria alterazione patologica.


Il vizio di mente può comportare una totale o parziale assenza della capacità di intendere e
di volere → è necessario quindi verificare in quale misura tale assenza abbia contribuito nel
momento in cui è stato compiuto il fatto illecito.
➢ L’art 88 sancisce il vizio totale di mente: ovvero quando le capacità intellettive e
volitive sono totalmente escluse; quindi, non è possibile applicare alcuna sanzione
penale al soggetto attivo.
Il giudice in questo caso deve accertare la pericolosità sociale del soggetto → se
giudicato effettivamente pericoloso secondo l’art 222 sarà sottoposto alla misura di
sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario.

➢ L’art 89 sancisce il vizio parziale di mente: in questo caso se la pericolosità viene


accertata, la misura di sicurezza sarà il ricorso a case di cura e di custodia. Il soggetto
sconterà prima la sua pena, salvo che il giudice non ritenga urgente il suo ricovero.
➢ L’art 90 sancisce gli stati motivi e passionali: i quali in nessun caso escludono o
diminuiscono l’imputabilità.

2). AZIONE PER SOSTANZE ALCOLICHE O STUPEFACENTI → fa parte della categoria


alterazione patologica: l’uso eccessivo di sostanze alcoliche o stupefacenti provoca gravi
turbamenti dello stato psichico, alterando il senso critico e l’autocontrollo.
➢ L’art 91 sancisce i c.d. stati accidentali → che derivano da un caso fortuito o di forza
maggiore, cioè si verificano senza alcuna volontà del soggetto.
Il soggetto diventa non rimproverabile e che non gli verrà applicata nessuna pena in
totale assenza di capacità intellettive e volitive. Invece in caso di assenza parziale la
pena verrà diminuita.

➢ Gli art 92-93 sanciscono lo stato volontario o colposo → nello stato volontario
soggetto è volontariamente in suddetto stato e accetta tale rischio;
nello stato colposo il soggetto è in suddetto stato per negligenza o imprudenza e
poteva evitarlo.
In questi casi è prevista una pena più severa in quanto il soggetto è imputabile e
sanzionabile.

➢ Gli art 92-93 sanciscono lo stato preordinato → quando il soggetto si è


intenzionalmente procurato in suddetto stato al fine di commettere il reato o
procurarsi una scusante.
In questo caso il soggetto è imputabile e sottoposto a pena aumentata.

➢ L’art 94 sancisce lo stato abituale → quando il soggetto è dedito all’uso di sostanze.


Il soggetto in questo caso è imputabile e sottoposto a pena aumentata, e può essere
aggiunta una particolare misura di sicurezza (casa di cura, custodia, libertà vigilata).

➢ L’art 95 sancisce lo stato cronico → quando l’uso eccessivo e prolungato di tali


sostanze provocano in modo permanente un’alterazione psichica patologica.
A tal punto il soggetto attivo può essere dichiarato infermo totale e sarà considerato
non imputabile; se invece verrà dichiarato infermo parziale avrà una pena diminuita.
Secondo l’art 86 per chi provoca lo stato: - Se agisce con fini criminosi → risponderà del
reato commesso. - Se agisce senza fini criminosi → risponderà a titolo di dolo eventuale.
Mente per il soggetto che subisce lo stato:
- Senza il suo consenso → sarà non imputabile o semi imputabile.
- Con il suo consenso, ma senza la volontà del fatto criminoso → risponderà di dolo
eventuale.
- Con consenso e volontà → sarà considerato imputabile a tutti gli effetti.
1). SORDOMUTISMO → sancito dall’art 96 e fa parte della categoria immaturità psichica.
L’udito e il linguaggio sono fondamentali per lo sviluppo psichico dell’uomo e il
sordomutismo è uno stato di minorazione sensoriale che impedisce o limita questo
sviluppo.
“Non è imputabile il sordomuto, che al momento del fatto commesso, a causa della sua
infermità non aveva la capacità di intendere e di volere”
▪ Se tale capacità era scemata → la pena è diminuita.
▪ Se la capacità era piena → il soggetto è imputabile e gli può essere conferita la pena.
▪ Se il soggetto è incapace completamente → il soggetto non è imputabile e trattato
da infermo totale (se dichiarato pericoloso gli sarà data una misura di sicurezza).

2) MINORE ETA’ → sancita dagli art 97-98. Il nostro ordinamento stabilisce che capacità di
intendere e volere si acquisisce in un processo evolutivo che va dalla nascita alla maggiore
età.
▪ Per coloro che hanno compiuto 18 anni → il soggetto è certamente imputabile tranne
se considerato incapace di intendere e di volere: parliamo di presunzione relativa di
capacità.

▪ Per coloro che hanno meno di 14 anni → il soggetto è sempre non imputabile, e in
alcuni casi verrà valutata la pericolosità: parliamo di presunzione assoluta di
incapacità.

▪ Per coloro che hanno tra 14 e 18 anni → il giudice dovrà valutare caso per caso, non
vi è nessuna presunzione.
Al di sotto dei 18 anni abbiamo due fasce di età:
• Prima dei 14 anni, il soggetto è sempre non imputabile; tuttavia, se il giudice accerta
la sua pericolosità sociale, potrà assoggettarlo ad una misura di sicurezza (riformatorio
giudiziario); non vi è alcun limite per l’applicabilità della misura di sicurezza che.

• Tra i 14 e i 18 anni, sarà necessario un esame caso per caso accertare se il soggetto
aveva la capacità di intendere e di volere. Se il minore è ritenuto imputabile la pena
sarà in misura ridotta e, se il giudice ritiene che sia il caso, possono applicarsi una
volta eseguita la pena, le misure del riformatorio giudiziario o della libertà vigilata.
Al fine di facilitare la redenzione morale dei minori delinquenti è stato consentito di
concedere a costoro i benefici del perdono giudiziale, della sospensione condizionale della
pena, della riabilitazione.
CAPITOLO 7 – LE CIRCOSTANZE DI REATO → sono accessori del reato: si aggiungono alla
fattispecie incriminatrice andando a incidere sulla gravità → nel senso di aggrevare o
attenuare l’entità della pena.
La funzione che soggiace alla disciplina delle circostanze è quella di permettere un migliore
adeguamento della pena in base alla gravità del fatto commesso → rispondendo così
all’esigenza di personalizzazione del trattamento.
La determinazione di limiti extra edittali, definiti tra un minimo e un massimo con cui
gradua la pena, costituiscono gli strumenti di supporto del giudice → in questo modo si ha
la predeterminazione del contenuto tipico e si rispettano le esigenze di discrezionalità e
legalità → circostanze proprie.
Lo stesso fenomeno di previsione legislativa non ha luogo per quelle che sono definite
(proprio per questo motivo) circostanze improprie. La loro individuazione è infatti rimessa al
giudice, laddove l’art. 133 c.p. contiene un elenco generico degli elementi fattuali di cui
dovrà tener conto nell’esercizio del proprio potere discrezionale, ai fini dell’adeguamento
della pena entro i limiti, questa volta, edittali.
Un problema nasce in molti casi in cui il legislatore utilizza espressioni che possono portare
a ritenere di trovarsi in una situazione di circostanza, quando in realtà non è così.
→ a tal motivo il giudice si rifà al criterio interpretativo, secondo il quale si deve individuare
un rapporto di specialità tra la fattispecie semplice e quella circostanziata → cioè le
circostanze devono essere specificate come elementi di una figura del reato.
Originariamente per l’art 59 “Le circostanze, attenuanti o aggravanti, erano imputabili
all’agente obbiettivamente, per il solo fatto di esistere”, ma questo andava contro il
principio di colpevolezza poiché l’agente era soggetto a conseguenze negative anche per
situazioni o fatti di cui non era a conoscenza.
Ma la disciplina dell’art 59 è stata poi modificata, decretando che:
➢ Le circostanze attenuanti si applicano all’agente anche se da lui considerate
inesistenti o sconosciute.
➢ Le circostanze aggravanti sono a carico dell’agente se da lui ignorate o considerate
inesistenti per colpa.
➢ Le circostanze punitive, cioè quelle che il soggetto crede esistente, non hanno
rilevanza.
CLASSIFICAZIONE DELLE CIRCOSTANZE
Circostanze aggravanti: determinano un aumento “extra edittale” della pena,
aggravandola.
Circostanze attenuanti: determinano una diminuzione “extra edittale”.
Circostanze comuni: applicabili a tutti i reati.
Ogni qual volta la legge si limita a prescrivere che la pena sia aumentata o diminuita, senza
indicarne l'entità, si intende che l'aumento o diminuzione sia fino ad un terzo della pena
base e si è in presenza quindi di circostanze ad effetto comune.
Circostanze speciali: previste per singoli e specifici reati.
Circostanze che determinano un aumento o una diminuzione della pena di oltre un terzo,
che però non viene operato sulla pena ordinaria del reato, bensì sulla pena stabilita per la
circostanza (art. 63).
• Circostanza indipendente → quando c’è una previsione di nuovi limiti edittali.
• Circostanza autonoma → quando viene prevista una specie di pena del tutto nuova.

Circostanze intrinseche: sono quelle attinenti alla condotta e ad altri elementi costitutivi
del fatto tipico.
Circostanze estrinseche: sono estranee alla condotta, consistenti in fatti antecedenti o
successivi che incidono più che altro sulla capacità criminale.
Circostanze oggettive: quelle che concernono i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni
altra modalità dell’azione, la gravità del danno e qualità personali dell’offeso.
Circostanze soggettive: concernono l’intensità del dolo e il grado di colpa, rapporti tra
colpevole e offeso, le qualità personali del colpevole.

ATTENUANTI GENERICHE → sono concesse tutte le volte in cui il giudice decide di tener
conto di alcune circostanze che giustificano una diminuzione della pena decisa durante il
procedimento. (pentimento, buona condotta durante il procedimento, reato poco grave).
Secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, le attenuanti generiche sono state
introdotte nel tempo per alleviare le sanzioni che risulterebbero troppo severe. Dunque,
verrebbero concesse quando anche il minimo della pena prevista per legge risulterebbe,
comunque, troppo severa per l'imputato. Le attenuanti generiche, comunque, non vanno
intese come discrezionale concessione da parte del giudice ma come un riconoscimento di
alcune situazioni che meritano di essere prese in considerazione in modo incisivo. Nel
momento in cui il giudice decide di concederle o di negarle, deve comunque sempre
darne motivazione attraverso l'uso corretto del potere discrezionale.
LA RECIDIVA → è sancita dall'art. 99 c.p.: si tratta di quando un soggetto, dopo essere
stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro. Si ha recidiva, quindi,
nel caso di “ricaduta” nel reato.
È quindi una circostanza aggravante soggettiva.
In passato la recidiva era automatica, ovvero era sufficiente la presenza del precedente
penale affinché l’imputato fosse considerato recidivo → con la riforma del ’74 è diventata
facoltativa, il giudice definisce il soggetto recidivo con certi limiti, osservandone la disciplina.
L’art 106 afferma che 1. Agli effetti della recidiva si tiene conto altresì delle condanne per
le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena. 2. Tale disposizione non
si applica quando la causa estingue anche gli effetti penali.

L’art 99 distingue quattro diversi tipi di recidiva:


➢ Recidiva semplice: si ha quando un delitto non colposo è commesso ad oltre cinque
anni di distanza dal precedente delitto → previsto un aumento di pena pari a un
terzo.

➢ Recidiva aggravata: che comporta un aumento della pena fino alla metà e si
differenzia a sua volta in:
- Aggravata specifica: quando il nuovo delito è della medesima indole del
precedente.
- Aggravata infraquennale: nuovo delitto commesso entro cinque anni.
- Aggravata vera: il nuovo delitto è commesso durante o dopo l’esecuzione del
precedente,
- Aggravata finta: quando il nuovo delitto è commesso durante il periodo in cui il
soggetto si è sottratto all’esecuzione della pena.

➢ Recidiva pluriaggravata: quando concorrono due o più ipotesi di recidiva aggravata


→ aumento della pena di metà per il nuovo reato.

➢ Recidiva reiterata: quando il delitto è stato commesso da chi è stato già dichiarato
recidivo e comporta un aumento della pena pari alla metà se la recidiva è semplice;
aumento pari ai due terzi se la precedente è aggravata.
In seguito, la Legge “ex Cirielli”, se da un lato ha seguito la linea della precedente riforma in
ordine al carattere facoltativo della recidiva, sull’altro versante ha posto delle modifiche:

• Ha estromesso i delitti colposi e le contravvenzioni dalla sfera attuativa della


recidiva;
• ha irrigidito il trattamento di tale circostanza aggravante;
• ha disposto che in nessun caso l’aumento della pena per effetto di recidiva può
superare il cumulo delle pene precedenti;
• In fine, ha reso la recidiva obbligatoria allorché si proceda per i delitti indicati dall’art.
407, comma 2.
La recidiva, inoltre, produce una serie di effetti penali:

• La recidiva semplice impedisce al condannato di beneficiare della detenzione


domiciliare.
• La recidiva aggravata o reiterata impedisce l’applicabilità di amnistia, indulto,
prescrizione della pena.
• Mentre solo quella reiterata può avere effetti specifici differenti nel diritto
sostanziale (deroghe sfavorevoli) e nel diritto processuale (affidamenti servizi sociali,
domiciliari, semilibertà)

CAPITOLO 8 – TENTATIVO PUNIBILE


-Reato perfetto → quando viene compiuta la realizzazione di tutti gli elementi costitutivi di
una fattispecie criminosa e coincide con il momento in cui si esaurisce l’intero iter criminis
→ cioè ideazione, preparazione, esecuzione, perfezione.

-Reato consumato → quando il reato arriva alla massima gravità concreta.


-Reato tentato → quando il soggetto attivo non riesce a portare a termine il delitto.
Secondo parte della dottrina, è necessario distinguere reato perfetto e reato consumato:
➢ il reato si intende perfetto quando si sono realizzati tutti gli elementi necessari per
la sua sussistenza;
➢ è invece consumato quando, il reato già perfetto, consegue la massima gravità.
Risponde di delitto tentato (art 56) chi compie atti idonei diretti in modo non equivoco a
commettere un delitto, anche se l'azione non si compie o l'evento non si verifica.
Il tentativo punibile presenta la stessa struttura del reato perfetto e viene considerato come
un’autonoma figura delittuosa → è punibile quando il soggetto mette in pericolo il bene
giuridico tutelato manifestando la volontà criminosa.
Così, ad eccezione dei casi in cui la pena sia quella dell’ergastolo, nei confronti dell’autore
del delitto tentato si applica una sanzione non inferiore a 12 anni → la pena viene
determinata in maniera corrispondente alla cornice edittale del reato consumato, diminuita
da un terzo ai due terzi.
Il tentativo punibile è composto da elementi oggettivi:
1). Mancato compimento dell’azione o del verificarsi dell’evento → dovuto a ragioni che
non dipendono dalla volontà dell’individuo agente. Inoltre, si usa distinguere tra:
• Tentativo incompiuto: quando l’agente pone in essere solo parzialmente la condotta
senza portarla a termine.
• Tentativo compiuto: quando pur avendo portato a termine la propria condotta,
l’evento non si verifica.
2). Gli atti idonei → cioè quelli posti in essere dall’agente che devono avere potenzialità
legislativa effettiva, e dunque costituire un pericolo per il bene giuridico.
✓ Il giudice deve fare riferimento al momento in cui la condotta è posta in essere.
✓ Il giudizio deve essere concreto, cioè devono essere prese in considerazione tutte le
circostanze conosciute e conoscibili da un osservatore esterno.
3). Gli atti univoci → l’univocità è il criterio per determinare la sussistenza del tentativo.
▪ Soggettiva: l’univocità rimane solo uno dei criteri di prova dell’intenzione criminosa.
▪ Oggettiva: secondo cui vengono considerati solo gli atti che lasciano verosimilmente
prevedere la realizzazione del delitto voluto.
Il tentativo punibile è anche composto da un elemento soggettivo: è punibile solo a titolo
di dolo e non di colpa.

Il problema sollevato dal dolo nel tentativo è se sia ammissibile il dolo eventuale.
Ad esempio: Tizio dà fuoco ad una palazzina prevedendo e accettando il rischio che vi dorma
qualcuno e che muoia; può rispondere - oltre che di incendio - di tentato omicidio con dolo
eventuale?
Secondo una certa opinione la risposta è sì, secondo cui l'elemento soggettivo del tentativo
non può che essere uguale a quello del reato consumato.
In realtà, secondo la dottrina prevalente questa teoria non è esatta.
Perché il punto è che se la condotta deve essere univoca, quando c'è il dolo eventuale la
condotta non è affatto tale. Questo perché, come ha affermato anche la giurisprudenza "il
dolo eventuale implica il dubbio, e il requisito della non equivocità è incompatibile con tale
stato". E quanto alla condotta del reo, questa deve essere diretta ad uno scopo preciso e
non basta la mera accettazione di un rischio.
Per tornare all'esempio, incendiare una palazzina non è un atto diretto ad uccidere.
L’incendiario risponderà a titolo di tentativo di omicidio solo se sapeva con certezza che
dentro la casa dormiva qualcuno, e costui si sia salvato in tempo, ma non se aveva il semplice
dubbio che qualcuno potesse dormirci.
Quanto alla giurisprudenza ha talvolta ammesso la compatibilità tra dolo eventuale e
tentativo, ma più che altro, secondo i commentatori, per esigenze di politica criminale e
quindi di repressione del terrorismo.

IL REATO IMPOSSIBILE → L'art 49 cm 2 prevede la figura del reato impossibile:


"La punibilità è esclusa quando, per l'inidoneità dell'azione o per l'inesistenza dell'oggetto
di essa, è impossibile l'evento dannoso o pericoloso".
Se la punibilità è esclusa, il giudice può applicare una misura di sicurezza, qualora ritenga
che il soggetto sia comunque pericoloso; per questo motivo alcuni autori parlano di quasi-
reato.
È ovvio che "se concorrono nel fatto gli elementi costitutivi di un reato diverso, si applica la
pena stabilita per il reato effettivamente commesso".
1) In primo luogo, sorge un problema interpretativo, perché occorre distinguere questa
ipotesi da quella del tentativo inidoneo, dal momento che per il delitto impossibile si
applica una misura di sicurezza, mentre al tentativo inidoneo non si applica pena alcuna.
2) Dal punto di vista teorico la norma in esame è importante perché ha permesso di
enucleare il principio di offensività, lì dove si dice che la punibilità è esclusa quando l’oggetto
è inesistente.

Il reato impossibile ricorre dunque in due casi:


- Quando l'azione è inidonea; ad esempio: Caio vuole uccidere Tizio dandogli un pugno sulla
spalla; oppure sparandogli con una pistola giocattolo;
- Quando l'oggetto dell'azione (cioè l'oggetto materiale del reato) è inesistente; ad esempio,
Caio vuole uccidere Tizio ed entra di notte nella sua casa sparando ad un fantoccio,
scambiando questo per la vittima.
Parte della dottrina ha sostenuto che l'art 49 c.p. sarebbe un mero doppione dell'art 56, e
quindi dell'istituto del tentativo. L'azione inidonea di cui parla l'art 49 c.p. sarebbe il
corrispondente dell'espressione "l'azione non si compie" dell'art 56 c.p.
MA:
• L’art 49 non è superfluo, perché consente di applicare una misura di sicurezza al
tentativo inidoneo, soluzione che altrimenti risulterebbe impraticabile
• Occorre notare poi che nell'art 56 si parla di "atti", mentre l'art 49 fa riferimento
“all'azione”. In altre parole: chi compie una serie di atti inidonei a provocare l'evento
risponde di delitto tentato; se invece si pone in essere tutta un'azione inidonea,
allora si applica la norma del reato impossibile.

Se il colpevole volontariamente desiste dall’azione, soggiace alla pena solo per gli atti
compiuti, se costituiscono di per sé un reato.
Il legislatore prevede la non punibilità del tentativo, in quanto c’è la rinuncia a attuare
ulteriori atti per completare il reato.
Parliamo di recesso attivo se il soggetto impedisce volontariamente l’evento, rispondendo
alla pena per il delitto tentato.
Il recesso attivo è una circostanza attenuante soggettiva, dato che l’autore non ha portato
a termine il progetto criminoso (teoria ponte d’oro).

CAPITOLO 9 – IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO → il reato può essere commesso


da un solo soggetto, ma anche da una pluralità di soggetti. L’art. 110 c.p. stabilisce che
“quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena
per quel reato stabilita”.
Confrontando la tipologia di reato concorsuale con quella di altre fattispecie (si pensi
all’associazione per delinquere) appare evidente che mentre vi sono alcune situazioni per le
quali il concorso di persone appare necessario, poiché senza di esso la fattispecie non è
integrata, ve ne sono delle altre in cui il concorso di persone è eventuale, cioè reati che
possono essere indifferentemente realizzati da una o più persone (rapina, furto, incendio).
Infatti, il legislatore descritto le singole fattispecie di reato sulla base di due modelli:
o Monosoggettivo, con riferimento al tipo di reato compiuto da un solo soggetto attivo,
il quale rappresenta la gran parte delle fattispecie di parte speciale.
o Plurisoggettivo, con riferimento ai reati che danno vita, ad un concorso necessario,
cioè che, per loro natura e struttura, necessitano della partecipazione di più persone.
Quindi, a parte i casi di reati plurisoggettivi, il reato è, nella stragrande maggioranza dei
casi, descritto in senso monosoggettivo, in quanto impostato su un autore individuale.

Il legislatore ha adottato il principio delle pari responsabilità di tutti i concorrenti,


indipendentemente dal ruolo che ciascuno abbia avuto nella realizzazione del reato. Questo
non significa che tutti avranno la stessa penna, ma quest’ultima dipenderà dal ruolo
esercitato nel reato.
❖ Partecipazione psichica → che si ha nella fase di ideazione del delitto, dando origine
alla figura del determinatore e di istigatore.
❖ Partecipazione fisica → nella fase esecutiva del reato, dando origine alle figure di
autore, complice o partecipe.
Inoltre, l’art 110 rende punibili anche le condotte non espressamente previste dalla norma,
ma che incidono sulla condotta criminosa → ha dunque un carattere estensivo
dell’ordinamento penale, creando talvolta una nuova fattispecie.
Elementi oggettivi:
➢ Pluralità di agenti → il reato deve essere realizzato da un numero di soggetti
superiore a quello previsto dalla norma incriminatrice di parte speciale.
➢ Realizzazzione di un reato → è essenziale che sia stato posto in essere un fatto di
reato, tentato o consumato, ad opera di uno solo o da tutti i concorrenti.
➢ Contributo causale → il contributo che viene dato da ogni soggetto, con la sua
condotta di partecipazione fisica o psichica.
Elementi soggettivi:
➢ Dolo di concorso → tutti i partecipanti devono avere consapevolezza e volontà di
concorrere con altri alla realizzazione di un fatto di reato.
➢ Cooperazione causale → è necessario che i partecipanti debbano essere consapevoli
della comune condotta contraria alle regole cautelari. Devono avere prevedibilità o
previsione e la sua possibile evitabilità.
CIRCOSTANZE DEL CONCORSO DI PERSONE
Circostanze aggravanti → l’art. 112 c.p., prevede apposite circostanze aggravanti nel
concorso di persone nel reato, ad effetto comune in quanto implicano tutte un aumento
della pena sino ad un terzo.
Comma 2: aver promosso o organizzato la cooperazione del reato.
Comma 3: aver determinato a commettere il reato nell’esercizio della propria attività di
vigilanza o direzione (rapporti di subordinazione di pubblici uffici o servizi).
Comma 4-5: aver determinato a commettere il reato ad una persona di stato di infermità,
deficienza psichica, minori e dunque imputabili o semi imputabili.

Circostanze attenuanti → l’art 114 c.p., afferma che qualora il giudice ritenga che l'opera
prestata da taluna delle persone che sono concorse nel reato abbia avuto minima
importanza nella preparazione o nell'esecuzione del reato, può diminuire la pena.
La pena può essere diminuita per chi è stato determinato a commettere il reato o a
cooperare nel reato, quando concorrono le condizioni dovute all’età, alle condizioni
psichiche o ai rapporti di supremazia. Deve questo esser del tutto marginale e di così lieve
efficienza causale da risultare quasi trascurabile rispetto all'evento.

CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA PENA art 49


Le circostanze soggettive, che escludono la pena, si applicano al solo concorrente a cui si
riferiscono.
Le circostanze oggettive, che escludono la pena, si applicano su tutti colo che sono concorsi
nel reato.
Reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti:
1. Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche
questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione. → art 116 cm1.
2. Se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle
il reato meno grave. → art 116 cm 2.
L’ipotesi prevista dall’ art. 116 cm 2 non è applicabile all’omicidio preterintenzionale, in
quanto trattasi di una forma attenuata solo nella ipotesi in cui il concorrente abbia voluto
un reato diverso da quello voluto dagli autori materiali e concretamente attuato.
Nell’omicidio preterintenzionale, invece, l’evento mortale non è voluto da nessuno dei
concorrenti; mentre tutti vogliono le lesioni o le percosse, e tutti devono rispondere della
morte che eventualmente consegua alla aggressione voluta.
In tema di concorso di persone nel reato, sussiste la responsabilità a titolo di concorso
anomalo qualora l’evento ulteriore, benché prevedibile rispetto al delitto base
programmato, non sia stato dall’agente voluto neppure nella forma del dolo indiretto.
È necessaria la verifica della sussistenza di un nesso, non solo causale ma anche psicologico,
tra la condotta del soggetto che ha voluto soltanto il reato meno grave e l’evento diverso.
L’agente che non abbia voluto il reato diverso, pur avendolo previsto e ritenuto sicuramente
evitabile, risponde pertanto di un reato doloso sulla base di un atteggiamento colposo:
consistente nell’essersi affidato, per realizzare l’altra condotta concorsualmente prevista
con dolo.

IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO PROPRIO → Si definisce “proprio” quel reato che
può essere commesso solo dal soggetto in possesso della qualifica richiesta dalla norma
penale incriminatrice, il quale è l’unico in grado di integrare l’illecito.
➢ Secondo l’art 47 se il concorrente nel reato è consapevole dell’altrui qualifica,
entrambi risponderanno di reato proprio.

➢ Se il concorrente non è a conoscenza dell’altrui qualifica e la sua azione non


costituisce reato, allora non sarà punibile → colui che possiede la qualifica
risponderà di reato proprio.

➢ Se il concorrente non è a conoscenza della qualifica altrui, ma la sua azione costituisce


reato, entrambi risponderanno di reato proprio.
REATI ASSOCIATIVI art 416 → consistono nel partecipare ad un’associazione criminosa,
costituendo un pericolo di lesione di determinati beni giuridici.
Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti, coloro che
promuovono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre
a sette anni.
✓ Per il solo fatto di partecipare all'associazione, la pena è della reclusione da uno a
cinque anni.
✓ I capi soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
Il reato associativo presuppone:
➢ Sul piano oggettivo: pluralità di soggetti, un’organizzazione stabile, un fine illecito.
➢ Sul piano soggettivo: la volontà di far parte di una struttura associativa con fine
illecito.
CAPITOLO 10 – LE FUNZIONI DELLA PENA → la pena è considerata una diminuzione dei
diritti della persona.
Le teorie elaborate da filosofi e giuristi per definire la funzione della pena sono molte:
1)Retributiva, quando è il corrispettivo per aver violato un comando dell’ordine giuridico, ed
è la riaffermazione del diritto da parte dello Stato che è stato violato con il delitto.
2)Prevenzione generale, quando ha un’efficacia deterrente che dissuade dall’attuare
comportamenti delittuosi in coloro che sono portati a delinquere, attraverso l’intimidazione
→ prevenzione generale negativa.
Oppure scoraggia il compimento di reati attraverso l’assorbimento dei valori tutelati, che
sono rilevanti perché tutelati dalla sanzione penale → prevenzione generale positiva.
3)Prevenzione speciale, quando esplica un’efficacia deterrente anche nei confronti del
condannato al fine di evitare altri comportamenti in violazione della legge, e ci sono effetti
rieducativi che le modalità di esecuzione della pena.
Tale teoria è nata dal fallimento della teoria della prevenzione generale e può attuarsi in
varie forme: 1) neutralizzazione del reo (misure restrittive), 2) rieducazione-risocializzazione
(ossia reinserimento graduale nella società).

Le norme della Costituzione italiana sulla funzione della pena:


-Art 27 → la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e non può consistere in
trattamenti contrari al senso di umanità.
La nostra Costituzione accoglie una concezione polifunzionale della pena con l’unico limite
dell’inumanità del trattamento della pena di morte → con questo articolo la funzione della
pena sembra rivolta solo alla teoria di prevenzione speciale.
-Art 25 → “nessuno può essere punito per un fatto che non sia previsto dalla legge come
reato” → con questo articolo richiama la funzione di prevenzione generale e quella
retributiva.
-Principio personalistico: la persona umana va considerata come fine dell’ordinamento e
non come mezzo per raggiungere determinati fini. La pena non può mai essere superiore a
quella meritata, altrimenti ci sarebbe una strumentalizzazione di essa.
-Principio democratico: la rieducazione non può consistere in trattamenti di recupero
all’ideologia dominante, ma come offerta di “volontario” reinserimento nella società.
La Costituzione è principalmente indirizzata alla rieducazione del condannato:
1)Sia nella forma negativa: che è stata perseguita
- Rendendo “eccezionale” la pena detentiva di breve durata.
- Innalzando il limite di concedibilità della sospensione condizionale della pena.
- Possibilità per il giudice di sostituire la pena detentiva fino a sei mesi, con la pena
pecuniaria.
- Libertà controllata fino a un anno.
- Semidetenzione fino a due anni.
- Un condannato che deve scontare una pena non superiore ai 6 mesi, può farlo con
detenzione domiciliare.
2)Sia nella forma positiva: che è stata perseguita
- Individuazione trattamento carcerario, che deve essere conforme ad umanità e
deve assicurare il rispetto della dignità della persona ed è improntato ad assoluta
imparzialità.
- Istituzione di misure alternative per reinserire il condannato nella società.

AFFIDAMENTO IN PROVA → L’affidamento in prova al Servizio Sociale è una misura


alternativa alla detenzione in carcere finalizzata ad evitare alla persona condannata la
condizione di privazione della libertà personale e, soprattutto, il contatto con l’ambiente
penitenziario, da cui potrebbe derivare un danno → consiste nell’affidamento del
condannato al Servizio Sociale, fuori dall’istituto di pena, per un periodo uguale a quello
della pena da scontare. La misura è regolamentata dall’art. 47 → può essere concesso al
condannato che debba espiare una pena detentiva non superiore a 3 anni.

CLASSIFICAZIONE DELLE PENE → secondo l’art 20 c.p. si distinguono due tipi di pene:
1). PENE PRINCIPALI → che sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna, e
variano in base a che si tratti di:

- DELITTI, per i quali abbiamo:


1) Ergastolo art 22: è una pena DETENTIVA ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò
destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno. Il condannato all'ergastolo
può essere ammesso al lavoro all'aperto
2) Reclusione art 23: è una pena DETENTIVA che si estende da quindici giorni a ventiquattro
anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l'obbligo del lavoro e con
l'isolamento notturno. Il condannato alla reclusione, che ha scontato almeno un anno della
pena, può essere ammesso al lavoro all'aperto.
3) Multa art 24: è una pena PECUNIARIA e consiste nel pagamento allo Stato di una somma
non inferiore a euro 50, né superiore a euro 50.000.
- CONTRAVVENZIONI, per le quali abbiamo:
1) Arresto art 25: è una pena DETENTIVA che si estende da cinque giorni a tre anni, ed è
scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati o in sezioni speciali degli stabilimenti di
reclusione, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno.
2) Ammenda art 26: è una pena PECUNIARIA e che consiste nel pagamento allo Stato di una
somma non inferiore a euro 20 né superiore a euro 10.000.

2) PENE ACCESSORIE → hanno un carattere afflittivo, e conseguono alla condanna,


come effetti penali di essa. Sono perpetue o temporanee → limitazione della libertà.

- Per i DELITTI abbiamo:


1) le misure di interdizione: che inibiscono (cioè impediscono) al condannato la possibilità di
ricoprire incarichi pubblici e legali, impedendogli inoltre di essere nominato tutore o
curatore di incapaci, la incapacità di trattare con la Pubblica Amministrazione, la estinzione
del rapporto di lavoro o di impiego, la decadenza dalla responsabilità genitoriale, etc. Può
rivestire carattere temporaneo o perpetuo.

- Per le CONTRAVVENZIONI abbiamo:


2) le misure sospensive: es sospensione di una professione.

Quindi le pene principali sono:

-Le pene DETENTIVE: ergastolo, reclusione, arresto.

-Le pene PECUNIARIE: multa e ammenda; quest’ultime possono essere trasformate in


pena esclusiva, cioè aggiunte alla pena detentiva o in sua alternativa; quest’ultime due, se
insolubili si convertono in libertà controllata oppure, sotto richiesta del condannato, in
lavoro sostitutivo.
IL POTERE DISCREZIONALE DEL GIUDICE → il legislatore non stabilisce la pena in misura
fissa, ma la determina entro un minimo e massimo edittale.
Secondo l’art 132 c.p., nell'applicazione della pena, il giudice è chiamato ad agire
discrezionalmente, il quale non può agire arbitrariamente, ma che dovrà attenersi a
parametri legalmente predeterminati → questi parametri possono subire delle variazioni
solo quando è la legge stessa a prevederlo. Si parla dunque di discrezionalità vincolata.
Infine, il giudice deve motivare le proprie scelte, in attuazione del principio costituzionale di
motivazione obbligatoria dei provvedimenti giurisdizionali (art. 111 Cost.), in modo da
garantire un uso corretto del proprio potere discrezionale.

I parametri dell’art 133 sono:


➢ Gravità del reato, che è desunta da vari elementi:
- Natura oggettiva → gravità del danno o del pericolo cagionato.
- Natura psicologica → intensità del dolo e grado della colpa.
- Elementi attinenti alla condotta del reo → mezzi, luogo, e modalità d’azione.

➢ Capacità a delinquere, che è desunta da:


- Motivi e carattere del reo → cioè la pulsione che induce il soggetto ad agire e gli
aspetti della sua personalità.
- Precedenti penali e giudiziari della vita del reo.
- Condizioni di vita familiari e sociali del reo.
Quando il giudice applica una pena pecuniaria deve anche tenere conto delle condizioni
economiche del reo → a seconda della consistenza del suo patrimonio può decidere di
aumentarla o diminuirla fino a un terzo, e anche concedere al condannato di pagare in rate
mensili.

LE CIRCOSTANZE → in quanto elementi accessori del reato, rendono la pena sempre più
individualizzata. Con questo il legislatore consente al giudice di diminuire o aumentare la
pena oltre i limiti edittali.
Solo dopo che il giudice ha stabilito la pena- base (ovvero quella che il giudice avrebbe applicato
se la circostanza non si fosse verificata) secondo i parametri fissati dall'art. 133, potrà lo stesso
applicare gli aumenti o le diminuzioni di pena, corrispondenti alle circostanze aggravanti o
attenuanti, specificando le ragioni della propria scelta.
➢ Se concorre una sola circostanza, il giudice aumenta o diminuisce la pena base.

➢ Se concorre l'ipotesi di concorso di circostanze omogenee tra loro, ovvero tutte


aggravanti o tutte attenuanti, ad efficacia comune. In tali casi si verifica un aumento
o una diminuzione della pena prevista per ogni circostanza.
➢ Se concorrono più circostanze aggravanti, si applica soltanto la pena stabilita per la
circostanza più grave, ma il giudice può aumentarla senza però superare il triplo del
massimo stabilito.

➢ Se concorrono più circostanze attenuanti, si applica soltanto la pena meno grave


stabilita per le già menzionate circostanze, ma il giudice può diminuirla senza però
essere inferiore a un quarto della pena. E non può essere inferiore a 10 anni se per il
delitto era previsto l’ergastolo.

➢ Se concorrono circostanze eterogenee (alcune attenuanti, alcune aggravanti) il giudice


procede al loro bilanciamento mediante il giudizio di equivalenza o prevalenza.
Questo bilanciamento esprime la valutazione unitaria della gravità del reato, producendo
un giudizio di valore, non di quantità → quindi una sola attenuante può prevalere su più
aggravanti, e viceversa. In questo modo quindi viene espressa la capacità a delinquere del
reo.
- SE le attenuanti e le aggravanti si equivalgono, viene applicata la pena base come se non
ci fossero altre circostanze.
- SE si ritiene prevalente le aggravanti, vengono effettuati gli aumenti previsti senza tener
conto delle attenuanti, e viceversa.

SANZIONI SOSTITUIVE DELLE PENE DETENTIVE BREVI → Con la legge 639 si è aggiunta
un’altra tipologia di sanzioni penali → le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi:
hanno la funzione di far evitare il carcere per reati non gravi e favorire il reinserimento
sociale.

SEMIDETENZIONE art 68 LIBERTA’ CONTROLLATA art 50 PENA PECUNIARIA


-Può essere disposta quando la -Può sostituire le pene detentive -La multa sostituisce la
condanna non supera i due anni di fino a un anno. reclusione.
pena detentiva.
-Comporta il divieto di -L’ammenda sostituisce
-Comporta l’obbligo di trascorrere allontanarsi dal comune di l’arresto entro i limiti di sei
almeno dieci ore al giorno residenza. mesi.
nell’istituto o nella sezione
-Privazione di alcuni diritti.
assegnata.
N nm n knòl
-Privazione di alcuni diritti, come
patente, passaporto, etc.
Ai reati di competenza del giudice di pace possono applicarsi:
1)Pena pecuniaria della multa e dell’ammenda:
- È applicabile ai reati che vengono puniti con la sola pena pecuniaria e per quelli puniti
con la sola pena detentiva di reclusione o arresto.
- Se la pena pecuniaria non può essere pagata si converte in permanenza domiciliare,
oppure il giudice può richiedere il lavoro di pubblica utilità (che se viene violato si
trasforma in obbligo di permanenza domiciliare).
2)Obbligo permanenza domiciliare: Non può essere inferiore a 6 giorni, né superiore ai 45.
Obbliga il condannato a rimanere in casa o in qualunque luogo di privata dimora. Può
aggiungersi il divieto di accedere a specifici luoghi nei giorni in cui non è obbligato alla
permanenza domiciliare.
3)Lavoro di pubblica utilità:
- Non può essere applicato su richiesta del condannato.
- Non può essere inferiore a 10 giorni, o superiore a 6 mesi.
- Consiste nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività per
un massimo di due ore giornaliere.
La polizia/carabinieri controlla l’adempimento e se tali obblighi non vengono rispettati è
prevista la reclusione fino a un anno.

SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA → è una causa di estinzione del reato che
trova la propria disciplina negli art. 163 - 168 c.p.
In particolare, si tratta di un istituto per la cui applicazione è richiesta la pronuncia da parte
del giudice di una sentenza di condanna alla pena di reclusione o dell'arresto della quale, in
presenza di determinati presupposti, ne sospende l'esecuzione per un periodo di tempo
predeterminato dalla legge, a condizione che il reo non commetta altri reati.
➢ Se la pena detentiva non supera i due anni (tre per i minori), il giudice può disporre la
sospensione condizionale della pena.
➢ Se poi trascorsi cinque anni (due per le contravvenzioni) il reo non commette altri reati
e adempie agli obblighi prescritti, la condanna non viene eseguita e il reato si
estingue.
➢ Nel caso in cui non vi sia stato adempimento degli obblighi imposti o il reo abbia
commesso altri reati della stessa indole, la sospensione condizionale della pena verrà
revocata con la conseguenza che le pene irrogate con la sentenza di condanna
verranno eseguite.
La sospensione della pena può essere applicata per → pene principali, accessorie e sanzioni
punitive.
➢ Può essere concessa solo una volta. Salvo se la pena da infliggere, cumulata alla
precedente, non supera due anni di pena detentiva.
➢ È subordinata alla valutazione di gravità del danno e dalla capacità a delinquere del
reo, oltre che al risarcimento del danno e alla riparazione delle conseguenze dannose
del reato.

CONCORSO DI REATI E IL REATO CONTINUATO → La fattispecie del concorso di reati si


configura quando un soggetto viola più volte la legge penale e perciò deve rispondere di
più reati.
Il concorso si distingue in:
– Materiale, quando il soggetto con più azioni od omissioni viola più volte la stessa norma
(in questo caso il concorso sarà omogeneo) o più norme diverse (concorso eterogeneo); es. prima
viene commesso un furto, poi un omicidio.
– Formale, quando il soggetto con una sola azione od omissione viola più volte la stessa
norma (omogeneo) o più norme diverse (eterogeneo) → quando un medesimo soggetto con
una sola condotta commette più reati es. il soggetto eccedendo i limiti di velocità, si scontra
con un’altra autovettura provocando la morte del conducente e il ferimento del passeggero.
La distinzione tra concorso materiale e formale è rilevante sul piano del trattamento
sanzionatorio:
- Nel concorso materiale si fa riferimento al cumulo materiale: a seconda del quale si
applicano tante pene quanti sono i reati commessi. MA sono previsti limiti massimi
di pena: non può essere superiore ad un quintuplo della pena più grave.

- Nel concorso formale si fa riferimento al principio di cumulo giuridico: quando nella


stessa condotta vengono realizzati più reati, si applica la pena per il reato più grave,
aumentata fino al triplo → la pena complessiva però non può superare la somma
delle pene previste per ciascun reato.

All’interno della categoria del concorso materiale si rinviene la particolare figura del reato
continuato disciplinato dall’ articolo 81, comma 2 c.p. Tale figura è disciplinata in modo
autonomo rispetto al concorso di reati. Elementi costitutivi del reato continuato 1) Una
pluralità di azioni o omissioni; 2) Più violazioni di legge; 3) Il medesimo disegno criminoso.
Il reato continuato si configura quando un soggetto “viola una o più disposizioni di legge,
con azioni diverse, per realizzare un medesimo disegno criminoso”.
Ad esempio, per sequestrare Caio, Tizio picchia la guardia del corpo, ruba un’auto e trattiene
Caio per diversi giorni; in tal caso commette il delitto di lesioni, sequestro di persona e furto.
Si tratta di tre reati, ma realizzati con l'unico scopo di sequestrare Caio.
Maggiore è la distanza di tempo che intercorre tra le varie azioni, maggiore sarà la prova del
proposito criminoso (e quindi più grave sarà, presumibilmente, la pena irrogata).
Il disegno criminoso è l’elemento che distingue l'ipotesi del concorso materiale da quella del
reato continuato. Se Tizio commette più reati senza uno scopo unitario si ha concorso
materiale; se invece gli stessi reati sono commessi con un unico scopo allora abbiamo reato
continuato.

CAPITOLO 12 – CAUSE DI ESTINZIONE DEL REATO E DELLA PENA → la commissione di


un reato comporta la punibilità del suo autore.
-Punibilità in astratto: riguarda l’applicabilità della sanzione stabilita dalla norma per chi
realizza la condotta vietata → le cause di estinzione del reato eliminano tale punibilità.
-Punibilità in concreto: che ha come oggetto la pena inflitta dal giudice che deve essere
eseguita quando la pronuncia di condanna è irrevocabile → le cause di estinzione eliminano
questa punibilità, comportando la rinuncia dello Stato di eseguire la pena concretamente
inflitta.

La punibilità viene meno quando ci sono:


1)Cause di estinzione del reato:
-Morte del reo prima della condanna art 150 c.p. → in questo modo viene meno il
presupposto di punire o eseguire la pena. Infatti, la morte estingue ogni conseguenza del
reato, rispettando così il principio di responsabilità penale. A carico degli eredi rimane: le
obbligazioni civili del reato, il rimborso delle spese giudiziali, e se prevista la confisca (che
incide sul patrimonio e non sulla persona).

-Amnistia art 151 c.p. → è un provvedimento di clemenza. Lo Stato estingue il reato, e, se


vi è stata condanna, fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie. L’estinzione
del reato per effetto dell'amnistia è limitata ai reati commessi fino al giorno precedente la
data del decreto, salvo che questo stabilisca una data diversa.
L'amnistia non si applica ai recidivi, delinquenti abituali, o professionali o per tendenza,
salvo che il decreto disponga diversamente.

-Remissione della querela art 152 c.p. → la querela è la richiesta da parte dell’offeso di
punire il colpevole. La remissione è la dichiarazione di volontà contraria che revoca la
querela, e può essere: 1) tacita, se il querelante compie fatti incompatibili con la volontà di
chiedere l’accertamento penale del colpevole; 2) espressa, cioè detta o scritta.
-Prescrizione del reato art 157/172 → La prescrizione del reato determina l'estinzione
dello stesso reato sul presupposto del trascorrere di un determinato periodo di tempo.
I reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo, strage, crimini contro l’umanità, sono
imprescrittibili. L'art. 157 c.p. disciplina il tempo necessario a prescrivere un reato in
considerazione della pena stabilita.
La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena
edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di
delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena
pecuniaria. La prescrizione può essere oggetto di sospensione (nel caso il termine ricomincia
a decorrere dal momento della sospensione) o interruzione (nel caso il termine ricomincia a
decorrere nuovamente dal momento dell'interruzione).

-Oblazione art 162 c.p. → è un pagamento volontario di una somma di denaro che ha come
effetto l’estinzione del reato; è prevista solo per contravvenzioni, cioè tra i reati meno gravi
per i quali il Codice penale prevede la pena dell’arresto o dell’ammenda. Si definisce anche
infatti un rito alternativo al giudizio.

• Oblazione comune: sia ha nelle contravvenzioni punite con la sola ammenda; il


contravventore può pagare, prima dell’emissione della condanna → una somma pari
al terzo del massimo dell’ammenda stabilita.
• Oblazione speciale: si può regolare il debito con la giustizia pagando una somma di
denaro, ma solo se il reato commesso è punito con l'arresto o, in alternativa, con la
sanzione pecuniaria ammenda → una somma pari alla metà del massimo
dell’ammenda.

-Sospensione condizionale della pena art 163: è quando il giudice ordina che l’esecuzione
della pena, inflitta con sentenza definitiva, venga sospesa per un certo periodo.
• SE in questo periodo il soggetto non commette nuovi reati, si ha la sospensione del
reato.
• SE in questo periodo il soggetto commette nuovi reati, la sospensione viene revocata
e il soggetto sconterà la pena.
La sospensione avviene per → 5 anni per i delitti; 2 anni per le contravvenzioni.
-Perdono giudiziale art 169 c.p.: Il perdono giudiziale è una causa di estinzione del reato
prevista solo per i minori di diciotto anni, ma che abbiano compiuti quattordici nonché l’età
minima prevista per l’imputabilità.
Si chiama "perdono" poiché il giudice, anche se accerta che il minore ha commesso il reato,
lo assolve con sentenza irrevocabile.
• Il giudice deve ritenere che il minore si asterrà dal commettere ulteriori reati dopo
aver valutato la gravità del reato commesso;
• Non può essere concesso se il minore art 164: è stato condannato in precedenza per
un delitto (anche se è intervenuta la riabilitazione), né al delinquente o contravventore
abituale o professionale.
• Non può in ogni caso essere concesse per più di una volta.

La punibilità viene meno quando ci sono:


2) Cause di estinzione della pena:
-Morte del reo dopo la condanna: proprio come per la morte del reo prima della condanna,
la sua morte estingue ogni conseguenza del reato → proprio perché la responsabilità penale
è personale.

-L’indulto art 174 c.p.: è un provvedimento generale che si limita a condonare (scusare,
perdonare), in tutto o in parte, la pena inflitta senza che vi sia la cancellazione del reato.
L’indulto opera sulla quantità e qualità della pena residua da scontare:
• Indulto proprio: il beneficio è applicato nella fase esecutiva della pena.
• Indulto improprio: cioè quando viene applicato dal giudice stesso durante l’emissione
della sentenza.

-Grazia art 174 c.p.: è un provvedimento di clemenza individuale, di cui beneficia soltanto
un determinato condannato detenuto. In questo caso la pena principale è condonata in
tutto o in parte, con o senza condizioni, oppure è sostituita con una pena meno grave.
-Prescrizione della pena art 172 c.p.: che disciplina l'estinzione della reclusione e della
multa per decorso del tempo.
In particolare, la reclusione si estingue una volta che sia decorso un tempo pari al doppio
della pena inflitta. Ad esempio, in caso di condanna a dieci anni di reclusione, la pena si
estingue e, quindi, non può più essere portata a esecuzione trascorsi venti anni.
La multa, invece, si estingue sempre e comunque dopo dieci anni, a prescindere dalla sua
entità.
In alcuni casi, il trascorrere del tempo non è un elemento sufficiente a determinare
l'estinzione della pena della reclusione o di quella della multa. La pena, infatti, è
imprescrittibile se vi sono motivi di ritenere che la stessa continua ad avere senso anche
dopo che siano trascorsi diversi anni dalla commissione del fatto di reato che ne ha
determinato l'applicazione.
Infatti, non possono "beneficiare" dell'estinzione della pena i recidivi, i delinquenti abituali,
professionali o per tendenza.

-Liberazione condizionale art 176 c.p.: è un premio concesso dal tribunale di sorveglianza
al condannato perché durante il periodo di carcerazione ha tenuto un comportamento tale
da far ritenere sicuro il suo ravvedimento.
Il condannato deve aver scontato una parte consistente della pena → si applica prima la
libertà vigilata, e poi si sospende la pena che rimane da scontare.

-Non menzione della condanna: l giudice può ordinare in sentenza che non sia fatta
menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale richiesto da privati: i
precedenti penali vengono così (teoricamente) resi non conoscibili a terzi: impedendo che
terzi possano avere conoscenza dei precedenti penali del soggetto.
Si tratta di un istituto lodevole nelle intenzioni, ma praticamente inutile nella pratica: le
condanne risultano comunque nella fedina penale e l'autorità giudiziaria ne è quindi a
conoscenza
Scopo del casellario giudiziale è di documentare i precedenti penali di ogni soggetto.
Il beneficio della non menzione nel casellario giudiziale può essere concesso se, con
una prima condanna, è inflitta, alternativamente, una pena:
• detentiva non superiore a due anni di reclusione;
• pecuniaria non superiore a 516,00 euro.
• detentiva non superiore a due anni ed una pecuniaria che, sommata alla pena
detentiva, priverebbe complessivamente il condannato della libertà personale per un
tempo non superiore a trenta mesi.
La non menzione della condanna non è una vera e propria causa di estinzione della pena.
Deve essere intesa piuttosto come una sospensione, a tempo indeterminato, di un effetto
della pena. Qualora il condannato commetta successivamente un delitto, il beneficio di non
menzione nel casellario giudiziale verrà revocato di diritto.

-Riabilitazione art 178 c.p.: La persona che desidera cancellare gli effetti di una condanna
penale, ripulendo la sua fedina penale e tornando a essere (quasi) come un incensurato, può
chiedere la riabilitazione: questa non è atto non di clemenza, ma di giustizia, dato che chi si
trova nelle condizioni previste dalla legge ha un vero e proprio diritto alla riabilitazione.
Le condizioni per ottenere la riabilitazione sono:
1. decorso di un certo periodo di tempo (almeno 3 anni dalla espiazione / estinzione
della pena);
2. buona condotta;
3. pagamento delle spese processuali e degli obblighi risarcitori derivanti dal reato
(obbligazioni civili);

CAPITOLO 13 – LA PERSONA OFFESA DAL REATO → l’art 90 disciplina il titolare del bene
giuridico leso dalla violazione della norma giuridica che lo tutela. → parliamo del soggetto
passivo del reato.
Diviene parte civile se la persona danneggiata dal reato, si costituisce nel processo
esercitando così l'azione risarcitoria. Spesso le due figure coincidono; tuttavia, vi sono dei
casi in cui ciò non avviene: ad esempio nel caso dell'omicidio la persona offesa è la vittima,
ma le persone danneggiate con facoltà di costituirsi parte civile sono i suoi familiari.
• Reati a soggetto passivo determinato → ossia quelli in cui è individuabile il titolare
del bene giuridico tutelato. Es. omicidio, truffa, lesioni.
• Reati a soggetto passivo indeterminato → in cui l'interesse leso appartiene alla
generalità o ad ampie categorie di soggetti. Es. delitti contro l'incolumità pubblica.
• Reati senza soggetto passivo → in cui viene incriminato un determinato
comportamento ritenuto potenzialmente pericoloso, ma senza che sia stata compiuta
un’offesa ad un interesse specifico. Es. reato di porto abusivo.
Di solito al soggetto passivo viene anche affiancato lo Stato, considerato come un soggetto
passivo generico e costante di ogni illecito penale, perché ogni volta che viene commesso
un reato, si verifica una lesione dell’interesse pubblico.
L'oggetto giuridico del reato → è il bene o l'interesse protetto dalla norma penale. Ad
esempio, nel delitto di omicidio l'oggetto giuridico è la vita umana, bene protetto dalla
norma penale che punisce chiunque cagiona la morte di un uomo.
Ha una funzione di garanzia perché svolge una funzione di garanzia perché delimita
l’oggetto della tutela penale.

IL RUOLO DELLA PERSONA OFFESA NEL DIRITTO PENALE → l’individuazione della


persona offesa del reato, cioè la vittima, ha un ruolo importante nell’analisi del reato in sé.
È quindi necessario distinguere tra:
▪ I reati che possono essere commessi contro qualunque soggetto. (furto, omicidio, etc.)
▪ I reati con cooperazione artificiosa della vittima → la vittima coopera
strutturalmente alla realizzazione della fattispecie: quindi la vittima partecipa
attivamente o non, sotto effetto di manipolazione da parte dell'agente, alla
realizzazione del danno patrimoniale richiesto dalla norma.
▪ I reati che possono essere commessi solo contro soggetti qualificati → ossia tutte le
tipologie dilettuose in cui le caratteristiche della vittima sono considerate essenziali
dalla fattispecie. (reato di prostituzione, pornografia minorile)

E’ frequente che il soggetto passivo presenti delle predisposizioni vittimali che lo rendono
particolarmente suscettibile all’attacco di alcune aggressioni. Esse si distinguono in:
➢ Fattori di natura fisica: età senile, menomazioni fisiche, sesso femminile.
➢ Fattori socio-ambientali: minoranze etniche.
➢ Fattori inerenti a precedenti rapporti con l’autore del reato → infatti, spesso reo e
vittima sono legati da interazioni.
-SE la scelta della vittima è data dal caso, il grado diventa massimo.
-SE il reo agisce in base ai suoi legami pregressi con la vittima, le circostanze ambientali e
relazionali hanno un ruolo fondamentale → es. marito uccide la moglie che era con l’amante.
-SE un soggetto agisce per deviazione, il delitto è frutto di fattori casuali e il rischio di
reiterazione è molto alto (compiere di nuovo reati) → questo perché per il reo non è rilevante
l’identità della vittima es. serial killer.
LA POSIZIONE DELLA PERSONA OFFESA NEL PROCEDIMENTO PENALE → l’offeso può
svolgere una funzione di:
➢ Supporto: rispetto ai poteri d’indagine del pubblico ministero.
➢ Controllo: nel caso di inattività del pubblico ministero.
Secondo l’art 101, la persona offesa ha diritti e la facoltà di essere affiancata da un
difensore, il quale assiste le varie fasi del processo penale.
Ha inoltre il diritto di querela, che è l’atto con cui la persona offesa dal reato manifesta la
volontà di perseguire penalmente il fatto costituente reato che essa stessa abbia subito.
Due sono gli elementi di cui si compone la querela:
1) la notizia di reato.
2) la manifestazione della volontà che si proceda penalmente in ordine al reato.
Al contrario, la denuncia può essere presentata da chiunque e non deve contenere
necessariamente una manifestazione di volontà.
Il diritto di querela deve essere esercitato entro il termine di tre mesi dal giorno in cui la
persona offesa ha avuto notizia del fatto che costituisce il reato. Il termine si allunga a sei
mesi per i delitti contro la libertà sessuale.
Inoltre, la volontà punitiva dell’offeso deve essere sempre presente per tutto il processo
penale → in caso contrario, il codice permette:
➢ La rinuncia → dichiarazione irrevocabile proveniente da colui al quale spetta
l'esercizio del diritto di querela, nel periodo successivo alla commissione del reato.
➢ Da non confondere con la rimessione → dichiarazione con cui un soggetto revoca la
querela precedentemente presentata prima che intervenga la condanna penale.
LO STALKING (DELITTO DEGLI ATTI PERSECUTORI)
La fattispecie di “atti persecutori” è sancita dall’art. 612-bis c.p. → punisce con la reclusione
da sei mesi a cinque anni chiunque minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un grave
stato di ansia o paura, tanto da temere per l’incolumità propria o altrui, e costringere lo
stesso ad alterare le abitudini di vita.
Il fenomeno è meglio noto come “stalking”, termine che deriva dal verbo inglese “to talk” e
che significa letteralmente “avvicinarsi di soppiatto alla preda”; nel linguaggio comune è
usato nel senso di “perseguitare”, “molestare”, “disturbare”.
In via di prima approssimazione, si può dire che lo stalking sia il comportamento volto ad
imporre una relazione a un altro individuo (che tale relazione non vuole); codesto
comportamento è caratterizzato da condotte intrusive, molestie e minacce, tali da suscitare
nella vittima disagio, fastidio, angoscia e paura.
Edge sostiene che un persecutore segue la sua vittima come lo fa una persona innamorata
con il proprio partner, o come un bambino con il proprio genitore; però, la grande differenza
sta nel fatto che la vittima di una persecuzione non desidera essere inseguita → si tratta di
una relazione a struttura conflittuale (non reciproca).
I comportamenti riconducibili all’art. 612-bis c.p. possono ricondursi a 3 diverse tipologie:

• Comunicazioni indesiderate: rientrano le telefonate, i messaggi, lettere, ma anche la


comunicazione tramite terze persone. Comunicazione particolare è la “telefonata muta”, in
questa il molestatore interrompe di sua iniziativa la comunicazione non appena la vittima
risponde, o non interagisce con la stessa (“Molestie ex art. 660”).
• Contatti indesiderati: rientrano quei comportamenti volti ad avvicinare la vittima
(pedinamenti, appostamenti, o il recarsi negli stessi luoghi da questa frequentati).
• Comportamenti associati: in quanto solitamente accompagnano i comportamenti
persecutori in senso stretto → queste condotte hanno lo scopo di dimostrare l’assoluto
controllo sulla vita della vittima. Ad es. bucare le gomme, far trovare animali vivi o morti,
arrecare danni all’abitazione, minacciare.
Pertanto, anche la violenza può rientrare tra le possibili alternative comportamentali cui
viene attuata una “campagna persecutoria”. 5 ipotesi di violenza riconducibili allo stalking:
1. Violenza fisica → contatto fisico.
2. Violenza sessuale.
3. Violenza psicologica creando ansia e panico. Es minacce.
4. Violenza economica. Es divieto od obbligo di lavorare.
5. Violenza sociale → atti violenti che colpiscono i contatti sociali della vittima. Es: tentativi
di isolarla socialmente; divieto di avere contatti con familiari, amici, colleghi.
Nel corso della campagna persecutoria si potrà verificare una vera e propria “escalation
criminale” nel senso che vi è il rischio che le condotte dello stalker possano degenerare in
fatti delittuosi, fino a giungere all’omicidio.
Lo stalking è un comportamento vecchio, ma viene considerato un crimine nuovo, perché
l’opinione pubblica (e il legislatore) ne ha dato rilevanza solo in tempi relativamente recenti.
Questo perché, in America, vi sono state delle star vittime di stalking che è poi degenerato:
nel 1989 fu uccisa l’attrice Rebecca Schaeffer da un suo fan perché in un film l’attrice si
mostrava a letto con un uomo e quella visione provocò in lui la follia omicida. A quei tempi
lo star-stalking non era un fenomeno ignoto. Un molestatore assillante di celebrità può
considerarsi anche Mark Chapman, che nell’80 uccise John Lennon.
Il preoccupante dilagare del fenomeno indusse, già negli stessi anni ’90, i legislatori di molti
Paesi ad intervenire. → Fu lo Stato della California, nel 1990, ad approvare la prima legge
anti-stalking; l’esempio fu seguito da numerosi Stati americani poco dopo, ed in fine, nel
1996 divenne un crimine federale.
Nel vecchio continente il primato spetta alla Gran Bretagna, in cui nel 1997 emanò la
“Protection from Harassment Act”. Questo prevede 2 distinte ipotesi di reato:
• Harassment (molestia assillante): ipotesi meno grave, consiste nell’attuare una serie di
condotte che costituiscono molestia. Qui è necessario il dolo o la colpa. Non vi è
responsabilità penale se l’autore dimostra che le sue condotte sono state tenute al fine di
prevenire o di scoprire un reato, oppure che nella concreta circostanza tali condotte
dovevano ritenersi ragionevoli.

• Putting people in fear of violence: ipotesi più grave, consiste nel provocare in un’altra
persona, tramite una serie di condotte, il timore di subire una violenza. Anche in questo caso
si richiede il dolo o la colpa.
Manifestazione dello stalking:
1.STALKING EMOTIVO → è quello più comune. I protagonisti sono collegati da una relazione
di tipo affettivo, che si è conclusa per decisione di uno dei due (solitamente la donna), non
condivisa dall’altro.
Colui che è rifiutato comincia a minacciare e a perseguire l’altra persona per indurla a
cambiare idea, oppure per punirla in qualche modo per ciò che ha fatto. All’origine del
fenomeno vi è dunque l’incapacità di accettare il rifiuto.
Si dice che siano questi anche i casi in cui più elevato è il rischio di violenza, proprio a causa
del fatto che il persecutore e vittima si conoscono reciprocamente.
2. STALKING DELLE CELEBRITA’→ in questi casi il molestatore è animato da un sentimento
di ammirazione eccessiva, e la star diventa oggetto di culto. Tra persecutore e vittima non
vi è stata alcuna precedente relazione. Questo genere di stalking è motivato dal desiderio
dello stalker di conquistare una sorta di riconoscibilità da parte della star, cioè la vittima.
3. STALKING OCCUPAZIONALE → è la variante più grave delle persecuzioni sul posto di
lavoro, in quanto le persecuzioni si ripercuotono (al pari delle altre forme di manifestazione dello
stalking) nella vita quotidiana e nella sfera privata della vittima, e non solo sul posto di lavoro.

Lo stalking occupazione non è da confondere con il mobbing: atti persecutori finalizzati ad


emarginare un soggetto dal gruppo sociale di appartenenza, ma non si ripercuote nella vita
privata. E nemmeno con lo straining: gli atti che generano una situazione di stress sul posto
di lavoro.
4.STALKING FAMILIARE → questo prende piede all’interno della famiglia, in cui si verificano
relazioni conflittuali che sono dettate dalla lotta per avere il potere e mezzi economici.
5.STALKING CONDOMINIALE → questo si caratterizza per il fatto che lo stalker e la vittima
vivono nello stesso condominio o sono comunque vicini di casa.

Edge ha elaborato 7 parametri di riconoscimento dello stalking:

• AMBIENTE: le operazioni dello stalker prendono luogo nella vita privata della vittima →
lo stesso termine “stalking” indica una persecuzione totale.
• FREQUENZA E DURATA: la ripetitività delle condotte è ciò che contraddistingue lo
stalking. Ci si chiede però quale sia la frequenza e la durata necessaria affinché si possa
parlare davvero di stalking.
Una ricerca tedesca evidenzia che quasi tutti i casi di stalking sono attuati con cadenza
almeno settimanale → frequenza.
Per la durata Edge ritiene che il minimo dovrebbe essere di 3 mesi (durata) → questo perché
la dottrina per il mobbing ha richiesto una durata minima di 6 mesi, e dato che tra mobbing
e stalking vi sono delle grandi differenze, ha ritenuto plausibile fissare il limite minimo
esattamente della metà di quello del mobbing, data la maggiore gravità dello stalking.
Sulle basi della frequenza minima e della durata → emerge che 12 è il numero minimo di
azioni affinché si possa parlare di stalking (tale soluzione prospettata da Ege, pur essendo logica,
non si riflette pertanto nelle decisioni dei giudici).

• TIPO DI AZIONI: nonché azioni violente: fisica, sessuale, psicologica, sociale, economica.
• DISLIVELLO TRA GLI ANTAGONISTI: la vittima, rispetto al persecutore, si trova in una
condizione di costante inferiorità. Lo stalker ha la possibilità di colpire quando e come vuole,
mentre la vittima non ha la minima possibilità di difendersi adeguatamente.
• INTENTO PERSECUTORIO: l’intento dello stalker può essere affettivo o distruttivo.
Volendo tracciare un identikit del molestatore assillante: si può dire che generalmente si
tratta di un individuo di sesso maschile, adulto, con una precaria situazione lavorativa, di
media istruzione, incapace di accettare il rifiuto, l’abbandono e la separazione; è un
individuo il cui tratto più ricorrente è quello dell’antisocialità.
Tuttavia, si è evidenziato che non esiste un unico profilo dello stalker. Sono state prospettate
varie classificazioni dei molestatori assillanti:
• RIFIUTATO → è colui che reagisce alla conclusione indesiderata di una relazione intima, e
le sue azioni mirano a ripristinarla o a vendicarsi per il rifiuto subito, o ad entrambe le finalità.
È considerato uno degli stalker più pericolosi.

• CERCATORE DI INTIMITA’ → è colui che combatte la propria solitudine cercando di


stabilire una stretta relazione, sentimentale o occasionale, con una persona sconosciuta o
con un conoscente.
• RANCOROSO → è colui che ritiene di aver subìto dalla vittima un’offesa ed agisce con
l’intento di vendicarsi, provocandole paura. Tende a giustificare i propri comportamenti.
• PREDATORE → è colui che agisce per soddisfare il proprio desiderio di appagamento
sessuale. Segue e osserva la propria vittima, e la sua azione spesso si conclude con un atto
di violenza sessuale. È considerato lo stalker più pericoloso.

• INCOMPETENTE → è il corteggiatore inesperto, incapace di relazionarsi con persone


dell’altro sesso. La campagna persecutoria è di breve durata, ossia questo tipo di stalker
desiste con una certa facilità dai suoi propositi per poi rivolgere ad un’altra vittima le proprie
attenzioni.
• ERETOMANI: sono affetti da un disturbo delirante che li porta a credere di essere amati
dalla persona che forma oggetto delle loro attenzioni, nonché la vittima delle molestie
assillanti. Qui non vi è alcuna pregressa relazione di tipo sentimentale tra stalker e vittima.

• AMANTI OSSESSIVI: neppure costoro hanno avuto una relazione con la propria vittima. In
questo gruppo rientrano coloro i quali non ritengono che i propri sentimenti siano
corrisposti dalla vittima; sono per lo più persone affette da schizofrenia o disturbo bipolare.
• SEMPLICI OSSESSIVI o INSEGUITORI OSSESSIVI: sono soggetti che hanno avuto una
pregressa relazione con le loro vittime, una relazione che può essere non solo sentimentale,
ma anche di lavoro, professionale, di vicinato o di semplice conoscenza. È la categoria più
numerosa (60% dei casi di stalking).
La c.d. “teoria dell’attaccamento” cerca di spiegare la genesi dello stalking. Bisognerebbe
risalire al rapporto che l’individuo aveva durante l’infanzia con i propri “caregiver” primari
→ “colui che si prende cura” e si riferisce naturalmente a tutti i familiari. Un caregiver
presente fa sì che il bambino possa acquisire un senso di sicurezza; se invece è assente o lo
abbandona, questo svilupperà probabilmente un modello di attaccamento insicuro.
La vittima è la persona, per lo più di sesso femminile e di età compresa tra i 19-39 anni, che
subisce le molestie assillanti. Molto più rari sono i casi di uomini perseguiti da donne.

• VITTIME PRIMARIE → rientrano ex partner, amici, familiari, vicini d casa, conoscenti,


sconosciuti, colleghi di lavoro, coloro che esercitano le c.d. “help profession”, le personalità
pubbliche, ecc.
• VITTIME SECONDARIE → sono quelle persone legate alla vittima primaria da rapporti di
familiarità, di amicizia, di colleganza lavorativa e che, agli occhi dei molestatori, possono
apparire come degli ostacoli che rendono più difficoltoso il raggiungimento dello scopo
divisato. Sono dunque esposte al rischio di subire aggressioni fisiche o, quanto meno,
intimidazioni da parte dello stalker.
Vi è poi il problema delle c.d. “false vittime” → queste fingono di aver subito molestie
assillanti per ottenere qualche vantaggio economico. Talvolta, tali soggetti sono
semplicemente disturbati e immaginano di essere perseguitati, si dice che soffrono di delirio
di persecuzione.
Oppure, delle volte si assiste a delle inversioni di ruolo: il persecutore recita la parte della
vittima, e assegna alla vittima il ruolo di persecutore →al fondo di questo atteggiamento è
stato riscontrato un desiderio di vendetta o la volontà di mantenere un qualche tipo di
contatto con la vittima, anche attraverso il sistema giudiziario.
Gli effetti che una campagna di stalking può produrre sulla vittima sono molteplici e di varia
natura (psicologica, sociale ed economica). Si registrano diverse modificazioni delle abitudini: di
vita, di lavoro, di utenza telefonica, di residenza, di frequenza di corsi di autodifesa.
Effetti immediati delle molestie assillanti sono: il calo dell’autostima, un aumento del livello
di ansia e di allerta, si riscontra un incremento dell’aggressività, ed una tendenza
all’isolamento dagli altri.
Per evitare la possibilità di qualsiasi contatto con il persecutore, la vittima si risolve: non
uscendo di casa da sola, non frequentando certi luoghi.

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