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COMUNIONE e INTRODUZIONE ALLE OBBLIGAZIONI

-LA COMUNIONE
La comunione è qualunque forma di contitolarità relativa alla proprietà e agli altri diritti reali. Essa
è una situazione nella quale un unico e unitario diritto è nella titolarità di una pluralità di soggetti
ma nel momento in cui, due o più soggetti siano titolari di un medesimo bene per l’intero, questa
titolarità sarà pro quota. Nella comunione, l’oggetto del diritto non è la quota ma rimane il bene, il
contitolare non ha un diritto sulla quota, il contitolare non è titolare per intero ma relativamente a
una frazione del diritto unitario e la categoria che descrive tale frazione è la quota, che misura il
grado di partecipazione del singolo titolare a quell’unico diritto unitario e descrive la misura di
partecipazione del singolo contitolare al diritto e alla quota che si rapportano i vantaggi, poteri e
facoltà dunque, e l’ampiezza degli obblighi che gravano sul singolo comproprietario
-I POTERI DI GODIMENTO
L’art.1102 decreta che ciascun comproprietario può godere della cosa comune, purché:
- non ne alteri la destinazione economica, poiché tale destinazione è un atto di disposizione che
deve essere deliberato a maggioranza o all’unanimità a seconda dei casi;
- il godimento di un contitolare, non deve privare gli altri contitolari della possibilità di potere a
loro volta del bene in comunione
L’art.1103, disposizione della quota, decreta che il singolo contitolare può disporre
autonomamente soltanto della propria quota, può dunque cedere, trasferire, rinunziare o dare in
garanzia la propria quota, non può farlo in relazione all’intera quota.
Art. 1104: obblighi dei partecipanti, tutti i contitolari devono contribuire alle spese necessarie per
la conservazione del bene e per il godimento della cosa, e a tutte quelle spese deliberate dalla
maggioranza.
Art. 1105: amministrazione. Comma 1: tutti i contitolari hanno diritto di compartecipare agli atti di
ordinaria amministrazione. In tal caso le decisioni si assumano dalla maggioranza dei contitolari
che viene calcolata per quote (non per teste) è necessario il consenso della metà più 1 dei
contitolari commisurando tale maggioranza al valore della quota. Le delibere sono per valore della
quota di partecipazione, non è capitaria. Affinché la delibera sia valida tutti i contitolari devono
essere informati sull’oggetto di tali atti.
Art. 1106: con la stessa maggioranza calcolata nell’art. 1105, i contitolari possono formare un
regolamento, una serie di regole che disciplinano il godimento ecc...
Art. 1108. Per gli atti che cedono l’ordinaria amministrazione, l’art.1108 stabilisce una
maggioranza più ampia che varia a seconda della tipologia di atto eccedente l’ordinaria
amministrazione; infatti, è necessaria che la delibera sia adottata con il voto favorevole di 2/3 delle
quote e con questa maggioranza si possono approvare tutte le innovazioni dirette al
miglioramento della cosa
Art 1109. stabilisce la disciplina delle impugnazioni e delle liberazioni sia per atti di ordinaria
amministrazione (art 1005) sia per quelli eccedente l’ordinaria amministrazione (art1108)
Art. 1111: scioglimento della comunione, ciascun contitolare ha il potere di chiedere lo
scioglimento della comunione che comporta la divisione del bene. Di conseguenza si dovrà
vendere il bene, disporne la cessione, e il ricavato verrà diviso sulla base delle porzioni del bene.
Comma 2: È anche valido il patto con il quale i contitolari si impegnino a rimanere in comunione.
Tuttavia, questo patto non può avere durata superiore di 10 anni. E se viene previsto per una
durata oltre 10 anni, questo patto è soggetto a nullità parziale.
Art. 1112: lo scioglimento della comunione non può essere chiesto quando si tratta di cose che se
divise cesserebbero di servire all’uso per le quali sono state destinate. Norma che sta alla base
delle nuove forme delle manifestazioni di comunioni. Multiproprietà, fenomeno di diritto di
godimento del bene ripartito nel tempo, dunque bene goduto da più soggetti per unità di tempo:
chalet di montagna e tutti noi godiamo ciascuno di questo bene ognuno in una diversa settimana
dell’anno. La multiproprietà è una forma di comunione in cui il criterio di ripartizione non è la
quota bensì l’unità di tempo. Nella multiproprietà il potere di chiedere lo scioglimento è inibito
proprio dall’art. 1112: un bene che è stato pensato per la multiproprietà non può essere diviso
ottenere usi abitativi.
-> Qual è la differenza tra comunione ereditaria con quella ordinaria?
La comunione ereditaria è una situazione di continuità di diritti reali, di diritto di credito e di
obbligazioni, a differenza della comunione ordinaria. Il de cuius trasferisce all’erede i suoi debiti e i
suoi crediti. Ha un oggetto più ampio, non è una contitolarità di solo diritti reali e proprietà, ma è
una contitolarità anche diritti di credito e obbligazioni
Comunione coniugale: tra coniugi, contitolarità di diritti che si istaura come effetto di rapporto di
coniugio laddove non optino per la separazione dei beni. La comunione fra coniugi decreta che
tutti gli acquisti compiuti dopo la celebrazione, anche separatamente, cadono nella contitolarità di
entrambi. Vi è dunque un vincolo di solidarietà. La specialità consiste nel fatto che è una forma di
contitolarità nella piena disponibilità dei coniugi, non possono sciogliere tale comunione a piacere,
la comunione deve permanere fin tanto che sussiste il rapporto di coniugio, ed è finalizzata e
funzionalizzata ad appagare i bisogni della famiglia.
Il condominio è la forma di comunione speciale regolata dagli articoli 1117 e seguenti. Tratto di
specialità si tratta di una contitolarità che si acquista in quanto titolari di una unità abitativa nella
quale è stato suddiviso un palazzo. La contitolarità si acquista con la titolarità dell’unita abitativa,
cioè di un appartamento. Art 1117: se il danno riguarda un pilastro o una trave, si tratta di un bene
comune e dunque per i costi devono contribuire tutti i condomini. Esempio ringhiere e parapetti
dei balconi, sono di proprietà del titolare dell’unità abitativa. però le facciate sono in proprietà
comune. Quando i parapetti diventano facciata? Quando tali parapetti hanno valore ornamentale.
E i costi in tal caso vanno ripartiti a tutti in contitolari, in misura dei millesimi della propria unità
abitativa. La comunione in tal caso non può essere scelta proprio per gli stessi motivi dell’art.
1112. Pertinenze necessarie: scale, portone di ingressi ecc…

LA DISCIPLINA DELLE OBBLIGAZIONI


Fonte: https://www.studocu.com/it/document/universita-per-stranieri-di-perugia/diritto-privato/
obbligazioni-e-fonti-delle-obbligazioni/6589589
La definizione più diffusa di obbligazione è ricavata dal giurista Gaio, l’obbligazione è un vincolo giuridico
che ci lega da un vincolo necessario e ci vincola a soddisfare un altrui interesse secondo il diritto di Roma. IL
termine obbligazione è adoperato per indicare il rapporto giuridico: cioè relazione giuridicamente rilevante
che si instaura tra il titolare del diritto di credito ovvero il creditore e il destinatario della situazione giuridica
soggettiva passiva che è l’obbligo e dunque il debitore. Di conseguenza l’obbligazione è il rapporto che si
instaura tra il titolare il diritto di credito e l’obbligato.
(Esempio: azienda X decide di aprire una nuova filiale, ma non ha tutto il denaro necessario. Decide quindi
di emettere obbligazioni. Queste obbligazioni funzionano esattamente come un prestito: pagano gli
interessi e alla scadenza vengono restituiti).
I diritti di credito sono diritti di cooperazione, il titolare del diritto di credito, non ha strumenti per
soddisfare da sé il suo interesse, ma ha la facoltà di sollecitare la cooperazione del debitore e di
conseguenza caratterizza il diritto di credito. Soltanto il debitore, tramite la sua prestazione sarà in grado di
soddisfare gli interessi del creditore. Questa prestazione può essere commissiva o omissiva: commissiva, è
quell’attività positiva, attiva, che consiste in dare o fare. Dare significa consegnare, “fare” significa
esecuzione di un servizio. Mentre l’attività omissiva: cioè un non fare. Obbligazione negative. Ad esempio,
un “patto di non concorrenza fra due imprenditori” dà vita ad una obbligazione negativa.
L’art.1174: carattere speciale della prestazione: la norma utilizza un linguaggio impreciso; l’oggetto
dell’obbligazione non è singolarmente la prestazione, ma è la prestazione insieme all’interesse creditorio,
cioè mezzi e risultati. Il mezzo è la prestazione che deve essere posta in essere dal debitore, deve consistere
nell’impiego di mezzi economici per realizzare fini economici e non; il risultato è il soddisfacimento
dell’interesse del creditore che si consegue tramite le utilità che la prestazione è in grado di fornire. La
prestazione deve consistere nell’impiego di mezzi economici per realizzare fini economici e non economici.
Ma il fatto che il risultato non abbia natura economia, non rende l’obbligazione uno strumento non
patrimoniale. Bisogna chiarire che contenuto abbia il diritto di credito o di debito poiché hanno oggetti
differenti: l’oggetto del diritto di credito è l’utilità finale economica e non mentre l’oggetto del credito è la
condotta dovuta commissiva o omissiva. Anche se hanno oggetti differenti debito e credito sono
correlative. Sono due situazioni collegate da un nesso di interdipendenza poiché l’oggetto dell’obbligazione
è la somma dell’oggetto di credito e di debito, è sintesi di mezzi e di risultati che uniti compiono
l’obbligazione.
Secondo la concezione personale il creditore ha diritto alla prestazione, il diritto di credito ha ad oggetto la
prestazione del debitore. Il limite della concezione personale è impreciso perché smarrisce il fatto che il
creditore non ha interesse all’attività del debitore ma ha interesse all’utilità patrimoniale; quindi, il grande
errore di tale concezione è ritenere che il diritto di credito e di debito siano 2 facce della stessa medaglia.
Secondo la concezione patrimoniale, l’ordinamento non può assicurare la prestazione originaria al
creditore, perché costringerebbe il debitore contro la sua volontà ad adempiere e ciò è una violazione della
sua libertà individuale; dunque, l’ordinamento, allora può soltanto garantire solo un risarcimento del danno
pari al credito insoddisfatto. Il limite della concezione patrimoniale, il limite di individuare l’oggetto del
diritto di credito assumendo come prescritta principale la sua lesione, poiché l’oggetto del diritto non deve
essere individuato nella prospettiva in cui viene violato il credito, ma la prospettiva deve essere quella della
realizzazione del credito; dunque, si ha un errore di prospettiva. Le 2 concezioni andrebbero congiunte,
l’interesse del creditore, non è ottenere la prestazione, ma è ottenere l’utilità che la prestazione produce, e
non dalla prestazione in sé e per sé.
Dall’art. 1173 c.c. si evince che un’obbligazione può avere origine da un contratto, da un fatto illecito o da
ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico.
1) CONTRATTO rappresenta la fonte dell’obbligazione par antonomasia, anche perché la fonte delle
obbligazioni è espressione della libertà delle parti; quindi, si tratta di una fonte consensuale di
obbligazioni. Quando l’obbligazione nasce da contratto è segno evidente che il debitore si è
liberamente vincolato alla controparte, assumendo nei suoi confronti l’impegno a realizzare il suo
interesse.
2) FATTO ILLECITO è una fonte non consensuale di obbligazioni. Ogni fatto doloso o colposo che
cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che l’ha commesso a risarcire il danno. Per fatto
illecito, il legislatore indica la responsabilità extra-contrattuale, così definita perché l’obbligo
risarcitorio viene a radicarsi in capo al danneggiante. Il rapporto obbligatorio tra 2 soggetti è
occasionato dal danno e l’obbligazione d risarcirlo costituisce la reazione predisposta
dall’ordinamento al verificarsi di un fatto illecito.
3) ALTRI FATTI IDONEI A PRODURRE OBBLIGAZIONI: l’attitudine produttiva degli “altri atti o fatti
idonei a produrre obbligazioni” deve essere vagliata tramite il giudizio di conformità
all’ordinamento giuridico. Tra gli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni si possono
richiamare le promesse unilaterali; i titoli di credito; la gestione di affari; il pagamento dell'indebito
e l'arricchimento senza causa. Tali tipi di fonti sono accomunate dal fatto di produrre l'obbligazione
in assenza di un accordo tra due o più parti, come invece avviene nel contratto.
In passato, quando venne introdotta, questa terza fonte rappresentava una novità rispetto al codice
previgente e segnò il passaggio ad un sistema di fonti delle obbligazioni aperto ed elastico.
Prima il sistema era rigido e le fonti erano cinque: la legge, il contratto, il quasi contratto, il delitto e
quasi delitto. La nozione di delitto ha lo stesso valore del fatto illecito; Mentre nel quasi contratto e
quasi delitto erano ricondotte quelle figure che pur somigliavano al contratto e al delitto si
differenziavano per via della presenza di alcuni elementi. L’attuale Codice civile non fa più richiamo
al quasi-contratto e al quasi-delitto, poiché sono stati assorbiti rispettivamente dagli altri atti o fatti
idonei a produrre obbligazioni e dal fatto illecito
L’adempimento
Una volta indagato su profilo delle fonti, va affrontato il tema dell’adempimento che è il modo ordinario di
estinzione dell’obbligazione; l’adempimento è l’attività del debitore, che è dovuta e che realizza l’interesse
creditorio, è la prestazione esatta e corretta da parte del debitore. Prestazione è categoria dell’azione, cioè
designa qualcosa che viene fatta perché deve essere fatta. Quindi l’adempimento è la prestazione esatta
(art. 1218) cioè conforme a quanto previsto dal titolo, e corretta, ovvero rispettosa di criteri ulteriori
rispetto a quelli previsti nel titolo.
La regola della correttezza ha a che fare con la determinazione dell’esatto adempimento, implica l’esigenza
che entrambe le parti del rapporto obbligatorio si comportino con lealtà e onestà. La correttezza viene a
coincidere con la buona fede in senso oggettivo. Qui la buona fede è una regola di condotta che arricchisce
le regole di condotta di cui l’obbligazione si compone. L’obbligazione è già di per sé una condotta, in quanto
fa nascere un obbligo, un debito; indica al debitore cosa debba fare, come debba farlo e quando debba
farlo, soltanto che questa regolazione va arricchita, e questo arricchimento è realizzato grazie all’ulteriore
imperativo di buona fede che è sancito nell’Art.1175, il quale afferma che: il debitore e il creditore devono
comportarsi secondo le regole della correttezza (buona fede). La buona fede è una regola di condotta
indeterminata, vale a dire l’Art.1175 non specifica cosa sia conforme alla buona fede e cosa sia difforme
rispetto alla buona fede, ma dà soltanto un criterio di orientamento.
Il Codice Civile dedica molte disposizioni all’adempimento e si preoccupa anche di risolvere il problema
dell’imputazione del pagamento tramite il ricorso ai criteri legali di cui all’art. 1193 c.c., operanti in via
suppletiva, ove cioè la parti si astengano dal fornire una disciplina. La prima di dette disposizioni è l’art 1176
c.c., che richiama la diligenza del buon padre di famiglia. Il legislatore con “bonus pater familias” si intende
un uomo che ha capacità ed esperienza tale da potere guidare un gruppo, un soggetto perfettamente in
grado di operare nei rapporti sociali ed economici. Si allude a qualità, esperienze, conoscenze, competenze
medie. La diligenza ha due concetti correlati: prudenza e perizia: La diligenza: è la misura di
impegno di sforzo, di dedizione, di scrupolo col quale un soggetto attende alle proprie finalità.
La prudenza è l’adozione di quelle precauzioni, attenzioni finalizzate a prevenire possibili danni e lesioni.
La perizia è l’insieme di conoscenze tecniche e specifiche, dunque la perizia evoca il bagaglio culturale
tecnico che chi opera in una branca deve conoscere.
L’obbligazione può essere eseguita esattamente o no, a seconda che il debitore adoperi o non la perizia,
diligenza e prudenza, medie. Abbiamo due tipi di diligenza:
1) Diligenza tecnica: è una qualità dell’agire che non riguarda la prestazione, riguarda la conservazione della
possibilità di prestare.
2) Diligenza conservativa: a non è una regola di adempimento, ma la precede, è quella misura di sforzo,
impegno, precauzione finalizzata a prevenire tutto ciò che potrebbe rendere la prestazione impossibile.
Il comma 2 art. 1176 è il ruolo reale dell’adempimento e si riferisce alla perizia che è un insieme di regole
tecniche e professionali che compongono il contenuto dell’obbligazione. Tutte le prestazioni di carattere
professionale nascono sostanzialmente indeterminate ma determinabili, determinabili sulla base della
perizia. La perizia, dunque, è una regola di adempimento, è il criterio di determinazione di ciò che il
debitore deve e di ciò che il credito ha diritto ad avere.
L’art.1180 c.c. prospetta la possibilità che anche l’adempimento del terzo possa estinguere una
obbligazione – con effetto liberatorio del debitore - e configurarsi, quindi come esatto: occorre, dunque,
ammettere che il vincolo obbligatorio può venir meno senza che il debitore abbia posto in essere la
prestazione dovuta e ciò è consentito nel rispetto delle condizioni poste dall’art. 1180.
Art.1181 – Adempimento parziale: la prestazione a volte è divisibile (suscettibile di essere divisa in più
porzioni); il fatto che la prestazione sia divisibile non significa che il creditore possa tollerare adempimenti
parziali, cioè possa tollerare che il debitore alla scadenza delle obbligazioni (quando l’obbligazione diventa
esigibile) esegua soltanto una parte della prestazione. Solo eccezionalmente la legge, per venire incontro
all’esigenza di liberazione del debitore che versi suo malgrado in crisi di liquidità e non sia in grado di
onorare regolarmente tutti i propri debiti, sacrifica l’imperativo giuridico della esatta esecuzione della
prestazione dovuta su cui si impernia il rapporto obbligatorio nel c.c.infatti mediante l’esdebitazione, al
debitore di ottenerne la liberazione, con il solo pagamento di una parte; superata la crisi, il beneficiario
dell’esdebitazione può così ripartire da zero tornare ad operare sul mercato. L’adempimento parziale è
adempimento inesatto, ed è rifiutabile. Il creditore può legittimamente rifiutare l’adempimento parziale di
una prestazione divisibile.
Art.1182 – Luogo dell’adempimento: l’articolo prevede che se il luogo non è specificato nel titolo
dell’obbligazione, se non si ricava dagli usi e se non si possa ricavare dalla natura della prestazione, si
osservano le seguenti regole:
a) la prestazione di dare una cosa specifica (bene di specie) deve essere adempiuta nel luogo in cui la
cosa si trova al tempo in cui l’obbligazione è sorta (esempio: compro una tv presso un esercizio
commerciale e non specifico che ci sia la consegna a casa, il luogo della consegna è la sede
dell’esercizio commerciale)
b) se l’obbligazione è “portable” (ovvero ha ad oggetto danaro o titoli di credito), deve essere
adempiuta nel domicilio del creditore; tuttavia, se il domicilio del creditore è mutato rispetto al
giorno in cui l’obbligazione è sorta, e ciò rende particolarmente più complesso e oneroso per il
debitore adempiere, il debitore può pretendere di adempiere al proprio domicilio;
c) in tutti gli altri casi l’obbligazione deve essere adempiuta al domicilio che il debitore ha al momento
della scadenza dell’obbligazione.
Art. 1183, tempo dell’adempimento - Per ciò che concerne il tempo dell’adempimento la legge fissa la
regola secondo cui il creditore può esigere immediatamente la prestazione dovuta (esigibilità: caratteristica
della prestazione che la rende richiedibile in qualsiasi momento)
Art 1184-1887 c.c.: il termine dell’adempimento è fissato nell’interesse del debitore, nell’interesse del
creditore o di entrambi le parti. Il termine si debba computare secondo il calcolo comune, comincia il
giorno iniziale del corso del termine e si compie l’ultimo giorno previsto dal termine e se l’ultimo giorno è
festivo allora il termine scivola al giorno successivo Se il termine è nell’interesse del debitore, il creditore
non può pretendere la prestazione prima che il termine si compia, ma se il debitore desidera, potrà
adempiere ante-tempus, prima che il termine si compia. La prestazione dunque è inesigibile. Se invece il
termine è nell’interesse del creditore, significa che fino al compimento del termine il debitore è libero di
non eseguire la prestazione; ma nulla impedisce al creditore di pretendere la prestazione prima che il
tempo si compia. La prestazione è ineseguibile. L’ art.1185, PENDENZA DEL TERMIINE decreta che, se il
termine è nell’interesse del debitore (quindi è inesigibile), il debitore potrebbe decidere di adempiere ante
tempus, cioè prima che il termine sia scaduto; essa è una libertà che il debitore ha dal momento che il
termine è nel suo 90 interesse. Il comma 2 fa riferimento alla “regola dell’irrepetibilità” (soluti retentio),
ovvero se il debitore adempie ante tempus, il creditore non può più richiedere la prestazione alla fine del
termine, perché il debitore ha già adempiuto. L’art.1186 pone una regola che è posta nell’interesse del
creditore e si chiama DECADENZA DEL BENEFICIO DEL TERMINE. Ovvero, che sebbene il beneficio sia posto
nell’interesse del debitore, questo decade al termine e il creditore può esigere immediatamente la
prestazione in tutti quei casi in cui il debitore sia diventato insolvente (ogni qual volta un debitore non sia in
grado di adempiere tempestivamente le sue obbligazioni) o abbia diminuito per fatto proprio le garanzie, o
non aveva dato le garanzie promesse. Con l’art.1187 il legislatore esaurisce la disciplina del tempo, una di
quelle caratteristiche che la prestazione deve avere per essere esatta. La prestazione oltre ad essere fatta
nel 91 luogo e nel tempo stabiliti deve avere un contenuto corrispondente all’oggetto dell’obbligazione e al
parametro dell’esattezza.
Art. 1188, destinatario del pagamento. La prestazione è esatta se è oggettivamente corrispondente al titolo
e/o alle norme e se è effettuata nelle mani del creditore, del suo rappresentato (legale o volontario), o di
un indicatori di pagamento (soggetto che non è rappresentante ma che è stato nominato dallo stesso
creditore, o dal giudice, come il soggetto nelle mani del quale si può validamente prestare). Se la
prestazione è effettuata nelle mani di un soggetto non legittimato, il debitore non si libera e la prestazione
non è adempimento; a questo punto, il debitore dovrà recuperare la prestazione dal soggetto nelle mani di
cui l’ha fatto, e dovrà eseguire nuovamente la prestazione nelle mani del creditore; a meno che (Art.1188
comma 2) il creditore non ratifichi la prestazione o non ne abbia approfittato. La ratifica è un atto
unilaterale che conferisce effetti ad un altro atto o contratto che di per sé non è in grado di produrre effetti.
Art. 1189: non è una norma sull’adempimento: è un’ipotesi di attuazione del debito senza realizzazione del
credito, ipotesi di scissione di credito e di debito.
Gli artt. 1190-1191 riguardano il patto fatto dal creditore incapace e dal debitore incapace.
Art. 1190: Pagamento al creditore incapace, afferma che il pagamento fatto al creditore incapace di
riceverlo, non libera il debitore, salvo che esso provi che ciò che fu pagato è stato rivolto a vantaggio
dell'incapace. La prestazione non è dunque liberatoria. ll pagamento effettuato nei confronti del creditore
incapace è una prestazione non liberatoria; dunque, non è adempimento a meno che il debitore non provi
che la prestazione sia stata rivolta a vantaggio del creditore incapace.
Art. 1191: Pagamento eseguito da un incapace, norma che invece stabilisce che il debitore che ha eseguito
la prestazione non può impugnarla a causa della propria incapacità. Tale incapacità non rende tale
prestazione ripetibile e non consente l’annullamento. La capacità di agire dunque non è un requisito
dell’adempimento.
L’adempimento è atto dovuto e per attuare un obbligo non è necessario essere capace di agire e dunque
non è necessario essere capace di agire neppure per adempiere e attuare lo svolgimento di un obbligo, qual
è il debito.
Art. 1192, pagamento eseguito con cose altrui. Fa riferimento all’ipotesi in cui il debitore effettua gli
adempimenti con beni che non gli appartengono. Se il debitore ha utilizzato beni che non gli appartengono
è una responsabilità sua nei confronti di chi possiede quei beni. Quindi la questione non deve riguardare il
creditore, il quale può trattenere le cose.
Art. 1193, imputazione del pagamento. Caso particolare ma non infrequente, fattispecie per cui un
debitore ha una pluralità di debiti della medesima specie dal medesimo creditore, non necessariamente
pecuniari. Il debitore deve dichiarare quale tra le diverse obbligazioni a cui egli è legato nei confronti di quel
creditore stia realizzando. Comma 2. Nel caso di mancata dichiarazione il pagamento deve essere imputato
a quella tra le obbligazioni che è già scaduta.
Art. 1194, obbligazioni pecuniarie, il debitore paga parzialmente il pagamento parziale va prima imputato
agli interessi (frutti) e soltanto dopo al capitale, perchè se questo si riduce, si riducono anche gli interessi.
Nelle obbligazioni pecuniarie prima si soddisfano gli interessi e poi si potrà imputare il pagamento alla
sorte;
Art.1195 stabilisce dove il creditore può estinguere i suoi debiti; La “quietanza” è la “ricevuta di
pagamento”, la prova dell’adempimento effettuato rilasciata dal creditore.
Art.1196 c.c.: Le spese necessarie per adempiere sono a carico del debitore
DATIO IN SOLUTUM (prestazione in luogo dell’adempimento) è regolata negli articoli 1197-1198 del c.c.
Art.1197 è formulato in senso negativo, cioè il debitore non può pretendere di estinguere l’obbligazione
effettuando una prestazione diversa da quella dovuta. Tuttavia, il creditore si può accordare (acconsentire)
con il debitore e talora il debitore si può liberare effettuando la prestazione diversa; in altri termini il
debitore si può liberare effettuando una prestazione diversa di eguale o maggiore valore, solo se il creditore
acconsente, mentre per regola generale no; nella datio in solutum c’è bisogno dell’accordo, perché la
prestazione è diversa, e una prestazione diversa può estinguere l’obbligazione solo se il creditore e il
debitore si accordano in tal senso. L’accordo tra creditore e debitore di cui all’Art.1197 non è sulla modifica
dell’obbligazione ( modifiche che le parti possono fare sempre) ma serve per considerare satisfattiva la
prestazione diversa che di per sé non lo sarebbe; quindi la prestazione rimane quella che era, soltanto che
creditore e debitore si accordano affinché la prestazione diversa sia, nonostante il fatto che sia diversa,
liberatoria; questo è un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento, perché
l’obbligazione si estingue per effetto della prestazione diversa e dell’accordo tra debitore e creditore che
considerano liberatoria questa prestazione diversa, perché per sua forza propria questa prestazione
diversa, liberatoria non sarebbe.
Art.1198. – Cessione di un credito in luogo dell’adempimento: è una particolare forma di datio insolutum,
che si realizza tramite la cessione di un credito. È un accordo attraverso il quale si trasferisce il diritto di
credito di un soggetto ad un acquirente terzo che lo acquista ad un determinato prezzo che non pagherà
mai il valore integrale del credito bensì meno, per poi procedere alla riscossione nei confronti del debitore.
L’obbligazione originaria si estingue non quando il credito è ceduto ma quando il debitore ceduto paga la
prestazione al nuovo creditore, chiamato cessionario.
La prestazione in luogo (al posto di) dell’adempimento è una cessione del credito quando il debitore
propone al creditore, in luogo dell’adempimento, la cessione di un credito di valore superiore rispetto a
quello dell’oggetto dell’obbligazione, che esso vanta nei confronti di un terzo debitore; se il creditore
accetta, il debitore principale cede al creditore il credito che vanta nei confronti del terzo. Quindi
l’obbligazione si estingue non quando il credito è ceduto, cioè quando la prestazione differente è stata
eseguita, ma quando il debitore ceduto adempie l’obbligazione e quindi soddisfa il credito che è stato
trasferito al creditore in luogo dell’adempimento.
ESEMPIO: se il debitore deve consegnare un bene che vale 100 e propone al creditore in luogo
dell’adempimento il pagamento di una somma di denaro pari a 100, se il creditore accetta, l’obbligazione di
consegnare il bene originario si estingue nel momento in cui il debitore paga 100; se invece il debitore
propone in luogo dell’adempimento non la somma di 100 ma la cessione di un credito di 110, l’obbligazione
originaria di consegnare un bene che vale 100 non si estingue nel momento in cui il debitore cede al
creditore il credito che vanta con un terzo debitore, ma nel momento in cui il debitore terzo adempie
(effettua la prestazione) nelle mani del creditore originario (creditore cessionario). Quindi l’estinzione
dell’obbligazione è posticipata, e questo perché la cessione del credito è una valida prestazione alternativa,
ma non è sicura quanto lo è la dazione di una somma di denaro o l’effettuazione di un servizio o la
consegna di un bene diverso.
Fintanto che il debitore ceduto non paga nelle mani del creditore cessionario, il debitore che ha ceduto il
credito rimane vincolato. Il debitore ceduto non può rifiutarsi di essere ceduto, salvo le prestazioni di
carattere personale. Quando la prestazione è “intuitu personae”, cioè quando la prestazione è legata alle
caratteristiche personali del debitore, come del creditore, non è sostituibile ovvero è infungibile (il bene
non può essere sostituito, in quanto individuato dalle parti di una relazione ad un dato rapporto).

SURROGAZIONE
L’istituto della surrogazione è disciplinato dal legislatore dagli articoli da 1201 a 1205.
Dal punto di vista tecnico la surrogazione è una modifica dell’obbligazione sul versante attivo;
l’obbligazione muta dal lato attivo; ma questa particolare modificazione del lato attivo del rapporto
obbligatorio è sempre legata a fenomeni di adempimento o comunque sempre legata alla realizzazione
dell’interesse del creditore originari.
Esistono tre tipologie di surrogazione: per volontà del creditore, per volontà del debitore e legale.
Art.1201 - Surrogazione per volontà del creditore: se il creditore riceve la prestazione da un terzo
(Art.1180), è libero di surrogarlo affinché egli subentri (non gli sta cedendo il credito bensì lo sta facendo
subentrare) e lo sostituisca; il terzo, avrà quindi il credito che lui stesso ha soddisfatto, e potrà recuperare le
somme o i beni con le quali ha soddisfatto l’interesse del creditore. Le uniche 2 prescrizioni che l’Art. 1201
impone sono:
a) vi sarà un atto d surrogazione dove il creditore dichiara espressamente di surrogare il terzo nei porpri
diritti;
b) la surroga deve essere contemporanea al pagamento e questo avverrà di solito nel momento in cui lil
creditore rilascia la quietanza.
Art.1202 - Surrogazione per volontà del debitore: l’ipotesi è che il debitore deve prestare e per effettuare
la prestazione si procura i soldi o i beni necessari per prestare da un terzo (in genere la banca); se questo
finanziamento è erogato appositamente per soddisfare quel determinato credito, tecnicamente si chiama
mutuo di scopo, in tal caso il creditore soddisfatto dall’adempimento che il debitore ha effettuato grazie
alle risorse messe a disposizione dal finanziatore, deve subire che il debitore possa surrogare nel credito del
creditore il terzo finanziatore. Cioè nel caso in cui il debitore si procuri da un terzo le somme necessarie per
adempiere, quando si procura tali somme, purché si tratti di un mutuo di scopo, il debitore può surrogare il
terzo finanziatore nel diritto di credito che grazie alle somme che lui gli mette a disposizione il debitore sta
estinguendo. Esempio: tizio deve a caio 100, le somme per adempiere tizio le chiede a sempronio come
mutuo di scopo; nel momento in cui tizio ha la somma e adempie nei confronti di caio, surroga nel diritto
del creditore il terzo, e il creditore non si può opporre. Il vantaggio è che il finanziatore ha due canali per
recuperare le somme prestate a tizio, ovvero il contratto del finanziamento, in virtù del quale se non si
adempie il debitore può subire un’azione per inadempimento, e il credito originario, cioè quel credito per
soddisfare il quale sempronio ha erogato le somme di denaro. Il credito che il finanziatore sta realizzando
grazie alle somme finanziate è garantito, in quanto esso potrà avvalersi della garanzia; cioè se il credito che
sta realizzando è garantito da un pegno, ipoteca o fideiussione, con la surrogazione potrà recuperare le
somme prestate. L’Art.1202 prevede alcuni requisiti affinché questa fattispecie si realizzi:
- l’atto di mutuo sia indicata espressamente la specifica destinazione della somma mutuata.
- il mutuo e la quietanza risultino da atto avente data certa (Art.2704 un atto ha data certa se: è un atto
pubblico; è una scrittura privata con sottoscrizione autenticata dal notaio; è una scrittura privata registrata
in pubblici registri; si è verificato un evento quale che esso sia che decreta la sicura anteriorità dell’atto).
- nella quietanza, il debitore deve menzionare la provenienza delle somme utilizzate per adempiere e il
creditore non può rifiutarsi di inserire nella quietanza tale dichiarazione.
Se concorrono questi tre requisiti, il terzo finanziatore è surrogato, cioè subentra nel diritto di credito che
grazie al prestito erogato il debitore sta realizzando, avendo così un altro strumento per ottenere le somme
finanziate.
Art.1203 - Surrogazione legale: vi sono delle ipotesi in cui la surrogazione avviene per effetto di legge, e
sono:
1) la surrogazione avviene per effetto di legge, a vantaggio di chi, essendo creditore ancorché chirografario
(creditore privo di garanzia; il creditore garantito si chiama creditore privilegiato) paga un altro creditore
che ha diritto di esservi preferito in ragione di uno dei suoi privilegi, oppure di un pegno o un’ipoteca.
Esempio: il debitore che ha un debito nei confronti di due creditori A e B; debito di 50 nei confronti di A e
100 nei confronti di B. Il creditore A ha ipoteca sul bene del debitore, il creditore B è chirografario; se B
paga (soddisfa) il creditore A che è creditore privilegiato (ovvero creditore che ha una causa legittima di
prelazione), evita di correre il rischio di non trovare beni sufficienti nel patrimonio del debitore per il
soddisfacimento del suo diritto a ricevere la prestazione, e così facendo il creditore A è automaticamente
(per legge) surrogato nel suo diritto (nel diritto del creditore garantito). Quindi B si ritrova ad essere titolare
di un credito di 100+50 presidiato da una garanzia (ipoteca), e può richiedere l’estensione dell’ipoteca per
l’ammontare totale del credito vantato. Per il creditore B fare ciò è vantaggioso perché surrogandosi
(subentrando) nel diritto del creditore privilegiato ne acquisisce altresì le garanzie previste a tutela del
credito, credito che sennò sarebbe esposto ad un rischio d’insolvenza. Tutto ciò non avviene per volontà del
creditore né del debitore ma automaticamente per effetto di legge.
2) A vantaggio dell’acquirente di un immobile che, fino alla concorrenza del prezzo di acquisto paga uno o
più creditori a favore del quale il bene immobile è ipotecato. Quando un bene immobile è ipotecato, accade
che esso può circolare però circola gravato dall’ipoteca, cioè se il titolare proprietario cede il diritto, non lo
cede libero, bensì gravato dall’ipoteca. I beni ipotecati sono beni che vengono acquistati a un valore
inferiore rispetto a quello di mercato, perché chi acquista rischia di perdere il bene stesso, acquista un bene
gravato da ipoteca può liberarsi, pagando il creditore che è garantito da quel bene; estinguendo quel
credito può cancellare l’ipoteca sul proprio bene. Chi acquista un bene ipotecato, pagando il prezzo al
venditore, corre il rischio che esso non paghi il proprio creditore e non estingua il debito, e che di
conseguenza il creditore, che ha ipoteca sul bene acquistato, non attenda il pagamento del suo debitore e
aggredisca immediatamente l’immobile facendolo vendere all’asta. La legge stabilisce che quando un
soggetto vuole acquistare un bene ipotecato può, invece che pagare il prezzo al debitore, pagare il prezzo
nelle mani del creditore, a garanzia del cui diritto quel bene è stato ipotecato, sino alla concorrenza del
valore del prezzo. Pagando al creditore, l’acquirente è surrogato nel suo diritto per legge, e quindi
subentrato nel diritto di credito potrà andare dal conservatore dei registri immobiliari e chiedere la
cancellazione dell’ipoteca. Esempio: A offre in vendita a B un immobile di 1.000.000 euro ma gravato da
ipoteca di 400.000 euro. B non è disposto a pagare più di 600.000 euro perché il bene è ipotecato e si corre
un rischio; invece, di dare 600.000 ad A, può decidere di dargli solo 200.000, e pagare 400.000 (ammontare
del credito garantito dal bene che B sta acquistando) direttamente al creditore, in modo tale che la legge
faccia subentrare B nel diritto del creditore e gli faccia cancellare l’ipoteca; così facendo B diventa
proprietario di un bene completamente libero da ipoteca.
3) Si ha surrogazione legale a vantaggio di colui il quale è tenuto, con altri o per altri, al pagamento del
debito, nel caso in cui aveva interesse a soddisfarlo. Esempio: gli obbligati solidali; se io sono
amministratore insieme a tot. soggetti di un’associazione non riconosciuta, delle obbligazioni che
assumiamo in nome e per conto dell’associazione, risponderà il fondo comune dell’associazione ma anche il
nostro patrimonio. Se un terzo creditore dell’associazione agisce nei miei confronti, se io adempio per tutti
(è caratteristica dell’obbligazione solidale che l’obbligato solidale, se chiamato a adempiere paga l’intero
debito e poi chiede agli altri la quota di debito), poiché coobbligati pro-quota, pagando io il 100% al
creditore, vengo surrogato nel suo diritto e posso pretendere nei confronti dei coobbligati la restituzione
delle somme sborsate per adempiere, meno che la mia quota. Il vantaggio in tal caso si delinea nella
surrogazione nel diritto del creditore dell’associazione, o nel caso in cui il creditore fosse anche garantito,
tramite garanzia sul bene o tramite l’azione di regresso tipica delle obbligazioni solidali. Esistono anche gli
obbligati solidali nell’interesse esclusivo di un soggetto, ed è il caso del fideiussore. Per ottenere il
finanziamento si chiede ad un terzo che presti fideiussione (che si impegna a pagare la medesima somma
nel caso di mancato pagamento), in tal caso la banca può chiedere la restituzione del credito concesso o al
debitore principale finanziato o al garante. Immaginiamo che li chieda al garante che ha prestato
fideiussione e quest’ultimo paghi il debito; in tal caso dal debitore principale, il garante che ha pagato il
debito recupera la totalità delle somme perché il garante non è coobbligato con il debitore principale bensì
è obbligato nel suo interesse. L’Art.1203 ci vuole dire che sia nel caso di coobbligazione solidale, sia nel caso
di obbligati solidali nell’interesse esclusivo di un soggetto, se uno degli obbligati in solido paga l’intero, è
surrogato nel credito che sta soddisfacendo per recuperare la quota degli altri o l’intera somma nel caso si
sia obbligato in solido nell’interesse esclusivo dell’altro.

MORA DEL CREDITORE


L’obbligazione rispecchia un fenomeno di cooperazione tra i soggetti del rapporto. La cooperazione del
creditore rientra tra i limiti del diritto di credito; il creditore ha il diritto di pretendere la prestazione, ma
non può essere costretto con la forza a riceverlo e non può prolungare la vita dell’obbligazione, non
consentendo la liberazione del debitore, oltre il tempo fisiologico dell’adempimento. Se il creditore potesse
liberamente rifiutare la prestazione o rifiutarsi di cooperare, il debitore potrebbe rimanere vincolato al
creditore per un tempo indefinito, e il diritto contemporaneo non tollera vincoli di questo tipo. Il
comportamento del creditore, che senza motivo legittimo, rifiuta la prestazione o non coopera, è un
comportamento scorretto, in quanto vìola quel limite che la buona fede in senso oggettivo (Art.1175)
impone, e si traduce in un esercizio abusivo del diritto di credito.
Il Codice agli Artt.1206 e seguenti prevede l’istituto della mora del creditore; la mora è un istituto
finalizzato ad esercitare una pressione psicologica sul creditore, per indurlo ad accettare quella prestazione
che egli spontaneamente, senza alcun motivo legittimo, si rifiuta di ricevere o rispetto alla quale si rifiuta di
cooperare. Questa pressione psicologica si chiama coercizione indiretta; essa si realizza collegando alla
costituzione in mora del creditore, delle conseguenze negative. Il creditore una volta costituito in mora
subisce effetti negativi che dovrebbero indurlo ad accettare quella prestazione.
Gli effetti negativi sono sanciti nell’Art.1207 e sono:
1) Dopo essere stato costituito in mora, è a carico del creditore l’impossibilità sopravvenuta della
prestazione per causa non imputabile al debitore.
2) Dal momento della costituzione in mora non sono più dovuti dal debitore gli interessi, né i frutti sul bene
oggetto della prestazione, salvo quelli che siano stati percepiti dal debitore.
3) Il creditore è tenuto a risarcire i danni che derivano dalla mora e a sostenere le spese della eventuale
custodia dei beni oggetto della prestazione.
L’effetto più significativo è il primo; se la prestazione diventa impossibile per evento sopravvenuto che il
debitore non poteva prevedere ed evitare, si producono due effetti:
a) il debitore è libero (si estingue l’obbligazione);
b) impedisce di considerare il debitore inadempiente (è causa di esonero dalla responsabilità).
Se già di per sé l’impossibilità sopravvenuta produce questi effetti a vantaggio del debitore, quale sarebbe
l’effetto più gravoso che la mora produce a carico del creditore e che dovrebbe indurlo a ricevere la
prestazione per non correre quel rischio? In un contratto con prestazioni corrispettive, cioè un contratto in
cui entrambe le parti sono tenute ad effettuare una prestazione nei confronti dell’altra (ad esempio una
vendita: io cedo un bene, tu mi paghi un prezzo), quando una delle due prestazioni diventa impossibile per
causa non imputabile, l’altra prestazione, se ancora non effettuata, non è dovuta; se è stata effettuata può
essere ripetuta (se ne può chiedere la restituzione). Quando il creditore è in mora, se la prestazione di
controparte diventa impossibile per causa non imputabile al debitore, il creditore rimane tenuto ad
eseguire la sua prestazione (questo vuol dire “a suo carico”).
Esempio: il collega deve consegnarmi un mobile e ha provato a consegnarlo per più giorni, ma io mi sono
sempre negato non consentendogli di realizzare la prestazione; lui mi costituisce in mora; se ci riprova
un’altra volta e durante il tragitto il fiume esonda e il mobile è distrutto, io rimango tenuto a pagargli il
corrispettivo.
Come si costituisce in mora il creditore?
È necessario ricorrere ad un’offerta formale, ovvero un’offerta che deve avere i requisiti previsti
dall’Art.1208:
1) Il debitore deve offrire la prestazione al creditore o ad un indicatore di pagamento;
2) L’offerta deve comprendere la prestazione, i frutti, gli interessi, le spese liquide, e una somma
aggiuntiva per le spese non ancora liquide;
3) Il termine di adempimento deve essere scaduto se è stato stipulato nell’interesse del creditore;
4) L’offerta deve essere fatta al domicilio del creditore e deve essere effettuata per il tramite di un
pubblico ufficiale (in genere l’ufficiale giudiziario). Esistono due tipologie di offerte formali: l’offerta reale e
l’offerta per intimazione.
Art.1209 comma 1 - L’offerta reale: consiste nella consegna materiale del bene; prevede che l’offerta reale
vada fatta soltanto quando il credito è pecuniario, o titoli di credito (assegno, cambiale…), cose mobili che
devono essere consegnate al domicilio del creditore.
Art.1209 comma 2 – L’intimazione: se si tratta di obbligazioni aventi ad oggetto beni mobili da consegnare
al domicilio del debitore o altrove, o beni immobili (Art.1216 comma 1), in questo caso l’offerta formale
avviene per intimazione; cioè viene notificata al creditore, dall’ufficiale giudiziario, un avviso nel quale il
creditore viene invitato a presentarsi in un determinato luogo, in un determinato giorno e in una
determinata ora, per ricevere quella prestazione.
L’offerta formale di per sé non è in grado di produrre effetti; affinché questi si producano è necessario che
l’offerta formale, reale o per intimazione che sia, venga accettata dal creditore o dichiarata valida (qualora il
creditore non l’accetti, il debitore deve agire in giudizio affinché un giudice con sentenza non più
impugnabile accerti che quell’offerta formale ha tutti i requisiti previsti dall’Art.1208) con sentenza passata
in giudicato.
Art.1207 comma 3 - stabilisce che gli effetti della mora non si producono dal giorno dell’accettazione o del
passato il giudicato della sentenza, ma gli effetti retroagiscono al giorno in cui l’offerta formale è stata
elaborata. In questo modo il debitore ha introdotto uno strumento per esercitare una pressione psicologica
sul creditore e indurlo ad accettare, ma il debitore non si è liberato, è comunque vincolato all’obbligazione
e di conseguenza dovrà custodire il bene, conservare le somme necessarie a titolo di interesse, i frutti, le
spese; tutte queste immobilizzazioni sono improduttive.
L’Ordinamento Giuridico mette a disposizione del debitore un ulteriore strumento per liberarsi
dell’obbligazione contro la volontà del creditore; tale strumento si chiama “Deposito liberatorio” (Artt.1210
e seguenti). Non c’è consecuzione tra mora accipiendi e deposito; non si deve prima costituire in mora il
creditore e poi chiedere il deposito.
L’Art.1210 dice che se il creditore non accetta l’offerta formale, il debitore ha due alternative:
a) proseguire per costituirlo in mora;
b) ricorrere al deposito. Per i beni immobili il deposito non è possibile;
Art.1212 – Requisiti del deposito. Se ricorrono tutti i requisiti di cui all’Art.1212, il debitore è liberato se:
a) il creditore accetta il deposito;
b) il deposito è dichiarato valido con sentenza passata in giudicato (Art.1210). Il deposito non produce
effetto se il debitore lo ritira prima che il creditore lo accetti o prima che il giudice dichiari il deposito valido
con sentenza passata in giudicato.
L’Art.1216 prevede l’istituto del sequestro. Dopo aver fatto formale tramite intimazione, qualora il
creditore non si presenti, il debitore può agire in giudizio chiedendo al Tribunale del luogo in cui il bene si
trova, di nominare un sequestratario. Il sequestratario è un soggetto (in genere un avvocato, un
commercialista) al quale viene affidata la custodia dell’immobile; a seguito della nomina del sequestratario,
il debitore è libero, anche contro la volontà del creditore.
Art.1214 – Offerta secondo gli usi e deposito: l’offerta secondo gli usi è l’offerta di prassi in quel contesto,
tuttavia essa non è idonea per la costituzione in mora. Tuttavia, se il creditore rifiuta l’offerta secondo gli
usi, e se il debitore procede al deposito secondo i requisiti dell’Art.1212, e se il deposito è accetto o
dichiarato valido, il creditore è costituito in mora.
Riepilogando: l’offerta formale seguita dal deposito, porta alla liberazione del debitore; l’offerta secondo gli
usi seguita dal deposito, porta alla costituzione in mora. Esiste anche l’offerta non formale e non secondo
gli usi; essa non è idonea a costituire in mora il creditore, neppure se seguita da deposito; l’unico effetto è
quello che di impedire che venga costituito in mora il debitore (Art.1220).
Art.1217 – Obbligazioni di fare: se la prestazione consiste in un fare, il creditore è costituito in mora
mediante intimazione di ricevere la prestazione o di compiere gli atti che sono da parte sua necessari per
renderla possibile. In questo caso l’intimazione può essere fatta anche secondo gli usi. È più facile costituire
in mora il creditore nel caso di prestazioni di fare, per due ragioni:
a) nelle obbligazioni di fare non c’è un bene da collocare nella sfera giuridica di qualcuno;
b) nelle obbligazioni di fare, la cooperazione del creditore è più rilevante (raramente una prestazione di
fare può essere eseguita senza la collaborazione del creditore).
Esempio: mi sono obbligato ad effettuare una determinata indagine di mercato; tuttavia, il creditore non mi
dà gli strumenti per poterla effettuare; io gli intimo per iscritto di consentirmi di accedere ai suoi documenti
per fare la mia indagine di mercato. Dopo la costituzione in mora il Ministero dell’economia vieta la
commercializzazione di quel prodotto; non ha più senso effettuare l’indagine di mercato, ma io ho
comunque diritto al corrispettivo, perché c’è stata la costituzione in mora. Il codice prevede altri modi di
estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento. Si è soliti distinguere i modi di estinzione in
satisfattivi e non satisfattivi. Sono satisfattivi quei modi di estinzione dell’obbligazione che garantiscono al
creditore una qualche utilità; sono non satisfattivi quei modi di estinzione dell’obbligazione che non
apportano al creditore alcuna utilità (secondo il professore questa concezione è sbagliata, in quanto sia tra i
modi satisfattivi che fra quelli non satisfattivi, non ci sono elementi comuni; inoltre non discende nessuna
conseguenza pratica dalle due qualificazioni). I modi di estinzione diversi dall’adempimento sono: la
novazione (non satisfattivo), la remissione (non satisfattivo), la compensazione (satisfattivo), la confusione
(satisfattivo), l’impossibilità sopravvenuta della prestazione (non satisfattivo); secondo il professore
rientrano in questa categoria anche il pagamento al creditore apparente e la prestazione in luogo
dell’adempimento.

LA NOVAZIONE
La novazione oggettiva comporta l’estinzione dell’originaria obbligazione per via della creazione di un altro
rapporto obbligatorio, diverso da quello precedente. Si ha novazione quando un’obbligazione preesistente
viene sostituita da una nuova obbligazione. Per innovare devono essere integrate determinate condizioni:
1) l’obbligazione deve essere diversa da quella originaria, o per titolo o per oggetto;
2) ci vuole un accordo esplicito;
Esempio: il collega è tenuto a pagarmi 100 a titolo di finanziamento; l’obbligazione si nova se quella stessa
identica somma si impegna a pagarmela a titolo di corrispettivo di un bene. In questo caso pur essendo
identico l’oggetto dell’obbligazione, muta il titolo e quindi la stessa prestazione sarà dovuta ma per una
causa differente.
Se non si specifica nell’accordo con il creditore che la nuova obbligazione sostituisce la precedente, non si
ha novazione e il debitore di trova obbligato due volte.
Art.1232 – Privilegi, pegno e ipoteche: l’estinzione dell’obbligazione originaria determina anche l’estinzione
di eventuali garanzie, reali o personali; questo perché i diritti di garanzia sono sempre di natura accessoria,
e per regola generale l’accessorio segue la cosa principale. Tuttavia, l’Art.1232 consente a creditore e
debitore di conservare le garanzie, ma deve essere specificato nell’accordo novativo.
Art.1234 – Inefficacia della novazione: la novazione è inefficacie nel caso in cui l’obbligazione originaria
risulti inesistente. Nel caso in cui l’inesistenza dell’obbligazione originaria dipenda da un titolo annullabile,
la novazione è efficacie se il debitore, quando ha novato, era consapevole della causa di annullamento;
questo perché l’annullamento è una causa di nullità che è rimessa alla scelta del contraente che l’ha a
disposizione; se esso, consapevole di tale causa, decide di novare, è come se stesse rinunciando ad
annullarlo.
Art.1235 – Novazione soggettiva: la novazione è soggettiva quando muta la persona del debitore; il
mutamento della persona del debitore può avvenire per delegazione, espromissione ed accollo.
LA REMISSIONE
Artt.1236 e seguenti – Remissione del debito: è la rinuncia del creditore al proprio credito; il creditore,
come tutti i titolari del diritto soggettivo, vi può rinunziare. Tuttavia essendo il diritto di credito un diritto
relativo, non coinvolge soltanto il titolare, ma anche controparte;
l’Art.1236 stabilisce che la dichiarazione del creditore di rinunziare al proprio diritto estingue l’obbligazione,
salvo che il debitore dichiari di non volerne approfittare (in quel caso l’obbligazione non si estingue).
Art.1237: Quando il creditore restituisce il titolo originario del credito, questo viene considerato prova
dell’avvenuta remissione.
Art.1239: la remissione accordata al debitore principale, libera anche i fideiussori.

LA COMPENSAZIONE
La compensazione opera quando tra 2 soggetti coesistano ragioni di debito o credito reciproche aventi
fonte in rapporti giuridici diversi. È un modo di estinzione dell’obbligazione satisfattivo diverso
dall’adempimento, in quanto l’obbligazione si estingue, ma il creditore ha un risparmio in termini di spesa.
La compensazione è di 3 tipi: legale, giudiziale e volontaria
Art.1243 comma 1 - Compensazione legale: presuppone che vi siano due crediti reciproci (che si
contrappongono); il creditore vanta un debito nei confronti del suo debitore, ma allo stesso tempo il
debitore vanta un credito nei confronti del creditore. I due crediti contrapposti devono nascere da rapporti
diversi (fonti diverse) altrimenti si ha compensazione impropria (e non è compensazione). I due crediti
devono essere entrambi omogenei, liquidi, ed esigibili, come sancito dall’Art.1243 comma 1. I due crediti
sono omogenei quando hanno entrambi ad oggetto somme di danaro oppure cose fungibili, dello stesso
genere, della stessa specie; sono liquidi quando sono determinati nel loro preciso ammontare (facilmente
determinabile in base al titolo con un semplice calcolo aritmetico) ; sono esigibili quando il termine per
adempiere è scaduto o non è mai stato posto. Se concorrono questi tre requisiti, i due crediti contrapposti
si estinguono per le quantità corrispondenti (Art.1241). Esempio: se Tizio vanta un credito di 100 da Caio
suo debitore, ma lui vanta un credito di 30 nei confronti di Tizio, il credito di Tizio nei confronti di Caio si
riduce a 70. Vale a dire le due obbligazioni si estinguono per le quantità corrispondenti; se sono due crediti
identici (estinzione integrale), se un credito è maggiore e l’altro minore, il credito maggiore si riduce in
misura pari all’ammontare del credito contrapposto (estinzione parziale). La compensazione non opera
automaticamente (cioè non può essere rilevata d’ufficio dal giudice), ma deve essere eccepita dalla parte
interessata.
Art.1243 comma 2 - Compensazione giudiziale: è quella attuata e decisa, su richiesta delle parti, dal
giudice, in tal caso è necessario che i debiti siano omogenei ed esigibili, ma non è richiesta la liquidità. In
questo caso spetta al giudice valutare se sussiste il requisito di una pronta e facile liquidazione e, quindi
dichiarare la liquidazione per la parte del credito che riconosce esistente, o anche sospendere la condanna
per il controcredito liquido fino all’accertamento del credito non ancora liquido, ma di pronta e facile
liquidazione opposto in compensazione.
Art.1252 - Compensazione volontaria: si può verificare per volontà delle parti anche in mancanza delle
condizioni di omogeneità, liquidità ed esigibilità, fermo restando logicamente il requisito della reciprocità
dei crediti. Si tratta in questo caso di un vero e proprio contratto, stipulato da due soggetti reciprocamente
debitori e creditori. L’estinzione dei debiti reciproci si produce al momento in cui l’accordo è concluso.
Art.1246 – Casi in cui la compensazione non si verifica: non tutti i crediti posso essere portati in
compensazione:
- il credito per la restituzione delle cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente spogliato; cioè il credito
di restituzione del bene che è stato illegittimamente sottratto al proprietario non può essere portato in
compensazione.
- il credito per la restituzione di cose che sono state date in pegno o in comodato: chi ha ricevuto un bene
da custodire non può servirsene per offrirlo in compensazione all’altra parte, perché è necessario dare
priorità al ripristino della proprietà.
- i crediti che non possono essere oggetto di pignoramento: es. il salario del lavoratore non è pignorabile o
cedibile, se non nella misura di 1/5; perché dal salario dipende il sostentamento e la dignità dell’individuo. -
rinunzia alla compensazione da parte del debitore. - divieti di compensazione previsti dalla legge (esempio:
non è compensabile il credito di natura alimentare).
Art.1247 – Compensazione opposta da terzi garanti: il fideiussore (garante personale), può opporre in
compensazione il debito che il creditore ha verso il proprio debitore. Se io sto garantendo il credito di tizio e
se il debitore di tizio ha un credito nei suoi confronti, nel caso in cui vengo chiamato ad adempiere, allora
posso portare in compensazione (mi posso opporre al creditore che esige la garanzia), lo stesso credito che
avrebbe potuto opporre al creditore garantito il debitore che io sto garantendo. Esempio: Tizio deve 100 a
Caio; Caio pretende una fideiussione, e la presta Sempronio. Il creditore chiede l’adempimento e
Sempronio, il quale è chiamato a pagare 100; dal momento che Tizio ha un credito di 20 nei confronti del
suo creditore, Sempronio, pur non essendo un suo diritto, lo può portare in compensazione in quanto sta
adempiendo un debito non è suo. In quanto garante, è quindi più che giustificato che porti in
compensazione quel credito che qualora la prestazione fosse stata richiesta a Tizio, esso avrebbe potuto
opporre al creditore.

LA CONFUSIONE
Artt.1253, 1254, 1255; la confusione si verifica quando il debitore diviene creditore di sé stesso, cioè
quando le qualità di creditore e di debitore si riuniscono nello stesso soggetto, e si perde la
plurisoggettività del rapporto. Si verifica soprattutto in materia di successione mortis causa (esempio: sono
debitore di una persona che muore e mi rende titolare dei suoi crediti: sono erede anche del diritto di
credito che egli vantava nei miei confronti, quindi l’obbligazione si estingue in maniera satisfattiva perché il
debitore è soddisfatto dal fatto che non deve più effettuare la prestazione).
Art.1254 – Confusione rispetto a terzi: la confusione non opera in danno dei terzi che hanno acquistato
diritti di usufrutto o di pegno sul credito. Ad esempio, il diritto di credito può, in quanto diritto relativo,
essere oggetto di usufrutto e di pegno, e la confusione non può operare perché vanificherebbe la garanzia
del terzo. Esempio: sono debitore di 50.000€ nei confronti di una persona, che a sua volta ha dato in pegno
il suo credito ad un terzo per soddisfare un diritto di credito del terzo nei suoi confronti; la persona di cui io
sono debitore muore e io divento creditore di me stesso perché mi ha trasferito mortis causa il suo diritto
di credito. La confusione non opera perché il terzo si ritroverebbe privo di garanzia

L’IMPOSSIBILITA’ SOPREVVENUTA PER CAUSA DELLA PRESTAZIONE


Se la prestazione è impossibile sin dall’origine, l’obbligazione non viene ad esistenza, perché la possibilità di
prestare è una condizione di esistenza dell’obbligazione.
Art.1256 – Impossibilità sopravvenuta della prestazione: se la prestazione diventa impossibile per cause
non imputabili al debitore, l’obbligazione si estingue.
La non imputabilità si ha ogni qualvolta l’evento che ha determinato l’impossibilità della prestazione non
era prevedibile, oppure anche laddove prevedibile non era evitabile; la non prevedibilità dell’evento
esclude la colpa. L’obbligazione sorge perché la prestazione è realizzabile, e poi a causa di un fatto
sopravvenuto diviene impossibile.
La colpa è il criterio di imputazione dell’evento che genera l’impossibilità della prestazione. Colpa è
mancanza di diligenza; la diligenza indica innanzitutto lo sforzo richiesto al debitore per garantire al
creditore l’esatto adempimento, la diligenza è lo sforzo di prevedere ed evitare fatti che potrebbero
ostacolare o impedire la prestazione, quindi la diligenza dell’Art.1176 ha nell’obbligazione il ruolo di
imporre al debitore di adottare l’attenzione necessaria per evitare che fatti sopravvenuti possano rendere
la prestazione impossibile. Se l’evento sopravvenuto non poteva essere previsto perché non c’erano segnali
che, applicando la diligenza, avrebbero potuto metterlo in allarme o se pur potendo prevedere non ha
potuto evitare, in tal caso non c’è colpa, l’evento non è imputabile e l’obbligazione si estingue.
Questo è un altro rischio che il creditore corre, ovvero, di non vedere realizzato il proprio interesse in
quanto un fatto sopravvenuto abbia reso la prestazione impossibile per causa non imputabile al debitore;
rischio che si aggrava se il creditore è costituito in mora, in quanto in tal caso non solo perderà il proprio
diritto e non otterrà la prestazione, ma per di più sarà costretto a pagare la controprestazione in quanto
avendo determinato il prolungamento della vita dell’obbligazione deve sobbarcarsi quell’incremento del
rischio che l’allungamento della durata dell’obbligazione ha determinato.
In cosa consiste l’impossibilità? Vi sono diverse tesi a riguardo:
1° concezione – (che ha avuto un seguito limitato nel corso dell’800), l’impossibilità va intesa in senso
soggettivo: è un fatto impossibilitante qualunque evento che ostacoli la prestazione, rendendola più
complessa per il debitore realizzarla. Esempio: l’imprenditore a causa di uno sciopero dei propri dipendenti
non è in grado di consegnare tempestivamente i beni/servizi che si è impegnato a consegnare; secondo
questa concezione sarebbe esonerato dalla responsabilità, ma oggi i giudici dicono che lo sciopero è sì un
fatto che crea difficoltà, ma che non impedisce di prestare in quanto l’imprenditore avrebbe potuto
accordarsi con i suoi dipendenti inducendoli a tornare a lavoro, o ingaggiare della manovalanza per
l’occasione per provvedere alla produzione sino a che i lavoratori non avessero deciso di tornare a svolgere
le loro mansioni, quindi si dice che l’impossibilità soggettiva è mera difficultas praestandi, e dunque non è
idonea ad estinguere l’obbligazione quando derivi da fatti non imputabili al debitore. Questa concezione si
è sviluppata nei periodi di crisi in cui le aziende erano molto soggette agli scioperi dei propri dipendenti.
Superati i periodi di crisi, si è tornati alla “normalità” e si è tornati alla concezione secondo cui
l’impossibilità non può consistere nella mera difficoltà di prestare ma deve essere un impedimento diretto
alla prestazione, cioè l’impossibilità deve essere oggettiva, ovvero deve colpire la prestazione in sé, non la
capacità del debitore di effettuarla, deve essere un evento che impedisce di realizzare proprio la
prestazione in quanto tale. Esempio: ritornando all’esempio dell’imprenditore, se immaginiamo che lo
sciopero è difficultas praestandi, un ordine della pubblica autorità che vieti la produzione di quei beni che
quell’imprenditore produce, questa è impossibilità oggettiva, perché colpisce la prestazione in sé e per sé.
L’impossibilità deve colpire la prestazione e non la capacità di prestare del debitore.
2° concezione – (della dottrina tradizionale che ha avuto come maggiore esponente il prof. Giuseppe Osti),
propugna un’idea d’impossibilità non solo oggettiva ma addirittura assoluta: nel senso che l’evento
sopravvenuto non solo deve ostacolare la prestazione in sé e per sé e non la capacità del debitore di
prestare (impossibilità oggettiva), ma per di più deve essere un evento che impedisce a chiunque di
prestare , cioè deve trattarsi di un evento che rende impossibile la prestazione in senso naturalistico. Per
Osti, i fatti che generano impossibilità sono: il caso fortuito, la forza maggiore e il factum principis, cioè
l’atto autoritativo che vieta di porre in essere quella prestazione. Questa concezione d’impossibilità è
ripresa da Luigi Mengoni, secondo cui l’impossibilità della prestazione deve essere oggettiva e relativa. Per
Mengoni si ha impossibilità non soltanto quando un evento sopravvenuto rende impossibile in natura la
prestazione per chiunque, ma anche quando l’evento sopravvenuto si abbatte sulla prestazione in sé e per
sé rendendola non realizzabile con i mezzi (attività, denaro, beni strumentali) che il debitore si è obbligato
ad adoperare per realizzare il risultato. Esempio: Un barcaiolo deve portare con la sua barca dei turisti in
un’altra isola; se il mare è mosso il barcaiolo è impossibilitato perché servirebbe un mezzo superiore
rispetto a quello che si è impegnato ad utilizzare.
Art.1256 comma 2 - Impossibilità temporanea: se l’evento sopravvenuto che colpisce la prestazione non
elimina la possibilità di adempiere del tutto ma è solo passeggero, finché la prestazione è impossibile il
debitore non può essere considerato inadempiente, cioè non può essere considerato in ritardo (che è una
forma di adempimento inesatto). Esempio: provvedimento amministrativo che vieta la commercializzazione
della carne bovina. È un divieto verosimilmente temporaneo, e quindi l’obbligazione non si estingue. Se
però l’impossibilità perdura sino al punto da rendere quell’obbligazione, o per la sua natura intrinseca o per
il tipo di interesse che il creditore intende soddisfare, oramai non più utile perché è venuto meno
oggettivamente l’interesse del creditore, allora l’obbligazione si estingue anche se in astratto la prestazione
non è definitivamente impossibile. Esempio: il collega si impegna ad a realizzare un abito su misura in vista
di una cerimonia a cui devo presenziare. Una nevicata straordinaria impedisce di raggiungere la mia
abitazione. Il collega, quindi, è esonerato dall’effettuare la prestazione fintanto che la via per accedere alla
mia abitazione non torni praticabile. Se le condizioni climatiche si protraggano fino al giorno prima della
cerimonia, è evidente che il collega non può realizzare l’abito in una nottata, di conseguenza anche se la
prestazione tornerà ad essere possibile, tornerà ad essere possibile dopo che io ho perduto interesse in
termini oggettivi.
Art.1257 - Impossibilità per lo smarrimento del bene: se l’obbligazione ha ad oggetto la consegna di una
cosa determinata e questa cosa viene smarrita, lo smarrimento viene equiparato all’impossibilità, a meno
che non sia imputabile al debitore. In caso di successivo ritrovamento (Art.1257 comma 2), si applicano le
disposizioni dell’impossibilità temporanea; dunque finché la prestazione è impossibile il debitore non può
essere considerato inadempiente, cioè non può essere considerato in ritardo. Se il creditore ha ancora
interesse a ricevere la prestazione allora il debitore è obbligato a consegnarla, altrimenti l’obbligazione sarà
estinta.
Art.1258 - Impossibilità parziale: se l’evento che si abbatte sulla prestazione in sé e per sé potrebbe essere
tale da rendere soltanto parzialmente impossibile, l’obbligazione non si estingue ma rimane in vita per la
parte di prestazione ancora possibile; tuttavia, se il creditore perde interesse alla prestazione l’obbligazione
si estingue. Esempio: ho acquistato 5 beni mobili per fare un allestimento di 5 nicchie all’interno di una sala
che devo allestire; 2 di queste periscono per causa non imputabile al mio fornitore, che quindi me ne può
consegnare 3; l’obbligazione si estingue perché io non ho interesse ad avere 3 beni per 5 spazi e allora
preferisco procurarmi altri beni che siano in numero di 5.
Art.1259 - Subingresso del creditore nei diritti del debitore: Se la prestazione diventa impossibile per cause
imputabili ad un terzo (ad esempio il vicino distrugge, per distrazione, l’autovettura che io mi ero obbligato
a consegnare a Tizio), il debitore acquista un diritto al risarcimento del danno nei confronti del terzo perché
si è verificata una lesione aquiliana del diritto di credito, cioè l’obbligazione è stata lesa da un terzo che ha
distrutto il bene oggetto della prestazione. Tuttavia l’Art.1259 prevede che il creditore subentri nel diritto di
credito che il debitore ha nei confronti del terzo; quindi il creditore della prestazione divenuta impossibile è
surrogato ex lege (Art.1203) nel diritto di credito che il suo debitore vanta nei confronti del terzo che ha
reso la prestazione impossibile

INADEMPIMENTO.
L’inadempimento si concretizza nella prospettiva esclusiva del risarcimento del danno. Se la prestazione
diventa impossibile per cause imputabili al debitore, l’obbligazione non si estingue ma non potrà essere
adempiuta nei termini originari, l’obbligazione sopravvive ma con un oggetto differente: alla prestazione
originaria si sostituisce l’obbligazione di risarcimento del danno, regolata all’Art. 1218, il quale recita che
“il debitore che non esegue esattamente la prestazione è tenuto al risarcimento del danno, se non prova
che l’inadempimento è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non
imputabile”. Dunque, l’Art.1218 collega all’inadempimento un solo effetto: il risarcimento del danno; ma
sappiamo che non è esattamente così perché c’è un altro grande rimedio che precede il risarcimento del
danno che è l’adempimento in natura. Individua inoltre una causa di esonero: il debitore si esenta dalla
responsabilità se dimostra che la sua prestazione è diventata impossibile per cause a lui non imputabili;
dunque, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione non imputabile al debitore, nel nostro ordinamento
svolge due effetti: estingue l’obbligazione originaria, ma estingue anche l’obbligazione tutta considerata
perché non fa sorgere neppure responsabilità. L’impossibilità imputabile, cioè l’impossibilità derivante da
causa imputabile al debitore, estingue la prestazione originaria. Il senso è che se l’impossibilità è
imputabile, il vincolo originario si estingue, ma l’obbligazione rimane in vita sotto forma di risarcimento del
danno. La possibilità è condizione dell’obbligazione intesa come obbligo di prestazione iniziale. Se questa
possibilità viene meno per cause imputabili al debitore, l’obbligazione non si estingue perché rimane in vita
come vincolo di responsabilità contrattuale. Se l’impossibilità, invece, si verifica per fatto non imputabile al
debitore, l’obbligazione si estingue tutta, sia come vincolo originario sia come vincolo di responsabilità.
L’Art.1218 dice che se il debitore prova che non ha adempiuto o ha adempiuto in ritardo a causa di un fatto
che ha reso la prestazione impossibile e che quel fatto non sia a lui imputabile, in capo a lui non sorge
l’effetto della responsabilità che è l’obbligazione di risarcimento del danno. L’impossibilità impedisce che il
creditore abbia ciò che ha diritto ad avere, però, se è imputabile, il vincolo dell’obbligazione rimane in piedi
sotto forma di obbligo di risarcimento del danno. Quindi l’obbligazione non si estingue ma si trasforma di
contenuto. L’inadempimento non è subito dannoso e non genera subito responsabilità. Noi in diritto civile
diciamo che c’è responsabilità ogni qual volta che c’è un danno che può essere rimosso. Danno e
responsabilità sono termini correlativi perché in diritto privato la responsabilità consiste in una serie di
meccanismi che hanno il compito di traslare il costo del danno. Quindi non c’è responsabilità se non c’è un
danno. Se c’è una lesione che non genera danni, là non può sorgere la responsabilità. La responsabilità sia
contrattuale che extracontrattuale consiste in due meccanismi volti a traslare il costo del danno da chi lo
subisce a chi lo ha prodotto o a colui al quale è imputabile. Dal momento che non sempre l’inadempimento
genera danno, non sempre l’inadempimento genera responsabilità e quindi risarcimento del danno.
INADEMPIMENTO ASSOLUTO: In termini molto generali possiamo dire che si ha inadempimento ogni
qualvolta è violata l’obbligazione. Questa violazione si potrebbe tradurre nella mancata prestazione, cioè il
debitore non ha effettuato la prestazione dovuta quando scade il termine per compierla. Cioè quando
diventa esigibile. Questo si chiama inadempimento assoluto.
ADEMPIMENTO INESATTO: L’inadempimento si ha anche quando la prestazione è effettuata, ma in
maniera inesatta. Ad esempio è una prestazione quantitativamente inferiore a quella dovuta
(adempimento parziale), oppure qualitativamente diversa da quella prevista. Alla prestazione inesatta
dobbiamo equiparare la prestazione esatta ma caratterizzata da scorrettezza, perché si ha adempimento
non solo in presenza di una prestazione esatta, ma di una prestazione esatta e corretta. Adempimento
inesatto si ha sia nell’ipotesi in cui la prestazione sia inesatta, sia nell’ipotesi in cui la prestazione sia esatta
ma il debitore abbia violato l’imperativo di buona fede.
IL RITARDO: Il ritardo è tecnicamente un adempimento inesatto. Il mancato rispetto del termine per
adempiere crea una situazione di incertezza perché non sappiamo se il mancato rispetto del termine sia
sintomo del fatto che il debitore non intenda prestare del tutto (inadempimento assoluto) oppure del fatto
che il debitore adempirà ma in ritardo (adempimento inesatto). Il legislatore mette a disposizione del
creditore uno strumento per vincere questa situazione di incertezza che è la mora del debitore o mora
debendi. Il creditore può dunque esercitare pressione psicologica sul debitore e dirgli “sbrigati se hai
intenzione di adempiere perché viceversa patirai delle conseguenze negative”, e la costituzione in mora del
debitore ha proprio questa ratio, cioè di dotare il creditore di uno strumento di coercizione indiretta per
indurre il debitore ritardatario ad adempiere, prospettandogli conseguenze particolarmente negative
qualora lui perduri nell’inadempimento. Queste conseguenze negative sono indicate nell’Art.1221, norma
che prevede che il debitore costituito in mora non è liberato per la sopravvenuta impossibilità della
prestazione derivante da causa a lui non imputabile, cioè il debitore perde la causa di esonero. L’effetto
della costituzione in mora del debitore è l’aggravamento del rischio in quanto neppure se la prestazione
diviene impossibile per cause non imputabili al debitore egli va esente dalla responsabilità! L’unico caso di
esonero per il debitore è la prova che se anche avesse effettuato la prestazione a tempo debito, essa
sarebbe perita anche nelle mani del creditore.

MORA DEL DEBITORE (MORA DEBENDI)


La mora debendi è disciplinata dagli Artt.1219 e seguenti del codice civile; essa ha una valenza maggiore
della mora credendi perché è molto più probabile che un debitore risulti inadempiente rispetto alla
situazione in cui un creditore rifiuti di ricevere la prestazione. La funzione della mora debendi è quella di
esercitare una pressione psicologica sul debitore per indurlo ad adempiere. Il debitore è costituito in mora
mediante intimazione o mediante una richiesta fatta per iscritto.
Art.1219 – Costituzione in mora: la mora può essere “ex persona” e dunque avvenire tramite intimazione o
mediante richiesta per iscritto; oppure “ex res”, cioè la mora scatta automaticamente a seguito di
inadempimento. Ci sono 3 casi in cui la mora scatta automaticamente: 1) quando il debito deriva da
responsabilità extracontrattuale, fatto illecito; 2) quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non volere
adempiere; 3) nel caso delle obbligazioni portable (cioè che devono essere eseguite al domicilio del
creditore; innanzitutto le obbligazioni pecuniarie), una volta scaduto il termine.
Art.1221 - Gli effetti della mora: il debitore che è in mora non è liberato per la sopravvenuta impossibilità
della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, se non prova che l’oggetto della prestazione
sarebbe ugualmente perito presso il creditore (il fatto che il debitore costituito in mora possa liberarsi
provando ciò, fa sì che ci troviamo di fronte ad un vincolo di responsabilità gravissimo, ma non dinnanzi ad
una garanzia, la quale non dà al garante alcuna causa di esonero). In qualunque modo sia perita o smarrita
una cosa illecitamente sottratta, la perdita di essa non libera chi l’ha sottratta dall’obbligo di restituirne il
valore. Verificandosi inadempimento non scatta automaticamente risarcimento, ma il rapporto obbligatorio
rimane ancora preordinato a fare ottenere al creditore ciò che gli spetta. La mora serve a costringere il
debitore a correggere l’inadempimento o l’adempimento inesatto. Il ritardo, contrariamente a quanto si
pensava in passato, è inadempimento in sé, ed è già di per sé idoneo a produrre danni e giustificare il
ricorso al risarcimento (Art.1223); la mora serve soltanto ad aggravare la posizione del debitore per indurlo
ad adempiere.
Art.1222 - Obbligazioni negative: le disposizioni della mora non si applicano alle obbligazioni di non fare,
perché ogni fatto compiuto in violazione di queste, costituisce di per sé inadempimento definitivo; non è
concepibile il ritardo per questo tipo di obbligazioni.
Art.1220 - L’offerta non formale: il debitore non può essere costituito in mora se tempestivamente ha fatto
offerta della prestazione dovuta, a meno che il creditore l’abbia rifiutata per un motivo legittimo.
L’inadempimento non fa scattare automaticamente il risarcimento del danno; fintanto che la prestazione
resta possibile, e il creditore conserva un interesse in termini oggettivi nei confronti di essa, il debitore
rimane vincolato alla prestazione originaria e dunque il creditore dovrà agire con l’adempimento in natura.
Questo perché l’inadempimento non ha prodotto un danno pari al valore della prestazione. Tuttavia, non è
detto che l’adempimento in natura sia in grado di eliminare o di impedire il sorgere di pregiudizi;
all’adempimento in natura potrebbe quindi collegarsi il risarcimento del danno per rimuovere i cosiddetti
danni conseguenziali (danni che si collegano al ritardo o al mancato ottenimento della prestazione).
Quando scatta il risarcimento del danno? Esso scatta quando l’inadempimento è divenuto definitivo, e
questo si ha in due casi:
1) la prestazione è ormai divenuta impossibile per causa imputabile al debitore;
2) la prestazione è ancora possibile, ma l’inadempimento ha fatto venire meno l’interesse del creditore;
Il risarcimento terrà conto tanto del danno emergente, che coincide con il valore della mancata
prestazione, quanto di tutti i danni conseguenziali. Una delle questioni più dibattute è rappresentata dal
fondamento della responsabilità contrattuale. In passato ogni forma di responsabilità poggiava sulla colpa
(concezione individualistica) e quindi secondo tale concezione si riteneva che scattasse responsabilità
soltanto in presenza di inadempimento imputabile. Ciò è scorretto perché l’inadempimento non richiede
alcun criterio d’imputazione; esso è per definizione imputabile in quanto l’inadempimento è violazione di
una regola di comportamento specifica. Se il creditore ottiene la prestazione ovviamente l’obbligazione si
estingue. Se il creditore non ottiene la prestazione questo è inadempimento; se si può rimediare ben venga,
eventualmente scatteranno i danni soltanto per il risarcimento per danni consequenziali; dove non è più
possibile conseguirlo scatta il risarcimento del danno sostitutivo. Non è la colpa a fondare la responsabilità.
La responsabilità è fondata sull’inadempimento nella sua oggettività. Non è necessario provare altro che la
violazione dell’obbligazione. Il creditore non deve dimostrare che il debitore avrebbe potuto agire
diversamente e se avesse agito diversamente avrebbe potuto soddisfare il suo interesse; ma deve limitarsi
a prospettare al giudice che aspettava un servizio e non lo ha ottenuto; e dunque spetterà al debitore
dimostrare che, se tutto ciò è accaduto, è a causa di un fatto sopravvenuto che ha reso la prestazione non
possibile. Quindi la colpa gioca un ruolo, non in sede di fondamento della responsabilità, bensì in sede di
esonero della responsabilità. Noi valutiamo, utilizzando il parametro della diligenza, se il debitore è in colpa
rispetto al fatto che ha reso la prestazione impossibile, non rispetto all’inadempimento; pretendere
l’imputabilità di valutare se l’inadempimento è ad egli imputabile significherebbe compiere un doppio
giudizio inutile. In presenza di un’obbligazione è sufficiente allegare che il risultato atteso non sia stato
conseguito, senza la necessità di scendere sul terreno delle ragioni per le quali ciò è avvenuto, perché
l’obbligazione è un vincolo e quel risultato è dovuto. Se non si realizza il risultato atteso è inadempimento, a
meno che il debitore non sia in grado di provare che era impossibile realizzare quel risultato a causa di un
fatto sopravvenuto che egli non avrebbe potuto né prevedere né evitare. Cosa accade nel momento in cui
la prestazione diventa impossibile ma non si è in grado di risalire alla ragione per la quale lo è divenuta?
Esempio: la collega medico (debitrice) ha sottoposto Tizio ad un intervento chirurgico che è stato condotto
nel rispetto delle leges artis. Ciò nonostante esso ha subìto un peggioramento della sua salute e la vostra
collega non è stata in grado di provare o di capire quale sia stato il fattore esogeno che provocato tutto ciò.
Essa ne risponde perché non è stata in grado di individuare il fatto dal quale è dipeso il risultato
insoddisfacente dell’obbligazione.
Allora, la dottrina ha distinto due grandi famiglie di obbligazioni:
1) OBBLIGAZIONI DI MEZZI;. Nelle obbligazioni di mezzi il debitore si vincola a porre in essere una
determinata condotta improntata a delle regole qualitative e quantitative, ma non si vincola al
raggiungimento di uno specifico risultato (vedi tutte le prestazioni di professionisti intellettuali: medici,
avvocati, dottori commercialisti, ecc.)
2) OBBLIGAZIONI DI RISULTATO Nelle obbligazioni di risultato il debitore si impegna a realizzare uno
specifico fine predeterminato.
Secondo taluni, le obbligazioni di risultato sono assoggettate al rigore dell’Art.1218, cioè nelle obbligazioni
di risultato la prova del mancato conseguimento del fine specifico, coincide con la prova
dell’inadempimento e il debitore è esente dalla responsabilità soltanto provando l’impossibilità
sopravvenuta per cause a lui non imputabili.
Nelle obbligazioni di mezzi dal momento che il debitore non è vincolato a produrre un risultato specifico, il
creditore non può limitarsi ad allegare il mancato conseguimento del risultato che egli attendeva, ma dovrà
specificamente provare quale sia l’inesattezza della prestazione del debitore, e il debitore avrà due cause di
esonero: potrà provare l’impossibilità sopravvenuta per cause a lui non imputabili, ma ancora prima potrà
provare di aver agito in maniera diligente, in maniera esatta. Esempio: il progettista che realizza il progetto
per realizzazione di un impianto fotovoltaico; applica le conoscenze che lui reputa più adeguate, il progetto
viene realizzato, ma l’impianto fotovoltaico non garantisce il risultato che il creditore si aspettava. Dal
momento che si tratta di una obbligazione di mezzi il mancato conseguimento del quantitativo di energia
che il creditore si auspicava non è di per sé prova dell’inadempimento; ma il creditore che si lamenta che il
progetto è inadeguato dovrà dimostrare le ragioni per le quali lo è. Ad esempio dovrà dimostrare che
esistevano delle tecnologie diverse, più adeguate e che avrebbero assicurato un risultato migliore. Il
debitore, professionista intellettuale, potrà sempre provare che nel caso di specie, le tecniche più adeguate
erano proprio quelle che egli ha applicato; oppure dimostrare che si è verificato un fatto di impossibilità che
ha reso il raggiungimento di quel risultato impossibile. Quindi nelle obbligazioni di mezzi la posizione del
debitore è più leggera, in quanto può contestare che la presunta inesattezza che gli addebita il creditore, in
realtà tale non è. Esempio: il medico che sottopone ad intervento chirurgico il paziente, il quale muore, può
dimostrare che: a) la morte non è segno di adempimento perché nel caso di specie, lui ha applicato tutti i
protocolli diagnostici e terapeutici più adeguati e la condizione di salute era troppo compromessa e dunque
c’era ben poco da fare; b) provare che, sì esistevano delle alternative, ma anche la prestazione posta in
essere avrebbe potuto salvarlo se non vi fosse stato un evento qualsiasi, non imputabile al debitore, a
rendere impossibile l’adempimento. La ragione storica alla base di questa distinzione è alleggerire la
posizione giuridica dei professionisti intellettuali. Nel 1954 Mengoni dimostra l’inconsistenza della
distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, dimostrando come in tutti i rapporti
obbligatori (anche quelli di mezzi) un risultato c’è; e questo risultato:
a) non sempre coincide con le aspettative del creditore;
b) non sempre è predeterminabile perché nelle prestazioni di fare, il risultato dipende anche da circostanze
concrete che quindi variano tra rapporto obbligatorio e rapporto obbligatorio. Quindi se la collega analista
si impegna a fare un’indagine di mercato, i risultati che dovrà ottenere dipenderanno dalle caratteristiche
del mercato. Se è un mercato “opaco” le informazioni che otterrà saranno poco chiare nonostante la sua
bravura. Quindi nelle cosiddette obbligazioni di mezzi il risultato c’è, ma è un risultato che va valutato ex
post.Dopo che l’obbligazione è stata attuata, quando il creditore se ne lamenta, bisogna verificare se nelle
condizioni date la prestazione, corrispondente alle leges artis, avrebbe potuto far tenere un esito migliore
di quello che in concreto si è conseguito. Quindi le obbligazioni di mezzi, che per lo più adesso sono
obbligazioni di fare professionale, esigono di valutare il risultato dovuto ex post. Dopo che i fatti si sono
compiuti si dovranno rileggere gli eventi per verificare se il risultato conseguito dal debitore sia il migliore
possibile nelle condizioni date applicando il sapere scientifico più adeguato. Mentre nel caso delle
prestazioni di fare di contenuto tecnico-realizzativo (il muratore che deve erigere il muro di cinta) il
risultato è predeterminato ex-ante), quando la prestazione di fare non è una prestazione di contenuto
tecnico-realizzativo ma è di carattere intellettuale, cosa io possa in concreto ottenere lo si potrà stabilire il
più delle volte soltanto dopo che la prestazione è stata eseguita, valutando le condizioni nelle quali la
prestazione è stata eseguita, e valutando se quello che in concreto il debitore ha realizzato sia il miglior
risultato possibile applicando la migliore tecnologia possibile. Esempio: il paziente che è stato sottoposto ad
intervento chirurgico e che non ha visto alcun miglioramento, agirà nei confronti del medico debitore, e lì il
giudice dovrà valutare se lo stato di invarianza sia un risultato minore di quello che avrebbe potuto
ottenere applicando tecniche differenti, o se alla luce delle circostanze concrete, tenuto conto che le
tecniche utilizzate dal medico sono le migliori utilizzate in quelle condizioni non c’era altro risultato che si
poteva conseguire.
Secondo Mengoni la disciplina è unitaria; tutti i rapporti obbligatori sono sintesi di mezzi (una prestazione)
in vista di un risultato (il bene, il servizio, l’utilità) che il creditore può e deve ottenere, soltanto che in alcuni
rapporti questo risultato è già predeterminato ex-ante, in altri può essere identificato soltanto ex-post, ma
questo non cambia la disciplina. La regola di adempimento incompiuto è sempre quella dell’Art.1218.
La sentenza n.577/2008
La cassazione l’ha compreso 54 anni dopo lo studio di Mengoni, nel 2008, con la sentenza n.577/2008: il
caso è quello di un paziente che viene sottoposto ad un intervento di emotrasfusione. Qualche mese dopo
la trasfusione, denunzia i segni dell’epatite-C. Nei primi gradi di giudizio i medici sono stati assolti in quanto
il paziente creditore non è stato in grado di provare che l’epatite fosse conseguenza dell’emotrasfusione,
perché i medici erano stati in grado di provare che non è detto che l’epatite fosse una conseguenza
dell’emotrasfusione, in quanto essa presenta un “periodo finestra” nel corso del quale è asintomatica,
ovvero non può essere diagnosticata. La Corte di Cassazione dice no! Tutti i rapporti obbligatori sono sintesi
di mezzi e di risultato; anche la prestazione del medico. Quindi la distinzione obbligazioni di mezzi e
obbligazioni di risultati va accantonata, non spetta al creditore paziente provare la specifica inesattezza
della prestazione del medico, ma spetta al medico provare di avere agito in maniera perita, oppure di non
aver potuto impedire il fatto che ha reso la prestazione impossibile. Al paziente spetta soltanto di provare il
titolo, il contratto di prestazione sanitaria, provare la scadenza del termine (quindi che la prestazione era
esigibile), e limitarsi ad allegare l’inadempimento, cioè descrivere in maniera circostanziata il fatto che il
creditore reputa inadempiente ovvero descrivere la condotta del debitore, che il creditore qualifica come
inadempiente. Spetterà al debitore la prova di avere adempiuto o la prova del fatto di impossibilità
sopravvenuta. In questo caso la Cassazione ha ribaltato l’esito delle sentenze di primo e di secondo grado,
ritenendo che i medici non avessero provato né la loro condotta di adempimento né la sussistenza di un
fatto sopravvenuto che avesse reso la prestazione impossibile. La Corte di Cassazione dice una cosa
importante sul nesso di causalità. (Leggere la sentenza). Nell’accantonare questa distinzione tra
obbligazioni di mezzi e di risultati, la Corte di Cassazione ha fatto pubblicazione di una sentenza molto
importante la n.13533/2001 a Sezioni Unite, e qui la Corte di Cassazione era stata chiamata a pronunziarsi
su quale sia la distribuzione dei temi di prova tra creditore e debitore. La regola sull’onere della prova è una
regola generale (Art.2697): “chi agisce in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento,
chi si difende, chi eccepisce deve provare: o che i fatti posti alla base della domanda si sono estinti o sono
venuti meno; oppure provare i fatti che impediscono di accogliere la domanda. Quindi deve provare i fatti
su quali su fondano le eccezioni. In passato si è sempre ritenuto che il creditore che agisce per il
risarcimento del danno debba provare l’inadempimento. La Cassazione con la sentenza n.13533 del 2001
che è stata applicata dalla sentenza 577 del 2008 sempre a Sezioni Unite (sulla distinzioni di obbligazioni di
mezzi e di risultato), ha sancito che in tutti i giudizi fondati sull’inadempimento, sia che il creditore agisca
per l’adempimento, sia che agisca per il risarcimento del danno, sia che agisca per la risoluzione, spetta al
creditore provare soltanto: il titolo, il contratto o l’altra fonte dell’obbligazione, la scadenza del termine, la
prova del danno nel caso domandi il risarcimento, mentre dovrà limitarsi ad allegare l’inadempimento (non
deve essere provato). L’inadempimento deve essere solo descritto! Questo ha tolto la base sulla quale
poggiava la distinzione di obbligazioni di mezzi e di risultato, che poggiava sull’alleggerimento della
posizione del debitore di mezzi perché nelle obbligazioni di mezzi il creditore era chiamato a provare
specificamente quale fosse l’inesattezza di cui si era macchiato il debitore. Aver previsto che in ogni caso,
quale che esso sia il rapporto obbligatorio, il creditore è tenuto a provare soltanto il titolo, la scadenza del
termine e il danno, mentre non dovrà mai provare l’inadempimento, di cui dovrà solo fare descrizione, fa
venire meno la base sulla quale poggiava la distinzione, e infatti nemmeno sette anni dopo la Corte di
Cassazione finalmente adeguandosi alla migliore dottrina (Mengoni) ha ripudiato la distinzione tra
obbligazioni di mezzi e di risultato.
Il RISARCIMENTO DEL DANNO.
Art.1223 – Risarcimento del danno: individua come danni risarcibili le perdite subite (danno emergente) e il
mancato guadagno (lucro cessante) in quanto siano conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento.
Secondo la nostra giurisprudenza la formula “conseguenza immediata e diretta” esprimerebbe una regola
di causalità. Il nesso di causalità consiste in quel collegamento che deve intercorrere tra un fatto dannoso e
un evento di danno. In ogni fattispecie di responsabilità noi distinguiamo: un fatto dannoso, una condotta
(di inadempimento), e un evento di danno che è la perdita o il mancato guadagno. Tra fatto ed evento deve
esservi un collegamento, ovvero un nesso di causalità. È necessario nell’ambito della responsabilità
contrattuale? Sicuramente no! (il libro non lo spiega così) Sicuramente è superfluo per quanto riguarda il
risarcimento sostitutivo, cioè il risarcimento che deve restituire per equivalente al creditore quella somma
di denaro pari al valore del risultato che il creditore avrebbe dovuto ottenere e non ha ottenuto. Il
risarcimento sostitutivo non richiede una connotazione di causalità perché non è un evento nuovo, ma
consiste nel fallimento dell’obbligazione. Esempio: avrei dovuto farti ottenere A; non hai ottenuto A e
quindi hai diritto al risarcimento del danno, cioè ad una somma di denaro pari al valore di A. Quindi il
risarcimento sostitutivo non è altro che la traduzione in danaro del valore della prestazione. Rispetto al
risarcimento sostitutivo non si pone un problema di causalità perché è già tutto scritto nell’obbligazione.
Quando il danno è consequenziale, cioè quando il danno è una perdita che va oltre il valore della
prestazione (esempio: investimenti che hai compiuto; mi devi dimostrare che queste somme erano
funzionali alla prestazione che dovevi ricevere. Ad esempio hai acquistato da me macchinari
particolarmente all’avanguardia e hai dovuto aggiornare tutto il software che regge il tuo sistema
informatico. Quindi hai fatto degli investimenti in vista della prestazione; Investimenti che se avessi
ottenuto la prestazione, sarebbero stati fatti nel tentativo di ottenere una migliore performance
complessiva dell’impresa, e che invece non avendo ottenuto la prestazione si trasformano in danno). In
questi casi un ragionamento di causalità è necessario compierlo, perché dobbiamo verificare se quella
perdita è collegata o meno all’adempimento. Esempio: la collega mi doveva trasportare da un luogo
all’altro in macchina; guida male, sbanda e io mi ferisco: la cito in giudizio e porto un referto medico sul
quale risulta che io mi sono sottoposto ad un intervento chirurgico alla gamba e alla riabilitazione, e in più
aggiungo anche i danni da rifacimento dell’apparato dentario. Si appura che nell’incidente io non ho
sbattuto il grugno e quindi gli voglio addossare le spese del dentista che io ho sostenuto per conto mio. Qui
manca la causalità. Peraltro, sembrerebbe che l’Art.1223 non richieda una valutazione in concreto, ma si
accontenti di una valutazione in astratto perché la nostra giurisprudenza interpreta questa formula
“conseguenza immediata e diretta” nei termini anche di conseguenze mediate e indirette, purché rientranti
nell’ambito di quelle conseguenze che, sulla base una certa regolarità statistica, si collegano a quel tipo di
evento. Cioè la nostra giurisprudenza interpreta il 1223 in questo modo: i danni risarcibili non sono soltanto
quelli direttamente e immediatamente collegati all’inadempimento del debitore, ma vi rientrano anche
quei pregiudizi che pur non essendo immediati e diretti, sono tuttavia collegati, secondo l’esperienza e sulla
base di una certa regolarità statistica, a quell’inadempimento. Esempio: la collega non mi paga la somma di
danaro e io stipulo un finanziamento con la banca perché quella somma di denaro mi serve. Qui non c’è
una conseguenza immediata e diretta perché ho volontariamente scelto di stipulare il mutuo; ma se io sono
un imprenditore e faccio affidamento sul pagamento regolare dei miei clienti e se costoro non mi pagano in
tempo debito, io che confido in quel flusso di danaro, dovrò rivolgermi al circuito bancario. Per regola
esperienziale, l’aver dovuto stipulare un contratto di finanziamento che a me costa, pur non essendo una
conseguenza immediata e diretta, rientra tra le conseguenze mediate e indirette che secondo regolarità
statistica, per prassi di mercato si collega a quel tipo di inadempimento. E allora io posso addossare al
debitore queste conseguenze.
Art.1225 – Prevedibilità del danno: è una regola sulla determinazione del danno, cioè una regola che ci
consente di identificare quali siano i danni di cui può essere richiesta la riduzione tramite le regole di
responsabilità contrattuale. Tale articolo dice che il danno risarcibile è soltanto il danno che poteva
prevedersi nel tempo in cui l’obbligazione è stata assunta, a meno che l’inadempimento o il ritardo non
dipendano da dolo. Per regola generale il danno risarcibile è soltanto quello prevedibile, perché deve
essere un danno compatibile col progetto di azione in cui l’obbligazione si traduce. Tuttavia se
l’inadempimento è doloso allora il creditore può godere del risarcimento anche dei danni non prevedibili.
Art.1226 – Valutazione equitativa del danno: è una norma sull’onere della prova che integra l’Art.2697 in
materia di risarcimento del danno; esige che il creditore debba provare unicamente che il pregiudizio vi sia
stato, non anche il suo preciso ammontare. Il creditore assolve al proprio onere se prova che vi sia stato il
pregiudizio, anche se non riesce a quantificarlo, perché allora la quantificazione verrà affidata alla
valutazione equitativa del giudice. Cioè l’Art.1226 autorizza il giudice a decidere secondo equità, cioè il
giudice può decidere senza chiarire quale sia la regola specifica sulla base della quale sta decidendo.
L’equità è la giustizia del caso concreto, e quando la legge autorizza il giudice a procedere secondo equità
gli consente di approdare ad un risultato giusto anche se non sorretto da una disposizione normativa,
purché la decisione risulti coerente con il quadro dei principi. L’Art.1227 enuncia due regole: al primo
comma enuncia la regola sul concorso di causa; al secondo comma enuncia la regola del danno evitabile.
Art.1227 comma 1 – Criterio della concausa: stabilisce che se il danno è provocato non solo
dall’inadempimento del debitore ma anche dal concorso del creditore (il quale ha compartecipato al
prodursi del danno), allora il risarcimento va diminuito in misura proporzionale a quanto il concorso del
creditore ha influito. Esempio: contratto di trasporto di persone. La collega è imperita alla guida e uscendo
fuori strada io mi ferisco, ma io non portavo la cintura di sicurezza. Questa mia negligenza fa sì che il
risarcimento venga diminuito in misura proporzionale a quanto l’azione del creditore ha influito. L’azione
quindi non esclude la responsabilità, ma si limita ad una riduzione dell’ammontare del risarcimento.
Art.1227 comma 2 – Criterio dell’evitabilità: stabilisce che non è risarcibile il danno che il creditore può
evitare adoperando la diligenza del buon padre di famiglia, senza dover però ricorrere ad uno spiegamento
di forze ed energie eccessivo. Esempio: la collega mi consegna una partita di frutta la quale non è stata
imballata adeguatamente, ma io piuttosto che conservarla in maniera esatta, lascio il pacco all’aperto, e a
causa dell’inadeguatezza dell’imballaggio tutta la partita di frutta va in malora. L’inadempimento c’è perché
se la collega avesse imballato adeguatamente il pacco, probabilmente avrebbe resistito nonostante la mia
imperizia. Ma questo danno avrebbe potuto essere evitato dal creditore con uno sforzo ordinario. Quindi il
danno deriva integralmente dal debitore, ma il creditore avrebbe potuto agevolmente evitare che si
determinasse. Questa norma è importante perché impone a tutti i creditori di non assumere un
atteggiamento passivo tutte le volte in cui con un minimo sforzo il creditore potrebbe rimediare
all’inadempimento del debitore, il quale comunque rimane.
Art.1228 – Responsabilità per fatto degli ausiliari: il debitore risponde dei fatti dolosi e colposi dei suoi
ausiliari. Quando il debitore non esegue personalmente la prestazione, avvalendosi dell’ausilio di terzi,
risponde dell’inadempimento e dei danni provocati da questi come se si trattasse di un fatto proprio.
Esempio: se l’imprenditore stipula un contratto di merci con me e si avvale dell’operato di tre dipendenti, i
quali scelgono merci di qualità media e consegnano beni di qualità scadente, io agisco nei confronti
dell’imprenditore, il quale risponde dell’operato dei suoi ausiliari. L’imprenditore agirà a sua volta in
responsabilità nei confronti dei suoi dipendenti che si sono resi inadempienti. L’ausiliare può essere anche
un libero professionista che presta la sua attività nei confronti del debitore. Non è necessario un rapporto
di lavoro subordinato. È sufficiente che il terzo operi sotto il controllo del debitore.
Art.1229 – Clausole di esonero di responsabilità: non di rado i contratti prevedono clausole di esonero
totale o parziale dalla responsabilità per il debitore. Esempio: In palestra, in genere, la direzione non
risponde degli oggetti lasciati incustoditi.
L’Art.1229 comma 1 stabilisce che: “è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la
responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave”. Esempio: il cartello che troviamo negli spogliatoi
delle palestre (vedi sopra); se la sottrazione dell’oggetto avviene ad opera dello stesso gestore
dell’impianto o dei suoi ausiliari o se non esiste alcuna forma di controllo minimale. Abbiamo un
inadempimento doloso nel primo caso, mentre un inadempimento di colpa grave se non vi è nemmeno un
controllo minimale che impedisca ad estranei di introdursi e sottrarre i beni. In questo caso la clausola di
esonero è nulla. L’Art.1229 comma 2 stabilisce che: “è nullo altresì qualsiasi patto preventivo di esonero o
di limitazione di responsabilità per i casi in cui il fatto del debitore o dei suoi ausiliari costituisca violazione
di obblighi derivanti da norme di ordine pubblico (complesso di principi fondamentali relativi, in una data
epoca ed in un certo ordinamento)”.
MODIFICAZIONI DEL LATO ATTIVO DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO.
La modificazione del lato attivo del rapporto obbligatorio si ha tramite surrogazione o tramite cessione. La
surrogazione è un fenomeno di subingresso, in cui vi è una sostituzione dell’interesse del creditore
originario con l’interesse, di contenuto identico, di un terzo (adempimento del terzo). Il diritto di credito,
come tutti i diritti soggettivi patrimoniale (proprietà, diritti reali), è suscettibile di essere trasferito; lo
strumento di trasferimento è la cessione. La cessione è l’atto dispositivo del credito; il codice non la regola
dal punto di vista dell’atto con il quale viene realizzata; ma si occupa di regolare la cessione sotto il profilo
dei suoi presupposti e delle conseguenze che l’eventuale trasferimento determinerà sul rapporto
obbligatorio, questo perché il credito non è un diritto come tutti gli altri, in quanto essendo un diritto
relativo coinvolge le sorti anche del debitore, e dunque la cessione, incidendo sulla sfera giuridica del
debitore, deve essere regolata anche sotto questo profilo.
Art.1260 – Presupposti per la cessione: la cessione può avvenire tanto a titolo oneroso quanto a titolo
gratuito; può avvenire anche senza il consenso del debitore, a condizione che il credito non abbia carattere
strettamente personale, oppure la cessione non sia vietata dalla legge. Tuttavia creditore e debitore
possono includere nel titolo dal quale nasce il credito, un patto che vieta la cessione. Se questo patto viene
violato, in quanto il creditore cede il proprio diritto, questa circostanza non è opponibile al terzo (cioè la
cessione è valida ed efficacie) a meno che non si provi che il terzo fosse a conoscenza dell’esistenza di tale
patto. La violazione del patto genera responsabilità contrattuale a carico del creditore. La cessione può
avvenire tramite atto unilaterale del creditore, tramite contratto fra creditore cedente e terzo acquirente
(cessionario), o mediante un atto trilaterale che vede coinvolti cedente (creditore originario), cessionario
(nuovo creditore) e debitore ceduto; astrattamente l’Art.1260 consente tutti gli scenari. Non possono
essere ceduti i crediti di carattere strettamente personale, in quanto sono crediti nei quali sono rilevanti le
caratteristiche specifiche della persona del creditore o del debitore.
Art.1261 – Divieti di cessione: il codice pone una serie di divieti che sono legati al rapporto che intercorre
tra cedente e cessionario, per evitare conflitti di interesse. Tutti i soggetti elencati nell’articolo, essendo per
lo più Pubblici Ufficiali, e prestando servizio presso quel distretto di Corte d’appello dinnanzi al quale pende
la controversia relativa a quel credito, potrebbero influenzare l’esito del giudizio.
Art.1262 – Documenti probatori del credito: il creditore cedente ha l’obbligo di consegnare al cessionario
tutti i documenti che attestano l’esistenza del credito.
Art.1263 – Accessori del credito: il credito viene trasferito con tutti i suoi accessori (interessi), i frutti e le
garanzie.
Art.1264 – Efficacia della cessione riguardo al debitore ceduto: nell’ambito della cessione del credito, noi
distinguiamo tra efficacia ed opponibilità (particolare tipo di efficacia nei confronti di una determinata
categoria di soggetti). La legge distingue i presupposti necessari ai fini dell’efficacia generale della cessione,
dai presupposti specifici ai fini dell’efficacia nei confronti del debitore ceduto; affinché la cessione sia
efficacie nei confronti del debitore ceduto, la legge prescrive adempimenti ulteriori rispetto a quelli
necessari per la sua efficacia generale. La cessione, così come tutti gli atti di disposizione, è assoggettata al
principio consensualistico, cioè quel principio in virtù del quale i contratti che trasferiscono la proprietà o
altri diritti su beni specifici, o che trasferiscono diritti specifici, determinano il trasferimento in virtù del
consenso legittimamente manifestato. Il cessionario acquista il diritto di credito automaticamente per
effetto dell’atto o del contratto di cessione, ma questo trasferimento del diritto non può essere fatto valere
nei confronti del debitore ceduto se non dopo che esso abbia accettato la cessione, o che essa gli sia stata
notificata. Se il cedente o il cessionario non adempie uno di questi due oneri, accade che la cessione non è
opponibile dal debitore ceduto (non è efficace nei suoi confronti) ed esso può adempiere al cedente, con
effetto liberatorio. Questo caso integra un’ipotesi clamorosa di pagamento al creditore apparente. Il
comma 2 stabilisce che se anche la cessione non sia stata fatta accettare al debitore ceduto, e non gli sia
stata nemmeno notificata; se il debitore ceduto viene a sapere della cessione per altre vie, non può
pretendere di pagare al creditore cedente liberandosi.
Art.1265 – Efficacia della cessione riguardo ai terzi: pone una regola che risolve i conflitti di attribuzione. Se
il cedente trasferisce il credito a più cessionari, chi prevale? L’articolo stabilisce che non prevale colui il
quale ha acquistato il credito per primo, ma il creditore che per primo l’abbia fatto accettare o abbia
notificato la cessione al debitore ceduto, con atto avente data certa, anche se egli abbia acquistato il
credito in epoca successiva. Esempio: io trasferisco lo stesso credito a Tizio ed a Caio; prevale non chi ha
acquistato per primo, ma chi fra loro per primo abbia fatto accertare o notificato, con atto avente data
certa, al debitore ceduto. Un atto è a data certa in 4 ipotesi: se è un atto pubblico, se è una scrittura privata
con sottoscrizione autenticata, se è una scrittura privata registrata in pubblici registri, o se si è verificato un
evento che rende quell’atto indiscutibilmente anteriore a quell’evento. La cessione del credito avviene o
“PRO SOLUTO” o “PRO SOLVENDO”.
Art.1266 – Obbligo di garanzia del cedente: la cessione pro soluto è la regola; chi cede un credito
garantisce al cessionario unicamente l’esistenza del credito al momento della cessione. La garanzia
dell’esistenza del credito al momento della cessione può essere esclusa, ma il creditore resta sempre
obbligato per fatto proprio; ovvero se il credito viene meno per un fatto proprio, nonostante l’esclusione
della garanzia, questa garanzia opererà. La garanzia ha una portata minore nel caso in cui la cessione
avvenga a titolo gratuito.
Art.1267 – Garanzia della solvenza del debitore: il cedente ed il cessionario possono accordarsi affinché la
cessione avvenga pro solvendo. Quando la cessione è pro solvendo, il cedente non si limita a garantire
l’esistenza del credito, ma garantisce anche la solvibilità del debitore ceduto. La garanzia si traduce nel fatto
che il cedente, nel caso in cui il cessionario abbia sottoposto inutilmente a esecuzione forzata il patrimonio
del debitore ceduto, risponde nei limiti di quanto ha ricevuto (deve restituire il corrispettivo in tutto o in
parte). Inoltre dovrà assicurare al cessionario il rimborso degli interessi, delle spese della cessione, e quelle
spese che il cessionario ha sostenuto per sottoporre ad esecuzione forzata il patrimonio del debitore
ceduto. Tuttavia il comma 2 prevede che la garanzia venga meno se il cessionario non ha ottenuto la
soddisfazione del proprio credito a causa della negligenza con la quale egli ha iniziato o proseguito le azioni
esecutive nei confronti del debitore ceduto. Abbiamo una ipotesi di cessione pro solvendo per legge,
ovvero la cessione effettuata in luogo dell’adempimento (Art.1198). Quando il debitore al posto della
prestazione originaria si accorda con il creditore per cedergli un suo credito, l’obbligazione originaria si
estingue non quando la cessione è avvenuta, ma quando il creditore riceve il pagamento dal debitore
ceduto. Così come si modifica il lato attivo, allo stesso modo si può modificare il lato passivo. La
modificazione del lato passivo del rapporto obbligatorio avviene attraverso tre istituti: la delegazione,
l’espromissione e l’accollo. Questi istituti determinano una modificazione del lato passivo del rapporto
obbligatorio perché comportano che l’obbligazione o diventa soggettivamente complessa (al debitore
originario se ne affianca uno nuovo), oppure determina la sostituzione del debitore originario con un nuovo
debitore. Nella delegazione l’iniziativa è del debitore (delegante), il quale assegna al creditore (delegatario)
un nuovo debitore (delegato). Nell’espromissione l’iniziativa è del terzo (espromittente), il quale si obbliga
nei confronti del creditore (espromissario), alla stessa prestazione alla quale è obbligato il debitore
originario (espromesso). L’accollo si ha sulla base di un accordo tra terzo e debitore; il terzo si impegna ad
effettuare la stessa prestazione alla quale è tenuto il debitore originario. Tutte e tre le ipotesi possono
determinare il sorgere di un debito identico a quello originario in capo ad un terzo, e quindi la
trasformazione dell’obbligazione da semplice a solidale; in questo caso si parla di delegazione,
espromissione e accollo cumulativi (perché un nuovo vincolo di affianca a quello originario). Oppure vi può
essere la sostituzione del debitore originario con il nuovo debitore; in questo caso si ha delegazione,
espromissione e accollo liberatori (perché il nuovo vincolo determina la liberazione del debitore originario).
La scelta di liberare o meno il debitore originario, spetta sempre e soltanto al creditore.

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