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Lezione 20

Modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento

Domanda: “Riguardo la tesi di Mengoni (quindi della correlazione del


debito e credito, nonché della loro distinzione di contenuti) noi avevamo
trovato le ipotesi che sono a sostegno di questa tesi che sono: quella
dell’adempimento del terzo e quella del pagamento al creditore
apparente. Sostanzialmente se avessimo accettato la tesi del debito e
credito che abbiano lo stesso contenuto, l'unico modo per estinguere il
credito sarebbe stato quello dell'attuazione del debito e viceversa,
perché hanno lo stesso contenuto, invece sulla scorta degli
insegnamenti di Mengoni abbiamo sostanzialmente trovato l'ipotesi in
cui vi è l'attuazione del debito senza la realizzazione del credito, e poi?”
Risposta: A conferma del fatto che debito e credito non abbiano un
contenuto identico ma abbiano invece contenuto distinto ma siano
correlati, abbiamo individuato due ipotesi: quella in cui il credito si
realizza ma non tramite l'attuazione del debito (l’adempimento del terzo)
e abbiamo visto l'ipotesi anche dell'attuazione del debito che però non
realizza il credito (l'ipotesi del pagamento al creditore apparente).
Queste due fattispecie confermano che le due situazioni giuridiche
soggettive non hanno un contenuto identico, perché altrimenti il debito
non si può attuare se non realizzando il credito e viceversa, questo è il
senso dell’obiezione.
Tra l'altro a conferma di questo c'è anche il problema del deposito
liberatorio, anche nel deposito liberatorio assistiamo ad un’attuazione del
debito che non realizza il diritto di credito perché il legislatore ritiene che
con il deposito, il debitore si possa liberare proprio perché ha fatto quello
che doveva fare, cioè, lo sforzo che doveva essere profuso e quindi il
legislatore sostanzialmente equipara il deposito liberatorio
all'adempimento, dal punto di vista liberatorio, pur non essendo
adempimento, perché se l'adempimento presuppone anche la
realizzazione del credito con il deposito liberatorio, ciò non avviene.
Però il legislatore doveva compiere una scelta, ovvero, quella di non far
dipendere dal capriccio del creditore la liberazione del debitore.
Quindi il debitore che erri giustificatamente, come nel pagamento al
creditore apparente o il debitore che abbia eseguito la prestazione,
l'abbia offerta formalmente e una volta che il debitore l'ha offerta
formalmente, ha due vie: o imbocca la via della mora, nel tentativo che
nella speranza che gli effetti svantaggiosi per il creditore delineati
nell’articolo 1207 quindi: l'aggravamento del rischio, l'obbligo di
corrispondere interessi, spese, di ripagare eventuali danni dovuti alla
mora lo inducano anche contro la sua volontà a ricevere la prestazione,
oppure, può imboccare la via del deposito liberatorio e quindi liberarsi
dal vincolo.

Domanda: “L'articolo 1210 sostanzialmente dice che effettuato il


deposito, se è stato accettato dal debitore il debitore è libero. Se il
debitore si presenta nel luogo e nell'ora stabilita dalla notifica che ha
precedentemente inviato al creditore e se anche il creditore si presenta
in quel luogo a quell'ora e accetta, vuol dire che vi è il deposito e che il
debitore è libero?”
Risposta: No, il debitore è libero perché ha adempiuto, quindi diciamo
se il creditore si presenta e riceve la prestazione è come se noi
avessimo l' adempimento ancorché frutto di questa offerta formale,
mentre l'articolo 1210, secondo comma, stabilisce che gli effetti del
deposito liberatorio si hanno in due ipotesi: quando il deposito è stato
dichiarato valido con sentenza passata in giudicato, nel senso che un
giudice ha verificato che il deposito offerto dal debitore abbia tutti i
requisiti dell'articolo 1212, oppure, quando il creditore accetta, ma
accetta non la prestazione, accetta il deposito, cioè il creditore comunica
all'ufficiale giudiziario che accetta il deposito e che si recherà presso il
depositario a ritirare la prestazione, ma se il creditore si presenta nel
luogo del deposito e riceve la prestazione, quello è adempimento.
Quindi la liberazione del debitore avviene per adempimento, ancorché
un po' faticoso, perché è stata necessaria un'offerta formale e anche
l'avviamento del procedimento di deposito.

Quindi con il deposito il codice consente al debitore di liberarsi dal


vincolo contro la volontà del creditore, però affinché l'effetto liberatorio si
produca è necessario che il deposito sia accettato dal creditore o che sia
dichiarato valido con sentenza passata in giudicato, e soprattutto,
affinché possa essere dichiarato valido è necessario che il deposito
abbia i requisiti dell’articolo 1212.

Articolo 1212:
1) Il deposito deve essere preceduto da un’intimazione notificata al
creditore e contenente l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo
nel quale avverrà il deposito.
2) Il debitore deve avere consegnato la cosa, con gli interessi e i frutti
dovuti fino al giorno nell’offerta.
3) Deve essere redatto un verbale da parte del pubblico ufficiale (il
più delle volte sarà un ufficiale giudiziario) da cui risulti che le cose
sono state offerte, che il creditore si è rifiutato di riceverle o che
addirittura non si è proprio presentato nel luogo previsto per il
deposito.
4) Se il creditore non si è presentato, il verbale deve essergli
notificato presso il proprio domicilio.
Una volta che il deposito sia stato accettato o dichiarato valido con
sentenza passata in giudicato, il debitore è libero e assistiamo ad
un'altra liberazione del debitore senza realizzazione del credito.

Articolo 1213: stabilisce che il deposito non produce effetti se il debitore


lo ritira prima che il deposito stesso sia stato accettato dal creditore o sia
stato dichiarato valido con sentenza passata in giudicato.
Quindi è possibile per il debitore evitare gli effetti del deposito se per una
qualunque ragione vuole mantenere in vita l’obbligazione ed adempiere
nei confronti del creditore.
Tuttavia se dopo l'avvenuto deposito il creditore consente al debitore di
ritirare le cose che ha depositato, il creditore perde le garanzie, cioè, non
si può rivolgere ai garanti personali né può avvalersi di privilegi, pegni e
ipoteca, perché in un certo senso il creditore ha fatto la sua scelta, cioè,
se nonostante il fatto che i beni fossero stati depositati, il creditore ha
consentito al debitore di riprendersi i beni, quindi di evitare che
l'obbligazione si estinguesse, poi il creditore non si può lamentare se
rimane insoddisfatto agendo nei confronti dei garanti personali (i
fideiussori), oppure, invocando le cause legittime di prelazione.
Quindi il creditore perde le proprie garanzie.

Articolo 1215: tanto l'offerta formale quanto il deposito sono fatti a


spese del creditore, perché sono attività ulteriori rispetto a quello
dell’adempimento, cioè attività ulteriori che sono state imposte dal
creditore e dalla sua riottosità non giustificata a ricevere la prestazione.

Per poter ottenere il deposito è necessario che vi sia stata un’offerta


formale.
Tuttavia, è possibile anche una diversa offerta, che si chiama offerta
secondo gli usi, e in realtà vedrete che ne esiste anche un'altra che si
chiama offerta non formale.
Allora facciamo un quadro sinottico di queste tre offerte:
● L'offerta è formale quando è fatta per il tramite di un ufficiale
giudiziario e presenta i requisiti dell’articolo 1208.
L'offerta formale se dichiarata valida o accettata produce gli effetti
della mora.
● L'offerta secondo gli usi è un’offerta non formale, è un'offerta che
viene fatta secondo le modalità che abitualmente si adoperano in
quel contesto di mercato per offrire le prestazioni.
Ad esempio, nel mercato italiano l'offerta secondo gli usi di un
canone di locazione consiste nel fatto che l'offerta avvenga alla
presenza di un testimone. Quindi è un'offerta che ricalca il tipo di
offerta che per prassi di mercato gli operatori economici compiono,
quindi è sostanzialmente un’offerta convalidata dalla prassi, cioè
gli operatori economici ritengono quel tipo di offerta idonea, e la
chiamiamo “secondo gli usi”.
Articolo 1214: stabilisce che l'offerta secondo gli usi non è idonea
a costituire in mora, perché non ha i requisiti dell'articolo 1208, ma
se a seguito dell’offerta secondo gli usi, il debitore deposita e se il
deposito è stato dichiarato valido con sentenza passata in
giudicato o è stato accettato dal creditore, allora si produce l'effetto
della costituzione in mora, cioè con l'offerta secondo gli usi si viene
a creare una fattispecie complessa a formazione progressiva per
cui l'offerta secondo gli usi, proprio perché non è formale, non è
idonea a costituire in mora, ma se ad essa segue il deposito
munito dei requisiti dell’articolo 1212 e se il deposito viene
dichiarato valido con sentenza passata in giudicato o viene
accettato, allora si producono gli effetti della costituzione in mora.
Quindi mentre la sequenza offerta formale e deposito porta alla
liberazione del debitore, la sequenza offerta secondo gli usi e
deposito porta alla mora del creditore, quindi non porta alla
liberazione del debitore.
● L’offerta informale, è un'offerta che non sia né corrispondente al
contenuto dell'articolo 1208 né sia secondo gli usi.
L'offerta non formale da parte del debitore, ai sensi dell'articolo
1220, produce come unico effetto il fatto che il debitore non può
essere considerato in ritardo, quindi l'offerta non formale scongiura
l’inadempimento del debitore.
Immaginate di essere conduttori e quindi dover pagare a me, che
sono il locatore, (il padrone di casa) il canone di locazione.
Io mi sottraggo a questo pagamento senza giustificato motivo,
quindi un giorno voi mi contattate e invoco un impegno
professionale, il giorno successivo invoco di trovarmi fuori città, il
giorno ancora dopo dichiaro di sentirmi poco bene ecc., quindi sto
rifiutando questo pagamento.
Se voi lo offrite informalmente questo impedisce che il ritardo, con
cui voi sarete costretti ad adempiere a causa dei miei rifiuti, si
trasformi in inadempimento, perché la strategia del creditore
potrebbe essere quella di rifiutare senza motivo legittimo la
prestazione per indurre il debitore a non rispettare il termine di
pagamento e quindi poi considerarlo inadempiente, il che sarebbe
una beffa. Immaginate che io mi voglia liberare di voi come
conduttore e allora in maniera spregiudicata cerco di indurvi in
ritardo, rifiutando senza motivo legittimo la prestazione. Se voi non
faceste ricorso per lo meno all'offerta informale rischiereste di
essere trascinati, dai miei rifiuti, in zona di inadempimento, perché
il debitore che non rispetta il termine di pagamento è
inadempiente.
Allora per evitare tutto questo basta un'offerta informale, un'offerta
quindi che potrebbe consistere anche soltanto nel fatto che voi
abbiate inviato una email o abbiate fatto una telefonata (nel caso
delle email avete un elemento documentale che potete esibire, nel
caso della telefonata dovete munirvi di un testimone che attesti
che in effetti in quel determinato giorno voi avete effettuato quella
telefonata, tra l'altro dai tabulati telefonici si avrebbe anche
conferma che la telefonata c'è stata e il testimone dovrebbe
soltanto attestare il suo contenuto). Quindi con l'offerta non
formale il debitore, di fronte al rifiuto del creditore di ricevere la
prestazione, evita di cadere in ritardo e quindi di essere
considerato inadempiente, questo decreta l'articolo 1220.
Articolo 1220: il debitore non può essere considerato in mora,
cioè in ritardo, se tempestivamente ha fatto offerta della
prestazione dovuta, anche senza osservare le forme dell’offerta
formale di cui al titolo precedente, a meno che il creditore non
abbia rifiutato la prestazione per un motivo legittimo.

Quindi l'offerta non formale evita al debitore che il rifiuto del creditore lo
sospinga in ritardo e quindi lo renda inadempiente, l'offerta secondo gli
usi non è idonea a costituire in mora ma se è seguita dal deposito e
questo viene accettato dal creditore, o dichiarato valido con sentenza
passata in giudicato, allora si hanno gli effetti della mora, mentre l'offerta
formale di per sé è idonea a costituire in mora il creditore, se accettata o
dichiarata valida con sentenza passata in giudicato, e se all’offerta
formale segue il deposito, e il deposito è dichiarato valido oppure
accettato dal creditore allora avremo la liberazione del debitore.

L'ultima fattispecie è quella delle obbligazioni relative a beni immobili.


Con riguardo ai beni immobili non si può parlare di consegna, perché i
beni immobili non si spostano da un luogo all'altro, quindi i beni immobili
vanno rilasciati.
Quando vi obbligate relativamente ad un bene immobile, voi vi obbligate
a rilasciare un immobile, cioè ad immettere nel possesso dell’immobile il
creditore.
Articolo 1216: stabilisce che innanzitutto l'offerta formale delle
obbligazioni di dare, relative a beni immobili non può che essere per
intimazione, perché non si può ricorrere all'offerta reale di cui all'articolo
1209 comma primo, che poi tra l'altro non si applica nemmeno a tutte le
obbligazioni di dare beni mobili, perché se non si tratta di obbligazioni
portable è necessario ricorrere all' offerta per intimazione.
Quindi l’offerta formale delle obbligazioni di dare relativa a beni immobili
avviene tramite intimazione, cioè con l'invio di una comunicazione al
creditore nel quale sono indicati il luogo, il giorno e l'ora in cui avverrà il
rilascio dell'immobile e se l’intimazione ha tutti i requisiti prescritti dalla
legge allora determinerà la costituzione in mora del creditore.
Se però il debitore si vuole liberare dall'obbligazione, dopo l'offerta per
intimazione può ricorrere all'istituto del sequestro, cioè può chiedere al
giudice la nomina del sequestratario.
Il sequestratario è un ausiliario del giudice che sostanzialmente ha il
compito di prendere in detenzione e custodire l'immobile fintanto che il
creditore non si deciderà a prenderne il possesso, quindi il
sequestratario è quello che nel linguaggio volgare, non tecnico, si
chiama custode, però la custodia è una prestazione che si applica ad
una pluralità di fattispecie, è custode il depositario, è custode il
sequestratario, custodisce in un certo qual senso anche il comodatario
ecc., quindi più correttamente dobbiamo parlare di sequestratario.
Quindi il giudice nomina un sequestratario, il quale prenderà in
detenzione il bene e lo custodirà fintanto che il creditore non si
presenterà per essere immesso nel possesso.
Il debitore delle obbligazioni di dare immobili si libera nel momento in cui
il sequestratario pende la detenzione del bene, questo decreta l'articolo
1216 comma secondo.

Le obbligazioni non sono soltanto quelle di dare, sinora la disciplina della


mora accipiendi si è tutta concentrata intorno alle obbligazioni di dare:
beni mobili o beni immobili.
Le obbligazioni di fare, cioè quelle che consistono nella realizzazione di
un servizio, sono regolate dall’articolo 1217.

Articolo 1217: decreta che se la prestazione consiste in un fare, il


creditore è costituito in mora mediante l'intimazione di ricevere la
prestazione o di compiere gli atti che sono da parte sua necessaria, per
rendere possibili, e l'intimazione può essere fatta nelle forme d'uso, cioè
non sono richieste tutte le formalità che invece il codice richiede per le
obbligazioni di dare, perché nelle obbligazioni di fare non c'è un
problema di possesso, non c'è un problema di chi debba custodire il
bene, nelle obbligazioni di fare, peraltro, la cooperazione del creditore è
maggiore di quanto non lo sia nelle obbligazioni di dare, perché nelle
obbligazione di dare il creditore si deve limitare unicamente a ricevere,
mentre nelle obbligazione di fare il ruolo attivo del creditore è maggiore.
Immaginate che io mi impegni a fare da consulente per la vostra
impresa, ma se voi non mi fornite tutte le informazioni relative all'attività
economica che voi svolgete, come farò io ad adempiere la mia
prestazione di fare professionale?
Oppure, se tizio si obbliga nei confronti di Caterina a svolgere un’attività
diagnostica e lei non rende al medico tutte le informazioni necessarie
affinché egli possa valutare nel miglior modo possibile la sua situazione,
come farà il creditore ad adempiere?
Ma molto più semplicemente, se io acquisisco il credito nei confronti di
un sarto alla realizzazione di un abito su misura e poi mi rifiuto di farmi
prendere le misure, ma come potrà mai il mio debitore adempiere?
Quindi nelle obbligazioni di fare la cooperazione del creditore ha un
ruolo maggiore, inoltre, non c'è un problema di possesso dei beni, della
fuoriuscita del bene dalla sfera possessoria del debitore e l'ingresso
nella sfera possessore del creditore, e dunque per costituire in mora il
creditore di una prestazione di facere è sufficiente un’intimazione a
ricevere la prestazione o a cooperare.
Intimazione che può essere fatta anche nelle forme d'uso, cioè alla
presenza di testimoni.
Questo è il quadro che completa la disciplina della costituzione in mora e
della liberazione del debitore in maniera coattiva, contro la volontà del
creditore.

Ora dobbiamo esaminare altri istituti che determinano l'estinzione delle


obbligazioni, però qui è necessario fare una premessa.
L'adempimento è il modo di estinzione fisiologico dell’obbligazione
perché con l’adempimento si attua il debito e si realizza il credito, quindi
il rapporto obbligatorio trova attuazione, quindi si producono i due effetti
correlativi, soddisfacimento dell'interesse del creditore e liberazione del
debitore, ma oltre che questo modo fisiologico di estinzione
dell’obbligazione esistono altri modi per determinare il venir meno del
vincolo.
Alludo al pagamento del creditore apparente di cui all’articolo 1189 e la
“datio in solutum”, cioè la prestazione in luogo dell’adempimento negli
articoli 1197 e 1198 del Codice civile.
Piuttosto che la tesi secondo cui la datio in solutum, cioè le due tesi
principali, tradizionali, vedono nel pagamento al creditore apparente una
forma di adempimento (e ho cercato di mostrarvi che così non è), la
lettura tradizionale vede poi nella datio in solutum un istituto che
modifica l'oggetto dell'obbligazione e ho cercato di dimostrarvi che
invece non è così, è un accordo istintivo.

N.B Se vi dovessi chiedere questi istituti cercate di ricordare entrambe le


prospettive sia quella tradizionale che il vostro manuale ricorda, e poi la
lettura che vi ho fornito io, che in tutta sincerità ritengo essere di gran
lunga preferibile e vedrete nel giro di poco che queste concezioni
scalzeranno quelle tradizionali.
Però per il nostro codice i modi di estinzione delle obbligazioni diverse
dall’adempimento sono soltanto 5 e sono:
● La novazione, regolata dagli articoli che vanno dal 1230 al 1235.
● La remissione del debito, regolata negli articoli 1236 sino al 1240.
● La compensazione di debito e credito, regolata dagli articoli 1242
sino all'articolo 1252.
● La confusione di debito e credito, regolata dagli articoli 1253-1255.
● L'impossibilità sopravvenuta della prestazione, regolata dagli
articoli 1256 sino all’articolo 1259.
La tradizione distingue i modi di estinzione delle obbligazioni diversi
dell’adempimento in: satisfattivi e non satisfattivi.
Sono satisfattivi quei modi di estinzione diversi dall’adempimento, che
comunque soddisfano, anche se chiaramente in modo alternativo e
diverso rispetto all'adempimento, ma comunque producono un vantaggio
per il creditore, mentre i modi di estinzione non satisfattivi (o non
satisfattori) invece non producono nessun beneficio per il creditore.
I modi di estinzione satisfattivi e non satisfattivi tra di loro non hanno
granché in comune, allora le qualificazioni in diritto sono legittime se
producono delle conseguenze di tipo applicativo, se non le producono
allora è meglio evitare di creare nuovi concetti in ossequio a quel canone
metodologico che ci viene dal medioevo e che è stato enunciato da
Bernardo di Occam, filosofo medievale secondo cui “Entia non sunt
multiplicanda praeter necessitatem”.

La novazione è quel modo di estinzione dell’obbligazione diverso


dall’adempimento che si realizza quando debitore e creditore
sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione, quindi
da questo punto di vista se volessimo adottare la distinzione che io ho
criticato saremmo al cospetto di un modo di estinzione di natura non
satisfattoria perché il creditore, creditore era e creditore rimane, soltanto
che il vincolo originario viene sostituito da un nuovo vincolo.
Uno dei più grandi studiosi delle obbligazioni della prima metà del ‘900,
cioè Francesco Carnelutti, indicava quest’istituto ricorrendo ad
un'immagine che è abbastanza efficace, vale a dire che l’obbligazione
madre (quella originaria) viene uccisa e sostituita dall’obbligazione figlia,
cioè l’obbligazione nuova.
Il problema è stabilire come si possa novare un’obbligazione.
Novare quindi significa estinguere l’obbligazione originaria sostituendola
con un’obbligazione nuova.

Articolo 1230: pone due requisiti. Il primo requisito è che l’obbligazione


nuova deve essere proprio tale, vale a dire, deve presentare un aliquid
novi, qualche cosa di nuovo che deve riguardare o l'oggetto o il titolo,
cioè, non è sufficiente modificare le modalità dell’adempimento, il luogo
dell’adempimento, il tempo dell’adempimento per novare, è necessario
mutare l'oggetto, vale a dire la prestazione e il risultato, perché questo è
l'oggetto dell'obbligazione, la sintesi di prestazione e di risultato della
medesima.
Quindi sono obbligato nei confronti di Marta al pagamento di 100.000 €
e le propongo di novare la nostra obbligazione trasferendole la proprietà
di un bene che vale la medesima cifra, questa è un’obbligazione diversa
per l'oggetto.
La diversità potrebbe però riguardare anche il titolo, cioè la fonte, quindi
sono obbligato al pagamento di 100.000 € nei confronti di Marta a titolo
di risarcimento del danno, perché le ho procurato un danno e il giudice
mi ha condannato, io e lei, invece, ci accordiamo affinché io rimanga
obbligato al pagamento di quella somma, però a titolo di corrispettivo di
una prestazione che Marta mi erogherà.
Allora in questo caso abbiamo un’obbligazione nuova che ha il
medesimo oggetto, la dazione dei 100.000 € era l'oggetto di quella
originaria e la dazione di 100.000 € è l' obbligazione nuova, ma la fonte,
il titolo, la causa giustificativa è diversa, perché l'obbligazione originaria
aveva ad oggetto il pagamento di 100.000 € a titolo di risarcimento del
danno, la nuova obbligazione che si sostituisce alla precedente, invece,
ha come causa giustificativa il pagamento di un corrispettivo per un
servizio che Marta mi erogherà.
Quindi l’aliquid novi deve riguardare o l’oggetto dell’obbligazione o il
titolo dell’obbligazione.

N.B ricordatevi che quando vi domando la novazione, vi chiedo sempre


qualche esempio, fateli anche sulla base della vostra fantasia, perché
una volta che avete capito il principio e modificazione, o dell'oggetto
oppure oggetto immutato ma variazione del titolo, gli esempi sono “n”.

L'altro elemento che deve essere presente, perché non basta l’aliquid
novi per novare, è necessario il cosiddetto “animus novandi”, cioè
l'intento comune di debitore e creditore di sostituire l’obbligazione
originaria con la nuova obbligazione.
Se non c'è l'intento specifico di novare, la nuova obbligazione non
sostituisce la precedente, ma vi si affianca.
Quindi se il vostro creditore vi propone di novare l’obbligazione e voi
accettate, dovete aver cura di redigere un accordo da cui
espressamente emerga la volontà di sostituire l'obbligazione originaria
con quella nuova, altrimenti vi troverete due volte debitori, debitori sia
per l’obbligazione originaria, sia per la nuova obbligazione.
Quindi i due elementi che devono coesistere affinché vi sia novazione è:
un mutamento dell'oggetto o del titolo e l'accordo esplicito novativo, cioè
l'accordo di sostituzione dell’obbligazione originaria con quella nuova.
Questo trovate nell’articolo 1230, che infatti recita: “l’obbligazione si
estingue quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una
nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso (secondo comma).
La volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in
modo non equivoco”.
Quindi in maniera espressa.

Domanda: “Qualche tipologia di esempio che possiamo fare per la


novazione?”
Risposta: Pensate, io mi sono obbligato nei suoi confronti a difenderla
in giudizio, in qualità di avvocato, stabiliamo di modificare
quest’obbligazione, per cui non dovrò più difenderla, ma sarò tenuto,
invece, ad aiutarla in una trattativa per l’acquisto di un immobile.
L’oggetto dell’obbligazione muta, cioè, è sempre un’obbligazione di tipo
professionale, è sempre un’obbligazione di fare, ma non è più una difesa
in giudizio in una controversia, ma è un’assistenza legale in una
trattativa immobiliare.
Oppure, io sono tenuto a corrisponderle una somma di denaro a titolo di
finanziamento, perché mi sono impegnato a darle una somma a titolo di
finanziamento, noviamo quest’obbligazione stabilendo che l’oggetto
rimane lo stesso, io rimango obbligato a darle 200.000€, ma non più a
titolo di finanziamento, ma come prezzo di un bene che lei mi cederà.
Allora questo diventa invece una novazione in base al titolo, cioè
l’oggetto dell’obbligazione rimarrà lo stesso, ma la fonte muta.

Articolo 1231: stabilisce che la modifica delle modalità della prestazione


non integrano un aliquid novi.

Articolo 1232: invece stabilisce che estinguendo l'obbligazione


originaria si estinguono anche le garanzie, perché le garanzie sono
vincoli di natura accessoria, se viene meno il vincolo principale
(l’obbligazione), si estinguono anche le garanzie, sia che si tratti di
pegni, che di ipoteche, che di fideiussioni, a meno che debitore e
creditore non si accordino espressamente per conservarle.
Quindi se le parti nulla dicono, le garanzie si estinguono al momento in
cui l’obbligazione originaria è innovata, se invece debitore e creditore si
accordano per conservarle esse sopravvivono.
Articolo 1234: stabilisce che la novazione perde effetti, se
l’obbligazione originaria non esisteva.
Cioè, se io sono obbligato nei confronti di Sebastiano al pagamento di
100.000 € in base ad un contratto nullo, la nullità del contratto decreta
che la mia obbligazione viene meno, e dunque, se io e Sebastiano
avessimo novato quest’obbligazione, perderebbe di effetti anche la
novazione, perché la novazione presuppone che l’obbligazione originaria
esista.
Qualora, invece, l'obbligazione originaria derivi da un contratto, ad
esempio, annullabile, dice l'articolo 1234 comma due, allora in questi
casi se il debitore ha novato nella consapevolezza che l'obbligazione
originaria deriva da un contratto annullabile, allora la novazione
conserva efficacia, perché la nullità a differenza dell'annullamento non
dipende dalla scelta del contraente, il contratto nullo è un contratto che
nasce privo di effetti e la nullità può essere accertata, sia che lo domandi
la parte interessata e sia che lo domandino terzi, ma addirittura può
essere accertata anche d'ufficio dal giudice, l'annullamento invece è una
causa di invalidità che rende un contratto efficace inefficace e l'unico
soggetto che può domandare l'annullamento è la parte nell’interesse del
quale la causa di annullamento è posta, nel nostro caso il debitore.
Quindi il contratto annullabile in altre parole potrebbe non essere reso
inefficace.
Se io stipulo con Paolo un contratto annullabile a causa dell'errore nel
quale sono caduto o a causa del fatto che io non ero capace di agire, io
potrei decidere di non impugnare questo contratto, se ritengo che questo
contratto sia per me conveniente potrei decidere di non annullarlo
addirittura lo potrei convalidare, allora il contratto annullabile è
convalidabile, cioè può essere eliminata la causa dell’invalidità e la
convalida può essere espressa o tacita.
È una forma di convalida tacita novare un’obbligazione nascente da un
contratto annullabile nella consapevolezza che il contratto sia
annullabile, perché è come se il debitore dicesse: “io so che il contratto
da cui nasce l'obbligazione originaria potrebbe essere reso inefficace
grazie all'annullamento, ma io non lo voglio annullare, voglio anzi
sanarlo e lo faccio adottando un comportamento che è incompatibile con
la volontà di annullarlo, cioè novare l' obbligazione”, se io voglio novare
l’obbligazione che nasce da un contratto annullabile significa che io
voglio conservare gli effetti di quel contatto, anzi addirittura li voglio
sostituire, quindi novare un’obbligazione nascente da un contratto
annullabile costituisce una forma di convalida tacita del contratto
annullabile pertanto la novazione non rimane efficace e non diviene
inefficace come nel caso della nullità.

Articolo 1235: parla di una novazione soggettiva.


Questa scelta molto errata del legislatore consiste nell’aver introdotto
anche la figura della novazione soggettiva, perché la novazione
soggettiva è in realtà una figura che è sconosciuta al nostro codice,
perché non è un istituto autonomo, cioè l'unica forma di novazione che il
nostro codice sembra legittimare è quella oggettiva, la novazione
soggettiva consisterebbe nella sostituzione del soggetto passivo del
rapporto obbligatorio del debitore, ma questa sostituzione avviene con
tre istituti che sono un po’ complicati quali: la delegazione,
l'espromissione e l’accollo.
Quindi la cosiddetta novazione soggettiva in realtà è regolata da questi
tre istituti e qualificare questi tre istituti come novazione soggettiva, non
comporta che alle norme sulla delegazione, espromissione ed accollo si
applichino altre regole che presuppongono la qualificazione come
novazione soggettiva, quindi anche in questo caso si tratta di una
qualificazione priva di conseguenze di tipo applicativo perché alla
modificazione del lato passivo del rapporto obbligatorio si applicano
soltanto le norme sulla delegazione, l'espromissione e l’accollo e
qualificare quindi delegazione, espromissione ed accollo come una
novazione soggettiva non comporta alcun vantaggio di tipo applicativo,
perché non esistono regole specifiche, apposite da applicare alla
novazione soggettiva.

Domanda: “Nell'articolo 1235 è delineata la novazione oggettiva?”


Risposta: No soggettiva, la novazione oggettiva è l'unica novazione
vera e propria, cioè quella regolata dagli articoli 1230, 1231, 1232 e
1233, poi l'articolo 1235 introduce la novazione soggettiva rinviando le
norme su delegazione, espromissione e accollo, ma dal momento che il
codice non collega alla qualificazione di novazione soggettiva alcuna
regola specifica, che senso ha parlare di novazione soggettiva? Nulla,
non ha nessun senso, perché si ha novazione soggettiva quando è
sostituita la persona del debitore, ma in questi casi le regole che si
applicano non sono quelle degli articoli 1230, 1231, 1232, 1233 e 1234,
ma sono le norme sulle delegazioni, l'espromissione e l’accollo, che
sono i tre istituti che realizzano la modificazione del lato passivo del
rapporto obbligatorio.
L'altro istituto che determina l’estinzione dell’obbligazione, sempre con
effetto non satisfattivo, è la remissione del debito.
La remissione del debito è regolata dagli articoli 1236 e seguenti e
consiste nella rinuncia al diritto di credito da parte del creditore.
Come tutti i diritti soggettivi anche il diritto di credito può essere oggetto
di rinunzia e la rinunzia è un possibile atto di disposizione.
Si dispone del proprio diritto quando lo si trasferisce, quando sul diritto si
costituiscono diritti minori, come ad esempio, sulla proprietà si
costituiscono i diritti reali di godimento o i diritti reali di garanzia, quando
sul credito si costituisce un pegno, perché il pegno può avere ad oggetto
anche diritti di credito, questo è un atto di disposizione, oppure, quando
vi si rinuncia.
La rinunzia del credito prende il nome di remissione, ma ha una
specificità, mentre la rinuncia dei diritti assoluti è un atto insindacabile ed
unico del titolare del diritto, la rinuncia di un diritto relativo coinvolge
invece controparte, cioè il debitore, questo significa che per rimettere il
debito, il creditore deve ottenere il consenso del debitore?
Assolutamente no, era così in diritto romano, non è più così nel diritto
contemporaneo.

Articolo 1236: stabilisce che la remissione è un atto libero del creditore,


ma incidendo anche sulla sfera giuridica del debitore, il debitore può
impedire che si produca l'effetto estintivo, perché il debitore può
dichiarare entro un congruo termine che non intende approfittare della
remissione e questo impedirà che l’obbligazione si estingua.
Quindi non è necessario un accordo tra creditore e debitore, la scelta
spetta al creditore, ma il debitore può evitare che l’obbligazione si
estingua dichiarando di non volerne profittare.
Perché il debitore dovrebbe compiere una scelta che è apparentemente
irrazionale? Ha la possibilità di liberarsi dal vincolo, senza adempiere,
senza quindi compiere alcuno sforzo economico e perché dovrebbe
rinunziare a questo vantaggio?
Le ragioni sono le più varie, vi faccio il caso più emblematico: il creditore
potrebbe avere interesse a prestare, potrebbe avere interesse ad
effettuare la prestazione, perché dall'effettuare la prestazione potrebbe
derivargli un vantaggio, ad esempio, di tipo commerciale per la sua
immagine.
Voi immaginate che io sia un fornitore di pneumatici di una nota casa
automobilistica che produce auto da corsa, alcune tra l'altro anche per il
campionato di Formula Uno, e che è contraddistinta da un cavallino
rampante, ora, io potrei avere interesse ad impedire la remissione del
debito che questa nota società mi abbia effettuato per svincolarsi
dall'obbligazione con me, perché fintanto che io sono legato a questa
società potrò nella pubblicità, ad esempio, nel marketing dei miei
prodotti, dichiararmi fornitore ufficiale di quella importante società
automobilistica e questo per me è un vantaggio di tipo commerciale, cioè
determina una conseguenza vantaggiosa sul fronte commerciale e
quindi mi potrebbe indurre ad impedire che l'obbligazione si estingua per
remissione, proprio perché ho un interesse specifico che l'obbligazione
rimanga in vita.
In altri termini, se nei diritti assoluti l'estinzione dell’obbligazione per
rinunzia è un atto isolato del titolare, nell’obbligazione la rinuncia al
diritto di credito prende il nome di remissione coinvolgendo anche il
debitore, il coinvolgimento non arriva al punto tale che creditore e
debitore debbano concordare la remissione, ma comunque è tale da far
sì che il debitore la possa impedire la remissione, dichiarando di non
volerne profittare.
Come si prova l'avvenuta remissione? La restituzione del titolo originario
dell’obbligazione che il creditore faccia al debitore costituisce prova
dell’avvenuta remissione, perché il titolo è fondamentale per provare che
il creditore ha un credito, se il creditore deve agire in giudizio, deve
dimostrare di essere tale e si dimostra di essere creditore esibendo il
titolo, se il creditore consegna al debitore l'originale del titolo quella è
prova che vi è stata remissione.

Ovviamente la rinuncia alle garanzie da parte del creditore non equivale


anche a remissione del debito, lo sancisce l'articolo 1238, quindi il
creditore potrebbe decidere di rinunciare alla garanzia senza che questo
significhi che voglia rinunciare pure al proprio diritto.

Articolo 1239: la remissione accordata al debitore principale libera


anche il fideiussore.
La garanzia è sempre un vincolo accessorio, quindi se si estingue il
debito principale si estingue anche il debito accessorio di garanzia.

Passiamo ad esaminare l’ulteriore modo di estinzione dell’obbligazione,


questa volta di tipo satisfattivo, costituito dalla compensazione.
Sottolineerei che tra novazione e remissione del debito, che sono due
modi di estinzione di natura satisfattiva, non ci sono elementi di grande
affinità, quindi in effetti qualificarli come modi satisfattivi non aggiunge
nulla, perché sono due ipotesi profondamente differenti, da un lato
un’obbligazione che si sostituisce ad un'altra, invece, nel caso della
remissione, la rinuncia del creditore al proprio diritto.
La compensazione è regolata dagli articoli 1241 e seguenti del Codice
civile, e la compensazione presuppone la cosiddetta reciprocità di debito
e credito, cioè presuppone che il creditore sia al contempo debitore del
proprio debitore e viceversa il debitore sia creditore del proprio creditore.
Quindi l'ipotesi classica è che io sono obbligato al pagamento di 100.000
€ nei confronti di Jessica, ma al contempo ho un credito nei suoi
confronti di 50.000 € dovuto a prestazioni professionali che io ho
effettuato nel passato.
Quindi ci troviamo di fronte a due obbligazioni contrapposte che hanno
le parti invertite, perché io sono debitore di 100.000 € nei confronti di
Jessica, ma lei è obbligata al pagamento di 50.000 € nei miei confronti,
ora, sarebbe irrazionale dal punto di vista economico che l'ordinamento
giuridico imponga di effettuare due pagamenti, uno di 100 e l'altro di 50
a segno invertito, quando sarebbe possibile risolvere la vicenda con un
unico pagamento da parte del debitore che ha il debito più cospicuo ma
decurtato dell’ammontare del credito che egli vanta nei confronti del
proprio del creditore.
Quindi in questo caso piuttosto che effettuare due pagamenti, io un
pagamento che da me va a Jessica per un ammontare di 100.000 € ed
un pagamento che va da Jessica a me per 50, effettueremo un unico
pagamento, e lo effettuerò io che ho il debito più cospicuo, ma
chiaramente decurtato dell'ammontare del credito che io vanto nei suoi
confronti, quindi pagando 50 io estinguo al contempo il mio debito, e
quindi l’obbligazione che mi vede debitore di 100.000 € e l'obbligazione
che mi vede creditore nei confronti della mia creditrice per un
ammontare di 50.000 €.
Quindi necessaria reciprocità di debiti e crediti, ma non basta, è
necessario che i due crediti e debiti nascano da titoli differenti, perché se
nascono dallo stesso titolo allora non abbiamo compensazione, ma
quella che la giurisprudenza chiama compensazione impropria, che vera
e propria compensazione non è.
Vi faccio un esempio su tutti: pensate ai danni da circolazione di
autoveicoli, nell’ambito della circolazione di autoveicoli si potrebbero
verificare danni dovuti a scontri e tamponamenti tra autovetture che non
sempre sono responsabilità esclusiva di uno dei due conducenti, in molti
casi c'è una responsabilità di tipo concorrente o al 50% o comunque c'è
un conducente che ha una responsabilità maggioritaria ed un altro
conducente che ha una responsabilità minoritaria.
Classico esempio: immaginate che io stia andando contro senso e mi
scontri con l'autovettura di Paolo, che tuttavia superava leggermente il
limite di velocità, è chiaro che la prevalente responsabilità è ascrivibile a
me, ma c'è una porzione di responsabilità che grava su Paolo che non
rispettava il limite di velocità.
Allora, quindi vi sarà un concorso che sarà pari a 90% a mio carico e al
10% a carico di Paolo, allora in questi casi accade che io devo risarcire i
danni che ho provocato a Paolo nella misura del 90% del loro
ammontare e Paolo dovrebbe risarcire i danni che dallo scontro ho
subito io nella misura però soltanto del 10%, ora, i due crediti nascono
dallo stesso titolo, cioè dalla stessa fattispecie dannosa e quindi quella
non è vera e propria compensazione, perché non sono due obbligazioni
distinte e sorte in momenti differenti, sono due crediti che nascono dallo
stesso rapporto e quindi l'elisione, quello per cui Paolo non mi paga
niente ed io dovrò risarcirgli i danni nella misura del 90% decurtato del
valore del 10% dei danni che io ho subito in questo scontro, è una mera
operazione contabile.
La compensazione vera e propria presuppone che la reciprocità di
debito e credito si determini in quanto esistono due obbligazioni
preesistenti nascenti da titoli differenti che intercorrono tra i medesimi
soggetti, però a segno invertito, una vede il debitore tenuto ad effettuare
la prestazione nei confronti del creditore e l'altra vede nel ruolo di
creditore il soggetto che nell’altro rapporto ha il ruolo di debitore.

Articolo 1241: stabilisce “quando due persone sono obbligate l’una


verso l’altra, le due obbligazioni si estinguono per le quantità
corrispondenti.”
Cioè all’obbligazione d’importo maggiore viene decurtato l’ammontare
dell’obbligazione di importo minore, e l’obbligazione di importo maggiore
sopravvivrà nella misura della differenza.
Ecco perché è un modo di estinzione cosiddetto satisfattivo, perché
comunque il creditore qualcosa la ottiene, cioè ottiene di essere liberato
da una propria obbligazione nei confronti del suo debitore.

Articolo 1242: la compensazione estingue i debiti dal giorno della loro


coesistenza, questo è il momento temporale in cui la compensazione
opera.
Però la compensazione non può essere rilevata d’ufficio, quindi non
opera automaticamente, la compensazione deve essere tecnicamente
eccepita, cioè il debitore è chiamato ad adempiere al creditore e dovrà
difendersi eccependo che la sua obbligazione si è estinta, in tutto o in
parte per compensazione, invocando quindi il credito che il debitore
vanta nei confronti del creditore.
Questo è fondamentale ed è una delle norme più importanti della
disciplina della compensazione.
Quindi la compensazione cancella le obbligazioni per le quantità
corrispondenti, dal giorno della loro coesistenza, ma non opera
automaticamente, va richiesta e viene richiesta sempre tramite
eccezione, cioè uno strumento difensivo.
Il debitore è chiamato a prestare e per evitare di prestare o per ridurre
l’ammontare della sua prestazione potrà sollevare l’eccezione di
compensazione.
Esistono tre tipi di compensazione:
● Compensazione legale, è regolata dall’articolo 1243 comma 1.
Si ha compensazione legale quando i due debiti corrispondenti
hanno per oggetto somme di denaro o cose fungibili della stessa
specie e qualità che siano liquidi ed esigibili, cioè i due debiti
contrapposti devono essere tutti omogenei, liquidi ed esigibili.
L’omogeneità dipende dal fatto che entrambe le obbligazioni sono
pecuniarie o entrambe le obbligazioni hanno ad oggetto la
consegna di beni fungibili della stessa specie e qualità.
Per esempio, io devo a Paolo un determinato quantitativo di
benzina e Paolo deve a me un determinato quantitativo di benzina.
Poi è necessario che entrambi i debiti siano liquidi, cioè
determinati nel loro preciso ammontare, quindi quantificati
precisamente.
Poi devono essere esigibili, i crediti sono esigibili quando è
scaduto il termine per adempiere, se è nell’interesse del debitore
oppure quando il termine non è apposto.
Se i due crediti sono omogenei, liquidi ed esigibili, la
compensazione opera di diritto, ma non automaticamente, perché
deve sempre essere richiesta dal debitore tramite eccezione, cioè
difendendosi alla domanda di adempimento, invocando
l’eccezione di compensazione.
● Compensazione giudiziale, regolata dall’articolo 1243 comma 2.
Si ha compensazione giudiziale, cioè per opera di una pronuncia
del giudice, quando i due crediti corrispondenti sono omogenei,
esigibili, ma non liquidi, però tuttavia sono di pronta e facile
liquidazione.
Quindi quando i due debiti corrispondenti hanno il requisito
dell’omogeneità, dell’esigibilità, ma non quella della liquidità, ma
sono di pronta e facile liquidazione, allora il giudice può
pronunciare la compensazione (sempre che la parte glielo
richieda) per quella parte di debito che considera esistente.
Per esempio, immaginate che io sia tenuto a pagare a Dario una
somma di denaro come corrispettivo della vendita di un prezzo e
questa è una somma liquida, però lui a sua volta è tenuto a
risarcirmi da un danno da infiltrazioni che ha provocato alla mia
abitazione a causa di una perdita di acqua dal suo appartamento.
Anche il mio credito è un credito pecuniario, però non è ancora
quantificato, tuttavia per il giudice è facile stabilire la
quantificazione, perché basta stimare velocemente i danni che ha
provocato, se l’infiltrazione ha determinato soltanto delle macchie,
si tratta di una ritinteggiatura delle pareti che ha un valore di
mercato facilmente determinabile, di qualche migliaio di euro,
allora il giudice può dire: “il credito che il professore vanta nei
confronti del suo creditore è di non meno di 3.000 € e allora io
ritengo compensato il debito di Dario nei confronti del professore e
ridotto il debito del professore nei confronti di Dario di questa
misura che è sicuramente esistente, perché il danno che
l’infiltrazione ha provocato, non può essere inferiore a 2.000/3.000
€”.
Allora in questo caso la compensazione opera grazie al
provvedimento del giudice.
● Compensazione volontaria, ai sensi dell’articolo 1252.
Quando i crediti non abbiano i caratteri della liquidità,
dell’esigibilità e dell’omogeneità, cioè le parti possono con un
contratto decidere di compensare anche obbligazioni che non
sono omogenee, perché lì è l’autonomia privata, e quindi è la
libertà di autoregolamentare i rapporti privati, che la fa da padrone.

Articolo 1244: decreta che l’eventuale concessione di dilazione di


pagamento non osta alla compensazione, perché la dilazione di
pagamento non rende il credito inesigibile, perché la dilazione di
pagamento è sostanzialmente un tempo ulteriore che il creditore
concede al debitore per poter prestare.

Se i debiti non devono essere pagati in uno stesso luogo vanno


calcolate, nell’ammontare complessivo del debito, anche le spese di
trasporto.
Questa è una regola che opera esclusivamente quando i pagamenti
devono essere effettuati in contanti, perché per i pagamenti tramite
moneta bancaria non c’è esigenza di spostarsi, perché il pagamento
avviene attraverso un ordine, che il debitore fa alla propria banca, di
addebitare sul proprio conto corrente e di accreditare sul conto corrente
del creditore la cifra oggetto del credito.

Modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento


Articolo 1246
L’articolo 1246 individua una serie di crediti che non possono essere
opposti in compensazione, cioè non si può opporre in compensazione il
credito di restituzione di cose di cui il proprietario sia stato ingiustamente
spogliato, quindi il credito nascente dall'azione di reintegrazione o
spoglio, non può essere portato in compensazione perché quella
obbligazione di restituzione serve a reintegrare il possesso, e quindi
l'ordinamento giuridico ritiene che sia prioritaria la reintegrazione del
possesso.
ESEMPIO: Se io sono tenuto a restituire un bene a Paolo che me lo ha
dato in prestito in comodato, scaduto il termine lo devo restituire. Io non
posso evitare di adempiere questa obbligazione invocando in
compensazione il fatto che Paolo, mio creditore, a sua volta è obbligato
a restituire un bene che mi ha sottratto ingiustamente, con violenza o
clandestinità e che un giudice ha ritenuto sussistente accogliendo la mia
azione di reintegrazione, perché in questo caso il legislatore vuole che
questo credito non venga utilizzato per il credito di chi ha spogliato, cioè
non debba essere utilizzato per elidere o estinguere altre obbligazioni,
perché l’adempimento di quella obbligazione serve per reintegrare il
possesso. La reintegra di un possesso della proprietà viene considerato
obiettivo prioritario, analogamente per la restituzione di cose depositate
o date in comodato, anche in questo caso queste obbligazioni
restitutorie servono a reintegrare il possesso, che prevale rispetto
all'obiettivo di estinguere eventuali obbligazioni che il soggetto è tenuto a
restituire gli eventuali crediti che il comodatario o il depositario sono
tenuti a restituire nei confronti del comandante, tutti i crediti dichiarati
impignorabili non possono essere opposti in compensazione, ad
esempio: il salario, il diritto al salario, il diritto alla pensione sono
impignorabili se non nella misura di 1/5. Quindi soltanto 1/5 del salario o
un quinto della pensione possono essere oggetto di pignoramento
perché con il resto l’individuo deve potersi sostentare, difatti la tutela
della dignità dell’individuo prevale anche sull’esigenza di soddisfare i
creditori di costui; e poi nel caso di rinunzia alla compensazione fatta
preventivamente dal debitore (articolo 1246 n. 4).

Articolo 1247
Altra norma importante è l’articolo 1247, che stabilisce che il fideiussore
può porre in compensazione il debito che il creditore ha verso il debitore
principale. Se il creditore dovesse decidere di agire non nei confronti del
debitore originario ma nei confronti del fideiussore, perché debitore
originario e fideiussore sono obbligati in solido, quindi spetta al creditore
decidere se agire nei confronti dell'uno o nei confronti dell’altro per
ottenere l’intero. Immaginiamo che il creditore abbia deciso di agire nei
confronti del fideiussore, il fideiussore per evitare di pagare può opporre
in compensazione non un proprio credito nei confronti del creditore, ma
un credito del debitore principale, perché il fideiussore è obbligato in
solido nell’interesse del debitore principale, cioè adempie al posto del
debitore originario e nel suo interesse perché ne è un garante, allora una
misura di giustizia impone di considerare il credito vantato dal debitore
principale nei confronti del creditore come invocabile anche dal
fideiussore.
Mentre la compensazione non può essere opposta dal debitore che
abbia accettato in maniera pura e semplice, la cessione che il creditore
abbia fatto del suo credito ad un terzo, il credito può essere ceduto e la
cessione del credito è un atto del creditore. Il creditore originario si
chiama cedente e il nuovo creditore si chiama cessionario. Se il debitore
non accetta la cessione che il creditore originario abbia fatto al creditore
cessionario allora il debitore potrà opporre al creditore cessionario il
credito che ha nei confronti del creditore originario e che avrebbe potuto
opporre in compensazione a costui, se costui fosse rimasto il creditore,
perché la cessione che il debitore non abbia accettato, non può
peggiorare la posizione in cui il debitore si trova. Il creditore non può con
un atto di cessione peggiorare la posizione del suo debitore, se il
debitore poteva evitare di adempiere o ridurre la sua prestazione
eccependo la compensazione di un credito che vanta nei confronti di un
suo creditore, questa stessa compensazione deve poter essere
sollevata anche nei confronti del nuovo creditore, ma questo se la
cessione viene fatta senza coinvolgere il debitore. Se il debitore invece
accetta la avvenuta cessione allora perde il diritto di poter eccepire al
nuovo creditore il credito che egli vanta nei confronti del creditore
originario, perché in questo caso avendo accettato, il debitore si è
assunto i rischi collegati alla cessione e quindi il peggioramento della
sua posizione è coperto da questa assunzione di rischio. (Questa è una
norma molto importante).
Se avviene una cessione di credito, il debitore che venga chiamato ad
adempiere dal nuovo creditore, può opporre, per evitare di dover
prestare al nuovo creditore, il credito che vantava nei confronti del
creditore originario perché, se la cessione viene fatta senza coinvolgere
il debitore, questo atto del creditore non può peggiorare la posizione in
cui il debitore si trovava.
ESEMPIO: Se io sono debitore di 100 nei confronti di Paolo, ma ho nei
suoi confronti un credito di 50 e Paolo decide di cedere il suo credito a
Giada, in questo caso se la cessione è fatta senza coinvolgermi e Giada
(nuova creditrice) mi chiama chiedendomi la prestazione di 100, io potrò
opporre il credito di 50 che vantavo nei confronti di Paolo (mio creditore
originario), perché visto che la cessione è avvenuta senza coinvolgermi,
essa non può peggiorare lo stato in cui mi trovavo, io avrei potuto
opporre a Paolo il mio credito di 50 nei suoi confronti, questo stesso
credito devo poterlo opporre anche nei confronti della nuova creditrice
Giada. Ma se io dovessi accettare la cessione perché Paolo e Giada me
la fanno accettare, perdo la possibilità di opporre a Giada il credito che
vanto nei confronti di Paolo perché avendo accettato ho compartecipato
a questa operazione quindi non si giustifica più che la mia posizione
debba rimanere immutata in quanto la mia condizione non può
peggiorare per una scelta del mio creditore che non mi ha visto
coinvolto.
La compensazione non può pregiudicare i diritti dei terzi, lo prevede
l’articolo 1250. Il credito vantato in compensazione che sia stato dato in
pegno e cui si consente la compensazione del debito del debitore
invocando il credito che è stato dato in pegno, fa estinguere la garanzia
e questo non è accettabile.
Esempio, se io ho un debito di 100 nei confronti di Paolo che ha preteso
da me un pegno ed io ho dato in pegno il credito che vantavo nei suoi
confronti, in questo caso non posso portare in compensazione questo
credito di 50 perché se lo portassi in compensazione si estinguerebbe il
pegno che grava su quel diritto di credito.
La confusione di debito-credito: articoli 1253 – 1255
L’altro modo di estinzione dell’obbligazione è la confusione di debito-
credito. L’obbligazione si estingue per confusione quando nella
medesima persona confluiscono sia la qualità di debitore sia la qualità di
creditore, cioè quando il debitore diventa o acquista il diritto di credito
che lo vede come parte passiva, che accade con la successione mortis
causa.
ESEMPIO: Se io sia debitore nei confronti di tizio e gli debba 30.000
euro, tizio muore mi istituisce erede e all’interno di questa eredità c’è
anche il credito che lui vanta nei miei confronti, in questo caso io
acquisto il diritto nei confronti di me medesimo e quindi viene meno la
necessaria pluralità di soggetti che deve caratterizzare il rapporto
obbligatorio. Il rapporto obbligatorio proprio perché rapporto, presuppone
che debito e credito siano imputati a soggetti distinti, quando invece
debito e credito confluiscono nel medesimo soggetto, l’obbligazione si
estingue perché viene meno l’elemento della alterità soggettiva.
L’obbligazione è un rapporto, il rapporto giuridico presuppone la
necessaria alterità soggettiva, cioè debito e credito devono essere
imputati a soggetti differenti. Quando il debitore eredita il credito del suo
creditore perché diventa erede del suo creditore, allora l’obbligazione si
estingue per confusione. Tuttavia, la confusione non opera soltanto
nell’ipotesi in cui ciò sarebbe pregiudizievole per i terzi, come nel caso in
cui il credito sia stato oggetto di un pegno o di un usufrutto; in questo
caso se operasse compensazione si estinguerebbero i diritti del
creditore pignoratizio, o dell’usufruttuario su quel credito. Questo la
legge lo vuole impedire, ed allora eccezionalmente l’obbligazione rimane
in vita, nonostante il fatto che debitore e creditore siano la stessa
persona, fintanto che non si estingueranno i diritti dei terzi su quel
credito. Questo perché il credito può diventare oggetto di un diritto, può
diventare un bene quando il credito è dato in pegno o in usufrutto, allora
se anche nella stessa persona dovessero confluire la qualità di creditore
e di debitore, quell’obbligazione non si estinguerà perché se si
estinguesse determinerebbe anche l’estinzione del diritto del terzo (cioè
del pegno a favore del creditore pignoratizio o dell’usufrutto a favore
dell’usufruttuario), ed allora quando si estingueranno i diritti che hanno
ad oggetto quel credito, quando si estinguerà il pegno o l’usufrutto,
allora potrà operare compensazione e si estinguerà anche
l’obbligazione. Questo prevede l’istituto della confusione di debito e
credito.
La confusione è un modo di estinzione satisfattivo, anche in questo caso
non c’è nulla che lo accomuni alla compensazione, altro modo di
estinzione satisfattivo.
l’istituto della impossibilità della prestazione sopravvenuta: articoli 1256-
1259
L’ultimo modo di estinzione è l’istituto della impossibilità della
prestazione sopravvenuta regolata dagli articoli 1256 e seguenti, una
delle pagine più importanti del capitolo delle responsabilità contrattuali.
Il primo comma dell’articolo 1176 è una regola di responsabilità, mentre
il secondo comma è una norma di adempimento in cui si trova la perizia,
che è il criterio che concorre a definire l’oggetto dell’obbligazione quando
essa ha ad oggetto un fare professionale, che tornerà utile nella
responsabilità contrattuale. L‘impossibilità della prestazione è un tassello
del giudizio di responsabilità. L’articolo 1256 co. 1 decreta che
l’obbligazione si estingue se la prestazione diviene impossibile per
causa non imputabile al debitore, perché l’obbligazione neppure sorge
se debitore e creditore si sono impegnati ad una prestazione
impossibile, perché ad impossibilia nemo temetur, cioè non si può
dedurre in obbligazione una prestazione impossibile o dal punto di vista
materialistico o dal punto di vista giuridico, perché l’obbligazione per
venire ad esistenza presuppone la possibilità del debitore di prestare,
quindi la possibilità è un requisito, una condizione esistenziale
dell’obbligazione.
ESEMPIO: Se io mi impegnassi nei confronti di Claudia a trasferirle la
proprietà di un bene demaniale, quell'obbligazione non verrebbe
neppure ad esistenza poiché il contratto stipulato tra me e lei sarebbe
nullo per impossibilità dell’oggetto, perché la legge non consente di
disporre di beni demaniali. Se io mi dovessi obbligare nei confronti di
Sara a resuscitare il suo animale domestico tragicamente morto in un
incidente, questa obbligazione non sorgerebbe, perché materialmente è
impossibile riportare in vita al netto delle finzioni letterarie, un essere
vivente morto.
L’obbligazione sorge se la prestazione è possibile. Quando la
prestazione originariamente possibile diviene impossibile dopo la sua
nascita e prima che il debitore abbia prestato, se l’impossibilità dipende
da un fattore sopravvenuto che non è imputabile, addebitabile al
debitore, l’obbligazione si estingue con efficacia non satisfattiva perché il
creditore rimane insoddisfatto e non avrà alcuno strumento per potersi
soddisfare. L’impossibilità sopravvenuta delle prestazioni per causa non
imputabile al debitore è un rischio che grava su ogni creditore. Quando
acquisite un credito vi accollate anche il rischio che la prestazione
divenga successivamente impossibile per causa non imputabile al
debitore.
ESEMPIO: Chi ha acquistato il biglietto per assistere al concerto del suo
artista preferito, che avrebbe dovuto svolgersi nel Giugno dello scorso
anno, ha visto la propria obbligazione estinguersi, il proprio credito
estinguersi nei confronti della società che produceva quello spettacolo
perché le norme sopravvenute, emergenziali di contrasto alla pandemia,
hanno vietato lo svolgimento di manifestazioni pubbliche inclusi i
concerti, quindi il contratto originariamente valido, perché stipulato prima
della pandemia ed anche l’obbligazione validamente sorta si è estinta
per causa non imputabile al debitore e di conseguenza voi avete perduto
la vostra obbligazione e potete chiedere il rimborso del prezzo pagato,
non potete agire in responsabilità nei confronti della società che gestiva
lo spettacolo che ha allestito, lamentando il fatto di non aver potuto
trovare soddisfacimento del vostro interesse di svago, perché quella
prestazione è stata resa impossibile da un fatto sopravvenuto, la
pandemia, e soprattutto il divieto nazionale di svolgere manifestazioni
pubbliche che non può essere addebitato in alcun modo al debitore,
società che ha gestito l’evento per il quale voi avevate acquistato il
biglietto (il titolo di partecipazione).
Il punto più delicato del tema dell’impossibilità sopravvenuta è costituito
dalla identificazione di cosa si debba intendere per “impossibilità” e qui si
contrappongono due concezioni tradizionali: la concezione secondo cui
l’impossibilità debba essere oggettiva ed assoluta e la concezione
secondo cui l’impossibilità debba essere oggettiva e relativa.
Cosa sicuramente non sia impossibilità è la cosiddetta “impossibilità
soggettiva”, che invece è considerata mera difficoltà di prestare, mera
difficultas prestandi. Tutte le vicende che riguardano le economie
individuali del debitore, come il fatto che il debitore per una qualunque
ragione anche indipendente da sua responsabilità si trovi in difficoltà
economiche o finanziarie, cioè si è ridotto la misura del suo reddito o si è
ridotta l’entità del suo patrimonio, queste vicende irrilevanti sulla vita
dell’obbligazione, sono irrilevanti perché l’impossibilità soggettiva
costituisce un elemento addebitato, posto come rischio a carico del
debitore. Se il creditore quando assume il diritto di credito si assume il
rischio che la prestazione diventi impossibile in termini oggettivi per
cause non imputabili al debitore e quindi deve accettare che il suo
credito possa rimanere insoddisfatto a causa della impossibilità
sopravvenuta non imputabile al debitore, allo stesso modo ogni debitore
quando assume un vincolo, si assume il rischio che le proprie condizioni
economico-finanziarie mutino, peggiorino e che questo renda per il
debitore complesso, se non addirittura impossibile economicamente
prestare. Questo è un rischio che grava sul debitore che non determina
quindi l’estinzione dell’obbligazione. Il creditore è insoddisfatto perché il
debitore privo di mezzi non ha potuto adempiere, potrà soddisfarsi sul
suo patrimonio, sperando che questo patrimonio sia sufficientemente
cospicuo, se così non dovesse essere anche il creditore rimarrà
insoddisfatto ed il rischio di insolvenza del debitore è un altro dei rischi
che gravano sulle spalle del creditore. La impossibilità soggettiva è
costituita da eventi sopravvenuti che si verificano nella sfera del debitore
e che non sono idonei ad estinguere il rapporto obbligatorio.
ESEMPIO: Se io mi sono obbligato a pagare 50.000 euro a Marta e
vengo licenziato e quindi perdo il mio stipendio, questo evento non lo
posso invocare come fattore impossibilitante, perché è impossibilità
soggettiva che riguarda la mia sfera personale. Che il mio reddito si sia
ridotto non è un evento che possa essere imputabile alla mia creditrice
Marta, la quale pertanto non perderà il proprio diritto di credito, che
sopravviverà perché l’obbligazione non si estingue. Marta potrà allora
agire nei miei confronti e se io non sarò in grado di adempiere perché mi
mancano le somme per poter estinguere l’obbligazione, allora potrà
aggredire il mio patrimonio che è posto a garanzia dei miei creditori nella
consistenza che esso ha nel momento in cui il creditore agisce.
Potrebbe darsi che all’epoca in cui io avrei dovuto adempiere il mio
patrimonio fosse in sofferenza, ma che successivamente sono entrati dei
beni nel mio patrimonio che lo hanno rimpinguato e su quei beni Marta si
potrà soddisfare in quanto l’obbligazione non si è estinta. Quindi,
l’impossibilità soggettiva non estingue l’obbligazione mera difficultas
praestandi. I fatti che generano l’impossibilità sono soltanto fatti oggettivi
che colpiscono la prestazione in sé e per sé considerata e non già quei
fattori che incidono sulla capacità del debitore di prestare; questi sono
irrilevanti, perché sono impossibilità soggettive, mentre i fatti che
colpiscono la prestazione in sé e per sé sono ipotesi di responsabilità
oggettiva. Ad esempio, mi sono obbligato a consegnare una determinata
tipologia di beni a Damiano ma il Ministero della Sanità ne vieta la
commercializzazione, dispone dopo che l’obbligazione è sorta, che quei
beni non possono essere commercializzati per motivi di sicurezza,
questo è un fatto sopravvenuto che non colpisce la mia capacità di
prestare, ma colpisce l’attività che io devo compiere, colpisce la
prestazione in sé e per sé, è impossibilità oggettiva. Oppure devo
effettuare una prestazione professionale nei confronti di Sebastiano, ma
quel tipo di attività è temporaneamente interdetta, sono sospeso
temporaneamente dall’albo degli avvocati per ragioni di tipo
precauzionale e quindi io non posso più effettuare quella prestazione
perché sono momentaneamente impossibilitato a poterla svolgere,
anche quello è un evento che colpisce la prestazione in sé e per sé.
Dalla seconda metà dell’Ottocento in poi, si è affermata l’idea secondo la
quale l’obbligazione si estingue solo quando l’impossibilità colpisce la
prestazione in sé e per sé perché questo rende più certa la sorte del
rapporto obbligatorio ed è una esigenza del capitalismo, cioè la certezza
dei rapporti giuridici. La sicurezza che i vincoli rimarranno in piedi anche
in presenza di difficoltà economiche dei debitori, è uno dei capisaldi del
capitalismo, è uno degli elementi che crea quel clima di fiducia che
induce ad acquisire crediti. Molti soggetti potrebbero essere
disincentivati dall’acquisire crediti se i rischi connessi all’assunzione di
un credito fossero troppo alti. Perché devo acquisire un diritto di credito
se già rischio che la prestazione diventi impossibile in termini oggettivi
ed in più che anche la prestazione diventi impossibile in termini
soggettivi? Posso controllare la prestazione ma non posso controllare le
finanze del mio debitore e quindi preferisco non assumere crediti. E
invece il legislatore voleva assecondare le esigenze della società e
soprattutto dell’economia capitalistica che invece si fonda sui crediti. Il
nodo è se il fatto che colpisce la prestazione in se e per sé (che
determina quella che noi abbiamo chiamato impossibilità oggettiva)
debba essere un fatto che nessun debitore sarebbe in grado di
superare, un impedimento che nessun debitore sarebbe in grado di
superare oppure deve trattarsi di un evento superabile, un ostacolo
superabile ma adoperando mezzi, e quindi mettendo in piedi un’attività
diversa da quella oggetto dell’obbligazione. L’opinione dominante
all’epoca dell’entrata in vigore del nostro Codice civile era che
l’impossibilità oltre che oggettiva dovesse essere assoluta, assoluta vuol
dire che il fattore che rende la prestazione impossibile deve esser tale
che nessun debitore, neppure il debitore più accorto, più capace
economicamente avrebbe potuto superare quell’impedimento e quindi i
fattori di impossibilità si esaurivano nel caso fortuito, nella forza
maggiore e nel cosiddetto factum principis. Il caso fortuito è l’evento
imprevedibile per chiunque: un terremoto, un incendio doloso, tutti questi
sono eventi che nessuno è in grado di prevedere e che nessuno quindi
può evitare. E quindi sono eventi di impossibilità oggettiva e assoluta, il
caso fortuito è l’evento prevedibile ma inevitabile, dicevano i romani è la
vis cui resistis non potest, è la forza alla quale non è possibile opporre
alcun tipo di resistenza. Ad esempio, l’esondazione di un fiume, uno
tsunami, eventi entrambi prevedibili perché se le forti precipitazioni
hanno determinato l’innalzamento del livello del fiume questo è evento
tranquillamente prevedibile ma inevitabile. Se avete un ristorante lungo
l’argine del fiume o prospiciente al lido del mare e l’esondazione del
fiume o un’onda anomala che era prevedibile perché si è generato un
terremoto, un’eruzione vulcanica che poteva far presagire l’arrivo di
un’onda anomala, vi impediscono alla obbligazione di svolgere nel
vostro locale un banchetto per una festa di laurea o matrimonio etc.
questo evento pur prevedibile ma inevitabile, rende la prestazione
impossibile in termini oggettivi e in termini assoluti.
Infine, c’è il factum principis (il fatto del principe), significa l’evento
normativo che deriva dall’autorità. L’esempio prima: se mi sono
obbligato a commercializzare un prodotto, il cui commercio
successivamente viene dichiarato sospeso, se mi sono obbligato a
realizzare un evento pubblico che poi l’autorità mi vieta di svolgere per
ragioni che non sono legati alla mia struttura, questi sono tutti fatti
principis, cioè fatti che derivano da autorità normativa che rendono la
prestazione impossibile per chiunque, questa è l'impostazione
prevalente, negli anni immediatamente precedenti alla emanazione del
codice civile e negli anni successivi, perché questa è la tesi enunciata
dal maggiore studioso delle obbligazioni dell’epoca, vale a dire Giuseppe
Osti.
Giuseppe Osti è lo studioso che nella prima del Novecento ha
maggiormente inciso sullo studio delle obbligazioni, è stato anche uno
dei principali artefici del nostro codice perché faceva parte della
commissione regia che ha redatto il Codice civile, in particolare si è
occupato delle norme che stiamo studiando ed in particolare quelle sulla
responsabilità. Osti non ha introdotto nella norma le qualificazioni di
oggettività e di assolutezza perché questi requisiti appartengono al
dibattito dottrinale e giurisprudenziale, non spetta alla legge introdurre
questi requisiti, ma sicuramente l’opinione dominante era quella al punto
tale che era pure superfluo doverlo sottolineare, cioè l’obbligazione si
estingue quando un fattore sopravvenuto colpisca la prestazione, e
questo fattore sia insuperabile da qualunque debitore, quindi
l’impossibilità deve essere oggettiva ed assoluta. Ad Osti ha replicato
Luigi Mengoni, che invece è lo studioso più importante della seconda
metà del novecento con il suo celebre saggio intitolato obbligazioni di
risultato ed obbligazioni di mezzi – studio critico – pubblicato sulla rivista
di diritto commerciale e delle obbligazioni, edizione del 1954, nel quale
Mengoni contrappone ad Osti la tesi dell’impossibilità oggettiva e
relativa, cioè l’impossibilità deve colpire la prestazione come Osti aveva
illustrato, escludendo l’effetto estintivo della cosiddetta impossibilità
soggettiva, ma questo non significa che l’evento dedotto in obbligazione
debba essere anche insuperabile da qualunque debitore e debba anche
aver il carattere dell’assolutezza. Secondo Mengoni l’impossibilità deve
essere oggettiva e relativa, relativa perché secondo Mengoni è fattore
impossibilitante, che quindi estingui l’obbligazione, qualunque evento
che imponga al debitore di adottare mezzi ulteriori rispetto a quelli
dedotti dall’obbligazione per raggiungere il risultato. Nella costruzione di
Mengoni, che è perfettamente coerente, se l’obbligazione è un vincolo di
mezzi per realizzare un risultato e se un fattore sopravvenuto si è
abbattuto sull’obbligazione, colpendo quei mezzi, e rendendo la
prestazione naturalmente non impossibile o giuridicamente impossibile
per chiunque ma frapponendo un ostacolo che può essere superato
soltanto adoperando un’attività diversa da quella dedotta in
obbligazione, l’obbligazione va considerata estinta.
Esempio: Immaginate che mi sia impegnato a trasportare Tizio con le
mie imbarcazioni dal porto di Palermo sino alle isole Eolie, con mie
imbarcazioni di piccole dimensioni. Ora immaginiamo che le condizioni
del mare impediscano alle mie imbarcazioni di prendere il largo, ciò non
toglie che il trasferimento dal porto di Palermo alle isole eolie sarebbe
possibile adoperando imbarcazioni più grandi o un elicottero, non si può
dire che l’attività sia impossibile per chiunque. Io mi sono obbligato a
trasportare i miei creditori dal porto di Palermo alle isole eolie con
qualunque mezzo ed a qualsiasi costo oppure con i mezzi nautici a
disposizione della mia impresa? Se la risposta corretta è la seconda,
cioè mi sono impegnato a trasferire i miei clienti con le mie imbarcazioni
e se le condizioni del mare non consentono alle mie imbarcazioni di
prendere il largo, l’obbligazione va considerata estinta; è il caso della
impossibilità temporaneamente sospesa, in quanto l’evento
sopravvenuto ha colpito la mia attività, dunque è oggettiva, e mi
imporrebbe per raggiungere quel risultato mezzi significativamente
ulteriori o diversi da quelli che io mi sono obbligato ad adottare e questo
giustifica che l’obbligazione si estingua se l’impossibilità è definitiva o se
rimanga temporaneamente sospesa. Questo è il senso che dà Mengoni
al concetto di impossibilità, ed è questo il concetto che alla fine ha
prevalso e che oggi noi consideriamo prevalente sia noi studiosi sia la
giurisprudenza. L’evento sopravvenuto che colpisce la prestazione,
impossibilità oggettiva, e che impedisce di raggiungere il risultato atteso
adottando i mezzi dedotti in obbligazione, impossibilità relativa, è causa
di estinzione dell’obbligazione solo se il fattore sopravvenuto non è
imputabile al debitore. Il giudizio di imputabilità si formula ricorrendo ai
criteri di imputazione della diligenza, della prudenza e della perizia, cioè
si verifica se il debitore è in colpa rispetto all’evento che ha determinato
l’impossibilità oggettiva e relativa della prestazione: vale a dire il giudice
deve verificare se il debitore sia stato diligente e prudente, quindi se
abbia adottato quelle regole generiche di condotta che non riguardano
l’adempimento, ma riguardano la conservazione della possibilità di
adempiere, abbia cioè rispettato la diligenza conservativa. Se il debitore
è stato diligente e prudente significa che quell’evento non era
prevedibile da quel debitore o se lo era, era comunque inevitabile che si
producesse e quindi il debitore non è in colpa e dunque l’obbligazione si
estingue. Se invece il fattore che ha reso la prestazione impossibile era
prevedibile o, per lo meno, era evitabile adottando la diligenza ordinaria,
non ricorrendo a strumenti eccezionali, avrebbe potuto essere previsto
ed evitato adoperando uno sforzo, un’attenzione, cura, cautele medie,
quelle prescritte dall’articolo 1176 co. 1 allora l’impossibilità è imputabile,
l’obbligazione non si estingue, ma la prestazione originaria si converte in
obbligazione di risarcimento del danno e quindi il debitore rimane
vincolato; l’obbligazione è la stessa, soltanto che ha mutato il suo
oggetto ed alla prestazione originaria si è sostituita la prestazione del
risarcimento del danno, questo è il senso del giudizio di imputabilità.
L’obbligazione si estingue per impossibilità se il fatto sopravvenuto che
rende la prestazione impossibile in termini oggettivi e relativi non è
addebitabile al debitore; la regola generale di addebitamento del fatto
sopravvenuto è costituita dalla diligenza dell’art. 1176 co. 1, cioè
bisogna verificare se il debitore è stato diligente o meno. Se è stato
diligente significa che non è in colpa, perché la diligenza esclude la
colpa e quindi l’obbligazione si estingue; se il debitore non è stato
diligente, non è stato prudente perché avrebbe potuto con lo sforzo
medio, prevedere ed evitare quell’evento sopravvenuto, allora
l’obbligazione non si estingue, ma ha mutato nel pagamento del
risarcimento del danno, cioè si realizza quella che i romani chiamavano
perpetuatio obbligationes. L’obbligazione non si estingue, anche se la
prestazione originaria è diventata impossibile, perché la prestazione
originaria viene sostituita da quella del risarcimento del danno che è la
stessa prestazione soltanto convertita in denaro e questo consente di far
sopravvivere l’obbligazione intesa come rapporto obbligatorio.
Domanda: Tra queste due correnti di pensiero contrapposte, quale
prevale?
Risposta: Quella della impossibilità oggettiva e relativa, la tesi di
Mengoni che ha prevalso e che è considerata dominante. Se prima e nei
primi decenni dell’entrata in vigore del Codice civile, la tesi di Osti era
assolutamente prevalente, oggi la situazione si è capovolta e la tesi
prevalente è quella della impossibilità oggettiva e relativa.
Il giudizio di imputabilità del fatto sopravvenuto che rende la prestazione
impossibile, non è soltanto la diligenza, art. 1176, quella è la regola
generale. Esistono delle fattispecie contrattuali particolari che affidano il
giudizio di imputabilità della impossibilità sopravvenuta della prestazione
ad un criterio più rigoroso, chiamate obbligazioni ex recepto. Il receptum
era una forma di vincolo particolarmente severo in diritto romano
sopravvissuto in diritto contrattuale e contraddistingue quei vincoli
obbligatori in cui il debitore risponde anche oltre la mera diligenza,
esempio è il contratto di deposito di albergo, articolo 1783 e seguenti del
Codice civile.
L’articolo 1785 stabilisce che l’albergatore non è responsabile quando il
deterioramento, la distruzione, la sottrazione dei beni consegnatagli dal
cliente siano dovuti al cliente medesimo, alle persone che lo
accompagnano o che sono al suo servizio, alla forza maggiore – evento
che nessuno avrebbe potuto evitare - oppure alla natura delle cose, cioè
l’articolo 1785 stabilisce che deterioramento, distruzione o sottrazione
dei beni sono casi di impossibilità. L’albergatore è obbligato a restituire
al cliente i beni che il cliente abbia dato in custodia, però se sono
distrutte, sottratte o deteriorate, l’obbligazione diventa impossibile
perché il bene non può essere restituito o restituito nella sua integralità,
se questi eventi di impossibilità siano imputabili, l’articolo 1785 lo
rimanda al generico criterio della diligenza, che è il criterio comune a
tutte le altre obbligazioni, ma introduce tre criteri più specifici e rigorosi:
all’albergatore non è sufficiente provare che sia stato diligente ma deve
provare che distruzione, sottrazione o deterioramento sono dipesi dal
cliente stesso o di chi era al suo seguito. Ad esempio, il bene è stato
lasciato in corridoio dallo stesso cliente o da un figlio, dal coniuge, da un
collaboratore e quindi uno passando se lo è portato via, o dalla forza
maggiore (incendio doloso che ha distrutto il bene – considerato caso di
forza maggiore) oppure un fulmine che ha colpito l’albergo ed in
particolar modo ha colpito la stanza del cliente che è andata in fiamme
(caso fortuito). Un effetto che giustificherebbe l’esonero della
responsabilità dell’albergatore è una irruzione armata da parte di alcuni
rapinatori; l’albergatore si può dotare di sistemi di sicurezza, sistemi di
vigilanza, ma non possono essere tali da evitare un'aggressione armata.
In quel caso siamo di fronte ad un caso di forza maggiore, se i rapinatori
fanno ingresso ad armi spiegate e dovessero rubare i beni depositati dai
clienti, quell’evento giustificherebbe l’esonero dell’albergatore e
l’estinzione della sua obbligazione di custodia. Infine, dal deterioramento
delle cose: immaginate che i beni lasciati in custodia siano beni
deperibili, che con il tempo si danneggiano; in quel caso l’impossibilità
per l’albergatore di riconsegnare i beni nello stesso stato in cui sono stati
consegnati, dipende dalla natura delle cose. Se non siamo all’interno di
ipotesi di responsabilità ex recepto, previste da alcune tipologie
contrattuali, come deposito in albergo, contratto di cassette di sicurezza,
contratto di trasporto di merci, quindi salvo queste ipotesi speciali in cui il
giudizio di imputabilità del fattore che ha reso la prestazione impossibile
è più gravoso, in tutti gli altri casi si applica il criterio della colpa, e quindi
si verifica se il debitore avrebbe potuto prevedere ed evitare l’evento
adoperando la diligenza ordinaria: se la risposta è positiva, il debitore è
in colpa; se la risposta è negativa, cioè non si poteva prevedere, il
debitore è esente da colpa e quindi l’obbligazione si estingue. Si
estingue se l'impossibilità è definitiva. Esistono anche ipotesi di
impossibilità temporanea, previste dal legislatore nell’articolo 1256
comma secondo, quando il fattore che rende la prestazione impossibile
in termini oggettivi e relativi è soltanto temporanea, cioè è un evento che
verrà meno e costituisce un ostacolo non definitivo; in questo caso
l’obbligazione non si estingue ma è sospesa, è come se cadesse in una
condizione di congelamento per cui il fattore di impossibilità temporanea
rende il debitore non responsabile per il ritardo. Se anche si compie il
termine per adempiere e il debitore non può adempiere, non può esser
considerato in ritardo (inadempiente) perché l’obbligazione è stata
letteralmente sospesa. Questa norma è stata applicata in moltissimi casi
da quando è scoppiata la pandemia, perché molte delle misure che
hanno reso le prestazioni di debitori impossibili come le misure di divieto
di spostamento, prima determinate con il lock down e poi determinate
con il sistema delle zone rosse, sono tutti fatti di impossibilità
temporanea.
ESEMPIO: Se mi sono obbligato con Sofia a consegnarle determinate
merci entro il mese di febbraio, ma sono stato impossibilitato a
trasferirmi in quanto la zona in cui si trova la sede dell’impresa è
interdetta a qualunque forma di accesso anche per ragioni di tipo
lavorativo, cosa rara, allora avremmo un caso di impossibilità
temporanea. L’obbligazione non si estingue, ma se io sforo il termine di
febbraio, Sofia non mi può considerare responsabile perché
l’obbligazione è in fase di congelamento, sospesa. Quando verrà meno il
fattore di impossibilità, perché le misure di contenimento interdittive dello
spostamento verranno revocate, l’obbligazione tornerà ad essere
efficace, quindi il debitore dovrà adempiere.
Tuttavia, il legislatore all’articolo 1256 co. 2, prevede l’ipotesi che il fatto
di impossibilità temporanea si prolunghi molto nel tempo. Quando si
protrae talmente a lungo da rendere troppo gravoso per il debitore
rimanere pronto ad adempiere oppure fa perdere utilità della prestazione
al creditore, l’obbligazione si estingue. Anche questa fattispecie si è
verificata tantissime volte e si sta verificando durante la pandemia.
ESEMPIO: Immaginate che Sonia abbia acquistato un pacchetto
turistico, abbia stipulato un contratto di viaggio con un tour operator per
andare in Brasile per festeggiare la propria laurea. Sono stati vietati tutti i
voli con i paesi esposti alla pandemia e le misure interdittive si
protraggono talmente a lungo che nel frattempo Sonia viene assunta e
deve lavorare, quindi non ha più interesse a fare il viaggio organizzato
tempo fa quando era libera, perché adesso lavora. Quando queste
misure limitative verranno revocate e il tour operator tornerà a garantire
la prestazione, lei potrebbe agire in giudizio affinché accerti che è venuto
meno, in termini oggettivi, l’interesse oggettivo; non è un capriccio
perché nel frattempo è stata assunta e non può prendersi un mese di
ferie perché neoassunta, non depone bene in esordio di un’attività
lavorativa, il venir meno dell’interesse che ha indotto a Sonia ad
acquistare il diritto di credito allo svolgimento del viaggio di piacere, è
venuto meno in termini oggettivi e quindi giustifica l’estinzione
dell’obbligazione anche se il fattore impossibilitante potrà venir meno. Se
io da un anno mi sono impegnato e non posso adempiere la mia
obbligazione di consegnare alcuni capi di bestiame a Paolo e questo per
me comporta uno sforzo notevole perché i capi di bestiame li devo
alimentare, li devo custodire, in attesa che mi possa recare presso la
sede dell’impresa e consegnare i capi del bestiame. Davanti al giudizio
si può dire che il mio vincolo è molto oneroso e vorrei esser sciolto
dall’obbligazione e poter vendere i capi a qualcuno in zona; se il giudice
ritiene che il protrarsi della impossibilità temporanea stia rendendo
eccessivamente gravosa la prestazione per Paolo, potrebbe decretare
l’obbligazione estinta (sempre che il fatto che ha reso la prestazione
temporaneamente estinta non dipenda da cause imputabili al debitore).
La norma 1256 co 2 recita: “Se l’impossibilità è solo temporanea e fino a
che essa perdura, il debitore non è responsabile dell’adempimento;
tuttavia, l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a
quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto,
il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad eseguire la
prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirlo.
Quindi l’obbligazione diventa impossibile anche se il fattore di
impossibilità è temporaneo, quando il suo vincolo divento troppo gravosi
o quando viene meno in termini oggettivi l’interesse del creditore; questa
è una conferma che in tutti i rapporti obbligatori concorrono mezzi,
l’attività debitoria e un risultato. L’impossibilità temporanea può
comportare la sua estinzione nonostante la sua temporaneità quando o
si aggrava eccessivamente il vincolo di mezzi oppure viene meno il
risultato atteso, cioè l’utilità per il creditore, conferma che tutte le
obbligazioni sono sintesi di mezzi e risultato. Quando l’obbligazione è
un’obbligazione di dare, beni mobili, l’articolo 1257 stabilisce che lo
smarrimento equivale ad un fatto di impossibilità; lo smarrimento non
indica la certezza che il bene sia andato distrutto, quindi sulla carta si
potrebbe discutere se la prestazione sia effettivamente diventata
impossibile. Lo smarrimento, non imputabile al debitore, è considerato
un fatto di impossibilità di adempiere l’obbligazione di consegnare, in
caso di ritrovamento successivo, stabilisce l’art. 1257 comma due, si
applicano le disposizioni del secondo comma dell’art. 1256, si
considererà un’ipotesi di impossibilità temporanea. Lo smarrimento è
impossibilità definitiva a meno che la cosa non venga successivamente
ritrovata ed allora verrà trattato come un caso di impossibilità
temporanea. Molto importante è l’articolo 1258, caso di impossibilità
parziale, se la prestazione diviene soltanto in parte impossibile in termini
oggettivi e assoluti; è una fattispecie che riguarda soprattutto le
obbligazioni di consegnare un determinato quantitativo di beni mobili, in
questo caso se l’obbligazione diventa soltanto parzialmente impossibile
il debitore si libera eseguendo quella parte di prestazione che è ancora
possibile. Se mi sono obbligato a consegnare tre oggetti e due di questi
vengono sottratti da ladri e non ho avuto alcun modo di evitare la
sottrazione, io mi libererò dal vincolo consegnando quell’unico bene che
non mi è stato sottratto e che è rimasto nella mia disponibilità; questo
significa che nel caso di impossibilità parziale non si ha estinzione
integrale dell’obbligazione ma si ha un’estinzione parziale e il debitore si
libera eseguendo quella parte di prestazione che è rimasta possibile.
Quando l’obbligazione ha ad oggetto di consegnare un bene di specie, il
deterioramento, non imputabile al debitore, è considerato una ipotesi di
impossibilità parziale. Se il debitore acquista il diritto di credito al
risarcimento del danno nei confronti del terzo che ha reso la prestazione
impossibile, il creditore è surrogato ex legge in quel diritto di credito
(articolo 1259); quindi se io devo consegnare un arazzo antico a
Francesco e Mario me lo distrugge, perché imprevedibilmente gli dà
fuoco, io acquisto un diritto di credito nei confronti di Mario che ha
distrutto il bene di mia proprietà, oggetto di consegna a Francesco. Nel
diritto di credito che io vanto in Mario, il mio creditore è surrogato ex
legge, subentra al mio posto e potrà chiedere lui il risarcimento (vale per
il risarcimento e per l’assicurazione). Se devo consegnare un quadro di
grande pregio lo devo assicurare, perché se devo trasportarlo al
domicilio del creditore e nel tragitto ci sono rischi di danneggiamento, di
sottrazione; se durante il tragitto subisco una rapina, che non era
evitabile e quindi la mia prestazione diventa impossibile, io però
acquisisco nei confronti dell’assicurazione il diritto all’indennizzo perché
ho stipulato un assicurazione contro danni, il danno era che il bene mi
venisse sottratto, il bene mi è stato sottratto e quindi posso esigere dalla
compagnia assicurativa l’indennizzo. In questo diritto di credito ad
ottenere l’indennizzo, subentra il mio creditore per surrogazione ex lege
sancita dall’articolo 1259 del Codice civile.

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