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LEZIONE 27.

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18-05-21
SBOBINA: CLAUDIA BOSCARINO
REVISIONE: Alessia Inglima
Danno non patrimoniale e introduzione al contratto

Domanda: Come passiamo negli articoli 2050 e 2051 da responsabilità soggettiva a


responsabilità oggettiva?
Risposta: Il passaggio è il seguente: l’articolo 2050 e l'articolo 2051, per ragioni
profondamente differenti, sono entrambe formulate dal punto di vista letterale
come responsabilità di natura soggettiva sebbene con presunzione di colpa. Lo
ricaviamo dal fatto che entrambe le norme, sia il 2050 sia il 2051, prevedono causa
di esonero che sono legate alla dimostrazione da parte del danneggiante di aver
posto in essere una condotta che è immune da qualsiasi forma di censura. Nel caso
del 2050 onestamente la causa di esonero è particolarmente gravosa, perché la
norma prevede di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, ed è così
che gli autori del nostro codice civile hanno inteso di segnare questa norma come
una norma di responsabilità oggettiva, cioè nell'intenzione del legislatore sarebbe
dovuta essere una fattispecie di responsabilità oggettiva, ma la formulazione
letterale che è fuoriuscita è però, sebbene con una prova particolarmente gravosa,
comunque una ipotesi di responsabilità soggettiva perché la causa di esonero
comunque fa riferimento alla dimostrazione che il danneggiante (l'esercente
dell'attività pericolosa) abbia improntato la sua condotta ad standard alti di
prevenzione; tuttavia viene applicata come una forma di responsabilità oggettiva,
perché dal 1942 sino ad oggi la giurisprudenza non ha mai ritenuta integrata la
prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, nel senso che
viene considerata una prova talmente ardua che in concreto nei casi in cui è stato
applicato il 2050 non è stata mai ritenuta integrata, perché se anche soltanto si
potesse dimostrare che esistono procedimenti per prevenire quel danno, anche di
carattere sperimentale, che il povero esercente dell'attività pericolosa non è stato in
grado di adottare, ecco che la prova di esonero non verrebbe fornita e quindi la
responsabilità dovrebbe essere riconosciuta. Infatti è così che la intende la
giurisprudenza, la quale ritiene che se anche esistono una procedura o delle misure,
anche di carattere sperimentale, che l'esercente dell'attività pericolosa avrebbe
potuto porre in essere per evitare che il danno si producesse e che non sono state
adottate, ecco allora che la prova di aver adottato tutte le misure idonee non è data.
Allora visto che questa causa di esonero non viene mai considerata raggiunta, ecco
che sostanzialmente l'articolo 2050 è applicato con una forma di responsabilità
oggettiva.
Più delicato è il ragionamento sull' articolo 2051, perché l’ articolo 2051 e Idem il
2052 prevedono come causa di esonero la prova del fortuito. Il caso fortuito è per
definizione “prova che esclude la colpa”, perché quando si verifica un caso fortuito,
essendo il caso un evento imprevedibile da parte di chiunque cioè nessuno l'avrebbe
potuto per meglio dire prevedere, allora l'imprevedibilità assoluta esclude la
colpevolezza. Quindi l’articolo 2051, ancora più dell'articolo 2050, evoca un'ipotesi
di responsabilità con presunzione di colpa, anche se una forma di responsabilità con
presunzione di colpa aggravata dal fatto che non è sufficiente provare di non aver
potuto impedire il fatto, come nel 2047 o nel 2048, qui addirittura la legge esige la
prova del caso fortuito. Infatti questa norma per tanti decenni è stata intesa come
una fattispecie di responsabilità soggettiva con presunzione di colpa, sebbene
presunzione di colpa aggravata, questo vale sia per il 2051 che per 2052.
Soltanto di recente, negli ultimi anni, abbiamo assistito ad una interpretazione della
norma da parte della giurisprudenza in termini di responsabilità oggettiva. Come?
L’interpretazione che porta il 2051 nell'alveo della responsabilità oggettiva è quella
che ravvisa il caso fortuito NON nella sopravvenuta imprevedibile pericolosità del
bene, che quindi il custode non ha potuto eliminare: immaginate una strada a causa
delle piogge, vede aprirsi una grande una grande crepa o una grande buca molto
profonda, una macchina passa pochi minuti dopo che l'acqua ha determinato questa
grande buca, vi cade dentro o comunque sia a causa della buca si danneggia, ecco
qua c'è il fortuito nel senso che il carattere pericoloso del bene è un evento che non
poteva essere previsto, peraltro il danno si è provocato nell’immediatezza della
pericolosità della cosa, proprio subito dopo che la cosa diventa pericolosa, senza che
il custode abbia avuto il tempo di poter intervenire, in passato il caso fortuito viene
inteso così. Di recente invece la giurisprudenza ha applicato l'articolo 2051 nel senso
che il caso fortuito vada identificato NON nella sopravvenuta pericolosità della cosa
non prevedibile né evitabile, MA in un fatto o in una causa del danno alternativa
rispetto alla pericolosità del bene, cioè il caso fortuito viene considerato integrato
soltanto se il custode in grado di dimostrare che il danno è dipeso, più che dall'uso
della cosa pericolosa, da un altro fattore causale diverso dall'uso della cosa che
abbia provocato il pregiudizio, il classico esempio: è vero sulla strada c'era una buca
troppo profonda, ma se il conducente andava a una velocità particolarmente elevata
ed è a causa di questa velocità elevata che la buca ha potuto provocare i danni che
ha provocato all'autovettura, se il conducente avesse invece guidato entro i limiti di
velocità, non si sarebbero provocati danni, la macchina non avrebbe subito danni o
se anche li avesse subiti non sarebbero stati danni consistenti come quelli che invece
il conducente lamenta.
Quindi sono due diversi profili: il 2050 è stata pensata come norma di responsabilità
oggettiva, scritta come norma di responsabilità soggettiva con presunzione di colpa,
ma è interpretata da sempre dal 1942 fino ad oggi come forma di responsabilità
oggettiva; gli articoli 2051 e 2052 sono invece stati pensati e scritti come forme di
responsabilità soggettive con presunzione di colpa, sebbene regimi di presunzione
aggravati, e soltanto di recente li si è iniziati ad applicare come forme di
responsabilità oggettiva considerando il caso fortuito, non la sopravvenuta ed
imprevedibile pericolosità della cosa che quindi ha impedito al custode di poter
intervenire, ma la giurisprudenza tende a identificare il caso fortuito nel fattore
causale alternativo rispetto alla cosa pericolosa risultato in concreto prevalente, cioè
nella concausa prevalente rispetto alla pericolosità della cosa.
Domanda: Quindi la law in book sostanzialmente è una responsabilità soggettiva
mentre la law in action è una responsabilità oggettiva per entrambi?
Risposta: Vale di più per il 2050 oggettivamente e per il 2050 veramente abbiamo
l'ipotesi di law in book che è soggettiva e law in action che è oggettiva, nel 2051 e
negli ultimi 10 anni che noi assistiamo a questa interpretazione in chiave oggettiva,
per i 60 anni precedenti articolo 2051 e l'articolo 2052 sono stati intesi come forme
di responsabilità con presunzione di colpa, sebbene con una presunzione più
gravosa rispetto a quella mai messa in discussione degli articoli 2047 e 2048.
Domanda: Ieri ha detto che la Cassazione ha stabilito che il danno è ingiusto se è
contra ius e non iure, che sostanzialmente la giurisprudenza ha sposato un po' la tesi
di Castronovo, ma che in realtà nelle situazioni poi in concreto va a configurare dei
diritti delle situazioni ad hoc in maniera tale da far risultare che vi sia un interesse
leso, in modo tale da far scattare la responsabilità aquiliana, un interesse
giuridicamente rilevante per l'ordinamento, quindi sinteticamente possiamo dire
che sul piano teorico sposa la tesi di Castronovo e quindi la tratta il caso come una
clausola generale, mentre sul piano concreto invece va a trattare quello che
sostanzialmente è la norma generale?
Risposta: In maniera più semplice si può dire che la Cassazione non è molto rigorosa
su questo punto, perché dal punto di vista delle affermazioni o delle proclamazioni,
pretendendo che il danno sia contra ius e non iure sembrerebbe aderire alla tesi
della norma generale di Castronovo, quindi della tipicità per così dire progressiva, se
il danno è contra ius vuol dire che l’interesse leso è un interesse già previsto
dall'ordinamento giuridico, già giurificato dall'ordinamento giuridico, cioè l'interesse
è già situazione giuridica soggettiva, però poi quando sulla base di queste premesse
giunge a risarcire il danno meramente patrimoniale, come è capitato nel caso de
Chirico, nel caso delle errate o omesse informazioni al mercato e lo fa creando diritti
dove essi non esistono, significa che nelle applicazioni, quindi sul piano proprio
applicativo, la Cassazione smentisce le sue affermazioni di principio giungendo ad le
stesse conclusioni alle quali si potrebbe aggiungere solo aderendo alla tesi del
danno ingiusto come clausola generale, quindi alla tesi secondo cui l'interesse leso a
cui si collega il danno, possa anche essere un interesse non giurificato, non assunto
al rango di situazione giuridica soggettiva, come nel caso dell'affidamento legittimo.

Finora abbiamo immaginato l'effetto della responsabilità aquiliana, quindi una volta
che si provi la sussistenza di tutti i requisiti della fattispecie di responsabilità
aquiliana, quindi il danno ingiusto, il nesso di causalità e se si tratta della fattispecie
di cui all'articolo 2043, quella generale il dolo o la colpa, se si rientra in una delle
forme di responsabilità speciale quei fatti dai quali la legge presume l'esistenza della
colpa, quindi la sorveglianza nel 2047, il rapporto di genitorialità o di tutela, o il
rapporto diciamo di insegnamento nel 2048, la custodia del bene e la custodia
dell'animale nel caso degli articoli 2051 e 2052, che il danno provenga dalla
circolazione di un autoveicolo dell'articolo 2054, oppure la responsabilità oggettiva
2049. In questo ultimo caso la prova è un po' più leggera, perché per la prova del
danno ingiusto e del nesso di causalità, il danneggiato deve provare che il danno che
ha subito appartiene a quella tipologia di danni che il legislatore ha imputato in
termini oggettivi al responsabile oggettivo. Ad esempio nel caso 2049, il danneggiato
deve provare che il danno gli sia stato cagionato da un soggetto che lavora presso
un'impresa o una pubblica amministrazione e che il danno sia avvenuto a causa o
nel contesto dello svolgimento dell'attività lavorativa. Se si provano questi requisiti,
questi elementi costitutivi, l'effetto che scaturisce è il risarcimento del danno,
perché il risarcimento del danno ha come funzione quella di riparare il pregiudizio.
Come si ripara un pregiudizio? Lo si ripara neutralizzando le conseguenze
economiche che il pregiudizio ha provocato: il pregiudizio determina un ammanco di
tipo economico che deve essere traslato dalla sfera giuridica di chi l'ha subito alla
sfera giuridica di chi l'abbia prodotto e a cui possa essere imputato nei termini
oggettivi e soggettivi che abbiamo chiarito nelle lezioni precedenti. L’obbligazione di
risarcimento del danno per regola generale consiste
in un'obbligazione di natura pecuniaria, con la quale il danneggiante reso
responsabile deve trasferire il costo del danno dalla sfera di chi l'ha subito alla
propria sfera giuridica. Tuttavia, l'ordinamento giuridico prevede anche la possibilità
di una seconda forma di risarcimento più specifica: lo prevede l'articolo 2058
stabilendo che il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica
qualora sia in tutto o in parte possibile. Quindi la condizione per poter ricorrere ad
un risarcimento in forma specifica è la possibilità, cioè che sia possibile rimuovere in
natura, cioè che sia possibile eliminare materialmente il pregiudizio subito. Ad
esempio: se io danneggio il cancello d'ingresso della villa della vostra collega Lentini,
perché nel corso di una manovra con l'autovettura piuttosto maldestra glielo sfondo
e quindi rompo i cardini, lì la vostra collega Jessica ha un'alternativa: al giudice può
domandare o una somma di denaro pari al valore del cancello, in modo da poterlo
sostituire, oppure può chiedere al giudice di condannarmi alla sostituzione, cioè a
sobbarcarmi i costi della sostituzione del cancello, perché in questo caso il danno
può essere eliminato dal punto di vista materialistico tramite una condotta di fare,
che consiste nel sostituire o nel riparare il bene che è stato danneggiato.
L'ambito di applicazione del risarcimento in forma specifica non è molto ampio, nel
senso che si può applicare soltanto laddove si tratti di danni di natura materialistica,
che quindi possano essere per così dire materialmente eliminati tramite riparazione
o tramite sostituzione, quindi è necessaria questa condizione.
Però l'articolo 2058, precisamente il secondo comma, ne pone una seconda: il
giudice deve optare per il risarcimento per equivalente piuttosto che per quello in
forma specifica se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente
onerosa per il debitore. Quando ciò accade? Questo potrebbe accadere quando ad
esempio chi ha subito il danno acquista i beni che sono stati distrutti o danneggiati
all'ingrosso, perché a sua volta è un grande rivenditore di quei beni, quindi per il
danneggiato acquistare quei beni comporta uno sforzo economico inferiore rispetto
al costo che dovrebbe sopportare il danneggiante, che invece non è un grossista e
quindi non può avvalersi di quei prezzi piuttosto vantaggiosi che spettano a chi
invece commercia all'ingrosso (sapete perfettamente che i bene all'ingrosso costano
meno di quanto costino al dettaglio). Se io ho distrutto una partita di merci del
vostro collega Mario, il quale è un imprenditore in quel settore, per lui quelle merci
costerebbero 100 euro, se le dovessi acquistare io per sostituirgliele mi
costerebbero 140 euro, 140 inizia a essere un costo eccessivamente oneroso, allora
il giudice potrebbe dire: “Beh visto che condannare il professore Piraino alla
sostituzione dei beni che ha distrutto comporterebbe per lui una spesa non inferiore
a €140.000, perché lui non è un grossista del settore, mentre il danneggiato
potrebbe tranquillamente procurarsi beni sostitutivi a 100 o 110 euro, allora è
preferibile condannare il danneggiante al pagamento a risarcimento per equivalente
e poi lasciar libero il danneggiato con quella somma di procurarsi beni sostitutivi”.
Quindi lì la condizione per poter ricorrere al risarcimento in forma specifica è che vi
sia la possibilità di eliminare materialisticamente il danno e che ciò che sia possibile
e il limite è costituito dalla non eccessiva onerosità per il debitore danneggiante: se
la modalità del risarcimento in forma specifica dovesse risultare troppo onerosa,
allora il giudice deve optare, anche se il danneggiato preferisse il risarcimento in
forma specifica, per il risarcimento per equivalente che è la regola.
Come avete visto la funzione della responsabilità civile non è punire, non è
sanzionare, non è reagire a condotte particolarmente gravi che generano allarme
sociale, come invece accade con la responsabilità penale, ecco perché nel nostro
ordinamento non sono ammissibili risarcimenti sanzionatori.
Il risarcimento sanzionatorio è un risarcimento di portata superiore rispetto al
danno subito, che ha come funzione quella di realizzare una condanna esemplare
del danneggiante con la finalità di esercitare una funzione di prevenzione generale e
di prevenzione speciale. Prevenzione generale significa dissuadere tutti gli altri
consociati da porre in essere quella condotta particolarmente allarmante, la
prevenzione speciale è invece quella di correggere il comportamento di chi abbia
posto in essere quella condotta particolarmente allarmante. Nel diritto italiano
questa funzione per così dire sanzionatoria e correttiva, spetta alla pena e quindi al
giudizio penale e non alla responsabilità civile e al risarcimento del danno. In altri
ordinamenti, soprattutto nell'ordinamento nordamericano, al risarcimento del
danno viene assegnata anche una funzione sanzionatoria e infatti in quello
ordinamento è prevista la figura dei cosiddetti “punitive damages”. Tradotto
letteralmente sarebbe danni punitivi, come qualche volta voi trovate scritto nei
manuali, la traduzione è però errata perché “damages” in inglese giuridico significa
risarcimento, quindi tecnicamente è un risarcimento punitivo, un risarcimento
sanzionatorio. In Nord America, nell’ordinamento statunitense si è ricorso a danni
punitivi, quindi i “punitive damages” quando ci troviamo di fronte a condotte
dannose particolarmente allarmanti, perché ad esempio sono plurioffensivi.
Plurioffensivi significa che si dà luogo a quelli che si chiamano “mass torts”, quindi
illeciti extracontrattuali di massa. Pensate voi ai danni da fumo o pensate a prodotti
medicali che si rivelano dannosi e quindi che potenzialmente potrebbero avere
prodotto danni ad una platea vastissima di soggetti. Allora lì per reagire a queste
condotte particolarmente allarmanti si ammette la possibilità che il primo soggetto,
il primo danneggiato, che assume iniziativa possa agire nei confronti del
danneggiante per ottenere oltre al risarcimento riparatorio anche un risarcimento
sanzionatorio, e quindi si è arrivato a casi nei quali ad esempio parenti di persone
vittime del tumore da fumo, in passato quando le società produttrici di tabacco si
rifiutavano di riconoscere la dannosità del fumo, come sapete oggi invece è
acquisito, i produttori di tabacco stampigliano sui pacchetti di sigarette che il fumo
nuoce gravemente alla salute, quindi chi fuma si assume l’auto responsabilità di
compiere un'attività potenzialmente dannosa e quindi oggi non è più prefigurabile
un'azione in responsabilità nei confronti delle società produttrici di sigarette. In
passato quando invece loro negavano questa dannosità, azioni del genere vi sono
state, abbiamo assistito a casi nei quali i parenti della vittima da fumo avessero
ottenuto a titolo di risarcimento del danno per la morte del congiunto un milione di
dollari e a titolo di risarcimento punitivo 20 milioni di dollari, quindi 20 volte di più
un risarcimento multiplo. Questo è possibile nel sistema nord americano per tante
ragioni che non sto qua a spiegarvi perché non abbiamo il tempo sebbene il tema sia
molto interessante, tutto quello è un sistema giudiziario fondato su altre premesse
ad esempio è un sistema giudiziario in cui il giudizio è formulato da una giuria, il
giudice si limita ad garantire che il processo si svolga nel rispetto delle regole
procedurali ma poi la decisione viene assunta dalla giuria, il giudice guida l'azione
dei giurati ma non impone loro una decisione; mentre in Italia sapete perfettamente
che la decisione è assunta dal giudice che è un tecnico. Poi la cultura americana è
per così dire imperniata per un verso (anche se può sembrare un po' Brutale quello
che sto dicendo io) dalla legittimazione dello spirito di vendetta che in Europa, e
specie in Italia ma non solo, non è legittimata. Secondo poi c'è anche nella cultura
nordamericana l'idea di premiare chi osa, quindi premiare chi ha l'ardire di agire ad
esempio nei confronti di una grande multinazionale, ed ecco perché il primo che
agisce può ottenere il risarcimento sanzionatorio, i successivi danneggiati dovranno
accontentarsi del solo risarcimento riparatorio. Quindi è come dire cercare di
innestare nel nostro ordinamento il risarcimento sanzionatorio, come qualche mio
collega tenta di fare, come qualche giudice sarebbe tentato di rifare, è una
deformazione dei nostri principi, della struttura della responsabilità
extracontrattuale, la quale ha una sua funzione ed è quella per l'appunto di riparare
il danno: al danneggiato non si può riconoscere nell’ €1 in meno o nell’ €1 in più del
danno che egli abbia subito, ma questo vale quando il danno è un danno economico,
il danno consiste nella perdita nella distruzione di un bene o di un qualunque altro
diritto che abbia un valore oggettivo di mercato, tutto diventa più complesso
quando il danno è invece di natura non patrimoniale. (questa lezione vedrete è il
completamento della lezione che abbiamo fatto tante settimane a dietro sulla
persona e sulla rilevanza della persona il nostro ordinamento, quindi create questo
collegamento tra lezione odierna e quella di diverse settimane dietro sui diritti alla
personalità e sulla persona)
Al danno non patrimoniale il codice dedica un solo articolo, ma è una delle norme
più dibattute, una delle norme più sulle quali più si è disputato di tutto il nostro
codice civile.
La disposizione è contenuta nell'articolo 2059, la formulazione dell'articolo 2059 è
addirittura laconica: la norma stabilisce: “Il danno non patrimoniale deve essere
risarcito nei casi determinati dalla legge”. Analizziamo la norma… Innanzitutto che
intendiamo per danno non patrimoniale? Il danno non patrimoniale è quella perdita
della sfera personale dell’individuo, non della sua sfera patrimoniale. Rientrano nella
categoria del danno non patrimoniale i danni provocati ad esempio all'integrità
psicofisica, il danno alla salute cosiddetto danno biologico, oppure il danno morale
cioè la sofferenza che determinati appartamenti particolarmente gravi possono
determinare, oppure sono danni e non patrimoniali quei danni che consistono nella
compressione di sfere di libertà riconosciute all'individuo come nel caso di lesioni di
diritti della personalità, il diritto al nome, il diritto allo pseudonimo, il diritto
all'immagine, oggi il diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali.
Ovviamente capirete bene che qui il risarcimento del danno diviene uno strumento
imperfetto, perché non c'è omogeneità tra la perdita e il rimedio che l'ordinamento
appronta per tentare di riparare questa perdita, perché la perdita è di natura non
economica, perché la lesione della salute, la lesione della dimensione spirituale
dell'individuo e la sofferenza non hanno un valore oggettivo di mercato e quindi
qualunque somma di denaro l'ordinamento riconosca favore del danneggiato, non
sarà mai in grado di eliminare integralmente il pregiudizio, cioè il risarcimento del
danno non patrimoniale è sempre un passetto indietro rispetto all'entità del danno
che la persona subisce. Tuttavia l'ordinamento era posto di fronte all'alternativa dal
momento che la persona è una realtà giuridica incommensurabile in danaro e che
quindi non può essere svilita con una commisurazione in danaro, allora nego la
tutela risarcitoria per i danni provocati alla sfera personale oppure, pur prendendo
atto che la persona non è riducibile ad valori economici, tuttavia ammetto il
riconoscimento del danno non patrimoniale perché altrimenti diciamo così
lasceremmo sprovvisti di tutela quei profili della persona che vengono compressi
dalla altrui invadenza. Il nostro ordinamento ha optato per la seconda lettura, cioè il
danno non patrimoniale può essere risarcito anche se il risarcimento è uno
strumento di tutela imperfetto, MA nei casi determinati dalla legge, perché questo
filtro? Perché il danno non patrimoniale può essere risarcito, ma non con la stessa
ampiezza del danno patrimoniale. Il danno patrimoniale è sempre risarcibile se
ingiusto, il danno non patrimoniale non basta che sia ingiusto deve essere anche
oggetto di una specifica previsione legislativa. Questo dipende dal fatto che il
legislatore ha compiuto una scelta ed è una scelta che ha un senso profondo, e la
scelta è quella di selezionare i danni non patrimoniali in maniera più severa di
quanto si faccia per i danni patrimoniali per almeno quattro buone ragioni.
La prima ragione è che non tutti i profili della umanità intorno ai quali sorgano
controversie e si prestano ad essere tutelati dall'ordinamento giuridico, vi sono in
altre parole sante parole controversie relative a profili della personalità umana o
dell'umanità, che è giusto fidare a sistemi normativi differenti rispetto al diritto
come il sistema sociale, sistema morale, il sistema religioso; pensate voi a molte
lesioni della dimensione spirituale della persona legata ad esempio a un tradimento
di fiducia: queste sono cose serissime, ma sono cose che non spetta il diritto di
comporre, è giusto che vengono composte in altri ambiti come quello dei rapporti
sociali.
Seconda ragione: perché bisogna evitare lo svilimento della persona, cioè se i danni
alla persona fossero risarcibili in termini generali esattamente come quelli
patrimoniali si correrebbe il rischio di assegnare surrettiziamente un prezzo alla
persona per via risarcitoria, perché un prezzo si può individuare o come corrispettivo
di qualche cosa, come accade nel mercato, oppure tramite risarcimento,
individuando cosa? Una sorta di prezzo dell'invasione da altri computer nella propria
sfera giuridica. Se noi stabiliamo che ogni qualvolta un soggetto, una persona
subisca un fastidio, subisca la compressione della propria libertà individuale, chi
l'abbia commesso questa condotta debba pagare 100 euro, vuol dire che allora
quella libertà o quel profilo della personalità vale 100 e questo l'ordinamento non lo
può consentire.
Terza ragione: c'è un'esigenza di bilanciamento perché all'interno della tutela della
persona bisogna tener conto anche della libertà individuale del danneggiante, cioè
quando viene leso un profilo della personalità umana, un aspetto della dimensione
umana, si scontrano la libertà in campo sociale o in campo economico di chi
comprime e l’inviolabilità di chi è compresso. Sono però sempre profili che
attengono alla persona e allora è necessario compiere un bilanciamento, perché
quanto più si aggrava la regola di responsabilità tanto più si riduce la libertà
individuale, ma anche la tutela della libertà individuale è tutela della persona,
quanto più si espande la libertà individuale e si riduce la regola di responsabilità
tanto più invece si consentono le invasioni nella sfera personale dell'individuo.
Allora la selezione dei danni serve per compiere questo bilanciamento.
La quarta ragione è che l'ordinamento tenta di ammettere di riconoscere come
rilevanti soltanto quelle perdite alla persona che si prestino ad una qualche forma di
oggettivazione: non sarà una valutazione in termini oggettivi, come accade nel
danno patrimoniale, perché il danno non patrimoniale per definizione non può
essere quantificato in termini oggettivi, ma i danni alla persona che sono
giuridicamente rilevanti sono danni che meglio di altri si prestano a qualche forma
diciamo di parametrazione. Infatti, originariamente, nel 1942 quando questa norma
è stata introdotta, il legislatore ha utilizzato questa formula generale “danno non
patrimoniale”, ma in realtà gli autori del nostro codice si riferivano a un'unica
ipotesi: l'unica ipotesi ammessa di danno non patrimoniale all'epoca della
codificazione erano i danni morali. I danni morali detti anche danni morali soggettivi
sono la sofferenza, per così dire i patemi d'animo che l'individuo subisce. Quando la
sofferenza e i patemi d'animo che sono costi sociali, vivere in un consorzio umano,
in una società, inevitabilmente espone ad sofferenze, ad dolore, ad frustrazione,
quindi la sofferenza non può essere rilevante sempre, perché altrimenti avremmo
come conseguenza una drastica limitazione della libertà individuale di tutti noi. La
sofferenza diventa giuridicamente rilevante quando il danneggiato ha subito un
reato e quindi, la sofferenza, il danno morale diventa risarcibile quando la condotta
dannosa integra gli estremi di un reato. Perché? Perché prima del 1942 e per molti
decenni dopo, l'approvazione del codice civile, che è l'unica ipotesi in cui il
legislatore ammette espressamente il risarcimento del danno non patrimoniale, era
nell'articolo 185 del Codice Penale, norma tuttora vigente che per l'appunto prevede
che il reato espone il colpevole a due tipi di conseguenze: a subire la pena, che può
essere detentiva o pecuniaria e poi a risarcire i danni patrimoniali e non
patrimoniali. Quali sono i danni non patrimoniali che possono derivare da un reato?
La sofferenza che l'aver subito un atto di tale gravità tanto da indurre il legislatore a
qualificarlo come la forma di illecito più grave, come un reato può determinare chi
subisce una violenza fisica, chi subisce una rapina, chi subisce un sequestro di
persona, chi subisce un tentativo di omicidio e chi subisce quindi reati che
implichino diciamo così la lesione della sfera personale che ha come conseguenza
nella propria sfera quello di patire sofferenza. Questa sofferenza diventa
giuridicamente rilevante e dà luogo al risarcimento del danno non patrimoniale.
Qualcuno di voi probabilmente più intuitivo di altri avrà compreso almeno per
larghe linee che peraltro il danno morale, la sofferenza collegata ad un condotta
dannosa che integri gli estremi del reato, si presta anche ad una sua determinazione
in termini se non proprio oggettivi, sicuramente su una base sufficientemente
oggettivata, perché la sofferenza sarà tanto maggiore quanto più grave sarà la
condotta dannosa subita. E come voi sapete (anche se non avete studiato tra diritto
privato e diritto pubblico) i reati sono graduati, perché ogni reato prevede una pena
che va da un minimo a un massimo e quindi il reato più grave se ha una pena
minima e massima più alta rispetto a un altro reato che ha invece una pena minima
e massima più basso. Quindi l'omicidio è un reato più grave della violazione di
domicilio, perché sanzionato con pene più gravose sia nel minimo che nel massimo.
Quindi aver collegato la sofferenza, la rilevanza sul piano del diritto privato della
sofferenza a una condotta dannosa che integra gli estremi del reato favorisce anche
la determinazione del risarcimento, perché quanto più grave la condotta dannosa
tanto maggiore sarà il risarcimento del danno dovuto a titolo di riparazione della
sofferenza, ovviamente il valore finale sarà rimesso a letto apprezzamento del
giudice perché non esiste una tabella delle sofferenze, non esiste una misura
prestabilita di quanto possa valere la sofferenza frutto di una violenza privata e delle
percosse oppure di reati di persecuzione e via così.
Vi renderete però conto che la società si è molto complicata dal 1942 ad oggi. Già
verso la fine degli anni settanta del secolo scorso si iniziava a levarsi un moto di
insofferenza per la formulazione troppo restrittiva dell'articolo 2059, in particolar
modo si sviluppò una sensibilità nei confronti di altre tipologie di danni alla persona
non espressamente previsti dal legislatore, come ad esempio il danno alla salute con
comportamenti dannosi che potevano integrare l'ipotesi di reato, perché se io
aggredisco Paolo e lo ferisco ho commesso oltre ad un'ipotesi di responsabilità
extracontrattuale anche un reato, perché la violenza è un reato. Se io invece ferisco
Paolo mentre giochiamo a tennis, perché lo colpisco con una pallina magari anche
intenzionalmente, quello non è un reato, però in entrambi i casi Paolo ha subito un
danno di natura fisica. Allora alla fine degli anni settanta del secolo scorso si sviluppò
un moto dottrinario prima e giurisprudenziale poi, volto a legittimare perlomeno
un'altra ipotesi danno alla persona cioè il danno biologico: il danno da lesione
dell'integrità psicofisica. Dapprima i tribunali pur di dare rilievo a questa ipotesi di
danno lo hanno ammesso soltanto sotto il profilo delle conseguenze patrimoniali
che la lezione della salute comporta: subire l'adesione alla salute provoca dei danni
patrimoniali certi, come ad esempio le spese per curarsi e poi il mancato guadagno
da attività lavorativa o da attività imprenditoriale, perché se a causa del danno alla
salute il danneggiato è stato costretto a limitare la propria attività lavorativa, quanto
limitare la propria attività economica è verosimile che subisca delle perdite di
guadagni possibili. Però la tutela della salute soltanto sul versante delle
conseguenze patrimonialistiche della lesione di questo bene della vita è sembrato
per un verso limitativo, perché l'articolo 32 della Costituzione eleva pur sempre la
salute al diritto inviolabile della persona e quindi è contraddittorio che
l'ordinamento giuridico qualifichi un diritto non patrimoniale come inviolabile e poi
lo tuteli soltanto sul versante delle conseguenze patrimonialistiche, economiche,
che possono derivare dalla lesione di quel diritto. Si sentiva l'esigenza di una tutela
del diritto in sé, non soltanto per le conseguenze economiche che ne derivano, e poi
indubbiamente questo modo di procedere crea delle odiose disparità di
trattamento. Chiaro che se io danneggio la salute di un disoccupato o di una persona
poco abbiente o di un pensionato, le conseguenze economiche della lesione della
salute di questi individui potrebbero essere molto limitate, giusto limitate alle spese
per le cure che poi tra l'altro in un sistema come il nostro di sanità pubblica
potrebbero essere anche pari al nulla, perché come sapete la sanità pubblica
erogata universalmente e in larga misura in maniera gratuita per i ceti meno
abbienti della popolazione. Quindi il rischio che meno agiato fosse il danneggiato
meno risarcimento gli venisse riconosciuto, mentre più agiato era il danneggiato,
immaginate di avere avuto la sfortuna di investire con lo scooter un noto calciatore,
un noto sportivo che guadagna milioni e milioni e chiaramente le conseguenze
economiche della lesione della salute di questo individuo potrebbero essere per
l'investitore devastanti, perché immaginate ad uno sportivo che perda la possibilità
di ingaggi milionari a causa della perdita dell'integrità psicofisica che ha subito. Ecco
perché i tribunali e le corti d'appello italiane hanno iniziato a fare pressione sulla
Corte di Cassazione che però non si è spostata da questo orientamento sino a che
un giudice del tribunale di Genova non ha sollevato all'inizio degli anni Ottanta del
secolo scorso una questione di legittimità costituzionale dell'articolo 2059.
La questione legittimità costituzionale riguardava la contrarietà dell'articolo 2059
agli articoli 2-3 e chiaramente 32 della Costituzione, Art. 2 perché non era
sufficientemente protetto un diritto inviolabile come è quello della salute, Art. 3 per
la violazione del principio di eguaglianza, poichè limitare il risarcimento del danno
alla salute alle sole sue conseguenze patrimoniali poteva determinare come negli
esempi che vi ho appena fatto casi di disuguaglianza, infine Art. 32 perché è la
norma che esplicitamente riconosce la salute come diritto sociale, ma anche come
diritto inviolabile della persona. Quindi la questione di legittimità costituzionale
relativamente all'articolo 2059, proprio nella parte in cui non consente di risarcire la
salute in sé, oltre le conseguenze patrimoniali che ne possono derivare. La Corte
Costituzionale si è pronunciata con una sentenza diventata celebre: la sentenza
numero 184 del 1986, nota anche come sentenza Dell' Andro, perché il giudice
relatore era il professore Renato Dell’ Andro, e in questa sentenza la corte ha
respinto la questione di legittimità costituzionale pervenendo a questa conclusione:
l’articolo 2059 è norma finalizzata a risarcire il solo danno morale. Quindi la corte di
costituzionale come dire aderisce all'impostazione tradizionale: nell' articolo 2059,
esattamente come alle sue origini, è il luogo nel quale risarcire soltanto il danno
morale come conseguenza di un reato. Questo però non significa, sostiene la corte
costituzionale, che il danno alla salute non possa essere risarcito di per sé, però
tramite un'altra disposizione: l'articolo 2043. La Corte Costituzionale infatti qualifica
l'articolo come una norma in bianco, noi diremmo una norma generale, è una norma
in bianco nella quale quindi l'ingiustizia del danno può essere ricavata anche da
indici costituzionale, quindi la lesione della salute si presenta come un danno
ingiusto in quanto chi lede l'integrità psicofisica di un altro soggetto viola l'articolo
32 della Costituzione. Quindi è tramite l'articolo 2043, letto alla luce delle norme
costituzionali in particolar modo agli articoli 2 e 32 della Costituzione, che il danno
alla salute può essere risarcito e viene e deve essere risarcito di per sé. Sostiene la
corte costituzionale che il danno alla salute, il danno biologico è un danno in Re Ipsa.
Danno in Re Ipsa significa un danno presuntivamente sussistente a carico di
chiunque subisca la lesione di integrità psicofisica, perché il danno, dice la corte, qui
coincide con la lesione: se è stata lesa la salute, allora dovrà essere risarcito il danno
quale che sia la posizione socio-economica del danneggiato; ovviamente, afferma la
Corte, oltre che la salute in sé il danneggiato avrà diritto al risarcimento anche per le
conseguenze patrimoniali, ad esempio le spese di cura o i mancati guadagni, e delle
conseguenze non patrimoniali, ad esempio il danno morale, se la condotta che ha
determinato la lesione alla salute dovesse integrare gli estremi del reato.
Ricapitolando il sistema che la sentenza 184 del 1986 delinea è la seguente: "Il
danno alla salute è un danno di per sé riconoscibile a chiunque subisca la lesione
della sua integrità psicofisica e va risarcito sulla base dell'articolo 2043, a questo
danno in Re Ipsa, si possono affiancare anche ulteriori danni conseguenza; i danni
conseguenza di ordine economico, come le spese per le cure e i mancati guadagni
risarcibili sempre sulla base dell'articolo 2043 e la sofferenza nell'ipotesi in cui la
condotta che ha provocato la lesione della salute del danneggiato integri gli estremi
del reato. E allora in questo caso si applicherà l’articolo 2059 che dunque non è
costituzionalmente illegittimo, perché si riferisce soltanto ad una ipotesi di danno
non patrimoniale: il danno morale. Ovviamente non tutte le condotte che ledono la
salute altrui integrano gli estremi del reato, ma qualora ci dovesse essere questa
coincidenza allora oltre al danno non patrimoniale da lesione della salute, inteso
come danno evento, si potrà cumulare una seconda voce di danno non
patrimoniale, il danno morale subiettivo. Questa impostazione è stata confermata
poi dalla giurisprudenza decenni successivi, sino ad una importante sentenza
nuovamente della Corte Costituzionale, la sentenza 372 del 1994, sentenza nota
come Mengoni perché il giudice relatore costituzionale è il professor Luigi Mengoni
(lo stesso di obbligazione di mezzi e di risultato per intenderci che nel frattempo era
transitato dalle aule dell'università alla Corte Costituzionale).
Con la sentenza 372 del 1994 la Corte invece costituzionale è stata chiamata a
pronunciarsi nuovamente sulla questione di legittimità costituzionale dell'articolo
2043 nella parte in cui non sembrava consentire il risarcimento del danno biologico,
cosiddetto iure proprio. Che vuol dire iure proprio? La vicenda concreta da cui
questa sentenza la Corte Costituzionale ha tratto origine (voi ricordate che il giudizio
di costituzionalità nasce da un giudizio di partenza che si chiama appunto giudizio a
Quo, nell'ambito del quale viene sollevata la questione legittimità) la questione di
legittimità era un caso di perdita di rapporto parentale, cioè un incidente d'auto a
seguito del quale la vittima era rimasta uccisa e allora, i parenti della vittima, il
coniuge e i figli in qualità di eredi avevano agito nei confronti dell' investitore per
ottenere il risarcimento del danno biologico, cosiddetto iure hereditario cioè il
danno biologico subito dalla vittima a causa della perdita della vita e quindi
trasmesso mortis causa agli eredi, e poi il danno biologico iure proprio, subito dagli
eredi a causa diciamo delle sofferenze psichiche perché ricordatevi che la salute non
è soltanto l'integrità fisica, ma anche l'integrità psichica per le patologie conseguenti
alla grave sofferenza legata alla morte di un congiunto. La Corte Costituzionale
respinge nuovamente la questione di legittimità. Per quanto concerne i danno
biologico cosiddetto iure hereditario, la corte applica questo principio che era stato
enunciato dalla Corte di Cassazione addirittura all'inizio del 900 nel 1915, cioè il
principio per il quale la perdita della vita non può essere considerata la massima
manifestazione del danno biologico, perché salute e vita sono due beni giuridici
della persona due profili della persona differenti, e la vita in se non può essere
oggetto di tutela in fronte risarcitorio, perché la perdita della vita non si presta a
configurare un danno, perché il danno presuppone che il danneggiato sopravviva
all'evento dannoso: il danno è una perdita e la perdita deve collocarsi in una sfera
giuridica, la sfera giuridica c'è se c'è la persona, se c'è il soggetto. Quindi la corte
Costituzione chiarisci se la morte è istantaneo o la morte sopravviene dopo pochi
istanti o dopo un breve lasso di tempo dalla condotta dannosa, allora non si forma
alcun danno nella sfera giuridica del danneggiato, questo non significa che la vita
non venga protetta dal nostro ordinamento, viene protetta eccome, la sottrazione
dell'altrui vita integra uno dei reati più gravi ovvero il reato di omicidio, vuol dire che
la tutela della vita è affidata al diritto penale ma non dà luogo ad una perdita
risarcibile. Mentre se la vittima primaria sopravvive e sopravvive per un certo lasso
di tempo ragionevole che i giudici stimano in qualche giorno, allora durante la
sopravvivenza la vittima ha subito una lesione gravissima della salute talmente grave
da condurlo alla morte, e allora si creano i presupposti per poter configurare un
danno alla salute e il cui risarcimento non potrà chiaramente essere invocato alla
ditta primaria che è morta, ma potrà essere trasferito mortis causa ai suoi eredi. Nel
caso in cui la morte era stata istantanea e quindi nessun danno biologico iure
hereditario le vittime avrebbero potuto invocare.
Per quanto riguarda il danno biologico iure proprio, la sentenza Mengoni fa un
ragionamento che è stato inizialmente respinto, ma che poi vedrete alla fine si è
rivelato la via preferibile nella sistemazione del danno non patrimoniale. La sentenza
372 del 94 aderisce almeno formalmente all'impostazione della sentenza 184 del
1986, nel senso che la Consulta dice, fermo restando l'impostazione che noi
condividiamo del nostro precedente del 1986, dobbiamo tener conto che nel nostro
caso specifico l’articolo 2043, letto alla luce dell'articolo 32 della Costituzione, non si
può applicare e non si può applicare perché l'articolo 2043 poggia sulla colpa e in
questo caso la colpa non si può configurare. Perché non si può configurare? Perché
l'autore dell'incidente che determina la morte del conducente dell'altra autovettura
è in colpa rispetto all'incidente, ma non può essere considerato in colpa rispetto alle
sofferenze e al danno biologico che l'eventuale morte della persona con le quali si è
scontrato può determinare nei suoi congiunti, manca l'elemento della prevedibilità
cioè la colpa presuppone che un evento dannoso sia prevedibile. Ma quando voi
siete alla guida della vostra autovettura siete in grado di preventivare che se
sbaglierete alla guida potrete investire qualcuno o provocare dei danni, ma non
potete prevedere che la vostra condotta potrà determinare, nell'eventualità in cui
doveste investire e uccidere qualcuno, anche delle lesioni alla salute del coniuge e
dei figli, questi sono eventi dannosi sottratti alla sfera della prevedibilità e allora se
non c’è colpa non si può applicare articolo 2043. Qui interviene il colpo di genio
della sentenza Mengoni. La sentenza osserva che nel nostro caso tuttavia la
condotta dannosa integra gli estremi del reato, perché siamo di fronte ad un
omicidio colposo, chi alla guida della propria autovettura investe o si scontra con
altra vettura e provoca la morte dell'altro conducente incorre nel reato di omicidio
colposo, ma pur sempre un omicidio. Quindi articolo 2059 consente il risarcimento
del danno morale subiettivo esattamente come riconosce anche la sentenza 184 del
1986 ma, dice la Consulta, se tramite l'articolo 2059 è possibile risarcire la
sofferenza, sarà a maggior ragione possibile risarcire quella radicalizzazione della
sofferenza che diventa patologia psichica perché il coniuge o i figli che subiscono un
esaurimento nervoso, che è una patologia, o che cadono in depressione, che è una
patologia, o che hanno qualunque altra forma di patologia psichica o tutte queste
conseguenze non sono la radicalizzazione, l' esasperazione dell'iniziale stato di
sofferenza? Allora la sentenza, la Consulta dice che se l'articolo 2059 in questo caso
consente di risarcire il meno, cioè la sofferenza, non potrà non consentire di risarcire
anche il di più costituita da quella sua per così dire trasformazione addirittura in
patologia e sulla base di questo presupposto quindi la corte ha respinto la questione
legittimità costituzionale. Va detto che tanto la giurisprudenza di merito che quanto
la giurisprudenza della Corte di Cassazione non hanno seguito la linea tracciata dalla
sentenza Mengoni 70 del 94 perché si è ritenuto di mantenere l'impostazione della
sentenza del 1986, cioè che il danno alla salute è risarcibile non tramite la articolo
2059 ma tramite articolo 2043 alla luce delle norme costituzionali specie
dell'articolo 32. Tuttavia, tra la fine degli anni 90 e l’inizio gli anni 2000, in dottrina si
configura una nuova ipotesi di danno alla persona ulteriore rispetto al danno morale
e al danno biologico.
Questo danno è indicato come danno esistenziale. Per danno esistenziale si intende
qualunque perdita o contrazione alla sfera della libera esplicazione della personalità
dell'individuo, cioè i fautori e ideatori di questa figura, in Italia soprattutto due
professori dell'università di Trieste il professor Paolo Cendon e la professoressa
Patrizia Ziviz, definiscono il danno esistenziale come tutte quelle perdite che
colpiscono la quotidianità o le abitudini di vita del danneggiato. Il ragionamento che
fanno questi studiosi è: ma quando un soggetto subisce, una persona subisce la
lesione della salute, non subisce soltanto una lesione dell'integrità psicofisica ma
viene impedita nel compimento di attività di tipo non economico che sono però
particolarmente importanti nell'equilibrio complessivo dell’individuo. Come si
determina l'entità del danno alla salute? Tramite il ricorso alla scienza medica, come
sapete esiste una branca della medicina che è la medicina legale che ha proprio
come compito quello di valutare il grado di invalidità e il grado di inabilità che la
lesione della salute determina, quanto più alto è il grado di invalidità, quindi di
perdita dell'integrità, tanto maggiore sarà il risarcimento e di regola tanto maggiore
è il grado di invalidità, cioè di perdita dell'integrità fisica, tanto maggiore è anche il
grado inabilità, vuol dire i giorni necessari di degenza e di cura necessari per
recuperare la piena funzionalità del corpo. Ora che se io ledo l'integrità psicofisica
della vostra collega e magari le rompo una gamba, oltre che il danno alla salute le
impedisco ad esempio di poter praticare lo sport con la con il quale Sonia si realizza
come sportiva, la pallavolo, il tennis, magari lei è una donna molto impegnata
professionalmente quindi fa danza e la danza è lo sfogo che le consente di
mantenere un complessivo equilibrio psichico. Allora secondo questi autori tra i
danni non patrimoniali andrebbe incluso che il danno esistenziale, inteso come
perdita alla sfera di realizzazione della persona in campo non economico, quindi
tutte quelle attività le quali l'individuo realizza la propria personalità al di fuori delle
attività lavorative che chiaramente sono tutelate. La giurisprudenza di merito
soprattutto ha iniziato a riconoscere questi danni e in alcuni casi si trattava i danni
seri, come ad esempio il danno da perdita del rapporto parentale. Quando, come nel
caso deciso dalla consulta nel 94, la condotta dannosa determina la morte del
danneggiato, gli eredi del coniuge i figli del danneggiato o i genitori fratelli e sorelle
del danneggiato possono subire una pressione della loro integrità psicofisica se
questo shock determina in loro patologie, ma sicuramente priva i parenti della
vittima e il coniuge priva costoro della possibilità di coltivare il rapporto coniugale e
parentale che è un il diritto ad realizzarsi all'interno della famiglia inviolabile della
persona, riconosciuto dalla costituzione all'articolo 29 quando riconosce nel
matrimonio l'istituto volto a creare quella cellula sociale di fondo di base che è la
famiglia. Quindi la perdita del rapporto parentale, quindi la perdita della possibilità
di realizzarsi come individuo nel rapporto con il coniuge, con il fratello, con la
sorella, con il figlio, con il padre o chiunque abbia subito in età giovanile la perdita di
un genitore, sa perfettamente che è una riduzione della propria possibilità di
realizzarsi. Nel rapporto con i genitori o nel rapporto con fratelli e sorelle in effetti
l'individuo ricava elementi di crescita, di approfondimento, di arricchimento di cui il
diritto non può non tener conto; però a fronte di questo danno che sicuramente è
un danno vero, danno serio, danno giuridicamente rilevante a titolo di danno
esistenziale, le corti, soprattutto i tribunali di merito hanno iniziato a risarcire
perdite molto più discutibili, come la perdita dell'animale d'affezione, quindi la
perdita del cane, del gatto, del cavallo e via dicendo, anche quel tipo di rapporto è
serio però un rapporto che diciamo così tenuto conto della qualificazione
dell'animale, giusto o sbagliato che sia, come cosa, come bene che non può essere
equiparato ad un rapporto, là perdita di un rapporto tra individui legati da vincoli di
sangue, dal vincolo di coniugio. Poi qualcuno di voi mi dirà che conosce persone che
amano il proprio animale domestico tanto quanto se non più dei parenti, e io
rispetto tutte queste forme di amore, però non sono la normalità, non sono la
regola, il diritto tiene conto dei comportamenti sociali tipici, non dei comportamenti
sociali atipici legittimi, badate nessuno ha il diritto di criticare o di considerare
esagerato l'amore nei confronti di animale ma da qui a riconoscere un danno ne
passa. Poi ancora il danno da mancata realizzazione sessuale, cosa che controversie
che si sono incardinate sempre nell'ambito di rapporti di coniugio nel quale uno dei
due coniugi aveva celato all'altro la propria impotenza. Qualcuno di voi forse saprà,
chi diciamo è più interessato a questi argomenti e rapporti matrimoniali che aver
celato una patologia, e l'impotenza è una patologia, è una causa di divorzio e in
alcune di queste controversie il coniuge che non è stato informato aveva agito
anche per il risarcimento del danno non patrimoniale di natura esistenziale per aver
potuto trovare nel rapporto coniugale anche l'appagamento sessuale e via dicendo
tante altre ipotesi. La Corte di Cassazione ha voluto porre un freno a tutto ciò e l'ha
fatto con due importantissime sentenze del 2003, 8827 e 8828 del 2003 sono due
sentenze gemelle cioè di identico contenuto. Queste sentenze sono state l'apripista,
perché come vedrete sono per così dire il primo tassello del quadro definitivo che
invece è stato composto dalla sentenza che invece voi dovrete studiare che quella
del 2008. Nelle due sentenze del 2003 la Cassazione riforma il sistema della
responsabilità per danno non patrimoniale. In che senso la riforma? La riforma nel
senso che la Cassazione riconosce che il nostro sistema di responsabilità aquiliano è
un sistema che poggia su 2 pilastri: uno è l'articolo 2043 e l'altro articolo 2059.

L’articolo del 2043 è il luogo del risarcimento del solo danno patrimoniale, quindi la
cassazione si discosta dall’insegnamento della corte Costituzionale del 1986 mentre
l’articolo del 2059 è il luogo del risarcimento del danno non patrimoniale incluso il
danno alla salute. Dice la cassazione in queste due importanti sentenze che i casi
determinati dalla legge non sono soltanto le norme in cui espressamente viene
riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale come l’articolo 185 del
codice penale che ancora oggi è una delle ipotesi più significative. Nel corso degli
anni si sono affiancate all’articolo 185 altre ipotesi di espressa previsione legislativa
però sono sempre poche, però la teoria si è arricchita perché ad esempio è stato
riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale in caso di responsabilità
civile dei magistrati, nel caso in cui il magistrato commette un errore con dolo o con
colpa grave la vittima di questo errore giudiziario potrà agire nei confronti del
magistrato per ottenere il risarcimento anche del danno non patrimoniale. Oppure
la legge del 2001 sulla ragionevole durata del processo, quindi il cittadino che è stato
sottoposto a un processo giudiziario troppo lungo ha diritto al risarcimento sia
patrimoniale che non patrimoniale, oppure il trattamento illecito di dati personali
può dar luogo al risarcimento del danno quanto patrimoniale, quanto non
patrimoniale. La Cassazione afferma che oltre i casi determinati dalla legge non sono
solo le norme di legge che espressamente prevedono il risarcimento del danno non
patrimoniali ma devono essere considerati anche tutti quei danni che ledono diritti
della persona riconosciuti dalla Cassazione come danno alla salute, danno biologico
ed è risarcibile tramite l’articolo 2059 mentre sul danno esistenziale la corte non si
esprime ma chiaramente indica che oltre al danno biologico possono essere risarciti
altri pregiudizi purché siano lesioni ai diritti inviolabili della persona. Un’altra
importante sentenza del 2003 è che il danno non patrimoniale è sempre una
conseguenza, a differenza di quanto sostenuto dalla corte costituzionale nel 1986, il
danno non patrimoniale non è mai un danno evento ma è sempre la conseguenza
della lesione e va approvato specificamente anche tramite presunzione. Un’ultima
grande affermazione è che il danno non patrimoniale va valutato unitariamente
perché una è la persona e uno deve essere il danno non patrimoniale. Queste
sentenze la 8827 e la 8828 del 2003 sono state confermate dalla Corte
costituzionale nella sentenza dello stesso anno sempre del 2003 la 233 del 2003,
però diciamo così la questione è arrivata qualche anno dopo nuovamente in Corte di
Cassazione e questa volta la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi a sezioni
unite perché una sezione della Corte di Cassazione ha sollevato la questione se
esista espressamente se esiste e sia ammissibile un danno esistenziale allora la corte
ha dovuto ovvero il primo presidente della Corte di Cassazione ha dovuto
necessariamente sollevare la questione relativa all’esistenza del danno esistenziale e
la corte ha emesso la sentenza - nella sezione dei file- , ovvero la sentenza a sezioni
unite ovvero la 26972 del 2008. In realtà le sentenze questa volta sono 4 e cioè la:
26973-26974-26975 anche queste sono identiche, è un poker di sentenze identiche.
La questione interessante è che le sezioni unite si sono dovute pronunciare in una
vicenda che non riguarda la responsabilità aquiliana ma si trattava di un intervento
chirurgico dell’ernia in cui durante l’intervento il paziente aveva subito
l’atrofizzazione di un testicolo per errore quindi agiva in giudizio per ottenere il
risarcimento del danno alla salute ed esistenziale per perdita della capacità
riproduttiva. Quindi la corte pur trattandosi di una controversia contrattuale, ha
però colto l’occasione per rileggere il sistema delle responsabilità extracontrattuale
per danno non patrimoniale, affermando i seguenti principi. In larga parte
riproduttivi di quelli che vi ho già indicato nella sentenza del 2003, cioè il sistema di
responsabilità contrattuale è bipolare cioè la bipolarità risiede nel fatto che tutto il
danno patrimoniale va risarcito sulla base dell'articolo 2043, tutto il danno non
patrimoniale va risarcito secondo l'articolo 2059. 
I casi determinati dalla legge sono, non solo le singole fattispecie singole previste dal
legislatore nel quale è il legislatore che riconosce la risarcibilità del danno non
patrimoniale ma anche tutti quei danni che siano lesione non di diritti riconosciuti
dalla costituzione ma di diritti inviolabili della persona di rango costituzionale.
Quindi le sezioni unite  ritengono che caso determinato dalla legge possa essere il
danno che consegua alla lesione di un diritto inviolabile della persona vale a dire la
salute, la libertà personale, di manifestazione del pensiero, l'autodeterminazione in
sede di trattamenti sanitari e quant'altro. Poi la corte prosegue affermando che: il
danno o espressamente previsto dalla legge o conseguenza della lesione del diritto
inviolabile della persona deve essere anche caratterizzato da un'offesa all'interesse
sufficientemente significativa e da conseguenze sufficientemente grave. Quindi
serietà dell'offesa e gravità della conseguenza, altrimenti il danno risulta per così
dire di poco impatto, la corte utilizza questa formula "il danno risulta vagatellare" la
vagatella nel linguaggio un po' anacronistico è la corsa da poco, la quisquiglia. Faccio
un esempio: ferisco la vostra collega procurandole un lieve graffio sulla faccia, è
indiscutibile che il graffio sulla faccia rappresenta una lesione al diritto della salute
non grave. Allora in questo caso il risarcimento non deve essere ammesso. Altro
principio: il danno patrimoniale esattamente come il danno non patrimoniale è
sempre una perdita, una conseguenza, un detrimento. Quindi il danneggiato lo deve
provare, non basta provare di aver subito la lesione del diritto inviolabile o
dell'interesse della persona giuridicamente rilevante ma si deve anche provare quale
è la perdita che ci ha determinato.
Esempio: perdita del rapporto parentale, io agisco in giudizio nei confronti di Tizio
nella quale ha investito un mio zio, è chiaro che ci sia una lesione del rapporto
parentale perché io e mio zio siamo parenti ma se io con mio zio non ho alcun
rapporto da decenni perché non ci parliamo, non ci frequentiamo anzi tra di noi c'è
una causa in corso per questioni di tipo ereditario. Quale è la perdita che io ho
subito dalla morte di mio zio? Nessuna, non c'è perché non c'è una perdita nel senso
di una limitazione della mia possibilità di arricchirmi nel rapporto di mio zio,
tenendo conto che questa consuetudine di affetti non c'è, allora la conseguenza da
ricavarne è che il danno non patrimoniale va sempre provato, oltre la prova della
lesione anche tramite presunzioni. Perché trattandosi di un danno non materiale la
prova non potrà che essere soltanto una prova presuntiva. Altro importante
principio è che il danno non patrimoniale può essere determinato analiticamente
facendo riferimento al danno biologico, al danno morale subiettivo ma poi la sua
liquidazione cioè quanto il giudice deve quantificare l'entità del risarcimento ovvero
la quantificazione deve essere unitaria per evitare le duplicazioni di risarcimento in
altri termini dove si arresta la lesione della salute e invece inizia la sofferenza? Dove
si arresta la sofferenza e inizia la perdita di rapporto parentale? È difficile da stabilire
proprio perché si tratta di danni privi di una loro materialità allora dato che è
fisiologico che le diverse voci di danno non patrimoniale quando concorrono tra loro
possano sovrapporsi, per evitare duplicazioni di risarcimento cioè per evitare che
una perdita venga liquidata due volte cioè una volte a titolo di danno biologico e
dopo a titolo di danno morale. La Cassazione si raccomanda di fare una valutazione
unitaria che tenga conto delle diverse voci, quindi il danno biologico non è un danno
patrimoniale rispetto al danno morale che a sua volta è autonomo rispetto al danno
da perdita di rapporto parentale ma sono tutti aspetti, voci di un unico danno non
patrimoniale che poi va liquidato appunto unitariamente . E sul danno esistenziale?
La corte nega che sia configurabile un danno esistenziale inteso come danno da
perdita del fare are dituriale, cioè al fare non economico. La corte chiarisce che non
esiste un diritto inviolabile della persona riconosciuto dalla costituzione a non subire
alterazioni nella loro stile di vita anzi vivere all'interno di una comunità comporta la
disponibilità a subire quelle limitazioni della propria libertà, quei fastidi, quegli
imprevisti che vivere insieme ad altri individui inevitabilmente comporta. Quindi il
danno esistenziale non è risarcibile in quanto tale ma ciò non toglie che alcune
ipotesi di danno esistenziale in passato possano essere risarcite perché lì c'è il diritto
inviolabile cioè la rilevanza della famiglia e dei rapporti di parentela c'è ed è
riconosciuta dalla costituzione. Quindi aver perduto la possibilità di godere del
rapporto umano interpersonale con il coniuge, con un parente, allora lì la perdita è
risarcibile ma non perché quello sia un danno esistenziale ma perché lì vi è la lesione
di un diritto inviolabile della persona. Infine questa sentenza è anche celebre in
quanto ha preso posizione sul cosiddetto danno non patrimoniale da
inadempimento cioè il danno non patrimoniale che si produce all'interno di
un'obbligazione, in passato si era escluso la possibilità di risarcire il danno non
patrimoniale secondo le regole della responsabilità contrattuale secondo due
ragioni:
Una formale e una sostanziale. Secondo quella formale il codice ammette il
risarcimento del danno non patrimoniale solo nella responsabilità aquiliana
nell'articolo 2059, questo è il danno formale che in realtà è un argomento molto
debole mentre secondo quello sostanziale è che l'obbligazione è una figura giuridica
del diritto patrimoniale, la prestazione deve essere suscettibile di valutazione
economica, allora l'opinione tradizionale riteneva che il danno contrattuale non
poteva che essere quello economico patrimoniale. In realtà questa lettura è stata
sconfessata perché l'articolo 1174 prevede che l'interesse del creditore possa essere
anche non patrimoniale quindi ben possibile che la prestazione sia finalizzata a
realizzare un interesse del creditore che non ha rango economico e quindi
dobbiamo immaginare che la lesione di quell'interesse possa provocare un danno
non patrimoniale risarcibile come avviene emblaticamente nella caso della tutela
della prestazione sanitaria, la prestazione del medico è un’obbligazione di facere
finalizzata a realizzare un interesse del creditore di natura non economica ovvero la
guarigione o il miglioramento dello stato di salute quindi l'eventuale inadempimento
potrebbe causare danni economici e non economici. La corte ancora la risarcibilità
ad altri due presupposti, uno è pienamente condivisibile e sono gli obblighi di
protazione. La Cassazione riconosce che oramai l'obbligazione va considerata un
rapporto complesso, quindi all'interno del rapporto obbligatorio oltre all'obbligo
primario di prestazione vi sono anche gli obblighi accessori di protezione e gli
obblighi di protezione possono salvaguardare anche la persona in sé quindi anche
questo è una chiara legittimazione del danno non patrimoniale di adempimento. Poi
adotta un argomento che è molto meno condivisibile (bisogna leggere la sentenza).
Domanda: la considerazione unica del risarcimento della sentenza 26972
corrisponde con la considerazione unica della sentenza del 2003?
Risposta: esatto, è la stessa cosa.
La sentenza che voi studierete è più ampia su questo punto e va chiarito che le
diverse tipologie che noi conosciamo ovvero danno biologico, danno della perdita
del rapporto parentale e altri non sono danni autonomi ma sono voci di un unico
danno che è il danno non patrimoniale.
Poi se in sede di individuazione del pregiudizio quella che noi abbiamo chiamato
determinazione del danno. Determinare il danno significa stabilire quale sia la
perdita, il giudice se vuole fare riferimento alle diverse voci ( danno morale,
biologico ecc..) potrà farlo però quando dovrà commisurare questa perdita non
economica ad un valore anche se è imperfetto monetario, lì dovrà fare una
valutazione unitaria.
Con la responsabilità extracontrattuale abbiamo analizzando una delle fonti delle
obbligazioni. Ora dobbiamo analizzare la principale fonte dell'obbligazione:
Il contratto, è regolato nel titolo secondo del libro quarto del codice civile degli
articoli 1321-1469. Il contratto è un negozio giuridico, il nostro codice ha compiuto
la scelta di non ricorrere alla figura del negozio giuridico a dispetto di quanto invece
ha fatto il codice civile tedesco e l'ha fatto perché ha preferito disciplinare
direttamente le singole figure di negozio cioè il contratto, il testamento, il
matrimonio, le donazioni, gli atti unilaterali come ad esempio la remissione del
debito, o l'atto con il quale il delegato si obbliga nei confronti del delegatario
piuttosto che regolare la figura generale, la figura generale quella che dovrebbe
abbracciare queste possibili manifestazioni è il negozio giuridico, che come
sappiamo è uno dei prodotti dell'individualismo borghese ottocentesco perché il
negozio è concepito tradizionalmente come lo strumento della volontà individuale
finalizzato proprio a realizzare gli interessi dell'autore. Quindi siamo in un contesto
culturale in cui è forte l'approccio umanistico, al centro della scena c'è l'uomo con la
sua forza interiore, con la sua capacità di condizionare gli eventi e questa capacità è
la volontà che è una categoria dello spirito. Il negozio giuridico come originalmente
definito come manifestazione della volontà dell'autore tesa a costituire, regolare,
estinguere rapporti giuridici. Poi  riletto in termini di atto di normazione provata,
cioè quell'atto in cui l'autore o gli autori predispongo una disciplina dei loro rapporti
quindi è un atto di normazione, atto di autonomia cioè di regola privata con il
negozio con cui l'autore o gli autori si assoggettano a regole che loro stessi hanno
predisposto. Quindi il negozio è uno strumento di esercizio della libertà di iniziativa
economica, esistono anche negozi di natura non patrimoniale si pensa ad esempio al
matrimonio che pur sempre un atto con il quale degli individui si assoggettano a
vincoli di coniugio e obblighi nei confronti della prole.
Ma all'interno della categoria del negozio un ruolo significativo lo gioca il contratto
perché è un negozio particolare ed è bilaterale perché intercorre tra due centri di
interessi e soprattutto il contratto è la massima manifestazione dell'autonomia
ovvero del potere di darsi regole in campo economico. È il principale strumento con
il quale i privati possono svolgere attività economica attraverso degli accordi, dei
patti di natura impegnativa quindi il contratto è lo strumento, la veste giuridica che
noi diamo alle nostre operazioni economiche. Qualunque operazione economica
assume la veste giuridica del contratto ed è quindi un accordo ovvero uno
strumento con il quale i due soggetti ovvero due centri di interesse predispongo di
comune accordo una regolamentazione del loro affare.
L'articolo 1921 sancisce che il contratto è l'accordo tra due o più parti finalizzato a
costituire, regolare o estinguere, tra loro, un rapporto giuridico patrimoniale. Ciò
che balza da questa definizione è la bilateralità del contratto, il comune accordo che
le due parti raggiungono su una regolazione che dovranno essere applicate alle parti
stesse in una operazione economica.
Si parla non di soggetti ma di PARTI! Perché la bilateralità che caratterizza il
contratto riguarda parti, la parte è un centro di interesse che potrebbe coincidere
con un soggetto o con più soggetti.
Esempio: se io cedo il mio appartamento in via libertà a Palermo a un mio collega e
lei l'acquista, abbiamo un contratto dove le due parti coincidono con due parti
ovvero due persone. Ma se più persone sono comproprietari di un terreno e
decidono di venderlo a me, in questo caso siamo di fronte a un contratto bilaterale
costituito da parti distinte ovvero 3 soggetti distinti che costituiscono un centro
unitario di interesse perché sono contitolari.
Esempio: quando i contratti sono stipulati tra imprese, immaginate un'impresa
bancaria che è un gruppo di società che sono coordinate da una capogruppo che si
chiama holding, quindi immaginiamo che da un lato vi è una banca e dall'altra una
multinazionale che opera nel settore delle nuove tecnologie ed è quindi composta
da una pluralità di società guidate da una capogruppo ovvero holding. Il contratto
quindi lega un numero elevato di società magari 5 da un lato e 10 dall'altro ma le
parti sono due.
Quindi per semplicità parleremo di parti ma penseremo a soggetti giuridici.
Deve essere chiaro che la parte di un contratto non è detto che si identifichi con un
soggetto perché una parte di contratto potrebbe essere plurisoggettiva. Il contratto
è strumento di regolazione, particolare perché è concordata perché è il frutto della
convergenza degli interessi delle parti.
Vi sono due tipi di contratti:
 Contratti commutativi;
 contratti con comunione di scopo.
Nei contratti commutativi abbiamo due parti con interesse contrapposte, quindi il
contratto deve sanare un conflitto.
Esempio: se devo vendere il mio appartamento di via libertà e il nostro collega lo
deve acquistare, lui vorrà acquistarlo ad un prezzo basso, io invece vorrò vendere ad
un prezzo alto quindi tramite il contratto si trova un accordo di interesse
contrapposti perché alla base del contratto commutativo vi è una operazione
economica che consiste in uno scambio e nello scambio i soggetti coinvolti nello
scambio hanno interessi contrapposti.
Nel contratto con comunione di scopo invece le parti contrattuali non hanno
interessi non divergenti ma convergenti.
Esempio: contratto di associazione oppure il contratto di società, lì abbiamo più
centri di interesse dove gli associati hanno interessi convergenti e il contratto
consacra questa convergenza ma vi è la necessità di sottoporre in entrambi casi una
attività economica a una serie di regole per governare lo svolgimento di questa
attività. Se gli individui fossero in grado di fare affari senza conflitti, non sarebbero
necessari i contratti e si arriverebbe ad una convergenza in modo spontaneo ma dal
momento che ogni individuo è spinto dal proprio interesse personale allora alla base
di ogni operazione economica il contratto serve a trovare una mediazione che serve
a soddisfare ogni parte dell'operazione economica. Quindi il contratto è un accordo,
è un atto di autonomia, frutto della convergenza degli interessi e di condivisione del
regolamento ad opera delle parti coinvolte e quindi è il principale strumento
dell'autonomia privata cioè della libertà riconosciuta ad ogni individuo di dare
regole a se stessi per lo svolgimento dell'attività economica. Perché l'attività
economica non è soltanto ideare un business quindi immaginare una possibile
attività, individuarne gli obiettivi ma poi l'attività economica implica una serie di
relazioni con altri soggetti finalizzati ad acquisire materie prime, acquisire forza
lavoro, acquisire beni strumentali e per produrre beni e servizi che a loro volta
devono essere immessi nel mercato e che verranno immessi sempre attraverso lo
strumento del contratto. Quindi il contratto accompagna quasi tutte le fasi
dell'attività economica. Sarebbe errato ritenere che il contratto esaurisca i suoi
effetti nella produzione di obbligazioni, quindi che dal contratto scaturiscano
soltanto effetti obbligatori cioè impegni a carico delle due parti. Il contratto può
produrre effetti costitutivi, può produrre effetti regolativi in rapporti già esistenti
oppure può estinguere cioè sciogliere rapporti già esistenti.
Quindi gli effetti del contratto, vale a dire quelle modificazioni della sfera giuridica
delle parti e della sfera materiale delle parti che tramite il contratto si vogliono
programmare e poi tramite la sua esecuzione, realizzare, possono essere divisi in 3
modi:
 Effetti costitutivi;
 Effetti regolativi;
 Effetti estintivi.
Nell'ambito degli effetti costitutivi quindi l'effetto teso ad creare una nuova
relazione economica, un nuovo rapporto giuridico, sicuramente tra questi effetti
rientrano le obbligazioni tramite il contratto si può istituire un rapporto obbligatorio
finalizzato allo svolgimento dell'attività economica. Ma non solo perché tra gli effetti
costitutivi rientra anche il trasferimento di diritti già esistenti come il trasferimento
della proprietà, il trasferimento dei diritti reali minori. Anche i diritti di credito si
possono trasferire, quando il credito si istituisce è necessario ricorrere
all'obbligazione ma quando si tratta di istituire un credito che è già stato istituito si
tratta di trasferimento. E il trasferimento nel nostro ordinamento si chiama effetto
reale e come vedremo l'effetto reale quindi effetto di trasferimento non presuppone
l'instaurazione di un'obbligazione per lo meno non presuppone l'instaurazione di
un'obbligazione quando la proprietà o i diritti reali riguardino beni di specie o
quando si tratta di trasferire diritti anche non reali ma determinati perché opera
nell'ordinamento italiano il principio consensualistico sancito dall'articolo 1376 e
effetto costitutivo del contratto è anche l'effetto di garanzia. Per garanzia non
intendiamo la garanzia del credito perché o è un'obbligazione solidale o è un pegno
o un'ipoteca e allora in quel caso abbiamo un effetto reale perché quando si
costituisce un pegno o un'ipoteca si ha un effetto reale. Ma noi parliamo di garanzia
pura cioè di quel vincolo, di quell'attribuzione non intermediata di utilità come
tipicamente accade quando si assicura un soggetto circa determinate utilità che
però la cui produzione non dipende da controparte, ad esempio la garanzia
dell'esistenza del credito nella scissione prosoluto, quella è una garanzia pura
perché che il credito esista o no non dipende dal cedente perché il cedente si limita
ad attribuire al cessionario un'utilità. Questa utilità è che il diritto ceduto esiste e se
dovesse risultare meno o inesistente allora il cessionario potrà ottenere la
restituzione di ciò che ha pagato per istituire il credito. E vedremo che la garanzia
pura ha un ruolo fondamentale in contratti come la compravendita e la locazione
ma anche nell'appalto e nel contratto ad opera manuale perché soprattutto nella
vendita il venditore non si limita a trasferire la proprietà o il diritto ma attribuisce al
cliente l'utilità che consiste nell'assicurargli che il bene che ha acquisito sia immune
da vizi o da difetti e che il diritto acquistato è un acquisto definitivo cioè che non
sarà successivamente perduto per interventi di terzi. Quindi questi sono gli effetti
costitutivi. Né sciolto unilateralmente. Se le parti vogliono farlo devono farlo di
comune accordo cioè accordo modificativo. Se le parte vogliono sciogliere il
rapporto prima del tempo lo devono fare di comune accordo tramite un nuovo
accordo che si chiama mutuo accordo o mutuo consenso e ne parla la seconda parte
dell'articolo 1372: " non può essere sciolto che per mutuo consenso o  per altre
cause previste dalla legge" .
Quando il contratto è concluso, quindi si è perfezionato, cioè quando le parti hanno
raggiunto il consenso, hanno raggiunto la comune intenzione di vincolarsi da quel
momento al momento della conclusione del contratto, il contratto diventa
vincolante, cioè nessuna delle due parti può tirarsi indietro e può sciogliersi o
modificare unilateralmente l'accordo raggiunto, questo importantissimo principio si
chiama principio di vincolatività ed è sancito nel nostro ordinamento nell'articolo
1372 che è un'altra norma fondamentale, esprime il concetto di vincolatività cioè di
precettività tramite una metafora, recita così “il contratto ha forza di legge tra le
parti”  a forza di legge è chiaro che è una metafora, perché il contratto è fonte di
norme individuali e concrete cioè di norme che si applicano soltanto alle parti del
contratto, il contratto come vedrete vincola soltanto le parti al limite può vincolare
terzi ma solo laddove lo preveda la legge, perché il contratto ha come sua
caratteristica quella della cosiddetta relatività degli effetti, significa che il vincolo
nascente dal contratto riguarda solo le parti che abbiano partecipato; il legislatore
voleva dare il senso massimo di giuridicità, di vincolatività e nel 1942 l'emblema
della giuridicità era la legge e allora per dare il senso della serietà del contratto della
vincolatività del contratto il legislatore ha fatto ricorso a questa metafora ma deve
essere chiaro che certo anche il contratto è fonte del diritto ma non certo del diritto
generale astratto bensì del diritto individuale e concreto cioè di norme che hanno
dei destinatari determinati le parti o al limite i terzi ma solo dove la legge lo
prevede, e soprattutto il contratto non disciplina una ipotesi di fatto disciplina un
fatto un fatto concreto un affare un'operazione economica specifica quindi il
contratto una volta perfezionatosi, cioè concluso è vincolante, la vincolatività del
contratto sancito nell'articolo 1372 ed espressa tramite questa metafora significa
che una volta concluso il contratto non può essere né modificato né sciolto
unilateralmente, se le parti intendono modificarlo devono farlo di comune accordo,
accordo modificativo, se le parti intendono sciogliersi dal contratto prima del tempo
lo devono fare di comune accordo cioè tramite un nuovo contratto si chiama mutuo
consenso o mutuo dissenso.
Il secondo comma dell'articolo 1372 sancisce:" il contratto non produce effetti nei
confronti dei terzi (principio di relatività degli effetti del contratto) salvo nei casi
previsti dalla legge. Vi sono contratti secondo l'articolo 1273 che possono produrre
effetti su determinati terzi, uno già l'abbiamo studiato poi dovremmo studiare la
figura generale. Ad esempio nel caso dell'accollo, l'accordo tra l'accollato e
l'accollante produce effetti nei confronti di un soggetto rimasto estraneo all'accordo
cioè il creditore accollatario che si ritrova un nuovo debitore legato in solido con il
debitore originario a meno che non decida di liberare il debitore originario.
Questi quindi sono i tratti caratterizzanti del contratto cioè il fatto che è un atto di
autoregolazione frutto di una convergenza di interessi quindi è un atto di
autoregolazione concordato dalle parti e questo atto costituisce un nuovo rapporto
o modifica un rapporto già esistente o estingue un rapporto esistente sempre con
efficacia limitata alle parti a meno che la legge non consenta effetti nei confronti di
terzi.
Distinguiamo due tipi di contratti:
 Contratti tipici;
 Contratti atipici;
I contratti tipici sono contratti la cui disciplina è contenuta nella legge cioè alcune
tipologie contrattuali sono sostanzialmente oggetto di una regolazione da parte
dell'ordinamento giuridico. Perché questi contratti sono oggetto di una regolazione
da parte del legislatore? Perché si tratta di contratti diciamo più diffusi, quelli che
hanno una maggiore tradizione e quindi il legislatore ha ritenuto di doverli regolare
e questi contratti sono tipici perché il legislatore li prevede e appronta una
disciplina. La disciplina dei contratti tipici è una disciplina in larga misura dispositiva
cioè sono norme dispositive che sono norme che ammettono la deroga da parte dei
destinatari cioè ammettono che le due parti possano approntare una soluzione
normativa diversa da quella prevista dal legislatore. In altri termini tramite i contratti
tipici il legislatore intende semplificare la fase della negoziazione dei contratti più
diffusi ed è un atteggiamento tipico dei sistemi di civile law, tali sistemi fondandosi
sulla legge scritta e sui codici. E i codici sono atti normativi che mirano ad
approntare una disciplina se non totalitaria della vita degli individui, una disciplina
quanto più ampia, completa, organizzata possibile. All'interno di questa
organizzazione della vita sociale rientra la predisposizione di una disciplina minima
per tutti quei contratti più diffusi in maniera tale che i soggetti sono  esonerati
dall'onere di approntare un regolamento contrattuale, analitico ma possono
direttamente focalizzarsi sul cuore del contratto che è l'oggetto, vale a dire la
prestazione o le prestazioni che dal contratto scaturiscono. La prestazione del
contratto è unilaterale. Le prestazioni quando il contratto è come nella maggior
parte dei casi bilaterale. Qui bisogna fare una precisazione:
Il contratto è un negozio necessariamente bilaterale cioè un negozio realizzato da
non meno di due parti ma esistono anche contratti unilaterali. Come si conciliano
queste affermazioni? Si conciliano sul fatto che l'aggettivo unilaterale associato al
termine negozio ha un significato, associato al termine contratto ne ha un altro.
Quando parliamo di negozio unilaterale, bilaterale, plurilaterale questi aggettivi
indicano il numero di autori. Se l'autore del negozio è uno solo come nel testamento
allora abbiamo un negozio unilaterale oppure la procura anche unilaterale. Se è
bilaterale significa che il negozio deve essere realizzato da non meno di due autori
come nel matrimonio. Abbiamo negozi anche plurilaterale basti pensare al contratto
di associazione o di società dove le parti sono più di due, l'aggettivo unilaterale
assume un significato differente quando è abbinato al termine contratto perché nel
contratto unilaterale le parti sono necessariamente due ma solo una si assume una
prestazione nei confronti dell'altra, quindi unilaterale indica il numero di parti che
non possono che essere due, quindi il contratto unilaterale è un contratto gratuito.
Stando al codice civile, la donazione che è un atto di liberalità ed è un negozio
bilaterale perché la donazione è un atto realizzato dal donante con il coinvolgimento
del donatario che deve accettare. Il contratto nell'articolo 769 definisce la donazione
come un contratto e recita: "la donazione del contratto con il quale con spirito di
liberalità cioè con l'intento di arricchire controparte, una parte il donante arricchisce
l'altra disponendo a suo favore un suo diritto o assumendo un'obbligazione mentre 
l'altra parte ovvero il donatario non si impegna a far niente". Quindi la donazione è
un contratto gratuito bilaterale, nel quale solo un parte ovvero il donante si assume
una prestazione nei confronti dell'altra. Ma un altro esempio di contratto gratuito è
il comodato, è un contratto di godimento è sostanzialmente la forma contrattuale
con la quale avviene il prestito gratuito. Tutte le volte in cui mettiamo a disposizione
un nostro bene di un terzo gratuitamente, quello è un contratto e si chiama
contratto di comodato ed è regolato negli articoli 1803 e seguenti del codice civile. E
il comodato è un contratto per sua natura gratuito, pensiamo quando la nostra
società di telefonia mobile prevede che se noi stipuliamo un contratto per quella
determinata tariffa telefonica, ci darà in comodato gratuito un determinato
smartphone. Quindi lì abbiamo un contratto oneroso che è quello di prestazione, di
erogazione del servizio di telefonia mobile a cui si collega un contratto gratuito di
comodato che intercorre tra la compagnia telefonica e l'utente che ha come oggetto
la messa a disposizione da parte dell'agenzia telefonica di un determinato
smartphone senza che l'utente debba pagare. Quindi in altri termini è unilaterale il
contratto nel quale solo una acquista prestazione nei confronti nell'altra. È bilaterale
nel quale entrambe le parti assumono prestazioni ed è plurilaterale quel contratto in
cui più di due parti assumono prestazioni l'una nei confronti dell'altra come
tipicamente accade nel contratto di associazione o di società dove ciascun associato
o ciascun socio deve effettuare il conferimento cioè deve provvedere ad attribuire
alla società una somma di denaro, o diritti o prestazioni per istruire il fondo comune.
Quindi con i contratti tipici il legislatore vuole semplificare lo svolgimento delle
operazioni di mercato, degli affari perché quando le parti ricorrono ad un contratto
tipico le parti sono esonerate dal disciplinare tutti gli aspetti della loro operazione
economica potendosi concentrare ad esempio se si parla di una vendita solo su ciò
che si acquista e l'oggetto del contratto.
Chi di voi ha acquistato una macchina sa bene che il contratto che si è chiamati a
sottoscrivere è piuttosto scarno perché contiene poche regole e le caratteristiche
della macchina. Tutti gli altri profili? Sono disciplinati dagli articoli 1470 e seguenti
fino al 1547 dedicati alla vendita, nel caso della vendita il codice detta tante regole.
Stiamo parlando di più di 70 articoli dedicati alla vendita, nulla impedisce ai
contraenti o parti di regolare il loro affare in maniera differente rispetto a quanto
previsto negli articoli 1470 ma se le parti non hanno interesse a derogare allora non
devono neanche occuparsi di quelle regole perché automaticamente nel loro
regolamento contrattuale entrano a fare parte per intercettazione tutte le norme
dispositive che regolano quel contratto.
Sono tipici tutti quei contratti che hanno una maggiore tradizione: la vendita, la
permuta, la locazione, il contratto di appalto, il contratto manuale, il contratto di
agenzia, mediazione, di trasporto, di mutuo, di comodato. L'ultima norma sui
contratti tipici è l'articolo 1986 dedicato al contratto di cessione dei beni ai creditori.
L'introduzione di contratti tipici è lo strumento che il legislatore mette a disposizione
dei privati per semplificare lo svolgimento dei fattori di mercato. Nei sistemi in cui
non esistono codici come ad esempio in molti paesi del common law , i contatti sono
documenti corposi nelle quali le parti devono introdurre la disciplina di tutti gli
aspetti anche quelli più particolari meno rilevanti, dove deve essere effettuata la
prestazione, quando deve essere effettuata la prestazione. Questi sono tutti profili
che disciplina il codice civile da noi, a meno che le parti non vogliano derogarvi,
introducendo una disciplina differente allora lì vi è una volontà specifica di
approntare una disciplina che sia derogatoria rispetto alla legge. Allora lì le parti
realizzeranno un regolamento contrattuale più corposo. Ma se io e Tizio vogliamo
vendere o acquistare un determinato bene e a noi va bene la disciplina codicistica
perché non vogliamo modificare nulla rispetto a quella disciplina, dobbiamo solo
avere cura che nel nostro contratto di specificare cosa Tizio venda a me e quanto io
pagherò a lui, magari se pagherò anche ratealmente o ad un'unica soluzione. Sono
tutti aspetti che le parti concordano.

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