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INSOLVENZA FRAUDOLENTA.

Normativa.

Dispositivo dell'art. 641 Codice Penale.

Chiunque, dissimulando (1) il proprio stato d'insolvenza, contrae un'obbligazione col proposito di non
adempierla punito, a querela della persona offesa, qualora l'obbligazione non sia adempiuta, con la
reclusione fino a due anni o con la multa fino a 516,00 euro.

L'adempimento dell'obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato.

(1) La dottrina maggioritaria ritiene che proprio la dissimulazione, intesa come ogni attivit con cui la
controparte viene tenuta all'oscuro in merito allo stato di insolvenza, sia l'elemento distintivo della
fattispecie in esame rispetto al delitto di truffa ex art. 640.

Larresto e il fermo di indiziato di delitto non sono consentiti, lAutorit giudiziaria competente il Tribunale
monocratico mentre la procedibilit sempre a querela di parte.

Il reato di cui sopra si configura qualora lagente, dissimulando il proprio stato di insolvenza, contragga
unobbligazione a prestazioni corrispettive. richiesto, altres, che si realizzi linadempimento come evento
del reato. Lessenza della frode postula che il creditore confidi concretamente nelladempimento da parte del
debitore ritenendo, per la natura dellaffare, per la condizione soggettiva della controparte o per la modesta
entit economica del negozio o per la simultanea concorrenza di tali elementi, che questa sia solvibile.

La condotta dissimulatoria non deve pertanto consistere in un fatto positivo e neppure richiesto che
assuma le caratteristiche degli artifici o dei raggiri tipici del pi grave delitto di truffa. Anche il silenzio,
invero, consistente nel tenere il creditore alloscuro dello stato di insolvenza pu assumere rilievo a tal fine,
quando tale condizione non sia manifesta allaltra parte contraente ed il silenzio su di essa sia legato al
preordinato proposito di non adempiere alle obbligazioni assunte. Va in proposito precisato che proprio il
comportamento silente dellagente quello tipicamente idoneo a mantenere il soggetto passivo in errore. L'atto
di tacere in modo preordinato delle proprie condizioni economiche ai fini della capacit di assolvimento di
un'obbligazione, costituisce violazione del principio di buona fede contrattuale e vale ad integrare la
dissimulazione (cio il nascondimento) della propria condizione di insolvenza quale elemento costitutivo del
delitto di cui all'art. 641 c.p. (Cass. Pen. 9 luglio 2014, n.30022).

Diversamente rispetto al delitto di truffa, infatti, lerrore non indotto dalla condotta fraudolenta, ma
preesistente alla condotta dissimulatoria e risulta provocato da circostanze obiettive atte a far sorgere un
affidamento sulla solvibilit del debitore.

La condotta di chi tiene il creditore all'oscuro del proprio stato di insolvenza al momento di contrarre
l'obbligazione assume rilievo quando sia legata al preordinato proposito di non adempiere la dovuta
prestazione, mentre non si configura alcuna ipotesi criminosa, ma solo illecito civile, nel mero
inadempimento non preceduto da alcuna intenzionale preordinazione. (Nell'occasione, la Corte ha chiarito
che la prova di quest'ultima pu essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal
contesto dell'azione, nell'ambito del quale anche il silenzio pu acquistare rilievo come forma di preordinata
dissimulazione dello stato di insolvenza, quando fin dal momento della stipula del contratto sia gi maturo,
nel soggetto, l'intento di non far fronte agli obblighi conseguenti) (Cass. n. 34192/2006).

Lo stato di insolvenza del debitore consiste nella limitata impossibilit economico finanziaria dellagente
di assolvere specificamente allo obbligo assunto. Specificamente, la condizione dinsolvibilit
rappresentata dalla mancanza attuale, totale o parziale, della possibilit di pagare che non sia manifesta
allaltra parte contraente, potendosi ricavare la prova di tale condizione dal comportamento tenuto al
momento dellinadempimento o dalle condotte precedenti o successive allo stesso.

La speciale causa estintiva del reato di insolvenza fraudolenta prevista dal capoverso dellart. 641 c.p.
pone in evidenza come sia stata considerata rilevante dal legislatore limpossibilit attuale del mancato
pagamento dellobbligazione assunta e non gi lincapacit del patrimonio dellagente a garantire il
soddisfacimento del credito a favore del soggetto passivo.

La giurisprudenza costante nel ritenere che il reato si consumi nel momento dellinadempimento, che
costituisce levento e di conseguenza lultima fase delliter criminis. Quale diretta conseguenza di tale
assunto, il dolo di insolvenza fraudolenta dovr essere inteso quale dolo generico, nel quale lagente, nella
piena rappresentazione della propria insolvenza, dissimula tale stato al momento dellassunzione
dellobbligazione, determinando cos il terzo alla stipula del negozio e volendo il successivo inadempimento.
Il presupposto dello stato dinsolvenza, di cui lagente consapevole allatto di contrarre lobbligazione,
rende del tutto irrilevante la speranza del medesimo, anche se non del tutto illusoria, di poter,
successivamente, adempiere.

Il termine per la presentazione della querela per il reato di insolvenza fraudolenta decorre non gi dalla
data in cui si verifica l'inadempimento dell'obbligazione, ma da quella in cui il creditore acquisisce la
certezza che l'obbligato, contraendo l'obbligazione, aveva dissimulato il proprio stato di insolvenza ed aveva
contratto l'obbligazione con il proposito di non adempierla. (Nella fattispecie stato ritenuto termine iniziale
quello del tentativo di esecuzione forzata esperito dal creditore) (Cass. pen., sez. II, 23 ottobre 1997, n.
9552 (18 settembre 1997) Ric. P.G. in proc. De Pasquale. (cp, art. 124; cp, art).

Un orientamento costante della Cassazione Penale ha stabilito che linsolvenza fraudolente si distingue
dalla truffa in quanto la frode non viene attuata mediante i mezzi insidiosi dellartificio o del raggiro, bens
con un inganno rappresentato dello stato di insolvenza del debitore e della dissimulazione della sua esistenza
finalizzato allinadempimento dellobbligazione, in violazione di norme comportamentali (Sez. U, Sentenza
n. 7738 del 09/07/1997 Ud. dep. 31.07.1997 Rv. 208219; Sez. 2, Sentenza n. 24529 del 11/04/2012,
dep. 20.06.2012).

CONFINI TRA TRUFFA E INSOLVENZA FRAUDOLENTA

CASSAZIONE PENALE Sez. II 10 gennaio 2013 n. 3169 Pres. Cammino Rel. Gallo
(Conferma App. Trieste Sezione II 20 dicembre 2011)

Integra il reato di truffa, in luogo dellinsolvenza fraudolenta, il rilascio di un assegno tratto sul conto
corrente di una societ fallita per il pagamento di merce, perch inesistente; viceversa, il versamento di un
assegno privo di fondi integrerebbe la diversa ipotesi di insolvenza fraudolenta.

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha delineato l'ambito di applicazione tra la truffa e
l'insolvenza fraudolenta. Si tratta di due reati contro il patrimonio che rientrano nella categoria dei delitti di
cooperazione con la vittima, cos come accade anche per la frode in assicurazione o la circonvenzione di
persone incapaci; entrambi i reati tutelano il patrimonio della vittima, o pi precisamente la libert di
determinazione di quest'ultima in campo patrimoniale. Il soggetto passivo, infatti, si vede indotto a porre in
essere un atto dispositivo del proprio patrimonio ovvero, nel caso dell'insolvenza fraudolenta a contrarre
un'obbligazione con la certezza che l'altra parte adempia alla propria controprestazione.

Il primo reato si caratterizza, come noto, per la presenza di un'attivit caratterizzata da artifizi e raggiri, al
fine di conseguire un profitto con conseguente danno per la vittima del reato. Nel dettaglio, il termine
"artifizi" sta a indicare la costruzione di una messa in scena totalmente inventata capace di indurre il soggetto
passivo a credere che essa sia vera, mentre il termine "raggiri" sta a indicare la costruzione, attraverso l'uso
di parole o argomenti di una situazione falsa. La Giurisprudenza ha ampliato il concetto di artificio,
ritenendo utile a tali fini anche la simulazione o dissimulazione o qualsiasi espediente subdolo posto in
essere per indurre taluno in errore (Cass. 12 dicembre 1983, Barberini).

Il fine (e dunque: levento) del reato di truffa, che si pu configurare anche nella forma tentata, costituito
dalla realizzazione di un profitto in favore dell'autore con contestuale danno per la vittima (il danno pu
essere patito dal deceptus o da un soggetto terzo alla vicenda, che risente in maniera negativa degli effetti
dellatto dispositivo compiuto dal primo). Il termine "profitto" sta a indicare non solo un vantaggio di
carattere patrimoniale, ma anche qualsiasi ulteriore utilit, a differenza del danno, che deve essere
patrimoniale, in quanto derivante da un atto dispositivo di tale natura.

Il diverso reato di insolvenza fraudolenta, invece, non si caratterizza per l'attivit ingannatoria che incida
sulla formazione del rapporto obbligatorio, bens sulla sua esecuzione, atteso che oggetto della simulazione
lo stato di insolvenza di cui colpito l'autore del reato, tale da prospettare all'autore l'ingiusto vantaggio
derivante dall'inadempimento delle proprie obbligazioni; un tanto in ossequio alla tesi secondo cui
l'insolvenza fraudolenta punita a titolo di dolo specifico, che si caratterizza per il fine di profitto sopra
richiamato.

Ne consegue che, nel reato di truffa, oggetto della falsificazione pu essere altres la presenza di procedure
concorsuali; si tratta di una dissimulazione di una condizione vera, che viene artificiosamente sottaciuta alla
vittima del reato, il quale ritiene di vedere garantito l'adempimento dell'obbligazione della controparte,
circostanza che ha particolare rilevanza nei contratti sinallagmatici come la compravendita; questo in luogo
del diverso reato di insolvenza fraudolenta in quanto la vittima del reato ritiene di contrarre con una societ
attiva e, pertanto, ritiene di vedersi garantito il versamento dei corrispettivi in denaro per le prestazioni gi
effettuate.

La decisione in commento fa infatti riferimento al caso di un assegno tratto sul conto intestato ad una societ
dichiarata fallita, e quindi inesistente. In questo caso l'imputata ha posto in essere una condotta riconducibile
al reato di truffa perch l'assegno intestato a una societ fallita da considerarsi inesistente; al contrario, si
sarebbe avuta la diversa ipotesi di reato di insolvenza fraudolenta quando il titolo di credito fosse stato tratto
su un conto corrente esistente ma privo di fondi.

Si perci verificato un vero e proprio artificio, che ha cagionato un danno patrimoniale alla vittima del
reato - la quale si vista privare della propria merce senza la corresponsione del prezzo - e il contestuale
ingiusto profitto dell'autrice del reato, che in questo caso si configura come una mancata diminuzione del
proprio patrimonio.

Casistica:

Integra il delitto di insolvenza fraudolenta la condotta dell'agente che provveda all'acquisto di merce
consegnando in pagamento a titolo di acconto un primo assegno andato a buon fine e, successivamente, due
ulteriori assegni a saldo, risultati privi di provvista, contestualmente chiedendo la consegna di merce
ulteriore al fine di ingenerare nella persona offesa l'erronea convinzione della sua solvibilit. In tal caso deve,
invero, ritenerti che l'agente, dissimulando il proprio stato di insolvenza, abbia contratto l'obbligazione di
pagamento con il proposito di non adempierla (Trib. Perugia, 10/02/2016).

Integra il reato di insolvenza fraudolenta la condotta di chi tiene il creditore all'oscuro del proprio stato di
insolvenza al momento di contrarre l'obbligazione, con il preordinato proposito di non adempiere la dovuta
prestazione, mentre si configura solo un illecito civile nel mero inadempimento non preceduto da alcuna
preordinazione. (La Corte ha specificato che la prova della preordinazione pu essere desunta anche da
argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell'azione, nell'ambito del quale anche il silenzio
pu acquistare rilievo come forma di preordinata dissimulazione dello stato di insolvenza, quando fin dal
momento della stipula del contratto sia gi maturo, nel soggetto, l'intento di non far fronte agli obblighi
conseguenti) (Cass. pen., sez. II, 13 ottobre 2009, n. 39890).

Non integra il delitto di insolvenza fraudolenta la condotta di colui che, trattenendo la caparra ricevuta
dall'acquirente, non adempie l'obbligo di vendere assunto sulla base di un contratto preliminare di
compravendita, la cui stipula pu peraltro risultare sufficiente alla configurabilit del diverso reato di truffa
ove sostenuta dal precostituito proposito di non adempiervi. (Cass. pen., sez. II, 16 aprile 2010, n. 14674).

Non integra il reato di insolvenza fraudolenta la condotta di colui che assume un'obbligazione con la riserva
mentale di non adempiere per causa diversa dallo stato di insolvenza. (Nella specie l'imputato non pagava le
cambiali, tranne la prima, asserendo che la scelta del mancato pagamento era collegata, come ripicca, ad un
precedente acquisto di autovettura, che non andava bene su strada) (Cass. pen., sez. II, 20 dicembre 2011,
n. 46903).

La dissimulazione dello stato di insolvenza, se tale presupposto si configuri in concreto, non pu consistere
in un comportamento meramente omissivo, necessitando - perch si configuri il delitto di cui all'articolo 641
c.p. - un comportamento positivo che, a differenza da quanto avviene nella truffa, non induca in errore la
vittima sulla solvibilit, ma dissimuli l'insolvibilit, e, quindi, non induca in errore la parte lesa, lasciandola,
invece, nell'ignoranza al riguardo. (Corte app. pen.Napoli, sez. II, 28 febbraio 2011, n. 951).

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