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VOLONTA’
IN GENERALE
Uno dei classici problemi sulla volontà si pone nel caso non corrisponda
un’effettiva volontà alle dichiarazioni rese dalle parti.
Non possono avere valore le dichiarazioni docendi causa ovvero quelle fatte
durante una rappresentazione teatrale o una lezione.
SIMULAZIONE
ARTT 1414 SS C.C.
Lo scopo per cui le parti ricorrono alla simulazione si suole chiamare causa
simulandi.
Vi è la presenza di un accordo riservato o contro dichiarazione, in forza del quale le
parti considerano inefficace il negozio apparente.
La simulazione relativa può investire il tipo contrattuale, ossia essere volta a celare,
dietro ad un contratto apparente, un contratto « vero » corrispondente ad un
diverso schema negoziale.
La simulazione relativa può, ancora, dar luogo ad una falsa rappresentazione dei
soggetti dell’atto; si parla, in tal caso, di interposizione fittizia di persona, che
ricorre quando il contratto simulato viene stipulato tra Tizio e Caio, ma entrambi
sono d’accordo con Sempronio che, in realtà, gli effetti dell’atto si verificheranno
nei confronti di quest’ultimo.
Se si tratta di simulazione relativa, il contratto simulato non può produrre effetti tra
le parti. Può avere efficacia il contratto dissimulato.
L’art. 1414, comma 2, c.c. stabilisce che « se le parti hanno voluto concludere un
contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato »,
ma subordina tale efficacia ai presupposti di validità di quest’ultimo: si richiedono i
requisiti di forma e sostanza dell’atto realmente voluto.
La dottrina afferma che la donazione in quel caso non richiede che l’accordo riservato sia
rivestito della forma pubblica, ma ritiene che sia sufficiente che i requisiti richiesti per
la donazione siano soddisfatti dall’apparente contratto di vendita, mentre le parti
potranno validamente pattuire, con una semplice e riservata scrit- tura privata, che
il prezzo dichiarato non è dovuto e che in realtà l’atto effettivamente voluto è una
donazione.
Per quanto riguarda i terzi che abbiano acquistato diritti dal titolare apparente. A
rigore, se la vendita simulata da Tizio a Caio è priva di effetti, non dovrebbe
produrre effetti neppure un successivo atto di disposizione posto in essere da
Caio, in virtù del principio per cui nemo plus iuris transferre potest quam ipse
haberet. L’art 1415 dispone che « la simulazione non può essere opposta né dalle
parti contraenti né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi
che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente ». La buona fede
del subacquirente si presume ed è necessaria solo al momento dell’acquisto.
Per quanto riguarda la posizione dei creditori di colui che appare acquirente per
effetto del negozio simulato, si tratta di stabilire quando e a quali condizioni la
simulazione sia a loro opponibile dal simulato alienante.
In caso di conflitto fra creditori chirografi la legge preferisce i creditori chirografi del
simulante alienante se il credito è anteriore all’atto simulato. Nell’ipotesi contraria
invece la legge preferisce i creditori chirografi dell’acquirente.
Per primo consideriamo il caso in cui ad agire per l’accertamento della simulazione
sia una delle parti contraenti.
Si deve fare riferimento alle norme che vietano il ricorso alla prova per testimoni
(art. 2722 c.c.) e per presunzioni (art. 2729, comma 2, c.c.) quando la prova abbia
per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, che si
assumano stipulati anteriormente o contemporaneamente al documento stesso.
Pertanto, colui che alleghi che un certo contratto, da lui stipulato, è simulato, dovrà
produrre la controdichiarazione scritta o comunque uno scritto nel quale la parte
convenuta in giudizio dia atto della simulazione.
Le parti del contratto simulato possono invece dar prova della simulazione con
ogni mezzo — compresi dunque testimoni e presunzioni — nel caso in cui
intendano far valere l’illiceità del contratto dissimulato (art. 1417 c.c. ).
Gli eredi delle parti simulanti subentrano nella posizione dei rispettivi danti causa, e
dunque subiscono gli stessi limiti di prova previsti delle parti con un’eccezione: i
legittimari che agiscono per la reintegrazione della quota di riserva fanno valere
non un diritto esistente nel patrimonio del defunto, ma un loro personale diritto, e
quindi sono considerati terzi, legittimati ad utilizzare qualsiasi mezzo di prova.