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Articolo 1212:
1) Il deposito deve essere preceduto da un’intimazione notificata al
creditore e contenente l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo
nel quale avverrà il deposito.
2) Il debitore deve avere consegnato la cosa, con gli interessi e i frutti
dovuti fino al giorno nell’offerta.
3) Deve essere redatto un verbale da parte del pubblico ufficiale (il
più delle volte sarà un ufficiale giudiziario) da cui risulti che le cose
sono state offerte, che il creditore si è rifiutato di riceverle o che
addirittura non si è proprio presentato nel luogo previsto per il
deposito.
4) Se il creditore non si è presentato, il verbale deve essergli
notificato presso il proprio domicilio.
Una volta che il deposito sia stato accettato o dichiarato valido con
sentenza passata in giudicato, il debitore è libero e assistiamo ad
un'altra liberazione del debitore senza realizzazione del credito.
Quindi l'offerta non formale evita al debitore che il rifiuto del creditore lo
sospinga in ritardo e quindi lo renda inadempiente, l'offerta secondo gli
usi non è idonea a costituire in mora ma se è seguita dal deposito e
questo viene accettato dal creditore, o dichiarato valido con sentenza
passata in giudicato, allora si hanno gli effetti della mora, mentre l'offerta
formale di per sé è idonea a costituire in mora il creditore, se accettata o
dichiarata valida con sentenza passata in giudicato, e se all’offerta
formale segue il deposito, e il deposito è dichiarato valido oppure
accettato dal creditore allora avremo la liberazione del debitore.
L'altro elemento che deve essere presente, perché non basta l’aliquid
novi per novare, è necessario il cosiddetto “animus novandi”, cioè
l'intento comune di debitore e creditore di sostituire l’obbligazione
originaria con la nuova obbligazione.
Se non c'è l'intento specifico di novare, la nuova obbligazione non
sostituisce la precedente, ma vi si affianca.
Quindi se il vostro creditore vi propone di novare l’obbligazione e voi
accettate, dovete aver cura di redigere un accordo da cui
espressamente emerga la volontà di sostituire l'obbligazione originaria
con quella nuova, altrimenti vi troverete due volte debitori, debitori sia
per l’obbligazione originaria, sia per la nuova obbligazione.
Quindi i due elementi che devono coesistere affinché vi sia novazione è:
un mutamento dell'oggetto o del titolo e l'accordo esplicito novativo, cioè
l'accordo di sostituzione dell’obbligazione originaria con quella nuova.
Questo trovate nell’articolo 1230, che infatti recita: “l’obbligazione si
estingue quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una
nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso (secondo comma).
La volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in
modo non equivoco”.
Quindi in maniera espressa.
Articolo 1247
Altra norma importante è l’articolo 1247, che stabilisce che il fideiussore
può porre in compensazione il debito che il creditore ha verso il debitore
principale. Se il creditore dovesse decidere di agire non nei confronti del
debitore originario ma nei confronti del fideiussore, perché debitore
originario e fideiussore sono obbligati in solido, quindi spetta al creditore
decidere se agire nei confronti dell'uno o nei confronti dell’altro per
ottenere l’intero. Immaginiamo che il creditore abbia deciso di agire nei
confronti del fideiussore, il fideiussore per evitare di pagare può opporre
in compensazione non un proprio credito nei confronti del creditore, ma
un credito del debitore principale, perché il fideiussore è obbligato in
solido nell’interesse del debitore principale, cioè adempie al posto del
debitore originario e nel suo interesse perché ne è un garante, allora una
misura di giustizia impone di considerare il credito vantato dal debitore
principale nei confronti del creditore come invocabile anche dal
fideiussore.
Mentre la compensazione non può essere opposta dal debitore che
abbia accettato in maniera pura e semplice, la cessione che il creditore
abbia fatto del suo credito ad un terzo, il credito può essere ceduto e la
cessione del credito è un atto del creditore. Il creditore originario si
chiama cedente e il nuovo creditore si chiama cessionario. Se il debitore
non accetta la cessione che il creditore originario abbia fatto al creditore
cessionario allora il debitore potrà opporre al creditore cessionario il
credito che ha nei confronti del creditore originario e che avrebbe potuto
opporre in compensazione a costui, se costui fosse rimasto il creditore,
perché la cessione che il debitore non abbia accettato, non può
peggiorare la posizione in cui il debitore si trova. Il creditore non può con
un atto di cessione peggiorare la posizione del suo debitore, se il
debitore poteva evitare di adempiere o ridurre la sua prestazione
eccependo la compensazione di un credito che vanta nei confronti di un
suo creditore, questa stessa compensazione deve poter essere
sollevata anche nei confronti del nuovo creditore, ma questo se la
cessione viene fatta senza coinvolgere il debitore. Se il debitore invece
accetta la avvenuta cessione allora perde il diritto di poter eccepire al
nuovo creditore il credito che egli vanta nei confronti del creditore
originario, perché in questo caso avendo accettato, il debitore si è
assunto i rischi collegati alla cessione e quindi il peggioramento della
sua posizione è coperto da questa assunzione di rischio. (Questa è una
norma molto importante).
Se avviene una cessione di credito, il debitore che venga chiamato ad
adempiere dal nuovo creditore, può opporre, per evitare di dover
prestare al nuovo creditore, il credito che vantava nei confronti del
creditore originario perché, se la cessione viene fatta senza coinvolgere
il debitore, questo atto del creditore non può peggiorare la posizione in
cui il debitore si trovava.
ESEMPIO: Se io sono debitore di 100 nei confronti di Paolo, ma ho nei
suoi confronti un credito di 50 e Paolo decide di cedere il suo credito a
Giada, in questo caso se la cessione è fatta senza coinvolgermi e Giada
(nuova creditrice) mi chiama chiedendomi la prestazione di 100, io potrò
opporre il credito di 50 che vantavo nei confronti di Paolo (mio creditore
originario), perché visto che la cessione è avvenuta senza coinvolgermi,
essa non può peggiorare lo stato in cui mi trovavo, io avrei potuto
opporre a Paolo il mio credito di 50 nei suoi confronti, questo stesso
credito devo poterlo opporre anche nei confronti della nuova creditrice
Giada. Ma se io dovessi accettare la cessione perché Paolo e Giada me
la fanno accettare, perdo la possibilità di opporre a Giada il credito che
vanto nei confronti di Paolo perché avendo accettato ho compartecipato
a questa operazione quindi non si giustifica più che la mia posizione
debba rimanere immutata in quanto la mia condizione non può
peggiorare per una scelta del mio creditore che non mi ha visto
coinvolto.
La compensazione non può pregiudicare i diritti dei terzi, lo prevede
l’articolo 1250. Il credito vantato in compensazione che sia stato dato in
pegno e cui si consente la compensazione del debito del debitore
invocando il credito che è stato dato in pegno, fa estinguere la garanzia
e questo non è accettabile.
Esempio, se io ho un debito di 100 nei confronti di Paolo che ha preteso
da me un pegno ed io ho dato in pegno il credito che vantavo nei suoi
confronti, in questo caso non posso portare in compensazione questo
credito di 50 perché se lo portassi in compensazione si estinguerebbe il
pegno che grava su quel diritto di credito.
La confusione di debito-credito: articoli 1253 – 1255
L’altro modo di estinzione dell’obbligazione è la confusione di debito-
credito. L’obbligazione si estingue per confusione quando nella
medesima persona confluiscono sia la qualità di debitore sia la qualità di
creditore, cioè quando il debitore diventa o acquista il diritto di credito
che lo vede come parte passiva, che accade con la successione mortis
causa.
ESEMPIO: Se io sia debitore nei confronti di tizio e gli debba 30.000
euro, tizio muore mi istituisce erede e all’interno di questa eredità c’è
anche il credito che lui vanta nei miei confronti, in questo caso io
acquisto il diritto nei confronti di me medesimo e quindi viene meno la
necessaria pluralità di soggetti che deve caratterizzare il rapporto
obbligatorio. Il rapporto obbligatorio proprio perché rapporto, presuppone
che debito e credito siano imputati a soggetti distinti, quando invece
debito e credito confluiscono nel medesimo soggetto, l’obbligazione si
estingue perché viene meno l’elemento della alterità soggettiva.
L’obbligazione è un rapporto, il rapporto giuridico presuppone la
necessaria alterità soggettiva, cioè debito e credito devono essere
imputati a soggetti differenti. Quando il debitore eredita il credito del suo
creditore perché diventa erede del suo creditore, allora l’obbligazione si
estingue per confusione. Tuttavia, la confusione non opera soltanto
nell’ipotesi in cui ciò sarebbe pregiudizievole per i terzi, come nel caso in
cui il credito sia stato oggetto di un pegno o di un usufrutto; in questo
caso se operasse compensazione si estinguerebbero i diritti del
creditore pignoratizio, o dell’usufruttuario su quel credito. Questo la
legge lo vuole impedire, ed allora eccezionalmente l’obbligazione rimane
in vita, nonostante il fatto che debitore e creditore siano la stessa
persona, fintanto che non si estingueranno i diritti dei terzi su quel
credito. Questo perché il credito può diventare oggetto di un diritto, può
diventare un bene quando il credito è dato in pegno o in usufrutto, allora
se anche nella stessa persona dovessero confluire la qualità di creditore
e di debitore, quell’obbligazione non si estinguerà perché se si
estinguesse determinerebbe anche l’estinzione del diritto del terzo (cioè
del pegno a favore del creditore pignoratizio o dell’usufrutto a favore
dell’usufruttuario), ed allora quando si estingueranno i diritti che hanno
ad oggetto quel credito, quando si estinguerà il pegno o l’usufrutto,
allora potrà operare compensazione e si estinguerà anche
l’obbligazione. Questo prevede l’istituto della confusione di debito e
credito.
La confusione è un modo di estinzione satisfattivo, anche in questo caso
non c’è nulla che lo accomuni alla compensazione, altro modo di
estinzione satisfattivo.
l’istituto della impossibilità della prestazione sopravvenuta: articoli 1256-
1259
L’ultimo modo di estinzione è l’istituto della impossibilità della
prestazione sopravvenuta regolata dagli articoli 1256 e seguenti, una
delle pagine più importanti del capitolo delle responsabilità contrattuali.
Il primo comma dell’articolo 1176 è una regola di responsabilità, mentre
il secondo comma è una norma di adempimento in cui si trova la perizia,
che è il criterio che concorre a definire l’oggetto dell’obbligazione quando
essa ha ad oggetto un fare professionale, che tornerà utile nella
responsabilità contrattuale. L‘impossibilità della prestazione è un tassello
del giudizio di responsabilità. L’articolo 1256 co. 1 decreta che
l’obbligazione si estingue se la prestazione diviene impossibile per
causa non imputabile al debitore, perché l’obbligazione neppure sorge
se debitore e creditore si sono impegnati ad una prestazione
impossibile, perché ad impossibilia nemo temetur, cioè non si può
dedurre in obbligazione una prestazione impossibile o dal punto di vista
materialistico o dal punto di vista giuridico, perché l’obbligazione per
venire ad esistenza presuppone la possibilità del debitore di prestare,
quindi la possibilità è un requisito, una condizione esistenziale
dell’obbligazione.
ESEMPIO: Se io mi impegnassi nei confronti di Claudia a trasferirle la
proprietà di un bene demaniale, quell'obbligazione non verrebbe
neppure ad esistenza poiché il contratto stipulato tra me e lei sarebbe
nullo per impossibilità dell’oggetto, perché la legge non consente di
disporre di beni demaniali. Se io mi dovessi obbligare nei confronti di
Sara a resuscitare il suo animale domestico tragicamente morto in un
incidente, questa obbligazione non sorgerebbe, perché materialmente è
impossibile riportare in vita al netto delle finzioni letterarie, un essere
vivente morto.
L’obbligazione sorge se la prestazione è possibile. Quando la
prestazione originariamente possibile diviene impossibile dopo la sua
nascita e prima che il debitore abbia prestato, se l’impossibilità dipende
da un fattore sopravvenuto che non è imputabile, addebitabile al
debitore, l’obbligazione si estingue con efficacia non satisfattiva perché il
creditore rimane insoddisfatto e non avrà alcuno strumento per potersi
soddisfare. L’impossibilità sopravvenuta delle prestazioni per causa non
imputabile al debitore è un rischio che grava su ogni creditore. Quando
acquisite un credito vi accollate anche il rischio che la prestazione
divenga successivamente impossibile per causa non imputabile al
debitore.
ESEMPIO: Chi ha acquistato il biglietto per assistere al concerto del suo
artista preferito, che avrebbe dovuto svolgersi nel Giugno dello scorso
anno, ha visto la propria obbligazione estinguersi, il proprio credito
estinguersi nei confronti della società che produceva quello spettacolo
perché le norme sopravvenute, emergenziali di contrasto alla pandemia,
hanno vietato lo svolgimento di manifestazioni pubbliche inclusi i
concerti, quindi il contratto originariamente valido, perché stipulato prima
della pandemia ed anche l’obbligazione validamente sorta si è estinta
per causa non imputabile al debitore e di conseguenza voi avete perduto
la vostra obbligazione e potete chiedere il rimborso del prezzo pagato,
non potete agire in responsabilità nei confronti della società che gestiva
lo spettacolo che ha allestito, lamentando il fatto di non aver potuto
trovare soddisfacimento del vostro interesse di svago, perché quella
prestazione è stata resa impossibile da un fatto sopravvenuto, la
pandemia, e soprattutto il divieto nazionale di svolgere manifestazioni
pubbliche che non può essere addebitato in alcun modo al debitore,
società che ha gestito l’evento per il quale voi avevate acquistato il
biglietto (il titolo di partecipazione).
Il punto più delicato del tema dell’impossibilità sopravvenuta è costituito
dalla identificazione di cosa si debba intendere per “impossibilità” e qui si
contrappongono due concezioni tradizionali: la concezione secondo cui
l’impossibilità debba essere oggettiva ed assoluta e la concezione
secondo cui l’impossibilità debba essere oggettiva e relativa.
Cosa sicuramente non sia impossibilità è la cosiddetta “impossibilità
soggettiva”, che invece è considerata mera difficoltà di prestare, mera
difficultas prestandi. Tutte le vicende che riguardano le economie
individuali del debitore, come il fatto che il debitore per una qualunque
ragione anche indipendente da sua responsabilità si trovi in difficoltà
economiche o finanziarie, cioè si è ridotto la misura del suo reddito o si è
ridotta l’entità del suo patrimonio, queste vicende irrilevanti sulla vita
dell’obbligazione, sono irrilevanti perché l’impossibilità soggettiva
costituisce un elemento addebitato, posto come rischio a carico del
debitore. Se il creditore quando assume il diritto di credito si assume il
rischio che la prestazione diventi impossibile in termini oggettivi per
cause non imputabili al debitore e quindi deve accettare che il suo
credito possa rimanere insoddisfatto a causa della impossibilità
sopravvenuta non imputabile al debitore, allo stesso modo ogni debitore
quando assume un vincolo, si assume il rischio che le proprie condizioni
economico-finanziarie mutino, peggiorino e che questo renda per il
debitore complesso, se non addirittura impossibile economicamente
prestare. Questo è un rischio che grava sul debitore che non determina
quindi l’estinzione dell’obbligazione. Il creditore è insoddisfatto perché il
debitore privo di mezzi non ha potuto adempiere, potrà soddisfarsi sul
suo patrimonio, sperando che questo patrimonio sia sufficientemente
cospicuo, se così non dovesse essere anche il creditore rimarrà
insoddisfatto ed il rischio di insolvenza del debitore è un altro dei rischi
che gravano sulle spalle del creditore. La impossibilità soggettiva è
costituita da eventi sopravvenuti che si verificano nella sfera del debitore
e che non sono idonei ad estinguere il rapporto obbligatorio.
ESEMPIO: Se io mi sono obbligato a pagare 50.000 euro a Marta e
vengo licenziato e quindi perdo il mio stipendio, questo evento non lo
posso invocare come fattore impossibilitante, perché è impossibilità
soggettiva che riguarda la mia sfera personale. Che il mio reddito si sia
ridotto non è un evento che possa essere imputabile alla mia creditrice
Marta, la quale pertanto non perderà il proprio diritto di credito, che
sopravviverà perché l’obbligazione non si estingue. Marta potrà allora
agire nei miei confronti e se io non sarò in grado di adempiere perché mi
mancano le somme per poter estinguere l’obbligazione, allora potrà
aggredire il mio patrimonio che è posto a garanzia dei miei creditori nella
consistenza che esso ha nel momento in cui il creditore agisce.
Potrebbe darsi che all’epoca in cui io avrei dovuto adempiere il mio
patrimonio fosse in sofferenza, ma che successivamente sono entrati dei
beni nel mio patrimonio che lo hanno rimpinguato e su quei beni Marta si
potrà soddisfare in quanto l’obbligazione non si è estinta. Quindi,
l’impossibilità soggettiva non estingue l’obbligazione mera difficultas
praestandi. I fatti che generano l’impossibilità sono soltanto fatti oggettivi
che colpiscono la prestazione in sé e per sé considerata e non già quei
fattori che incidono sulla capacità del debitore di prestare; questi sono
irrilevanti, perché sono impossibilità soggettive, mentre i fatti che
colpiscono la prestazione in sé e per sé sono ipotesi di responsabilità
oggettiva. Ad esempio, mi sono obbligato a consegnare una determinata
tipologia di beni a Damiano ma il Ministero della Sanità ne vieta la
commercializzazione, dispone dopo che l’obbligazione è sorta, che quei
beni non possono essere commercializzati per motivi di sicurezza,
questo è un fatto sopravvenuto che non colpisce la mia capacità di
prestare, ma colpisce l’attività che io devo compiere, colpisce la
prestazione in sé e per sé, è impossibilità oggettiva. Oppure devo
effettuare una prestazione professionale nei confronti di Sebastiano, ma
quel tipo di attività è temporaneamente interdetta, sono sospeso
temporaneamente dall’albo degli avvocati per ragioni di tipo
precauzionale e quindi io non posso più effettuare quella prestazione
perché sono momentaneamente impossibilitato a poterla svolgere,
anche quello è un evento che colpisce la prestazione in sé e per sé.
Dalla seconda metà dell’Ottocento in poi, si è affermata l’idea secondo la
quale l’obbligazione si estingue solo quando l’impossibilità colpisce la
prestazione in sé e per sé perché questo rende più certa la sorte del
rapporto obbligatorio ed è una esigenza del capitalismo, cioè la certezza
dei rapporti giuridici. La sicurezza che i vincoli rimarranno in piedi anche
in presenza di difficoltà economiche dei debitori, è uno dei capisaldi del
capitalismo, è uno degli elementi che crea quel clima di fiducia che
induce ad acquisire crediti. Molti soggetti potrebbero essere
disincentivati dall’acquisire crediti se i rischi connessi all’assunzione di
un credito fossero troppo alti. Perché devo acquisire un diritto di credito
se già rischio che la prestazione diventi impossibile in termini oggettivi
ed in più che anche la prestazione diventi impossibile in termini
soggettivi? Posso controllare la prestazione ma non posso controllare le
finanze del mio debitore e quindi preferisco non assumere crediti. E
invece il legislatore voleva assecondare le esigenze della società e
soprattutto dell’economia capitalistica che invece si fonda sui crediti. Il
nodo è se il fatto che colpisce la prestazione in se e per sé (che
determina quella che noi abbiamo chiamato impossibilità oggettiva)
debba essere un fatto che nessun debitore sarebbe in grado di
superare, un impedimento che nessun debitore sarebbe in grado di
superare oppure deve trattarsi di un evento superabile, un ostacolo
superabile ma adoperando mezzi, e quindi mettendo in piedi un’attività
diversa da quella oggetto dell’obbligazione. L’opinione dominante
all’epoca dell’entrata in vigore del nostro Codice civile era che
l’impossibilità oltre che oggettiva dovesse essere assoluta, assoluta vuol
dire che il fattore che rende la prestazione impossibile deve esser tale
che nessun debitore, neppure il debitore più accorto, più capace
economicamente avrebbe potuto superare quell’impedimento e quindi i
fattori di impossibilità si esaurivano nel caso fortuito, nella forza
maggiore e nel cosiddetto factum principis. Il caso fortuito è l’evento
imprevedibile per chiunque: un terremoto, un incendio doloso, tutti questi
sono eventi che nessuno è in grado di prevedere e che nessuno quindi
può evitare. E quindi sono eventi di impossibilità oggettiva e assoluta, il
caso fortuito è l’evento prevedibile ma inevitabile, dicevano i romani è la
vis cui resistis non potest, è la forza alla quale non è possibile opporre
alcun tipo di resistenza. Ad esempio, l’esondazione di un fiume, uno
tsunami, eventi entrambi prevedibili perché se le forti precipitazioni
hanno determinato l’innalzamento del livello del fiume questo è evento
tranquillamente prevedibile ma inevitabile. Se avete un ristorante lungo
l’argine del fiume o prospiciente al lido del mare e l’esondazione del
fiume o un’onda anomala che era prevedibile perché si è generato un
terremoto, un’eruzione vulcanica che poteva far presagire l’arrivo di
un’onda anomala, vi impediscono alla obbligazione di svolgere nel
vostro locale un banchetto per una festa di laurea o matrimonio etc.
questo evento pur prevedibile ma inevitabile, rende la prestazione
impossibile in termini oggettivi e in termini assoluti.
Infine, c’è il factum principis (il fatto del principe), significa l’evento
normativo che deriva dall’autorità. L’esempio prima: se mi sono
obbligato a commercializzare un prodotto, il cui commercio
successivamente viene dichiarato sospeso, se mi sono obbligato a
realizzare un evento pubblico che poi l’autorità mi vieta di svolgere per
ragioni che non sono legati alla mia struttura, questi sono tutti fatti
principis, cioè fatti che derivano da autorità normativa che rendono la
prestazione impossibile per chiunque, questa è l'impostazione
prevalente, negli anni immediatamente precedenti alla emanazione del
codice civile e negli anni successivi, perché questa è la tesi enunciata
dal maggiore studioso delle obbligazioni dell’epoca, vale a dire Giuseppe
Osti.
Giuseppe Osti è lo studioso che nella prima del Novecento ha
maggiormente inciso sullo studio delle obbligazioni, è stato anche uno
dei principali artefici del nostro codice perché faceva parte della
commissione regia che ha redatto il Codice civile, in particolare si è
occupato delle norme che stiamo studiando ed in particolare quelle sulla
responsabilità. Osti non ha introdotto nella norma le qualificazioni di
oggettività e di assolutezza perché questi requisiti appartengono al
dibattito dottrinale e giurisprudenziale, non spetta alla legge introdurre
questi requisiti, ma sicuramente l’opinione dominante era quella al punto
tale che era pure superfluo doverlo sottolineare, cioè l’obbligazione si
estingue quando un fattore sopravvenuto colpisca la prestazione, e
questo fattore sia insuperabile da qualunque debitore, quindi
l’impossibilità deve essere oggettiva ed assoluta. Ad Osti ha replicato
Luigi Mengoni, che invece è lo studioso più importante della seconda
metà del novecento con il suo celebre saggio intitolato obbligazioni di
risultato ed obbligazioni di mezzi – studio critico – pubblicato sulla rivista
di diritto commerciale e delle obbligazioni, edizione del 1954, nel quale
Mengoni contrappone ad Osti la tesi dell’impossibilità oggettiva e
relativa, cioè l’impossibilità deve colpire la prestazione come Osti aveva
illustrato, escludendo l’effetto estintivo della cosiddetta impossibilità
soggettiva, ma questo non significa che l’evento dedotto in obbligazione
debba essere anche insuperabile da qualunque debitore e debba anche
aver il carattere dell’assolutezza. Secondo Mengoni l’impossibilità deve
essere oggettiva e relativa, relativa perché secondo Mengoni è fattore
impossibilitante, che quindi estingui l’obbligazione, qualunque evento
che imponga al debitore di adottare mezzi ulteriori rispetto a quelli
dedotti dall’obbligazione per raggiungere il risultato. Nella costruzione di
Mengoni, che è perfettamente coerente, se l’obbligazione è un vincolo di
mezzi per realizzare un risultato e se un fattore sopravvenuto si è
abbattuto sull’obbligazione, colpendo quei mezzi, e rendendo la
prestazione naturalmente non impossibile o giuridicamente impossibile
per chiunque ma frapponendo un ostacolo che può essere superato
soltanto adoperando un’attività diversa da quella dedotta in
obbligazione, l’obbligazione va considerata estinta.
Esempio: Immaginate che mi sia impegnato a trasportare Tizio con le
mie imbarcazioni dal porto di Palermo sino alle isole Eolie, con mie
imbarcazioni di piccole dimensioni. Ora immaginiamo che le condizioni
del mare impediscano alle mie imbarcazioni di prendere il largo, ciò non
toglie che il trasferimento dal porto di Palermo alle isole eolie sarebbe
possibile adoperando imbarcazioni più grandi o un elicottero, non si può
dire che l’attività sia impossibile per chiunque. Io mi sono obbligato a
trasportare i miei creditori dal porto di Palermo alle isole eolie con
qualunque mezzo ed a qualsiasi costo oppure con i mezzi nautici a
disposizione della mia impresa? Se la risposta corretta è la seconda,
cioè mi sono impegnato a trasferire i miei clienti con le mie imbarcazioni
e se le condizioni del mare non consentono alle mie imbarcazioni di
prendere il largo, l’obbligazione va considerata estinta; è il caso della
impossibilità temporaneamente sospesa, in quanto l’evento
sopravvenuto ha colpito la mia attività, dunque è oggettiva, e mi
imporrebbe per raggiungere quel risultato mezzi significativamente
ulteriori o diversi da quelli che io mi sono obbligato ad adottare e questo
giustifica che l’obbligazione si estingua se l’impossibilità è definitiva o se
rimanga temporaneamente sospesa. Questo è il senso che dà Mengoni
al concetto di impossibilità, ed è questo il concetto che alla fine ha
prevalso e che oggi noi consideriamo prevalente sia noi studiosi sia la
giurisprudenza. L’evento sopravvenuto che colpisce la prestazione,
impossibilità oggettiva, e che impedisce di raggiungere il risultato atteso
adottando i mezzi dedotti in obbligazione, impossibilità relativa, è causa
di estinzione dell’obbligazione solo se il fattore sopravvenuto non è
imputabile al debitore. Il giudizio di imputabilità si formula ricorrendo ai
criteri di imputazione della diligenza, della prudenza e della perizia, cioè
si verifica se il debitore è in colpa rispetto all’evento che ha determinato
l’impossibilità oggettiva e relativa della prestazione: vale a dire il giudice
deve verificare se il debitore sia stato diligente e prudente, quindi se
abbia adottato quelle regole generiche di condotta che non riguardano
l’adempimento, ma riguardano la conservazione della possibilità di
adempiere, abbia cioè rispettato la diligenza conservativa. Se il debitore
è stato diligente e prudente significa che quell’evento non era
prevedibile da quel debitore o se lo era, era comunque inevitabile che si
producesse e quindi il debitore non è in colpa e dunque l’obbligazione si
estingue. Se invece il fattore che ha reso la prestazione impossibile era
prevedibile o, per lo meno, era evitabile adottando la diligenza ordinaria,
non ricorrendo a strumenti eccezionali, avrebbe potuto essere previsto
ed evitato adoperando uno sforzo, un’attenzione, cura, cautele medie,
quelle prescritte dall’articolo 1176 co. 1 allora l’impossibilità è imputabile,
l’obbligazione non si estingue, ma la prestazione originaria si converte in
obbligazione di risarcimento del danno e quindi il debitore rimane
vincolato; l’obbligazione è la stessa, soltanto che ha mutato il suo
oggetto ed alla prestazione originaria si è sostituita la prestazione del
risarcimento del danno, questo è il senso del giudizio di imputabilità.
L’obbligazione si estingue per impossibilità se il fatto sopravvenuto che
rende la prestazione impossibile in termini oggettivi e relativi non è
addebitabile al debitore; la regola generale di addebitamento del fatto
sopravvenuto è costituita dalla diligenza dell’art. 1176 co. 1, cioè
bisogna verificare se il debitore è stato diligente o meno. Se è stato
diligente significa che non è in colpa, perché la diligenza esclude la
colpa e quindi l’obbligazione si estingue; se il debitore non è stato
diligente, non è stato prudente perché avrebbe potuto con lo sforzo
medio, prevedere ed evitare quell’evento sopravvenuto, allora
l’obbligazione non si estingue, ma ha mutato nel pagamento del
risarcimento del danno, cioè si realizza quella che i romani chiamavano
perpetuatio obbligationes. L’obbligazione non si estingue, anche se la
prestazione originaria è diventata impossibile, perché la prestazione
originaria viene sostituita da quella del risarcimento del danno che è la
stessa prestazione soltanto convertita in denaro e questo consente di far
sopravvivere l’obbligazione intesa come rapporto obbligatorio.
Domanda: Tra queste due correnti di pensiero contrapposte, quale
prevale?
Risposta: Quella della impossibilità oggettiva e relativa, la tesi di
Mengoni che ha prevalso e che è considerata dominante. Se prima e nei
primi decenni dell’entrata in vigore del Codice civile, la tesi di Osti era
assolutamente prevalente, oggi la situazione si è capovolta e la tesi
prevalente è quella della impossibilità oggettiva e relativa.
Il giudizio di imputabilità del fatto sopravvenuto che rende la prestazione
impossibile, non è soltanto la diligenza, art. 1176, quella è la regola
generale. Esistono delle fattispecie contrattuali particolari che affidano il
giudizio di imputabilità della impossibilità sopravvenuta della prestazione
ad un criterio più rigoroso, chiamate obbligazioni ex recepto. Il receptum
era una forma di vincolo particolarmente severo in diritto romano
sopravvissuto in diritto contrattuale e contraddistingue quei vincoli
obbligatori in cui il debitore risponde anche oltre la mera diligenza,
esempio è il contratto di deposito di albergo, articolo 1783 e seguenti del
Codice civile.
L’articolo 1785 stabilisce che l’albergatore non è responsabile quando il
deterioramento, la distruzione, la sottrazione dei beni consegnatagli dal
cliente siano dovuti al cliente medesimo, alle persone che lo
accompagnano o che sono al suo servizio, alla forza maggiore – evento
che nessuno avrebbe potuto evitare - oppure alla natura delle cose, cioè
l’articolo 1785 stabilisce che deterioramento, distruzione o sottrazione
dei beni sono casi di impossibilità. L’albergatore è obbligato a restituire
al cliente i beni che il cliente abbia dato in custodia, però se sono
distrutte, sottratte o deteriorate, l’obbligazione diventa impossibile
perché il bene non può essere restituito o restituito nella sua integralità,
se questi eventi di impossibilità siano imputabili, l’articolo 1785 lo
rimanda al generico criterio della diligenza, che è il criterio comune a
tutte le altre obbligazioni, ma introduce tre criteri più specifici e rigorosi:
all’albergatore non è sufficiente provare che sia stato diligente ma deve
provare che distruzione, sottrazione o deterioramento sono dipesi dal
cliente stesso o di chi era al suo seguito. Ad esempio, il bene è stato
lasciato in corridoio dallo stesso cliente o da un figlio, dal coniuge, da un
collaboratore e quindi uno passando se lo è portato via, o dalla forza
maggiore (incendio doloso che ha distrutto il bene – considerato caso di
forza maggiore) oppure un fulmine che ha colpito l’albergo ed in
particolar modo ha colpito la stanza del cliente che è andata in fiamme
(caso fortuito). Un effetto che giustificherebbe l’esonero della
responsabilità dell’albergatore è una irruzione armata da parte di alcuni
rapinatori; l’albergatore si può dotare di sistemi di sicurezza, sistemi di
vigilanza, ma non possono essere tali da evitare un'aggressione armata.
In quel caso siamo di fronte ad un caso di forza maggiore, se i rapinatori
fanno ingresso ad armi spiegate e dovessero rubare i beni depositati dai
clienti, quell’evento giustificherebbe l’esonero dell’albergatore e
l’estinzione della sua obbligazione di custodia. Infine, dal deterioramento
delle cose: immaginate che i beni lasciati in custodia siano beni
deperibili, che con il tempo si danneggiano; in quel caso l’impossibilità
per l’albergatore di riconsegnare i beni nello stesso stato in cui sono stati
consegnati, dipende dalla natura delle cose. Se non siamo all’interno di
ipotesi di responsabilità ex recepto, previste da alcune tipologie
contrattuali, come deposito in albergo, contratto di cassette di sicurezza,
contratto di trasporto di merci, quindi salvo queste ipotesi speciali in cui il
giudizio di imputabilità del fattore che ha reso la prestazione impossibile
è più gravoso, in tutti gli altri casi si applica il criterio della colpa, e quindi
si verifica se il debitore avrebbe potuto prevedere ed evitare l’evento
adoperando la diligenza ordinaria: se la risposta è positiva, il debitore è
in colpa; se la risposta è negativa, cioè non si poteva prevedere, il
debitore è esente da colpa e quindi l’obbligazione si estingue. Si
estingue se l'impossibilità è definitiva. Esistono anche ipotesi di
impossibilità temporanea, previste dal legislatore nell’articolo 1256
comma secondo, quando il fattore che rende la prestazione impossibile
in termini oggettivi e relativi è soltanto temporanea, cioè è un evento che
verrà meno e costituisce un ostacolo non definitivo; in questo caso
l’obbligazione non si estingue ma è sospesa, è come se cadesse in una
condizione di congelamento per cui il fattore di impossibilità temporanea
rende il debitore non responsabile per il ritardo. Se anche si compie il
termine per adempiere e il debitore non può adempiere, non può esser
considerato in ritardo (inadempiente) perché l’obbligazione è stata
letteralmente sospesa. Questa norma è stata applicata in moltissimi casi
da quando è scoppiata la pandemia, perché molte delle misure che
hanno reso le prestazioni di debitori impossibili come le misure di divieto
di spostamento, prima determinate con il lock down e poi determinate
con il sistema delle zone rosse, sono tutti fatti di impossibilità
temporanea.
ESEMPIO: Se mi sono obbligato con Sofia a consegnarle determinate
merci entro il mese di febbraio, ma sono stato impossibilitato a
trasferirmi in quanto la zona in cui si trova la sede dell’impresa è
interdetta a qualunque forma di accesso anche per ragioni di tipo
lavorativo, cosa rara, allora avremmo un caso di impossibilità
temporanea. L’obbligazione non si estingue, ma se io sforo il termine di
febbraio, Sofia non mi può considerare responsabile perché
l’obbligazione è in fase di congelamento, sospesa. Quando verrà meno il
fattore di impossibilità, perché le misure di contenimento interdittive dello
spostamento verranno revocate, l’obbligazione tornerà ad essere
efficace, quindi il debitore dovrà adempiere.
Tuttavia, il legislatore all’articolo 1256 co. 2, prevede l’ipotesi che il fatto
di impossibilità temporanea si prolunghi molto nel tempo. Quando si
protrae talmente a lungo da rendere troppo gravoso per il debitore
rimanere pronto ad adempiere oppure fa perdere utilità della prestazione
al creditore, l’obbligazione si estingue. Anche questa fattispecie si è
verificata tantissime volte e si sta verificando durante la pandemia.
ESEMPIO: Immaginate che Sonia abbia acquistato un pacchetto
turistico, abbia stipulato un contratto di viaggio con un tour operator per
andare in Brasile per festeggiare la propria laurea. Sono stati vietati tutti i
voli con i paesi esposti alla pandemia e le misure interdittive si
protraggono talmente a lungo che nel frattempo Sonia viene assunta e
deve lavorare, quindi non ha più interesse a fare il viaggio organizzato
tempo fa quando era libera, perché adesso lavora. Quando queste
misure limitative verranno revocate e il tour operator tornerà a garantire
la prestazione, lei potrebbe agire in giudizio affinché accerti che è venuto
meno, in termini oggettivi, l’interesse oggettivo; non è un capriccio
perché nel frattempo è stata assunta e non può prendersi un mese di
ferie perché neoassunta, non depone bene in esordio di un’attività
lavorativa, il venir meno dell’interesse che ha indotto a Sonia ad
acquistare il diritto di credito allo svolgimento del viaggio di piacere, è
venuto meno in termini oggettivi e quindi giustifica l’estinzione
dell’obbligazione anche se il fattore impossibilitante potrà venir meno. Se
io da un anno mi sono impegnato e non posso adempiere la mia
obbligazione di consegnare alcuni capi di bestiame a Paolo e questo per
me comporta uno sforzo notevole perché i capi di bestiame li devo
alimentare, li devo custodire, in attesa che mi possa recare presso la
sede dell’impresa e consegnare i capi del bestiame. Davanti al giudizio
si può dire che il mio vincolo è molto oneroso e vorrei esser sciolto
dall’obbligazione e poter vendere i capi a qualcuno in zona; se il giudice
ritiene che il protrarsi della impossibilità temporanea stia rendendo
eccessivamente gravosa la prestazione per Paolo, potrebbe decretare
l’obbligazione estinta (sempre che il fatto che ha reso la prestazione
temporaneamente estinta non dipenda da cause imputabili al debitore).
La norma 1256 co 2 recita: “Se l’impossibilità è solo temporanea e fino a
che essa perdura, il debitore non è responsabile dell’adempimento;
tuttavia, l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a
quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto,
il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad eseguire la
prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirlo.
Quindi l’obbligazione diventa impossibile anche se il fattore di
impossibilità è temporaneo, quando il suo vincolo divento troppo gravosi
o quando viene meno in termini oggettivi l’interesse del creditore; questa
è una conferma che in tutti i rapporti obbligatori concorrono mezzi,
l’attività debitoria e un risultato. L’impossibilità temporanea può
comportare la sua estinzione nonostante la sua temporaneità quando o
si aggrava eccessivamente il vincolo di mezzi oppure viene meno il
risultato atteso, cioè l’utilità per il creditore, conferma che tutte le
obbligazioni sono sintesi di mezzi e risultato. Quando l’obbligazione è
un’obbligazione di dare, beni mobili, l’articolo 1257 stabilisce che lo
smarrimento equivale ad un fatto di impossibilità; lo smarrimento non
indica la certezza che il bene sia andato distrutto, quindi sulla carta si
potrebbe discutere se la prestazione sia effettivamente diventata
impossibile. Lo smarrimento, non imputabile al debitore, è considerato
un fatto di impossibilità di adempiere l’obbligazione di consegnare, in
caso di ritrovamento successivo, stabilisce l’art. 1257 comma due, si
applicano le disposizioni del secondo comma dell’art. 1256, si
considererà un’ipotesi di impossibilità temporanea. Lo smarrimento è
impossibilità definitiva a meno che la cosa non venga successivamente
ritrovata ed allora verrà trattato come un caso di impossibilità
temporanea. Molto importante è l’articolo 1258, caso di impossibilità
parziale, se la prestazione diviene soltanto in parte impossibile in termini
oggettivi e assoluti; è una fattispecie che riguarda soprattutto le
obbligazioni di consegnare un determinato quantitativo di beni mobili, in
questo caso se l’obbligazione diventa soltanto parzialmente impossibile
il debitore si libera eseguendo quella parte di prestazione che è ancora
possibile. Se mi sono obbligato a consegnare tre oggetti e due di questi
vengono sottratti da ladri e non ho avuto alcun modo di evitare la
sottrazione, io mi libererò dal vincolo consegnando quell’unico bene che
non mi è stato sottratto e che è rimasto nella mia disponibilità; questo
significa che nel caso di impossibilità parziale non si ha estinzione
integrale dell’obbligazione ma si ha un’estinzione parziale e il debitore si
libera eseguendo quella parte di prestazione che è rimasta possibile.
Quando l’obbligazione ha ad oggetto di consegnare un bene di specie, il
deterioramento, non imputabile al debitore, è considerato una ipotesi di
impossibilità parziale. Se il debitore acquista il diritto di credito al
risarcimento del danno nei confronti del terzo che ha reso la prestazione
impossibile, il creditore è surrogato ex legge in quel diritto di credito
(articolo 1259); quindi se io devo consegnare un arazzo antico a
Francesco e Mario me lo distrugge, perché imprevedibilmente gli dà
fuoco, io acquisto un diritto di credito nei confronti di Mario che ha
distrutto il bene di mia proprietà, oggetto di consegna a Francesco. Nel
diritto di credito che io vanto in Mario, il mio creditore è surrogato ex
legge, subentra al mio posto e potrà chiedere lui il risarcimento (vale per
il risarcimento e per l’assicurazione). Se devo consegnare un quadro di
grande pregio lo devo assicurare, perché se devo trasportarlo al
domicilio del creditore e nel tragitto ci sono rischi di danneggiamento, di
sottrazione; se durante il tragitto subisco una rapina, che non era
evitabile e quindi la mia prestazione diventa impossibile, io però
acquisisco nei confronti dell’assicurazione il diritto all’indennizzo perché
ho stipulato un assicurazione contro danni, il danno era che il bene mi
venisse sottratto, il bene mi è stato sottratto e quindi posso esigere dalla
compagnia assicurativa l’indennizzo. In questo diritto di credito ad
ottenere l’indennizzo, subentra il mio creditore per surrogazione ex lege
sancita dall’articolo 1259 del Codice civile.