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FALLIMENTO [XVI, 1967]

di Nuvolone Pietro
Fallimento (reati in materia di) [XVI, 1967]
1. Premessa terminologica.

I reati fallimentari si possono distinguere in reati prefallimentari e in reati fallimentari in senso


stretto.

Sono reati prefallimentari quelli commessi prima della sentenza dichiarativa di fallimento e per i
quali, in genere, la sentenza dichiarativa di fallimento funziona da condizione obbiettiva di
punibilità; sono reati fallimentari in senso stretto, quelli commessi nel corso della procedura
fallimentare per i quali la sentenza dichiarativa del fallimento costituisce un presupposto
dell'azione.

Premessa questa distinzione, avvertiamo tuttavia che qui di seguito comprenderemo sotto il nome
di reati fallimentari indifferentemente reati appartenenti all'una o all'altra categoria.

2. Struttura dei reati fallimentari e sentenza dichiarativa di fallimento.

I reati fallimentari si distinguono in reati comuni e in reati propri: sono reati comuni quelli che
possono essere commessi da qualsiasi persona; sono reati propri quelli che richiedono nel soggetto
attivo del reato una particolare qualifica o situazione giuridica.

Tra i reati comuni possono essere annoverati in modo particolare quelli previsti dall'art. 232 l.
fall.; tra i reati propri quelli previsti dagli art. 216 ss., che, di volta in volta, sono riferiti
all'imprenditore, agli institori, agli amministratori, ai sindaci delle società commerciali, ai
creditori, ecc.

I reati fallimentari tipici sono reati propri dell'imprenditore, se dichiarato fallito: così nel caso della
bancarotta semplice e fraudolenta. Si pone, pertanto, il problema del posto da attribuire nel quadro
della fattispecie penale alla sentenza dichiarativa di fallimento.

Non ci sembra dubbio che la sentenza dichiarativa di fallimento non integri un elemenento della
condotta, né si identifichi con l'evento del reato(1). La condotta si realizza prima o dopo la sentenza
di fallimento: d'altra parte, allorché il legislatore ha voluto considerare il fallimento come evento
costitutivo del reato, lo ha detto espressamente (art. 223 pt. ult. l. fall.).

Tuttavia, ci sembra di dovere escludere anche la tesi diametralmente opposta, secondo la quale la
sentenza dichiarativa di fallimento costituirebbe una condizione di procedibilità(2): e, invero, il
collegamento della punibilità del fatto alla situazione di fallito dell'imprenditore, non è un
qualcosa di estrinseco alla ratio puniendi, ma attiene alla logica stessa delle incriminazioni, che
sono inerenti allo status di fallito, in quanto da tale status derivano alcune conseguenze di grande
rilievo sul piano processuale e sul piano sostanziale.

Riteniamo, pertanto, di dovere accogliere la tesi, secondo cui la sentenza dichiarativa di fallimento
è, alternativamente, condizione obbiettiva intrinseca di punibilità o presupposto per la punibilità(3)
dei fatti di bancarotta e di altri fatti previsti come reati dalla legge fallimentare. Si deve parlare di
condizione intrinseca, perché il suo realizzarsi qualifica la lesione dell'interesse. Ciò significa che
il momento consumativo, nei reati fallimentari condizionali, coincide con la sentenza dichiarativa
di fallimento(4). Per i reati non condizionali bisogna far riferimento, secondo i princìpi generali, al
perfezionamento dell'azione o al verificarsi dell'evento.
In questa prospettiva, merita approvazione l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale il
processo penale per bancarotta deve essere sospeso ai sensi dell'art. 19 c.p.p. allorché pende
opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, dovendosi assimilare la pregiudiziale relativa
ad una pregiudiziale di stato(5).

(1) È concezione ormai abbandonata. La sostennero, tra gli altri: LONGHI, Bancarotta e altri
reati in materia commerciale, Milano, 1913, 83; ROCCO, Il fallimento, Torino, 1917, 124;
ROVELLI, Reati fallimentari, Milano, 1952, 13.

(2) Per la tesi della condizione di procedibilità, v. tra gli altri: DE GENNARO, La bancarotta,
Napoli, 1930, 164; MASSARI, Le condizioni di punibilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1929, II, 494.

(3) È la tesi ormai dominante in dottrina. Cfr. per tutti: DELITALA, Contributo alla
determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, in Riv. dir. comm., 1926, I, 144
ss.; CONTI, I reati fallimentari, Torino, 1955, 86; NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e
delle altre procedure concursuali, Milano, 1955, 11 ss. La giurisprudenza è pure orientata in
questo senso, ma con frequenti incertezze di terminologia.

(4) La giurisprudenza è ormai consolidata nel senso di ritenere che la consumazione coincida con
il momento in cui viene pronunciata la sentenza dichiarativa di fallimento. Correlativamente la
competenza per territorio appartiene al giudice del luogo in cui tale sentenza viene pronunciata. In
tal senso cfr. fra le altre: Cass. 20 marzo 1964, in Cass. pen. mass., 1965, 819; Cass. 13 dicembre
1961, ivi, 1962, 251; Cass. 11 maggio 1959, in Giust. pen., 1959, III, 609; Cass., sez. un., 25
gennaio 1958, ivi, 1958, II, 513.

Tale indirizzo si ricollega alla configurazione giurisprudenziale della sentenza dichiarativa di


fallimento come «condizione intrinseca di punibilità» (Cass. 6 novembre 1958, in Giust. pen.,
1959, II, 558) o come «elemento necessario per la sussistenza della ipotesi delittuosa» (Cass. 15
marzo 1950, ivi, 1951, III, 215). Talvolta (cfr. Cass., sez. un., 29 novembre 1958, in Riv. it. dir.
proc. pen., 1958, 1305) il momento consumativo viene spostato al momento del passaggio in
giudicato della sentenza che dichiara il fallimento.

Nel senso dell'opinione giurisprudenziale cfr. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi
complementari. I reati fallimentari e societari, Milano, 1959, 141. Contra, viceversa, ritenendo
che la dichiarazione di fallimento costituisca una condizione di punibilità, come tale non
integrante il reato, CONTI, Fallimento (Reati in materia di), in Nss.D.I., VI, 1960, 1196;
PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, Palermo, 1957, 143; ovvero una condizione di procedibilità
o di proseguibilità, cfr. GIULIANI, La struttura della bancarotta patrimoniale, in Scuola pos.,
1962, 49 ss.

(5) In questo senso: Cass., sez. un., 29 novembre 1958, in Riv. it. dir. proc. pen., 1959, 624; Cass.
20 giugno 1962, in Cass. pen. mass., 1962, 1010.

3. La prospettiva processuale dei reati fallimentari.

I reati fallimentari, globalmente considerati, sono costituiti da fatti che, direttamente o


indirettamente, tendono a frustrare le finalità perseguite dalla legge fallimentare: ricostruzione
documentale del patrimonio e del movimento degli affari, conservazione dei beni
dell'imprenditore e loro distribuzione ai creditori secondo i princìpi della par condicio.

Per questo, la maggior parte dei reati fallimentari si inquadra nella categoria dei reati contro
l'amministrazione della giustizia(6).

È stato obbiettato che, in tale categoria, non potrebbero mai rientrare i delitti di bancarotta
concernenti fatti realizzati prima della dichiarazione di fallimento. Ma l'obbiezione non ha pregio:
l'illecito prefallimentare nasce come illecito condizionato al verificarsi del fallimento che,
pertanto, costituisce il fondamento della punibilità(7).

Tra i reati contro l'amministrazione della giustizia, annoveriamo anzitutto la bancarotta, nelle sue
varie forme, il reato di denuncia di creditori inesistenti, e gli altri reati previsti dall'art. 220 e
dall'art. 226 l. fall., i reati di ricettazione e gli altri reati previsti dall'art. 232 l. fall. e, infine, i reati
del curatore e dei suoi coadiutori.

Con una più analitica classificazione, distingueremo, nell'àmbito dei reati contro l'amministrazione
della giustizia, i seguenti sottotitoli: reati contro l'interesse alla legittima instaurazione delle
procedure concursuali, reati contro l'interesse alla conservazione dei beni dell'imprenditore
insolvente, reati contro l'interesse all'osservanza del principio della par condicio, reati contro
l'interesse alla conservazione e alla veridicità della prova, inosservanza di ordini e provvedimenti
del giudice e di altri organi fallimentari, reati contro l'interesse all'imparzialità degli organi
fallimentari.

(6) Per una più ampia dimostrazione, cfr. NUVOLONE, op. cit., 24 ss.

(7) Per quest'obbiezione, cfr. PAGLIARO, op. cit., 14 ss.

4. Altre prospettive dei reati fallimentari.

Oltre ai reati contro l'amministrazione della giustizia la legge fallimentare contempla ipotesi
criminose che meglio possono inquadrarsi tra i reati contro la pubblica economia, in quanto essi
non attingono dalla esistenza della procedura fallimentare la ragione della loro punibilità, ma solo
di una maggiore punibilità, e non appaiono comunque legati al momento del fatto ad una
situazione di insolvenza (tali i delitti di cui all'art. 2621 ss. c.c., richiamati nell'art. 223 l. fall.);
oppure in quanto l'evento costitutivo del reato è proprio costituito dal fallimento (causazione
dolosa o colposa del fallimento).

Riteniamo, infine, che il ricorso abusivo al credito, in quanto per esso non si prevede la condizione
di punibilità del fallimento, possa considerarsi assimilabile al genus delle truffe e, come tale,
classificarsi tra i delitti contro il patrimonio.

5. I soggetti del diritto penale fallimentare.

Un problema d'apertura del diritto penale fallimentare è quello concernente la qualità di


imprenditore, di amministratore e in genere di soggetto che riveste una particolare posizione, ai
fini della configurabilità dei vari reati.

Per la qualifica di «imprenditore» non esiste un problema particolare di diritto penale. Si deve far
riferimento alle nozioni civilistiche in materia anche in relazione al problema del cosiddetto
imprenditore occulto. Si deve trattare, però, di un imprenditore commerciale e non di una qualsiasi
persona che, per effetto di leggi eccezionali, possa essere sottoposta alla procedura fallimentare(8).

Un quesito di notevole rilievo è quello del piccolo imprenditore che per errore sia stato dichiarato
fallito. La giurisprudenza è ormai costante nel ritenere che la sentenza dichiarativa di fallimento
sia vincolante per il giudice penale, il quale non può riesaminare la questione e deve limitarsi
esclusivamente a stabilire se l'imprenditore abbia commesso fatti di bancarotta(9). A nostro avviso,
quest'orientamento è errato. Il giudice penale non può, naturalmente, sindacare la decisione del
giudice civile, ma ha il dovere di stabilire se su quell'imprenditore incombevano determinati
obblighi (per esempio, di tenere i libri commerciali): e non può condannare se quell'imprenditore
non era destinatario di quegli obblighi.

Anche per gli amministratori, sindaci, liquidatori, direttori generali delle società commerciali non
resta che far riferimento alle nozioni di diritto privato. Si pone, così, il problema dell'esercizio di
fatto delle funzioni (problema che non riguarda i sindaci, i cui obblighi nascono in funzione di una
posizione giuridica, e non in funzione di una attività). Il problema, a nostro avviso, deve risolversi
nel senso che l'esercizio di fatto delle funzioni genera una responsabilità penale, ove sussistano gli
altri estremi della condotta: e, per quanto concerne l'amministratore, sia che si tratti di
amministratore palese non regolarmente nominato sia che si tratti di amministratore occulto(10).

Nelle società in nome collettivo e in accomandita semplice, oltre agli amministratori, acquistano
qualità di soggetti attivi dei reati fallimentari anche i soci a responsabilità illimitata (art. 222 l.
fall.), sempre che siano stati dichiarati falliti e abbiano commesso i fatti previsti dalla legge
fallimentare come reato.

Per quanto concerne l'institore, può divenire soggetto attivo degli stessi reati concursuali
dell'imprenditore, con la limitazione oggettiva segnata dall'àmbito della sua gestione (art. 227 l.
fall.): limiti che, peraltro, sono rappresentati dall'impresa nella sua oggettività e non tali poteri
soggettivi che all'institore sono attribuiti in relazione a questa impresa.

(8) Nel senso che possa esser soggetto attivo dei reati fallimentari anche il non commerciante
dichiarato fallito a' termini dell'art. 31 d.l. 26 marzo 1946, n. 134, sull'avocazione dei profitti di
regime, cfr. invece: BUONO, Se il fallito per debito dell'imposta sull'avocazione dei profitti di
regime - che non sia imprenditore - possa essere soggetto attivo di reati fallimentari, in Crit. pen.,
1961, 38; ID., Il fallimento del «non imprenditore», in Riv. pen., 1961, I, 403.

(9) Cfr. da ultimo: Cass. 24 ottobre 1958, in Riv. it. dir. proc. pen., 1959, 586; Cass. 14 novembre
1960, in Cass. pen. mass., 1961, 55; Cass. 3 agosto 1962, ivi, 1962, 1021. In senso contrario, solo
qualche isolata sentenza di merito: così, Trib. Modena 16 novembre 1954, in Temi, 1955, 297.

(10) Nel senso che anche l'amministratore di fatto possa esser soggetto attivo dei reati fallimentari
è la costante giurisprudenza. Cfr. per tutte: Cass. 14 gennaio 1960, in Giust. pen. 1960, II, 522;
Cass. 9 ottobre 1962, in Cass. pen. mass., 1963, 108. In dottrina, vi è quasi completo accordo; in
senso contrario: PEDRAZZI, Gestione di impresa e responsabilità penali, in Riv. soc., 1962, 230.

6. I beni dell'imprenditore.

Un altro problema di carattere generale è quello di identificare il concetto di «beni


dell'imprenditore». Esso investe tutto il complesso dei reati fallimentari a contenuto patrimoniale,
che sono i più numerosi.
Da un punto di vista generale, deve dirsi che possono costituire oggetto dei reati fallimentari solo i
beni che possono costituire oggetto dell'esecuzione fallimentare: occorre far rinvio, quindi, alle
norme dettate dagli art. 42 ss. l. fall.

Un quesito specificamente penalistico concerne i beni acquisiti alla disponibilità dell'imprenditore


attraverso un reato. La giurisprudenza è decisamente orientata nel senso che anche essi possono
formare oggetto di un reato concursuale (ad esempio, la bancarotta), perché, una volta entrati nella
disponibilità patrimoniale dell'imprenditore, i creditori hanno diritto di soddisfarsi su di essi
secondo la regola della par condicio(11). Non condividiamo quest'orientamento: l'appartenenza non
può confondersi con la semplice situazione di fatto. Possono esservi reati che danno luogo a una
semplice annullabilità del trasferimento; ma ve ne sono indubbiamente altri che si traducono in un
semplice trasferimento di fatto, nullo in radice. In quest'ultimo caso la cosa dev'essere restituita al
proprietario, e non tenuta a disposizione dei creditori(12). In molti casi, pertanto, non potrà aversi
concorso tra bancarotta fraudolenta e truffa.

Per converso, l'eventuale revocabilità dell'atto costitutivo del delitto fallimentare non esclude la
configurabilità del medesimo, in quanto la revocatoria presuppone appunto che il bene sia uscito
dal patrimonio dell'imprenditore.

(11) La giurisprudenza è costantemente orientata nel senso dell'irrilevanza della provenienza


illecita al fallito dei beni da lui distratti. Cfr. per tutte: Cass. 20 novemhre 1962, in Cass. pen.
mass., 1963, 371.

È stato anche ritenuto che nella nozione di «suoi beni» rientrino anche i beni acquistati con patto
di riservato dominio: e questo perché, pur essendo differito il passaggio di proprietà, il curatore
può subentrare nel contratto e acquistare i beni alla massa. Così: Cass. 7 maggio 1965, ivi, 1965,
967.

(12) In questo senso, molto perspicuamente: CARNELUTTI, Concorso di truffa e bancarotta


fraudolenta?, in Riv. dir. proc., 1953, II, 321.

7. Reati contro l'interesse alla legittima instaurazione delle procedure concursuali: a) omessa
trasmissione di elenchi di protesti cambiari; b) ritardata domanda di fallimento; c) causazione
dolosa del fallimento della società; d) atti fraudolenti per l'ammissione al concordato preventivo o
all'amministrazione controllata.

L'attività giurisdizionale, nel campo delle procedure concursuali come in ogni altro campo, deve
intervenire al momento opportuno: il che significa che, verificandosene i presupposti, l'azione
dev'essere promossa; ma, se non ve ne sono i presupposti, non dev'essere promossa. Vi è un
dovere di promuovere l'azione; e vi è un dovere di non promuoverla inutilmente.

A questi doveri corrispondono due categorie di norme: le une dirette a stimolare l'attività di quei
soggetti cui incombe l'obbligo di portare a conoscenza dell'autorità giudiziaria una notizia o una
domanda: le altre dirette a impedire che l'autorità giudiziaria abbia a compiere atti inutili o dannosi
sulla base di notizie infondate o di domande temerarie.

a) L'art. 235 l. fall. dispone: «Il pubblico ufficiale abilitato a levare protesti cambiari che, senza
giustificato motivo, omette di inviare nel termine prescritto al presidente del tribunale gli elenchi
dei protesti cambiari per mancato pagamento, o invia elenchi incompleti, è punito con l'ammenda
fino a lire ventimila. La stessa pena si applica al procuratore del registro che nel termine prescritto
non trasmette l'elenco delle dichiarazioni di rifiuto di pagamento a norma dell'art. 13, comma
secondo, o trasmette un elenco incompleto».

Occorre soffermarsi brevemente sull'inciso «senza giustificato motivo». Questa locuzione deve
interpretarsi nel senso di: «senza cause soggettive di scusabilità»: intendendosi come cause
soggettive di scusabilità quelle che si riferiscono a impedimenti dell'ufficio, indisponibilità di
collaboratori, ecc., con esclusione di ogni motivo attinente a valutazioni di opportunità, ad
assicurazioni di pagare date dal debitore.

b) L'art. 217 comma 1 n. 4 l. fall. considera come ipotesi di bancarotta semplice il fatto
dell'imprenditore «che ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione
del proprio fallimento». Per l'art. 224 n. 1 la norma si applica anche alle persone preposte
all'amministrazione delle società commerciali.

c) L'ipotesi è prevista dall'art. 223 comma 2 n. 2 l. fall. Sebbene il reato trovi la sua collocazione
principale tra i reati contro la pubblica economia, esso può comprendere anche il fatto delle
persone preposte alla amministrazione delle società commerciali che dolosamente chiedono il
fallimento della società, senza che ne sussistano le condizioni, e cioè, in genere, simulando uno
stato di insolvenza che, in realtà, non esiste.

d) L'art. 236 l. fall. dispone al comma 1: «È punito con la reclusione da uno a cinque anni
l'imprenditore che, al solo scopo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo o di
amministrazione controllata, siasi attribuito attività inesistenti, ovvero, per influire sulla
formazione delle maggioranze, abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti».

Si tratta di un reato proprio dell'imprenditore individuale; la legge non prevede - ed è una


singolare lacuna - una fattispecie analoga per gli amministratori delle società commerciali.

Il falso ideologico consiste nell'attribuzione di attività inesistenti e nella simulazione di crediti (


rectius: creditori) inesistenti.

Attribuzione di attività inesistenti significa elencazione di voci attive che non trovano riscontro
nella realtà: la supervalutazione di attività esistenti non integra il reato(13). Simulazione di creditori
in tutto o in parte inesistenti significa gonfiamento di passività: entrambe le fattispecie sono
oggettivamente e soggettivamente funzionali agli scopi indicati dall'art. 236; e, perciò, se lo scopo
perseguito sia anche diverso (per esempio, frode ai creditori), non potrà applicarsi questa norma.

Le disposizioni di riferimento, per risolvere il problema della consumazione del reato sono fornite
essenzialmente dagli art. 161, 171 e 189 l. fall.

(13) Cfr. in senso conforme: Trib. Piacenza 8 febbraio 1954, in NUVOLONE, op. cit., 190.

8. Reati contro l'interesse alla conservazione dei beni dell'imprenditore insolvente: generalità.

I reati contro la conservazione dei beni dell'imprenditore insolvente hanno questo di caratteristico:
attraverso il compimento delle più varie azioni, il debitore o un terzo sottrae o tenta di sottrarre a
tutti i creditori indiscriminatamente quei beni sui quali essi dovrebbero soddisfare il proprio diritto
di credito in via coattiva o sostitutiva.

Le fattispecie principali sono quelle della bancarotta (fraudolenta o semplice) a contenuto


patrimoniale; ma ne fanno parte anche taluni reati addebitabili a terzi, come quelli previsti dall'art.
232 l. fall.
Parliamo di imprenditore «insolvente»: infatti, a nostro avviso, non è possibile, anche per i reati
prefallimentari, retroagire indefinitamente nel tempo. Ciascuno ha diritto di disporre e di lasciar
disporre liberamente dei propri beni fino al momento in cui, divenuto impossibile il normale
soddisfacimento delle obbligazioni, subentra il vincolo in favore dei creditori. E tale momento è
rappresentato dall'inizio dello stato di insolvenza. Ogni diversa interpretazione urterebbe, oltre che
contro la logica e contro il sistema, anche contro il principio della certezza del diritto. Anche il
regime della revocatoria fallimentare, d'altronde, con le sue prescrizioni legate a termini temporali,
è un argomento a favore della nostra tesi.

Sotto questo titolo considereremo, dunque, la bancarotta fraudolenta patrimoniale


dell'imprenditore individuale e delle persone preposte all'amministrazione delle società
commerciali, la bancarotta semplice a contenuto patrimoniale, la cosiddetta ricettazione
fallimentare nelle sue varie forme.

9. La bancarotta fraudolenta patrimoniale: l'elemento oggettivo. A) La distrazione. B)


L'occultamento. C) La dissimulazione. D) La distruzione. E) La dissipazione.

È il più importante, diremmo classico, reato fallimentare. È previsto dall'art. 216 comma 1 n. 1 e
comma 2 l. fall. (per l'imprenditore individuale), e dall'art. 223 comma 1 (per gli amministratori,
direttori generali, sindaci e liquidatori di società).

Le azioni incriminate sono: la distrazione, l'occultamento, la dissimulazione, la distruzione e la


dissipazione dei beni dell'imprenditore, siano esse commesse prima della procedura fallimentare o
durante il corso della medesima.

A) Il concetto di distrazione implica quello di destinazione diversa dalla destinazione imposta con
una norma giuridica: nella specie la destinazione legittima sarebbe quella di tenere a disposizione
degli organi fallimentari i beni dell'imprenditore insolvente affinché possano essere distribuiti ai
creditori secondo il principio della par condicio. È ovvio, peraltro, che, non trattandosi di illecito
di natura meramente formale, ma di natura sostanziale, non è sufficiente constatare una semplice
alienazione di beni dell'imprenditore, ma occorre, altresì, stabilire se manchi la contropartita
dell'alienazione o se la contropartita sia inadeguata.

Il concetto di distrazione è ulteriormente limitato, nella specie, dal fatto che anche l'occultamento,
la distruzione e la dissipazione costituiscono ipotesi di destinazione diversa da quella consentita,
ma sono previste come fattispecie a se stanti.

Bisogna poi distinguere il caso della distrazione commessa dall'imprenditore individuale, dalla
distrazione commessa dalle persone preposte all'amministrazione delle società commerciali:
infatti, per queste ultime l'esempio più tipico di distrazione sarà rappresentato dalle appropriazioni
indebite ai danni della società stessa oltre che dei creditori, mentre per l'imprenditore individuale
un'appropriazione non potrà neppure astrattamente ipotizzarsi, essendo egli stesso proprietario dei
beni in discussione.

Per quanto concerne la distrazione dell'imprenditore individuale, possiamo proporre la seguente


definizione: «la distrazione consiste obbiettivamente in ogni atto, diverso dalla dissipazione e
dall'occultamento, mediante il quale l'imprenditore fa uscire dal proprio patrimonio, senza
contropartita o senza contropartita reperibile, o fa uscire, comunque, dal patrimonio assoggettabile
in concreto a procedura esecutiva, una parte dei propri beni, allorché questo suo atto aggravi lo
stato di insolvenza»(14).

Per quanto concerne la distrazione da parte delle persone preposte all'amministrazione delle
società commerciali, la definizione di cui sopra può essere ritenuta valida sostituendo l'aggettivo
«proprio» col genitivo «dell'impresa» e il sostantivo «imprenditore» con i sostantivi
«amministratore, direttore generale, sindaco o liquidatore».

La fattispecie della distrazione, la più frequente che ricorre nella pratica, ha dato luogo al formarsi
di una costante giurisprudenza, secondo la quale è sufficiente constatare una sproporzione tra
attivo e passivo nel bilancio dell'impresa e la mancanza di pezze giustificative, per ritenere la
responsabilità a titolo di bancarotta fraudolenta. Alla base di questo orientamento
giurisprudenziale vi è, implicita, un'inversione dell'onere della prova, essendo evidente che la
differenza tra passivo ed attivo non costituisce assolutamente la generica del reato di bancarotta,
potendo essere il risultato di operazioni lecite, ma difficilmente ricostruibili; per cui spetta
all'accusa dimostrare che si tratta, invece, dell'effetto di distrazioni. Il problema della
«giustificazione del passivo» deve porsi, perciò, unicamente in rapporto a singoli fatti di
distrazione(15).

Tutte le considerazioni di cui sopra, valgono sia per la bancarotta prefallimentare, sia per la
bancarotta fallimentare in senso stretto: è però evidente che, pendente la procedura fallimentare, il
concetto di distrazione è molto più rigoroso, in quanto ogni atto di disposizione compiuto dal
fallito senza l'autorizzazione degli organi fallimentari reca necessariamente con sé una
presunzione di frode.

B) L'occultamento è il fatto di chi, senza separare i beni dal suo patrimonio, li nasconde
materialmente, in modo tale da renderne impossibile l'apprensione da parte degli organi della
procedura concursuale.

Il fatto può essere realizzato attraverso i più vari espedienti: si deve trattare, tuttavia, di espedienti
materiali e non già di occultamento mediante negozi giuridici simulati: in questo ultimo caso si
avrà l'ipotesi della dissimulazione.

C) La dissimulazione è l'occultamento giuridico: i beni non vengono sottratti materialmente alla


percezione dei creditori; ma il debitore tende a renderne impossibile l'apprensione, facendo
figurare, mediante negozi giuridici simulati, che essi appartengono ad altri.

La dissimulazione, come tale, non può confondersi con la simulazione di titoli di prelazione, che
costituisce ipotesi di bancarotta preferenziale, in quanto diretta a favorire taluno dei creditori a
danno degli altri.

D) L'ipotesi della distruzione non richiede una indagine particolarmente complessa: si tratta
dell'eliminazione del valore economico caratteristico di un bene, mediante un'operazione attiva.

Non riteniamo che la semplice omissione, anche se volontaria, possa integrare il reato in esame;
così come ci sembra di dover escludere che possa considerarsi bancarotta per distruzione il fatto
della rinuncia a un diritto. Distruggere non significa trascurare, né omettere l'esercizio di un
diritto, anche se ciò può tradursi in un danno dei creditori.

E) La dissipazione è un'ipotesi di bancarotta fraudolenta singolarmente difficile da definire, anche


per l'affinità oggettiva che essa presenta con alcuni casi di bancarotta semplice, come quelli delle
«spese eccessive» o delle «operazioni di pura sorte»(16).

La dissipazione rappresenta una sorte di distruzione giuridica della ricchezza e può consistere in
atti a titolo gratuito, in atti a titolo oneroso e anche in veri e propri atti di derelizione o
nell'adempimento di talune obbligazioni naturali: essa si identifica, sul piano oggettivo, con lo
sperpero ingiustificato che danneggia l'impresa: mentre nelle ipotesi di bancarotta semplice cui
abbiamo più sopra fatto riferimento, vi è sempre in astratto un elemento di razionalità sul piano
delle esigenze della vita dell'individuo e dell'impresa, anche se tale razionalità, in concreto, non
sussiste per errori di valutazione dell'agente.
(14) Il concetto di alienazione senza adeguata contropartita è affermato anche dalla
giurisprudenza. È stata così ritenuta la distrazione nel trasferimento di denaro o di beni da
un'attività ad un'altra senza adeguata corrispondenza: Cass. 20 maggio 1961, in Cass. pen. mass.,
1961, 951; Cass. 1 luglio 1963, ivi, 1964, 99.

(15) in questo senso, da ultimo: Cass. 5 aprile 1960, in Riv. pen., 1961, II, 738; Cass. 20 ottobre
1963, in Giust. pen., 1964, II, 352. In dottrina, nello stesso senso del testo, tra gli altri
ANTOLISEI, op. cit., 60; PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, II, Milano, 1964,
2152.

(16) Per una più ampia illustrazione di questi problemi: NUVOLONE, Dissipazione e spese
eccessive, in Temi, 1958, 378.

10. La bancarotta semplice patrimoniale: l'elemento oggettivo. A) Spese eccessive rispetto alla
propria condizione economica. B) Operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti. C)
Ritardo colposo del fallimento.

È contemplata, attraverso l'enumerazione di cinque ipotesi, dal comma 1 dell'art. 217 l. fall.; e, per
quanto concerne gli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società fallite,
dall'art. 224 l. fall.

Le azioni incriminate sono: le spese personali per sé e per la famiglia eccessive rispetto alla
propria condizione economica; il consumo di una notevole parte del patrimonio dell'imprenditore
in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti; il compimento di operazioni di grave
imprudenza per ritardare il fallimento; l'aggravamento del dissesto dell'impresa causato dalla
mancata richiesta del fallimento o da altra grave colpa; l'aggravamento del dissesto della società,
mediante inosservanza degli obblighi imposti dalla legge agli amministratori, sindaci, direttori
generali e liquidatori.

A) È anzitutto evidente che l'ipotesi delle spese eccessive rispetto alle proprie condizioni
economiche non è configurabile nei confronti delle persone preposte all'amministrazione delle
società commerciali, in quanto l'accento della illiceità cade sulla sottrazione di beni che
dovrebbero essere destinati ai creditori: tali non sono i beni personali dei soggetti di cui sopra,
salvo che si tratti di soci amministratori illimitatamente responsabili (v. art. 222 l. fall.).

Per quanto concerne il concetto di «spesa eccessiva», come abbiamo già accennato a proposito
della dissipazione, la spesa eccessiva si distingue dalla dissipazione, in quanto essa, almeno in
astratto, ha una causa economica razionale; inoltre, mentre la dissipazione è per sua natura
ingiustificata, la spesa eccessiva è tale in relazione ad una speciale condizione del soggetto: quindi
il reato consiste essenzialmente nella violazione di un dovere di continenza oltre il normale,
imposto da una particolare situazione patrimoniale, a tutela dei creditori.

Il problema andrà risolto caso per caso; non ci sembra, peraltro, degno di accoglimento il criterio
della voluttuarietà(17): vi sono spese voluttuarie che possono essere del tutto normali (per esempio
acquisto di un libro di lettura) e spese non voluttuarie che possono essere anche eccessive (per
esempio, acquisto di una casa di abitazione).

B) Mentre il gioco d'azzardo deve considerarsi dissipazione, sono operazioni di pura sorte quegli
atti con i quali si arrischia una parte del patrimonio per una finalità avente la sua base nella vita
economica dell'azienda. Nell'operazione di pura sorte l'esito non può essere determinato in modo
alcuno dall'imprenditore (per esempio, taluni giochi di borsa); nell'operazione manifestamente
imprudente vi è un forte elemento di rischio, ma qualcuno degli elementi della situazione può
essere determinato dall'imprenditore.

In sostanza, può dirsi che l'imprenditore insolvente ha il dovere di astenersi da quelle operazioni di
natura aleatoria il cui esito sfavorevole provocherebbe una perdita tale da incidere ulteriormente
sulla capacità dell'impresa a far fronte alle proprie obbligazioni.

C) Comprendiamo sotto questo titolo le ipotesi di cui all'art. 217 n. 3 e 4 e 224 n. 2.

Elemento comune a queste fattispecie è la sussistenza di un dissesto che viene aggravato dalla
mancata richiesta e comunque dal ritardo del fallimento.

Il dovere di non ritardare la dichiarazione di fallimento è concepito in funzione di una incidenza


patrimoniale: nel caso di cui allo art. 217 n. 4 l'aggravamento del dissesto è conseguenza diretta
del ritardo; nel caso di cui all'art. 217 n. 3 è conseguenza diretta di un determinato tipo di
operazioni che, compiute al fine di ritardare il fallimento, si qualificano come gravemente
imprudenti, in quanto compiute già nella contestualità di un irreparabile dissesto.

L'aggravamento del dissesto ai sensi dell'art. 217 n. 4, può essere anche conseguenza di «altra
grave colpa»: con questa fattispecie oggettivo-soggettiva si devono intendere tutte le azioni od
omissioni che inevitabilmente secondo l'id quod plerumque accidit hanno il risultato di aggravare
il dissesto (per esempio, assunzione di nuovi grossi impegni finanziari, ricorso al credito usurario,
ecc.).

A quest'ultima fattispecie si collega anche l'ipotesi di cui all'art. 224 n. 2: con la differenza che,
mentre nell'art. 217 n. 4 ci troviamo di fronte ad una fattispecie generica, qui deve trattarsi di
violazione degli obblighi stabiliti dalla legge per le persone preposte all'amministrazione delle
società commerciali. Tali obblighi sono quelli genericamente stabiliti, per gli amministratori
dall'art. 2392 c.c. e per i sindaci dall'art. 2403 c.c. È sufficiente che vi sia un nesso di causalità
materiale tra la violazione di questi obblighi e l'aggravamento del dissesto.

(17) Espressamente individua la differenza tra «dissipazione» e «spese eccessive» nello «scopo
voluttuario per alimentare i propri vizi» Cass. 20 novembre 1952, in Giur. compl. cass. pen., 1952,
III, 637.

11. L'elemento soggettivo della bancarotta patrimoniale.

La distinzione tra bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice implica la necessità di distinguere


le varie ipotesi di bancarotta patrimoniale non solamente sotto l'aspetto oggettivo, ma anche sotto
l'aspetto soggettivo.

La giurisprudenza è prevalentemente orientata nel senso di considerare la bancarotta fraudolenta


patrimoniale come delitto a dolo generico(18) e la bancarotta semplice patrimoniale come delitto
colposo(19). Non riteniamo che questa impostazione possa essere condivisa, in quanto vi sono
probanti motivi per una diversa soluzione del problema.

Anzitutto, non può condividersi l'opinione che la bancarotta semplice sia un reato colposo: può
essere colposo solo se si ha riferimento al danno dei creditori o alla lesione dell'interesse
dell'amministrazione della giustizia; ma, in virtù del principio secondo il quale ogni delitto è
punibile a titolo di colpa solo se la legge espressamente lo dice, dobbiamo ritenere che, in genere,
la bancarotta semplice sia reato doloso ad eccezione dei casi nei quali esplicitamente la fattispecie
contiene elementi incompatibili col dolo e sussumibili solo nel quadro della colpa: tali per
esempio, le ipotesi di cui all'art. 217 n. 4 e 224 n. 2.

In secondo luogo, per ciò che concerne in particolare la bancarotta fraudolenta, non può passare
inosservato il fatto che la bancarotta fraudolenta documentale richiede l'esistenza di un dolo
specifico di illegittimo profitto o di danno, e che l'indicazione di tale dolo specifico, la legge
omette per il caso di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Da questa disparità di disciplina
legislativa, si è voluto dedurre che, quindi, per la punibilità della bancarotta fraudolenta
patrimoniale è sufficiente il dolo generico. Senonché una tale argomentazione ci sembra
assolutamente semplicistica e la differenza letterale può spiegarsi in modo del tutto diverso.

Non è possibile, logicamente, che due fattispecie in posizione di alternatività differiscano


profondamente tra di loro: se vi è analogia oggettiva e soggettiva tra le fattispecie, ciò vuol dire
che la legge ha contemplato il dolo specifico per portare una fattispecie, quella documentale, sullo
stesso piano dell'altra, quella patrimoniale. Ma allora, se ne deduce che là, dove il dolo specifico
non è espressamente previsto, la descrizione della condotta è già pregnante anche sotto l'aspetto
soggettivo, mentre, là dove la legge ha ritenuto necessario prevedere un dolo specifico, lo ha fatto
perché la semplice descrizione della condotta non avrebbe avuto quel pieno significato oggettivo e
soggettivo che deve essere caratteristico della condotta del bancarottiere fraudolento.

Chi vuole distrarre, occultare, dissipare, distruggere in un momento in cui si è determinato lo stato
di insolvenza, o ancor più quando è già stato dichiarato il fallimento, non può non volere l'offesa
dell'interesse tipicamente protetto dalla legge fallimentare, dal giorno in cui, nella vita
dell'impresa, sorge la possibilità dell'illecito condizionato fino alla conclusione della procedura
concursuale.

La stessa contrapposizione, poi, tra bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice, che ha la sua
consacrazione nella rubrica legislativa, non può essere senza significato, tanto più ove si pensi che
- come abbiamo visto - vi sono casi di bancarotta semplice abbastanza simili sotto l'aspetto
oggettivo ai casi di bancarotta fraudolenta, anche se una distinzione può essere sottilmente trovata
(dissipazione, spese eccessive, operazioni di pura sorte, ecc.); e se si tiene conto altresì del fatto
che la bancarotta semplice è anche essa punibile a titolo di dolo generico.

Concludiamo, pertanto, nel senso che la bancarotta fraudolenta patrimoniale è un reato a dolo
specifico implicito: dolo specifico consistente nella volontà di defraudare del dovuto i creditori o
in uno scopo che con essa necessariamente coincide, sottraendosi agli obblighi che derivano
dall'insolvenza.

(18) La giurisprudenza riconosce reato a dolo specifico nell'àmbito dell'art. 216 n. 1 solo
l'esposizione di passività inesistenti, aggiungendo, peraltro, che il dolo specifico può realizzarsi
anche nella forma del dolo eventuale (sic!): Cass. 26 giugno 1962, in Cass. pen. mass., 1962,
1018. La dottrina, invece, ritiene in prevalenza che tutte le ipotesi dell'art. 216 n. 1 siano a dolo
specifico: cfr. per tutti: ANTOLISEI, op. cit., 57. Contra, tra gli altri, AZZOLINA, Il fallimento e
le allre procedure concorsuali, III, Torino, 1961, 1449.

(19) La giurisprudenza sembra decisamente orientata nel senso di ritenere che l'elemento
psicologico del delitto di bancarotta semplice possa consistere anche solo nella colpa. Cfr. da
ultimo: Cass. 28 gennaio 1961, in Cass. pen. mass., 1961, 437; Cass. 12 dicembre 1962, ivi, 1963,
372; Cass. 13 novembre 1964, ivi, 1965, 463; Cass. 20 gennaio 1965, ivi, 647; nello stesso senso
del testo, tra gli altri: ANTOLISEI, op. cit., 98 ss.

12. La lesione dell'interesse alla «par condicio» e la bancarotta preferenziale.


L'art. 216 comma 3 l. fall. prevede il fatto del fallito che, prima o durante la procedura
fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti o simula
titoli di prelazione.

Con questa norma il legislatore tende a rafforzare il principio della par condicio che sta alla base
anche delle disposizioni in tema di revocatoria.

L'esigenza pubblicistica è evidente in questa norma, in quanto si vuole impedire un trattamento


sperequato dei creditori; ma proprio perché il fatto non è genericamente diretto a frodare i creditori
ma soltanto a favorirne taluno, la pena è meno grave di quella della bancarotta fraudolenta.

Da quanto detto sopra deriva che se il fallito paga un creditore personale con beni del fallimento
egli commette non già il reato di bancarotta preferenziale, ma il reato di bancarotta comune sotto il
profilo della distrazione, in quanto lede i diritti di tutti i creditori concursuali.

La norma non fa nessuna distinzione tra pagamenti di crediti non ancora scaduti e pagamenti di
crediti liquidi ed esigibili, tra pagamenti eseguiti con denaro e con altri mezzi normali di
pagamento e pagamenti eseguiti con mezzi diversi: se ne deve dedurre che qualsiasi pagamento di
debito con qualsiasi mezzo effettuato, può integrare gli estremi della bancarotta preferenziale.

L'altra ipotesi di bancarotta preferenziale concerne la simulazione di titoli di prelazione. Noi la


consideriamo qui, per esigenze di trattazione unitaria dello stesso reato, pur essendo evidente che
l'ipotesi criminosa rientra tra i reati contro l'interesse alla veridicità delle prove.

La simulazione deve essere idonea a produrre effetti giuridici: non sarà tale, pertanto, la semplice
dichiarazione del fallito, ma occorrerà la predisposizione di un titolo ideologicamente falso; deve
trattarsi, inoltre, di un mezzo posto in essere per favorire un creditore e non per dar modo al fallito
di rientrare, con un artificio, nella disponibilità dei suoi beni.

L'elemento comune alle due ipotesi di bancarotta preferenziale è il dolo specifico: scopo di
favorire, a danno dei creditori, taluno di essi. La direzione della volontà non è necessariamente
quella del danno: può essere sufficiente il fine di favorire taluno dei creditori, allorché esso
comporti, come indissolubile corollario, il danno degli altri(20).

Non sempre, nei pagamenti effettuati per tacitare i creditori più impazienti, potranno ravvisarsi
ipotesi di bancarotta preferenziale, se, per esempio, i pagamenti vengono eseguiti allo scopo di
ritardare il fallimento e con la coscienza della loro revocabilità.

Il creditore non è un concorrente necessario; la semplice accettazione del pagamento non implica
la compartecipazione, anche dal punto di vista soggettivo, del creditore nella bancarotta
preferenziale del debitore(21).

(20) In questo senso: Cass. 31 marzo 1965, in Cass. pen. mass., 1964, 924.

(21) Nello stesso senso: Cass. 11 novembre 1957, in Giust. pen., 1958, II, 97; Cass. 9 giugno
1961, in Cass. pen. mass., 1961, 786. In dottrina, per l'esclusione dell'esistenza di un obbligo del
creditore di rifiutare il pagamento del proprio credito, anche se il debitore è in istato di insolvenza:
ANTOLISEI, op. cit., 76; ANTONIONI, Aspetti della bancarotta preferenziale, in Arch. pen.,
1964, II, 62; NUVOLONE, In tema di concorso nella bancarotta preferenziale, in Riv. it. dir. pen.
, 1957, 253.
13. Le distrazioni e ricettazioni del terzo.

Sono previste dall'art. 232 comma 3 n. 1 e 2. Elemento comune è il fatto che il terzo non pone in
essere queste azioni nel quadro di un accordo fraudolento col fallito, ai fini della bancarotta.

Le azioni incriminate sono le seguenti:

a) distrazione di beni dell'imprenditore prima del fallimento;

b) ricettazione di beni dell'imprenditore prima del fallimento;

c) acquisto speculativo di beni dell'imprenditore prima del fallimento;

d) sottrazione di beni dell'imprenditore dopo la dichiarazione di fallimento;

e) distrazione di beni dell'imprenditore dopo la dichiarazione di fallimento;

f) ricettazione di beni dell'imprenditore dopo la dichiarazione di fallimento;

g) dissimulazione di beni del fallito in pubbliche o private dichiarazioni.

La distrazione del terzo comprende ogni atto avente per effetto di sottrarre i beni dell'imprenditore
alla imminente procedura concursuale, nell'ipotesi di cui supra, alla lett. a; mentre, nell'ipotesi di
cui alla lett. e si identifica con l'azione del terzo, che, avendo di fatto la disponibilità di beni del
fallito, li destina a finalità diverse rispetto a quelle della procedura fallimentare.

L'ipotesi della ricettazione può identificarsi, nel caso di cui alla lett. b nel fatto di chi dà ricetto,
trattiene presso di sé i beni sottraendoli all'imminente procedura concursuale; mentre nell'ipotesi di
cui alla lett. f si identifica nel fatto del terzo che tiene presso di sé i beni dell'imprenditore
impedendo agli organi fallimentari di acquisirne di fatto la disponibilità. In entrambi i casi può
esservi una ricettazione in senso tecnico qualora l'azione del terzo cada su beni che l'imprenditore
abbia già distratto, e che pertanto debbano considerarsi come provenienti da reato(22).

La sottrazione è ipotizzata solamente per il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento: si


tratta di un termine che non è usato in senso tecnico e che deve ritenersi comprensivo di tutti i casi
in cui il terzo si procura illegittimamente la disponibilità di beni del fallito, così da impedirne
l'acquisizione o di toglierne il possesso agli organi fallimentari.

Anche la dissimulazione di beni del fallito è contemplata solo con riferimento al periodo
successivo alla dichiarazione di fallimento e costituisce una forma di falso ideologico attraverso il
quale si cerca di deviare l'attività degli organi fallimentari diretta ad apprendere i beni del fallito.
Occorre, evidentemente, che si tratti di dichiarazioni aventi efficacia giuridica; altrimenti non
potrebbe avvenire quell'occultamento che è appunto lo scopo e l'essenza della dissimulazione.

L'acquisto speculativo si identifica nel compimento di un atto a titolo oneroso che la legge, sotto
analoghi presupposti, considera revocabile (art. 67 n. 2 l. fall.).

Acquistare a un prezzo notevolmente inferiore al valore corrente significa fare effettuare


all'imprenditore una vendita rovinosa: non basta, evidentemente, che l'acquirente abbia tratto dalla
compravendita un utile superiore a quello normale.

Si tratta, in fondo, di un caso particolare di usura, che trova la sua causa nello stato di bisogno del
debitore che svende, pur di procurarsi in qualche modo dei mezzi pecuniari.

Deve trattarsi, naturalmente, di cose che hanno un «valore corrente»: ove si trattasse di cose che
non hanno un vero e proprio mercato e il cui valore è in funzione di considerazioni
extracommerciali, o, comunque, di cose la cui qualità può essere controversa, per cui alcuni
possono assegnare alla medesima un prezzo rilevante ed altri un prezzo vile, la norma penale non
può trovare applicazione.

La valutazione deve compiersi anche in rapporto al prezzo realizzabile in sede di esecuzione.

La legge prevede la sussidiarietà rispetto alle ipotesi di concorso in bancarotta o di


favoreggiamento solo per i reati patrimoniali del terzo commessi posteriormente alla dichiarazione
di fallimento: il che ha fatto dire a taluno che il terzo non può mai concorrere nella bancarotta
patrimoniale prefallimentare(23). Questa tesi non può essere condivisa.

Infatti non v'è alcuna ragione né logica, né sistematica, per cui debba escludersi la punibilità del
terzo a titolo di concorso in bancarotta; inoltre vi è un evidente parallelismo tra le ipotesi
contemplate nel n. 1 e nel n. 2 del comma 3 dell'art. 232 l. fall.: il fatto che nel n. 1 la sussidiarietà
sia espressamente prevista, mentre ciò non avviene per il n. 2, dipende probabilmente dal fatto che
dopo la dichiarazione di fallimento la consapevolezza del terzo dello stato fallimentare dovrebbe
presumersi, e quindi deve essere maggiormente sottolineata l'esigenza che non vi sia collegamento
alcuno tra il fatto di bancarotta e il terzo.

Per quanto concerne i reati del terzo commessi durante la procedura di fallimento, è necessario
provare che il terzo era consapevole dello stato di dissesto dell'imprenditore.

In tutti i casi è sufficiente il dolo generico; le finalità perseguite dall'agente sono in genere
irrilevanti, salvo che la particolarità del fine perseguito sia elemento costitutivo di un reato
diverso, e questo reato offenda un bene giuridico distinto da quello caratteristico dei reati
fallimentari; la finalità perseguita dall'agente può rendere inapplicabile l'art. 232 l. fall. se si tratta
dell'elemento soggettivo tipico del favoreggiamento.

(22) Queste precisazioni e distinzioni sono con tenute particolarmente in alcune sentenze della
Corte suprema. V. per esempio: Cass. 14 maggio 1962, in Giust. pen., 1962, II, 726.

(23) In questo senso, tra gli altri, AZZOLINA, op. cit., 1208. Ritengono, invece, irrilevante la
mancanza dell'inciso «fuori dei casi di concorso»: Cass. 27 dicembre 1961, in Giust. pen., 1963,
II, 483; Cass. 22 gennaio 1964, in Cass. pen. mass., 1965, 112.

14. Reati contro l'interesse alla conservazione e alla veridicità della prova.

Sotto questo titolo comprendiamo la bancarotta documentale semplice e fraudolenta degli


imprenditori individuali e delle persone preposte alle società commerciali (art. 216 e 223 l. fall.) e
inoltre le ipotesi di falso previste dall'art. 220 e dall'art. 232 comma 1 l. fall.

Anche questi reati, in quanto da noi considerati come reati contro l'amministrazione della giustizia,
hanno per presupposto quanto meno lo stato di insolvenza dell'imprenditore: ove si abbia solo
insolvenza avremo reati documentali prefallimentari condizionati per la punibilità alla
dichiarazione di fallimento; ove il fallimento sia già stato dichiarato, avremo reati documentali
fallimentari in senso stretto.

15. La bancarotta fraudolenta documentale: l'elemento oggettivo. A) I libri e le scritture contabili


tutelati. B) La sottrazione. C) La falsificazione. D) Esposizione o riconoscimento di passività
inesistenti. E) Tenuta caotica dei libri e delle scritture contabili.

L'art. 216 comma 1 n. 2 prevede come bancarotta fraudolenta il fatto di chi «ha sottratto, distrutto
o falsificato in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di
recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non
rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari».

Il n. 1 dell'art. 216 prevede invece l'esposizione o il riconoscimento di passività inesistenti, allo


scopo di recare pregiudizio ai creditori.

Il comma 2 prevede il fatto dell'imprenditore, già dichiarato fallito, che sottrae, distrugge o
falsifica i libri o le altre scritture contabili.

L'art. 223 comma 1 rende applicabili le stesse disposizioni agli amministratori, direttori generali,
sindaci e liquidatori delle società commerciali.

Problemi che, dal punto di vista della fattispecie oggettiva, si pongono, di tutta evidenza essendo il
concetto di distruzione, sono quelli concernenti il concetto di sottrazione, di falsificazione, di
esposizione di passività menzognere e di tenuta caotica dei libri e delle scritture contabili.

Preliminare comune a tutte le ipotesi la soluzione del problema relativo al concetto di libri e
scritture contabili nella prospettiva della bancarotta fraudolenta.

A) L'imprenditore, persona fisica o società, è obbligato a tenere un certo numero di libri, di


scritture contabili, di corrispondenza. Si richiamano a questo proposito gli art. 2114, 2220, 2302,
2421, 2490 c.c.

I libri e le scritture hanno finalità processuali (prova precostituita nell'eventualità di un processo) e


finalità sostanziali (tutela degli interessi di determinate categorie di soggetti).

Tra i documenti fondamentali dell'imprenditore anche ai fini della responsabilità penale, un posto
a sé occupa il bilancio. Come vedremo a suo tempo, esso ha una importanza particolare nel diritto
penale delle società commerciali, che ne tutela in modo specifico la veridicità attraverso l'art. 2621
c.c.

Ai fini, comunque, della bancarotta fraudolenta documentale, non si deve fare unicamente
riferimento ai libri e alle altre scritture contabili prescritte dal codice civile, e si debbono prendere
invece in considerazione anche le scritture facoltative: tutte le scritture contabili che hanno
carattere di definitività (nel senso che non siano superate da rifacimenti successivi, che tolgano
loro valore), possono essere rilevanti ai fini della prova in sede fallimentare, e quindi possono
divenire oggetto di falsificazione punibile. L'elemento decisivo è rappresentato dalla loro efficacia
probatoria per la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito.

B) Quello di sottrazione è un concetto relativo. Esso implica un soggetto cui la cosa viene
sottratta: tale soggetto è l'organo fallimentare. La sottrazione può attuarsi mediante qualsiasi atto,
diverso dalla distruzione, con il quale l'imprenditore, insolvente o fallito, toglie all'organo
fallimentare la possibilità di acquisire i libri e le scritture contabili.

C) La falsificazione comprende ogni dolosa sostituzione di una documentazione artefatta a quella


originaria: si tratta, cioè, di un falso predisposto a fini particolari nell'imminenza della procedura
fallimentare o nel corso della stessa.

Appartengono alla fattispecie sia le falsità materiali, sia le falsità ideologiche, in quanto entrambe
possono costituire strumenti idonei per quella alterazione della prova documentale che è l'essenza
di questo tipo di bancarotta.

D) L'esposizione o riconoscimento di passività inesistenti, è un tipo di falso ideologico che si


distingue da quello di cui alla lett. C, in quanto non cade sopra le scritture contabili, ma si realizza
attraverso predisposizione di falsi atti o effettuazione di false dichiarazioni, come ad esempio
quelle previste dall'art. 14 l. fall. In sostanza si ha questa fattispecie in tutti i casi in cui, al fine di
sottrarre all'esecuzione fallimentare una certa quota di beni, si cerca di indurre in errore gli organi
fallimentari sull'esistenza di determinate voci passive del patrimonio.

E) Per la tenuta caotica dei libri e delle scritture contabili ci si riferisce all'ultima ipotesi dell'art.
216 n. 2. Sebbene l'impossibilità della ricostruzione possa aversi anche quando la contabilità
manchi del tutto, questa ultima è un'ipotesi di bancarotta semplice: per la bancarotta fraudolenta
occorre che vi sia una serie di falsi, di alterazioni, di manomissioni commesse e di lacune lasciate,
al fine di rendere impossibile il soddisfacimento dei creditori secondo le norme della procedura
fallimentare. Si tratta, in fondo, di un falso globale, di cui i singoli elementi possono essere falsi
materiali e falsi ideologici, ma il cui risultato non è tanto quello di dare un quadro erroneo, quanto
di non permettere la formazione di nessun quadro riassuntivo.

16. La bancarotta semplice documentale. L'elemento oggettivo.

È prevista dall'art. 217 comma 2 l. fall. che dispone: «La stessa pena si applica ai fallito che,
durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall'inizio dell'impresa, se
questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla
legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta».

La legge si riferisce ai libri e alle scritture contabili obbligatorie: questo è un primo e


fondamentale elemento di differenziazione rispetto alla bancarotta fraudolenta. Un altro elemento
di differenziazione è rappresentato dal fatto che si tratta di un reato non connesso necessariamente
con lo stato di insolvenza: tanto vero che la legge sancisce penalmente l'inadempimento
dell'obbligo relativo fino a tre anni prima della dichiarazione di fallimento; ma l'inquadramento da
noi dato tra i reati contro l'amministrazione della giustizia è giustificato dal fatto che i libri e le
scritture contabili sono già concepiti come mezzi di documentazione processuale.

L'omessa tenuta si traduce nella mancanza assoluta di tutti o di parte dei libri e delle scritture
contabili; l'incompleta tenuta si ha allorquando i libri e le scritture sono stati tenuti ma presentano
intermittenti lacune; si ha, infine, irregolarità quando, pur essendo segnate tutte le operazioni, la
contabilità è tenuta con sistemi diversi da quelli prescritti dalla legge.

L'obbligo incombe sull'imprenditore individuale o sugli amministratori delle società; peraltro deve
trattarsi di imprenditori che per legge abbiano l'obbligo di tenere i libri commerciali: devono
essere, pertanto, esclusi i piccoli imprenditori anche se dichiarati erroneamente falliti(24).

(24) Per la giurisprudenza contraria a questa tesi, cfr. supra, nt. 9. Il problema si pone anche da un
punto di vista soggettivo: così CONTI, Fallimento, cit., 1183, e ANTOLISEI, op. cit., 100,
considerato rilevante l'errore di chi si sia considerato piccolo imprenditore e come tale non
vincolato all'obbligo della contabilità. Hanno ritenuto irrilevante un tale errore: Cass. 14 novembre
1960, in Cass. pen. mass., 1961, 54; Cass. 3 agosto 1962, ivi, 1962, 1021.

17. L'elemento soggettivo della bancarotta documentale.


L'argomento dell'elemento soggettivo in tema di bancarotta documentale è meno problematico di
quanto non sia quello della bancarotta patrimoniale. Invero, la bancarotta fraudolenta documentale
è contrassegnata da un dolo specifico espressamente previsto dalla legge.

a) Per la fattispecie di esposizione o riconoscimento di passività inesistenti la legge richiede un


dolo specifico di danno (allo scopo di recare pregiudizio ai creditori): dolo di danno che deve
coinvolgere almeno potenzialmente tutti i creditori.

b) Per le fattispecie di sottrazione, distruzione, falsificazione dei libri e delle scritture è previsto,
alternativamente, un dolo di profitto o un dolo di danno, che possono anche, naturalmente,
coesistere (con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai
creditori).

c) La fattispecie di tenuta caotica dei libri o delle scritture, oltre ad essere contrassegnata dal dolo
specifico di cui alla lettera precedente, è qualificata da un finalismo obbiettivo e subbiettivo di
frode, espresso dalla legge con le parole «in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del
patrimonio o del movimento degli affari».

L'ipotesi della bancarotta semplice documentale è contraddistinta dal dolo generico: per le ragioni
già dette a suo tempo, deve escludersi la configurabilità di una bancarotta documentale colposa.

Un corollario di questa impostazione è la non punibilità dell'imprenditore o dell'amministratore di


società che abbia affidato ad altri la tenuta della contabilità(25).

(25) La giurisprudenza prevalente, considerando la fattispecie sotto il profilo della colpa, è però
orientata in senso contrario: cfr. Cass. 27 aprile 1944, in Giur. compl. cass. pen., 1944, 391. Così
pure CONTI, I reati, cit., 203.

18. Altri reati contro l'interesse alla veridicità delle prove.

L'art. 220 l. fall. recita: «È punito con la reclusione da sei a diciotto mesi il fallito il quale, fuori
dai casi preveduti dall'art. 216, nell'elenco nominativo dei suoi creditori denuncia creditori
inesistenti od omette di dichiarare l'esistenza di altri beni da comprendere nell'inventario, ovvero
non osserva gli obblighi imposti dagli artt. 16 n. 3 e 49.

«Se il fatto è avvenuto per colpa si applica la reclusione fino ad un anno».

Si tratta di un reato proprio del fallito, sussidiario rispetto alla bancarotta fraudolenta documentale:
l'art. 220, infatti, è applicabile qualora l'ipotesi non ricada nell'àmbito dell'art. 216 l. fall.

La differenza fondamentale tra questo reato e quello di bancarotta fraudolenta consiste


nell'elemento soggettivo: qui, invero, è configurato un delitto a dolo generico e un delitto colposo.
Vi sono, però, anche differenze dall'angolo visuale oggettivo. La falsità cade invero nel momento
in cui il fallito è chiamato a fornire l'elenco nominativo dei suoi creditori (denuncia di creditori
inesistenti) o nel momento in cui il curatore invita il fallito, ex art. 87 l. fall., a dichiarare se ha
notizia di altri beni da comprendere nell'inventario (omessa dichiarazione di beni). In secondo
luogo, la dichiarazione di creditori inesistenti può non incidere sulla massa passiva, potendo essere
effettuate delle compensazioni con creditori che non vengono indicati.

Il falso per dichiarazione deve cadere sui nomi dei creditori. Il falso per omissione sui beni nella
loro entità fisica e non sulla loro valutazione.
L'art. 232 comma 1 l. fall. prevede un reato proprio del terzo estraneo ai fallimento che, «fuori dei
casi di concorso in bancarotta, anche per interposta persona, presenta domanda di ammissione al
passivo del fallimento per un credito fraudolentemente simulato». La pena, prevista nella
reclusione da uno a cinque anni, è ridotta alla metà se la domanda è ritirata prima della
verificazione dello stato passivo.

Anche qui si tratta di fattispecie sussidiaria rispetto al concorso in bancarotta; potrà esservi,
tuttavia, ove ne ricorrano tutti gli estremi, responsabilità del terzo ex art. 232 e per concorso col
fallito nel delitto di cui all'art. 220.

Nel delitto di cui all'art. 232, l'accento cade sull'oggettività del credito e non sulla persona del
creditore. Non basta, però, che si tratti di credito inesistente, occorre che esso sia fraudolentemente
simulato. La fraudolenta simulazione deve investire la sostanza del credito e non la forma; non è
sufficiente neppure la semplice dichiarazione mendace di essere creditore, ma occorre la
predisposizione di prove atte a ingannare gli organi fallimentari.

L'avverbio «fraudolentemente» qualifica l'azione dal punto di vista oggettivo.

Altra ipotesi di simulazione a vantaggio di uno o più creditori è prevista - come abbiamo già detto
(v. supra, § 12) - dall'art. 216 comma 3, nel quadro della bancarotta preferenziale: si tratta di
simulazione di titoli di prelazione e quindi di predisposizione di un titolo ideologicamente falso
che documenti il privilegio. Esso suppone che il credito esista, ma che non sia munito di titolo di
prelazione o, comunque, di quel titolo di prelazione. Se, peraltro, l'atto costitutivo del titolo di
prelazione è ipso iure privo di effetto, non può esservi bancarotta preferenziale non potendosi
verificare il danno degli altri creditori; diverso il caso di semplice revocabilità dell'atto.

19. Inosservanza di ordini e provvedimenti del giudice e degli altri organi fallimentari. A)
Violazione degli obblighi imposti dagli art. 16 n. 3 e 49 l. fall. B) Inottemperanze da parte del
curatore. C) Inosservanza della pena accessoria dell'inabilitazione all'esercizio del commercio.
D) Inadempimento di precedente concordato.

Tra i reati contro l'amministrazione della giustizia rientrano anche una serie di fattispecie, in cui
l'oggetto della tutela è quello relativo all'autorità degli organi giurisdizionali e degli altri organi
che presiedono alle procedure concursuali.

Vengono qui in considerazione i reati previsti dall'ultima parte dell'art. 220 (inosservanza di
obblighi da parte del fallito); il delitto previsto dall'art. 230 (omessa consegna o deposito di cose
del fallimento); il delitto previsto dall'art. 234 (esercizio abusivo di attività commerciale); e,
infine, sotto certi aspetti, anche il delitto previsto dallo art. 217 n. 5 (mancato adempimento di
obbligazioni assunte in precedenti concordati). I primi sono reati che attengono all'attività
ordinatoria degli organi concursuali; gli ultimi all'attività decisoria del potere giurisdizionale.

A) L'art. 220 contempla il fatto del fallito il quale «non osserva gli obblighi imposti dagli art. 16 n.
3 e 49».

Gli obblighi sono i seguenti:

a) obbligo di depositare i bilanci e le scritture contabili entro ventiquattro ore dalla sentenza
dichiarativa di fallimento: non distinguendo la legge tra scritture contabili obbligatorie e
facoltative, l'obbligo deve estendersi a tutte le scritture contabili in possesso del fallito; vi potrà
essere concorso coi delitti di bancarotta documentale semplice o fraudolenta, sempre che non
manchino del tutto i libri e le scritture contabili(26); il delitto non potrà, inoltre, configurarsi se il
fallito si trova materialmente nell'impossibilità di conoscere la sentenza dichiarativa di fallimento
o di effettuare il deposito;

b) obbligo di non allontanarsi dalla residenza senza il permesso del giudice delegato: perché il
fatto sia escluso occorre che il permesso, anche se verbale, sia esplicito(27); l'illiceità verrà
naturalmente meno, se l'imprenditore non conosce l'esistenza della sentenza di fallimento e ove sia
configurabile, comunque, una causa di giustificazione;

c) obbligo di obbedire alle chiamate degli organi fallimentari: l'inottemperanza all'ordine di


comparizione si ha in tutti i casi in cui il fallito non si presenti o si presenti in tempo diverso da
quello stabilito, o mandi, senza autorizzazione, un suo rappresentante; l'ordine deve essere
esplicito ma non occorre che sia scritto(28). Il delitto viene meno in caso di «legittimo
impedimento»: constatato il quale, il giudice può autorizzare la comparizione a mezzo di
mandatario. Illegittimo impedimento non è una causa di giustificazione, ma il presupposto
dell'autorizzazione.

In virtù della norma di collegamento dell'art. 226 i precetti contenuti nell'art. 220 si applicano
anche agli amministratori, direttori generali e liquidatori di società dichiarate fallite; in virtù di
altra norma di collegamento, quella dell'art. 227, i precetti stessi si applicano anche agli institori.

B) L'art. 230 prevede, sotto il profilo doloso e sotto il profilo colposo, il fatto del «curatore che
non ottempera all'ordine del giudice di consegnare o depositare somme e altra cosa del fallimento,
che egli detiene a causa del suo ufficio».

Il fatto punito non implica l'appropriazione, ma solo una disobbedienza di carattere formale.
Presupposto del reato è la detenzione, cioè, la disponibilità di fatto, la custodia. L'ordine del
giudice può anche non essere dato nella forma di un decreto purché sia portato in modo idoneo a
conoscenza del curatore; deve trattarsi, inoltre, di un ordine legittimo.

C) L'art. 234 prevede l'inosservanza della pena accessoria dell'inabilitazione all'esercizio del
commercio: si tratta di una inabilitazione che riguarda qualsiasi specie di commercio, e quindi
anche quei commerci per l'esercizio dei quali non occorre una speciale abilitazione, autorizzazione
o licenza dell'autorità: quindi la norma dell'art. 234 l. fall. è integrativa e nello stesso tempo norma
speciale rispetto a quella stabilita dall'art. 389 c.p.

La legge si riferisce a chiunque esercita anche di fatto un'impresa commerciale; non si riferisce,
invece, agli amministratori delle società.

Il delitto è punibile a titolo di dolo generico, il cui presupposto necessario è la conoscenza della
sentenza di condanna, oltre al fatto che la condanna preveda espressamente l'applicazione di
questa pena accessoria(29).

D) L'art. 217 n. 5 l. fall. prevede come bancarotta semplice anche il fatto dell'imprenditore che
«non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o
fallimentare».

Trattasi di reato che lede, non solo l'interesse dei creditori, ma anche l'autorità di una decisione
giudiziaria che quell'obbligo contrattuale ha reso materia di un dispositivo giurisdizionale.

Deve trattarsi di inadempimento (doloso o colposo); e, pertanto, se il fallimento o la riapertura del


fallimento sono intervenuti prima della scadenza dei termini previsti nel concordato, la
disposizione è inapplicabile. L'annullamento del concordato toglie la possibilità di applicare l'art.
217 n. 5; che, invece, è applicabile nel caso di risoluzione: a questo proposito va detto che la
scadenza del termine stabilito dall'art. 137 l. fall. per la risoluzione non impedisce l'esercizio
dell'azione penale per bancarotta semplice.
L'inadempimento può riferirsi alle obbligazioni contratte, anche nel concordato fallimentare,
omologato nel corso della stessa procedura di fallimento, poi riaperta.

(26) La prevalente giurisprudenza è nel senso del concorso tra bancarotta semplice documentale e
omesso deposito di bilancio: v. per questa tesi rigoristica: Cass. 5 aprile 1962, in Giust. pen., 1963,
II, 134; Cass. 22 gennaio 1964, in Cass. pen. mass., 1965, 218.

(27) Non si ha allontanamento dalla residenza nel caso di semplice mutamento di casa nell'àmbito
dello stesso luogo: in senso contrario e per un'interpretazione molto rigoristica v. però Cass. 23
gennaio 1962, in Cass. pen. mass., 1962, 837, che ha ritenuto configurabile il reato allorché il
fallito si allontani dalla sua dimora per trasferirsi in altro luogo della stessa città senza il
preventivo permesso del giudice delegato.

(28) È stato ritenuto che la convocazione possa esser effettuata validamente con qualsiasi mezzo
idoneo a portare a conoscenza del fallito l'esigenza della sua presentazione (ad es. tramite i
congiunti): Cass. 3 marzo 1964, in Cass. pen. mass., 1964, 581,

(29) In senso contrario, CONTI, op. ult. cit., 316.

20. Reati contro l'interesse all'imparzialità degli organi fallimentari. A) Reati del curatore e suoi
coadiutori: a) interesse privato in atti del fallimento; b) accettazione di retribuzione non dovuta.
B) Il mercato di voto.

La legge fallimentare contempla una serie di disposizioni nelle quali sono incriminati taluni fatti
commessi dal fallito, dal curatore e suoi coadiutori o da altre persone, che oggettivamente possono
turbare l'attività degli organi fallimentari, creando i presupposti di parzialità e deviazioni nel
funzionamento degli stessi.

A) Vengono qui in considerazione: a) il delitto di interesse privato in atti del fallimento e b) di


accettazione di retribuzione non dovuta. Si tratta di reati propri del curatore che, in forza dell'art.
231 l. fall., possono essere commessi anche dai coadiutori, cioè dalle persone che lo coadiuvano a'
sensi dell'art. 32 l. fall.

a) È il reato del curatore «che prende interesse privato in qualsiasi atto del fallimento direttamente
o per interposta persona o con atti simulati» (art. 228 l. fall.). La legge considera questa norma
sussidiaria rispetto a quelle del codice penale che prevedono la malversazione, la corruzione e la
concussione: cosicché il concorso di questi reati è escluso in radice. A parte queste singolarità, la
norma è in tutto identica a quella dell'art. 324 c.p.: solo la pena è più grave per il reato previsto
dalla legge speciale.

Prendere interesse a un atto del fallimento significa svolgere un'attività avente un valore causale
rispetto a questo atto, che realizza nella sua obbiettività un interesse privato del curatore: così la
causa dell'atto coincide in tutto o in parte col motivo dell'attività svolta dal curatore(30).

Dovrà considerarsi «atto del fallimento» qualsiasi atto del curatore, del giudice delegato, del
tribunale fallimentare, dell'assemblea o del comitato dei creditori, fino a che questi organi siano in
funzione e, quindi, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza che omologa il concordato,
fino a che il concordato non è eseguito(31).
Se l'atto è assolutamente dovuto - nel senso che deve essere compiuto, e compiuto con quel
determinato contenuto e con quella determinata forma - il reato non può configurarsi.

L'attività illecita può essere compiuta sia direttamente sia per interposta persona sia mediante atti
simulati. La differenza tra le due ultime ipotesi consiste in questo: si avrà atto simulato allorché si
pone in essere un vero e proprio negozio simulato soggettivamente; si avrà, invece, il caso
dell'interposta persona nell'ipotesi di un negozio che sia stipulato in effetti con un terzo, il quale,
peraltro, assume obblighi nei confronti del curatore.

b) È il reato del curatore «che riceve o pattuisce una retribuzione, in danaro o in altra forma, in
aggiunta a quella liquidata in suo favore dal tribunale o dal giudice delegato» (art. 229 l. fall.).

La norma costituisce, per così dire, una difesa avanzata contro la corruzione. Sebbene sembri,
secondo il tenore letterale della norma, che vi debba essere una successione temporale tra la
liquidazione effettuata dal tribunale o dal giudice delegato e l'illecita ricezione o pattuizione,
pensiamo che la ratio della norma sia diversa e intenda colpire qualsiasi ricezione o pattuizione
aggiuntiva, in qualsiasi momento fatta e quindi anche anteriormente alla liquidazione.

Il compenso aggiuntivo deve essere una retribuzione: se si tratta di un rimborso spese il delitto non
è configurabile.

La ricezione o la pattuizione possono avere una qualsiasi causa, purché inerente alla procedura
fallimentare, ed anche essere apparentemente prive di causa; il denaro o l'altra utilità ricevuta,
devono essere corrisposti in funzione dell'attività svolta dal curatore, ma non è necessario che
provengano dalla massa attiva del fallimento. L'utilità pattuita in aggiunta alla retribuzione può
essere di qualsiasi natura, purché si tratti di retribuzione e non di eventuale costituzione di un
diverso rapporto giuridico (per esempio, promessa di impiego o di incarico professionale).

B) L'art. 233 l. fall. dispone: «Il creditore che stipula col fallito o con altri nell'interesse del fallito
vantaggi a proprio favore per dare il suo voto nel concordato o nelle deliberazioni del comitato dei
creditori, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire
quarantamila.

«La somma o le cose ricevute dal curatore sono confiscate.

La stessa pena si applica al fallito o a chi ha contratto col creditore nell'interesse del fallito».

Si tratta di un reato proprio del creditore, che integra una specie particolare di corruzione: il
creditore, infatti, si fa dare o promettere vantaggi indebiti per compiere un atto contrario o
conforme al dovere che egli ha di votare secondo coscienza e nell'interesse comune. A nostro
avviso, si può parlare qui del creditore come pubblico ufficiale.

Il mercato di voto (tenuto conto che gli art. 236 e 237 estendono l'applicabilità della norma alle
deliberazioni dei creditori in sede di concordato preventivo, di amministrazione controllata e di
liquidazione coatta amministrativa) può configurarsi in relazione alle seguenti deliberazioni: a)
deliberazioni del comitato dei creditori previste dall'art. 41 l. fall.; b) deliberazione dell'assemblea
dei creditori per il concordato in sede fallimentare (art. 127 e 128); c) deliberazione dell'assemblea
dei creditori per l'ammissione alla procedura di amministrazione controllata (art. 189); d)
deliberazione dell'assemblea dei creditori per l'ammissione al concordato preventivo (art. 174 ss.);
e) deliberazione del comitato di sorveglianza per la liquidazione coatta amministrativa (art. 198 e
214). Può configurarsi, inoltre, anche al di fuori delle vere e proprie deliberazioni, nei casi in cui il
creditore presta il suo voto mediante l'invio della sua adesione alla proposta di concordato.

L'azione incriminata è la stipulazione di vantaggi a proprio favore. I vantaggi non costituiscono, in


sé e per sé, un profitto illecito; ma detti vantaggi diventano illeciti, in quanto stipulati come
controprestazione di un voto che, invece, dovrebbe esser libero e incondizionato(32). La
stipulazione, naturalmente, è nulla, in quanto fondata su causa illecita.

Il momento consumativo del reato è chiaramente indicato dal dolo specifico, che, nello stesso
tempo, costituisce la causa dell'illecita pattuizione: la stipulazione, cioè, deve avvenire prima del
voto. Nell'ipotesi della procedura fallimentare è necessario, però, che la stipulazione sia successiva
alla dichiarazione di fallimento: la legge, infatti, parla di vantaggi stipulati col fallito. Non è
necessario che la delibera sia stata effettivamente presa; né che la deliberazione presa sia
sostanzialmente dannosa: si tratta, invero, di un reato di mero pericolo.

Nel reato proprio del creditore possono concorrere anche gli estranei: tuttavia, per quanto concerne
il fallito e chi ha contrattato col creditore, vi è una forma autonoma di responsabilità ex art. 233
comma ult. l. fall.

(30) Rigorosa la giurisprudenza, ritiene sufficiente un interesse privato con mera possibilità di
contrasto, anche se in effetti non vi è. Cfr. Cass. 16 febbraio 1962, in Cass. pen. mass., 1962, 720.

(31) Ciò discende direttamente dall'art. 136 l. fall.

(32) Cfr. sul punto: Cass. 14 gennaio 1946, in Giur. it., 1946, I, 1, 166.

21. I reati contro la pubblica economia. A) I reati dell'art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. B) La
causazione dolosa o colposa del fallimento: a) la causazione dolosa del fallimento; b) la
causazione colposa del fallimento.

Come abbiamo detto (v. supra, § 4), tra i reati fallimentari ve ne sono alcuni che si classificano tra
i reati contro la pubblica economia anziché contro l'amministrazione della giustizia, in quanto, pur
essendovi la condizione di maggior punibilità del fallimento, essi non appaiono necessariamente
collegati né oggettivamente, né soggettivamente con lo stato di insolvenza: si tratta, in modo
particolare, dei reati previsti dall'art. 223 comma 2 n. 1 e 2 l. fall. che ledono contemporaneamente
l'interesse della società, dei soci e dei creditori, interessi che, considerati nel loro complesso,
trascendono il campo del patrimonio individuale.

Distinguiamo due categorie: i reati in cui il fallimento è condizione di maggior punibilità e i reati
in cui il fallimento costituisce l'evento dell'azione criminosa. Elemento comune alle due categorie
è il soggetto attivo del reato: si tratta invero di reati propri degli amministratori, direttori generali,
sindaci e liquidatori delle società commerciali.

A) In forza dell'art. 223 comma 2 n. 1 l. fall. sono puniti con la stessa pena della bancarotta
fraudolenta gli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società fallite i quali
hanno commesso alcuno dei fatti preveduti dagli art. 2621, 2622, 2623, 2628, 2630 comma 1 c.c.

Si tratta di fatti già punibili a norma degli articoli richiamati del codice civile e che, in connessione
col fallimento, vengono puniti più severamente. Essi appartengono alla categoria delle frodi (falsi
e manovre fraudolente) o alla categoria delle violazioni più gravi degli obblighi incombenti alle
persone preposte all'amministrazione e al controllo delle società, a tutela degli interessi
convergenti intorno alle società stesse.

La natura e l'oggetto di questa trattazione che concerne essenzialmente i reati fallimentari, non ci
consente di dedicare una particolare indagine a questi reati: ci limitiamo pertanto ad alcune note
fondamentali.

Tra i reati di frode, devono segnalarsi: il delitto di false comunicazioni sociali (art. 2621 n. 1 c.c.);
le manovre fraudolente sui titoli societari (art. 2628 c.c.); il delitto di formazione fraudolenta di
maggioranza (art. 2630 comma 1 n. 3 c.c.).

Il falso in comunicazioni sociali, di cui il falso in bilanci costituisce l'esempio più classico, si
identifica in un falso ideologico che il più delle volte incide sulle scritture contabili: e che,
pertanto, essendo stato commesso «fraudolentemente», e cioè con dolo di danno o di profitto
ingiusto, sarebbe già punibile, se commesso durante il periodo di insolvenza, come bancarotta
fraudolenta documentale.

Il delitto dell'art. 2628 c.c. costituisce un delitto speciale di aggiotaggio, che si distingue da quello
dell'art. 501 c.p. per i soggetti attivi del reato e per l'assenza del dolo specifico.

Il delitto dell'art. 2630 comma 1 n. 1 c.c., consiste nell'alterazione fraudolenta del legittimo
processo di formazione della volontà sociale.

Nella categoria delle violazioni degli obblighi degli amministratori, sindaci, ecc., che si traducono
o si possono tradurre in un danno patrimoniale per la società o per gli altri soggetti tutelati,
segnaliamo:

a) la riscossione o pagamento di utili fittizi o non distribuibili, in mancanza di bilancio, o in


difformità da esso o in base a un bilancio falso (art. 2621 n. 2 c.c.);

b) la divulgazione e utilizzazione di notizie sociali riservate a profitto proprio o altrui;

c) la riduzione di capitale e la fusione con altra società in violazione degli art. 2306, 2445 e 2503
c.c. (art. 2623 n. 1 c.c.);

d) l'indebita restituzione ai soci di conferimenti o l'indebita liberazione dall'obbligo di eseguirli


(2623 n. 2 c.c.);

e) l'impedito controllo sociale ai sindaci e ai soci (art. 2623 n. 3 c.c.);

f) l'emissione di azioni e attribuzione di quote per somma minore del valore nominale o prima
dell'intera liberazione di quelle emesse in precedenza (art. 2630 comma 1 n. 1 c.c.);

g) l'acquisto di azioni o quote da parte della società e l'utilizzazione delle medesime in violazione
degli art. 2357, 2358, 2483 e 2522 c.c. (art. 2630 comma 1 n. 2 c.c.);

h) l'acquisto di azioni da parte di società controllate e la costituzione o l'aumento di capitale


mediante sottoscrizione reciproca di azioni, in violazione delle norme di cui agli art. 2359 e 2360
c.c. (art. 2630 comma 1 n. 2 c.c.).

B) L'art. 223 comma 2 n. 2 l. fall. dice che le pene della bancarotta fraudolenta si applicano agli
amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori che «hanno cagionato con dolo o per effetto
di operazioni dolose il fallimento della società».

L'art. 224 n. 2 l. fall. dice, a sua volta, che le pene della bancarotta semplice si applicano agli
amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori che «hanno concorso a cagionare od
aggravare il dissesto con inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge».

Queste due fattispecie sono collegate da un elemento comune che, nello stesso tempo, le distingue
dalle altre fattispecie penali concursuali: il dissesto, l'insolvenza, e quindi il fallimento, non sono
presupposto o condizione oggettiva di punibilità, ma evento del reato.

a) La causazione dolosa del fallimento comprende due ipotesi. Dal punto di vista oggettivo non vi
è differenza sostanziale tra le due fattispecie previste dall'art. 223 comma 2 n. 2; vi è differenza,
invece, dal punto di vista soggettivo: nella prima, il fallimento entra nel fuoco della volontà; nella
seconda, il fallimento è solo l'effetto, dal punto di vista della causalità materiale, di una condotta
volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare.

La condotta intenzionale diretta a causare il dissesto fallimentare consiste nel compimento


volontario di un atto o di una serie di atti idonei a produrre il dissesto, con la coscienza e la
volontà di determinarlo. Qualsiasi atto, purché causale rispetto al fallimento, può venire in
considerazione: negozi giuridici, comportamenti materiali.

Invece, nella seconda ipotesi, si richiede un'operazione: che è concetto più ristretto di quello di
comportamento. Per sua natura, l'operazione ha un contenuto patrimoniale: è un atto o una serie di
atti che implicano una disposizione patrimoniale.

L'operazione dev'essere «dolosa»; per «operazione dolosa» intendiamo qualsiasi atto o complesso
di atti, implicanti una disposizione patrimoniale, compiuti dalle persone preposte
all'amministrazione della società, con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alla loro
qualità, con l'intenzione di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, a danno della società o
dei creditori, o anche con la sola intenzione di arrecare un danno alla società o ai creditori.

In sostanza, il termine «doloso» si riferisce al fine, al risultato dell'operazione, non all'operazione


in sé e per sé: un dolo specifico di profitto e di danno, un'intenzione antigiuridica(33).

Come tale, l'operazione può già costituire di per sé reato o essere indifferente dal punto di vista
penale. L'illecito, comunque, consisterà essenzialmente nella lesione dell'interesse sociale e dei
diritti dei creditori: tra quell'interesse e questi diritti potrà esservi coincidenza o, invece, conflitto;
fino al punto di rottura, per cui il fallimento realizzi l'interesse sociale con la rovina dei creditori.

L'amministratore ha due fondamentali doveri: la tutela della società e la tutela dei creditori.

Nei confronti della società l'amministratore ha essenzialmente un obbligo di fedeltà: ogni


violazione di questo obbligo può integrare, ove ne sussistano le altre condizioni, un'operazione
dolosa ex art. 223 l. fall.: così il danneggiamento cosciente della società nella situazione di cui
all'art. 2391 c.c.; la violazione del divieto di concorrenza; la violazione del divieto di cui all'art.
2624 c.c.; la sistematica malversazione a fini di indebita appropriazione; e ogni operazione in cui
l'amministratore impegna a suo vantaggio diretto o indiretto il patrimonio sociale.

Nei confronti dei creditori sociali, gli amministratori hanno l'obbligo sancito dall'art. 2394 c.c.:
essi, e le altre persone ad essi equiparate, non devono creare dolosamente una situazione
economico-finanziaria tale da rendere necessario il fallimento né provocare dolosamente un
fallimento non necessario (e questo anche se, in ipotesi estreme, il fallimento non necessario fosse
utile alla società).

Tra le operazioni dolose e il fallimento vi deve essere un nesso di causalità materiale. Dovranno
considerarsi come causa del dissesto, e cioè dell'incapacità organica dell'impresa a far fronte ai
suoi impegni, tutte quelle operazioni che abbiano avuto, come risultato necessario, conforme alla
loro natura, uno dei seguenti effetti: aumento dei debiti della società con particolare riguardo a
quelli con garanzia reale; perdita di possibilità di lavorazione e di collocamento delle merci;
alienazione senza reintegro di elementi del patrimonio sociale; riduzione di fondi di
ammortamento, di rinnovamento e di copertura contro il rischio di svalutazione dei beni; riduzione
illegale del capitale sociale.
Se, in conseguenza di questi effetti delle operazioni, la società è fallita, il reato è perfetto nei suoi
estremi.

Dal punto di vista soggettivo, mentre la prima ipotesi è caratterizzata da un dolo diretto di evento,
nella seconda ipotesi abbiamo un dolo di condotta cui si ricollega un risultato che può essere non
voluto direttamente: ci sembra, però, inerente alla ratio della norma la configurazione di un dolo
eventuale.

b) Della norma dell'art. 224 n. 2 che prevede il fatto degli amministratori, direttori generali,
sindaci e liquidatori che hanno concorso a cagionare o ad aggravare il dissesto della società con
inosservanza degli obblighi ad essi imposti dalla legge, abbiamo già detto sotto il profilo
dell'aggravamento del dissesto (v. supra, § 10): qui ce ne occupiamo sotto il profilo della
determinazione del dissesto.

Circa l'elemento oggettivo di questa fattispecie, si può osservare quanto segue.

Anzitutto la condotta consiste in una inosservanza di obblighi, e non già in un'operazione dolosa, e
cioè diretta in modo intenzionale a cagionare un danno o un profitto illecito; in secondo luogo la
condotta incriminata è concausa e non causa esclusiva del dissesto. Quanto all'elemento
soggettivo, l'inosservanza degli obblighi può essere volontaria, ma non deve essere voluto il
dissesto come conseguenza di questa inosservanza; talché può dirsi che il dissesto, e il
conseguente fallimento, è un evento non voluto e si ricollega alla condotta nel quadro di una
responsabilità colposa.

Un esempio tipico può essere dato dal consigliere di amministrazione della società che si
disinteressa della gestione sociale, lasciando che altri faccia liberamente e senza controllo.

(33) Nel senso che occorra sempre il fine di danneggiare la società e i creditori: CONTI, op. ult.
cit., 163.

22. Reati contro il patrimonio.

Nell'àmbito dei reati fallimentari solo il ricorso abusivo al credito (art. 218 l. fall.) può essere
classificato come reato contro il patrimonio: esso consiste in una sottospecie di truffa a danno di
persone che non appartengono alla massa dei creditori preesistenti.

L'art. 218 dispone: «Salvo che il fatto costituisca un reato più grave, è punito con la reclusione
fino a due anni l'imprenditore esercente un'attività commerciale che ricorre o continua a ricorrere
al credito, dissimulando il proprio dissesto».

Non è prevista la condizione di punibilità del fallimento: condizione che viceversa è


espressamente contemplata nella fattispecie analoga dell'art. 225 e si riferisce al ricorso abusivo al
credito degli amministratori e direttori generali della società. A nostro avviso la differente
disciplina non è casuale e bisogna prenderne atto(34).

Il ricorso abusivo al credito presenta analogie con l'insolvenza fraudolenta, prevista dall'art. 641
c.p. Se ne differenzia tuttavia per i seguenti elementi:

a) non si richiede il proposito di non adempiere l'obbligazione;

b) non si richiede che l'obbligazione non venga adempiuta;


c) nell'art. 218 l. fall. si prende in considerazione essenzialmente il fatto dell'imprenditore
commerciale che consegue utilità in merci o in denaro, attraverso negozi di compravendita, di
mutuo o di finanziamento, contro fiducia, mentre nell'art. 641 c.p. si ha riguardo all'assunzione di
una qualsiasi obbligazione;

d) mentre il delitto dell'art. 641 c.p. può essere commesso da chiunque, il delitto dell'art. 218 l.
fall. può essere commesso solamente dall'imprenditore commerciale.

Da quanto sopra emerge che in taluni casi potrà aversi concorso tra i due reati: a ciò non osta, a
nostro avviso, la riserva del reato più grave fatta nell'art. 218 l. fall., in quanto, se è vero che il
reato dell'art. 641 è punito più gravemente, è anche vero che esso è punito a querela di parte e che
non vi è coincidenza di fatti integrale, ma solamente parziale.

La dissimulazione del dissesto o dell'insolvenza consiste in un comportamento diretto a


mascherare sotto un'apparenza di normalità, lo stato di dissesto. Deve, però, trattarsi di un
comportamento positivo, non del semplice silenzio che non dice nulla e quindi non dissimula(35).

(34) In senso contrario, e cioè per il condizionamento della punibilità alla dichiarazione di
fallimento (oltre che per la configurabilità del delitto anche nei confronti dell'imprenditore fallito):
Cass. 22 dicembre 1961, in Cass. pen. mass., 1962, 485; Cass. 20 novembre 1963, ivi, 1964, 367;
nel senso del testo: Cass. 22 giugno 1961, ivi, 1961, 786; Cass. 30 giugno 1958, in Giust. pen.,
1959, II, 167. La dottrina è divisa: l'Angeloni, il De Semo, il Punzo sono nel senso del testo;
l'Antolisei, l'Azzolina, il Conti, il Greco e il Provinciali sostengono la tesi contraria.

(35) Nel senso che per la dissimulazione possa aver rilevanza anche il silenzio: Cass. 23 giugno
1958, in Giust. pen., 1959, II, 205; Cass. 13 marzo 1962, in Cass. pen. mass., 1962, 838; nello
stesso senso: PROVINCIALI, op. cit., 2168.

23. Le circostanze.

Ai reati fallimentari si possono applicare, nei limiti della rispondenza logica, tutte le circostanze
aggravanti e attenuanti, previste nella parte generale del codice penale. Inoltre, l'art. 219 l. fall.
prevede una serie di circostanze aggravanti e attenuanti speciali; altre circostanze riferibili a
singoli reati sono previste dall'art. 221, dall'art. 229 e dall'art. 232.

L'art. 219 prevede, anzitutto, l'aggravante e l'attenuante del danno patrimoniale, di rilevante
gravità o di speciale tenuità; ove ricorra l'aggravante si ha l'aumento della pena fino a metà; ove
ricorra l'attenuante, le pene sono ridotte fino al terzo.

L'art. 219 configura le circostanze di cui sopra solo con riferimento ai fatti previsti dagli art. 216,
217, 218: riteniamo tuttavia che vi possano rientrare anche le ipotesi di cui agli art. 223, 224 e 225,
che richiamano espressamente le pene stabilite dagli art. 216, 217 e 218.

Quanto alla fattispecie delle due circostanze, esse si identificano con quelle previste
rispettivamente dall'art. 61 n. 7 e 62 n. 4 c.p., alle quali pertanto va fatto riferimento(36).

Un'altra aggravante di carattere generale è prevista dall'art. 219 comma 2 n. 2, per il caso in cui «il
colpevole per divieto di legge non potesse esercitare una impresa commerciale».

I divieti di esercitare un'impresa commerciale hanno il loro fondamento o in una situazione di


incompatibilità o in uno stato di incapacità. Considerato che per l'incapacità derivante da condanna
penale è previsto un reato speciale (art. 234 l. fall), e che per i casi di incapacità derivanti da età
minore, interdizione, inabilitazione, sarebbe assurdo prevedere un'aggravante, mentre può venire
meno, addirittura, l'imputabilità: riteniamo che la circostanza si applichi solo alle situazioni di
incompatibilità, derivanti da talune professioni o da taluni impieghi.

L'art. 219, infine, prevede un aumento di pena «se il colpevole ha commesso più fatti tra quelli
previsti negli art. 216, 217, 218». A nostro avviso, peraltro, non si tratta di una vera e propria
circostanza, ma di una norma volta a disciplinare, temperandone le conseguenze più severe, la
materia del concorso di reati (su ciò v. infra, § 24).

L'art. 221 contempla un'altra circostanza attenuante speciale dettando la seguente norma: «Se al
fallimento si applica il procedimento sommario le pene previste in questo capo sono ridotte di un
terzo».

Ci si riferisce al procedimento sommario previsto dall'art. 155 l. fall. Poiché tale procedimento
viene in considerazione sia per l'imprenditore individuale sia per le società, riteniamo che
l'attenuante sia estensibile per analogia anche ai fatti previsti dagli art. 223 ss. Riteniamo anche
che essa sia applicabile nei casi in cui in sede civile sono state accertate passività nei limiti dell'art.
155, ma per errore non si è fatto luogo al procedimento sommario.

L'art. 232 l. fall. prevede una circostanza aggravante e una circostanza attenuante.

L'aggravante concerne la ricettazione pre e postfallimentare: la pena è aumentata quando soggetto


attivo del reato è un «imprenditore che eserciti un'attività commerciale». Il caso riguarda anche
l'ipotesi dell'imprenditore abusivo: basta l'esercizio di fatto di un'attività commerciale.

Un'attenuante speciale è prevista nel secondo comma dell'art. 232: in esso è detto che «Se la
domanda è ritirata prima della verificazione dello stato passivo, la pena è ridotta alla metà». Per
fruire dell'attenuante occorre ritirare la domanda prima che essa venga in discussione nelle
adunanze di cui al combinato disposto degli art. 16 n. 5 e 96 l. fall.

L'art. 229 detta all'ultimo comma: «nei casi più gravi alla condanna può aggiungersi
l'inabilitazione temporanea all'ufficio di amministratore per la durata non inferiore a due anni»: è
una circostanza aggravante speciale del delitto di accettazione di retribuzione non dovuta da parte
del curatore.

La singolarità consiste nel fatto che l'aggravamento di responsabilità porta all'applicazione di una
pena accessoria: e inoltre nel fatto che si tratta di un'aggravante indeterminata o generica rimessa
ad una valutazione discrezionale del giudice.

(36) È stato ritenuto che il danno sia da rapportare alla differenza tra la percentuale percepita e
quanto il creditore avrebbe percepito senza il fallimento. Cfr.: Cass. 20 novembre 1960, in Riv.
pen., 1961, II, 986; Cass. 22 novembre 1962, in Cass. pen. mass., 1963, 218. Il concetto è stato
riferito anche alla bancarotta semplice documentale.

24. Il concorso di reati.

In materia di concorso di reati esistono problemi comuni a tutti gli altri reati e problemi specifici
della materia fallimentare. Ci occuperemo, ovviamente, di questi ultimi.

Due elementi caratteristici dominano, da questo angolo di visuale, il diritto penale fallimentare: il
primo è rappresentato dalla formulazione delle fattispecie, che presentano numerose ipotesi in
rapporto di alternatività formale (per esempio, le varie ipotesi dell'art. 216 n. 1) e in rapporto di
alternatività sostanziale (per esempio, bancarotta patrimoniale e bancarotta documentale); il
secondo è rappresentato dalla regola dell'art. 219, secondo la quale «se il colpevole ha commesso
più fatti» tra quelli previsti negli art. 216, 217 e 218, le pene sono aumentate.

A nostro avviso, perché non si faccia luogo a concorso di reati, è necessario che vi sia una
alternatività di modi e non di fattispecie: nel senso cioè che le diverse azioni descritte dalla legge
appaiano come estrinsecazione di un unico fatto fondamentale: quindi vi è concorso materiale tra
bancarotta documentale e bancarotta patrimoniale, sia essa semplice o fraudolenta; come vi può
essere concorso materiale tra le varie ipotesi di bancarotta fraudolenta dell'art. 223 n. 1(37).

La gravità, in termini di pena, di questa conclusione è attenuata dalla norma dell'art. 219, già
citata, che deve considerarsi come derogatrice alla regola fondamentale del cumulo materiale delle
pene: essa si riferisce, ovviamente, a tutte le ipotesi in cui l'agente si è reso responsabile di più
fatti, ciascuno dei quali sarebbe punibile in modo autonomo: e quindi anche ai casi di alternatività
sostanziale, nell'àmbito della stessa disposizione di legge.

Trattandosi di norma in bonam partem, e in considerazione del fatto che nell'art. 223 sono
richiamate le pene dell'art. 216, riteniamo che la norma dell'art. 219, che attiene appunto alla
commisurazione delle pene, possa estendersi per analogia anche a tutte le fattispecie dell'art. 223.

L'applicazione dell'art. 219 esclude, a nostro avviso, nell'àmbito di efficacia sua propria,
l'applicabilità dell'art. 81 comma 2 c.p. sul reato continuato.

Per tutti gli altri reati fallimentari valgono le regole normali sul concorso.

Per quanto concerne il concorso di reati fallimentari con reati comuni, non esistono problemi
particolari. Ci limitiamo semplicemente a segnalare che, a nostro avviso, non potrà mai aversi
concorso tra un reato contro il patrimonio, mediante il quale un bene sia entrato solo di fatto nella
disponibilità dell'imprenditore, e il reato di bancarotta patrimoniale: invero, presupposto
inderogabile della bancarotta è l'appartenenza in senso giuridico dei beni all'imprenditore,
cosicché essi debbano essere tenuti a disposizione di tutti i creditori(38).

(37) Il principio è riconosciuto, in linea di massima, dalla giurisprudenza. V. per es. in tema di art.
220, Cass. 4 aprile 1963, in Cass. pen. mass., 1963, 435 (concorso tra omesso deposito di bilancio
e allontanamento dalla residenza). La stessa decisione ha ritenuto il concorso tra il delitto dell'art.
220 e la bancarotta semplice.

È stato anche ritenuto il concorso tra bancarotta fraudolenta documentale (tenuta caotica di
contabilità) e bancarotta semplice documentale (omessa o irregolare tenuta di contabilità): Cass.
26 gennaio 1962, ivi, 1962, 585.

(38) La giurisprudenza è in senso contrario. Cfr. per tutte: Cass. 10 novembre 1962, in Cass. pen.
mass., 6193, 371.

25. La compartecipazione criminosa.

I reati concursuali possono dividersi, dal punto di vista del soggetto attivo del reato, in reati propri
e in reati comuni; tra i reati propri si distinguono i reati a condotta unilaterale e i reati a condotta
bilaterale.
Il problema del concorso nei reati propri si risolve sulla base dell'art. 110 e dell'art. 117 c.p.

Per quanto concerne i reati a condotta unilaterale il vero problema è quello della
compartecipazione nei reati propri condizionati: può il non imprenditore concorrere, correndo un
rischio penale, in un fatto che non costituisce ancora reato? In astratto è possibile, in concreto non
è sempre facile dimostrare che nel terzo vi è la coscienza e la volontà di aiutare l'imprenditore a
frustrare la legittima destinazione dei beni con la consapevolezza dell'insolvenza dell'imprenditore.
In altre parole, quel finalismo psichico che non è necessario provare per l'autore del reato, in
quanto implicito, data l'univocità dell'azione nel dolo generico, diviene elemento essenziale come
base della compartecipazione criminosa.

Come esempi di reati propri unilaterali con concorso eventuale di terzi, possono valere le
fattispecie dell'art. 216 n. 2 e 217 n. 5.

Tra i reati a condotta necessariamente bilaterale, vengono in considerazione quelli in cui il


cosiddetto compartecipe necessario non sia la parte lesa del reato (art. 218) o non sia un soggetto
che eserciti, nel compiere l'azione, un proprio diritto (per esempio, il creditore nell'ipotesi di
bancarotta preferenziale): è così un reato a condotta necessariamente bilaterale, quello previsto
dall'art. 229 l. fall. e quello previsto dall'art. 233 l. fall.: nel primo la legge non configura una
responsabilità autonoma del concorrente; nel secondo vi è tale configurazione autonoma.

Tra i reati a condotta eventualmente bilaterale ricordiamo due fattispecie di bancarotta fraudolenta
patrimoniale: la distrazione e la dissipazione. Per queste ipotesi il problema del concorso è
problema di differenziazione dal delitto di ricettazione prefallimentare e postfallimentare previsto
dall'art. 232 comma 3 l. fall. È ovvio che, essendo il fatto materiale del terzo identico, la
distinzione può aver luce solamente dall'elemento soggettivo: elemento soggettivo la cui prova
sarà indubbiamente più facile ove il fatto sia commesso nel corso della procedura fallimentare.

È stato posto, a proposito della responsabilità penale degli amministratori e dei sindaci delle
società in genere e della responsabilità penale dei soci illimitatamente responsabili ex art. 222 l.
fall., il problema dei cosiddetti reati collegiali(39). A nostro avviso se il reato, nella sua fattispecie
legale, non richiede la cooperazione necessaria di più persone, a nulla rileva che, dal punto di vista
civilistico, possa occorrere per il compimento dell'atto incriminato una deliberazione collegiale: si
tratta sempre di un reato individuale nel quale possono concorrere più persone.

(39) Cfr. in argomento: RENDE, Saggio di una teoria del reato collegiale, in Il pensiero giuridico
penale, 1943, 44 ss.

26. Il tentativo.

La figura del tentativo è compatibile con i reati concursuali, nel quadro delle regole generali.
Appunto per questa ragione riteniamo che non vi sia la possibilità di configurare il tentativo nei
reati prefallimentari condizionali: allorché la legge considera illecito un fatto solo se si verifica
una determinata condizione, riferisce evidentemente la condizione a quel fatto nella sua
completezza e non anche al tentativo del fatto medesimo; d'altro lato, il tentativo di un fatto che in
se stesso non costituisce reato, non è concepibile(40).

(40) Nel senso, invece, della configurabilità del tentativo: CONTI, I reati, cit., 226; PUNZO, Il
delitto di bancarotta, Torino, 1953, 275 ss.
27. Le sanzioni.

Nulla di particolare da rilevare in tema di pene principali o di misure di sicurezza: sono quindi
applicabili le regole generali ivi compresa quella dell'adeguamento delle pene pecuniarie,
attraverso la moltiplicazione per quaranta della sanzione prevista nel testo originario del r.d. 16
marzo 1942, n. 267.

Le pene accessorie sono quelle previste dal capo III, tit. II, lb. I c.p. e, inoltre, l'inabilitazione
all'esercizio di un'impresa commerciale, l'incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi
impresa e l'inabilitazione temporanea all'ufficio di amministratore.

Nell'ipotesi di condanna degli amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori trova


applicazione la norma dell'art. 2642 c.c., che ha carattere generale.

L'inabilitazione all'esercizio di un'impresa e l'incapacità a esercitare uffici amministrativi presso


qualsiasi impresa per la durata di dieci anni sono le pene accessorie comminate per la bancarotta
fraudolenta; le stesse pene accessorie, ma per una durata non superiore a due anni, sono
comminate per la bancarotta semplice; le stesse pene accessorie, per una durata non superiore a tre
anni, per il ricorso abusivo al credito.

Là dove la legge non prevede la durata minima della pena accessoria (art. 217 e 218) deve farsi
riferimento al minimo di un mese contemplato dall'art. 30 c.p. per l'interdizione da una professione
o da un'arte, pena accessoria che presenta con quella disciplinata dalla legge speciale profonde
analogie.

Sia nell'art. 216 sia negli art. 217 e 218, la legge fallimentare dice: «salve le pene accessorie di cui
al capo III, titolo II, libro I del codice penale». Il problema è, quindi, di stabilire quali pene
accessorie comuni possano concorrere con le pene accessorie speciali.

Escludiamo, anzitutto, che vi possa essere concorso con l'interdizione da una professione o da
un'arte, di cui all'art. 30 c.p.: e, invero, essa riguarda l'esercizio di quei commerci, per cui è
richiesto uno speciale permesso o una speciale abilitazione, e quindi, rispetto alla pena accessoria
speciale, che reca l'incapacità di esercitare qualsiasi commercio, sta nel rapporto di una parte col
tutto.

Può aversi, invece, concorso con l'interdizione dai pubblici uffici di cui all'art. 29 c.p.: tale
interdizione sarà perpetua nel caso di condanna non inferiore a cinque anni, temporanea e per la
durata di cinque anni qualora la condanna sia inferiore a cinque ma non inferiore a tre anni di
reclusione.

28. Le cause estintive del reato e della pena.

La legge fallimentare prevede una sola causa estintiva del reato: la riabilitazione civile con
riferimento al delitto di bancarotta semplice.

A norma dell'art. 143 l. fall., la riabilitazione può essere concessa al fallito:

a) che ha pagato interamente tutti i crediti ammessi nel fallimento, compresi gli interessi e le
spese;

b) che ha regolarmente adempiuto il concordato, quando il tribunale lo ritiene meritevole del


beneficio, tenuto conto delle cause e circostanze del fallimento, delle condizioni del concordato e
della misura della percentuale. La riabilitazione non può esser concessa se la percentuale stabilita
per i creditori chirografari è inferiore al venticinque per cento, oltre gli interessi se la percentuale
dev'essere pagata in un termine maggiore di sei mesi;

c) che ha dato prove effettive e costanti di buona condotta per un periodo di almeno cinque anni
dalla chiusura del fallimento.

La riabilitazione opera come causa di improcedibilità dell'azione penale cognitiva, se interviene


prima della sentenza di condanna; come causa di improcedibilità dell'azione penale esecutiva, se
interviene successivamente.

Se è in corso il procedimento di riabilitazione civile, il giudice penale non è tenuto a sospendere il


processo, perché, pur trattandosi di una questione di stato, essa non può considerarsi pregiudiziale
in senso tecnico alla definizione del processo penale. Il giudice penale, però, è vincolato dalla
decisione, positiva o negativa, del tribunale.

29. Problemi processuali. A) Esercizio dell'azione penale. B) Il regime della libertà personale. C)
Azione civile e processo penale. D) Competenza.

Alla materia processuale, la legge fallimentare dedica gli art. 238, 239 e 240. Sintetizziamo, qui,
alcune delle questioni che si presentano per l'interpretazione e l'inquadramento sistematico di
questi articoli.

A) L'art. 238 l. fall. recita: «Per i reati previsti negli artt. 216, 217, 223 e 224 l'azione penale è
esercitata dopo la comunicazione della sentenza dichiarativa di fallimento di cui all'art. 17. È
iniziata anche prima nel caso previsto dall'art. 7 e in ogni altro in cui concorrano gravi motivi, e
già esista o sia contemporaneamente presentata domanda per ottenere la dichiarazione suddetta».

Di fronte a questa norma si possono fare le seguenti osservazioni:

a) l'indicazione degli articoli fatta nel primo comma non ha un valore tassativo; in caso contrario
si contraddirebbe la logica stessa strutturale dei reati condizionati, che non sono esclusivamente
quelli di bancarotta;

b) il comma 2 contiene una regola eccezionale in quanto permette l'esercizio dell'azione penale
prima dell'avveramento della condizione di punibilità: pertanto la sua efficacia non può estendersi
oltre i casi in esso stabiliti;

c) i gravi motivi di cui parla il comma 2 dell'art. 238 sono di natura processuale e si riassumono
nel pericolo del ritardo, soprattutto per quanto riguarda la conservazione delle prove: la norma
eccezionale esprime evidentemente un'esigenza di natura cautelare;

d) esclusi i casi in cui eccezionalmente l'azione penale può essere iniziata prima del fallimento,
l'esercizio della medesima è subordinato al fatto che il fallimento sia dichiarato; ma, in tanto la
sentenza dichiarativa può aver rilievo nell'economia del reato, in quanto sia definitiva;

e) un vero e proprio rapporto di pregiudizialità, assimilabile a quello disciplinato dall'art. 19 c.p.p.,


vi è tra l'accertamento dell'insolvenza in sede fallimentare e l'accertamento della responsabilità per
i reati fallimentari condizionati in sede penale(41);

f) da quanto sopra discende che l'azione penale promossa prima della sentenza dichiarativa di
fallimento o dopo la comunicazione della sentenza stessa, deve essere sospesa allorché nei
confronti della dichiarazione di fallimento è promossa opposizione(42);
g) ove il procedimento penale non sia stato sospeso e sia passata in giudicato la sentenza di
condanna per il reato fallimentare non si possono prospettare che due soluzioni: o il procedimento
di revisione fondato su un'accezione più ampia ed impropria del termine «fatto» o una eccezione
in sede esecutiva di mancanza di un titolo valido, dovendo considerarsi ex art. 21 l. fall. come
privo di effetto ogni atto anche giurisdizionale avente il suo presupposto nel fallimento poi
revocato(43); h) ai princìpi dettati in materia di sospensione dell'azione penale, fanno eccezione
alcuni reati in cui il fallimento funziona da presupposto: si tratta di quei reati che presuppongono
la pura e semplice pendenza della procedura in quanto essa, solo per il fatto di esistere, e
indipendentemente dalla definitività della sentenza, crea doveri di carattere formale per i vari
soggetti (per esempio, reati del curatore);

i) il giudicato fallimentare è preclusivo sui seguenti punti: stato di insolvenza dell'imprenditore;


qualità di soggetto passivo della procedura concursuale inerente al soggetto attivo del reato; non è
invece preclusivo in ordine all'accertamento, eventualmente contenuto in sentenza, dei singoli fatti
costituenti reato, sulla base dei quali sia eventualmente ordinata la cattura del fallito.

B) L'art. 239 l. fall. disponeva quanto segue: «Per i reati preveduti negli articoli 216, 222, 223, 227
e 236 in rapporto all'art. 216 primo e secondo comma e nel caso di inosservanza dell'ordine di cui
all'art. 16 n. 3 è obbligatoria la spedizione del mandato di cattura. Negli altri casi il mandato di
cattura è facoltativo».

L'articolo unico l. 18 novembre 1964, n. 1217, ha stabilito: «L'art. 239 del regio decreto 16 marzo
1942 n. 267 è abrogato».

Tutta la problematica che si presentava in materia, specie per i rapporti con le norme generali sulla
libertà provvisoria, viene, quindi, a cadere.

Poiché la l. n. 1217, cit., si limita ad abrogare l'art. 239, e questo faceva riferimento all'art. 16 n. 3
l. fall. (ordine di deposito dei bilanci e scritture contabili), rimane in vigore l'art. 16 comma ult. l.
fall. che dispone: «Con la stessa sentenza o con successivo decreto il Tribunale ordina la cattura
del fallito o degli altri responsabili a carico dei quali sussistono le circostanze indicate nell'art. 7 o
altri indizi di colpevolezza per i reati previsti in questa legge».

Con questa norma viene attribuita al tribunale fallimentare la competenza tipica di un organo che
emette un ordine preliminare di arresto, e cioè del pubblico ministero in fase di primi
accertamenti. La norma non ha necessariamente un carattere cogente: può interpretarsi anche
come descrittiva di una serie di criteri per l'esercizio del potere discrezionale. Tuttavia, anche se
dovesse interpretarsi nel senso di statuizione di un obbligo, essa avrebbe il carattere di statuizione
di un obbligo di arresto preliminare, simile a quello in flagranza e quasi flagranza, e non avrebbe
ancora il carattere di norma disciplinante la materia dei mandati, che sono necessariamente di
competenza dell'autorità giudiziaria penale.

Anche la custodia preventiva segue il destino del processo nel caso di sospensione del
procedimento penale per intervenuta opposizione al fallimento: il mandato di cattura dev'essere
revocato o, quanto meno, sospeso(44).

C) L'art. 240 l. fall. dispone:

«Il curatore, il commissario giudiziale e il commissario liquidatore possono costituirsi parte civile
nel procedimento penale per i reati preveduto nel presente titolo, anche contro il fallito.

I creditori possono costituirsi parte civile nel procedimento penale per bancarotta fraudolenta,
quando manca la costituzione del curatore, del commissario giudiziale o del commissario
liquidatore o quando intendono far valere un titolo di azione propria personale».
Deve chiarirsi, anzitutto, che l'art. 240 ha solo un carattere sussidiario: cioè, fermo restando il
diritto di costituirsi parte civile di ogni danneggiato che non si sia insinuato come creditore nel
fallimento, fermo restando, altresì, il diritto del curatore e dei creditori di costituirsi parte civile in
ogni caso contro le persone diverse dal fallito, imputate di reati concursuali, viene attribuita al
curatore ed eccezionalmente al creditore la facoltà di costituirsi parte civile anche contro il fallito
(45)
.

Da questa premessa e dal testo dell'art. 240 derivano alcune conseguenze:

a) il terzo creditore, che non è parte della procedura fallimentare, può costituirsi parte civile per il
risarcimento di tutti i danni, compresi quelli che si identificano nel mancato pagamento
dell'obbligazione;

b) i creditori insinuati nel fallimento, e per essi il curatore, possono costituirsi parte civile per il
risarcimento del danno, in quanto esperiscano un'azione civile distinta quanto al petitum e alla
causa petendi dalla azione esecutiva concursuale;

c) il curatore che si costituisce parte civile contro il fallito non rappresenta la massa di tutti i
creditori, ma è rappresentante legale di quei creditori, ammessi al passivo del fallimento, che
hanno subìto un danno per i reati concursuali commessi dal fallito: danno distinto da quello del
mancato adempimento dell'obbligazione;

d) la costituzione di parte civile del curatore non può continuare al di là della chiusura del
fallimento;

e) il curatore difetta di legittimazione per quei reati, il cui soggetto passivo è diverso dallo
stato-amministrazione della giustizia o dai creditori;

f) titolo di azione personale, ex art. 240 comma 2, è quel titolo di azione che, pur potendo essere
esercitata dal curatore, non è da lui esercitata in concreto, per ragioni di opportunità, essendo
propria di un solo creditore.

D) La competenza per materia segue le regole ordinarie: vi sono quindi reati di competenza del
pretore (per esempio, bancarotta semplice) e reati di competenza del tribunale (per esempio,
bancarotta fraudolenta).

La competenza per territorio è dell'autorità giudiziaria nella cui circoscrizione è stata emessa la
sentenza dichiarativa di fallimento, allorché il fallimento è condizione di punibilità o evento del
reato. Per gli altri reati (tipici quelli commessi durante la procedura fallimentare) la competenza è
del giudice del luogo in cui il fatto è stato commesso. In ogni caso, in sostanza, è decisivo il
criterio del luogo in cui si è consumata o perfezionata l'offesa dell'interesse tutelato dalla norma(46).

(41) L'orientamento della giurisprudenza è ormai nel senso dell'applicabilità dell'art. 19 c.p.p.
(pregiudiziale assolutamente devolutiva): cfr. le sentenze richiamate supra, nt. 5. Si esclude, però,
in genere, l'impugnabilità delle ordinanze relative: così Cass. 20 giugno 1962, cit., salva
l'ammissibilità del ricorso per cassazione, allorché è stato emesso mandato o ordine di cattura. La
dottrina è pressoché unanime nel senso della sospensione.

(42) Cfr. supra, nt. 41.

(43) Sulla configurabilità di un'ipotesi di revisione, cfr. in dottrina: CARNELUTTI, Un caso


interessante di revisione del processo penale, in Riv. dir. proc., 1962, 469; e in giurisprudenza:
Cass. 29 marzo 1962, in Cass. pen. mass., 1962, 1023.

(44) In questo senso, per tutti cfr. CARNELUTTI, Sospensione del processo penale per
bancarotta e revoca del mandato di cattura contro il fallito, in Riv. dir. proc., 1949, II, 278.

(45) È stata ritenuta infondata l'eccezione di mancata legittimazione all'esercizio dell'azione civile
di un creditore nei confronti del fallito, imputato di bancarotta fraudolenta, con richiamo all'art. 43
l. fall., posto che la legge riconosce la legittimazione dei creditori quando non si è costituito il
curatore: Cass. 16 marzo 1959, in Cass. pen. mass., 1960, 340; Cass. 12 giugno 1964, ivi, 1964,
1007.

(46) Per la giurisprudenza e la dottrina in tema di bancarotta, v. supra, nt. 4.

30. Correlazione con le altre procedure concursuali.

Nel corso di questa trattazione abbiamo avuto occasione di occuparci anche di reati attinenti a
procedure diverse dal fallimento. Ma, prima di concludere, è necessario richiamare due norme che
pongono in correlazione ai fini penali le procedure di concordato preventivo, di amministrazione
controllata, di liquidazione coatta amministrativa con la disciplina penale del fallimento.

L'art. 236 comma 2 l. fall. dispone:

«Nel caso di concordato preventivo o di amministrazione controllata, si applicano:

1) le disposizioni degli articoli 223 e 224 agli amministratori, direttori, sindaci e liquidatori di
società;

2) la disposizione dell'art. 227 agli institori dell'imprenditore;

3) le disposizioni degli articoli 228 e 229 al commissario del concordato preventivo o


dell'amministrazione controllata;

4) le disposizioni degli articoli 232 e 233 ai creditori».

È singolare l'anomalia per cui nel n. 1 non si fa riferimento all'imprenditore individuale. Ciò
premesso, riteniamo che la bancarotta possa in questo caso configurarsi solo durante la procedura
(47)
: manca la condizione di punibilità del fallimento; e inoltre il concordato preventivo presuppone
proprio un pagamento dei debiti, entro limiti contrattuali, cosicché è assurdo farne una condizione
di punibilità; quanto all'amministrazione controllata, manca alla medesima il requisito
dell'insolvenza.

Qualche problema può sollevare anche il richiamo dell'art. 232: vi sono, invero, ipotesi, come
quella di presentazione fraudolenta di domanda di insinuazione al passivo, che non può verificarsi
in tema di amministrazione controllata.

In tema di liquidazione coatta amministrativa, l'art. 237 l. fall. detta:

«Nel caso di liquidazione coatta amministrativa si applicano al commissario liquidatore le


disposizioni degli articoli 228 e 229, ai creditori le disposizioni degli articoli 232 e 233 e
all'imprenditore le disposizioni degli articoli 220 e 226».
Si tratta, pertanto, dei reati di interesse privato, di accettazione di retribuzione non dovuta, di
domande di ammissione di crediti simulati e distrazioni e ricettazioni del terzo, di mercato di voto,
di denuncia di creditori inesistenti e altre inosservanze da parte del fallito e persone equiparate.
Dev'essere, peraltro, rilevato, che, in virtù dell'art. 203 l. fall., qualora sia stato accertato
giudizialmente lo stato di insolvenza dell'impresa soggetta a liquidazione coatta amministrativa,
sono applicabili nei confronti dei soci a responsabilità illimitata, degli amministratori, dei direttori
generali, dei liquidatori e dei componenti degli organi di vigilanza le disposizioni penali degli art.
216, 219 e 223-225. Con che si attua una parificazione completa sul piano delle responsabilità
penali.

(47) Nel senso che possa configurarsi anche il reato condizionato: App. Torino 23 luglio 1955, in
Dir. fall., 1955, II, 424. Nel senso del testo: SATTA, Sull'interpretazione dell'art. 236 legge
fallimentare, in Riv. it. dir. pen., 1952, 593.

FONTI.

Art. 203, 216-241 r.d. 16 marzo 1942, n. 267; art. 2621-2642 c.c.; l. 18 novembre 1964, n. 1217.

LETTERATURA.A) Opere generali sul fallimento nelle quali è contenuta un'ampia trattazione di
diritto penale fallimentare: AZZOLINA, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino,
1961;
BONELLIDel fallimento, in Commentario al Codice di commercio, VIII, pt. III, Milano, s.d.;
DE SEMODiritto fallimentare, Firenze, 1959;
MASÈ DARIBOLAFFIODel fallimento, II, Torino, 1895;
PROVINCIALIManuale di diritto fallimentare, Milano, 1964;
ROCCOIl fallimento, Torino, 1917.
B) Trattati, monografie e studi di diritto penale fallimentare: ANTOLISEI, La bancarotta
fraudolenta, in Riv. it. dir. pen., 1958, 3;
ID.Manuale di diritto penale. Leggi complementari. I reati fallimentari e societari, Milano, 1959;
ANTONIONIAspetti della bancarotta preferenziale, in Arch. pen., 1964, II, 62;
ID.Frode fiscale o bancarotta documentale?, ivi, 189;
ID.Sull'abrogazione dell'art. 239 L. F., ivi, 352;
ASTOLFIRiapertura del fallimento e responsabilità per bancarotta semplice, in Foro it., 1946, II,
13;
AZZALIIn tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, in Riv. dir. comm., 1962, II, 297;
BARAReati fallimentari e sentenza dichiarativa di fallimento, in Mon. trib., 1955, 446;
BATTAGLINI E.Osservazioni sul dolo della bancarotta fraudolenta, in Giust. pen., 1954, II, 113;
BERNIERIPregiudizialità del fallimento nel processo di bancarotta, in Ann. dir. proc. pen., 1941,
55;
BIANCONELLADolo specifico nei reati di bancarotta fraudolenta, in Riv. pen., 1953, II, 116;
ID.La bancarotta fraudolenta, in Riv. it. dir. pen., 1958, 3;
BONELLIAncora in tema di bancarotta fraudolenta, in Criminologia, 1959, 259;
BOSCHILe condizioni obbiettive di punibilità e i reati fallimentari, in Corti Br. V., 1961, 293;
BUONOIl fallimento del «non imprenditore», in Riv. pen., 1961, I, 403;
ID.Se il fallito per debito dell'imposta sull'avocazione dei profitti di regime - che non sia
imprenditore - possa essere soggetto attivo di reati fallimentari, in Crit. pen., 1961, 38;
CAMELIIl reato di abusivo ricorso al credito richiede come estremo necessario la dichiarazione
di fallimento e può essere commesso dal fallito anche durante la procedura concursuale, in Giust.
pen., 1957, II, 322;
CANDIAN A.Della bancarotta, in Riv. dir. comm., 1935, I, 211;
CANINOSulla valutazione del danno ai fini dell'art. 219 L. F., in Giust., pen., 1957, II, 322;
CANDIAN AU.Della bancarotta, in Riv. dir. comm., 1935, I, 211;
CANINOSulla valutazione del danno ai fini dell'art. 219 L. F., in Giust. pen., 1958, II, 188;
CANTAGALLIBrevi note in tema di ricorso abusivo al credito, in Giur. it., 1962, II, 211;
CAPUTOSentenza dichiarativa di fallimento, reati di bancarotta e amnistia, in Foro nap., 1959,
III, 49;
CARABBAReati fallimentari, Firenze, 1955;
CARACCIOLIQuestioni in tema di cosiddetta bancarotta semplice per omessa, irregolare o
incompleta tenuta di libri e scritture contabili, in Riv. it. dir. proc. pen., 1959, 186;
CARNELUTTISospensione del processo penale per bancarotta e revoca del mandato di cattura
contro il fallito, in Riv. dir. proc., 1949, II, 278;
ID.Concorso di truffa e bancarotta fraudolenta?, ivi, 1953, II, 321;
ID.Ancora sul concorso della truffa con la bancarotta fraudolenta, ivi, 1954, II, 213;
ID.Opposizione a sentenza dichiarativa di fallimento e sospensione del procedimento penale per
bancarotta, ivi, 1955, II, 181;
ID.Appunti sulla natura della bancarotta, ivi, 1957, I, 1;
ID.Interpretazione e valutazione in tema di rapporti tra il processo civile di fallimento e il
processo penale di bancarotta, ivi, 1960, 119;
ID.Un caso interessante di revisione del processo penale, ivi, 1962, 469;
CASTELLETTILibertà provvisoria e bancarotta fraudolenta, in Corti Br. V., 1961, 300;
CEDRANGOLOOpposizione a sentenza dichiarativa di fallimento e suoi riflessi in sede penale,
in Foro nap., 1957, II, 83;
CHIARAVIGLIOResponsabilità penali nell'impiego dei fattori produttivi, in Riv. dott. comm.,
1964, 24;
ID.Le responsabilità penali nelle aziende, Milano, 1964;
CIPOLLONEIl fallimento dell'artigiano e la bancarotta semplice, in Dir. fall., 1963, I, 302;
COLACCIIn tema di bancarotta semplice e di responsabilità dei soci in una società di fatto, in
Arch. ric. giur., 1960, 628;
ID.Aspetti della cosiddetta bancarotta semplice documentale, in Rass. giur. it., 1962, 48;
ID.La qualifica del soggetto attivo del reato di ricorso abusivo al credito, ivi, 1963, 13;
COLACEQuestioni di attualità in tema di fallimento e piccolo imprenditore, in Giur. it., 1953, II,
301;
CONTIIl momento consumativo dei reati di bancarotta, in Riv. it. dir. pen., 1952, 59;
ID.Osservazioni sulla natura della sentenza dichiarativa di fallimento in rapporto ai delitti di
bancarotta, in Giur. compl. cass. pen., 1954, III, 172;
ID.I reati fallimentari, Torino, 1955;
ID.Bancarotta semplice e amnistia, in Giur. it., 1955, II, 89;
ID.Rilievi sul dolo nel delitto di bancarotta fraudolenta, in Riv. it. dir. pen., 1957, 249;
ID.Reati fallimentari diversi dalla bancarotta, in Dir. econ., 1958, 725;
ID.Giudizio sulla serietà dell'opposizione al fallimento e sospensione del procedimento penale per
bancarotta, in Riv. it. dir. proc. pen., 1959, 624;
ID.Fallimento (Reati in materia di), in Nss.D.I., VI, 1960, 1192;
CRESPIIl principio di equivalenza tra obbligatorietà del mandato di cattura e inammissibilità
della libertà provvisoria, in Riv. it. dir. pen., 1948, 392;
DE BIASEIl momento consumativo nei reati di bancarotta, in Arch. pen., 1958, II, 384;
DE FENUL'art. 19 c.p.p. secondo il nuovo testo e la sua interpretazione, in Scuola pos., 1961, III,
190;
ID.Bancarotta pre-fallimentare e obbligatorietà del mandato di cattura, in Giust. pen., 1964, II,
337;
DE GENNAROLa bancarotta, Napoli, 1930;
DELITALAContributo alla determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, in
Riv. dir. comm., 1926, I, 444;
ID.L'azione civile nel procedimento per bancarotta contro il debitore fallito, in Riv. dir. proc. civ.,
1927, I, 117;
ID.L'oggetto della tutela nel reato di bancarotta, in Studi in onore di S. Longhi, Roma, 1935, 286;
ID.Studi sulla bancarotta, Milano, 1935;
DELLA VECCHIANecessità della sospensione del processo penale per bancarotta nelle more del
passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa di fallimento, in Foro nap., 1957, II, 77;
DE MARSICOQuestioni in tema di truffa, bancarotta fraudolenta e concorso tra i due reati, in
Dir. fall., 1953, II, 589;
ID.Concorso di bancarotta fraudolenta e truffa, ivi, 1954, I, 53;
DE SEMOSul reato di ricorso abusivo al credito, in Giust. pen., 1951, II, 85;
DI GIOVANNILa bancarotta semplice ed i piccoli imprenditori, in Riv. pen., 1955, II, 574;
DI MISCIOLa bancarotta. Evoluzione storica dell'industria, in Criminologia, 1960, 49;
DONATO DI MIGLIARDOAppunti sulla irregolare tenuta della contabilità nell'art. 216, n. 2 e
nell'art. 217 cpv. della legge fallimentare, in Giust. pen., 1959, II, 1109;
ESCOBEDOSe sia il caso di revisione quello di due sentenze, l'una di condanna per bancarotta
semplice, l'altra di revoca della dichiarazione di fallimento, anche rispetto al procedimento
penale, ivi, 1940, IV, 185 ss.;
FERRANTECenni sulle questioni in tema di bancarotta, ivi, 1960, II, 372;
FOSCHINIIl delitto di bancarotta e la dichiarazione di fallimento, in Riv. it. dir. pen., 1952, 706;
FRISOLIRevoca del fallimento e revisione della condanna per bancarotta semplice, in Riv. it. dir.
pen., 1937, 221;
ID.Durata delle pene accessorie speciali nella bancarotta semplice, in Riv. it. dir. proc. pen.,
1961, 507;
FROSALIL'insolvenza fraudolenta del commerciante in stato di cessazione dei pagamenti o già
fallito, in Scuola pos., 1929, 134;
GERACIReati fallimentari. Obbligatorietà del mandato di cattura, in Giust. pen., 1957, III, 222;
GIAMPAOLIIn tema di ricettazione fallimentare e di ricettazione comune, in Scuola pos., 1963,
528;
GIULIANIFa stato la sentenza di fallimento sulla qualità di imprenditore nel giudizio di
bancarotta, in Dir. fall., 1956, I, 179;
ID.Sul regime processuale dei reati fallimentari, in Riv. it. dir. proc. pen., 1959, 1305;
ID.Revoca della dichiarazione di fallimento e revisione ivi, 1960, 66;
ID.La sentenza dichiarativa di fallimento non costituisce giudicato circa la sussistenza della
qualità di imprenditore, in Tempi gen., 1961, 521;
ID.La struttura della bancarotta patrimoniale, in Scuola pos., 1962, 49;
GORGONEI fatti di bancarotta commessi da persone diverse dal fallito, in Riv. pen., 1961, I, 544;
GRAMATICAIl piccolo imprenditore dichiarato fallito, non essendo obbligato a tenere i libri e le
scritture contabili non può essere dichiarato responsabile del reato di bancarotta semplice, in
Temi gen., 1959, 84;
GRECOI presupposti del reato di ricorso abusivo al credito, in, N. dir., 1954, 74;
GUALTIERIImpugnabilità dell'ordinanza negativa di sospensione nel procedimento per questioni
pregiudiziali, in Giust. pen., 1960 (fascicolo in memoria di E. Battaglini), 316;
GUARNERISentenza dichiarativa di fallimento, delitto di bancarotta e legge modificatrice dei
presupposti per la dichiarazione di fallimento, in Giur. it., 1953, II, 214;
ID.Autorità della cosa giudicata civile dichiarativa del fallimento nel giudizio penale di
bancarotta, in Dir. fall., 1960, 437;
ID.Problemi processuali penali in tema di reati fallimentari, ivi, 1964, I, 318;
ID.La bancarotta in generale. Nozioni preliminari, ivi, 37;
ID.Il delitto di bancarotta fraudolenta. I fatti previsti dall'art. 216 L.F., ivi, 153;
GUICCIARDIIn tema di bancarotta, in Giust. pen., 1956, II, 282;
INGRASCÌLimiti di influenza della legge modificatrice del concetto di piccolo imprenditore sulla
responsabilità penale del fallito in Arch. ric. giur., 1954, 208;
LA ROCCAOpposizione a sentenza dichiarativa di fallimento e processo penale per bancarotta,
in Foro it., 1957, IV, 206;
ID.L'art. 238 L.F. nel sistema dei rapporti fra azione penale e questioni pregiudiziali, in Temi
nap., 1958, II, 85;
LEONELa revoca della sentenza dichiarativa di fallimento in virtù della legge 1930 in rapporto
al problema della successione di leggi, in Giust. pen., 1934, IV, 170;
ID.Libertà provvisoria e obbligatorietà del mandato di cattura, in Arch. pen., 1948, II, 50;
ID.Concorso tra truffa e bancarotta fraudolenta, in Giur. sic., 1960, 358;
LOASSESReati failimentari e libertà personale dell'imputato, in Giust. pen., 1952, II, 90;
ID.Della responsabilità penale del fallito pel mancato deposito delle scritture contabili ivi, 1955,
II, 925;
ID.Della sospensione del processo penale per reati fallimentari, ivi, 1958, III, 795;
LOCIGNOOpposizione a sentenza dichiarativa di fallimento e non sospensione del processo
penale per bancarotta, in Riv. proc. pen., 1957, 434;
LOMBARDOAmmissibilità della libertà provvisoria per il reato di bancarotta fraudolenta, in
Cal. giud., 1959, 509;
LONGHIBancarotta e altri reati in materia commerciale, Milano, 1913;
MACALUSOBancarotta fraudolenta e custodia preventiva, in Riv. dir. proc. pen., 1950, II, 144;
ID.Ancora sulla natura giuridica della dichiarazione di fallimento nei reati di bancarotta, in
Giust. pen., 1957, II, 28;
ID.Revoca della dichiarazione giudiziale di fallimento e revisione della sentenza di condanna per
bancarotta, in Giur. sic., 1960, 692;
ID.Sull'attenuante della tenuità del danno nella bancarotta semplice, ivi, 1959, 552;
MAGRONELibertà provvisoria e bancarotta fraudolenta, in Riv. pen., 1955, II, 1137;
MANCINELLILa sentenza di fallimento come elemento essenziale della bancarotta, in Riv. it. dir.
proc. pen., 1959, 1268;
MARUCCIBancarotta fraudolenta e truffa, in Giur. compl. cass. pen., 1949, I, 32;
ID.Chiusura del fallimento e bancarotta semplice, in Giust. pen., 1955, II, 594;
MASSA M.Sulla costituzione di parte civile del creditore nel processo per il reato di bancarotta
fraudolenta, in Riv. it. dir. pen., 1955, 79;
MAUCERI S.Se sia obbligatorio il mandato di cattura nei reati di bancarotta fraudolenta, in Crit.
pen., 1955, 207;
MAZZANTISpunti critici in tema di favoreggiamento reale e ricettazione fallimentare, in Giust.
pen., 1961, II, 28;
ID.Sul concorso di persone nel delitto di bancarotta fraudolenta, ivi, 1963, II, 483;
MISTRETTASul concorso del reato per omessa tenuta dei libri contabili con quello di mancata
presentazione del bilancio, in Giur. sic., 1957, 307;
MOLASottrazione di mobili inventariati e depositati da parte del fallito, in Arch. pen., 1953, II,
48;
MURANTEOpposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento e sospensione del processo di
bancarotta, ivi, 1955, II, 496;
NAPOLITANOLibertà provvisoria e bancarotta fraudolenta, in Riv. it. dir. pen., 1952, 230;
NOLAPoteri del giudice penale nel processo per bancarotta semplice, in Riv. pen., 1953, II, 581;
NOTO-SARDEGNAI reati in materia di fallimento, Palermo, 1940;
NUVOLONERicorso abusivo al credito e insolvenza fraudolenta, in Temi, 1953, 400;
ID.Il diritto penale del fallimento e delle altre procedure concursuali, Milano, 1955;
ID.In tema di concorso nella bancarotta preferenziale, in Riv. it. dir. pen., 1957, 253;
ID.Profitto ingiusto e bancarotta documentale, ivi, 1958, 443;
ID.Dissipazione e spese eccessive, in Temi, 1958, 378;
ID.La cosiddetta bancarotta semplice del piccolo imprenditore, in Riv. it. dir. proc. pen., 1959,
1269;
PAGLIAROIl delitto di bancarotta, Palermo, 1957;
ID.Concorso in bancarotta e cosiddetta ricettazione fallimentare, in Riv. it. dir. proc. pen., 1963,
188;
PASTORELa valutazione del danno patrimoniale cagionato dalla bancarotta per omessa tenuta
dei libri e delle altre scritture commerciali, in Temi nap., 1960, II, 51;
PEDRAZZIGestione di impresa e responsabilità penali, in Riv. soc., 1962, 230;
PISAPIAConcordato giudiziale e costituzione di parte civile per reati fallimentari, in Riv. it. dir.
pen., 1952, 184;
ID.È ammissibile la libertà provvisoria per i reati di bancarotta fraudolenta?, in Temi, 1955, 417
ss.;
ID.Bancarotta fraudolenta e libertà provvisoria, in Riv. it. dir. pen., 1955, 506;
PROVINCIALIRicorso abusivo al credito, in Dir. fall., 1952, I, 184;
ID.Gli effetti penali del fallimento secondo Cesare Beccaria, ivi, 1955, I, 134;
PROTETTISull'elemento soggettivo del delitto di bancarotta semplice, in Giust. pen., 1959, II,
510;
PUNZOSingolare struttura di un'ipotesi di quasi bancarotta, in Giust. pen., 1951, II, 269;
ID.Il delitto di bancarotta, Torino, 1953;
ID.Il fallito non può commettere il reato di ricorso abusivo al credito, in Giust. pen., 1954, II,
218;
ID.Due notevoli questioni in tema di bancarotta, ivi, 1955, II, 94;
ID.L'articolo 223 cpv. 1 n. 2 della legge fallimentare, in Riv. pen., 1956, I, 501;
ID.La bancarotta impropria e gli altri reati previsti dalla legge fallimentare, Padova, 1957;
ID.Contributo a una riforma del diritto penale concursuale, in Dir. fall., 1957, I, 295;
ID.Il principio del ne bis in idem nel diritto penale concursuale, in Giust. pen., 1957, II, 246;
ID.La bancarotta semplice documentale è reato doloso, ivi, 1957, II, 625;
ID.Ancora sull'elemento soggettivo della bancarotta documentale, in Dir. fall., 1957, II, 578;
ID.La custodia preventiva per i reati concursuali, in Riv. proc. pen., 1957, 309;
ID.Ricorso abusivo al credito da parte del fallito, in Temi, 1958, 471;
ID.Differenza fra la bancarotta preferenziale ed il reato previsto dall'art. 232 cpv. 2, n. 2 della
legge fallimentare, ivi, 1960, 530;
PURCAROStruttura della banca rotta prefallimentare, in Giust. pen., 1959, II, 757;
RANIERIBancarotta fraudolenta e libertà provvisoria, in Temi, 1956, 116;
RESTIVOBancarotta per celamento e omissione dolosa di beni da inventariare, in Rass. giur. it.,
1962, 631;
RICCIOTTIAncora sulla bancarotta del piccolo imprenditore in Dir. fall., 1957, II, 246;
ID.Pregiudizi in materia di pregiudizialità, ivi, 1958, II, 28;
ID.Sulla riforma del diritto penale fallimentare, ivi, I, 90;
ID.Bancarotta e responsabilita obbiettiva, ivi, 1959, II, 884;
ID.Sospensione obbligatoria del processo penale per bancarotta, pendente in opposizione al
fallimento, ivi, 611;
ROMANO M.Società di persone e oggetto materiale della bancarotta del socio illimitatamente
responsabile, in Riv. soc., 1961, 1017;
ID.Brevi note sulla bancarotta del cosiddetto amministratore occulto, in Giust. pen., 1963, II, 483;
ROMOLIOmessa tenuta dei libri da parte del piccolo imprenditore e autorità di cosa giudicata
della sentenza dichiarativa di fallimento, in Rass. giur. it., 1957, 140;
ROVELLIReati fallimentari, Milano, 1952;
ID.Azione ed evento nella bancarotta, in Giur. compl. cass. pen., 1952;
ID.Bancarotta: sentenza dichiarativa di fallimento, ivi, 1953, IV-V, 249;
SANSONII piccoli imprenditori e il reato di bancarotta semplice per omessa tenuta dei libri
commerciali, in Giust. pen., 1957, II, 584;
SATTASull'interpretazione dell'art. 236 legge fallimentare, in Riv. it. dir. pen., 1952, 593;
SBORDONESulla sospensione del processo penale per bancarotta in pendenza di opposizione a
sentenza dichiarativa di fallimento, in Foro nap., 1957, II, 73;
SCAPARONEImpugnabilità o revocabilità delle ordinanze che dispongono in tema di
sospensione ex art. 19 c.p.p., in Riv. it. dir. proc. pen., 1961, 554;
SELLAROLIIl concorso del credito e nel delitto di bancarotta prefallimentare, in Giust. pen.,
1960 (fascicolo in memoria di E. Battaglini), 237;
ID.Considerazioni sull'elemento psicologico del delitto di bancarotta semplice, in Giust. pen.,
1901, II, 761;
SEMIANI BIGNARDIRetentore e reati fallmentari, in Riv. it. dir. proc. pen., 1959, 428;
ID.Ricorso abusivo al credito da parte del fallito, in Dir. giur., 1959, 89;
SENSALEMomento consumativo e competenza territoriale nei delitti di bancarotta, in Giust. pen.
, 1956, III, 477;
SIRACUSANOAccertamento giudiziale del soggetto attivo della bancarotta, in Dir. fall., 1956, I,
265;
SPINELLILibertà provvisoria in tema di bancarotta fraudolenta. Indulto e libertà provvisoria, in
Giust. pen., 1950, III, 559;
TRAMBAJOLOPiccoli imprenditori e bancarotta semplice, ivi, 1960, I, 357;
VESSIASentenza penale di condanna per bancarotta e revoca della sentenza dichiarativa di
fallimento. Inammissibilità della revisione, in Foro pen., 1960, 336;
VINCIBrevi appunti sull'elemento soggettivo del delitto di bancarotta semplice in relazione al
principio di legalità, in Temi rom., 1961, 199;
VISCOIl carattere pregiudiziale della sentenza dichiarativa di fallimento nel procedimento
penale per bancarotta fraudolenta, in Riv. it. dir. pen., 1937, 403;
ZACCONEAmmissibilità della libertà provvisoria per il reato di bancarotta fraudolenta, in Giur.
it., 1956, II, 33;
ZAGATOBancarotta semplice per mancata tenuta delle scritture contabili: reato di danno o di
pericolo?, in Corti Br. V., 1964, 138;
ZHARA BUDANatura giuridica del provvedimento di cattura emesso dal tribunale fallimentare,
in Giur. compl. cass. pen., 1954, IV-V, 27;
ID.Due proposte di riforma di diritto processuale penale in tema di procedimenti per reati
fallimentari, in Giust. pen., 1960, I, 332.

NOTE

(1) È concezione ormai abbandonata. La sostennero, tra gli altri: LONGHI, Bancarotta e altri
reati in materia commerciale, Milano, 1913, 83; ROCCO, Il fallimento, Torino, 1917, 124;
ROVELLI, Reati fallimentari, Milano, 1952, 13.

(2) Per la tesi della condizione di procedibilità, v. tra gli altri: DE GENNARO, La bancarotta,
Napoli, 1930, 164; MASSARI, Le condizioni di punibilità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1929, II, 494.

(3) È la tesi ormai dominante in dottrina. Cfr. per tutti: DELITALA, Contributo alla
determinazione della nozione giuridica del reato di bancarotta, in Riv. dir. comm., 1926, I, 144
ss.; CONTI, I reati fallimentari, Torino, 1955, 86; NUVOLONE, Il diritto penale del fallimento e
delle altre procedure concursuali, Milano, 1955, 11 ss. La giurisprudenza è pure orientata in
questo senso, ma con frequenti incertezze di terminologia.

(4) La giurisprudenza è ormai consolidata nel senso di ritenere che la consumazione coincida con
il momento in cui viene pronunciata la sentenza dichiarativa di fallimento. Correlativamente la
competenza per territorio appartiene al giudice del luogo in cui tale sentenza viene pronunciata. In
tal senso cfr. fra le altre: Cass. 20 marzo 1964, in Cass. pen. mass., 1965, 819; Cass. 13 dicembre
1961, ivi, 1962, 251; Cass. 11 maggio 1959, in Giust. pen., 1959, III, 609; Cass., sez. un., 25
gennaio 1958, ivi, 1958, II, 513.

Tale indirizzo si ricollega alla configurazione giurisprudenziale della sentenza dichiarativa di


fallimento come «condizione intrinseca di punibilità» (Cass. 6 novembre 1958, in Giust. pen.,
1959, II, 558) o come «elemento necessario per la sussistenza della ipotesi delittuosa» (Cass. 15
marzo 1950, ivi, 1951, III, 215). Talvolta (cfr. Cass., sez. un., 29 novembre 1958, in Riv. it. dir.
proc. pen., 1958, 1305) il momento consumativo viene spostato al momento del passaggio in
giudicato della sentenza che dichiara il fallimento.

Nel senso dell'opinione giurisprudenziale cfr. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Leggi
complementari. I reati fallimentari e societari, Milano, 1959, 141. Contra, viceversa, ritenendo
che la dichiarazione di fallimento costituisca una condizione di punibilità, come tale non
integrante il reato, CONTI, Fallimento (Reati in materia di), in Nss.D.I., VI, 1960, 1196;
PAGLIARO, Il delitto di bancarotta, Palermo, 1957, 143; ovvero una condizione di procedibilità
o di proseguibilità, cfr. GIULIANI, La struttura della bancarotta patrimoniale, in Scuola pos.,
1962, 49 ss.

(5) In questo senso: Cass., sez. un., 29 novembre 1958, in Riv. it. dir. proc. pen., 1959, 624; Cass.
20 giugno 1962, in Cass. pen. mass., 1962, 1010.
(6) Per una più ampia dimostrazione, cfr. NUVOLONE, op. cit., 24 ss.

(7) Per quest'obbiezione, cfr. PAGLIARO, op. cit., 14 ss.

(8) Nel senso che possa esser soggetto attivo dei reati fallimentari anche il non commerciante
dichiarato fallito a' termini dell'art. 31 d.l. 26 marzo 1946, n. 134, sull'avocazione dei profitti di
regime, cfr. invece: BUONO, Se il fallito per debito dell'imposta sull'avocazione dei profitti di
regime - che non sia imprenditore - possa essere soggetto attivo di reati fallimentari, in Crit. pen.,
1961, 38; ID., Il fallimento del «non imprenditore», in Riv. pen., 1961, I, 403.

(9) Cfr. da ultimo: Cass. 24 ottobre 1958, in Riv. it. dir. proc. pen., 1959, 586; Cass. 14 novembre
1960, in Cass. pen. mass., 1961, 55; Cass. 3 agosto 1962, ivi, 1962, 1021. In senso contrario, solo
qualche isolata sentenza di merito: così, Trib. Modena 16 novembre 1954, in Temi, 1955, 297.

(10) Nel senso che anche l'amministratore di fatto possa esser soggetto attivo dei reati fallimentari
è la costante giurisprudenza. Cfr. per tutte: Cass. 14 gennaio 1960, in Giust. pen. 1960, II, 522;
Cass. 9 ottobre 1962, in Cass. pen. mass., 1963, 108. In dottrina, vi è quasi completo accordo; in
senso contrario: PEDRAZZI, Gestione di impresa e responsabilità penali, in Riv. soc., 1962, 230.

(11) La giurisprudenza è costantemente orientata nel senso dell'irrilevanza della provenienza


illecita al fallito dei beni da lui distratti. Cfr. per tutte: Cass. 20 novemhre 1962, in Cass. pen.
mass., 1963, 371.

È stato anche ritenuto che nella nozione di «suoi beni» rientrino anche i beni acquistati con patto
di riservato dominio: e questo perché, pur essendo differito il passaggio di proprietà, il curatore
può subentrare nel contratto e acquistare i beni alla massa. Così: Cass. 7 maggio 1965, ivi, 1965,
967.

(12) In questo senso, molto perspicuamente: CARNELUTTI, Concorso di truffa e bancarotta


fraudolenta?, in Riv. dir. proc., 1953, II, 321.

(13) Cfr. in senso conforme: Trib. Piacenza 8 febbraio 1954, in NUVOLONE, op. cit., 190.

(14) Il concetto di alienazione senza adeguata contropartita è affermato anche dalla


giurisprudenza. È stata così ritenuta la distrazione nel trasferimento di denaro o di beni da
un'attività ad un'altra senza adeguata corrispondenza: Cass. 20 maggio 1961, in Cass. pen. mass.,
1961, 951; Cass. 1 luglio 1963, ivi, 1964, 99.

(15) in questo senso, da ultimo: Cass. 5 aprile 1960, in Riv. pen., 1961, II, 738; Cass. 20 ottobre
1963, in Giust. pen., 1964, II, 352. In dottrina, nello stesso senso del testo, tra gli altri
ANTOLISEI, op. cit., 60; PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, II, Milano, 1964,
2152.

(16) Per una più ampia illustrazione di questi problemi: NUVOLONE, Dissipazione e spese
eccessive, in Temi, 1958, 378.
(17) Espressamente individua la differenza tra «dissipazione» e «spese eccessive» nello «scopo
voluttuario per alimentare i propri vizi» Cass. 20 novembre 1952, in Giur. compl. cass. pen., 1952,
III, 637.

(18) La giurisprudenza riconosce reato a dolo specifico nell'àmbito dell'art. 216 n. 1 solo
l'esposizione di passività inesistenti, aggiungendo, peraltro, che il dolo specifico può realizzarsi
anche nella forma del dolo eventuale (sic!): Cass. 26 giugno 1962, in Cass. pen. mass., 1962,
1018. La dottrina, invece, ritiene in prevalenza che tutte le ipotesi dell'art. 216 n. 1 siano a dolo
specifico: cfr. per tutti: ANTOLISEI, op. cit., 57. Contra, tra gli altri, AZZOLINA, Il fallimento e
le allre procedure concorsuali, III, Torino, 1961, 1449.

(19) La giurisprudenza sembra decisamente orientata nel senso di ritenere che l'elemento
psicologico del delitto di bancarotta semplice possa consistere anche solo nella colpa. Cfr. da
ultimo: Cass. 28 gennaio 1961, in Cass. pen. mass., 1961, 437; Cass. 12 dicembre 1962, ivi, 1963,
372; Cass. 13 novembre 1964, ivi, 1965, 463; Cass. 20 gennaio 1965, ivi, 647; nello stesso senso
del testo, tra gli altri: ANTOLISEI, op. cit., 98 ss.

(20) In questo senso: Cass. 31 marzo 1965, in Cass. pen. mass., 1964, 924.

(21) Nello stesso senso: Cass. 11 novembre 1957, in Giust. pen., 1958, II, 97; Cass. 9 giugno
1961, in Cass. pen. mass., 1961, 786. In dottrina, per l'esclusione dell'esistenza di un obbligo del
creditore di rifiutare il pagamento del proprio credito, anche se il debitore è in istato di insolvenza:
ANTOLISEI, op. cit., 76; ANTONIONI, Aspetti della bancarotta preferenziale, in Arch. pen.,
1964, II, 62; NUVOLONE, In tema di concorso nella bancarotta preferenziale, in Riv. it. dir. pen.
, 1957, 253.

(22) Queste precisazioni e distinzioni sono con tenute particolarmente in alcune sentenze della
Corte suprema. V. per esempio: Cass. 14 maggio 1962, in Giust. pen., 1962, II, 726.

(23) In questo senso, tra gli altri, AZZOLINA, op. cit., 1208. Ritengono, invece, irrilevante la
mancanza dell'inciso «fuori dei casi di concorso»: Cass. 27 dicembre 1961, in Giust. pen., 1963,
II, 483; Cass. 22 gennaio 1964, in Cass. pen. mass., 1965, 112.

(24) Per la giurisprudenza contraria a questa tesi, cfr. supra, nt. 9. Il problema si pone anche da un
punto di vista soggettivo: così CONTI, Fallimento, cit., 1183, e ANTOLISEI, op. cit., 100,
considerato rilevante l'errore di chi si sia considerato piccolo imprenditore e come tale non
vincolato all'obbligo della contabilità. Hanno ritenuto irrilevante un tale errore: Cass. 14 novembre
1960, in Cass. pen. mass., 1961, 54; Cass. 3 agosto 1962, ivi, 1962, 1021.

(25) La giurisprudenza prevalente, considerando la fattispecie sotto il profilo della colpa, è però
orientata in senso contrario: cfr. Cass. 27 aprile 1944, in Giur. compl. cass. pen., 1944, 391. Così
pure CONTI, I reati, cit., 203.

(26) La prevalente giurisprudenza è nel senso del concorso tra bancarotta semplice documentale e
omesso deposito di bilancio: v. per questa tesi rigoristica: Cass. 5 aprile 1962, in Giust. pen., 1963,
II, 134; Cass. 22 gennaio 1964, in Cass. pen. mass., 1965, 218.
(27) Non si ha allontanamento dalla residenza nel caso di semplice mutamento di casa nell'àmbito
dello stesso luogo: in senso contrario e per un'interpretazione molto rigoristica v. però Cass. 23
gennaio 1962, in Cass. pen. mass., 1962, 837, che ha ritenuto configurabile il reato allorché il
fallito si allontani dalla sua dimora per trasferirsi in altro luogo della stessa città senza il
preventivo permesso del giudice delegato.

(28) È stato ritenuto che la convocazione possa esser effettuata validamente con qualsiasi mezzo
idoneo a portare a conoscenza del fallito l'esigenza della sua presentazione (ad es. tramite i
congiunti): Cass. 3 marzo 1964, in Cass. pen. mass., 1964, 581,

(29) In senso contrario, CONTI, op. ult. cit., 316.

(30) Rigorosa la giurisprudenza, ritiene sufficiente un interesse privato con mera possibilità di
contrasto, anche se in effetti non vi è. Cfr. Cass. 16 febbraio 1962, in Cass. pen. mass., 1962, 720.

(31) Ciò discende direttamente dall'art. 136 l. fall.

(32) Cfr. sul punto: Cass. 14 gennaio 1946, in Giur. it., 1946, I, 1, 166.

(33) Nel senso che occorra sempre il fine di danneggiare la società e i creditori: CONTI, op. ult.
cit., 163.

(34) In senso contrario, e cioè per il condizionamento della punibilità alla dichiarazione di
fallimento (oltre che per la configurabilità del delitto anche nei confronti dell'imprenditore fallito):
Cass. 22 dicembre 1961, in Cass. pen. mass., 1962, 485; Cass. 20 novembre 1963, ivi, 1964, 367;
nel senso del testo: Cass. 22 giugno 1961, ivi, 1961, 786; Cass. 30 giugno 1958, in Giust. pen.,
1959, II, 167. La dottrina è divisa: l'Angeloni, il De Semo, il Punzo sono nel senso del testo;
l'Antolisei, l'Azzolina, il Conti, il Greco e il Provinciali sostengono la tesi contraria.

(35) Nel senso che per la dissimulazione possa aver rilevanza anche il silenzio: Cass. 23 giugno
1958, in Giust. pen., 1959, II, 205; Cass. 13 marzo 1962, in Cass. pen. mass., 1962, 838; nello
stesso senso: PROVINCIALI, op. cit., 2168.

(36) È stato ritenuto che il danno sia da rapportare alla differenza tra la percentuale percepita e
quanto il creditore avrebbe percepito senza il fallimento. Cfr.: Cass. 20 novembre 1960, in Riv.
pen., 1961, II, 986; Cass. 22 novembre 1962, in Cass. pen. mass., 1963, 218. Il concetto è stato
riferito anche alla bancarotta semplice documentale.

(37) Il principio è riconosciuto, in linea di massima, dalla giurisprudenza. V. per es. in tema di art.
220, Cass. 4 aprile 1963, in Cass. pen. mass., 1963, 435 (concorso tra omesso deposito di bilancio
e allontanamento dalla residenza). La stessa decisione ha ritenuto il concorso tra il delitto dell'art.
220 e la bancarotta semplice.

È stato anche ritenuto il concorso tra bancarotta fraudolenta documentale (tenuta caotica di
contabilità) e bancarotta semplice documentale (omessa o irregolare tenuta di contabilità): Cass.
26 gennaio 1962, ivi, 1962, 585.

(38) La giurisprudenza è in senso contrario. Cfr. per tutte: Cass. 10 novembre 1962, in Cass. pen.
mass., 6193, 371.

(39) Cfr. in argomento: RENDE, Saggio di una teoria del reato collegiale, in Il pensiero giuridico
penale, 1943, 44 ss.

(40) Nel senso, invece, della configurabilità del tentativo: CONTI, I reati, cit., 226; PUNZO, Il
delitto di bancarotta, Torino, 1953, 275 ss.

(41) L'orientamento della giurisprudenza è ormai nel senso dell'applicabilità dell'art. 19 c.p.p.
(pregiudiziale assolutamente devolutiva): cfr. le sentenze richiamate supra, nt. 5. Si esclude, però,
in genere, l'impugnabilità delle ordinanze relative: così Cass. 20 giugno 1962, cit., salva
l'ammissibilità del ricorso per cassazione, allorché è stato emesso mandato o ordine di cattura. La
dottrina è pressoché unanime nel senso della sospensione.

(42) Cfr. supra, nt. 41.

(43) Sulla configurabilità di un'ipotesi di revisione, cfr. in dottrina: CARNELUTTI, Un caso


interessante di revisione del processo penale, in Riv. dir. proc., 1962, 469; e in giurisprudenza:
Cass. 29 marzo 1962, in Cass. pen. mass., 1962, 1023.

(44) In questo senso, per tutti cfr. CARNELUTTI, Sospensione del processo penale per
bancarotta e revoca del mandato di cattura contro il fallito, in Riv. dir. proc., 1949, II, 278.

(45) È stata ritenuta infondata l'eccezione di mancata legittimazione all'esercizio dell'azione civile
di un creditore nei confronti del fallito, imputato di bancarotta fraudolenta, con richiamo all'art. 43
l. fall., posto che la legge riconosce la legittimazione dei creditori quando non si è costituito il
curatore: Cass. 16 marzo 1959, in Cass. pen. mass., 1960, 340; Cass. 12 giugno 1964, ivi, 1964,
1007.

(46) Per la giurisprudenza e la dottrina in tema di bancarotta, v. supra, nt. 4.

(47) Nel senso che possa configurarsi anche il reato condizionato: App. Torino 23 luglio 1955, in
Dir. fall., 1955, II, 424. Nel senso del testo: SATTA, Sull'interpretazione dell'art. 236 legge
fallimentare, in Riv. it. dir. pen., 1952, 593.

Utente: MATER STUDIORUM ALMA


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