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PREMESSA
Il modulo riguarda il danno ingiusto e, più in generale, la responsabilità civile. Oggi tratteremo in
particolare il concetto di danno ingiusto. Quando parliamo di “danno ingiusto” facciamo
riferimento alla c.d. responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c.), la quale è ricompresa, insieme
alla responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.) nella c.d. responsabilità civile.
Prima di esaminare la nozione di danno ingiusto, va fatta una considerazione a livello generale:
che differenza c’è tra la responsabilità extracontrattuale e quella contrattuale?
- innanzitutto, la fonte che sta alla base della responsabilità: nel primo caso il fatto illecito, nel
secondo caso il contratto
- varia il termine di prescrizione: 5 anni nel primo caso, 10 anni nel secondo caso. Il problema
semmai sta nell’individuazione del dies a quo dal quale decorre il termine di prescrizione. La
questione si pone soprattutto nei casi danno lungo latente, cioè di danno che si prolunga nel
tempo: Nel caso lungo latente occorre ricordare che il termine di prescrizione inizia a decorre da
quando il danneggiato ha scoperto o poteva scoprire il danno
- diverso è l’onere probatorio: nel primo caso è il soggetto danneggiato che dovrà provare la colpa
del danneggiante, nel secondo caso è il debitore che dovrà provare di non aver colposamente
inadempiuto (la prova liberatoria spetta al debitore, il quale dovrà provare o l’esatto adempimento
o l’impossibilità sopravvenuta per causa a lui non imputabile). Sotto questo profilo la
giurisprudenza è assolutamente pacifica, in forza di una sentenza resa a Sezioni Unite nel 2001:
tradizionalmente si ritiene che sia il danneggiato a dover fornire la prova, anche presuntiva, del
dolo o della colpa del danneggiante.
Tuttavia, con la Legge Gelli-Bianco (2017) il legislatore è intervenuto nell’ambito della
responsabilità sanitaria. Questa legge, che porta il nome dei promotori, fu presentata ai sanitari dai
promotori che erano due medici come una vittoria per la classe medica, in quanto l’art. 7 della
legge inquadra la responsabilità del sanitario che non stipula un accordo diretto con il paziente
come una responsabilità ex art. 2043 c.c., al fine di superare, per via legislativa, un orientamento
giurisprudenziale che si era diffuso con la CASS. 589/1999 che aveva, per la prima volta, applicato
la fattispecie del c.d. contatto sociale se io paziente vado in ospedale e sono curato da un
sanitario che non scelgo, non ci può essere tra me e questo un rapporto contrattuale, ma,
nonostante ciò, la Cassazione dice che c’è comunque un contatto qualificato, cioè un fatto da cui
nasce un’obbligazione, alla stessa stregua di un contratto. Da qui sorgono obbligazione, che se
inadempiute determinano un regime di responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.).
Da questa sentenza si è diffusa tutta una ricostruzione volta a tutelare il paziente in base alla
responsabilità contrattuale. La Gelli Bianco invece riporta il rapporto nell’alveo dell’art. 2043 c.c.
Questa scelta fu sbandierata alla classe medica come normativa per ridare loro serenità,
mantenendo comunque fermo il diritto al risarcimento del danno dei danneggiati.
Questa enfatizzazione del ritorno al 2043 c.c. ha, dal punto di vista concreta, poca rilevanza, se non
per il profilo della prescrizione. Ha poca rilevanza perché, se noi ragioniamo in tema di inversione
dell’onere probatorio, la Legge Gelli Bianco prevede subito un accertamento tecnico preventivo
questa distinzione tra 1218 e 2043 dal punto di vista della ripartizione degli oneri probatori in
molte fattispecie di responsabilità è molto svuotata di contenuto concreto.
- l’art. 1225, il quale prevede che se l’inadempimento o il ritardo nella esecuzione della prestazione
non dipende da dolo della prestazione (cioè se è meramente colposo) il risarcimento è limitato al
danno prevedibile nel momento in cui è sorta l’obbligazione, si applica al risarcimento del danno
da inadempimento delle obbligazioni e non al risarcimento del danno da fatto illecito.
In tutta franchezza, esistono pochissime sentenze che abbiano fatto applicazione del 1225,
escludendo il risarcimento del danno in quanto si trattava di danni non prevedibili derivanti da
inadempimento colposo. Questo perché il giudizio sulla prevedibilità del danno viene assorbito dal
giudizio sulla prevedibilità immediata e diretta alcuni casi non sono risarcibili non perché
imprevedibili ma perché non sono concepiti come conseguenza immediata e diretta
dell’inadempimento.
C’è stata una evoluzione della responsabilità civile soprattutto alla luce dell’evoluzione della
nazione di danno ingiusto. Questa evoluzione ha portato ad un intervento sempre più massiccio
dello strumento risarcitorio, è scoppiata la funzione para-riparatoria della responsabilità civile.
Tutto ciò è passato attraverso l’evoluzione della clausola generale dell’ingiustizia del danno.
L’art. 2043 c.c. ha avuto un’evoluzione giurisprudenziale nel corso dei decenni. La responsabilità
extracontrattuale era tradizionalmente collegata alla lesione di diritti assoluti, cioè alla lesione del
diritto di proprietà e alla lesione dei diritti della personalità. Vi sono state delle tappe
giurisprudenziali molto importanti:
- CASO SUPERGA: aereo che si schianta per la nebbia sulla collina di Superga mentre stava
portando a casa la squadra del Torino. I familiari ottennero dal vettore aereo il risarcimento del
danno. Anche il Torino calcio chiese il risarcimento del danno, per essere stata privata dei propri
giocatori migliori. La Cassazione Sent. 2085/1953 riconosce che il Torino ha subito un danno ma
non è risarcibile, in quanto non si tratta di un diritto assoluto ma di un diritto di credito ad ottenere
prestazioni sportive.
- la vicenda si ripropone a distanza di 20 anni. È ancora il Torino calcio che lamenta un danno
ingiusto per la morte di un calciatore. La Cassazione interviene con la Sent. 174/1971 sul c.d.
CASO NERONI: calciatore che viene investito ed ucciso da un’autovettura, guidata da un giovane
che successivamente diventerà presidente del Torino. Anche qui il Torino ha lamentato un danno
ingiusto perché ha perso uno dei suoi migliori calciatori. La Cassazione, a distanza di venti anni,
afferma per la prima volta la risarcibilità dei diritti di credito danno ingiusto può essere anche la
compromissione di un diritto di credito. È necessario, comunque, che ci sia un diritto soggettivo del
danneggiato che reclama il risarcimento. Nell’aprire le porte alla risarcibilità del danno derivante
dalla lesione del diritto di credito, tuttavia, la Cassazione afferma anche un principio: tu Torino non
hai diritto al risarcimento perché quel giovane della primavera che ha sostituito Neroni si è rivelato
altrettanto bravo; quindi, tu non hai subito una perdita definitiva. La lesione, quindi, deve essere
definitiva. Questa limitazione, tuttavia, non verrà più affermata nelle sentenze successiva sulla
risarcibilità dei diritti di credito.
-un ulteriore passaggio molto importante si ha quando la Cassazione riconosce l’ingiustizia del
danno anche per la lesione delle situazioni di fatto. La Cassazione nel 94’ afferma per la prima
volta, in caso di uccisione di un convivente more uxorio, tutela sul piano risarcitorio sulla base di
una equiparazione tra famiglia coniugale e famiglia di fatto.
Queste varie tappe dell’evoluzione del concetto di danno ingiusto culminano con due sentenze
delle Sezioni Unite del luglio del 1999:
- SEZ. UN. 500/1999: per la prima volta viene affermata la risarcibilità della lesione agli interessi
legittimi da parte della P.A. La vicenda sottesa alla sentenza in esame è il caso di un cittadino
proprietario di un terreno che ha tutti i requisiti per costruire sul terreno, ma il Comune gli nega
illegittimamente il permesso a costruire. Lui fa il ricorso al TAR, finisce al Consiglio di Stato che
annulla il provvedimento amministrativo. Nel frattempo, però il piano regolatore è cambiato e non
può ricostruire. Subisce quindi un danno. Chiede risarcimento ma il giudice di merito glielo aveva
negato sostenendo che non vi fosse diritto soggettivo. Non era considerato danno ingiusto, ai sensi
dell’art. 2043, la lesione avente ad oggetto un diritto soggettivo. Le Sezioni Unite danno una
interpretazione dell’art. 2043, mettendo in evidenza come l’ingiustizia del danno non possa essere
collegata esclusivamente alla lesione di diritti soggettivi e quindi caratterizzata da un sistema di
tipicità, perché la caratteristica è invece quella dell’atipicità il danno ingiusto non può essere
ingabbiato in una scatola chiusa di diritti soggettivi. C’è un passaggio in cui viene messo in evidenza
l’errore che i giudici avevano seguito fino all’epoca, di inventarsi diritti soggettivi al fine di tutelare
determinate situazione nei casi in cui i diritti soggettivi non c’erano. E viene fatto l’esempio di una
vicenda giurisprudenziale: DE CHIRICO era uno dei massimi pittori del secolo scorso, che tante
volte non riconosceva bene gli autentici dai falsi. È accaduto che un gallerista un bel giorno
acquista un quadro di De Chirico da un pittore ma non è sicuro dell’autenticità. Chiede allora a De
Chirico di autenticarlo. Viene certificato ma a distanza di tempo si scopre che è un falso. Chi lo ha
venduto sparisce. Chi lo ha acquistato fa causa al De Chirico perché è stata lesa la sua autonomia
contrattuale. Il Tribunale di Roma, nel condannare De Chirico parla di danno ingiusto perché è stato
leso il diritto all’integrità patrimoniale dell’acquirente. Cioè questo caso viene riportato dalle
sezioni unite del 99’ per stigmatizzare la tecnica di inventarsi diritti soggettivi per tutelare una
situazione meritevole di risarcimento. Invece le Sezioni Unite dicono che per accertare se c’è o
meno l’ingiustizia del danno bisogna valutare se l’interesse di danneggiato è meritevole di tutela
oppure no. Come si fa a valutare se sia meritevole di tutela? Bisogna bilanciare l’interesse del
danneggiato al risarcimento con l’interesse che il danneggiante intendeva perseguire nel momento
in cui ha compiuto l’azione foriera di danno. Sulla base di questo giudizio di bilanciamento, se
prevale l’interesse al risarcimento, ci sarà diritto al ristoro. Questo giudizio di bilanciamento viene
effettuato sulla base del diritto positivo, verificando quale dei due interessi è tutelato dal diritto
positivo. E se entrambi sono tutelati dal diritto positivo e da fonti di pari grado, allora sarà il diritto
vivente a dettare le condizioni per cui dovrà prevalere l’uno o l’altro interesse. Tuttavia, quello che
viene valorizzato è che il danno ingiusto è “atipico”, cioè costituisce una clausola generale, la cui
sussistenza andrà valutata caso per caso.
ESEMPIO: caso separazione tra due coniugi. Famiglia perfetta, idilliaca. 30 anni di matrimonio
senza uno screzio. Uno dei due ha sacrificato la vita per la carriera dell’altro. I figli sono diventati
grandi. Uno dei due all’improvviso va via di casa perché ha incontrato un’altra persona e se ne è
innamorato. È un danno ingiusto il danno da separazione? La Cassazione, tra l’altro, collega la
separazione ai diritti di libertà fondamentale. Ci sono sentenze della Cassazione che inquadrano il
diritto di separarsi nell’ambito dei diritti fondamentali della persona. La separazione in sé per sé
non potrà mai essere fonte di danno ingiusto. Non c’è dall’altra parte un diritto del coniuge a
mantenere integro un nucleo familiare. Il matrimonio non è un contratto. Esso può essere sciolto
ad iniziativa di uno dei due coniugi e l’altro coniuge non ha un diritto all’intangibilità della propria
sfera familiare e del proprio rapporto matrimoniale. C’è stata una vicenda relativa ad un padre di
famiglia che, rovistando tra le cose della moglie, scopre una lettera tra la stessa e un proprio
dipendente dove, non solo scopre che i due intrattenevano una relazione, ma anche che il figlio era
figlio del dipendente. Il marito fa causa al terzo, cioè al dipendente. Il Tribunale di Roma, in modo
errato, fa una comparazione tra il matrimonio e il contratto, sostenendo che, così come un terzo
non può indurre un contraente a violare un contratto, così il terzo non può indurre la moglie a
violare i doveri nascenti dal matrimonio. L’errore del Tribunale di Roma è che il matrimonio non è
un contratto, concludendo addirittura dando ragione all’amante perché l’iniziativa era stata dalla
moglie, per cui la fattispecie non era equiparabile a quella dell’induzione del terzo alla violazione
degli obblighi contrattuali.
Qui il tema è che, quando c’è un danno, per stabilire se esso è ingiusto bisogna accertare quali tra i
due interessi prevale. Nel caso di separazione, se le modalità di separazione assumono determinati
caratteri ci può essere danno ingiusto, perché non si tratterebbe più di separazione ma sarebbero
altre condotte a trascinare nell’ambito dell’illiceità condotte che invece sarebbero esenti da
responsabilità.
ESEMPIO: si pensi al caso della moglie di un imprenditore che, con il marito spesso via per lavoro,
scopre foto in cui lo stesso aveva un’altra famiglia in tutt’altra parte del mondo. Qui viene ravvisata
ingiustizia del danno per la modalità offensiva con cui la doppia relazione era stata portata in avanti
Questo nuovo filone della responsabilità civile che entra nel diritto di famiglia noi ce l’abbiamo
all’indomani della Sent. 500/1999 perché soltanto nel 99’ viene riconosciuta la valenza di
clausola generale di danno ingiusto, soltanto allora viene demandato al giudice di valutare caso
per caso per il danno è meritevole o meno di tutela, senza necessità di fare riferimento alla
lesione di diritti soggettivi.
L’elemento soggettivo che caratterizza il fatto illecito può assumere rilievo anche sotto il profilo
dell’ingiustizia del danno, attirano nell’ambito dell’ingiustizia del danno condotte che, se
realizzate con una semplice colpa, sarebbero del tutto irrilevanti.
Noi abbiamo tutta una serie di illeciti, ad esempio nel caso di denuncia infondata, in cui la
risarcibilità del danno è ammessa solo se il danno è cagionato con dolo. Nel caso di denuncia
infondata, la giurisprudenza ha detto che non è risarcibile in tutti i casi, perché se noi
sanzionassimo tutti coloro che presentano denunce infondate, nessuno denuncerebbe più.
L’unico caso in cui ci sono conseguenze risarcitorie è quando il soggetto cagiona il danno mosso da
dolo o almeno da colpa grave. Solo in questi casi la denuncia infondata determinata conseguenze
sul piano della responsabilità civile. Questo significo che questo è un c.d. ILLECITO DI DOLO o
COLPA GRAVE.
L’altro caso che abbiamo esaminato è quello del giornalista. Qui noi vediamo, forse ancor meglio,
come opera il giudizio di bilanciamento. Qui abbiamo interesse del giornalista a pubblicare certe
notizie e l’interesse del danneggiato a tutelare la propria riservatezza e il proprio onore. Si tratta di
due diritti costituzionali dello stesso rango. Come si risolve questo conflitto? Sempre con le regole
che ha dato il diritto vivente. Noi abbiamo, da un po’ di decenni a questa parte, una pronuncia di
Cassazione che viene sempre richiamata (c.d. decalogo del giornalista). Questa sentenza ci dice
quando prevale il diritto di cronaca o il diritto del danneggiato alla propria reputazione. Si tratta di
tre criteri: verità/veridicità notizia, interesse pubblico alla sua conoscenza (collegato alla
notorietà del soggetto di cui si parla), continenza (criterio che descrive il modo in cui una notizia
viene presentata.).
INGIUSTIZIA DEL DANNO RECLAMATA DA CHI È COSTRETTO A VIVERE CON UNA GRAVE
MALFORMAZIONE
- Qualora il medico, a causa di un errore, non informa il genitore che il feto presenta delle gravi
malformazioni, chi può reclamare l’esistenza di un danno ingiusto?
In Francia, questa vicenda prese il nome di CASO PERUCHE, dal nome del bambino nato dopo che
la madre, spaventatasi per il timore di aver contratto il morbillo durante la gravidanza, aveva
ricevuto riscontro negativo dal medico, quando il realtà il morbillo lo aveva e lo trasmise anche al
bimbo che portava in grembo, cagionandone la nascita con delle malformazioni.
Il tema è quindi quello del danno da vita indesiderata. Vengono in rilievo tanti aspetti e non
necessariamente tutti giuridici. Ad esempio, quando si è posta la questione in Francia è sorto un
enorme dibattito etico sul se una vita, per quanto in condizioni di sofferenza, possa essere
considerata come un danno ingiusto. In Francia, la Cassazione ha censurato la Corte d’appello di
Parigi che aveva negato il diritto al risarcimento del danno al nascituro. Da lì si è acceso un enorme
dibattito, poi culminato con una legge di più ampio respiro sulla responsabilità sanitaria, il cui art. 1
dispone che nessun risarcimento del danno può essere accordato per il solo fatto della nascita.
Nel caso Peruche, dunque, non poteva essere riconosciuto un danno al minore.
In Italia la questione si è posta innanzi alla Corte di Cassazione solo nel 2004 (SENT. 14488/2004).
Avevamo due genitori affetti da talassemia mediterranea- una malattia del sangue- che decisero di
avere un figlio, ma non volevano trasmettere al figlio siffatta malattia. Dichiararono di volere
sottoporre il feto ad accertamenti, con la precisazione che se il feto fosse stato contagiato dalla
patologia avrebbero voluto interrompere la gravidanza. Gli accertamenti esclusero la patologia.
Tuttavia, il bambino nacque lo stesso affetto da talassemia. Ai genitori viene riconosciuto il diritto
al risarcimento del danno perché è stato leso il loro diritto ad una loro procreazione cosciente e
responsabile.
- La legittimazione al risarcimento del danno deve essere riconosciuta anche al bambino che
nasce con una determinata malformazione trasmessa dai genitori? Qui l’errore medico è stato
non informare i genitori che sussisteva quella determinata patologia.
Di danno da malformazione si è iniziato a parlare nel dopoguerra, con una sentenza del Tribunale
di Piacenza del 1950. La vicenda era questo: un bambino nasce affetto da sifilide, trasmessa dai
genitori durante il concepimento. Il bambino fa causa al padre e il giudice di Piacenza afferma la
responsabilità dei genitori. La Corte d’Appello di Bologna nel 1951 se ne lava però le mani,
rilevando un vizio di legittimazione processuale nella domanda.
Può chi nasce con una malattia reclamare un danno ingiusto nei confronti dei genitori perché lo
hanno procreato, consapevolmente o comunque accettandone il rischio, con una
malformazione? In questo caso bisogna vedere se prevale l’interesse del minore a nascere sano e
l’interesse della gestante. Prima però dobbiamo chiederci se sussiste un diritto a nascere sano.
Il contesto di riferimento è quello dell’interruzione della gravidanza, disciplinato dalla
Legge 194/1978. L’interruzione della gravidanza è collegata alla salute esclusiva della gestante: la
gestante non può interrompere la gravidanza per una malattia del fino, salvo che questa determini
un pericolo anche per la sua salute psico-fisica. Non ci potrà mai essere un danno ingiusto fatto
valere dal figlio nei confronti dei genitori per non avere interrotto la gravidanza, pur a
conoscenza di una certa malattia. Astrattamente ci può essere un danno ingiusto reclamabile dal
figlio verso la gestante se l’insorgere della malattia è correlata ad una condotta di vita
assolutamente censurabile della gestante (es. assunzione di droga).
Il problema invece si pone quando siamo di fronte ad un illecito pluri-offensivo dei sanitari, nel
senso che il sanitario non diagnostica una patologia. Qui si pone la questione se, oltre alla
gestante, il danno possa essere fatto valere anche da chi quella malattia la deve vivere.
Il padre ha diritto al risarcimento? La Cassazione, nella Sent. 14488 del 2004, ha riconosciuto il
diritto al risarcimento del danno anche al padre, sostenendo che il padre è divenuto genitore di un
figlio malato. Tale legittimazione invece è stata negata al figlio, evidenziando che per lui
l’alternativa era la non vita, la quale non è tutelata dall’ordinamento. Questo orientamento è stato
confermato fino al 2012, quando è intervenuta la Sent. Cass. 16764/2012, la quale si muove però
da una visione particolare della responsabilità civile. Si tratta di una sentenza che porta a
riconoscere al diritto al risarcimento del danno anche una funzione previdenziale e non
meramente riparatoria. Tale sentenza è rimasta isolata. Le S.U. 12767/2015 hanno escluso la
possibilità di riconoscere il diritto al risarcimento del danno per una malformazione non
comunicata allo stesso malformato.
Torniamo però alla figura del padre. La Cassazione ha sostenuto che se la malattia è fonte di danno
anche per lui, allora è legittimato a chiedere il risarcimento del danno: così come la gestante,
anche lui subisce un danno risarcibile.
E i fratelli, invece, hanno diritto al risarcimento del danno? La giurisprudenza riconosce ai fratelli
già esistenti il diritto al risarcimento del danno perché si fa riferimento allo sconvolgimento della
vita del nucleo familiare. Sui c.d. bambini postumi, c’è la Cassazione (SENT. 9048/2018) che
esclude che persone non solo nate ma neanche concepite alla commissione del fatto illecito
possano domandare, al responsabile di questo, un risarcimento. Erano nati due fratellini a distanza
di uno e sei anni dopo rispetto alla nascita del malformato. Al professore però non convince
l’assunto secondo cui non ci possa essere una legittimazione al risarcimento del danno di chi non
era stato ancora concepito al momento del fatto illecito. A suo avviso, il sistema della
responsabilità civile non permette di escludere che ci siano fatti illeciti con effetti permanenti o che
si manifestino a distanza di anni, in modo tale che anche chi non era nato quando è stato attuato
quel fatto possa subire quel danno ingiusto.
Infatti, in giurisprudenza già si trovano delle ipotesi di questo genere. Un po’ di decenni fa, a
Seveso prese fuoco una fabbrica di solventi chimici e una nube si propagò nell’aria provocando
gravi problemi di salute nella popolazione, ma non solo in quella esistente al momento del fatto,
ma anche in quelli che nacquero a distanza di tempo. Tant’è che gli abitanti di Severo furono
sottoposti a screening anche dopo anni dal fatto. La Cassazione ha riconosciuto il risarcimento del
danno anche a chi non era ancora nato per lo stress e la sofferenza di essere stato sottoposto per
anni a screening sulla sua salute. Questa è la dimostrazione che struttura del fatto illecito non
presuppone una contemporaneità del fatto.