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APPUNTI

COME SMONTARE L’ATTUALE SISTEMA GIURIDICO E CREARNE UNO NUOVO

Con questi appunti abbiamo creato del materiale che mira a smontare l’attuale sistema giuridico
utilizzando le sue regole per poterne creare uno nuovo con i documenti di IO SONO (che si trovano
nei siti dedicati http://oppt-italia.org e http://ioeternaessenza.blogspot.it).
Il metodo utilizzato inizia attraverso il significato dei singoli termini, la dialettica e la filosofia del
diritto, per continuare con specifici articoli della Costituzione e dei codici civile e penale, della
Dichiarazione dei Diritti Umani.

Ora iniziamo partendo dal diritto:


DIRITTO: In senso oggettivo, il complesso di norme giuridiche, che comandano o vietano
determinati comportamenti ai soggetti che ne sono destinatari; in senso soggettivo, la facoltà o
pretesa, tutelata dalla legge, di un determinato comportamento attivo od omissivo da parte di altri, o
la scienza che studia tali norme e facoltà, nel loro insieme e nei loro particolari raggruppamenti.
Con l’espressione d. oggettivo o d. positivo ci si riferisce al complesso delle norme poste
dall’autorità sovrana e che costituiscono l’ordinamento giuridico. Elementi essenziali del d.
oggettivo sono le norme giuridiche, che fungono da regole per una determinata classe di rapporti
intersoggettivi, e le fonti del d., da cui le norme scaturiscono.
Il rapporto tra d. oggettivo e giustizia è stato ed è tuttora oggetto di discussione, nella riflessione
filosofica e nella teoria generale del d.; in linea generale, l’idea che la norma, per poter funzionare
adeguatamente, debba in qualche modo fondarsi sulla giustizia è stata sostenuta nell’ambito delle
dottrine giusnaturalistiche. Di contro, nelle posizioni di matrice giuspositivistica è emersa la
tendenza a separare la questione del d. da quella della giustizia.
Il diritto soggettivo sarebbe la facoltà accordata dal diritto oggettivo a un singolo individuo di
esigere una determinata condotta da altri soggetti, ovvero la garanzia normativa di una utilità
(bene, prestazione) sostanziale e diretta a favore del soggetto titolare. In ogni caso, può dirsi
che il diritto soggettivo rappresenta il massimo grado di tutela di un interesse individuale.

Ecco ora il significato di GIURIDICO:


GIURIDICO: giuridico dal lat. iuridĭcus, comp. di ius iuris «diritto» e tema di dicĕre «dire»] (pl.
m. -ci). –
a. Di diritto, relativo al diritto: norma g.; l’ordinamento g. di uno stato; considerare una questione
sotto l’aspetto g.; documentazione g.; vocabolario g. o dei termini g.; enciclopedia giuridica.
b. Che è preso in considerazione dal diritto: fatto g., negozio g.; per capacità g. e persona g., v.
capacità, persona.
c. Che è conforme al diritto, quindi legittimo (in contrapp. ad antigiuridico): comportamento
giuridico.

Ora passiamo a quello che è il RITO:


Nel linguaggio forense, sinon. meno com. di procedura: codice di r. civile, codice di r. penale,
codice di procedura civile, codice di procedura penale; eccezione di r., questione di r., eccezione
processuale, questione di carattere processuale; procedere secondo il r. formale, secondo il r.
sommario, nel processo penale, procedere a istruzione formale o a istruzione sommaria. Anche in
questo senso, si usa la locuz. agg. di rito, conforme alla procedura consueta.
Nel rito possiamo chiedere l’eccezione:
eccezione di rito è tale qualsiasi richiesta che abbia, in senso lato, la funzione di contrastare la
domanda dell'attore (o della controparte in genere). E' proponibile in primo luogo dal convenuto,
ma anche dall'attore che, a sua volta convenuto in riconvenzionale ex art. 167 c.p.c., intenda
proporre ragioni a sua difesa che possano impedire l'accoglimento della domanda.
Si suole distinguere tra eccezioni di merito ed eccezioni processuali, o di rito.
Quelle di merito possono essere eccezioni in senso lato o in senso stretto: le prime sono mere difese,
semplici negazioni della fondatezza della pretesa avversaria; le seconde deducono fatti diversi da
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quello costitutivo, cioè fatti modificativi, estintivi o impeditivi, con onere in capo a colui che li
allega di provarli (essi infatti entrano a far parte del thema decidendum).
Le eccezioni di rito sono invece quelle con cui il proponente chiede che venga dato rilievo a un
motivo di invalidità del processo o di inammissibilità del giudizio (ad esempio, il difetto di
giurisdizione o di competenza).
Quello che possiamo fare noi è anche non accettare il rito.

Passiamo adesso alla “persona” e ai suoi diritti:

persona giuridica: Nel linguaggio giuridico, con il termine persona si indica in generale il soggetto
di diritto, titolare di diritti e obblighi, investito all’uopo della necessaria capacità giuridica e del
quale è regolata la possibilità di circolazione tra ordinamenti diversi.
In diritto, una persona giuridica è un ente cui l'ordinamento giuridico attribuisce la capacità
giuridica, rendendolo quindi soggetto di diritto.

personalità giuridica
In diritto, la personalità giuridica consiste nell'avere il diritto all'esercizio della capacità giuridica.

La persona ha il “copyright” sul proprio nome, protetto dall’art. 7 del codice civile (oltre che dal
lgs. 196/2003 sulla privacy) :
La persona, alla quale si contesti il diritto all'uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio
dall'uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo
(1), salvo il risarcimento dei danni (2).
L'autorità giudiziaria può ordinare che la sentenza sia pubblicata in uno o più giornali (120 c.p.c.).
Art. 2043 c.c. Qualunque fatto (3) doloso o colposo (4), che cagiona (5) ad altri un danno ingiusto
(6), obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno [2058]
Art. 2058 c.c. Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica (1), qualora sia in
tutto o in parte possibile.
Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la
reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore (2).,
Art. 2059, Il danno non patrimoniale (1) deve essere risarcito (2) solo nei casi determinati dalla
legge.
Note

(1) Il danno non patrimoniale identifica i pregiudizi che derivano da lesione dei diritti della persona
e non hanno rilievo economico. Giurisprudenza e dottrina hanno compiuto un lungo percorso
evolutivo che ha condotto, oggi, ad elaborare le seguenti categorie di danno non patrimoniale:
danno morale, quale turbamento transeunte dello stato d'animo; danno biologico, cioè la lesione
psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che incide sul suo quotidiano
e sulle sue relazioni ma che prescinde dalla sua capacità reddituale; danno esistenziale, che, ledendo
altri diritti costituzionalmente tutelati, compromette la possibilità di svolgere le attività che
realizzano la persona umana. La Suprema Corte, inoltre, con le storiche sentenze San Martino, ha
stabilito che il danno non patrimoniale costituisce un modello unitario del quale le singole categorie
hanno solo valenza descrittiva (Cass., SS.UU., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974, 26975).

(2) Il risarcimento dell'illecito aquiliano costituisce ipotesi tipica di debito di valore, cioè di debito
che ha ad oggetto, originariamente, una prestazione diversa dal pagamento di una somma di denaro
e che si converte, poi, in tale prestazione. Ciò implica una notevole difficoltà nella liquidazione di
questo danno che viene affidata alla valutazione equitativa del giudice (2056, 1226 c.c.). Per
ovviare a tale difficoltà il legislatore ha stabilito che il danno biologico deve essere liquidato sulla
base di apposite tabelle. In particolare, esse sono contenute negli articoli 138 e 139, d.lgs. 7
settembre 2005, n. 209 e successive modifiche (c.d. Codice delle assicurazioni private) per quel che
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riguarda i sinistri derivanti dalla circolazione di veicoli e natanti (2054 c.c.) in caso di invalidità
permanenti inferiori o uguali al 9%. Per le ipotesi residue sono state elaborate tabelle dai singoli
Tribunali (ad esempio Milano, Roma, Bologna ecc.) ma la giurisprudenza più recente è orientata
nello stabilire l'applicazione, a fini di uniformità, delle sole tabelle milanesi.

Quindi NESSUNO PUO’ UTILIZZARE IL NOSTRO NOME SENZA IL NOSTRO


CONSENSO anche per il vecchio sistema giuridico!!!

ORA CAPIAMO PRATICAMENTE COME SIAMO TUTELATI ALLA DIFESA DI NOI STESSI
IN TRIBUNALE DA SOLI, SENZA DELEGHE:

Ritornando alla personalità giuridica: In diritto, la personalità giuridica consiste nell'avere il diritto
all'esercizio della capacità giuridica.

Addentriamoci ora nella capacità giuridica: La capacità giuridica, nell'ordinamento giuridico,


indica la suscettibilità di un soggetto ad essere titolare di diritti e doveri o più in generale di
situazioni giuridiche soggettive. Non va confusa con la capacità di agire, che è l'idoneità del
soggetto a porre in essere atti giuridici validi, esercitando in questo modo i suoi diritti e adempiendo
ai suoi doveri. La capacità giuridica, in quanto modo d'essere del soggetto giuridico, rientra tra le
qualità giuridiche.

La capacità di agire, nell'ordinamento giuridico italiano indica l'idoneità del soggetto a porre
validamente in essere ATTI idonei a incidere sulle situazioni giuridiche di cui è titolare, senza
l'interposizione di altri soggetti di diritto. Non va confusa con la capacità giuridica, che è l'idoneità
di un soggetto a essere titolare di diritti e doveri. La capacità di agire, in quanto modo d'essere del
soggetto giuridico, rientra tra le qualità giuridiche.
E GLI ATTI CHE PONIAMO IN ESSERE SONO LA PRESENTAZIONE DEI
DOCUMENTI DI IO SONO E L’EVENTUALE SPIEGAZIONE DEGLI INCARTAMENTI
UCC VOLONTARIAMENTE.

Ma cos’è l’atto giuridico?


In diritto l'atto giuridico è un fatto giuridico consistente in un comportamento umano rilevante per
l'ordinamento giuridico in quanto volontario. Per gli atti giuridici, a differenza dei meri fatti
giuridici, è quindi rilevante l'imputazione a un soggetto di diritto, che può essere la persona fisica
che ha voluto il loro accadimento o la persona giuridica per la quale detta persona fisica ha agito in
qualità di organo; essi presuppongono la volontarietà che, a sua volta, implica la consapevolezza da
parte di chi ha agito, ossia la sua capacità di comprendere e, quindi, liberamente volere. Al pari
degli altri fatti giuridici, gli atti costituiscono le fattispecie delle norme.
Sono esempi di atto giuridico: la promessa, il testamento, la sentenza, il contratto, l'atto
amministrativo. Sono altresì atti la legge, il regolamento e, in generale, tutti gli atti che sono fonti
del diritto in quanto il loro effetto è la produzione, modificazione o abrogazione di norme giuridiche
generali e astratte (atti normativi).
La possibilità attribuita a un soggetto di produrre determinati effetti giuridici attraverso un atto
giuridico è una particolare situazione giuridica soggettiva che prende il nome di potere. Ecco che
possiamo creare nuove norme giuridiche, infatti secondo una diffusa impostazione teorica, che
risale a Hans Kelsen, l'esercizio del potere si risolve sempre nella produzione di una norma
giuridica o, secondo altri autori, di un precetto, non solo quando si estrinseca in atti normativi, ma
anche quando si estrinseca in altri atti precettivi[1] come sono i provvedimenti amministrativi e
giurisdizionali e i negozi giuridici di diritto privato, sebbene nel secondo caso le norme o precetti
prodotti non abbiano le caratteristiche di generalità e astrattezza che presentano invece le norme
prodotte dagli atti normativi.
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Ecco cos’è l’atto processuale


Un atto processuale, in diritto, è un atto giuridico, posto in essere, nell'ambito di un processo, da
una parte, dal pubblico ministero, dal giudice o da suoi ausiliari (quali, nell'ordinamento italiano, il
cancelliere o l'ufficiale giudiziario), secondo le norme processuali, che ha come effetto la
costituzione, la modificazione o l'estinzione del rapporto processuale.

L'ordinamento giuridico, in diritto, indica l'insieme delle norme giuridiche che regolano la vita di
una comunità all'interno di un sistema giuridico (ad esempio uno Stato).
Come recita l'antico brocardo “ubi ius ibi societas” (dove c'è il diritto ivi la società) e viceversa “ubi
societas ibi ius” (dove c'è la società ivi trovi il diritto), gli ordinamenti giuridici vengono assai
spesso identificati con le organizzazioni sovrane, ad esempio: con gli Stati, e le Federazioni e le
Confederazioni di Stati.[
Le caratteristiche fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano sono:
• continuità
• auto-identificazione
• intersoggetività
• sovranità
• imperatività
• completezza
• trasformazione
• integrazione
• positività

Originari e derivati
Un ordinamento giuridico può essere originario oppure derivato. È originario quando non deriva la
sua sovranità da nessun altro ordinamento (ad esempio: lo Stato, la Chiesa, la Comunità
internazionale); è invece derivato quando la sua sovranità non è diretta e immediata, ma un riflesso
della sovranità di un altro ordinamento (gli enti territoriali e l'Unione europea sono esempi di
ordinamenti giuridici derivati).
Generali e particolari
In relazione ai fini che persegue un ordinamento giuridico può essere generale oppure particolare.
Si dice generale quando il fine perseguito è il cosiddetto bene comune (ad esempio: Stato, enti
territoriali, Unione Europea); si dice invece particolare quando è volto al conseguimento di un
interesse specifico (la Chiesa, ad esempio, tra gli ordinamenti giuridici originari; così come una
società per azioni o un'associazione tra gli ordinamenti giuridici derivati).
Statici e dinamici
In relazione al criterio in base al quale viene stabilita la validità delle norme, ossia la loro
appartenenza all'ordinamento giuridico, quest'ultimo può essere, secondo una distinzione che risale
a Hans Kelsen, statico o dinamico.
In un ordinamento statico è valida la norma logicamente deducibile da un'altra norma
dell'ordinamento (metanorma): è questo il cosiddetto criterio materiale di validità. Negli
ordinamenti statici, così come nei sistemi morali, tutte le norme sono legate tra loro da relazioni di
deducibilità logica e costituiscono, quindi, un sistema normativo; ne sono tipici esempi gli
ordinamenti di matrice religiosa, ad esempio la Sharia islamica, dove le metanorme, in base alle
quali viene stabilità la validità delle altre norme, trovano origine in una qualche forma di rivelazione
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divina. Negli ordinamenti dinamici, invece, possono essere prodotte nuove norme valide in
conformità a norme apposite (metanorme o norme sulla produzione giuridica), contenute nello
stesso ordinamento, che individuano quali atti o fatti danno luogo alla loro creazione (cosiddetto
criterio formale di validità).
Sono tipici ordinamenti dinamici quelli degli stati odierni; peraltro negli ordinamenti contemporanei
solitamente il criterio materiale di validità e quello formale operano congiuntamente: così, per fare
un esempio, nell'ordinamento italiano le norme di legge devono essere create con un atto approvato
dal Parlamento e promulgate dal Presidente della Repubblica, secondo un determinato
procedimento (criterio formale); al contempo, però, devono essere logicamente coerenti con le
norme contenute nella costituzione (criterio materiale).
Il dibattito
La dottrina del diritto maggioritaria, nel solco dell'insegnamento di Santi Romano, ritiene che,
affinché si possa parlare di ordinamento giuridico, debba riscontrarsi il concorrere di tre elementi:
• plurisoggettività, ossia la presenza di più soggetti (es. i cittadini di uno Stato);
• normazione propria, ossia l'esistenza di uno specifico complesso di norme volte a disciplinare
l'azione dei soggetti;
• organizzazione, cioè una struttura con il compito di porre in essere le norme e di garantirne il
rispetto e l'efficacia.
In dottrina, dunque, si è posto il problema se le norme abbiano creato l'organizzazione sociale[1] o,
viceversa, l'organizzazione sociale abbia creato le norme[2] . Il dibattito è in corso. È certo che gli
ordinamenti giuridici sono caratterizzati da un insieme di norme e da un'organizzazione capace di
creare nuove regole; e quindi in grado di abrogare, sostituire e modificare le regole precedenti. Le
norme per essere considerate giuridiche devono essere rispettate o fatte rispettare anche contro la
volontà dei destinatari, in caso contrario non sono vere norme giuridiche[3]. La teoria elaborata da
Santi Romano si discosta notevolmente dalle precedenti perché ha dimostrato che all'interno dello
stesso territorio e della medesima popolazione possono esistere più ordinamenti giuridici sovrani. Si
pensi ai casi delle chiese non sottomesse allo Stato entro il cui territorio agiscono (o sopravvivono)
più o meno in segreto.
Prendendo spunto dalla teoria sulla pluralità degli ordinamenti giuridici, R. Federici ha effettuato un
ulteriore passo in avanti: ha ipotizzato che le guerre e le rivoluzioni siano effetto dello scontro tra
ordinamenti giuridici sovrani [4]. Ha intuito che la funzione degli ordinamenti giuridici sia quella di
prevenire e risolvere le controversie [5] E per la dimostrazione della sua tesi si è avvalso della
distinzione fondamentale tra diritto sostanziale e diritto processuale, ed ha evidenziato che lo scopo
del diritto sostanziale (diritto civile, penale, commerciale, tributario, internazionale, ecc.) è quello di
dettare le regole per prevenire le controversie; mentre l'obiettivo di risolvere le dispute è demandato
al diritto processuale (civile, penale, amministrativo, tributario, contabile).[6] A chiusura del
discorso concettuale Renato Federici aggiunge che: allorquando l'ordinamento statale non riesce a
prevenire e risolvere le controversie tra classi sociali, può accadere che il conflitto degeneri in
scontro armato, e cioè: in una rivoluzione violenta tra ordinamenti opposti (quello dei conservatori e
quello sostenuto dai rivoluzionari). Si pensi ad esempio, alla Rivoluzione francese del 1789 o a
quella russa del 1917 [7].
L'ordinamento giuridico, secondo la teoria normativista enunciata da Hans Kelsen, sarebbe
costituito dal complesso delle norme vigenti in un determinato ambito territoriale. Tali norme, fra
loro riconnesse in un rapporto di gerarchia decrescente, si potrebbero raffigurare a seconda di una
struttura piramidale, al cui vertice supremo starebbe la cosiddetta norma fondamentale di carattere
"originario", dalla quale scaturirebbero le altre norme "derivate", tutte poste a un rango di effettiva
inferiorità rispetto a quest'ultima.
In contrapposizione a questa dottrina, troviamo la teoria istituzionalista (o istituzionista) per la
quale un ordinamento non si esaurirebbe in un complesso di prescrizioni normative, poiché, al
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contrario, sarebbero proprio le prescrizioni normative a scaturire da una determinata e preesistente
organizzazione sociale; in tal senso, il padre di questa ricostruzione dogmatica Santi Romano
affermava: "un ordinamento non si risolve solo in norme. Il diritto è anche norma, ma oltre che
norma, e spesso prima di essere norma, è organizzazione e corpo sociale". In altri termini, giacché il
concetto stesso di organizzazione implica il reiterarsi di un'attività non casuale, ma ordinata a
seconda di precise regole (o norme), sarebbe da questo dato organizzativo - logicamente
preesistente - che conseguirebbero successivamente quelle regole (o norme) che valgono a costituire
uno degli elementi essenziali dell'ordinamento stesso.

Il soggetto di diritto (o soggetto giuridico o, secondo alcuni autori, figura soggettiva) è, nel
diritto, un essere o entità che in un determinato ordinamento giuridico può essere parte di rapporti
giuridici ed è quindi destinatario delle norme dello stesso ordinamento.

Di fondamentale importanza è anche l’appello:


appellare Chiamare per nome, nominare o denominare
Nel linguaggio giur., appellarsi (o appellare) da una sentenza, contro una sentenza (meno com. di
una sentenza), o assol. appellarsi, adire in giudizio di appello; talora anche con uso trans.: appellare
una sentenza, un’ordinanza. Per estens., appellarsi a un’autorità, a un superiore; appellarsi
all’elettorato; mi appello alla tua coscienza, al tuo senso di giustizia. ◆ Part. pres. appellante,
anche come agg. e sost. (v. la voce).

e la consuetudine e le fonti di diritto:

Consuetudine. Diritto costituzionale

La consuetudine costituisce la fonte del diritto non scritta per eccellenza. Secondo la dottrina
tradizionale, essa consta di due elementi: uno di tipo materiale (l’usus o diuturnitas) e un altro di
tipo soggettivo (l’opinio iuris ac necessitatis), ancorché oggettivamente verificabile. Per usus o
diuturnitas si intende la reiterazione di un determinato comportamento da parte di una collettività.
L’opinio iuris ac necessitatis è, invece, la convinzione diffusa che quel comportamento sia non solo
moralmente o socialmente, ma giuridicamente obbligatorio. La consuetudine ha rivestito una grande
importanza sia nell’ambito della esperienza giuridica romana, sia nell’ambito di quella del ius
comune. Il suo declino progressivo coincide con la nascita e lo sviluppo dello Stato moderno, a
seguito della rivendicazione del monopolio della produzione normativa da parte del Monarca
(superiorem non recognoscens), monopolio che costituiva, secondo la tesi enunciata da Hobbes e da
Bodin, uno degli attributi tipici della sovranità.

Fonti del diritto

Generalmente, per fonti del diritto si intendono tutti gli atti o fatti capaci di innovare un
ordinamento giuridico. L’espressione fonti del diritto è una espressione metaforica quanto mai
risalente: l’immagine naturalistica della sorgente da cui sgorgherebbe il diritto oggettivo si
ritroverebbe, infatti, già nell’ambito del diritto romano. A prescindere dalla presenza (o meno) di
questa espressione, la problematica delle fonti del diritto è presente nella compilazione giustinianea,
sia nelle Istituzioni che nel Digesto. Le fonti del diritto, da oggetto di studio dei cultori del diritto
civile (basti pensare che la loro disciplina era ed è tuttora contenuta in gran parte dei codici civili
europei, ivi compreso lo stesso codice civile italiano del 1942) o anche dei filosofi del diritto, sono
divenute ormai un tema «classico» del diritto costituzionale.

ORA PASSIAMO AGLI ATTORI:


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magistrato: Un magistrato (dal latino magistratus) è il titolare di un ufficio pubblico (in latino
magisterium). Più specificamente, il termine designa funzionari investiti delle funzioni di giudice e,
in certi ordinamenti, di pubblico ministero. In Italia designa anche alcuni uffici della pubblica
amministrazione.

giudice
il termine giudice (dal latino iudex, derivato da ius, 'diritto', e dicere, 'dire, pronunziare'), in diritto,
ha una doppia accezione, indicando sia l'organo che esercita la giurisdizione, sia la persona fisica
titolare di quest'organo (ossia il funzionario).
Il termine funzionario designa, in senso proprio, la persona che, essendo titolare di un ufficio
nell'ambito di un ente, esercita una funzione ed è, quindi, investita di poteri che deve esercitare non
nel suo personale interesse ma nell'interesse dell'ente cui appartiene (si tratta, dunque, di poteri-
doveri, ossia potestà).Così intesi possono esserci funzionari all'interno di enti privati, enti pubblici
(funzionari pubblici) e organizzazioni internazionali (funzionari internazionali), anche se spesso il
termine funzionario, senza ulteriori specificazioni, viene utilizzato per designare i funzionari
pubblici.Il concetto di funzionario si distingue da quello, più generale, di agente, che denota
qualsiasi persona fisica attraverso la quale l'ente agisce: sono agenti i funzionari ma lo sono anche
gli altri addetti agli uffici e, in generale, gli incaricati di attività meramente materiali (i cosiddetti
meri agenti).

pubblico ufficiale

La figura, prevista nella maggior parte degli ordinamenti giuridici moderni, è generalmente
ricoperta da funzionari pubblici – ma anche privati – che esercitino pubbliche funzioni e collegano a
tale status varie conseguenze giuridiche, quale la possibilità di redigere atti pubblici.

avvocato: L'avvocato (femminile: l'avvocata o avvocatessa; dal latino advocatus sostantivo


derivante dal participio passato del verbo advoco = ad-vocatum = chiamato a me, vale a dire
"chiamato per difendermi", cioè "difensore"[1], abbreviato avv. o avv.ssa) è un libero professionista
che svolge attività di assistenza, consulenza giuridica e di rappresentanza legale a favore di una
parte.

Le leggi alle quali appellarsi che tutelano l’autodifesa sono le seguenti:


art. 24 statuto/Costituzione: Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi
legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai
non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

art. 6 legge 848 del 1955 Diritto ad un processo equo


1. Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un
tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi
diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga
rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere
vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o una parte del processo nell’interesse della morale,
dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli
interessi dei minori o la tutela della vita privata delle parti nel processo, nella misura giudicata
strettamente necessaria dal tribunale quando, in speciali circostanze, la pubblicità potrebbe
pregiudicare gli interessi della giustizia.
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2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia
stata legalmente accertata.

3. Ogni accusato ha segnatamente diritto a:

a. essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo
dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico;

b. disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa;

c. difendersi da sé o avere l’assistenza di un difensore di propria scelta e, se non ha i mezzi per


ricompensare un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio quando lo
esigano gli interessi della giustizia;

d. interrogare o far interrogare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’interrogazione


dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; e. farsi assistere
gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nell’udienza.

art. 10 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad una equa e pubblica udienza davanti
ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi
doveri, nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta.

Inoltre, dal punto di vista commerciale, il giudice non può obbligare una persona giuridca a
stipulare un contratto con un libero professionista (avvocato) perché sarebbe una pratica
commerciale scorretta:

PRATICA COMMERCIALE SCORRETTA

La disciplina delle pratiche commerciali scorrette e la riscrittura delle regole relative alla
pubblicità ingannevole e comparativa è contenuta rispettivamente nei decreti legislativi nn. 146 e
145 del 2 agosto 2007, entrambi entrati in vigore il 21 settembre 2007, attuativi della Direttiva
2005/29/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno,
che modifica le Direttive 84/450/CEE, 97/7/CE, 98/27/CE, 2002/65/CE, e il Regolamento (CE) n.
2006/2004 in materia di pubblicità ingannevole e comparativa.

Il D.Lgs. 146/07 ha completamente sostituito l'intero titolo III della parte II del D.Lgs. 6 settembre
2005, n. 206 (cosiddetto Codice del consumo, abbreviato: cod. cons.), prima intitolato alla
pubblicità ed altre comunicazioni commerciali, introducendo il nuovo concetto di pratiche
commerciali unitamente ad una disciplina del tutto nuova.

La vecchia disciplina della pubblicità ingannevole e comparativa non è stata tuttavia abrogata ma
leggermente modificata e stralciata dal D.Lgs. 145/07; essa si applica ora limitatamente ai rapporti
tra professionisti concorrenti, nei quali il consumatore non e', almeno direttamente, coinvolto.

La pratica commerciale è dunque una qualsiasi azione, omissione, condotta, o dichiarazione,


comunicazione commerciale (compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto), posta
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in essere da un professionista in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un bene o
servizio ai consumatori.

L'art. 20 cod. cons. vieta le pratiche commerciali scorrette; una pratica diventa scorretta e perciò
illegale se è contraria alla diligenza, ed è falsa o idonea a falsare il comportamento economico del
consumatore che essa raggiunge, inducendolo a prendere una decisione che non avrebbe altrimenti
preso.

Le nuove regole si applicano alle pratiche commerciali prima, durante e dopo un'operazione
commerciale relativa a un prodotto o servizio. Oltre alla pubblicità vengono sottoposte a queste
regole anche promozioni, comunicazioni, contratti, offerte, ecc.

Rientrano tra le pratiche commerciali scorrette le forniture non richieste relative a contratti attivati
a distanza (artt. 50 ss. cod. cons.) e i servizi finanziari non richiesti relativi a contratti attivati a
distanza (es. bancari, finanziari, assicurativi).

Le pratiche commerciali scorrette possono essere qualificate ingannevoli o aggressive.

Una pratica commerciale è da considerarsi ingannevole se contiene informazioni non corrette o


non corrispondenti al vero (art. 21 cod. cons.) o, anche se corretta, che in qualsiasi modo, anche
nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore,
inducendolo a prendere una decisione che non avrebbe altrimenti preso, avendo riguardo ad uno o
più elementi quali ad esempio:

• l'esistenza o la natura del prodotto;


• le caratteristiche principali del prodotto;
• il prezzo o il modo in cui questo è calcolato.
Una pratica commerciale è inoltre ingannevole se omette informazioni rilevanti (art. 22 cod. cons.)
di cui il consumatore ha bisogno per prendere una decisione oppure occulta o presenta in modo
oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui il consumatore ha
bisogno per prendere una decisione.

Sono considerate in ogni caso ingannevoli le pratiche commerciali descritte dall'art. 23 cod. cons.,
tra cui:

• l'affermazione non corrispondente al vero, da parte di un professionista, di essere firmatario di


un codice di condotta;
• esibire un marchio di fiducia, di qualità o un marchio equivalente senza aver ottenuto la
necessaria autorizzazione;
• invitare all'acquisto di prodotti ad un determinato prezzo senza rivelare l'esistenza di
ragionevoli motivi.
Una pratica commerciale è da considerarsi aggressiva se, tenuto conto di tutte le circostanze del
caso (art. 24 cod. cons.), mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica, o
indebito condizionamento (ad es. lo sfruttamento di una posizione di potere per esercitare
pressioni), limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di
comportamento del consumatore, tanto da indurlo a prendere una decisione che altrimenti non
avrebbe preso.

Rientrano in questo ambito, per esempio, tutti i casi in cui i venditori facciano uso di minacce
fisiche o verbali, sfruttino qualsivoglia evento tragico o fatto grave per influenzare il consumatore,
pongano ostacoli - non previsti da un contratto - onerosi o sproporzionati alla libertà del
consumatore di far valere i propri diritti contrattuali, minaccino di promuovere azioni legali in
modo temerario o palesemente infondato.
APPUNTI
Sono considerate in ogni caso aggressive le pratiche commerciali descritte dall'art. 26 cod. cons., tra
cui:

• creare l'impressione che il consumatore non possa lasciare i locali commerciali fino alla
conclusione del contratto;
• effettuare visite presso l'abitazione del consumatore, ignorando gli inviti del consumatore a
lasciare la sua residenza o a non ritornarvi;
• effettuare ripetute e non richieste sollecitazioni commerciali per telefono, via fax, per posta
elettronica o mediante altro mezzo di comunicazione a distanza.

VEDIAMO ORA GLI OBBLIGHI DEL GIUDICE (per quanto riguarda l’avvocato (e il giudice!)
non può utilizzare il nostro nome senza il nostro consenso come visto precedentemente)

Inoltre gli avvocati di solito omettono delle informazioni per favorire il loro cliente. Questo
comportamento, oltre a non onorare il loro giuramento: “Consapevole della dignità della
professione forense e della sua funzione sociale, mi impegno ad osservare con lealtà, onore e
diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini della giustizia ed a tutela dell’assistito
nelle forme e secondo i principi del nostro ordinamento”, commettono anche reato in caso di
procedimento civile o amministrativo per l’art. 374 c.p. Chiunque, nel corso di un procedimento
civile o amministrativo (1), al fine di trarre in inganno il giudice in un atto d'ispezione o di
esperimento giudiziale, ovvero il perito nella esecuzione di una perizia, immuta artificiosamente lo
stato dei luoghi o delle cose o delle persone, è punito, qualora il fatto non sia preveduto come reato
da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da sei mesi a tre anni [375, 384] (2).

La stessa disposizione si applica se il fatto è commesso nel corso di un procedimento penale, anche
davanti alla Corte penale internazionale (3), o anteriormente ad esso; ma in tal caso la punibilità è
esclusa, se si tratta di reato per cui non si può procedere che in seguito a querela [120], richiesta [8,
9 2 - 3, 10, 11 2, 12 2, 127, 131 4] o istanza [9, 10], e questa non è stata presentata [375, 384] (4).

Il giudice è un pubblico ufficiale, perciò, quando viene a conoscenza dell’azione di OPPT ha i


seguenti obblighi:

art. 101 Statuto/Costituzione: La giustizia è amministrata in nome del popolo (1). I giudici sono
soggetti soltanto alla legge (2).

art. 361 c.p. Il pubblico ufficiale (1), il quale omette o ritarda di denunciare all'Autorità giudiziaria,
o ad un'altra Autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia
nell'esercizio o a causa delle sue funzioni (2), è punito con la multa da trenta euro a
cinquecentosedici euro.

La pena è della reclusione fino ad un anno, se il colpevole è un ufficiale o un agente di polizia


giudiziaria [c.p.p. 57], che ha avuto comunque notizia di un reato del quale doveva fare rapporto
[c.p.p. 330-332, 347] (3).

Le disposizioni precedenti non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona
offesa.

Inoltre altri reati commessi dal giudice se non denuncia il sistema fraudolento a cui appartiene sono
i seguenti:
corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319 c.p.), rifiuto od omissione di atti
d'ufficio (art. 328 c.p.), associazione mafiosa (art. 416 bis c.p.).
APPUNTI

IMPORTANTE FAR NOTARE AL MAGISTRATO CHE EGLI HA GIURATO:


Ciò premesso, ai fini che più interessano in questa sede appare doveroso concentrare precipuamente
l’attenzione, nel prosieguo, sul precetto recato dall’art. 4 della l. n. 478/1946, grazie al quale è stata
per l’appunto sancita la nuova formula del giuramento richiesto ai magistrati dell’Ordine
giudiziario, stabilendola come segue: <<Giuro di essere fedele alla Repubblica italiana ed al suo
Capo, di osservare lealmente le leggi dello Stato e di adempiere con coscienza i doveri inerenti al
mio ufficio>>.

Questo giuramento non ha alcun valore in quanto non è specificato, in modo fraudolento nei
confronti del magistrato, che la Repubblica italiana è di fatto una Società Privata.

Per cui il magistrato risponde delle sue azioni come pubblico ufficiale.

Da ricordare anche l’art. 28 della Costituzione: I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti
pubblici [97, 98, 103, 113] sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e
amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti (1) (2). In tali casi la responsabilità civile
si estende allo Stato e agli enti pubblici (3).

E l’art. 54: Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la
Costituzione e le leggi (1).
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed
onore (2), prestando giuramento [91, 93] nei casi stabiliti dalla legge.

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