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Procedura monitoria: avviene in seguito di ingiunzione e convalida di sfratto,

quando il giudice pronuncia in merito a una domanda giudiziale, ma senza ascoltare l’altra parte

à;
20. Clausola generale di buona fede e principi costituzionali
Argomento sentenza = Violazione clausola generale di buona fede e correttezza in senso oggettivo

questione: Dopo che la banca Monte dei Paschi di Siena aveva ottenuto l’emissione di un decreto ingiuntivo con

ÈÈgÈÈ
conseguente iscrizione di ipoteca giudiziale nei confronti del debitore e del suo fideiussore per una somma
pari allo scoperto del conto corrente maturato a seguito della revoca del credito concesso gli intimati
.

hanno proposto opposizione contestando l’illegittimità del recesso contrattuale della banca e l’inesigibilità
del credito in quanto la procedura monitoria è stata iniziata prima che il debitore avesse ricevuto la lettera

ozia di chiusura del conto. Per tali ragioni il debitore chiede la revoca dell’ingiunzione e la risoluzione del

ègli
contratto di conto corrente con contestuale condanna della banca al risarcimento dei danni per violazione
di buona fede e per responsabilità aggravata ex art. 96, c.p.c.
IGRADO
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Se in primo grado il Tribunale pur revocando l’ingiunzione rigetta l’opposizione del debitore, in sede
d’appello la sentenza viene riformata dando ragione al debitore in quanto non solo revoca l’ingiunzione,
ma concede altresì il risarcimento del danno dovuto per l’ingiusta chiusura del conto. Nella sostanza la
Corte d’appello non accoglie la domanda di risoluzione del contrato in quanto non può imputarsi alla
aIIora
Ìo
banca l’inadempimento degli obblighi contrattuali, ma individua nel recesso ingiustificato e non motivato
da parte di quest’ultima un comportamento contrario alla clausola di buona fede ex art. 1375, c.c.

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Alla sentenza di appello di risarcimento del danno, però, si oppone la banca-ricorrente e con ricorso in cassazione
.

Cassazione lamenta che la violazione della regola di buona fede non costituisce un autonomo titolo per la

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pretesa risarcitorio. La Suprema Corte respinge il ricorso e conferma la sentenza d’appello impugnata e
questo in quanto il principio di buona fede e di correttezza, come affermato nella relazione ministeriale al
codice civile, è un dovere giuridico autonomo la cui violazione determina un danno risarcibile e ciò anche
trascurando la domanda di risoluzione del contratto.

La sentenza della Cassazione cui stiamo facendo riferimento ha chiarito l’importanza della clausola generale di buona
fede e dei rapporti di reciproca integrazione della stessa con i principi costituzionali.
In materia contrattuale, il codice civile in più norme richiama la regola della buona fede come ad esempio nell’art.
1375, c.c. il quale sancisce che le parti sono tenute a comportarsi secondo buona fede, ovvero nell’art. 1337, c.c. dove
è sancito che le parti sono tenute al rispetto di tale criterio sin dalla fase precontrattuale, sin dal momento delle trattive,
ma non solo, vi è un’importante norma in tema di interpretazione di contratti, l’art. 1366, c.c., che prevede la buona
fede come criterio generale ed inderogabile di interpretazione degli stessi.
In relazione alla clausola di buona fede sorge tuttavia una questione circa la possibilità di individuare nella stessa solo
un criterio di valutazione della condotta dei contraenti o anche un criterio di determinazione del comportamento dovuto
e quindi se oltre che fonte di interpretazione potesse essere fonte di integrazione dei contratti ed in merito a tale
questione va detto che una parte della dottrina nega la possibilità che la buona fede funga quale criterio di integrazione
dato che questa dovrebbe operare unicamente nella fase di esecuzione del contratto. Vi è tuttavia un’altra parte della
dottrina che attribuisce alla regola in parola la funzione di incidere sul regolamento integrandone il contenuto alla luce
dei principi costituzionali.

G Preferendo quest’ultimo orientamento e quindi quello che prevede che la buona fede è oltre che una fonte di
interpretazione del contratto anche una fonte di integrazione dello stesso è bene che siano fatte delle precisazioni circa

1-
il connubio della buona fede con i principi costituzionali ed anche circa- le conseguenze che l’attribuzione della
funzione di integrazione comporta. Per quanto concerne il primo aspetto –rapporto tra buona fede e principi
costituzionali– si deve chiare che il contenuto della buona fede non può essere predeterminato in modo preciso, ma si
specifica in base al contesto storico ed alla luce di tutti i principi dell’ordinamento vigente che vanno oltre quello di ,
solidarietà (personalismo, uguaglianza, tutela dell’integrità psico-fisica, utilità sociale, etc.) ed assume valenza non solo
etica, ma anche e soprattutto normativa. Il secondo aspetto sul quale va fatta chiarezza poi è quello che concerne il
riconoscimento alla buona fede di una funzione di integrazione contrattuale, riconoscimento che sottolinea come
l’operatività di tale regola non è più limitata alla ipotesi in cui svolge la funzione di criterio di valutazione della
condotta dei contraenti, ma è da considerarsi quale fonte di obblighi in capo agli stessi, obblighi negativi quanto 2
positivi (dovere di protezione, di avviso, di custodia) che non sono espressamente previsti dal contratto o dalla legge
ma che si desumo dal caso concreto. Nella sostanza deve essere riconosciuta una funzione integratrice alla buona fede
e occorre iniziare a considerarla quale strumento di controllo dell’autonomia privata.
Prima ancora della sent. 23273/2006, di cui ci stiamo occupando e con la quale la Corte di Cassazione ha riconosciuto
alla buona fede la funzione di concretizzazione dei principi costituzionali –in particolar modo del principio di

Epopea
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solidarietà– sottolineando che la sua violazione, seppure non specificato in puntuali obblighi contrattuali, comporta di
per sé un danno risarcibile e nello specifico ha riconosciuto alla buona fede:

a. la funzione di strumento utile all’adeguamento del dato normativo alla realtà sociale;
b. la funzione di criterio di contemperamento degli interessi in conflitto;
vi è stata, nel 1994, un’importante sentenza, nota come “Sentenza Fiuggi” che ha chiarito l’indissolubile

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legame tra la buona fede ed i principi costituzionale, nonché la sua funzione integrativa e conformatrice del
regolamento negoziale.
Caso Fiuggi: il comune di Fiuggi aveva concesso alla società Ente Fiuggi s.p.a. la gestione delle
sorgenti di acqua minerale prevedendo che il corrispettivo fosse rapportato al prezzo di vendita
delle bottiglie di acqua minerale. La società concessionaria Ente Fiuggi s.p.a., nonostante il
periodo di svalutazione economica era riuscita a mantenere invariato nel tempo il canone e
questo vendendo le bottiglie ad una società terza, controllata dalla stessa società concessionaria,
la quale provvedeva a rivendere le bottiglie ad un prezzo maggiorato. Tale espediente trovato
dalla società le permetteva di mantenere invariato il canone di concessione ed allo stesso tempo
di lucrare sulla vendita delle bottiglie d’acqua.

:
Il comune di Fiuggi per tale ragione si rivolge al tribunale, ma il giudice di merito respinge ogni


domanda del comune sul presupposto che non gli era consentito chiedere alla controparte
l’aumento del prezzo di vendita di fabbrica delle bottiglie per adeguarlo all’intervenuta
svalutazione economica data la sussistenza di espresse previsioni pattizie che attribuivano
all’Ente Fiuggi s.p.a. piena libertà di fissare il prezzo di vendita. La decisione di merito viene
però ribaltata dalla Cassazione che ritiene il comportamento della società concessionaria
contrario a buona fede riconoscendo a questa una chiara funzione integrativa e correttiva del
regolamento negoziale.

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21. Efficacia precettiva dei principi costituzionali e inesigibilità &
della prestazione
Argomento sentenza = Inesigibilità della prestazione del debitore
questione: La Commissione sull’edilizia abitativa agevolata accerta che la socia di una cooperativa non aveva abitato
regolarmente e costantemente l’abitazione consegnatale e ciò costituiva presupposto imprescindibile per
giovare del contributo provinciale sul mutuo edilizio concesso per la costruzione della propria abitazione
in cooperativa secondo una specifica legge della provincia autonoma di Bolzano. L’inadempimento da
parte della socia della cooperativa, dunque, ha fatto sì che la Commissione chiedesse la revoca del
contributo, revoca a cui la beneficiaria si oppone con ricorso dinanzi al Consiglio di Stato il quale rimette
gli atti alla Corte Costituzionale chiedendo di far chiarezza sulla conformità a Costituzione delle norme
delle l.n. 4/1962 della provincia autonoma di Bolzano che sanciscono quale condizione per godere del
contributo provinciale di mutuo edilizio l’occupazione effettiva e stabile dell’abitazione. Nella sostanza il

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problema che veniva sollevato era quella della violazione dell’art. 3, Cost. e quindi del principio di
uguaglianza che si riteneva scaturisse da un’irragionevole differenza di trattamento rispetto alla disciplina
statale che ammette la possibilità di derogare all’obbligo di dimora in presenza di esigenza familiari o di
lavoro tali da rendere necessari spostamenti temporanei.
La Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale escludendo che
Corte dall’attuazione della norma impugnata derivano irragionevoli diversità di trattamento e dunque esclude la
Costituzionale violazione del principio di uguaglianza ex art. 3, Cost. A tale conclusione la Consulta arriva interpretando
le norme in questione alla luce dell’inesigibilità della prestazione e ciò porta la stessa ad affermare che
La Consulta l’inadempimento da parte del debitore si considera costituzionalmente giustificato ove strumentale
all’attuazione di un valore giuridicamente superiore.
In conclusione, il non aver rispettato per ragioni familiari le condizioni per continuare a beneficiare del
contributo provinciale sul mutuo edilizio costituisce una ragionevole giustificazione dell’inadempimento
della prestazione in quanto risponde all’esigenza di contemperamento degli interessi creditori e debitori in
funzione dei prevalenti ed inderogabili doveri di solidarietà e familiari ex artt. 2 e 29, Cost.

La sentenza della Corte Costituzionale del 1994 cui stiamo facendo riferimento costituisce un importante ed efficace
esempio di influenza degli interessi non patrimoniali sulla disciplina del rapporto obbligatorio.
Tale sentenza si fonda sulla teoria dell’inesigibilità della prestazione, teoria di matrice tedesca, la quale segna il limite
al di là del quale la prestazione richiesta al debitore non è più da questi dovuta.
La teoria dell’inesigibilità della prestazione nel nostro ordinamento interferisce con la disciplina della responsabilità
contrattuale in base alla quale in caso di inadempimento il debitore è tenuto al risarcimento del danno salvo i casi di
impossibilità della prestazione derivante da cause a lui non imputabili in quanto in tal caso l’obbligazione deve ritenersi
estinta e dunque il debitore non è più tenuto ad adempierla.
La nozione di impossibilità della prestazione cui abbiamo fatto menzione assume contorni così sfumati da confondersi

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con il concetto di inesigibilità della prestazione: parte della dottrina equipara sul piano degli effetti l’impossibilità della

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prestazione e l’inesigibilità della stessa dato che in entrambi i casi la liberazione del debitore è giustificata quando
l’adempimento può determinare un pregiudizio dei diritti inviolabili del debitore, ovvero comprometterebbero
l’esecuzione di atti che costituiscono manifestazioni di solidarietà come nel caso di specie in quanto la socia della
cooperativa non ha adempiuto all’obbligo di una regolare e costante abitazione della casa per ragioni di assistenza ed
aiuto ai familiari.

Se tuttavia vengono equiparati sul piano degli effetti resta tra le due nozioni una distinzione concettuale:
• inesigibilità della prestazione: si basa su un sacrificio personale del debitore astrattamente
deducibile, ma
la cui obbligatorietà in concreto è esclusa da una valutazione di buona
fede
che si riferisce tanto al contenuto del contratto, quanto al tipo di
rapporto
su cui si basa lo stesso;
• impossibilità della prestazione: si ispira alla logica della dignità e della personalità dei soggetti
-
coinvolti.

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-
Orbene la Consulta giustifica l’esito della propria pronuncia che respinge la questione della legittimità costituzionale
sollevata dal Consiglio di Stato escludendo la violazione del principio di uguaglianza ex art. 3, Cost. basandosi non
sulla valutazione del comportamento del creditore secondo correttezza e buona fede, ma basa la propria decisione sui
principi di solidarietà sociale e familiare ex artt. 2 e 29, Cost. i quali devono esser considerati quali limite alla pretesa
creditoria e quindi la consulta arriva a considerare l’inesigibilità della prestazione come una categoria che si riempie di
contenuti intrinsecamente costituzionali.
La sentenza della Corte Costituzionale ad ogni modo deve ritenersi importante in quanto testimonia l’esigenza di un
bilanciamento necessario tra più principi costituzionali che si deve basare sulla gerarchia dei valori della costituzione:
deve esservi un bilanciamento gerarchico tra l’interesse all’adempimento del creditore e il principio di solidarietà che
vede privilegiare quest’ultimo.

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22. Frazionamento del credito e divieto di abuso nel processo civile

:
Argomento sentenza = Abuso di diritto; doveri di solidarietà ex art. 2, Cost.; clausola generale di buona fede
questione: Un imprenditore, a fronte dell’inadempimento della controparte contrattuale, decide di avviare
contemporaneamente una serie di procedure monitorie fondate sulle distinte fatture giovandosi in tal modo
di un iter processuale più snello dato il minor valore delle singole cause.
Il debitore, che si vede arrivare quattro distinti decreti ingiuntivi ognuno riferito ad una diversa fattura fa
Giudice di ricorso al Giudice di Pace il quale pur condannando il debitore al pagamento della somma complessiva
Pace dovuta al creditore revoca i diversi decreti ingiuntivi compensando le spese processuali. Tuttavia, il
creditore, al fine di evitare che le suddette spese rimanessero a proprio carico impugna per Cassazione le
statuizioni del Giudice di Pace. La terza sezione della Corte di Cassazione riunisce tutti in giudizio e li pt
rimette alle Sezioni Unite secondo cui il frazionamento della richiesta di adempimento è contrario ai à
principi di correttezza, buona fede, e solidarietà, ma non solo, lo ritiene un abuso di diritto.

Le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza del 2007 sono chiamate a dirimere la questione circa la legittimità
della domanda frazionata di adempimento di un credito pecuniario, una questione sicuramente non nuova in dottrina.
E Partendo con il definire il frazionamento del credito come la richiesta di adempimento di singole parti di una
te prestazione originaria unitaria in separati giudizi da parte del creditore la problematica cui si trovano di fronte le
È Sezioni Unite è più ampia dato che tocca il tema dell’abuso di diritto in quanto ciò che viene domandato è se la
A8 richiesta di adempimento frazionato rappresenti o meno un esercizio abusivo del diritto di credito e se sia contraria o
ÈÈ meno alla buona fede.

E Nel 2000 le Sezioni Unite si erano già trovate ad affrontare il tema della compatibilità tra la possibilità di frazionare la
ÈÉ domanda di adempimento del credito ed il principio di correttezza e buona fede. In quella pronuncia le Sezioni Unite
sottolinearono la meritevolezza dell’esigenza di economia processuale e di contenimento dei costi posti alla base della
E EE
èeà richiesta di adempimento frazionato ammettendone la possibilità in quanto un giudizio con un oggetto più contenuto
consente al procedimento di svolgersi in maniera più rapida nonché di essere economicamente più sostenibile. A tale
È¥ pronuncia della Suprema Corte si è adeguata gran parte della giurisprudenza di legittimità successiva e ciò sulla base
-

dell’idea secondo la quale il creditore avesse la facoltà di chiedere l’adempimento parziale così come di rifiutarlo in

÷
caso di prestazione divisibile salvo i casi in cui norme ed usi dispongono diversamente, precisando, inoltre,
l’illegittimità del rifiuto dell’adempimento parziale da parte del creditore ove secondo buona fede il difetto sia irrisorio,
ovvero la prestazione sia divenuta parzialmente impossibile per cause non imputabili al debitore ed ammettendo,
ancora, le ipotesi di mora del creditore nel caso in cui quest’ultimo, senza motivo legittimo, non vuole accettare la
prestazione originariamente prevista nel rapporto obbligatorio o non compie quanto è necessario affinché il debitore
possa adempiere l'obbligazione.

Tale trend giurisprudenziale della Corte di legittimità è stato definitivamente sconfessato però dalla sentenza del 2007
delle Sezioni Unite, sentenza alla quale stiamo facendo riferimento, che ha sancito l’illegittima della domanda di
adempimento parcellizzato del credito in quanto contrastante con la clausola generale di buona fede e correttezza e con
gli inderogabili doveri di solidarietà ex art. 2, Cost. si tratta di due obblighi, doveri che si ricollegano al canone del
giusto processo ex art. 111, Cost. ai sensi del quale non può definirsi giusto quel processo che viene intrapreso tramite
abuso e con ingiustificata moltiplicazione dei giudizi.

La base della pronuncia della Suprema Corte è quello della costituzionalizzazione del principio di buona fede: la regola
della buona fede così come consente al giudice di controllare l’assetto negoziale, di modificarlo o integrarlo, deve
permettere a questi di mantenere l’equilibrio originario del rapporto obbligatorio in ogni fase, anche quella giudiziale,
del rapporto stesso.

Ad ogni modo, nel caso specifico la Cassazione sottolinea il manifesto aggravio della posizione del debitore sia per il
prolungamento del vincolo sia per l’ammontare degli oneri cui si trova sottoposto il debitore per i vari giudizi e dunque
ai fini della legittimità della domanda di frazionamento ciò che appare necessario è considerare il caso concreto: si
deve operare un bilanciamento tra l’interesse del creditore e quello del debitore.

23. Estinzione dell’obbligazione mediante assegno circolare e interpretazione evolutiva


dell’art. 1277, c.c.
Argomento sentenza = Interpretazione estensiva e costituzionalmente orientata ex art. 1277, c.c.

questione: Un debitore propone opposizione all’esecuzione immobiliare promossa dai creditori in base ad una sentenza

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di condanna che derivava dal rifiuto dei creditori di accettare un assegno circolare per l’estinzione
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dell’obbligazione pecuniaria. Tribunale e Corte d'Appello rigettano l’opposizione del debitore sostenendo
che l’assegno circolare non aveva estinto l’obbligazione e quindi il titolo esecutivo conservava la propria
efficacia. Il debitore, quindi, si rivolge alla Corte di Cassazione sostenendo che il giudice di merito
avrebbe dovuto dichiarare estinta l’obbligazione accogliendo la sua domanda. La questione è rimessa alle
Sezioni Unite le quali procedono ad un’interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata dell’art
1277 cc, tale da superare i ristretti confini della sua lettura ed attribuirgli un significato conforme al mutato
contesto applicativo. Dunque, ciò che fanno le Sezioni Unite è un’opera di adeguamento dell’art. 1277,
c.c. con la clausola generale di buona fede e correttezza la quale rappresenta il limite di là da quale il
comportamento del creditore diviene illegittimo tanto da configurarsi come abusivo, ossia contro-
funzionale.
Nella sostanza quello che afferma la Suprema Corte è che in ipotesi di rapporti obbligatori non
caratterizzati da un apprezzabile interesse del creditore a ricevere il denaro in contanti, il pagamento con
consegna di assegni circolari costituisce un idoneo strumento per estinguere l’obbligazione pecuniaria,
poiché è egualmente idoneo a garantire al creditore la giuridica disponibilità della somma di denaro
dovuta di conseguenza il rifiuto ingiustificato del creditore integra una violazione della clausola generale
di correttezza e buona fede, con conseguente possibilità per il debitore di attivare i rimedi previsti dalla
disciplina della mora credendi (messa in mora del creditore) secondo cui il creditore è in mora quando,
senza motivo legittimo, non riceve il pagamento offertogli nei o non compie quanto è necessario affinché
il debitore possa adempiere l’obbligazione. Tale tipo di comportamenti determinano il risarcimento dei
danni e la liberazione dall’obbligazione, mediante il c.d. deposito liberatorio, del debitore.

Stando ad un tradizionale orientamento interpretativo –basato prevalentemente sul criterio letterale ex art. 1362, c.c.– la
consegna di assegni circolari integra un adempimento non esatto della prestazione e dunque non liberatorio cosa che
quindi rende legittimo il rifiuto del creditore alla sua ricezione. Più nello specifico, l’offerta con assegna circolare
costituirebbe una proposta di datio in solutum, in quanto la consegna dell’assegno è effettuata in sostituzione del
pagamento in moneta ed inoltre il pagamento così effettuato costituirebbe violazione dell’art 1182, c.c. secondo il quale
l’obbligazione pecuniaria deve essere adempiuta al domicilio del creditore, poiché comporterebbe la sostituzione di
siffatto domicilio con la sede della banca presso la quale riscuotere l’assegno.
In altre parole, stando alla Suprema Corte la consegna di denaro in contanti, considerando il mutato assetto socio-
economico, rappresenta una modalità di adempimento non prioritaria e pertanto il pagamento con consegna di assegni
circolari deve essere considerato idoneo ad estinguere l’obbligazione pecuniaria.
Dunque, le Sezioni Unite operano un’interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata della disciplina in
questione adeguandola ai mutati contesti economici e ai moderni sistemi di pagamento e quindi per “moneta avente
corso legale nello Stato” si deve intendere ogni mezzo esistente nel sistema monetario nazionale. Il debitore, pertanto,
ha la facoltà di pagare con moneta avente corso legale nello Stato oppure con assegno circolare ed in quest’ultima
ipotesi, il creditore potrà rifiutare il pagamento solo in presenza di giustificato motivo e purché il rifiuto sia conforme a
buona fede e correttezza.

Caso particolare è anche quello dell’assegno bancario il quale è un titolo di credito contenente l’ordine di un soggetto
(traente) alla banca (trattaria) di pagare, per proprio conto, a vista al portatore legittimato l’importo menzionato sul
documento. In questo caso non è garantito al beneficiario l’effettiva disponibilità della somma indicata sull’assegno, in
quanto il conto corrente del traente potrebbe risultare scoperto e quindi la giurisprudenza, inizialmente, si è mostrata
cauta, al punto da negare efficacia estintiva a tale modalità di adempimento. Successivamente le Sezioni Unite mutano
orientamento anche in relazione a questo: il pagamento con assegno bancario è, salvo buon fine, mezzo idoneo ad
estinguere l’obbligazione e legittima il creditore a rifiutare il pagamento solo in presenza di un giustificato motivo che
deve allegare e, all’occorrenza, provare.

24. Squilibrio del regolamento e immeritevolezza del contratto


Argomento sentenza = Causa in concreto e squilibrio del regolamento contrattuale .
questione: Il cliente di un istituto bancario aderisce ad un piano finanziario denominato 4you il quale prevede
l’erogazione di un finanziamento per una somma “x” di lire destinate in parte all’acquisto di titoli e in parte
alla sottoscrizione di un fondo comune di investimento. In seguito alla stipula di tale contratto l’investitor
conviene in giudizio con la banca domandando:
a. nullità del contratto per violazione degli obblighi di informazione ex art. 21, d.l. n. 58/98 e della
delibera della Consob n. 11522/98;
b. declaratorio di inefficacia del vincolo per la sua vessatorietà;

ESTES
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c. restituzione di quanto versato ed il risarcimento dei danni patrimoniali e non.

%:O
Se in primo grado la domanda viene rigettata, la Corte d'Appello sostiene l’inefficacia del contratto
dettata dallo squilibrio del regolamento in concreto realizzato in quanto va oltre la normale alea
contrattuale, il normale rischio contrattuale e questo in quanto il contratto è sicuramente
vantaggioso per la Banca che percepisce gli interessi finanziari, lucra i compensi per la gestione
. del fondo mentre per il cliente lo è meno dato che può sperare di acquisire il capitale versato dopo
15 anni

Le azioni promosse da investitori nei confronti di istituti bancari intermediari volte ad ottenere la declaratoria
di nullità o inefficacia dei contratti stipulati sono numerose e solitamente ciò che viene lamentata è la carenza
di informazioni in relazione al contratto stipulato il quale si rileva un investimento ad alto rischio. In merito
a questi casi la giurisprudenza prevalente si è mostrata sempre molto sensibile alle doglianze degli investitori
arrivando a considerare il contratto invalida e quindi nullo o annullabile. Nel caso di specie la Corte
d'Appello di Salerno pone l’attenzione sulla causa concreta del contratto la quale è soggetta ex art. 1332, c.c.
ad un controllo di meritevolezza.
Analizzando la causa concreta, la Corte d'Appello ravvisa uno squilibrio del regolamento contrattuale e dunque la sua
^
non meritevolezza richiamando da un lato l’art. 47, Cost. che tutela il risparmio e, dall’altro l’evoluzione legislativa in
2
tema di intermediazione finanziaria a tutela del risparmiatore. In pratica, i giudici della Corte d'Appello hanno cura

§
tanto dell’art. 1322, c.c. il quale prevede un controllo di meritevolezza tanto dei contratti atipici quanto di quelli tipici,
quanto e soprattutto del principio di proporzionalità che costituisce un parametro di riferimento nel giudizio di
meritevolezza degli atti di autonomia negoziale. La proporzionalità corrisponde infatti ad equilibrio nel regolamento
contrattuale e la sua valutazione non è meramente economica, ma postula di vagliare i concreti interessi coinvolti,
nonché la natura del contratto stipulato.

-2pA
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25. Riducibilità ex officio della penale manifestamente eccessiva
Argomento sentenza = Possibilità di ridurre ex officio la penale manifestamente eccessiva
X
questione: Un condominio, in ragione della mancata corresponsione degli oneri condominiali da parte di un
condomino, si rivolge al giudice per ottenere la condanna di questi al pagamento di una somma di denaro a
titolo di penale. Il condomino convenuto si rifiuta di pagare la penale ed anzi ne chiede la dichiarazione di
nullità ravvisando ex art. 1815, c.c. in questa caratteri di usurarietà.

ÈÈÈÈÉ
I primi due gradi di giudizio si concludono con sentenza favorevoli al condominio ritenendo impossibile
l’applicazione dell’art. 1815, c.c. in quanto circoscritto alle clausole inerenti la ritardata restituzione di un
prestito senza far cenno alla clausole penali. Il giudice di merito afferma che al massimo avrebbe potuto
trovare applicazione la richiesta dalla riduzione della penale ma data la mancanza di un’espressa domande
in tal senso ed essendogli preclusa la possibilità di operare ex officio non può far altro che accogliere la
domanda del condominio.

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La parte soccombente, ossia il condomino, propone dunque ricorso in Cassazione eccependo una erronea
delimitazione dell’ambito applicativo dell’art. 1815, c.c. così come una erronea interpretazione dell’art.
1384, c.c. in tema di riduzione della penale eccessiva. Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con sentenza
del 2005 per quanto concerne il primo quesito escludono che la clausola penale in oggetto potesse essere
dichiarata nulla per violazione dell’art. 1815, c.c., per quanto concerne invece la possibilità di operare una
riduzione ex officio della penale manifestamente eccessiva riconoscono la possibilità di una sua riduzione
anche in caso di mancata istanza di parte. È riconosciuta solo la violazione dell’articolo
1384.

La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione cui stiamo facendo riferimento parte dalla definizione di
clausola penale quale patto con il quale si conviene che in caso di inadempimento o ritardo nell’adempimento, il
debitore è tenuto a corrispondere una determinata somma di denaro. In relazione alla clausola penale, va detto, se ne
riconosce la sindacabilità da parte del giudice di merito il quale ex art. 1384, c.c. può operare un’equa riduzione della
stessa qualora questa risulti manifestamente eccessiva e ciò senza che vi sia un’istanza di parte, ossia può operare la
riduzione della clausola penale ex officio.

Prima del 1999 dottrina e giurisprudenza erano solite escludere la possibilità di operare d’ufficio una riduzione della
penale ritenendo necessaria la presenza di una domanda in tal senso della parte interessata e questo sulla base di due
elementi:
-

a. la presenza del principio secondo il quale il giudice non può pronunciarsi oltre i limiti delle domande
e delle eccezioni delle parti ex art. 112, c.p.c.;
b. il fatto che l’art 1384, c.c. è posto nell’interesse privato della parte debitrice la quale è libera di
determinare i confini della lite grazie alla riconosciuta disponibilità dell’oggetto materiale del
giudizio e del connesso mezzo di tutela.
Nel 1999, tuttavia, vi fu una netta inversione di tendenza: si sottolinea il superamento del dogma della totale
libertà di autonomia privata in quante, in una prospettiva costituzionale per quanto libera l’autonomia privata
deve essere conformata ai valori dell’ordinamento giuridico non dovendo porsi in contrasto con l’utilità
sociale. È ormai tramontato il mito ottocentesco dell’onnipotenza della volontà così come il dogma
dell’intangibilità delle convenzioni e di conseguenza si sviluppa l’esigenza di interpretare l’art. 1384, c.c.
-

quale espressione di un interesse primario dell’ordinamento il che vuol dire che l’intervento giudiziale altro
non è che un aspetto del normale controllo che l’ordinamento si è riservato sugli atti di autonomia privata, un
controllo che per l’appunto opera alla luce del sistema valoriale dell’ordinamento, nel rispetto dei principi di
solidarietà e inesigibilità i quali giustificano un intervento in via equitativa del giudice a prescindere da una
domanda o eccezione di parte. L’iter motivazionale seguito dalla sentenza del 1999 è stato pienamente accolto nel
2005 dalla sentenza in parola delle Sezioni Unite della Suprema Corte evidenziando come non vi sia alcun contrasto
con i principi previsti dall’art. 112, c.p.c.: la norma, infatti, impone al giudice di pronunciarsi entro i limiti di quanto
chiesto e dunque vi sarebbe un contrasto solo nel caso in cui questi condanni il debitore al pagamento di una somma
maggiore rispetto a quanto chiesta, ma non –come nel caso di specie– ad una somma inferiore.
In conclusione, la Corte ammette l’estensibilità, in via di interpretazione analogica, del principio che ispira la riduzione
tale che sarebbe da considerarsi suscettibili di riduzione tutte le clausole che risultano manifestamente sproporzionate.

26. Divieto di ospitalità e nullità per violazione del principio di solidarietà


Argomento sentenza = Violazione principio di solidarietà

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questione: All’interno di un contratto di locazione oltre al divieto di concedere in sublocazione l’immobile il locatore
ha previsto il divieto di ospitare non temporaneamente soggetti estranei al nucleo familiare del conduttore
e per il mancato rispetto di tale obbligo chiede la risoluzione del contratto. Il convenuto si difende
sostenendo la nullità di detta clausola.
I primi due gradi giudizio accolgono la domanda risolutoria del locatore in quanto si ritiene che l’ospitalità
protratta per un notevole lasso di tempo assumerebbe i caratteri della sublocazione e quindi il diritto per il
locatore di ottenere lo scioglimento del vincolo contrattuale.
. L’intervento della Corte di Cassazione ribalta i precedenti gradi di giudizio sostenendo la tesi della nullità
. della clausola in esame dando rilievo ai doveri di solidarietà ex art. 2, Cost i quali possono trovare
attuazione anche attraverso l’ospitalità offerta per venire incontro alle difficoltà altrui.

Il tema dell’ospitalità nel contratto di locazione è stato oggetto di attenzione tanto per la dottrina quanto per la
giurisprudenza e stando ad una legge degli anni Cinquanta questa, laddove protratta nel tempo, veniva ad esser
qualificata come sublocazione tanto da legittimare lo scioglimento del vincolo locatizio per inadempimento da parte del
conduttore. Tuttavia, la° Corte parte dall’idea di dare diretta applicazione dei principi costituzionali nei rapporti

;
intersoggettivi e dunque afferma la nullità della clausola che vieta l’ospitalità non temporanea in quanto la considera in
pieno contrasto con quanto sancito dall’art. 2, Cost., così come, nel caso di specie, con l’art. 3, Cost. in quanto si
specifica “persone estranee al nucleo familiare”.
Dunque, la sentenza in esame sembra configurare la nullità dell’atto per violazione di almeno due principi
costituzionali il che comporta la perdita di efficacia originaria del contratto di locazione, ma non sono, ad avvalorare la
tesi della nullità del contratto di locazione in questione vi è il primo comma dell’art. 1418, c.c. il quale sancisce che il
contratto è nullo quando contrario a norme imperative, salvo diversa diposizione da parte della legge intendendosi per
norme imperative quelle norme che pongono una regola dalla quale i privati non possono arbitrariamente discostarsi, si
è, infatti, superata la tradizione idea secondo la quale l’imperatività deve essere valutata solo ed esclusivamente sulla
base della matrice pubblicistica degli interessi tutelati.
L’iter seguito dalla Suprema Corte in merito alla nullità del contratto per violazione del principio costituzionale di
solidarietà, tuttavia, non è stato appieno condiviso e di fatti non sono mancate critiche e questo in quanto quello che

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:
avrebbe dovuto fare la Suprema Corte non era far in via diretta riferimento al principio di solidarietà ex art. 2, Cost.,
bensì far ricorso alla clausola generale delle buona fede sulla base del fatto che i principi costituzionali non sarebbero
applicabili in via diretta ai rapporti intersoggettivi.

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27. Eterogeneità degli interessi tutelati e convalida nelle nullità di protezione
Argomento sentenza = Convalida in caso di nullità di protezione
questione: Un investitore fa domanda al Tribunale di Verona volta all’accertamento della nullità di una serie di
operazioni di investimento in obbligazioni argentine. Le operazioni cui si sta facendo riferimento sono
quattordici e di queste nove sono stata realizzate in mancanza di un contratto negoziale, le altre invece
risultato attuative di un contratto quadro non sottoscritte dall’istituto bancario intermediario in violazione di
quanto previsto in materia di contratto di intermediazione.
Alla domanda dell’attore, che riguarda però solo le operazioni di investimento non andate a buon fine, senza
addurre la nullità della altre sempre poste in esecuzione del contratto nullo in quanto gli aveva procurato
ingenti guadagnai, l’intermediario convenuto si oppone sotto un duplice profilo:
a. l’insussistenza delle nullità;
b. l’intervenuta convalida della stessa.
Il Tribola adito pur riconoscendo la nullità delle operazioni di investimento nota come la condotta
assunta dall’investitore sia consapevole di detta nullità, ma non solo testimonia la volontà di far
proprio gli effetti di tale contratto affetto da nullità di conseguenza il Tribunale di Verona si
pronuncia in favore dell’intervenuta convalida e dunque rigetta la domanda dell’attore.

Le nullità di protezione sono un tipo di invalidità introdotto al fine tanto di tutelare il contraente debole
(consumatore), quanto di garantire il corretto svolgimento del mercato e nel caso in esame possono essere
determinate dal mancato rispetto della forma scritta del contratto come sancito dal Testo Unico Finanziario in
materia di contratti di intermediazione finanziaria.
In merito a tale tipo di nullità si è discusso molto in dottrina circa una possibilità di convalida delle stesse,
ossia circa la possibilità che il destinatario di tale tutela posso sanare il contratto e dunque decidere di volere
gli effetti prodotti dal contratto nullo come avviene in caso di annullabilità.

ÈÈÈÈ
Gran parte della dottrina suggeriva una relativizzazione del principio di insanabilità del negozio nullo e
quindi l’affermazione che lo strumento della convalida non dovesse seguire sic et simpliciter il carattere relativo
della nullità di protezione ritenendo questa configurabile tutte le volte in cui “l’interesse finale protetto dalla norma sia
stato soddisfatto o comunque non sia stato leso” e quindi non dovrebbe trovare applicazione nei casi in l’ipotesi di
nullità è connessa allo squilibrio del regolamento contrattuale in quanto in questo caso l’atto convalidante si porrebbe
in contrasto con il principio di proporzionalità.
Precisata ciò, nel caso di specie il Tribunale di Verona ha ritenuto potesse operare lo strumento della convalida in
quanto il comportamento assunto dall’investitore e la domanda da questi fatta ben faceva evincere che in realtà questi
voleva far propri gli effetti del contratto, in quanto la domanda di nullità riguardava tra tutti gli investimenti fatti solo
quelli che non aveva prodotto alcun guadano, ma non solo si è ritenuto potesse operare la convalida in quanto i principi
che venivano in rielevo nell’esaminare la questione erano il principio del risparmio e quello generale dell’interesse
dell’equilibrio nella contrattazione, principi che non veniva lesi dall’atto di convalida data la consapevolezza
dell’investitore. Nella sostanza: il vizio di forma non hanno in alcun modo inciso sulla corretta formazione della
volontà e sull’equilibrio nel regolamento.

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28. Autonomina negoziale e abuso del diritto nei contratti tra imprese
Argomento sentenza = Sentenza Renault sull’abuso di diritto e la buona fede nell’esecuzione del contratto
questione: Renault Italia comunica il recesso dal contratto di concessione di vendita ai concessionari dichiarando il
proposito legittimo di voler ristrutturare la rete di distribuzione dei proprio prodotti sul territorio nazionale
e per far ciò si avvale di una clausola del contratto che prevedeva la possibilità del recesso ad nutum, ossia
la possibilità del recesso unilaterale del contratto, contestualmente al recesso del contratto, tuttavia, la casa
madre risolve il contratto di lavoro con una serie di propri dirigenti pattuendo con questi di mutare il proprio
rapporto di lavoro in concessione di vendita attraverso la loro collocazione al posto dei concessionari
revocati.
A seguito di questa decisione della casa madre i concessionari revocati si costituiscono in associazione e
propongono ricorso adducendo che l’intento palese di Renault Italia non fosse quello di ristrutturare la rete
di vendita, bensì quello di ridurre (tramite licenziamento) il personale dipendente senza farsi carico
ÈIÉÈÉÈI dell’onere finanziario del t.f.r. e quindi oltre a lamentare il danno derivante dalla risoluzione anticipata del
rapporto, lamentano l’ulteriore danno di aver visto frustrati gli ingenti investimenti che il concedente li
aveva indotti ad effettuare suscitando il legittimo affidamento sulla prosecuzione del rapporto di lavoro.
I primi due gradi di giudizio vedono soccombenti i concessionari revocati in quanto stando ai giudici di
merito la casa automobilistica aveva semplicemente esercitato un suo diritto previsto dal contratto. I giudici
di merito si avvalgono per la loro decisione al mero criterio letterale di interpretazione del regolamento
contrattuale.
Quando la questione approva dinnanzi la Suprema Corte la situazione viene ribaltata perché contrariamente
-

alle pronunce di merito la Cassazione dichiara il carattere abusivo del recesso, ma non solo apre le strade
della condanna della Renault al risarcimento dei danni in favore delle concessionarie revocate in modo
]
illegittimo. Ciò che la Corte sottolinea nella sua sentenza, la quale appare come un vero e proprio trattato di
teoria generale del diritto sull’abuso nell’esercizio dell’autonomia privata, è che la regola di chiarezza è un
principio generale del diritto delle obbligazioni, ma non solo, sottolinea come la regola della buona fede
(operante tanto sul paino dei comportamenti del debitore e del creditore quanto su quello complessivo degli
interessi sottostanti l0esecuzione del contratto) sia specifica concretizzazione dei valori costituzionali, essa
-

è uno strumento dato al giudice per controllare in senso anche modificativo, integrativo lo statuto negoziale.

La sentenza della Suprema Corte della quale stiamo trattando affronta il problema dell’abuso di diritto il quale si
concretizza nell’esercizio contro-funzionale di una situazione giuridica della quale il soggetto è titolare, ossia si tratta
dell’esercizio di un diritto che effettivamente spetta al soggetto che lo esercita, ma che tuttavia non comporta alcun
vantaggio apprezzabile o degno di tutela da parte dell’ordinamento, quindi eccede nei limiti che a questo sono imposti
dalla legge tanto da risultare lesivo o non conforme agli interessi.

AÈÈÈ
Precisando che la figura dell’abuso del diritto è stata per la prima volta definita dalla giurisprudenza intorno agli anni
Settanta non come una categoria giuridica, bensì come particolare forma di illecito in presenza del quale in singoli casi
e in riferimento ai fondamentali precetti giuridici della buona fede l’uso anormale del diritto conduce il comportamento
del singolo fuori dalla sfera del diritto soggettivo medesimo, va detto che nonostante la mancanza di una specifica
clausola generale sono molte le ipotesi dalla quali si può desumere l’esistenza di un generale dovere di non abusare del
proprio diritto a danno di altri. Duque, oggi si può ritenere che l’abuso di diritto è un criterio utile all’esame dei
rapporti negoziali nati da atti di autonomia privata.
Tornando alla sentenza della Cassazione in relazione al Caso Renault dobbiamo dire che questa mira a conferire al
giudice il potere-dovere di contemperare i diritti e gli interessi delle parti in causa in una prospettiva di equilibrio dei
comportamenti economici. Il collegio pone l’accento sulle circostanze che gli obblighi riconducibili alla buona fede
oggettiva riguardano in particolar modo l’esecuzione del rapporto contrattuale oltre che la sua nascita: la buona fede

1
deve presiedere l’esecuzione del contratto, la formazione nonché le fasi precedenti, in altre parole ogni singolo fase del
contratto e nel caso di specie la casa automobilistica Renault Italia si è avvalsa di un diritto di recesso ad nutum della
concessione per perseguire uno scopo del tutto estraneo al contratto che era quello della riduzione del personale a costo
zero.
Dalla sentenza della Suprema Corte, inoltre, deduciamo che anche il recesso ad nutum è suscettibile di controllo
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ÈÉÌÈ
causale, ma non solo: la differenza tra recesso ad nutum e recesso per giusta causa è di ordine processuale. Sul
recedente per giusta causa incombe l’onere di provare le ragioni del recesso, mentre in caso di recesso ad nutum
l’onere della prova incombe sull’altro contraente, ossia su colui che impugna l’atto di recesso, inoltre esso è arbitrario,
determinato cioè da ragioni estranee alla causa della concessione di vendita e riconducibili a tutt’altri interessi del
concedente.

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Detto ciò è bene sottolineare che il controllo del giudice sugli atti di autonomia privata non può mai essere arbitrario,
bensì deve tendere al ragionevole riequilibrio degli interessi rilevanti attraverso l’esclusivo riferimento ai principi ed ai
valori costituzionali.

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Come abbiamo già introdotto, la società in accomandita semplice (S.a.s.) è una forma societaria appartenente alla classe delle società di persone, contraddistinta dalla presenza di due categorie di soci: gli accomandatari, cui spetta
l’amministrazione societaria, e gli accomandanti. La sua ragione sociale dovrà contenere il nome di almeno uno dei soci accomandatari (ovvero, di quelli cui spetta l’amministrazione societaria) e l’indicazione che si tratta di una S.a.s..

29. Valutazione della causa in concreto e superamento del tipo legale


Argomento sentenza = Significato dell’elemento causa
questione: L’amministratore di una società in accomandita semplice cita in giudizio la società per azioni con la quale la
società in accomandita semplice aveva stipulato due contratti di consulenza aventi ad oggetto la valutazione
di progetti industriali e di acquisizione di aziende al fine di ottenere il compenso per lo svolgimento di tali
prestazioni. La convenuta società per azioni, nel costituirsi in giudizio, però, eccepisce che queste attività
svolte dall’amministratore dovevano reputarsi assorbite nei compiti a lui già spettanti in virtù della titolarità
di cariche sociali ricoperte nei consigli di amministrazione di società collegate con la convenuta e questo in
ragione del fatto che l’attore era amministratore anche di una società collegata alla s.p.a. convenuta e che la
s.a.s. non aveva svolta nessuna attività essendo un mero schermo societario creato fittiziamente al fine di
eludere norme fiscali e contributive.
La domanda attoriale in primo e secondo grado viene rigettata ed il contratto di consulenza dichiarato nullo

pigiatoi
per difetto di causa. L’amministratore impugna la dichiarazione di nullità e si rivolge alla Cassazione
ritenendo che il contratto non può essere ritenuto nullo per difetto di causa in quanto il contratto corrisponde
allo schema legale previsto in caso di contratto d’opera. La Suprema Corte disattendendo i motivi
dell’impugnazione conferma la pronuncia di nullità per mancanza di causa in quanto constatato che il
contratto di consulenza tra le due società aveva ad oggetto le medesime prestazione svolte dall’amministrato

Cassazione nelle società collegate alla convenuta e dunque chiarisce che seppur riconducibile ad un tipo legale il
contratto è privo di causa in quanto diretto ad assicurare prestazioni già dovute sebbene a diverso titolo.
Nella sostanza la sentenza della Cassazione vuole ribadire che la causa non deve essere intesa quale
funzione economico-sociale, ma quale sintesi degli effetti che con il contratto si vogliono realizzare.

La sentenza della Cassazione vuole cercare di mettere chiarezza intorno alla nozione di causa in quanto molteplici sono
state e tuttora sono le difficoltà che tanto in dottrina quanto in giurisprudenza si sono avute in merito alla nozione della
causa del contratto.
Nella sentenza la Suprema Corte ricostruisce storicamente le principali teorie succedutesi proprio intorno al concetto di
causa:

•teoria soggettiva che individua la causa ella somma degli scopi dei contraenti;
•teoria oggettiva che si riferisce allo scopo ultimo e comune che le parti intendono realizzare;
•sino ad arrivare alla previsione codicistica che individuava nel concetto di causa uno strumento utile
al controllo degli schemi regolamentari predisposti dalle parti i quali doveva rispondere alle finalità
dell’utilità sociale
• per poi superarla con la concezione della causa come funzione economico-individuale.
Quest’ultima nozione di causa, che si sottrae ad un’indagine per schemi è condivisa dalla sentenza in esame
che individua nel requisito causale la sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare, la
funzione individuale del singolo specifico contratto posto in essere a prescindere dal relativo schema legale,
è stata condivisa dalla sentenza in esame nella quale al Corte ha posto l’accento tanto sull’aspetto strutturale
del negozio quanto sul regolamento di interessi arrivando anche a sostenere che un contratto tipico che quindi
corrisponde perfettamente ad uno schema legale può rivelarsi privo di causa al punto da essere viziato da
nullità dimostrando anche che la tipicità non può impedire una meticolosa analisi del caso concreto o di
meritevolezza.
Nella sostanza con questa pronuncia del 2006 quello che fa la Corte è affermare che il requisito causale non
è più un mero strumento di verifica della corrispondenza con un modello legale, bensì è un fondamento
ad
giustificativo sul paino funzionale del singolo negozio giuridico. contratto tipico
Fessurazione ignifuga
uno
un

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30. Mercato e contratto: i diritti dei consumatori lesi a comportamenti
anticoncorrenziali
Argomento sentenza = Anti-concorrenzialità
questione: Il caso concerne l’accordo illecito stipulato tra le Compagnie assicuratrici in Italia al fine di aumentare i
RESPONSABILITÀ premi r.c.a. L’intesa delle compagnie, il cartello da queste usato ha determinato sul mercato un indebito
CIVILE DI BASE
aumento dei premi assicurativi, un surplus economico dal quale i singoli consumatori lesi dalla condotta
anticoncorrenziale hanno cominciato a richiedere giudizialmente la restituzione.
Giunti in Cassazione, la Suprema Corte si trova a dover affrontare la tematica del c.d. private enforcement
del diritto della concorrenza, ossia deve stabilire la sorte del contratto di fornitura di un bene o di un
servizio stipulato tra l’impresa e il consumatore a valle di un’intesa anticoncorrenziale avendo come punto
LEGGE ANTITRUST di riferimento l’art. 2, l.n. 287/90 il quale vieta tutte le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per
effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del
mercato nazionale o in una sua parte rilevante.
Dunque, la Corte di Cassazione si domanda se il contratto stipulato a valle di un illecito antitrust debba
ritenersi totalmente nullo e/o dar luogo al risarcimento del danno in favore del consumatore contraente e
nel caso specifico stabilisce che il contratto stipulato dal consumatore a valle risulta nullo e che al
consumatore spetta il risarcimento dei danni derivante dalla violazione di norme antitrust ex art. 2043, c.c.
sull’assunto che il consumatore può proporre direttamente, uti singulus, la relativa azione di danni dinanzi
alla Corte d’Appello funzionalmente competente per territorio.
In sostanza, il giudice di legittimità ha garantito al consumatore la possibilità di invocare a suo vantaggio
le norme interne e comunitarie idonee a garantire la corretta concorrenza del mercato, e ciò sul
presupposto che la legge antitrust è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia un
interesse processualmente rilevante alla conservazione del suo carattere competitivo.

perde"
La decisione introduce, quindi, una novità: il nesso tra mercato e valori della persona e ciò attraverso
un’interpretazione delle norme ordinarie in modo conforme sia alla legalità costituzionale sia a quella
europea e internazionale con particolare riferimento alla corretta concorrenza nel mercato, cosa che non

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avveniva in passato in quanto una lettura eccessivamente letterale e restrittiva della normativa sulla
concorrenza precludeva ai consumatori di esser considerati veri e propri soggetti del mercato in grado di
attuare strategie rimediali finalizzate a conformare in senso solidaristico il regime degli scambi economici.

La sentenza della Corte di Cassazione cui stiamo facendo riferimento segna un indubbio cambio di rotta rispetto al
passato: la Suprema Corte ammette la legittimazione diretta del consumatore ad invocare, a propria tutela, le norme
interne e comunitario\internazionali sulla concorrenza. La Cassazione, in pratica, arriva a riconoscere la concreta <
possibilità per il consumatore, a valle di un’intesa anticoncorrenziale, di ottenere il risarcimento del danno dall’impresa
collusa.
La possibilità dei consociati a far valere suddette norme, in realtà, era già stata preveduta dalla Corte di Giustizia
Europea la quale ha riconosciuto la possibilità, per qualsiasi soggetto leso dalla violazione delle norme antitrust, di
domandare alle Corti nazionali il risarcimento del danno e questo sulla base del fatto che la legge antitrust interna non
ignora l’interesse del consumatore.
A prescindere da quanto detto, la questione che si trova a dover affrontare la Suprema Corte è quello di stabilire la sorte
del contratto di assicurazione stipulato tra l’impresa e il consumatore a valle di un’intesa anticoncorrenziale avendo
come punto di riferimento l’art. 2, l.n. 287/90 il quale vieta tutte le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per
effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato
nazionale o in una sua parte rilevante. La Corte di Cassazione non solo ritiene il contratto in questione nullo, ma
individua nello stesso un elemento costitutivo della responsabilità per fatto illecito ex art. 2043, c.c. e quindi riconosce
anche un risarcimento del danno in favore dei consumatori lesi.
Alla luce di tutto ciò emerge che la l.n. 287/90 deve essere interpretata alla luce sia delle norme costituzionali sia delle
norme comunitarie, al fine di cogliere la diretta idoneità di tale stessa legge a tutelare una pluralità di interessi e
pertanto il divieto dei contratti e la regolamentazione del mercato appaiono oggi connessi tra loro, nel senso che la
disciplina del mercato incide sull’autonomia negoziale d’impresa ex art. 41, Cost. e, al contempo, la disciplina del
contratto contribuisce a regolare il mercato medesimo. NEGOZIALE
Europa →Disciplinadelmercato Interpreta
IEIfffositiuffffffff Italia→ DISCIPLINA DELCONTRATOÉÌSCPUNADEL
CONTRATO
31. Nullità relativa e fondamento in chiave funzionale delle prescrizioni di forma STESSO
Argomento sentenza = Nullità relativa; prescrizione di forma

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questione: Un soggetto si rivolge al Tribunale di Catanzaro per chiedere che il suo contratto di locazione sia ricondotto
alle condizioni previste dalla legge. Nella sostanza l’attore deduce di aver condotto in locazione un
immobile sulla scorta di un rapporto di fatto imposto dalla locatrice per ragioni di carattere fiscale.e per
-
assicurarsi la piena disponibilità dell’immobile in caso di vendita e di aver accettato tale formalizzazione
.
del contratto per la necessità di reperire un alloggio per la propria famiglia e perché le sue richieste di
rispetto forma prevista dalla legge sono state tutte disattese.
.
L’attore, inoltre, richiede che la determinazione del canone di locazione rientri nel massimo definito dalla
disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo del 1998.
I locatori resistono in giudizio chiedendo, invece, che sia accertata la nullità assoluta ed insanabile
dell’accordo verbale intercorso con il ricorrente e la condanna di quest’ultimo al pagamento delle
mensilità arretrate.
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mare
Il Tribunale rileva che la circostanza relativa al rifiuto del locatore di stipulare il contratto per iscritto non
fosse stata dimostrata, risultando piuttosto che la mancata formalizzazione scritto del contratto di
locazione fosse addebitabile esclusivamente al conduttore pertanto rigetta la domanda attorea volta
all’accertamento dell’esistenza del contratto di locazione e alla sua riconduzione a condizioni conformi

→ alla legge, dichiarando, piuttosto, semplicemente nullo il medesimo contratto per difetto di forma scritta.
Dunque, il giudice condanna l’attore a rilasciare l’immobile locato e riconosce il diritto dei locatori di
conseguire dalla controparte un indennizzo per arricchimento senza giusta causa.

La decisione in commento si inserisce in un orientamento dottrinale e giurisprudenziale sempre più consistente: la


scelta tra legittimazione assoluta (cioè il potere di agire riconosciuto a chiunque ne abbia interesse) e legittimazione
relativa (cioè il potere di agire attribuito esclusivamente ad alcuni soggetti individuati) in sede di nullità di protezione
le quali sono nullità parziali nonché relative. Nel caso di specie, si assiste proprio ad una legittimazione assoluta la
quale giustifica l’applicazione della regola in modo da far valere la nullità in capo a chi vi abbia un interesse meritevole
di tutela e nel caso di specie, in capo al locatore e di fatti viene accolta la domanda di quest’ultimo.

È questo il punto centrale della pronuncia: nonostante la legittimazione dell’azione di nullità debba ritenersi in linea
generale relativa e quindi sussistere in capo al conduttore che abbia subito un abuso, in questo specifico caso sarà
rilevabile anche dal locatore, portatore di un interesse meritevole a far valere l’invalidità del negozio.

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32. Funzione previdenziale del contratto di assicurazione sulla vita
Argomento sentenza = Assicurazione sulla vita

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questione: La vicenda affrontata dalla sentenza trae origine da un ricorso per Cassazione proposto dal curatore del
fallimento avverso la decisione della Corte di Appello di Napoli che aveva rigettato la domanda di
condanna, nei confronti di una compagnia di assicurazione, al pagamento di una somma a titolo di valore
di riscatto di una polizza vita della quale era beneficiario un socio fallito.
La normativa di riferimento è rappresentata dall’art. 1923, c.c. e dall’art. 46, r.d.n 267/1942.
La pronuncia conferma la sentenza di merito, accedendo ad un’interpretazione ampia dell’art. 1923, c.c.,
tesa ad ammettere, anche in presenza di fallimento dell’assicurato, la persistenza del divieto di azioni
esecutive e cautelari per i suoi crediti. Ciò al fine di privilegiare non le ragioni dei creditori ma quelle
i:S
previdenziali dell’assicuratore-fallito.
Tali somme non sono pignorabili né rientrano tra i beni compresi nell’attivo fallimentare poiché il rapporto
assicurativo adempie una funzione previdenziale non circoscritta alle somme corrisposte a titolo di
risarcimento ma concernente anche quelle derivanti dall’esercizio del diritto di riscatto.

La sentenza pone fine al contrasto giurisprudenziale riguardante la corretta interpretazione del combinato disposto delle
norme dettate dagli artt. 1923 e 46, c.c. in base al quale le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al
beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva e vanno esclusive all’attivo fallimentare.

La pronuncia esclude, in presenza di fallimento dell’assicurato, la legittimazione del curatore fallimentare all’esercizio
dell’azione di riscatto della polizza assicurativa. Ciò in considerazione dell’importante funzione svolta dal contratto di
assicurazione sulla vita.
Il merito della pronuncia si individua negli argomenti utilizzati nell’iter motivazionale. Per la prima volta, infatti,
l’estraneità al fallimento delle somme derivanti dall’esercizio del diritto di riscatto è giustificata facendo ricorso al
metodo dell’interpretazione costituzionalmente orientata, quale procedimento ermeneutico applicativo dei principi
costituzionali.
Infatti, nel prospettare un’interpretazione conforme a costituzione dell’art. 1923, c.c. e del valore della previdenza, la
pronuncia delinea una lettura disancorata dal tenore letterale dell’articolo menzionato e conforme ai principi
costituzionali che tutelano il risparmio e la previdenza (si pensi all’art 47, co. 1, Cost. che incoraggia e tutela il
risparmio in tutte le sue forme, e all’art. 38, Cost., che tutela l’assistenza e la previdenza realizzata dalle assicurazioni
sociali).
La sentenza si rivela incapace di prendere atto del progressivo configurarsi di prodotti assicurativi con carattere
finanziatorio: questi ultimi, considerati nel loro concreto assetto di interessi, non rispondono alle ragioni di tutela
previdenziale poste a fondamento della soluzione affermata dalla pronuncia in esame, orientata a negare l’acquisizione
all’attivo fallimentare delle somme cui avrebbe diritto l’assicurato-fallito.

ATEE
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33. Art 9, l.n. 192/98 oltre la subfornitura industriale
Argomento sentenza = Interpretazione estensiva art. 9, l.n. 192/98
questione i: Il Tribunale di Trieste è chiamato ad interpretare un contratto intercorso tra una società fornitrice di servizi
di telefonia e chi rende servizi di call-center. Nel regolamento in questione è inserita la pattuizione che
impone alla ditta di call-center, nel caso voglia effettuare un trasloco o spostamento di impianto, di
rivolgersi solo alla società fornitrice accettandone i costi senza alcuna possibilità di contrattare gli stessi

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e di verificarne la relativa congruità.
Sulla base dell’art. 9, l.n. 192/98 il giudice ritiene abusiva della dipendenza economica la situazione
nella quale si trova ad esser assoggettata la società subfornitrice considerando condizioni contrattuali
no ingiustificatamente gravose o discriminatorie quelle imposte dalla compagnia telefonica dato che il
ricorrente non ha altra scelta se non quella di accettare qualsiasi prezzo gli venga richiesto dal fornitore
del servizio. L’imposizione del fornitore di accettare pienamente e preventivamente le condizioni della
fornitura, e solo dopo vedere eseguito l’allacciamento, fa sì che il contraente avrà grandi difficoltà in
fatto ed in diritto per chiedere una nuova determinazione del prezzo e ciò quindi porta il Tribunale in
questione a considerare le pattuizioni contrarie alla l.n. 192/98 e dunque ordina in via cautelare alla
fornitrice di effettuare immediatamente gli interventi occorrenti per il trasloco, fatti salvi in ogni caso il
diritto di quest’ultima ad ottenere il compenso nei tempi previsti da contratto e quello del cliente a
sindacarne eventualmente la congruità in un successivo giudizio di merito.

questione ii: Il tribunale di Isernia è chiamato a decidere in merito ad un contratto di franchising (contratto di
affiliazione commerciale) e più nello specifico oggetto di giudizio è la condotta tenuta dall’impresa
affiliante nei confronti della piccola ditta affiliata consistente in uno sviamento della clientela
dell’affiliato, ossia nel proporre ai clienti più importanti dell’affiliato sconti inaccessibili per lo stesso,
essendo questi vincolato dai prezzi imposti per contratto dall’impresa affiliante.
Se
Il giudice osserva che in applicazione del criterio interpretativo della buona fede deve escludersi che una stess
clausola del contratto di franchising possa essere interpretata nel senso di consentire all’affiliante di
o
danneggiare impunemente l’affiliato, eliminandolo dal mercato, ovvero in modo tale da negare la radice
stessa della causa di collaborazione sottesa al franchising e nel sanzionare la condotta dell’affiliante
sottolinea che l’art 9, l.n. 192/98, attraverso lo strumento dell’analogia, può esser applicato anche oltre i
confini del contratto di subfornitura.

Tanto il Tribunale di Trieste, quanto il Tribunale di Isernia sanzionano le condotte allegate nel processo per abuso di
dipendenza economica ex art. 9 l.n. 192/98 e giungono a tale conclusione interpretando in maniera estensiva di
suddetto articolo. Nella sostanza entrambe le sentenze concludono che, sebbene inserito nella legge sul contratto di
subfornitura industriale, il divieto di abuso di dipendenza economica appartiene alla disciplina generale del contratto in
quanto pone un limite di fondo all’autonomia privata ed in quanto rappresenta una possibile manifestazione del
principio della buona fede nelle relazioni tra imprenditori –concetto che viene inteso in senso oggettivo quale
correttezza e fondamentale regola di condotta–.
Più nello specifico, le pronunce hanno il merito di considerare l’art. 9, l.n. 192/98 una norma di portata generale tale da
apprestare tutela alla posizione di debolezza contrattuale derivante dall’abuso perpetrato da un’impresa nei confronti di
un’altra. Ciò su cui tuttavia si dibatte sono i rimedi attivabili in caso di configurazione delle condotte di abuso testé
descritte:

i.
• primo rimedio: rimedio risarcitorio che viene valutato in ragione dell’interesse negativo a non
entrare in conflitto con l’impresa dominante;
• secondo rimedio: nullità del patto con il quale si realizza l’abuso, con ciò intendendosi nullità
necessariamente parziale e, quindi, rimedio di protezione azionabile da parte
del solo contraente debole.
Alla base delle decisioni cui stiamo facendo riferimento vi sono:

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• l’art. 3, Cost.: sarebbe irragionevole tutelare l’imprenditore debole solo se è subfornitore;
• l’art. 41, Cost.: l’esercizio delle attività economiche, in ogni caso, non può avvenire in
contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà, alla dignità umana e deve essere coordinato a fini sociali.
A confermare l’interpretazione estensiva dell’art. 9, l.n. 192/98 è intervenuta nel 2009 una sentenza della Cassazione ai
sensi della tale articolo, in determinate situazioni opera anche in tutela del consumatore debole che può lamentare un
abuso economico.

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Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile

Premessa
Il legislatore non definisce la ragionevolezza estranea alla tradizione, ma vuole far
capire come l’utilizzo di tale espressione sia ricorrente nelle decisioni
giurisprudenziali, negli articoli della dottrina e nel linguaggio del legislatore. Al
riguardo, Traiano, sottolinea che la ragionevolezza solo di recente ha occupato uno
spazio ufficiale nella riflessione del giurista. La nozione di ragionevolezza è al centro
della carta dei diritti fondamentali dell’Unione e ha una folta presenza in testi normativi
europei, nei progetti del codice civile europeo. Su questo tema, Grossi contempla la
ragionevolezza tra gli strumenti di integrazione del contratto distinguendola
esplicitamente dalla buona fede: qualora le parti di un contratto non siano accordate su
una clausola del contratto che sia importante per la determinazione dei diritti e degli
obblighi, si intende inserita una clausola adeguata alle circostanze. Nel determinare
quale sia la clausola adeguata, si deve aver riguardato:
• L’intenzione delle parti;
• Natura e scopo del contratto;
• Buona fede;
• Ragionevolezza;

2. La ragionevolezza nell’ambito giuridico e le sue molteplici accezioni. Insufficienza


della prospettiva orientata a individuare nella ragionevolezza un criterio di misura
flessibile, idoneo ad adattare la lettera di una disposizione legislativa alle circostanze
del caso concreto.
La ragionevolezza in dottrina e in giurisprudenza, è spesso confusa con i concetti di
proporzionalità, buona fede, diligenza ed equità. A tal riguardo, Traiano nel diritto dei
contratti, sovrappone la ragionevolezza ora alla buona fede, ora alla diligenza, ora
all’equità. Non si riesce ad attribuire a questa un ruolo che non sia di sovrapposizione
o sostituzioni alle nozioni più note della tradizione giuridica continentale. Ad esempio
l’apposizione di una clausola vessatoria altera in modo irragionevole la distribuzione
dei vantaggi e degli svantaggi derivanti dal contratto. A riguardo Polidori differenzia
l’equità dalla ragionevolezza sostenendo che l’equità va a valutare il c.d. equilibrio
economico mentre la ragionevolezza è l’ equilibrio normativo dell’operazione. Da qui
il pensiero poi discusso che la ragionevolezza a differenza dell’equità, copre sia il piano
dell’equilibrio economico, sia quello dell’equilibrio normativo del contratto. Si
afferma altresì che i provvedimenti della P.A, devono essere adottati con
ragionevolezza, ossia con forme e modalità tali da arrecare il minor sacrificio possibile
1

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a parità di risultati ottenibili per riferirsi alla proporzionalità tra l’interesse perseguito
e il rimedio utilizzato. E’ la stessa giurisprudenza europea a stabilire che qualora si
presenti o sia possibile una scelta fra più appropriate, si deve ricorrere alla meno
restrittiva e gli inconvenienti causati devono essere sproporzionati rispetto agli scopi
perseguiti. Altre volte invece si legge che l’utilizzo distorto e irragionevole di una

È
situazione soggettiva configura un abuso. In tal caso, la ragionevolezza sembra
sovrapporsi all’abuso del diritto. Ad esempio, si consideri l’abuso della libertà di
informazione, intesa sia nel senso di diritto ad informare sia ad essere informati. Se
l’abuso consiste nella lesione di altri interessi tutelati dall’ordinamento giuridico come
ad ex il diritto alla privacy, il divieto di abuso della libertà di informazione finisce per
identificarsi nel divieto di un uso irragionevole di tale libertà. Infatti, secondo la
giurisprudenza si ha abuso della libertà di informazione quando l’esercizio della libertà
incide in maniera irragionevole e sproporzionata su altri beni o interessi tutelati
dall’ordinamento come ad ex l’onere, la reputazione, la riservatezza, la tutela dei
minori ecc. La corte costituzionale nella sentenza n. 341/1994, ha affermato che
l’equilibrato bilanciamento degli interessi tutelati non comprime il diritto alla libertà
di manifestare le proprie opinioni ma ne vieta solo l’esercizio anomalo, cioè l’abuso
che viene ad esistenza qualora risultano lesi altri valori. Va ancora precisato che il
comportamento contrario a buona fede configura un esercizio irragionevole del proprio
diritto perché insensibile agli interessi della controparte.
L’interpretazione secondo buona fede, non è altro che l’interpretazione ragionevole,
attenta a considerare l’affidamento di una parte nella dichiarazione e comportamenti di

già
un'altra. Ricci afferma che in giurisprudenza si è osservato che la buona fede è
strumento che opera sul piano delle scelte discrezionali dei contraenti, assicurando che
l’esecuzione del contratto avvenga in armonia. Di recente, la corte europea dei diritti
dell’uomo ha affermato che l’indennizzo, nel caso di espropriazione, deve essere
ragionevole e tale da bilanciare l’interesse generale della collettività con l’interesse
n'
È
proprietario (conforme agli artt. 3 e 24 cost). In questa ipotesi la ragionevolezza sembra
sovrapporsi all’equità. Si deve quindi bilanciare quello che è l’interesse della
collettività e l’interesse proprietario. Infatti, l’accertamento del giusto equilibrio viene
subordinato dalla corte europea a una serie di criteri tra i quali:
1. Una ragionevole proporzionalità tra i mezzi impegnati e gli scopi perseguiti;
2. Indennizzo a vantaggio del proprietario espropriato e il cui indennizzo sia
proporzionale al valore del bene;
3. L’interessato espone le proprie contestazioni alla pubblica autorità.
Breccia attribuisce alla ragionevolezza una funzione integrativa del contratto
sovrapponendola ora alla clausola di buona fede ora a quella di equità. Infatti, con il
2

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termine ragionevole e ragionevolezza, si richiama l’interprete ora ad un’esigenza di
equità, di correttezza, di giustizia, ad una istanza di adeguatezza riferita al tempo, ad
1 un prezzo, ad una spesa, ad un piano economico e finanziario come ad ex l’art 41 e 47
della carta dei diritti fondamentali dell’UE, ma anche di ponderatezza, buon senso,
probabilità o prevedibilità del fatto. Altre volte poi, la ragionevolezza, è intesa nel
senso di opportunità del finanziamento dei soci o di “logica conseguenza “a un caso. 2
Si è osservato infatti nella direttiva 86 / 653 che il termine ragionevolezza contenuto
nel D.lg. del 1991 n. 303, prevede il diritto dell’agente ad un’indennità per caso di
recesso, in norma del quale l’indennità non è dovuta quando l’agente recede dal
contratto, a meno che il recesso non sia giustificato da una delle parti, come ad esempio
età, malattia, infermità ove non può essere richiesto la prosecuzione dell’attività. Il
termine ragionevole ha quindi una pluralità di significati ma un dato sembra comune:
il legislatore con la ragionevolezza tende a introdurre un criterio di misura flessibile

è
capace di tenere conto delle circostanze del caso concreto. Si pensi ad esempio alla
ragionevole durata del processo ex art 111 co 2 Cost, ove il giudice comune , al fine di
coniugare e contrapporre due esigenze contrapposte ( da un lato effettività e celerità,
dall’altro giustizia e ponderazione), deve fuggire dai canoni fissi e immutabili per porre
l’attenzione sulle caratteristiche della singola causa quindi complessità del caso,
comportamento delle parti etc. Diciamo che però adattare la norma alla peculiarità del
caso concreto non soddisfa la giustizia perché la ragionevolezza è un criterio di
argomentazione che opera a prescindere da un espresso richiamo del legislatore ma
anche perché esaurire la ragionevolezza in un criterio per adeguare la lettera della
_

disposizione alle circostanze del caso concreto, non aiuta a individuare le direttive e i
limiti per evitare l’affermazione di un diritto libero e non rispettoso del principio di


.IE#uEnaqnj ser a hmsane ea/-E -
legalità. Il controllo di ragionevolezza infatti, non deve essere uno strumento per
autorizzare la fuga dal diritto positivo, ma deve essere un mezzo per trasformare la
giurisprudenza in scienza argomentativa.

3.Relatività, storicità del significato di ragionevolezza e necessità di individuarne


l’identità alla luce del sistema giuridico vigente e degli interessi e valori normativi
coinvolti nel caso concreto. Dalla pluralità di accezioni e significati a criterio
ermeneutico, pur storico-relativo ma dotato di unitarietà alla luce del principio di
legalità.
La ragionevolezza assume una sua identità, una sua struttura, una sua portata
univoca. La ragionevolezza come ogni clausola generale, è un concetto relativo che
3

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¥ assume un suo significato a seconda dell’ordinamento giuridico nel quale opera,

83 composto da propri valori e proprie ideologie. Pensiamo ad esempio alla buona


fede. Questa era vista all’epoca dei romani, è prevista nel BGB ed era anche prevista ¥!!:# ⇐

33
nel periodo nazista, è prevista nel codice civile italiano del 42, ma adotta significati
diversi in base all’ordinamento in cui si trova. Busnelli infatti, definisce la buona

aI
è}
fede una norma-ponte per il raccordo e rileva che la solidarietà non è quella prevista
.
nel 1175 cc, ma oggi si identifica nell’art, 2 della Cost., ovvero nella solidarietà
social. La corte costituzionale nella sentenza del luglio 2004 n. 206 ha riferito che i
fondamenti delle clausole generali non vanno rintracciati in altre clausole generali
8 di pari livello, giacché si finirebbe in un circolo vizioso. Ogni clausola generale ad
esempio quella di buona fede riferibile all’interpretazione dei contratti (art, 1366
cc), contribuisce alla valutazione del regolamento contrattuale alla stregua dei
¥ principi fondamentali dell’ordinamento giuridico. Al mutare dei valori normativi,
al mutare delle regole e del sistema di riferimento, muterà anche il criterio di
È ragionevolezza, ossia ciò che per quel determinato sistema risulta o no ragionevole.

E
Basti pensare quanto incide sulle decisioni giuridiche se la singola legge sia inserita
in un sistema individualistico (basato sulla proprietà privata), collettivistico
(fondato sulla proprietà collettiva), oppure in un sistema come il nostro che
riconosce la proprietà privata, tutela la libertà d’impresa, ma al contempo si fonda
sull’utilità sociale, sulla dignità umana e sul personalismo e solidarismo (art 41
Cost). Questa consapevolezza porta a due conseguenze. In primo luogo non è
sufficiente, né esaustivo, affermare che la ragionevolezza attiene ai criteri di
correttezza del ragionamento pratico, e a un’argomentazione condotta in funzione
attuativo-applicativa, misurandosi sempre con l’esperienza pratica, il buon senso
comune si che ragionevole diventa sinonimo di ponderatezza, equilibrio ma anche
giustizia. Infatti il significato di ragionevolezza va individuato tra le norme interne
al sistema e non al di fuori di esso. La ragionevolezza quindi contribuisce nel

i .È
momento applicativo a trovare la soluzione più conforme ai principi, ai valori
normativi. In questo modo la ragione giuridica è sempre conforme all’ordinamento.
Chi dice che la ragionevolezza è nella prassi è sbagliato perché vuol dire che il
: diritto è statico. La ragionevolezza non è una mera virtù dell’uomo, ispirata solo ai

p
valori giusnaturalistici dell’equilibrio o del giusto mezzo secondo quella che è la
prospettiva aristotelica, ma è vero anche che la ragionevolezza non attribuisce
all’interprete una delega in bianco. E’ un criterio che nel rispetto del principio di
legalità contribuisce a individuare nel momento applicativo la soluzione più di tutte
conforme non solo alla lettera della legge, ma anche alla logica complessiva del
sistema e dei suoi valori normativi in modo da evitare abusi dell’interprete e a far
si che la ragione giuridica della decisione sia sempre definibile, prevedibile e
4

agape
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La considerazione dell’ordine naturale delle cose non può essere lasciata alla disponibilità personale
dell’interprete ma neanche può essere contraria all’ordinamento.

:&
conforme all’ordine giuridico. Di conseguenza la considerazione dell’ordine
naturale delle cose non deve mai decadere nella libertà sociale dell’interprete, né
essere contraria all’assiologia ordinamentale. Al riguardo una sentenza della corte

÷
di Cassazione n.24471 del 2014 ha ritenuto viziata da motivazione contraddittoria
la decisione della corte d’appello di Venezia n.1954 del 2011, che ha negato il diritto
al risarcimento del danno economico consistito nella perdita di lavoro domestico ad
api un soggetto maschile sul presupposto che non rientra nell’ordine naturale delle cose,

:
che il lavoro domestico venga svolto da un uomo. Secondo la suprema corte,
esistono due ragioni di illogicità:
• la prima ragione non logica è che l’ordine naturale delle cose non viene
stabilito da madre natura, soprattutto se ci si riferisce alle incombenze
domestiche tra i coniugi. Tale riparto è ovviamente frutto di scelte soggettive
e di costumi sociali.
• La seconda ragione consiste nel fatto che l’affermazione è contraria al
principio giuridico di parità e pari contribuzione dei coniugi ai bisogni della
famiglia (art. 143 co 1-3 c.c. diritti e doveri reciproci dei coniugi) ; ( art.3
Cost. principio di uguaglianza).
3 • La terza ragione invece, consiste nel fatto che secondo l’id quod plerumque
accidit (ciò che accade di solito) qualunque persona non può fare a meno di
occuparsi di una parte del lavoro domestico.
Quindi è fondamentale partire dai principi (rocce e pietre su cui costruire gli edifici),
infatti la ragionevolezza è bisognosa di integrazione normativa, non è mai un
concetto immutabile, astorico, ma si evolve con il sistema. La storia si evolve e con
essa i sistemi giuridici e i valori-giuda dei quali la ragionevolezza è una sintesi del

neÈ
momento applicativo. Basti pensare all’art.1052c.c in riferimento alla servitù
coattiva, il quale aveva una sua ragionevolezza nel sistema del 1942. Viceversa, con
* l’avvento della costituzione del 1948 e di un sistema che tutela gli interessi

ÈEÉ
patrimoniali compatibilmente con quelli non patrimoniali, l’art. 1052 ( che prevede
che il giudice possa costituire una servitù coattiva solo se la domanda risponde alle
esigenze dell’agricoltura o delle industrie) non poteva non essere sottoposto ad

EÈE un’interpretazione adeguatrice anche da parte del giudice comune, in modo da


consentire la costituzione di una servitù coattiva anche per l’attuazione degli
b- interessi non patrimoniali, come il passaggio di un disabile. Questo perché la
ragione che giustifica la costituzione di servitù a favore del fondo non intercluso
non può esaurirsi nelle mere esigenze produttive dell’agricoltura e dell’industria e
non può non estendersi alle esigenze abitative definite dal principio fondamentale
del pieno e libero sviluppo della persona ( art.2 Cost).
5


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Art 1052 c.c co.2: “il passaggio può essere concesso dall’autorità giudiziaria SOLO
QUANDO riconosce che la domanda risponde alle esigenze dell’agricoltura e
dell’industria.”
Possiamo precisare che in mancanza dell’espressione” solo quando”, non ci sarebbe
stato bisogno dell’intervento della corte costituzionale perché alla soluzione ci
sarebbe potuto arrivare il giudice comune con un’interpretazione sistematica e
assiologica. La Corte di cassazione, nella sentenza del 2012 n. 18334, sostiene che
l’interpretazione assiologica anche quando non se ne è avuta la consapevolezza c’è
sempre stata. Ricordiamo che ogni epoca ha i suoi valori, e ogni ordinamento
giuridico ne è impegnato (il codice civile del 1865 che poneva al centro la proprietà
fondiaria, o il codice del 1942 il quale al centro pone il lavoro, le imprese ecc., o
ancora la carta costituzionale che riconosce e garantisce il primato dei diritti
dell’uomo).
Inoltre, Carraro, sostiene che diritto e morale operano su piani diversi ma non
contrapposti, non tutto il dover essere morale o razionale si configura dover-essere

IEÈÈ
giuridico, anche se il dover essere giuridico di oggi è il dover essere morale o
razionale di ieri. L’argomentazione giuridica è importante, ma ancor più importante
sono i fondamenti. Per cui possiamo ritenere che il “sonno della ragione” non è mai
causato dai principi perché ragione e principi non sono in contrasto, ma è sempre
imputabile all’uomo, alle sue incapacità o assenza di sensibilità. La sensibilità


-

dell’interprete è un dato imprescindibile dell’attività ermeneutica, si è spesso


rilevato che, il livello del diritto di un paese non si evince dalle leggi che spesso
possono anche rimanere inattuate, ma dal livello culturale dei giuristi, degli

sei operatori del diritto.


Va detto che, a livello europeo, nonostante le affinità giuridiche di alcuni Paesi
(Francia, Italia, Germania), si è assunta la consapevolezza della necessità di
rispettare le diverse identità nazionali, dato che le differenze tra i vari Paesi, non
sono solo di ordine tecnico, ma anche di valori e principi.
Infatti nei Trattati europei si parla di “unità nella diversità” e lo stesso art.6, co.3,
del TUE considera le norme della CEDU come principi generali dell’Unione solo
se conformi alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, come complesso di
valori capaci di costituire, cioè di fondare e nel tempo stesso di stabilizzare
un’esperienza giuridica.
L’Europa è una ma diversa e, tale diversità culturale è da conservare, salvo che non
sia da ostacolo al perseguimento delle finalità generali dell’Unione. Si pensi alla
differenza tra il notariato latino, votato al controllo di legalità, e quello
angloamericano, votato alla mera certificazione. La conservazione della funzione
di controllo di legalità degli atti da parte del notariato latino, non è da ostacolo alle
6

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finalità generali dell’Unione ma, è più rispondente alla tradizione storica e culturale
italiana e all’interesse generale alla stabilità dei mercati e alla certezza dei traffici e
dei rapporti giuridici. Da qui la condivisibile osservazione secondo la quale la pace
e la giustizia fra le Nazioni (art.11 cost.) è per sistema obbligato a recedere davanti
a qualunque altro principio fondamentale si trovi ad essere urtato dalla normativa
sovranazionale.
In questa prospettiva il controllo della discrezionalità del legislatore ordinario,
operato dalla Corte Cost., non è e non deve essere metodologicamente diverso dal
controllo della discrezionalità del giudice. Legislatore e giudice devono adeguare,
nel rispetto del principio di legalità, le loro soluzioni alla gerarchia dei principi e
dei valori normativi, i quali non sono fuori dal sistema e possono trovare
applicazione in via diretta (infatti l’art. 1374 prevede che per “legge” si deve
intendere qualsiasi disposizione in funzione normativa , stabilmente e
istituzionalmente vigente nell’ordinamento da qualsiasi fonte provenga e di
qualsiasi livello questa sia) senza la necessaria intermediazione di una regola.

sei
Si pensi che una sentenza della Cassazione n° 14343 del 2009, confermando il
superamento del c.d. principio di non interferenza tra regole di validità e di
comportamento, ha previsto la nullità di una clausola del contratto di locazione che
prevedeva un divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo
familiare anagrafico. La clausola è stata considerata nulla perché in contrasto con il
dovere di solidarietà (art.2 cost.) che si può manifestare attraverso l’ospitalità per
li venire incontro alle altrui difficoltà. Si trattava di una clausola lesiva non soltanto
del rapporto di amicizia, ma idonea a creare una disparità di trattamento
irragionevole (art.3 cost.) tra la famiglia fondata sul matrimonio e la convivenza di
fatto, tanto eterosessuali quanto omosessuali.
Quindi, per rendere nullo in contratto, non è necessario violare solo una norma del
codice civile; ma il contratto può essere dichiarato nullo anche se direttamente viola
i principi costituzionali.
Anche la scelta del rimedio deve essere fatta con ragionevolezza.

rii
Si pensi al Tribunale Supremo spagnolo, che di recente ha statuito la nullità di un
contratto preliminare di lavoro sportivo sproporzionato concluso dai rappresentanti
legali di un minore per contrasto con il principio di tutela della personalità umana e
della libertà di scegliere il proprio futuro professionale.
Si descrive il caso di un precontratto di lavoro concluso dai genitori di un atleta
minore di età con la squadra del Barcellona, nel quale le parti avevano differito
l’obbligo di stipulazione del definitivo al compimento della maggiore età. Tuttavia,
compiuti i 18 anni, il giocatore si vincola con un altro club, nei confronti del quale

--TE
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la parte non inadempiente avanzava la pretesa di pagamento della penale
convenzionalmente stabilita.
Il Tribunale Supremo tenendo conto della sproporzione della penale, decide per la
nullità del contratto, poiché alle condizioni stabilite, il preliminare avrebbe
compromesso gravemente il futuro professionale del giocatore, impedendogli di
assumere un’autonoma e libera decisione (art. 1, 2, 4, 35 cost. italiana) e
impedendogli di valutare e scegliere diverse prospettive di vita. In Spagna non esiste
infatti l’art. 1384 c.c. “riduzione della penale”: La penale può essere diminuita
equamente dal giudice, se l'obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero
se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo
all'interesse che il creditore aveva all'adempimento.
Giova chiarire che occorre applicare il criterio della ragionevolezza anche nella

G
scelta del rimedio.
Nel caso di specie si tratta non tanto di un’ipotesi di nullità del preliminare, o della
clausola penale sproporzionata, ma di un’eventuale riduzione ad equità della penale.
Con la riconduzione ad equità si tutelano tutti gli interessi coinvolti:
a. Interesse dell’atleta a scegliere tra diverse prospettive di vita;
b. Interesse della squadra di origine, la quale con la mera riduzione della penale
sarà in ogni caso risarcita adeguatamente dei costi di formazione dell’atleta;
c. Interesse della nuova squadra acquirente a pagare una penale congrua al fine
di evitare un ingiustificato arricchimento.
La riconduzione ad equità bilancia con ragionevolezza tutti gli interessi coinvolti. Il
controllo della liceità non può mai prescindere dalla valutazione del caso concreto.
Uberto Scarpelli osservava che è la considerazione teleologica a portarci nel cuore del
positivismo giuridico, a farcene afferrare l’unità: unità nella direzione, nelle intenzioni
dominanti, nei valori-guida, i quali, sono i soli capaci di costituire, di fondare
un’esperienza giuridica e hanno funzione di orientamento anche per l’interprete
comune. Va sottolineato che, non solo la scienza giuridica non si fonda esclusivamente
sulla logica, ma, l’art. 54 co.1 cost., statuisce che “tutti i cittadini hanno il dovere di
essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi”, e, l’art. 18 disp.
Trans. Fin. Cost. recita che “la Costituzione, munita del sigillo di Stato sarà inserita
nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica da tutti i cittadini e
dagli organi dello Stato.”
Anche i più restii verso il controllo diffuso di legittimità dovrebbero cedere, secondo
il brocardo in claris non fit interpretatio, di fronte a disposizioni così chiare e rigorose
che impongono anche al giudice comune di svolgere costantemente, nel momento della

ÈÈ
decisione, un triplice ma unitario controllo di conformità della soluzione:
8

Afa
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§ 1. Al profilo costituzionale
2. Profilo europeo

È 3. Profilo internazionale
Ciò porta al superamento e all’abrogazione tacita dell’art. 12 disp. Prel. c.c. e della c.d.
interpretazione per gradi.

È In quest'ottica la certezza del diritto non dipende dalla ripetibilità e dalla perpetuità
della soluzione bensì, dalla prevedibilità, della controllabilità o se si preferisce dalla
calcolabilità della decisione, alla luce non tanto della fattispecie la quale, pure se
prefissata minuziosamente dal legislatore è e sarà sempre incompleta, non esaustiva e
suscettibile di integrazione, ma di un determinato sistema giuridico e dei valori
normativi. Il concetto di certezza del diritto e tra i più abusati ma al contempo tra i più
oscuri e impalpabili della scienza giuridica. La certezza è un obiettivo al quale deve
tendere l'attività del giurista anche in presenza di fattispecie tipiche. Il che esclude
ogni forma di arbitrio dell’interprete. Ogni tecnica e il servizio di un'ideologia occorre
utilizzare le tecniche nel rispetto degli interessi e dei valori di cui sono espressione.
Il giudice comune attraverso le ordinanze di inammissibilità, dovrà sollevare la
questione di costituzionalità solo se il contrasto tra le disposizioni ordinarie e i principi
costituzionali sia assoluto e inammissibile, dunque non risolvibile attraverso
l'interpretazione adeguatrice o con la tecnica del combinato disposto tra le norme
gerarchicamente diverse. Quindi il rapporto tra principi fondamentali e norme ordinarie
non si traduce in una complementarietà tra sistemi singoli e diversi ma si tratta
piuttosto, di una coessenzialità strutturale che si risolve in una completa integrazione:
sì che ogni norma è norma di uno stesso ed unico sistema. La considerazione dei
principi costituzionali come la più alta manifestazione di diritto positivo incide sulla
teoria dell’interpretazione e dell’argomentazione, nonché sul concetto di
ragionevolezza. Infatti, ogni argomentazione logica è coercitiva soltanto nell'ambito
delle premesse stabilite. Se nelle premesse stabilite, come impone il principio di
legalità, non c'è soltanto la disposizione ordinaria ma anche il principio o i principi che
ne sono attuazione, allora la decisione del giudice non è altro che il risultato di un
controllo di ragionevolezza, di congruenza, di adeguatezza della soluzione alla luce del
complesso della normativa del caso concreto.
Nel momento dell'applicazione il giurista crea qualcosa che prima non esisteva, crea
una rappresentazione chiara, evidente, completa, o comunque molto più ricca di prima
di un qualcosa che era presente in modo confuso, non pienamente consapevole, non
sufficientemente organizzato. Il diritto infatti, non è mai un dato ma una continua
creazione della quale è continuo collaboratore l’interprete. Il giudice se ritiene che
una determinata disposizione della Costituzione, oppure una o più disposizioni

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contenute in una specifica legge o in più leggi collegate siano pertinenti alla domanda
che intende risolvere, egli deve citare tali disposizioni e spiegare perché sulla loro base
è legittima sia la specifica domanda sia la specifica risposta alla specifica domanda.
Tuttavia, è raro che il giurista formulata la domanda trovi già scritto nelle leggi la
risposta che alla lettera risponde proprio quella domanda. Il caso più probabile, è che
data la domanda il giurista debba costruire la risposta avvalendosi di molti materiali
che gli trova presenti nell’esperienza giuridica.
Per fare un paragone, il giurista è come un meccanico che, dovendo riparare un
macchinario, si aggira in un enorme magazzino nel quale sono contenuti molti pezzi
diversi, alcuni dei quali già completi e disponibili per concludere l’operazione di

CERTE
riparazione, ma altri pezzi sono da assemblare in modo opportuno dallo stesso
meccanico.
La normativa del caso concreto è sempre il risultato del combinato disposto di principi
e regole. Anche la norma più chiara deve essere sempre sottoposta ad un controllo di
ragionevolezza, ad una valutazione funzionale e assilogica.
Si pensi alla disposizione “è vietato entrare al cinema ai minori di 18 anni”. Se è vero
che la disposizione, al fine di tutelare lo sviluppo della persona (art.2 cost.) e la sua
salute psico-fisica (art.32 cost.) limita la libertà personale dei minorenni, vero è pure
che non è la logica né l’interpretazione letterale a stabilire se un bambino di 10 mesi o
di 2 anni, accompagnato dai propri genitori, possa accedere al cinema nonostante il
chiaro divieto, né è la logica o la lettera a stabilire se ad una donna incinta possa essere
vietata l’entrata nella sala cinematografica. Recenti studi medici hanno confermato che
un feto sin dalla sedicesima settimana di gravidanza può subire condizionamenti
negativi da determinati suoni presenti, ad esempio, nei film horror.
Il controllo di ragionevolezza in una tecnica argomentativa per il bilanciamento dei
principi e interessi in gioco in modo coerente al sistema vigente e a tutti i suoi valori.
Le regole dell’argomentazione giuridica soddisfano l’aspettativa di un esito
ragionevole di un giudizio, non perché più probabili, e quindi, migliori di altre, ma
perché prioritarie rispetto ad altre in un dato ordinamento giuridico storicamente
individuato. La ragionevolezza è sempre il risultato del pluralismo e della gerarchia
delle fonti. Ad esempio: il principio di uguaglianza non può mai operare da solo ma
necessariamente insieme ad altri principi fondamentali, come, ad esempio, la
solidarietà, la democrazia, la salute, la libertà.

4. L’utilità del criterio di ragionevolezza e gli eccessi della razionalità: figure


sintomatiche. Rinvio.

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La ragionevolezza attraversa ogni indagine scientifica al fine di porre rimedio agli
eccessi della razionalità e della logica. I termini razionale e ragionevole assumono
significati diversi.
I termini ragione, razionale e ragionevole derivano etimologicamente dal latino
rationem, che in origine significò “conto, calcolo, rendere conto”. Dal nucleo
semantico si sono sviluppati altri numerosi derivati, come “pensiero preesistente”,
“ragione, causa, fondamento”.
Cartesio, a proposito del sillogismo “cogito ergo sum”, osservava che sebbene il
metodo sia l’unico strumento che permette di condurre in modo adeguato la ricerca del
vero, la logica formale da sola non basta, sia perché i suoi sillogismi servono a spiegare
agli altri le cose che glia si conoscono, sia perché contiene precetti dannosi e superflui,
che costituiscono un impedimento per la ragione.
Quindi, il sillogismo della sussunzione non solo è improduttivo, perché non scopre
nuove verità, ma può anche esimere il giudice dal motivare la decisione, favorendo
conclusioni non giustificate, abusi dell’interprete e incertezze.

IÈÉ
I giuristi da sempre cercano di conciliare le tecniche del ragionamento giuridico con la
giustizia, o per lo meno con l’accettabilità sociale della decisione. Emerge dunque, che
il sillogismo, in particolare quello apodittico o dimostrativo, e la sussunzione,
espressione della razionalità e della logica, sono sempre pericolosi e devono essere
contemperati da un controllo di ragionevolezza, da una valutazione funzionale e
assiologica delle premesse del ragionamento e delle soluzioni alle quali lo stesso
ragionamento conduce. Ciò al fine di assicurare un diritto inteso come giustizia
secondo Costituzione.
Il sillogismo fa credere che la stessa soluzione sia il frutto di una valutazione
esclusivamente logica, dimenticando che alla base c’è un contemperamento di
interessi, una valutazione assiologica e funzionale. Viceversa, quando si deve
individuare una soluzione, il sillogismo e la logica servono meno, perché la risoluzione
dei conflitti dell’uomo richiede una pluralità di premesse in concorso e, una costante
valutazione comparativa degli interessi coinvolti (ciò perché, ogni interesse tutelato è
sempre riconducibile ad uno o più valori, i quali non si possono ignorare perché per
l’uomo sono come il bisogno di nutrirsi).
La scienza giuridica non è meramente dimostrativa. Basti pensare che il sillogismo
Aristotelico “tutti gli uomini sono mortali” (premessa maggiore), “Socrate è un uomo”
(premessa minore); “Socrate è mortale” (soluzione) può portare a conseguenze assurde
o non coerenti ai valori normativi e alla loro gerarchia. Di conseguenza, introdurre nel
sillogismo un elemento infondato o illegittimo può condurre ad una soluzione
infondata, irragionevole o costituzionalmente illegittima è [es: tutti gli uomini sono
polli; Socrate è un uomo; Socrate è un pollo], si pensi a quella giurisprudenza che ha
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Cozza Document shared on www.docsity.com


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sostenuto la trasposizione automatica dei diritti della personalità agli enti sulla base del

È
sillogismo: La persona fisica è soggetto che ha tutela; la persona giuridica è soggetto
ergo, alla persona giuridica si deve applicare la stessa tutela, nonché il diritto al
risarcimento di un eventuale danno non patrimoniale (caso Fiat). Ancora si pensi al
sillogismo che ha condotto parte della dottrina a negare la convalida della nullità di
protezione. Si è rilevato che: il contratto nullo non può essere convalidato se la legge

÷ non dispone diversamente (articolo 1423 codice civile) le nullità di protezione fanno
parte della categoria della nullità; ergo, le nullità di protezione non sono convalidabili,
se la legge non dispone diversamente.

È
Devi credersi che giurista non possa fermarsi alla logica e al sillogismo ma debba
sempre valutare il fondamento della pluralità delle premesse e delle soluzioni proposte,
nonché la loro coerenza, legittimità, meritevolezza, attraverso il ricorso ai principi e
valori normativi che fondono il sistema giuridico di riferimento. La ragionevolezza
insomma, come strumento di correzione della distorsione . della dell'esasperato
.

razionalismo, deve operare in costanza di qualsiasi interpretazione ai fini applicativi.

4.1. La ragionevolezza nella giustizia costituzionale e l’interpretazione


abrogante dell’art. 118 co.3, disp. att. cpc. Ragionevolezza e divieto di
discriminazione
La ragionevolezza opera nel giudizio di legittimità costituzionale ove il bilanciamento
tra principi è da sempre fisiologico, tant’è che la Consulta è chiamata nella prassi “ Il
custode della ragionevolezza”. Il Giudice delle leggi è chiamato a decidere della
legittimità e dunque della ragionevolezza delle discriminazioni operate << da una legge
o da un atto avente forza di legge >> attraverso la valutazione comparativa degli
interessi e il confronto dei principi in concorso. L’illegittimità costituzionale di una
disposizione e il controllo dell’uso distorto della discrezionalità legislativa dipende
dall’esito del paragone della disposizione interessata con altre disposizioni, al fine di
valutare se è giustificato, è dunque ragionevole alla luce dei valori dell’ordinamento,
il trattamento difforme di situazioni uguali oppure il trattamento uguale di situazioni
difformi. È compito della Consulta valutare la conformità della disposizione nonché
l’adeguatezza, la coerenza la congruità e la proporzionalità della disciplina allo scopo
cui è preposta.
In un ormai risalente sentenza del Bundesverfassungsgerich si osserva che
L’INTERPETRAZIONE GIURIDICA HA IL CARATTERE DI UN DISCORSO IN
CUI SI FANNO VALERE ARGOMENTI E CONTROARGOMENTI E ALLA FINE
DECIDONO LE RAGIONI MIGLIORI. Il principio di legalità non si riduce al rispetto
1
dei singoli precetti, implica invece, da un lato, il loro coordinamento quindi
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l’armonizzazione con i principi fondamentali di rilevanza costituzionale, dall’altro, il
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confronto e la contestuale conoscenza del fatto e infine l’adozione della normativa più
adeguata e maggiormente compatibile agli interessi e ai valori in gioco.
L’interpretazione è quindi logico-sistematica e logica-assiologica cioè finalizzata
all’attuazione dei valori costituzionali.
(Il diritto non è mai un dato, ma una continua creazione della quale è continuo
collaboratore l’interprete e cos’ ogni consociato ed appunto perciò vive nella storia
ed anzi con la storia)

È
Si pensi all’art. 235, comma 1, n3 c.c il quale è stato ritenuto illegittimo dalla Corte
cost << nella parte in cui ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità,
subordina l’esame delle prove tecniche, da cui risulta “che il figlio presenta
caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto

È padre” alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie>>


Questa disposizione è chiaro che sia costituzionalmente illegittima, principalmente
perché lesiva del diritto di difesa (art.24 cost) in quando sono le prove tecniche che
consentono di provare l’adulterio e non il contrario.
Pertanto sia in caso sia nell’ipotesi di adulterio, sia nel caso in cui la gravidanza sia
celata al marito, è ragionevole il ricorso alla prova ematologica e/o genetica anche
senza aver previamente dimostrato l’adulterio o l’occultamento della gravidanza.
Il criterio di ragionevolezza opera, altresì, in caso di violazione del divieto di
discriminazione, là dove, ad esempio, una legge preveda una disparità di trattamento
in ragione dell’età qualora tale disparità, in contrasto con gli artt. 3 cost e 6 delle
direttive CE (la quale stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in
materia di occupazione e di condizioni di lavoro, vietando espressamente, in materia
di impiego, ogni discriminazione direttamente o indirettamente fondata sull’età) a
meno ché alla base della disparità di trattamento non ci siano finalità legittime come
ad esempio formazione professionale o specifici obiettivi di politica del lavoro e del
mercato. Invero l’art. 6 della direttiva 2000/78/ CE dispone che gli stati membri
possono prevedere che le disparità di trattamento in ragione dell’età non costituiscono
discriminazione laddove esse siano oggettivamente e ragionevolmente giustificate,
nell’ambito del diritto nazionale, da una finalità legittima.
Non bisogna dimenticare che la nostra Repubblica è fondata sul lavoro (art 1cost) e che
l’art.4cost. riconosce a tutti il diritto al lavoro.
In merito è importante tener presente un importante sentenza della Corte di Giustizia,
13 novembre 2014 nella quale si legge che i principio di non discriminazione in base
all’età deve essere considerato un principio generale del diritto dell’Unione Europea.
Di conseguenza è in contrasto con la legalità costituzionale (artt. 1, 3 e 4) ed europea

ÈÈ
una legge nazionale che fissi a 30’anni l’età massima per l’assunzione degli agenti di
13

EN
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È polizia locale in quanto realizza una disparità di trattamento esclusivamente basata

¥
sull’età. Invero, il citato limite rappresenta una ingiustificata discriminazione e
comporta che, a parità di situazioni, alcune persone per il <<semplice fatto>> di aver
compiuto e superato i trent’anni siano trattate meno favorevolmente rispetto ad altre.
.

La Corte di Giustizia Europea pur riconoscendo che la natura di alcune funzioni degli
agenti di polizia locale possono richiedere un’idoneità fisica particolare, considera, che


nulla dimostra che le capacità fisiche richieste per l’esercizio di tali attività lavorative
siano necessariamente collegate ad una determinata fascia d’età ed in più aggiunge che
tali agenti devono sostenere, come da band di concorso delle specifiche prove fisiche
e per il giudice tali prove possono consentire una <<naturale selezione>> delle persone
⇐ più idonee, senza dover rincorrere ai limiti d’età considerato tale filtro irragionevole e
sproporzionato.
Quindi il controllo di ragionevolezza deve sempre essere esteso anche ai mezzi per il
conseguimento della finalità perseguita i quali non possono non risultare <<appropriati
e necessari>> o meglio, proporzionati e ragionevoli.

4.2 la ragionevolezza in costanza di una disposizione legale o convenzionale,


chiara e puntuale.
La ragionevolezza è un criterio essenziale anche in costanza di una disposizione,
legale o convenzionale, chiara e puntuale. Quindi il controllo della ragionevolezza
risulta essere necessario anche se in presenza di disposizione apparentemente
chiare.
Si pensi, ad esempio, all’art.2103 c.c che nella sua vecchia formulazione dispone:
(accolta in un secondo momento dal legislatore, ma il problema è stato innalzato
quando il legislatore non aveva modificato la norma) <<il prestatore di lavoro deve
essere adibito alle mansioni per cui è stato assunto>> sostanzialmente questo è un
divieto di demansionamento del lavoratore. Il lavoratore deve svolgere le mansioni
per le quali è stato assunto. Quindi alla base abbiamo un divieto di
demansionamento. Siamo in presenza di una norma imperativa, norma di ordine
pubblico.
L’ultimo comma dispone <<ogni patto contrario è nullo >>, quindi qualsiasi patto
tra lavoratore e datore di lavoro dove si accordano affinché il lavoratore svolga
mansioni diverse da quelle per le quali è stato assunto, è da considerarsi nullo in
quanto contrario ad una norma imperativa.
L’art. 2103 c.c sembrerebbe una norma chiara ma, la Cassazione si è espressa in
merito, superando il dettato letterale della disposizione, confermando così che
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SETTE
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chiara o no, una norma deve sempre essere interpretata in quanto considerando che,
attraverso un interpretazione ragionevole, può considerarsi valido un patto di
demansionamento, quando tale patto è diretto a evitare lesioni ancora maggiori dello
stesso lavoratore (come il licenziamento del lavoratore in condizioni psico-fisiche
precarie). L’interpretazione imperativa della norma comporterebbe una soluzione
irragionevole in quanto portatrice di conseguenze ancor più svantaggiose per lo
stesso soggetto da tutelare. A supportare la soluzione adottata dalla Cassazione è in
particolare il principio di tutela del lavoro, l’interesse al mantenimento dei livelli
occupazionali e il principio di tutela della salute.
Questo comporta che il grado di inderogabilità di una norma imperativa è
sempre una questione di interpretazione.
Da quanto su detto e così ragionando non si può più affermare che <<la previsione
di una norma imperativa è il frutto di una valutazione di opportunità che compete
esclusivamente alla legge e dalla quale l’interprete non può discostarsi e né ampliare
né per restringere la portata del divieto>>. Deve intendersi superata anche l’idea
secondo la quale, se l’argomento consequenzialista porta a una soluzione contraria
a una norma imperativa, deve essere abbandonato: nel caso di specie, pur essendo
contrario ad una norma imperativa deve rimanere valido, perché solo in questo
modo è possibile evitare quella conseguenza peggiore che lo stesso legislatore
intende evitare ovvero: il licenziamento.
La ragionevolezza è quindi importante in quanto da vita ad un bilanciamento di
interessi e valori coinvolti.
(Abbiamo parlato della vecchia formulazione, perché questo risultato è stato solo oggi recepito dal
legislatore, ma la dottrina e la giurisprudenza del 93 aveva maturato questo risultato senza che la modifica
venisse apportata da parte del legislatore. Attualmente rimane come caso storicamente importante perché
l’art 2013 attualmente ancora prevede la definizione originaria ovvero che il lavoratore deve essere adibito
alle mansione per il quale è stato assunto, è ancora dice all’ultimo comma <<è nullo ogni patto contrario>>
ma sono state aggiunte una serie di modifiche es comma 6 disciplina che possono essere stipulati accordi
individuali di modifica delle mansioni della categoria legale e livello di inquadramento … nell’interesse
del lavoratore. Ciò è importante in quanto ci fa capire come le riforme legislative siano importanti ma
molto spesso a certi risultati si possono perseguire tramite gli strumenti che il giudice ha a disposizione.
Ricordiamo che non sempre il legislatore modifica la legislazione e né sarebbe corretto che il legislatore
ogni volta che da vita ad una norma imperativa possa prevedere tutte le possibili eccezioni)

Effettuare il controllo della conformità delle soluzioni al sistema e ai suoi valori non
è competenza esclusiva della sola Corte costituzionale ma è una tecnica ermeneutica
che anche l’interprete deve fare propria.
La giurisprudenza più sensibile ha proposto un’interpretazione adeguatrice
fondata non sul <<buon senso>> ma sul sistema giuridico vigente e i suoi valori
15

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normativi nonché attenta alle conseguenze giuridiche, economiche e sociali, di una
soluzione rispetto ad un’altra.

!:* È;
La ragionevolezza, come affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, è rilevante
¥ anche per valutare caso per caso la congruità e l’adeguatezza dei termini di
decadenza legali o convenzionali, i quali, ad esempio, non possono essere tanto
brevi da rendere eccessivamente difficile a una delle parti l’esercizio del diritto e
quindi del diritto di difesa. La corte costituzionale ha osservato che, la fissazione
dei termini processuali rientra nella discrezionalità del legislatore con il sol limite
della ragionevolezza, quindi valutando caso per caso.
La ragionevolezza opera anche in costanza dell’interpretazione dell’art.2942,
disposizione chiara e puntuale.
L’art.2934: ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita
per il tempo determinato dalla legge. La prescrizione può essere oggetto di
sospensione in alcuni casi.
L’art.2942 c.c dispone che la prescrizione rimane sospesa:
1. Contro i minori non emancipati
2. Con gli interdetti per infermità di mente
per il tempo in cui non hanno rappresentate legale e per 6 mesi successivi alla nomina
del medesimo alla cessione dell’incapacità.
Quindi abbiamo la sospensione del termine di prescrizione in quanto, in questi due casi
non c’è possibilità di esercitare il diritto e pertanto nei loro confronti la prescrizione è
sospesa. Dal momento in cui il rappresentate legale viene nominato oppure cessa
l’infermità l’esigenza della sospensione non sussiste. Tale discorso è collegato anche
all’art.2135: la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere
fatto valere. Quindi opera la ragionevolezza per valutare caso per caso la congruità e
l’adeguatezza dei termini di decadenza legali o convenzionali
Un caso che si è verificato nella pratica, trattato da una sentenza della cassazione che
ha imposto un interpretazione sistematica, assiologica dell’art.2942 la quale
apparentemente sembra una norma chiara ma ha creato problemi interpretativi.
Sentenza cassazione 2007 del 2011.
L’art.480 in ambito delle successioni del chiamato all’eredità. Il chiamato all’eredità
può esercitare il diritto di accettazione o di rinunzia.

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L’art.480 comma 1 ci disciplina che il diritto di accettare l’eredità si prescrive in 10
anni. Tale termine è posto non tanto nell’interesse dei chiamati ma nell’interesse
generale della certezza delle situazioni giuridiche e soprattutto nell’interesse
dell’eredità, al fine di evitare che intercorra un lasso di tempo eccessivo tra l’apertura
della successione e l’accettazione con inevitabili problemi di conservazione e di
gestione dell’asse ereditario nella delicata fase in cui, apertasi la successione, i soggetti
chiamati non abbiano ancora espresso la propria volontà di accettare o di rinunziare
all’eredità, di conseguenza, è vero che non è ragionevole ammettere una diposizione
mortis causa che preveda un tempo di accettazione più lungo di dieci anni ma è pure
vero che non si può escludere la meritevolezza di una disposizione testamentaria che
prevede un termine più breve. Naturalmente l’autonomia del testatore non può
spingersi fino a imporre termini di accettazione irragionevoli, eccessivamente brevi e,
in quanto tali lesivi del diritto di accettare. In tali casi opera la nullità
Nella pratica è scaturito un problema quando il padre di due figli minorenni accetta la
chiamata ereditaria, alla successione del coniuge, non solo per se, come legittimario,
ma anche in nome e per conto dei due figli minorenni quindi esercita il diritto di
accettazione in quanto rappresentante legale dei minorenni. Questo padre, in realtà,
accetta in nome e per conto suo ma non accetta in nome e per conto dei figli minori dei
quali è rappresentate legali ai sensi dell’art 420 c.c.. Nel frattempo l’attività d’impresa
di tale padre fallisce, i creditori aggrediscono il patrimonio compresi i beni che tale
padre aveva acquisito in sede di successione. Beni che erano passati dalla moglie al
marito, padre dei due figli minorenni, il quale non ha provveduto ad esercitare
l’accettazione nei confronti dei figli. Tali beni quindi, non erano mai entrati nel
patrimonio dei figli.
I figli diventati maggiorenni agiscono in giudizio, in quanto alcuni beni in virtù della
successione, sarebbero dovuti passare nelle loro disponibilità. Nasce quindi il problema
della sospensione dei termini di prescrizione perché nel caso di specie è stato superato
il termine previsto dal legislatore ovvero di accettare l’eredità entro 10 anni. Il giudice
in sede di decisione sottolinea che il diritto doveva essere esercitato dal rappresentante
legale, i termini sono scaduti e tale diritto cade quindi in prescrizione quindi viene
meno la possibilità di acquistare i beni.
Dal punto di vista astratto il discorso è corretto, in quanto la sospensione dei termini è
prevista solo nei casi individuati dall’art. 2942 per il tempo in cui NON si ha
rappresentanza legale. Nel caso su esposto i due minori erano in “possesso” di un
rappresentante legale, il discorso è diverso nel momento in cui quest’ultimo non ha
esercitato il diritto.

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Quindi con l’applicazione letterale di tale disposizione i termini sono scaduti e non è
prevista tutela per i due minori non essendo in possesso dei requisiti previsti dalla
norma 2942 c.c.
La cassazione nel 2006 ha effettuato un’interpretazione ragionevole, sostenendo che
possono ritenersi sospesi i termini di prescrizioni anche se in presenza di un
rappresentante legale in conflitto di interessi con i minori.
Il ragionamento viene maturato sostenendo che la norma nasce per tutelare il minore
quindi o manca il rappresentante legale o c’è ma è in conflitto di interessi con i minori;
l’esigenza di tutela è la stessa.
Quindi concludendo, i minori ormai diventati maggiorenni, possono esercitare il loro
di dritto di riscuotere la loro parte di eredità.
Qui la Cassazione arriva a questa decisione non attraverso l’interpretazione letterale
della norma ma tramite un’interpretazione che è attenta alla ratio e attenta ai principi
effettuando un bilanciamento di interessi, valori coinvolti. I principi bilanciati sono:
principio di solidarietà (tra rappresentante e rappresentati), principio di eguaglianza
(altrimenti si creerebbero delle disparità di trattamento tra mancanza legale e presenza
legale in conflitto di interessi in quanto il principio è identico ma diversa la fattispecie)
e poi il diritto di difesa del minore (art.6 cost ogni persona ha diritto che la sua causa
sia esaminata equamente; art 13 CEDU ogni persona i cui diritti e le cui libertà
riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso
effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata
commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali, art.24
cost tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi).
Altra ipotesi dove non ci si può fermare ad un interpretazione letterale ma bisogna
bilanciare gli interessi coinvolti è dato dall’art. 1395 c.c. È paradossale come
nonostante la norma sia sempre la stessa sono possibili soluzioni diverse a seconda del
caso concreto.
[CONTRATTO CON SE STESSO: il contratto con se stesso è quel contratto concluso
dal rappresentante con se stesso. Io rappresentante di prodotti casalinghi, rappresento
una nota casa produttrice, stipulo un contratto con me stesso in qualità non di
rappresentante ma con me stesso. Stessa persona rappresentante acquirente. Può
nascere quindi un conflitto di interessi e la norma di preoccupa di stabilire entro che
limiti il contratto con se stesso è valido]

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fotte
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ART.1395 c.c: E’ annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso.
C’è un rischio di annullabilità in quanto c’é il possibile rischio di approfittamento, di
abuso (quel bene lo vendo a 100 io lo acquisto a 5)
Quindi è annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, in proprio
o come rappresentante di un’altra parte. La regola dice che è annullabile ma ..salvo
che, a meno che il rappresentato abbia autorizzato il rappresentante specificatamente
ovvero il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di
conflitto di interessi (se il prezzo è già prefissato e io lo acquisto a quel prezzo non c’è
rischio di abuso e quindi il contratto non è annullabile)
Problema?!
Se il rappresentante non è stato autorizzato? E il contenuto del contratto non
determinato? Il contratto in quel caso, secondo quanto dice la norma, è annullabile.
Nella pratica si è verificato un caso in cui la dottrina ha ritenuto quel contratto valido.
Il caso in cui il soggetto non è stato autorizzato e il contenuto del contratto non è stato
determinato però il rappresentante dimostra che agito senza abusare della sua posizione
in conflitto di interessi, anzi ha agito nell’interesse del rappresentato. In questo caso
c’è esigenza di conservazione del contratto in quanto non c’è ragione giustificativa per
annullare il contratto.
La dottrina qui fa una differenza tenendo conto degli interessi coinvolti, secondo la
$ ragionevolezza distinguendo la rappresentanza volontaria dalla rappresentanza legale.

ÈÈ
Nel caso di rappresentanza legale (minore ecc) c’è esigenza di tutela più significativa.
' La rappresentanza volontaria dove c’è una semplice procura, nonostante la lettera della
norma, la dottrina prevede l’annullabilità del contratto non quando alla base c’è un
conflitto di interessi, in quanto il conflitto in caso del contratto concluso con se stessi,
*E c’è sempre ma ammette l’annullabilità quando si dimostra che quel conflitto di interessi
si sia risolto in un effettivo concreto e reale abuso del potere rappresentativo. Si ragione
¥9 così perché in caso contrario si andrebbe a sanzionare, irragionevolmente, il
rappresentante anche quando ha agito con diligenza e correttezza. A questa soluzione

È ci si arriva non attraverso un’interpretazione alla lettera ma tramite un’analisi


funzionale, vedendo in concreto se il rappresentante ha agito o meno in conflitto di
interessi.
La stessa dottrina nonostante la stessa norma arriva ad una soluzione diversa in caso di
rappresentanza legale perché in questo caso c’è un’esigenza di tutela maggiore. Il
contratto per rimanere valido si deve dimostrare che alla base non ci sia conflitto di

ÈÈ
19

aorta
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èÈ
è
interesse. Quindi in caso di conflitto il contratto è sempre annullabile, non si
ammettono sfumature diverse di interpretazione.
Il bilanciamento degli interessi coinvolti porta a soluzioni diversi in base al tipo di
rappresentanza, nonostante la norma sia la stessa.
La ragionevolezza, come afferma la Corte di Giustizia e la Cassazione, è utile per
valutare la congruità, l’adeguatezza dei termini di decadenza tanto legali che
convenzionali.
Sappiamo che i termini di decadenza non possono essere eccessivamente brevi al punti
di rendere eccessivamente difficile e dispendioso ad una delle parti l’esercizio del
diritto e quindi il diritto di difesa.
In un caso concreto la Corte cost, nel 2000 sentenza 261, ha osservato che la fissazione

}
di termini processuali rientra nella piena discrezionalità del legislatore con il solo limite
della ragionevolezza. L’intrinseca irrazionalità di un termine ritenuto eccessivamente
breve non essere stabilito in astratto (non si può dire in astratto qual è il termine
ragionevole, bisogna valutare volta per volta, caso per caso).
In questo caso specifico, il giudice di merito hanno qualificato come ragionevole il

}
termine fissato dalla legge regionale riconosciuto al comune per esercitare i diritti di
prelazione su una farmacia di nuova istituzione ma, il termine era eccessivamente breve
ma analogo discorso vale anche per i termini di prescrizione pattizio, eventualmente
stabilito dalle parti. Ci possono essere dei termini, stabiliti dalle parti all’interno del
contratto, irragionevoli.
La cassazione ha stabilito che è nulla la clausola con la quale, una volta stabilito che il
termine di efficacia della fideiussione coincide con quello di escussione della garanzia
si fissi tra questo termine e il termine di scadenza dell’obbligazione della garanzia un
periodo temporale così ristretto o eccessivamente dispendioso da rendere
eccessivamente difficile che il creditore possa avvalersi della garanzia prestata.
Quindi il termine stabilito nei contratti deve essere un termine ragionevole adeguato
agli interessi coinvolti.
Pensiamo anche ai danni lungolatente, esempio un danno contratto da emotrasfusione,
ADS ,HIV.
A causa di una emotrasfusione io contraggo HIV e chiedo il risarcimento del danno.
Ora sappiamo che i termini di prescrizione saranno diversi rispetto al caso concreto. Il
problema nasce nello stabilire da quando decorrono questi termini di prescrizione.

{ a-
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20
}
L’art.2935 ci dice la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può
essere fatto valere.
Nella pratica quindi dovremmo conteggiare i termini di prescrizione dal giorno in cui
abbiamo fatto la trasfusione. Ma se applichiamo questo tipo di interpretazione, il danno
lungolatente è il danno che si verifica, che si viene a conoscenza dopo molti anni.
Casomai dopo 20’anni, vengo a sapere che ho contratto l’HIV dopo una
emotrasfusione. Quindi se il termine di prescrizione cominciasse a decorrere dal giorno
del danno dal cui diritto poteva esser fatto valere, il 100 % delle volte il diritto che si
sarebbe dovuto far valere, cade in prescrizione.
Allora la Cassazione e la giurisprudenza hanno sottolineato che l’art. 2935 non è mai
stato interpretato dal momento del danno ma dal momento in cui si è avuta conoscenza
del danno. Quindi il termine di prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui si è
avuto conoscenza del danno.

%
Altro caso, è il 480 c.c .

I
Il diritto di accettare l’eredità si prescrive in 10 anni. Quindi il chiamato può accettare
l’eredità al termine dei dieci anni.
Domanda?! Può il de cuius nel testamento stabilire un termine di prescrizione più
breve? Quindi il testatore all’interno del testamento va a stabilire che i successori
potranno accettare l’eredità ma entro un termine di decadenza più breve, 5 anni.
Siamo in presenza di una norma imperativa e il legislatore non ha previsto tale ipotesi.
Parte della dottrina, minoritaria, (il prof non condivide) sostiene che il testatore può
senz’altro prevedere un termine più breve, inoltre il termine di dieci anni è anche
considerato troppo lungo ove la conservazione dell’eredità rischia. Quindi il testatore.

andrebbe a preferire un termine più breve proprio per favorire la conservazione del
patrimonio. Quindi abbreviare i termini è possibile per salvaguardare l’eredità ma è
ovvio che il termine deve comunque essere ragionevole, adeguato.
Art 527 c.c: i chiamati all’eredità che hanno sottratto o nascosto beni spettanti
all’eredità, decadono dalla possibilità di rinunciarvi e si considerano eredi nonostante
la loro rinunzia.
Altro caso di norme apparentemente chiara ma per essere applicata c’è bisogno di
interpretarla con ragionevolezza.
Il problema che si è posto in dottrina e in giurisprudenza è dare un significato al periodo

È
“ nonostante la loro rinuncia”. Opera comunque la norma sia nel caso di una rinuncia

21

pagare
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} precedente alla sottrazione o anche nel caso di una rinuncia successiva alla sottrazione?
la norma questo dubbio non lo chiarisce.
La norma ha una funzione sanzionatoria (tu sottrai e diventi erede) anche contro la tua
volontà (conservazione asse ereditario).
Si è ragionato sempre tenendo presente degli interessi coinvolti. Invero, la Cassazione
e la dottrina hanno disposto che, l’acquisto dell’eredità per sottrazione o per
nascondimento dei beni ereditari opera sempre non solo se la sottrazione sia avvenuto
prima dell’eventuale rinunzia ma anche nel caso in cui io prima rinunzio e poi sottraggo
i beni (si pensava che la sottrazione non aveva effetto perché avevo prima rinunciato,
quindi è un caso di abuso che poteva verificarsi). Quindi la norma va ad essere applicata
anche quando la sottrazione del bene siano successivi alla rinuncia perché la sottrazione
o il nascondimento operano come revoca della rinuncia ai sensi dell’art 525 c.c

4.3 la ragionevolezza nella scelta del giusto rimedio


La ragionevolezza consiste anche nella scelta del criterio più adeguato, più giusto. Il
giudice deve individuare il metodo più ragionevole. Questo ci fa capire che ogni tecnica
è a servizio dell’ideologia; si deve utilizzare e applicare quel rimedio tenendo conto
degli interessi. Ad esempio nel diritto europeo dei contratti, il legislatore spesso
stabilisce solo quale è l’interesse giuridico protetto, poi sta all’interprete il compito di
capire o meglio scegliere tra i rimedi compatibili. Se invece guardiamo l’articolo 34
comma 1 e 2, c. cons., capiamo che la clausola vessatoria riguardi anche il prezzo e
quindi trattandosi di un elemento essenziale della clausola, vi dovrebbe essere la nullità
del contratto. Il giudice però, per mantenere in vita il contratto e tutelare l’interesse del
contraente debole, esclude la nullità e la riconduce a quella che è l’equità. Possiamo
infatti dire che se una norma ha natura imperativa, non sempre questa comporterà la
nullità del contratto se la stessa nullità risulterà irragionevole e sproporzionata rispetto
alla ratio del divieto. È il caso dei negozi elusivi della legge fiscale, dove, nonostante
venga violata una norma imperativa, la sanzione più adeguata non è la nullità ma la
sola inopponibilità la quale soddisfa l’amministrazione finanziaria. La legge del 27
luglio del 2000, all’articolo 10 bis (statuto dei diritti del contribuente), configura con
l’espressione abuso del diritto, una o più operazioni prive di sostanza economica.
Queste operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne
disconosce i vantaggi e determina i tributi sulla base di norme e principi elusi e tiene
conto anche della somma che il contribuente ha versato per effetto di dette operazioni.
Al comma 1 viene stabilito che prive di sostanza economica sono i fatti, gli atti e i
contratti anche collegati tra loro, mentre sono indici di mancanza economica la non
22

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coerenza di qualificazione delle singole operazioni e la non conformità dell’utilizzo
degli strumenti giuridici. Non si considerano abusive le operazioni giustificate da
valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale
che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’attività
professionale del contribuente. Discorso simile, lo possiamo fare anche in caso di
clausola o di caparra sproporzionata, dove il rimedio preferibile è la riconduzione a
equità. In realtà chiediamoci cosa succede se la caparra è illegittima. L’art di
riferimento è il 1385 del c.c il quale sostiene che:” se al momento della conclusione del
contratto una parte dà all’altra a titolo di caparra una somma di denaro o una quantità
di cose fungibili, in caso di adempimento la caparra deve essere restituita o imputata
alla prestazione dovuta. Se invece la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra
parte può recedere dal contratto, se invece chi ha ricevuto la caparra è inadempiente,
l’altra parte può recedere dal contratto e esigere il doppio della caparra. Il risarcimento
del danno è regolato da norme generali.” Il legislatore non ci dà una risposta ma è il
tribunale di Tiboli che dichiara che il 1385 è una norma illegittima per ciò che non
prevede. Secondo la corte costituzionale non c’è un contrasto insanabile e assoluto ma
è risolvibile dal giudice comune attraverso un’interpretazione sistematica. La sanzione
della caparra sproporzionata sarà sicuramente la nullità ai sensi dell’articolo 1418 del
c.c. Irragionevole è poi la tendenza fondata sulla sussunzione e il sillogismo e
sull’identità ad applicare al sub-appalto privato la stessa sanzione della nullità virtuale
dei sub-appalti pubblici che richiamano interessi del tutto diversi. Infatti nel sub-
appalto privato la nullità in mancanza di autorizzazione potrebbe essere una sanzione
controproducente per il committente, posto che l’autorizzazione è prevista a tutela
dell’interesse esclusivo e individuale. Si assisterebbe all’adozione di un rimedio che
finisce per rivelarsi lesivo per lo stesso committente. Una parte della dottrina però
ritiene che nemmeno si può pendere dalla nullità relativa, sia perché la legittimazione
non spetta al committente perché di regola è il terzo estraneo rispetto il contratto di
subappalto ma anche perché la lesione dell’interesse del committente discenderebbe
non dalla stipulazione del contratto di sub-appalto ma dalla sua esecuzione difforme.
Gli articoli 1667 e 1668 del c.c., contengono i c.d. rimedi dell’inadempimento che
appaiono adeguati e ragionevoli perché sono idonei a bilanciare gli interessi del
committente e dell’appaltatore. La nullità si rivela invece rimedio irragionevole e
sovrabbondante o anche sproporzionato rispetto agli interessi da tutelare ma anche
rispetto agli interessi del sub-appaltatore in bonis che abbia in buona fede dato
esecuzione del sub-appalto. Tra l’altro, mentre nel sub-appalto pubblico la buona fede
del subappaltatore potrebbe ignorare che il lavoro da fare costituisce parte di altro
contratto di appalto affidato alla propria controparte e non solo, infatti il sub-
appaltatore non ha l’onere di controllare l’esistenza dell’autorizzazione che riguarda
23

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un rapporto al quale lui è estraneo. La ragionevolezza è un utile criterio interpretativo
anche quando il rimedio invalidante è espressamente previsto e contemplato dal
legislatore. Pensiamo ad esempio all’articolo 7 del d.lgs. 9 ottobre del 2002 n.231 in
tema di ritardo di pagamenti di recente modificato. Questo decreto stabilisce che il
giudice deve chiarire anche d’ufficio, la nullità della clausola che prevede tutte le
circostanze del caso, tra cui la prassi commerciale e ciò che è in contrasto col principio
di buona fede e correttezza, natura della merce o servizio oggetto del contratto etc. il
nuovo articolo 7 bis di questo decreto, prevede anche che le prassi relative al termine
di pagamento o al risarcimento per i costi di recupero, quando risultano gravemente
inique per il creditore, danno diritto al risarcimento del danno. Di questo modo si
configurano insieme nullità e risarcimento del danno ma non si può escludere che in
presenza di un patto iniquo il rimedio più adeguato a soddisfare l’interesse del
contraente debole possa essere NON la nullità, ma il risarcimento del danno. Ciò che
bisogna vedere è il rimedio più ragionevole e non il rimedio preferibile.

ÈÉÈ
4.4 La ragionevolezza in tema di disciplina applicabile a un atto di autonomia.
Il criterio di ragionevolezza è essenziale anche per l'individuazione della disciplina
applicabile a un atto di autonomia.
si pensi al problema dell’applicabilità della revocazione per causa di ingratitudine art.
801 c.c., prevista per tutte le liberalità, al patto di famiglia, che pure è qualificato dalla
dottrina come donazione o liberalità non donativa. La questione non va risolta
attraverso la tecnica della sussunzione ma attraverso i criteri di compatibilità che di
ragionevolezza, il quale impone una valutazione funzionale e assiologica. e sufficiente
il giudizio di compatibilità per escludere l'applicabilità al patto di famiglia della
revocazione per la sopravvenienza dei figli, mentre occorre una valutazione di

È adeguatezza per negare operatività alla disciplina della revocazione per causa di
ingratitudine. La revocazione per sopravvenienza di figli è incompatibile con l’art. 768
sexies, c.c., che regola diversamente l’evenienza.
La ragionevolezza inteso come criterio utile per coniugare gli interessi diversi e
individuare soluzioni con cure e adeguate l'ordinamento vigente i suoi valori è utile

È
anche in tema di leasing. si pensi alla questione dell’applicabilità dell’art 1526 c.c. alla
risoluzione del contratto per inadempimento del concessionario. Secondo una
prospettiva utilitaristica e di analisi economica, attesi gli effetti vantaggiosi in termini
di semplificazione dell’analisi costi-benefici delle imprese di leasing e quindi di
funzionalità e di contenimento del prezzo del servizio, sembrerebbe di dover sciogliere
il dubbio in senso negativo. La Suprema Corte ha scelto di orientarsi diversamente
nell'ipotesi in cui essendo dedotto in contratto un bene non soggetto a rapida
24

saggia Document shared on www.docsity.com


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÷
obsolescenza, l'acquisizione incondizionata a titolo di indennità per l'uso del bene
dell’importo totale delle rate già pagate procuri al concedente un arricchimento
ingiustificato in violazione dell'articolo 2041 c.c. Ciò dimostra che anche in tema di
individuazione della disciplina applicabile a un contratto l’interprete, non deve
limitarsi un'attività meramente logico deduttiva, ma deve compiere apprezzamenti che
investono l'interpretazione e l'interazione tra valori del contratto i valori
dell'ordinamento.

4.5. La ragionevolezza e il “conflitto tra fonti”


La ragionevolezza completa il quadro dei criteri di risoluzione dei conflitti tra le fonti,
subordinando quello della gerarchia formale alla gerarchia assiologica.
Come affermato anche dalla Corte di giustizia, quando la normativa nazionale
garantisce la tutela della persona in misura maggiore rispetto a una fonte europea, nel
conflitto deve farsi applicazione della prima. Una norma quindi, di grado inferiore può
prevalere rispetto a una norma di rango Superiore se meglio espressiva di un valore è
più aderente al principio che lo rappresenta e che viene applicato unitamente a essa. Il
primato della legalità costituzionale, trova la propria consacrazione nel controllo di
ragionevolezza del contenuto della legge formale alla luce della gerarchia dei valori
giuridicamente rilevanti. Il principio di legalità si risolve nella conformità
dell’interpretazione e della decisione alla legge e ai valori del sistema giuridico di
quella legge parte; questa e la fedeltà alla costituzione e a tutte le leggi nazionali,
sovranazionali, internazionali e locali e compongono l'ordinamento giuridico vigente
(art. 117 cost.)

4.6. La ragionevolezza in costanza di una c.d. lacuna legislativa e nel


bilanciamento tra interessi essenziali.
La ragionevolezza opera anche nella circostanza di una c.d. lacuna legislativa, cioè in
mancanza di una disposizione specifica che contempli di per sé il caso o lo risolva.
Noto è il caso Englaro nel quale a seguito di una particolare situazione lesiva della
libertà personale e della dignità umana (artt. 2, 3, 27, 32, 36, 37, 41 cost.), è stato
necessario bilanciare la tutela della vita e della salute (art. 32 cost.) con la libertà di
autodeterminarsi (art.13 cost.).
La soluzione proposta dalla giurisprudenza è aderente alla legalità costituzionale: se la
§ persona è il valore al quale tutti gli altri sono subordinati, la tutela della vita non può

e essere perseguita anche a costo di ledere la dignità umana, ponendo il malato in una
condizione innaturale o artificiale, in quanto tale lesiva della sua stessa personalità. Ciò
① non è consentito né dalla Costituzione, né dal Trattato di Lisbona.

② latuteladeuadad.ae essere 25

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subordinato
$
propagassero
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In questa direzione si orienta la Cassazione con una sentenza del 2007. In mancanza di

à:{
espressa manifestazione di volontà del malato in stato vegetativo permanente e tenuto
artificialmente in vita mediante un sondino nasogastrico che provvede alla sua
nutrizione idratazione, dunque incapace di rapportarsi al mondo esterno, il giudice (su
richiesta del tutore che lo rappresenta) può autorizzare la disattivazione nel presidio
sanitario, in sé non costituente una forma di accanimento terapeutico, unicamente in
presenza dei seguenti presupposti essenziali:
a) Quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso
apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico,
secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che faccia
presupporre la benché minima possibilità di un qualche sia pure flebile
recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno
b) Sempre che tale istanza sia realmente espressiva della voce del paziente
medesimo, tratta delle sue precedenti dichiarazioni, dalla sua personalità, dal
suo stile di vita e dei suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di
concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l'idea stessa di dignità della
persona.
Nel difetto di uno di questi requisiti il giudice deve negare l’autorizzazione e dare
incondizionata prevalenza al diritto alla vita. Il giudice non fa altro che constatare che
la moderna scienza medica e la moderna tecnologia hanno creato una separazione,

È
pochi anni fa irrealizzabile, tra il diritto alla vita e la dignità dell'uomo e della persona.
I giudici quindi, nell’ operare il bilanciamento considerano prevalente, secondo i valori
del personalismo e del solidarismo, la tutela della dignità dell'uomo quale valore
irrinunciabile della persona.
* S'impone un ragionevole temperamento tra il diritto all'autodeterminazione e il
concetto laico di indisponibilità della vita umana, che, consente di figurare un diritto a
vivere con dignità. All'interprete il compito di far dialogare interessi e valori in
concorso, in modo non da farne prevalere uno su l’altro, ma di combinarli e bilanciarli
ragionevolmente; tale bilanciamento va realizzato volta per volta in relazione al caso
concreto e ai valori normativi fondanti il sistema vigente.
Similmente nelle ipotesi di opposizione all’emotrasfusione da parte dei testimoni di

- Geova in caso di emofilia, ove entra in gioco, oltre alla tutela della salute (articolo 32
cost.), anche il valore della libertà di autodeterminarsi, di manifestare il proprio

È:
pensiero e la fede religiosa (articoli 19 e 21 della costituzione).
Solo attraverso il bilanciamento ragionevole è possibile decidere se la trasfusione deve
o no essere imposta, anche contro la volontà precedentemente manifestata dal paziente
emofiliaco, qualora ad esempio, lo stesso non si è più in grado di esprimere la propria
.
26

amo Document shared on www.docsity.com


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volontà di fronte a un quadro clinico fortemente mutato con l’imminente pericolo di
vita e senza la possibilità di un suo ulteriore interpello essendo ormai anestetizzato.
E ancora il criterio di ragionevolezza guidare il percorso argomentativo di risoluzione
insieme alla specificità del caso. Qualora la trasfusione risulti necessaria per la
sopravvivenza è la costituzione a legittimare pur nel rispetto della dignità umana, la
scelta del medico ponendo in secondo piano la sfera spirituale e del sacro (articoli 19
e 21 della costituzione). La stessa tecnica del bilanciamento permette di risolvere anche
la questione della rimozione del crocifisso dai luoghi pubblici e il problema della sua
eventuale convivenza con altri simboli religiosi.

4.7. La ragionevolezza e il bilanciamento tra principi, fondamenti e generali, sia


pure sufficientemente determinati

Si è visto quanto la ragionevole sia essenziale nel bilanciamento tra principi. È


importante chiarire che questa funzione non viene meno anche in presenza di principi
sufficientemente determinati. Ad esempio: in caso di doppia registrazione dello stesso
nome a dominio non si può sempre riconoscere l'uso esclusivo a chi ha provveduto alla
sua registrazione per primo. Si pensi a quando la registrazione del dominio abbia avuto
esclusivamente finalità speculative. Oppure nel caso del coltivatore diretto del fondo il
quale, secondo l'articolo 8 della legge 26 maggio 1965, numero 590, ha il diritto di
prelazione e il connesso riscatto sul fondo senza che sia necessaria alcuna pubblicità.
In tal caso il principio di pubblicità e di sicurezza nella circolazione dei beni soccombe

¥
rispetto a interessi prevalenti come la tutela del lavoro e della famiglia.
Parte autorevole della dottrina ha sostenuto l'inefficacia della trascrizione dell'articolo

!!
2644 del codice civile e se guida per primo dal secondo acquirente in malafede proprio
argomentando con il criterio di ragionevolezza.
La ragionevolezza è quindi il criterio ermeneutico che utilizza anche la corte di
giustizia. si pensi alla richiesta di risarcimento dei danni avanzata da un'impresa
tedesca di confronti delle autorità austriache, originata dal blocco dell'autostrada del
Brennero per una manifestazione ambientalista autorizzata. In queste ipotesi occorreva
"

:*
bilancia" le 2 valori in concorso: il diritto alla libera circolazione delle merci e la libertà

i.gg
di espressione e di riunione. La corte di giustizia decidi a favore del valore non
patrimoniale che è al vertice nella gerarchia delle fonti. La libertà di espressione e di
riunione e direttamente attuativa dei valori della persona ed è funzionalizzata allo
sviluppo; per questo dove trovare l rispetto al valore della libertà di circolazione delle
merci.
in una decisione di poco successiva nel 2004, la stessa corte di giustizia si occupa del
bilanciamento tra il diritto alla libera circolazione dei servizi e delle merci e il valore
27

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ÈÈ .

della dignità umana e considera legittimo il divieto di sfruttamento commerciale di un


videogame che simula omicidi in un locale specificatamente adibiti al gioco. Divieto
posto a salvaguardia dell'ordine pubblico europeo e della dignità umana, nonché della
tutela dei minori e del loro sviluppo psicofisico. anche in questo caso vennero fatti
prevalere gli interessi non patrimoniali. Qui la proporzionalità e la ragionevolezza si

È
combina non come criteri del bilanciamento per individuare la soluzione più corretta.
Da ciò alcuni insegnamenti: i diritti fondamentali godono di tutela differenziata in
ragione degli interessi che rispecchiano e delle circostanze in cui vengono in
considerazione; le tutele sono graduate in funzione del bilanciamento con gli altri diritti
o con gli stessi diritti fondamentali con cui interagiscono; il bilanciamento opera
attraverso la ragionevolezza e altra merce il controllo di proporzionalità tra rimedio e
fine perseguito.
Qualsiasi giudice, nel momento applicativo e rispettando le proprie funzioni, deve
garantire un controllo ora di legittimità, ora di liceità, ora di meritevolezza secondo la
natura dell’atto.
La ragionevolezza è essenziale sia per il temperamento tra principio generale di
irretroattività delle leggi, sia con riferimento alla regola della retroattività delle leggi
di interpretazione autentica e del problema dell’applicabilità di un nuovo ordinamento
giurisprudenziale a causa già in corso.
Infatti, se è vero che le regole della irretroattività delle leggi e della retroattività delle
leggi di interpretazione autentica servono a garantire la certezza del diritto e dei
rapporti giuridici, vero è pure che tali determinazioni non possono sfuggire a un
controllo di ragionevolezza e di conformità ai principi fondamentali e alla tutela
dell’affidamento.
Le norme retroattive devono trovare adeguata giustificazione sul piano della
ragionevolezza e non devono pur se in contrasto con altri valori ed interessi

È
costituzionalmente protetti. In altre parole, occorre bilanciare con ragionevolezza
principi diversi e non riducibile esclusivamente nel principio di uguaglianza e nella
tutela dell’affidamento. Nell’evitare un eccessivo utilizzo delle leggi interpretative, se
ne deve escludere anche la pretesa efficacia naturalmente retroattiva che ha condotto
la Consulta ad aspettare il giudizio di legittimità costituzionale. Si pensi all’articolo 2

È
comma 61 del D.L. 29 Dicembre 2010 numero 225, dichiarato illegittimo dalla Corte
costituzionale e proprio perché in contrasto con il canone generale della ragionevolezza
delle norme (in particolare con gli artt. 3, 24, 41, 47, 101, 102, 104, 111 cost.) e con
l'articolo 117 della cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione

È
interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali.
Previsto che l'illegittimità della disposizione in fondata sulla supposta natura retroattiva
della stessa, giova chiarire che, in mancanza di clausola di retroattività, soltanto il
28

segga
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concreto bilanciamento, caso per caso, di l'interesse alla tutela dell’affidamento con
quello veicolato dalla disposizione interpretativa, può ragionevolmente comportare
l'efficacia temporale della stessa. L’irretroattività rappresenta un'antica conquista della
nostra civiltà giuridica ma non assurge a principio inderogabile.
È il controllo di ragionevolezza a decidere della retroattività o no di legge
interpretative. La retroattività è spesso necessaria per risolvere un problema di certezza
dei rapporti giuridici, ma va comunque sottoposta a un controllo sistematico e
assiologico, e dunque un controllo di ragionevolezza poiché in alcuni casi la
retroattività o irretroattività di una disposizione, anche di interpretazione autentica,
senza un’attenta valutazione in concreto può ledere i principi fondamentali come
l'affidamento. La stessa logica è seguita dalla Cassazione, che proprio mediante il
controllo di ragionevolezza opera per risolvere il problema dell'applicabilità a una
causa in corso di un nuovo e repentino, quanto meno inatteso ordinamento
giurisprudenziale rispetto alla presentazione della domanda. In conclusione, giudice e
legislatore possono decidere per la retroattività di una disposizione ma sempre nel
rispetto dei valori normativi, della loro gerarchia, nonché dei principi fondamentali di
convenienza. In questa direzione anche la scelta del legislatore di legiferare per il
passato non è discrezionale. Sì pensieri sentì interventi della corte europea dei diritti
dell'uomo nei confronti dell'Italia, condannata per avere inciso sui diritti patrimoniali
dei cittadini sia lavoratori che pensionati, in forza di leggi di interpretazione autentica,
con effetto retroattivo, non sorrette però, da motivi imperativi di interesse generale
tanto da violare l'articolo sei della CEDU.
Possiamo fare degli esempi nei quali, pur in mancanza di indicazione del legislatore, è

Èà
preferibile non fermarsi alla lettera a dell’articolo 11 delle disposizioni preliminari, al
fine di prendere atto del carattere superindividuale degli interessi perseguiti decisivi
nel giudizio di ragionevolezza.
Si pensi alla L. 248/2006 c.d._ LEGGE BERSANI, che all’art. 2 Ha abrogato le
disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività
libero professionali e intellettuali L'obbligatorietà di tariffe fisse o minime. La
Cassazione ha chiarito che queste disposizioni operano per tutte le professioni

-
intellettuali quindi la legge può essere applicata retroattivamente non solo perché attua
interessi prioritari e superindividuali (la tutela della libertà di iniziativa economica, il
ironia
§ mercato, gli interessi dei cittadini a rafforzare la libertà di scelta del cittadino
consumatore e la promozione di assetti di mercato. maggiormente concorrenziali,

è rendendo possibile la libera concorrenza nel settore dei servizi professionali e


garantendo agli utenti un'effettiva facoltà di scelta nell'esercizio dei propri diritti e di
comparazione delle prestazioni offerte sul mercato), ma perché l'iniquità sociale delle
µ

È 29

mega
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tariffe minime o fisse era già sentito da tempo nelle comunità europee come confermato
dalle delibere risalenti agli anni 80 e 90.

éÈ!É
Si pensi alla norma già eliminato il divieto di riconoscimento dei figli adulterini.

È .ie
"

All'epoca dell'entrata in vigore, ci si chiedeva se fosse applicabile ai figli nati prima del
1975 o nel caso di sentenza già passata in giudicato. L'uguaglianza impose di superare
il principio di irretroattività e fu così considerata ragionevole l'applicazione della
disposizione anche i figli adulterini nati prima del 1975, fu considerata ragionevole
anche la tesi orientato ad affermare che se c'è in gioco un diritto della persona questo
può travolgere anche il giudicato retroattivamente. altri esempi riguardano ad esempio
la legge sul divorzio. Da ciò si ricava che la ragionevolezza non è soltanto un limite
all'ammissibilità della retroattività o transitorietà della legge, ma anche il necessario
È fondamento della temporaneità del precetto. ←

4.8 L’impossibilità di concepire concetti e nozioni isolatamente.


Gli esempi fatti dimostrano l’impossibilità di concepire concetti e nozioni isolatamente
e di sovrapporre la ragionevolezza alle tradizionali clausole generali.
La ragionevolezza, infatti, è utile anche per l’interpretazione e la concretizzazione delle
clausole generali e dei concetti indeterminati.
È disposizione elastica quella secondo la quale l’incrocio deve essere attraversato con
cautela e prudenza, diversa, per vaghezza e indeterminatezza, da quella che prescrive
che all’incrocio ci si deve fermare. Di là dal problema di stabilire quale sia la soluzione
preferibile sul piano della politica del diritto, occorre ricordare che la previsione più
vaga, deve necessariamente essere interpretata e applicata con ragionevolezza, ossia
tenendo conto della peculiarità del contesto di riferimento (es. se la strada nella quale
ci si immette consente o no una visione piena) e delle circostanze del caso concreto e
degli interessi coinvolti (il conduttore, ad es., deve fermarsi o semplicemente rallentare
secondo che in prossimità sia visibile oppure no un’altra automobile).
Le clausole generali non possono essere interpretate e applicate prescindendo dalle
ideologie del sistema nel quale operano, ma hanno bisogno di altri criteri per la loro
concretizzazione. La ragionevolezza è fondamentale per l’interpretazione della
buona fede.
Se è vero che la buona fede, nell’ordinamento vigente, richiama sempre il principio di
solidarietà, vero è pure che, nel concreto, possono reclamare soddisfazione anche altri
principi, come ad es. il buon andamento e l’imparzialità nella conclusione di contratti
tra privato e p.a.
Ciò vale anche con riferimento alla buona fede precontrattuale e, in particolare,
all’ipotesi di RECESSO, c.d. ROTTURE DELLE TRATTATIVE.
30

EST
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Per trovare la soluzione più adeguata occorre analizzare gli interessi e i valori normativi
coinvolti, coniugandoli e bilanciandoli con ragionevolezza. È condivisibile l’opinione
che configura la responsabilità per rottura delle trattative non quando il contraente si
astiene dal comunicare il motivo del recesso o quando il motivo non è giustificato, ma
solo qualora la parte continui le trattative senza rendere partecipe l’altra delle concrete
possibilità di stipulare il negozio.
Seguendo questa impostazione, la soluzione preferibile è quella che più di tutte coniuga
con ragionevolezza gli interessi e i valori richiamati nel caso concreto e tiene conto
delle possibili o prevedibili conseguenze negative di una soluzione sul piano giudico.
Ciò è il risultato di un’argomentazione attenti alle conseguenze, dell'applicazione del
criterio di ragionevolezza, dell'interpretazione sistematica e assiologica, poiché la
buona fede viene concretizzata coniugando gli interessi e valori coinvolti nel caso da
decidere, valutando le conseguenze irragionevoli e assurde delle soluzioni prospettate
criticate.
La visione è confermata dalle sezioni unite, le quali chiariscono che la valutazione
compiuta, in costanza di una clausola generale, dal giudice di merito può essere
sottoposta a sindacato di legittimità solo quando non presenti i caratteri della
di ragionevolezza. L'interpretazione secondo ragionevolezza non è libera ma fondata nel
controllo di conformità e di congruità della decisione al sistema giuridico, composto

NT
da regole, principi generali e valori normativi gerarchicamente disposti. Così la
ragionevolezza aiuta a coniugare generalità e particolarità, caso concreto e sistema, al
fine di contemperare gli interessi coinvolti e protetti e assicurare la congruenza della
regola da applicare alle ragioni del caso concreto; ed ancora aiuta a coniugare la

è
decisione con i valori riconosciuti dall'ordinamento giuridico.
il giurista deve fronteggiare un diritto immobile nel quale rimangono fisse le direttrici
rivolte a tutelare i diritti fondamentali io a preservare i capisaldi dello Stato di diritto.
la discrezionalità personale dell’interprete è limitata proprio dal controllo di
ragionevolezza, che altro non è che un controllo di legittimità della soluzione da
ancorare le direttive rinvenibili nella legalità ordinaria, costituzionale europea, al fine
di passare dal problema al sistema e non viceversa. di conseguenza la ragionevolezza

È
non può operare in astratto, ma sempre e soltanto nel bilanciamento in concreto. la
ragionevolezza rappresenta un criterio o canone di valutazione, piuttosto che una mera
clausola generale. la ragionevolezza è utilizzato dal legislatore come sinonimo di buona
fede, di diligenza, di equità. La ragionevolezza è stata utilizzata per l'interpretazione e
la concretizzazione della clausola di buona fede ed è il tema degli obblighi di

È
informazione e precontrattuali.
la ragionevolezza è una nozione giuridica ma una funzione diversa dalle clausole
generali e degli altri concetti indeterminati. Esso rappresenta il collante costante
31

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necessario tra il caso concreto il sistema giuridico di riferimento consentendo di
scegliere tra più soluzioni possibili quella più conforme di ancora più adeguate e più

:÷←
com’era agli interessi coinvolti e i valori normativi presenti in un dato ordinamento.
la Buona fede interviene come strumento di controllo del comportamento delle parti e

÷
dei soggetti coinvolti, mentre la ragionevolezza resta il mezzo per concretizzare la
-

stessa buona fine e contemperare esigenze opposte in concorso.


l'utilità del criterio di ragionevolezza per una corretta interpretazione e applicazione
della clausola di buona fede trova riscontro anche in tema di contratto con effetti
protettivi per i terzi.
In deroga al principio di relatività degli effetti articolo 1372 c.c., la ragionevolezza
-

impone di estendere gli obblighi di protezione derivanti a una delle parti da determinati
contratti, anche in favore di persone legate alla parte debole del rapporto che le rendono
partecipi del medesimo rischio: il principio di relatività degli effetti so come rispetto
alle esigenze di solidarietà sociale i alla clausola di buona fede contrattuale. Pertanto,
la categoria dei contratti con effetti di protezione per i terzi non è altro che il risultato
dell'applicazione del criterio di ragionevolezza e del bilanciamento tra principi diversi
gerarchicamente disposti: quello di relatività degli effetti è quello di solidarietà sociale
e di concretezza.
In un caso deciso dalla Corte d'appello di Roma, in relazione a un rapporto di portierato,
il datore di lavoro e dichiarato contrattualmente responsabile anche dei danni alla salute
sofferto dei familiari conviventi col prestatore a causa di infiltrazioni di umidità
nell'alloggio di portineria. L'argomentazione poggia non solo sulla buona fede, ma sul
criterio di ragionevolezza: sarebbe ingiustificata una disparità di trattamento dei
lavoratori e degli altri familiari in ordine il termine di prescrizione del diritto al
risarcimento punto la diversa qualificazione della responsabilità porterebbe a una
differente disciplina di per sé irragionevole. La parificazione della natura contrattuale
della responsabilità è la conseguenza di un ragionamento sistematico attento
individuare la decisione più conforme all'ordinamento giuridico vigente adesso i valori
normativi. La soluzione trova fondamento non solo nella clausola di buona fede,
quando nel bilanciamento tra l'interesse del datore di lavoro, preservato dal principio
di relatività degli effetti, devi principi di uguaglianza e di solidarietà sociale virgola di
quali rendono il comportamento del datore di lavoro lesivo di un obbligo contrattuale
di protezione nei confronti dei terzi.
Il compito dell'interprete e individuare nel momento applicativo interessi, i
principi e dunque i valori normativi, nel caso concreto, devono prevalere o
soccombere in modo da dare maggiore soddisfazione, in escussione della legalità
costituzionale, agli interessi non patrimoniali su quelli patrimoniali.

32

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AFFINITA’ E DIFFERENZE TRA RAGIONEVOLEZZA, BUONA FEDE,
ABUSO DEL DIRITTO ED EQUITA’. CONCETTI ELASTICI E
RIGOROSITA’ DELLA DECISIONE.
La ragionevolezza non coincide né con la buona fede, né con l’abuso del diritto, né con
l’equità.
1 Differenza tra ragionevolezza e buona fede: Rispetto alla buona fede (quale clausola

generale, introduce una valutazione di conformità in termini di correttezza,


cooperazione, solidarietà e salvaguardia) la differenza sta nel fatto che la
ragionevolezza non richiama di per sé l’idea di lealtà e probità, essa prescinde da un
rapporto o una relazione tra due situazioni giuridiche soggettive, per operare in ogni
caso nel momento dell’argomentazione per garantire che la decisione giuridica sia
conforme all’ordinamento vigente e ai suoi valori normativi. Quindi mentre la buona
fede contiene considerazione in ordine morale, la ragionevolezza apre a considerazioni
ulteriori e diverse esempio quelle di ordine utilitaristico e di efficienza economica.
Differenza tra ragionevolezza e abuso del diritto: la ragionevolezza pur potendo

:
richiamare l’idea di congruità e adeguatezza del mezzo al fine, prescinde dal concetto
di esercizio contro funzionale della propria situazione soggettiva, l’abuso invece
presuppone sempre la violazione della regola generale di buona fede e correttezza in
quanto l’uso distorto e anomalo di un diritto, l’esercizio arbitrario di una situazione
soggettiva tocca sempre lo scopo per il quale il diritto è utilizzato e presuppone
comunque la lesione dell’interesse della controparte o di un terzo quindi finisce per
configurarsi quando lo svolgimento concreto di un potere abbia avuto l’esito di
perseguire interessi non meritevoli di tutela o abbia interagito con altre sfere di
interessi.
La ragionevolezza si distingue anche dalla diligenza, che è un mero criterio di
valutazione della modalità di adempimento dell’obbligazione e non anche una tecnica
di argomentazione della decisione.
4 Di frequente si confonde la ragionevolezza con l’equità: è vero che neppure l’equità,
come la ragionevolezza, deve essere intesa parametro di giudizio separato dal diritto
positivo in quanto in un ordinamento complesso e articolato come il nostro, aperto a

gonfiò
principi elaborati da fonti non nazionali, caratterizzato dalla gerarchia delle fonti e dai
valori, non v’è spazio per una interpretazione che non coinvolga la totalità
dell’ordinamento e che non sia sistematica ed assiologica ciò vuol dire che le soluzioni
prese secondo equità e quelle assunte secondo ragionevolezza sono entrambe
fortemente condizionate dal sistema vigente e dai suoi valori normativi.

Fit
Ed è anche vero che il giudizio di equità come la ragionevolezza non si risolve
nell’arbitrio poiché il giudice quando decide secondo equità, lo fa sempre, come

33

aggeggi Document shared on www.docsity.com


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osserva la consulta secondo il novellato art.338 c.p.c in conformità del diritto positivo,
ai principi costituzionali e ai principi regolati dalla materia.
Nonostante questo parallelismo il concetto di ragionevolezza conserva autonomia

È
rispetto a quello di equità. La ragionevolezza interviene in entrambi i giudizi, in quello
secondo diritto e in quello secondo equità e serve a controllare che ogni decisione, oltre
ad essere oltre ad essere conforme alla lettera della legge, risulti aderente
all’ordinamento vigente e ai suoi valori normativi. L’intenti è di evitare ogni distanza
tra lo ius e l’equitas e garanti che si operi un bilanciamento di interessi che,
nell’attribuire vantaggi e svantaggi porta a scegliere quella più coerente con il sistema.
La differenza tra equità e ragionevolezza sta quindi nella circostanza che mentre
l’equità come criterio di decisione opera se espressamente richiamata dal legislatore
per individuare la disciplina del caso concreto, la ragionevolezza è strumento di
controllo dell’applicazione di una normativa e serve per evitare aporie ovvero
problema la cui possibilità di soluzione di risultano annullate in partenza in quanto
contraddittorie, nonché per individuare la soluzione più conforme al sistema e far sì
che anche la decisione secondo diritto non sia una decisione incongrua.
La ragionevolezza è un criterio per confrontare regole e principi, fatto e diritto, caso
concreto e sistema in modo da rispondere nel modo più adeguato alla domanda di
giustizia. Così una soluzione ,anche controcorrente, è ragionevole se fedele alla
gerarchia delle fonti, all’ordinamento giuridico vigente e ai suoi valori. Inoltre l’equità,
a differenza della ragionevolezza ,attiene talvolta a una valutazione quantitativa (si

È!
pensi all’equità che opera per determinare il quantum di un risarcimento piuttosto che
all’an)misura l’equilibrio ora del giudizio ora degli interessi.
Se è vero che tramite l’equità l’interprete non può discostarsi dal diritto vigente, vero
è pure che non sempre ciò che è equo coincide con ciò che è ragionevole. Se è vero che
l’equità richiama prevalentemente i principi d’eguaglianza, proporzionalità, equilibrio
e giustizia, la ragionevolezza interviene nel momento applicativo per l’interpretazione
di qualunque clausola generale, al fine di bilanciare e coniugare i diversi interessi
coinvolti nel caso concreto, senza rischi di sovapposizione tra concetti ma con la
consapevolezza che nessun concetto nessuna nozione fondamentale è concepibile
isolatamente a tutte le altre.
Esempio nel caso di equità contrattuale, il giudice integra e adatta il regolamento
negoziale in base alle circostanze peculiari e irriducibili a qualsivoglia tipologia; nel
caso della buona fede operano maggiormente standard di comportamento, tipologie
sociali di condotta che i giudice userebbe come parametro di valutazione. Per tali
ragioni, la ragionevolezza può essere fondamentale considerata ora una clausola
generale ora un mero criterio argomentativo utile nel momento applicativo. In goni
caso è giusto chiarire che la ragionevolezza non è né un valore né un principio tecnico,
34

SETE Document shared on www.docsity.com


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RAGIONEVOLEZZA # PRINCIPI FONDAMENTALI
né un principio fondamentale di rango costituzionale. Infatti i principi fondamentali
hanno 3 funzioni che li differenziano dalla ragionevolezza e sono: di fornire criteri


interpretativi di valutazione della legittimità degli atti normativi di rango inferiore,
contribuire alla costituzione di singole norme di condotta e fornire in alcuni casi la base
!
per pretese risarcitorie. La ragionevolezza invece è il mero risultato del concorso di più
principi ed è il criterio necessario per combinare e coniugare più interessi e più valori
tanto è vero che il concetto di ragionevolezza non può essere compreso se non
attraverso il concorso di più valori fondamentali patrimoniali e non, tutti orientati a
combinarsi o bilanciarsi fra loro in modo da esprimere in relazione al caso concreto ciò
che in un determinato ordinamento risulta più ragionevole. Sebbene la ragionevolezza
non può essere intesa come una clausola generale come il buon costume, l’ordine
pubblico ecc, le affinità con tali tecniche legislative sono numerose perché si tratta
comunque di concetti vaghi e generali siamo dinanzi, quindi, a dei concetti elastici che
attraverso la ragionevolezza vanno ad essere applicati, tali concetti, in modo da renderli
più conformi all’ordinamento vigente e ai suoi valori normativi. Le clausole generali
sono FRAMMENTI DI DISPOSIZIONE che richiedono attribuzione di significato
attraverso criteri o parametri di giudizio sia interni che esterni all’ordinamento e la
ragionevolezza come parametro esterno è quel criterio ermeneutico che opera a
prescindere da un espresso richiamo del legislatore utile quindi a risolvere il caso
concreto. Le clausole generale sono spesso considerate come norme filtro in quanto
creano un ponte tra regole specifiche e principi fondamentali facilitando la
concretizzazione di uno o più valori. La ragionevolezza è un criterio di argomentazione
per motivare qualsiasi frammento di disposizione.

Responsabilità dell’interprete relazione tra ragionevolezza e proporzionalità.


Il diritto è il mondo della decisione: decide il legislatore quando risolve i conflitti,
decide il soggetto quando s’interroga sulle modalità di esercizio del diritto o di una
situazione soggettiva determinando quindi la propria condotta, decide il giudice delle

ÉÉ leggi quando valuta la legittimità di costituzionale di una norma, decide il giudice


comune quando distribuisce ragione e torto alle parti in lite.
La decisione però alla base presuppone sempre un dubbio. Il passaggio dal dubbio alla

È decisione segue un percorso che porta dalla pluralità delle soluzioni possibili a quelle
che, con responsabilità, sceglie di adottare. Affinché la decisione sia realmente quella
più congrua e adeguata agli interessi richiamati e al diritto vigente ossia

FÈ all’ordinamento giuridico esistente i n un dato momento storico e ai suoi valori


normativi è essenziale un controllo di ragionevolezza. Il criterio di ragionevolezza aiuta
proprio a contestualizzare ogni decisione giurisprudenziale ed evitare che le soluzioni
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SETT Document shared on www.docsity.com


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siano tramandate o applicate a un nuovo caso senza un adeguato controllo e
dell’evoluzione del sistema ordinamentale. Dunque l’interpretazione sistematica va
reiterata a ogni nuova applicazione per soddisfare le istanze sempre diverse poste d
auna nuova e determinata fattispecie concreta. Il giurista è chiamato ad individuare in
ogni momento storico e nel particolare ambito territoriale ciò che alla luce di quel dato
sistema e di determinati valori possa essere o no considerato ragionevole.
Il legislatore prendendo coscienza della reale importanza del principio di
ragionevolezza e quindi di attare le norme al sistema vigente, storicizzando quindi la
norma, ha riconosciuto all’art1 l.24 marzo 2012 n.27 in tema di concorrenza e
liberalizzazione, la proporzionalità e la ragionevolezza quali criteri capaci di incidere
sia sulla validità che l’efficacia delle norme sia sulla loro interpretazione e
applicazione.
Infatti l’art.1 ha stabilito che sono abrogate: le norme che prevedono limiti numerici,
autorizzazioni, licenze, nulla osta o preventivi, atti di assenso dell’amministrazione
comunque denominati per l’avvio di un’attività economica non giustificata da un
interesse generale; le norme che pongono divieti e restrizioni alle attività economiche
non adeguati e non proporzionati alle finalità pubbliche perseguiti, nonché le
disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa
con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, che pongono
limiti, programmi e controlli non ragionevoli rispetto alle finalità pubbliche dichiarate
e che in particolare impediscono, condizionano o ritardano l’avvio di nuove attività
economiche o l’ingresso di nuove operatori economici, ponendo un trattamento
differenziato rispetto agli operatori già presenti.
Tuttavia l’art.1 comma 2 cit, ha previsto anche che le disposizioni recanti divieti,
restrizioni, oneri o condizioni all’accesso ed all’esercizio dell’attività economica sono
in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e
RAGIONEVOLMENTE proporzionato alla finalità perseguita di interesse pubblico
generale, alla stregua dei principi costituzionali secondo cui l’iniziativa economica
privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i
soggetti presenti e futuri ed aggiunge che sono permessi eventuali limiti e restrizioni
solo nei casi necessari per tutela dell’ambiente al paesaggio ecc.
Dagli esempi emerge che il giudizio dei valori non sono privi di fondamento razionale
che la teoria pura del diritto fondato sulla mera logica sono mere finzioni. Ogni
decisione non può mai essere neutrale poiché presuppone che, anche in presenza di una
chiara fattispecie, una scelta un atto selettivo, una rinuncia e la ragionevolezza sia sotto
forma di clausola generale sia quale criterio argomentativo rappresenta il filo
conduttore di ogni ragionamento giuridico che conduce alla definizione di un caso
attraverso la composizione e il bilanciamento tra opposti interessi e valori secondo le
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GET
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direttive dell’ordinamento vigente. Quindi la ragionevolezza è il mezzo per sindacare
e controllare l’applicazione di una normativa, per risolvere sistematicamente aporie,
antinomie non altrimenti superabili in via interpretativa. Il passaggio dalla legge al
diritto implica un’attività intellettuale attuativa di valori che caratterizzano il sistema
ordinamentale nel quale l’interprete svolge la sua attività. Il criterio di ragionevolezza
implica un controllo di conformità della soluzione non al diritto naturale ma al diritto
positivo cercando di coniugare fatto legge e sistema ordinamentale. Dalla riflessione
proposta è chiaro che la ragionevolezza ora è una clausola generale (quando richiamata
dal legislatore) ora un criterio argomentativo. C’è sempre bisogno di una corretta
utilizzazione e una particolare sensibilità dell’interprete in quanto non deve mai essere
uno strumento lesivo del principio di legalità in quanto si configura come un parametro
che deve essere saldamente ancorato ai principi fondamentali, è un concetto che va
storicizzato.
Si potrebbe pensare che ad una determinata interpretazione ci si potrebbe arrivare
facendo uso di altri concetti noti alla nostra tradizione come buona fede,
proporzionalità, abuso del diritto ma, tutti questi concetti, insieme, contribuiscono alla

È
soluzione di un problema giuridico.

¥ Si pensi alla rapporto tra ragionevolezza e proporzionalità; la ragionevolezza a


differenza della proporzionalità prescinde da una valutazione meramente quantitativa

:*:*
o di misura (la proporzione consiste nella giusta proporzione, quantificazione). Ciò che
è proporzionato non sempre è ragionevole. Un rimedio proporzionato, similmente ad
un divieto o ad una restrizione, può risultare irragionevole o incongruo agli interessi
coinvolti nel caso concreto.
Es: proporzionato ma irragionevole, nel nostro sistema, è la scelta condivisa dalla

È:
dottrina e dalla giurisprudenza statunitense fino alla metà del ‘900, di separare in egual
misura sugli autobus le zone riservate ai bianchi da quelle riservate ai neri, secondo la
nostra dottrina, separati ma uguali, è l’idea che il servizio offerto fosse formalmente
identico per entrambe le razze. La ragionevolezza, come in questo caso, può
giustificare la sproporzione proprio in virtù dell’esigenza di eguaglianza sostanziale.
Proporzionalità e ragionevolezza cooperano sempre nella decisione del caso, pur
divergendo sul piano concettuale.
Bilanciamento degli interessi e dei valori, ragionevolezza, adeguatezza e
proporzionalità, valenza dei principi sono canoni ermeneutici, parti essenziali del
bagaglio culturale di qualsiasi interprete e, come tali, contribuiscono al
ridimensionamento dei vecchi broccardi duri a morire, con una rinnovata attenzione
vero le conseguenze pratiche che non solo non dovranno essere assurde ma conformi
alla legalità costituzionale ed europea. Questa prospettiva esclude in radice anche il
rischio della c.d tirannia dei valori, il bilanciamento come dimostrato preclude ogni
37

Atf Document shared on www.docsity.com


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forma di tirannia o di abuso dettato dall’eventuale esistenza od operatività di un solo
principio o valore.

Compete al legislatore stabilire quali sono gli interessi prevalenti o prioritari


individuandone una gradazione o una gerarchia; spetta poi all’interprete applicarli nel
momento della decisione anche mediante la tecnica del bilanciamento.
Portalis rivela che: <<un codice, per quanto esauriente possa sembrare, non è mai
completo e lascia ai magistrati mille questioni impreviste cui rispondere. Ciò perché le
leggi una volta redatte rimangono come furono scritte. Gli uomini, al contrario, non
riposano mai, sono sempre operosi: tale movimento, che è inarrestabile, ed i cui effetti
vengono variamente modificati dalle circostanze, produce in ogni istante, nuove
combinazioni, nuovi fatti o nuovi esiti>>. All’interprete spetta il difficile compito di
ricerca, di ricognizione e di adeguazione e adattamento del dato normativo, non si tratta
di un’interpretazione storica, ancorata al tempo dell’emanazione della legge, ma di
un’interpretazione attuale, adattata alla vita d’oggi. Il giudizio di ragionevolezza
presuppone che punto di partenza non sia il testo, bensì il fatto della vita nel quale
rientra anche il singolo testo di legge che viene interrogato per individuare la risposta
più adeguata alle esigenze richiamate.

38

igf
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L'abuso dei diritti - Louis
Josserand

“L’Abuso dei diritti” Louis Josserand


PREMESSA
L’idea secondo la quale ricorra abuso quando un comportamento, pur coincidendo con il
contenuto del diritto dal punto di vista formale, in sostanza ne costituisce una deviazione
-poiché di fatto lede la sua specifica funzione e/o altri interessi meritevoli di tutela
coinvolti nel rapporto giuridico di cui è parte integrante la singola situazione soggettiva
come ad esempio la frode della legge e la tutela dell’apparenza- è tutt’oggi osteggiata, ed
ha radici lontane nel tempo. La scelta di tradurre questo volume trova giustificazione
nell’esigenza di riflettere in primis sulla modernità del pensiero del giurista francese, in
secundis sulla consapevolezza che non è possibile distinguere la tutela della parte lesa
dalla necessità di attuare l’ordinamento, poiché qualsivoglia potere di controllo, per un
verso, è attribuito al giudice nell’interesse non solo individuale ma generale, per altro
verso non è mai limitato, nell’applicazione, ai soli divieti espressamente previsti dalla
legge. .it/NTERessicaNUdti
ASPETIFORMAÙESTRUTURA
µ La valutazione del diritto non si limita agli aspetti formali e strutturali (la cosiddetta
valutazione statica delle situazioni soggettive), ma si estende ad un’analisi degli
Edo -

interessi coinvolti concorrenti nel singolo rapporto (inteso sotto il profilo funzionale,
come statuto-disciplina; ancora meglio, Perlingeri parla di ‘’ordinamento del caso
NTE concreto ‘’di interessi variamente correlativi, ciascuno dei quali è individuabile nella
Fà sua rilevanza giuridica solo in relazione con gli altri, e non a fini delimitativi, bensì di
reciproca funzionale coesistenza), in modo da intervenire con un giusto rimedio,
laddove si configuri una deviazione del potere non giustificata alla luce degli interessi e
ET dei valori coinvolti (valutazione cosiddetta dinamica).
-
Tuttavia, il tema dei rimedi in caso di abuso del diritto e uno dei più controversi.
Nuzzo riconosce che una cosiddetta regola di comportamento possa dar luogo in alcuni
casi a nullità del contratto, allorquando ‘’si accerti che non vi siano altri rimedi in grado
di realizzare un efficiente tutela dell'interesse leso. Spetta al legislatore individuare gli
interessi giuridicamente rilevanti e al giudice operare la valutazione comparativa e il
bilanciamento di questi interessi al fine di stabilire se uno di essi è stato ingiustamente
sacrificato e, in tal caso, deve verificare quale, tra i diversi rimedi in astratto previsti dall'
ordinamento, sia il più idoneo ad assicurare la effettiva tutela dell’interesse prevalente,
secondo i criteri di adeguatezza, proporzionalità, e ragionevolezza’’.
Perlingieri chiarisce il significato di queste parole: Nuzzo non intende affermare che
l'enunciato legislativo sia vuoto, ma soltanto che qualsiasi interpretazione deve essere
sistematica e assiologica in modo da tenere conto senz'altro del criterio stabilito
dalla singola legge, ma anche necessariamente dei criteri stabiliti dalle norme di
grado superiore. Si è già osservato, infatti, che l'interpretazione sistematica assiologica
non si esaurisce nell’interpretazione funzionale , perché la lettera di una disposizione
deve essere sempre modellata non solo alla luce della sua razio, ma anche alla luce della
razza del sistema giuridico di cui è parte, In modo tale da far rivivere l'idea del sistema
nel momento applicativo e al contempo annullare la distanza tra il metodo casistico e
quello sistematico, nonché fra quello sistematico e il metodo esegetico.
~

annullare ladistanzatradmetodocasisticoeque.lk
Sistematico .name#zaquellosistematieoeimehodo
esegetico .

pag
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Gli interessi, infatti, una volta riconosciuti dal sistema giuridico come meritevoli di
protezione tutela, hanno anche una funzione di controllo e di limitazione dei diritti e
delle situazioni giuridiche soggettive, le quali non possono essere valutate
singolarmente, ma sempre comunque alla luce della nozione di rapporto giuridico al
quale ineriscono. Proprio per questo risulta logica la conclusione che: se il
comportamento concreto non è giustificato dall' interesse che permea la funzione
del rapporto giuridico del quale fa parte la situazione, si configura un abuso della
stessa; in quanto un comportamento può ben coincidere con il contenuto formale del
diritto, ma costituirne in sostanza una deviazione, in considerazione non del singolo
potere riconosciuto al titolare della situazione soggettiva, ma della più ampia funzione
del rapporto che caratterizza la situazione.

Ciò impone all’interprete di superare la distinzione delle situazioni soggettive


patrimoniali in assolute e relative. L’indicata prospettiva impone di considerare il
divieto di abuso non come semplice enunciazione di un principio morale, né come
affermazione della consapevolezza socialmente raggiunta della superiorità degli interessi
della collettività, bensì come tecnica argomentativa da storicizzare, che consente, alla
luce degli insegnamenti della corte costituzionale, di valutare se e come lo svolgimento
concreto di un potere abbia interagito con altre sfere di interessi in astratto meritevoli di
tutela, in concreto suscettibili di essere sindacati nel loro esercizio secondo il metro della
ragionevolezza e della correttezza.

Dunque, mediante il concetto di abuso la situazione soggettiva è analizzata in relazione


all’interesse perseguito e alla modalità di esercizio del potere, così da superare
considerazioni solo statiche strutturali e approdare quindi ad un’analisi dinamica delle
situazioni soggettive, nell’effettività del loro esercizio in una prospettiva sempre
comunque razionale. Tuttavia, l’abuso non si risolve in una mera violazione del divieto
di “venire contra factum proprium’’, in quanto non presuppone per forza incoerenza o
contraddizione del comportamento realizzato; il venire contro il fatto proprio è un
principio specificativo della regola di buona fede, ma trova applicazione nei casi in cui
l’abusività della pretesa derivi dal confronto ma con un pregresso comportamento del
pretendente, che la faccia apparire sleale .

2. L’attualità del pensiero di Josserand E i confini del concetto di abuso

In Josserand si riscontrano le prime applicazioni dell’abuso motivate dalla necessità di


contrastare gli eccessi del diritto formale, spesso contrari alla funzione sociale della
proprietà e delle altre situazioni giuridiche soggettive; è anche vero, però, che la sua
prospettiva fu sottoposta a due giudizi negativi:
la critique de forme e la critique de fond.
Tali critiche sono oggi spesso pedissequamente riproposte dalla dottrina più scettica
contro la teoria dell'abuso, la quale da un lato dimostra poca sensibilità nei confronti
della domanda di giustizia, dall'altro manifesta limitata consapevolezza nei confronti
della giurisprudenza come scienza sociale. L'esistenza di un diritto, come l'esistenza

ESCE
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di una singola fattispecie o di una situazione giuridica soggettiva virgola non può
prescindere dalla coesistenza.

- LA CRITIQUE DE FORME si fonda sulla quesitone se la dottrina dell’abuso abbia


senso e giustificazione nel sistema, negando così l'essenza stessa della figura. Sebbene il
nome possa indurci in errore, si tratta di una critica sostanziale che muove le mosse da
un importante quesito: “Come può l’esercizio di un diritto configurare un abuso del
diritto stesso. Un unico e solo atto non può essere allo stesso tempo conforme al
diritto e contrario al diritto’’. Si affermava che "ho il diritto viene esercitato virgola e
allora non li può essere abuso, oppure, se vi è un fatto o un atto che è contrario al diritto,
allora non vi può essere esercizio di quest'ultimo.
In questa prospettiva l’espressione abuso del diritto sarebbe erronea poiché sarebbe, in .
realtà, un agire senza diritto, sicché l’atto abusivo si confonderebbe con l’atto esercitato
senza diritto perché dove c’è diritto, non c’è abuso. Dove comincia l’abuso, finisce il
diritto.

La dottrina dell’abuso sarebbe allora una logomakia, un bisticcio di parole, un vero e


proprio controsenso perché: QUI SUO IURE UTITUR, NEMINEM LEDIT (chiunque
si sia servito di un proprio diritto, non avrà leso nessuno).
Si trascura, tuttavia, che altro è l’attività abusiva a danno dei terzi posta in essere da un
legittimo proprietario (o da un debitore che ad esempio pur rimanendo nei termini del
contratto, ritardi l’esecuzione al fine di danneggiare il suo creditore), altra cosa è
l’attività illecita a danno dei terzi realizzata sul bene da chi non è proprietario dello
stesso, o da chi non è titolare di alcuna pretesa (così nel caso del debitore che si rifiuti di
eseguire la prestazione nel termine previsto dal contratto). Sicché non si può parlare a
riguardo di un’unica categoria, poiché l’abuso ha una funzione di adattamento del diritto
ai bisogni sociali storicamente connotati.
Non bisogna dimenticare che, alla luce della nozione di rapporto, l'esercizio di un diritto
può ben nuocere altri interessi meritevoli di tutela. Quindi, è vero che in astratto un
diritto o c'è o non c'è, ma al concreto momento dell'esercizio può assolutamente accadere
che l'attività o il comportamento del titolare di una situazione soggettiva sia lesivo di
altri interessi meritevoli di tutela.
Anche il controllo di abusività si risolve in un bilanciamento dei principi, in una
valutazione comparativa di interessi, in uno strumento di equilibrio dei diritti
individuali che si urtano vicendevolmente nelle vicende di vita quotidiana.

Criticamente, una parte della dottrina che non fa distinzione tra illecito e abuso,
continua a sostenere che il concetto di abuso del diritto sarebbe assurdo e contrario al
principio di non contraddizione, poiché si dice che del diritto o si è titolari, e allora non
vi può essere abuso, oppure del diritto non si è titolari e allora vi sarebbe in realtà un
agire senza diritto e non un abuso. Questo modo di ragionare, tuttavia, trascura che la
realtà è ben più complessa e che l’esistenza di un diritto non può prescindere dalla
coesistenza con altri diritti o situazioni giuridiche soggettive. Ciò che occorre, pertanto, è
preoccuparsi di realizzare il giusto contemperamento delle forze individuali che vengono
sempre in contatto.

E-
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Josserand superò queste critiche riconoscendo che si tratta solo di giochi di parole.
Infatti, il maestro francese obiettava non solo che non può essere trascurata la nozione di
rapporto giuridico (poiché un diritto non ha senso se non contrapposto ad altri diritti), ma
anche che il termine diritto ha un duplice significato: diritto soggettivo, ossia
situazione di vantaggio riconosciuta al soggetto, e diritto oggettivo, ossia l’ordinamento
giuridico che riconosce diritti e doveri soggetti.
Di conseguenza, l’esercizio abusivo è ricompreso nel contenuto della situazione
soggettiva ma al contempo contrasta con l’ordinamento giuridico, ossia il diritto
oggettivo. (Un proprietario potrebbe agevolmente rendere intollerabile la vita dei suoi
vicini con tenendo il suo diritto nei limiti oggettivi indicati dal legislatore) l’atto può
essere lecito in determinate circostanze e abusivo nel concorso di altre.
Uno degli aspetti centrali dell’abuso del diritto, considerato quasi la sua essenza, è: la
potenziale divergenza tra situazione soggettiva (il diritto) e l’ordinamento inteso come
insieme di regole, i principi.
Si può essere titolari di un diritto o situazione giuridica soggettiva e al contempo, con il
suo esercizio ci si può porre, a seconda delle circostanze concrete, contro l’ordinamento
o in concorso con altri interessi concorrenti meritevoli di tutela.
Inoltre, il contenuto della legge può essere limitato oltre che dalla legge stessa, anche
dal sistema giuridico vigente e dai suoi principi fondamentali, sicchè la legittimità
dell’esercizio dipende anche dagli interessi e dei valori normativi coinvolti. Questa
considerazione porta con sé un’ulteriore conseguenza: se l’abuso del diritto è una
tecnica argomentativa di natura relativa, al pari dei limiti, altrettanto saranno mutevoli i
criteri che consentono di individuarlo nel caso concreto. Ogni diritto ha una funzione
sociale, ed i relativi limiti sono fisiologici ed interni adesso. Obblighi e limitazioni
appartengono all'essenza stessa della situazione giuridica soggettiva, armonizzando il
perseguimento dell'interesse individuale con quello della comunità e l'utilità sociale.
Quindi, se è vero che un esercizio abusivo è in sostanza un agire senza diritto o
comunque oltre i limiti della situazione soggettiva riconosciuto dall’ordinamento, è
anche vero che il contenuto del diritto e molto più ristretto di quanto si possa
pensare, costituendo questa ipotesi dei limiti interni ad esso.

-LA CRITIQUE DE FOND, invece, è un rifiuto nella sostanza della teoria


dell’abuso sul piano della politica del diritto. Secondo tale critica la dottrina dell’abuso
legherebbe troppo il diritto alla morale, e di conseguenza annullerebbe i confini tra le
norme (giuridiche e morali) trasformando il giudice in un censore; verrebbe così
concesso un potere più esteso ai giudici tale da porli in una posizione superiore rispetto
alla legge, determinando così una riduzione di certezza del diritto.

In risposta a tale critica, si possono porre due fondamentali obiezioni: una


pre-costituzionale è una post-costituzionale.

-TEORIA PRECOSTITUZIONALE: il nostro autore osservava che da sempre diritto


e morale sono fisiologicamente collegati e l’abuso del diritto da questo punto di vista
non reca alcun tipo di pregiudizio essendo costantemente ricorrenti nell’ordinamento i
richiami alla solidarietà, all’uguaglianza, alla proporzionalità, alla funzione sociale, alla
buona fede, alla diligenza, al buon costume.

afta
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-TEORIA POSTCOSTITUZIONALE: Come seconda obiezione, invece, si può
osservare che il mutamento della teoria delle fonti porta necessariamente anche il
superamento della distinzione fra diritto costituzionale e diritto privato (diritto per
principi e diritto per regole); i rapporti tra principi costituzionali e regole ordinarie
sono quindi esprimibili non come rapporti tra sistemi normativi, ma come componenti
dell' unitario sistema ordinamentale al quale l'interprete deve sentirsi vincolato. Non si
tratta di una complementarietà tra sistemi singoli, ma di una coessenzialità strutturale:
sicchè ogni norma e norma di uno stesso ed unico sistema.
Viene inoltre superata anche la distinzione fra il bilanciamento del giudice e il
bilanciamento del legislatore; in astratto fra queste due forme di bilanciamento c'è
differenza: il bilanciamento del giudice deve opportunamente prevalere sul
bilanciamento del legislatore, in concreto al momento della decisione, non esiste una
distinzione fra queste due forme di bilanciamento!! Poiché, di fatto, nel momento
applicativo anche in presenza di una norma chiara, occorre sempre bilanciare regole
principi, sicchè la distinzione tra bilanciamento del giudice bilanciamento del legislatore
risulta falsa ed ingenua: in primis perché presuppone un'inammissibile separazione fra
regole principi, in secondo luogo perché rappresenta una distinzione priva di rilevanza al
momento applicativo.

Tanto meno risulta condivisibile l'idea, ancora sostenuta da una parte della dottrina,
secondo cui il diritto naturale e una cosa il diritto positivo un'altra; I valori non sono
conoscibili direttamente né per dimostrazione, né per intuizione poiché dei valori è
possibile soltanto una conoscenza per analogia, mediata dalle idee di valore che si
formano nello spirito umano. Seppure è possibile una distinzione tra diritto naturale e
=
diritto positivo sul piano concettuale, non si può tralasciare , proprio in virtù del
principio di legalità, che il costituzionalismo del secondo dopoguerra ha rinviato a un
diritto naturale distinto e sovrastante il diritto positivo, nonché incorporato negli
enunciati normativi della costituzione alcuni principi morali del diritto naturale
storicamente individuati e riconosciuti come ad esempio: solidarietà, salute, ambiente ,
sicchè questi valori normativi non possono essere in alcun modo trascurati dall'
interprete.
Per tutti coloro che volessero fondare il diritto solo sulle regole mettendo da parte i
principi si dovrebbe rispondere ‘’io non so di che mai si componga il sistema, se non si
compone di principi punto perché dunque tanta ostinatezza e tanta affettazione di
noncuranza per le più alte manifestazioni della scienza?!?!’’.

Questa evoluzione ha portato la scienza giuridica a riqualificarsi come disciplina


argomentativa o ermeneutica, aperta ai modi discorsivi della filosofia pratica; così
l'interpretazione giuridica assume il carattere di un discorso nel quale si fanno
valere argomenti e contro argomenti e alla fine decidono le ragioni dettate dalle
fonti contemperate con i valori normativi gerarchicamente superiori. In questa
prospettiva è superficiale sostenere che la teoria dell'abuso leda la certezza del diritto. La
certezza del diritto infatti è data dalla sua prevedibilità, controllabilità, verificabilità alla
luce non solo della legge puntuale ma del sistema ordinamentale vigente con i suoi
principi e i suoi valori normativi.

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Per quanto riguarda i timori di un potere sovralegislativo del giudice, si può osservare
che i presupposti dell'abuso, se applicati con rigore, non sembrano poter condurre
all’incertezza poiché non bisogna considerare abusivo ogni uso del diritto che
scandalizza o è sgradito. Vi è d'altronde ampio spazio per il controllo della sentenza e
la sua motivazione, la quale garantisce contro eventuali abusi dell’interprete. Del resto,
la certezza del diritto non è mai un requisito intrinseco del sistema o un dato
acquisito dalla legge, bensì è un obiettivo al quale deve tendere l'attività del giurista e
non è concepibile confutare una teoria affermando che non assicuri la certezza del
diritto.

i. Quindi, da una configurazione dell’abuso come criterio strettamente soggettivo,


rappresentato dall’intenzione di danneggiare o nuocere al prossimo, si è approdati ad un
criterio soggettivo attenuato, rappresentato dalla semplice colpa (non più dal dolo), per
poi giungere al 1942 ad un criterio economico produttivistico che si concretizza
sostanzialmente nella mancanza di un interesse serio e legittimo, ovvero di un'utilità per
l'autore dell'atto.
ESEMPIO: formulazione del divieto di atti emulativi, articolo 833 c.c.

A seguito di questi cambiamenti l'abuso ha necessariamente ricevuto una diversa


applicazione, poiché il personalismo ed il solidarismo costituzionali impongono
necessariamente di sindacare sempre comportamenti attività lesivi di interessi meritevoli
di tutela (tra cui quelli collettivi, della controparte o di terzi).

SI PASSA QUINDI DAL PRINCIPIO QUI SUO IURE UTITUR NEMINEM LEDIT
AL DOVERE DI RISPETTO ALTRUI NELLA VITA DI RELAZIONE E AL
DOVERE DI SALVAGUARDIA DELL’UTILITA’ ALTRUI
COMPATIBILLMENTE CON IL PROPRIO INTERESSE.
Quindi per escludere l'abuso, bisogna dimostrare la sussistenza di un serio e legittimo
interesse del titolare del diritto, nonché controllare la proporzione tra interesse
perseguito e danno arrecato, analizzare la ragionevolezza della situazione nonché la sua
conformità agli interessi e ai valori normativi coinvolti.
Ed è così che da un approccio soggettivo attenuato si passa ad una concezione di
3 abuso inteso come criterio teleologico funzionale tendenzialmente oggettivato, che
deve essere valutato alla luce degli interessi e dei valori normativi che sono parte della
legalità costituzionale.
Così l'abuso del diritto si risolve oggi in una distorsione oggettiva della situazione
soggettiva rispetto alla sua funzione, alla sua ragion d'essere e il rapporto giuridico del
quale parte integrante.

Arrivati a questo punto, il pericolo è quello di abusare dell’abuso, talvolta mediante


soluzioni non sempre condivisibili, talvolta mediante utilizzazioni improprie di questa
utile tecnica argomentativa;
ESEMPIO: parte della giurisprudenza e della dottrina parlano di abuso con riguardo
all'articolo 2560 C.C. co.2, rubricato debiti relativi all'azienda ceduta, il quale stabilisce

ATEE
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che: nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche la
parente dell'azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori.
Tale norma si pone certamente a tutela dell'acquirente e del principio di
conoscibilità in quanto è ingiusto che quest'ultimo si è esposto addebiti di cui possa non
avere avuto un' agevole conoscenza punto se diversamente fosse, si violerebbe la buona
fede e l'affidamento dell' acquirente e verrebbe pregiudicato l'interesse alla circolazione
di un bene produttivo ovvero l'azienda punto la norma quindi coniuga due esigenze
opposte ovvero la tutela dell'acquirente dell'azienda e dei creditori aziendali punto ogni
soluzione quindi dovrà essere finalizzata bilanciare queste due istanze appunto cosa
succede se il debito non risulta dai libri contabili obbligatori, ma si riesce a dimostrare
che l’acquirente ne abbia comunque avuto effettiva conoscenza ?????
Fermandoci ad un'interpretazione letterale dovremmo propendere per la tesi negativa.
Tuttavia, se abbiamo detto che tale norma tutela sia la conoscibilità che l'affidamento
dell'acquirente, questi dovrà senz'altro rispondere anche dei debiti che non risultano
dai libri contabili a condizione che si riesca a dimostrarne la effettiva conoscenza
dell’acquirente.
Tale soluzione trova conferma nella regola generale dettata dall’articolo 2193 c.c
secondo la quale: ‘’i fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione, se non sono stati
iscritti, non possono essere opposti ai terzi da chi è obbligato a richiederne l'iscrizione, a
meno che questi non provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza’’. Un' interpretazione
meramente letterale sarebbe quindi insensibile ai principi generali e alle preziose
indicazioni contenute nel su riferito articolo… sarebbe irragionevole e oltre modo lesiva
dei creditori aziendali!!!

NB: Un' attenta dottrina, tuttavia, osserva che la soluzione indicata non riguarda
un’ipotesi di abuso del diritto, si tratta invece di una mera interpretazione teleologica.
Infatti, è vero che la soluzione evita che ci possano essere abusi nei confronti dei
creditori aziendali, ma nel caso di specie non si tratta di abuso del diritto ma di
un'interpretazione sistematica e più ragionevole del 2560.

Il dibattito fra giurisprudenza e parte della dottrina circa l'abuso del diritto è davvero
ampio, con la conseguenza che si è andati a svilire questo concetto dilatandone oltre
modo i confini; senz'altro è preferibile la prospettiva che, in costanza di abuso, non
individua un unico rimedio, ma ne ammette una pluralità da individuare volta per volta
secondo i criteri di proporzionalità e di ragionevolezza al fine di identificare quello più
congruo per gli interessi coinvolti , considerato che il risarcimento, l'invalidità, il
sequestro , la risoluzione, o la recessione, non hanno negli stessi presupposto né tanto
meno i medesimi effetti.

Al giurista spetterà il compito di evitare l'abuso dell'abuso del diritto e di bilanciare con
ragionevolezza l'uso corretto non lesivo delle situazioni giuridiche soggettive, secondo le
funzioni alle stesse assegnate dall' ordinamento, secondo la certezza del diritto, con il
connesso corollario della prevedibilità e della controllabilità delle soluzioni giuridiche e
degli atteggiamenti giudiziari. L'abuso dell'abuso va quindi senz'altro respinto con la
consapevolezza che non è possibile diminuire l’effettività della tutela giurisdizionale per
il timore di incontrare giudici poco consapevoli della propria funzione. Diversamente si

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darà spazio all’arbitrio dei privati e del mercato. Del resto, ogni questione si risolverà
sempre in un problema di bilanciamento di principi e interessi coinvolti nonchè in
un controllo di ragionevolezza, poichè il diritto è un mezzo limitato e spesso povero
come tutti gli artifici umani, e solo la giustizia è un fine, una giustizia che con il
costituzionalismo trova la sua certezza nella legalità costituzionale e nelle fonti di grado
superiore.
Un ordinamento giuridico perfetto non può esistere, e concretamente non è mai esistito,
vive solo nelle menti dei giuristi ansiosi di placare le loro paure e insicurezze. Meglio un
ordinamento più incerto che tuttavia tende alla giustizia, piuttosto che un ordinamento
perfetto ma certamente più iniquo. Il giudice non può applicare le leggi in maniera
meccanica; sarà inevitabilmente portato ad ispirarsi al perché dei diritti per poter
stabilirne la sfera di applicazione e per realizzarne il giusto equilibrio. Il giorno in cui
cessi di fare ciò trasformerà il diritto in un qualcosa di ripugnante perdendo ogni ragion
d'essere ed ogni autorità.

Con il tempo questi criteri sono stati assorbiti in un unico parametro perlopiù
oggettivato, non implicante il richiamo alla morale del giudice o di un qualcosa che sta
di là dell’ordine giuridico positivo, ma che impone la mera attuazione di questi valori
normativi anche non patrimoniali, che sono parte del sistema giuridico vigente. Così
l’abuso del diritto pur configurandosi come una tecnica argomentativa, da
storicizzare secondo le ideologie presenti nelle diverse epoche, si risolve oggi in una
distorsione oggettiva della situazione soggettiva rispetto alla sua funzione, in quanto
ogni comportamento inserito in un rapporto deve essere sottoposto ad un controllo di
conformità degli interessi e i principi fondamentali coinvolti nel caso concreto.
E’ necessario il criterio della ragionevolezza quale parametro di valutazione del
comportamento dei contraenti, sicché la sua mancanza può configurare un indizio di
abuso. Inoltre, in costanza di abuso non si individua un unico rimedio, ma si ammette
una pluralità di rimedi da individuare volta per volta secondo i criteri di

È
proporzionalità e di ragionevolezza, al fine di identificare quello più congruo agli
interessi in concreto coinvolti, posto che risarcimento, invalidità, sequestro, riduzione di
equità, risoluzione, non hanno gli stessi presupposti e i medesimi effetti. Sul punto
Perlingieri chiarisce che, in presenza di un comportamento abusivo, si è optato talvolta
per la revoca dell’atto stesso e l’eliminazione dell’atto scorretto (nel caso abusivo di
ricorso alla Richiesta di fallimento), talvolta per l’azione inibitoria risarcimento del
danno, talvolta per il sequestro della cosa ricevuta impegno dal creditore, talvolta per la
risoluzione, in caso di comportamento abusivo tale da configurare l’inadempimento
dell’obbligazione di eseguire il contratto secondo buona fede ai sensi dell’articolo 1375
del codice civile (così il celebre caso Fiuggi). In tutti questi casi un rimedio risarcitorio
non avrebbe la medesima effettività o funzione dissuasiva. Quindi nonostante si sia
osservato che in materia contrattuale l’atto abusivo, in quanto tale contrario alla
buona fede, è di regola atto invalido destinato ad essere privato gli effetti, talvolta la
nullità non è il rimedio più congruo, perché anche in presenza di una norma
imperativa, l’opzione demolitoria non sempre rappresenta la scelta più adeguata alla
ratio della norma e al soddisfacimento degli interessi da tutelare. Tra l’altro la
violazione della buona fede non comporta di per sé unicamente il risarcimento del
danno, né l’eliminazione degli effetti dell’atto scorretto, ma può determinare anche

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una sorta di esecuzione in forma specifica. Cioè una cosa è il risarcimento del danno,
altro è ricercare delle misure idonee ad evitare il ripetersi del pregiudizio.
Al giurista, tuttavia, resta il compito di evitare l’abuso dell’abuso del diritto e di
bilanciare con ragionevolezza l’uso corretto e non lesivo delle situazioni giuridiche
soggettive. Del resto, ogni questione dalla più stravagante alla più conosciuta, si
risolverà sempre in un bilanciamento di principio interessi coinvolti perché il diritto è un
mezzo limitato spesso povero come tutti gli artifici umani, e solo la giustizia è un fine,
una giustizia che con il costituzionalismo trova la sua certezza nella legalità
costituzionale e nelle fonti di grado superiore. Meglio un ordinamento più incerto che
tende alla giustizia piuttosto che un ordinamento perfetto ma più iniquo. Il giudice
investito del compito di applicare le leggi, non può farlo in maniera meccanica ma sarà
pertanto tenuto ad ispirarsi alla funzione, al perché hai dei diritti per poter stabilire la
sfera di applicazione per realizzare il giusto equilibrio.

L’ABUSO DEI DIRITTI_ PREMESSA

Coloro che rimproverano ai giuristi una sgradevole propensione alle sofisticherie,


vengono definiti da Josserand ‘’menti scarsamente colte’’; ironicamente, commenta che
sicuramente ignorino la storia della responsabilità e ciò che c'è voluto per diciamo
mitigare, o comunque limitare il principio neminem laedit qui iure suo utitur. La vita è
un groviglio dove interessi, legittimi o no, si intersecano e si scontrano senza tregua; il
loro isolamento sarebbe la negazione stessa del sociale o addirittura la negazione della
loro esistenza giàcchè un diritto non ha senso se non contrapposto o comunque
considerato in relazione ad altri diritti : poiché è proprio a prezzo della lotta e per un
gioco di contrasti che riesce a conquistare la sua individualità.
Il ruolo del legislatore pertanto consiste nel dirimerne la lotta, realizzando il giusto
contemperamento delle forze individuali che sempre vengono in contatto. I diritti, non
essendo altro che interessi regolamentati, rappresentano forze aventi una naturale
propensione ad espandersi, si pensi alla proprietà: un proprietario potrebbe agevolmente
rendere intollerabile la vita i suoi vicini contenendo strettamente il suo diritto nei limiti
oggettivi indicati dal legislatore. Lasciare ad un diritto ogni libertà di realizzazione,
significherebbe probabilmente preparare la disfatta di diritti contrastanti, e la
conseguente disfatta della propria e dell'altrui libertà.
I rapporti giuridici richiedono di essere limitati non solo in teoria, ma nei fatti e
soprattutto nella loro realizzazione. Tale limitazione può assumere una duplice
accezione, o meglio forma: oggettiva e soggettiva

-Quella oggettiva, limiterà il diritto nei suoi effetti, nella sua intensità di azione, nella
sua nocività, lasciando il titolare i rischi inerenti al suo esercizio: sarà di natura
quantitativa.

-Tuttavia, una limitazione oggettiva non sarebbe sufficiente. La nostra giurisprudenza


infatti ha elaborato un limite ancora più imperioso ed equo, di natura soggettiva (chi di
fatto la completa e la sovrasta). Tale limitazione muove dall’idea che ogni istituzione
abbia il suo destino che rappresenta la sua ragion d'essere, i privati non possono deviarla
a loro piacimento, poiché vi sarebbe un abuso di questo diritto; in quanto tale diverrebbe

-7A
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fonte di responsabilità in capo al suo autore. La lesione di interessi altrui può essere il
risultato legittimo delle nostre azioni, ma in nessun caso può esserne il movente. Sulla
legittimità della nozione di abuso sono legate le sorti del diritto: si tratta di comprendere
se il diritto possa dare rifugio all'ingiustizia, mediante un'interpretazione oltraggiosa, o
debba umanizzarsi profondamente al soffio dell’equità, affinché il summum iuris non si
trasformi in summa iniuria.
Capitolo 1 - L’abuso dei diritti nel diritto comparato
Lo studio del diritto comparato è fecondo soprattutto per l’orientamento che è in grado di fornire.
Nel rivelare le tendenze, il divenire degli istituti, evita al giurista, al magistrato, allo stesso
legislatore, molte incertezze e fraintendimenti giuridici. Ora, il mondo giuridico, è attraversato da
una doppia corrente di pensiero: individualista e sociale.
1. La corrente individualista, che meriterebbe anche l’appellativo di assolutista è quella che
caratterizza e guida il popolo anglosassone. Nel profondo delle loro istituzioni, come nella
loro filosofia o nei loro atti, gli Anglosassoni sono individualisti. Per essi agire è tutto; i soli
individui che contano ai loro occhi sono gli uomini nell’areno. Il compito del legislatore è
quindi tracciato: non deve garantire il regno della giustizia distributiva, ma mettere i
cittadini in grado di sviluppare liberamente le proprie capacità e raggiugere il loro pieno
potenziale. Ogni azione vantaggiosa al suo autore ha per contropartita fatale un danno
causato ad altri. (Montaigne).
Le implicazioni di questo orientamento sono innumerevoli: i giuristi inglesi e americani le
deducono senza pietà, quasi con orgoglio, in particolare Fédérick Pollock, uno dei più famosi tra
loro. Nella sua opera sulla responsabilità civile “The law of Torts”, tale autore illustrava il principio
caro ai suoi compatrioti dell’immunità nell’esercizio dei diritti. E’ il caso del proprietario che può
godere all’infinito del suo bene anche per nuocere al suo vicino, nascondendogli la visuale o
prosciugandogli le acque che sgorgavano sul suo fondo. Secondo consolidata giurisprudenza della
Camera dei Lords mai un utilizzo legittimo della proprietà, se ispirato da un motivo corretto,
potrebbe divenire illegittimo perché determinato da un movente scorretto o anche malizioso.
Sì che il capo può licenziare il suo dipendente, nel rispetto dei termini d0uso, senza dover rendere
conto della sua decisione: le ragioni che lo hanno spinto sono indifferenti, immateriali. Allo stesso
modo, nel caso dell’attore il quale, pur agendo in mala fede, non potrebbe essere condannato, nei
confronti del convenuto vincitore, che al pagamento delle sole spese processuali: il diritto di agire in
giudizio può mai divenire fonte di responsabilità? L’abuso dell’azione processuale non costituisce
un “actionable wrong”, un danno giuridicamente riprovevole, un illecito. In tal modo
immaginavano i rapporti giuridici i cittadini dell’antica Roma, i quali non ritenevano eccessivo che
i creditori si contendessero i pezzi del loro debitore, né che un capofamiglia esercitasse
sovranamente il diritto di cita o di morte di sua moglie, sui suoi figli, sui suoi schiavi. Ma, a Roma,
il rigore di tale sistema non durò a lungo: i cittadini della Repubblica e ancor più quelli dell’Impero,
furono chiamati a sperimentare una concezione dei diritti più in armonia con il genio della razza
latina, maggiormente sensibile e incline ai pensieri altruistici: questo concetto è proprio l’abuso dei
diritti.
La trasformazione è classicamente nota per la potestà maritale e la potestà dominicale. Alcuni
frammenti del Digesto alludono ad abusi del diritto di proprietà, tra i quali figura quello in cui
Ulpiano aggiunge che questa solzuone è corretta soltanto quando il proprietario abbia agito “Sum
agrum meliorem faciendi” non invece se ha praticato gli schiavi animo vicino nocendi. Il diritto di
proprietà pertanto fa nascere delle responsabilità in capo al suo titolare se questi lo esercita
maliziosamente. E’ una limitazione di ordine soggettivo, psicologico, che il giurista apporta alla
realizzazione pratica del dominium ex jure Quiritium; è un’applicazione che rende chiara la
concezione dell’abuso dei diritti.
Ma l’applicazione romana più sintomatica è forse quella inerente il diritto di diseredazione. Questo
diritto era originariamente assoluto, così come illimitato era lo stesso potere del pater familias; ma
presto grazie alla teoria consuetudinaria, venne esercitato consapevolmente. Quando venne

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elaborata questa teoria consuetudinaria i centumviri non fecero altro che proclamare la possibilità
dell’abuso del diritto di diseredazione; delimitarono questo diritto con limiti soggettivi.
Terreno fertile per la piena fioritura furono i Paesi germanici. Era già scritto nel codice prussiano
che non si deve risarcire un danno cagionato dall’esercizio di un proprio diritto, a meno che, tra
diversi modi di esercitarlo, sia stato di proposito scelto quello che potrebbe essere pregiudizievole.
Ma il codice civile tedesco del 1900 riservò al concetto di finalità ampio rilievo; può affermarsi che
la nozione di abuso dei diritti plana al di sopra della grande opera legislativa. Questa supremazia,
tuttavia, non venne riconosciuta in maniera indiscussa, dal momento che l’art. 705 del progetto
iniziale non riconobbe alcuna responsabilità in capo all’autore dell’esercizio di un diritto; si
affermava chiaramente la irresponsabilità di ogni titolare di un diritto definito nell’esercizio dello
stesso.
2 Ma il Bundersat presto gettò le basi per una concezione completamente diversa: dichiarò illecito
l’esercizio del diritto di proprietà realizzato con lo scopo di nuocere altri. E l’art. 826 stabilisce che
“chiunque, con un atto contrario al buon costume, reca deliberatamente un danno ad altri, è tenuto a
risarcire il danno causato”; applicando la teoria dell’abuso agli atti giuridici “un atto giuridico
contrario al buon costume è nullo”.
Indubbiamente il futuro appartiene alla tendenza sociale e moralizzatrice, dal momento che la stessa
guadagna terreno mentre la sua rivale ne perde visibilmente. Che la teoria dell’abuso dei diritti si
sviluppi presso i popoli germanici come tra la razza latina p quanto risulta da un esame anche
sommario, delle legislazioni straniere: in Germana, con il codice civile, è giunta alla fase della
sistematizzazione; in Svizzera sta per trionfare ufficialmente, giacché l’art. 3 comma 2 del progetto
del c.c. federale è così concepito. “il manifesto abuso del proprio diritto non è protetto dalla legge”.
E’ entrata pian piano anche in Inghilterra nei periodo delle transazioni: il più individualista dei
popoli non può isolarsi dalle tendenze sociali contemporanee. Tale diritto, già considerato come
assoluto, attualmente è suscettibile di riconoscere la responsabilità in capo a coloro che la
esercitano. Ciò è particolarmente evidente con riguardo al diritto di agire in giudizio.
Piano piano la tendenza sociale e morale entra anche in Inghilterra: il più individualista dei popoli
riconoscendo responsabilità in capo a coloro che esercitano un diritto in maniera controfunzionale
anche e soprattutto in relazione al diritto di agire in giudizio (con la l. 14 agosto 1896). Anche in
America il tutto si raggiunse con l’Atto Chamberlain del 1897: siamo responsabili ogni volta che
agiamo sia quando con la nostra azione facciamo valere un diritto sia quando realizziamo,
puramente e semplicemente, la nostra libertà.
CAPITOLO II – L’abuso dei diritti nella giurisprudenza e nella legislazione
francese
I primi successi ottenuti dalla nozione di abuso dei diritti sono frutto di un movimento
giurisprudenziale e non frutto del lavoro della dottrina. Un movimento ha sempre delle profonde
ragioni, superiori agli argomenti testuali e più antichi adagi; risponde immutabilmente a
considerazioni morali, a necessità sociali di ampiezza ed intensità tali che ogni resistenza è
condannata a rimanere vana.
Nella giurisprudenza sull’abuso dei diritti si rinvengono abbondanti materiali. L’idea principale di
questa giurisprudenza è penetrata nei diversi rami della scienza, al punto da invaderli tutti. I nostri
tribunali non ammettono che un diritto, quale esso sia, possa realizzarsi in maniera antisociale,
contraria alla sua finalità. Hanno avuto l’opportunità di applicare tale legge sociale:
 I diritti extracontrattuali, e con tale espressione si intendono quelli che possono esistere ed
esercitarsi indipendentemente da qualsiasi idea di contratto;
 I diritti contrattuali, vale a dire i diritti che evocano l’idea del contratto, che si muovono e
realizzano in ambito contrattuale.

GETTA
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I. Diritti extracontrattuali
I diritti extracontrattuali soni tutti dominati dalla nozione di abuso, sia che abbiano natura
patrimoniale, sia che appartengano al diritto di famiglia.

I. Diritti patrimoniali
II. Diritto di proprietà
E’ il diritto assoluto per eccellenza. I poteri pubblici riconoscono e garantiscono un diritto di
proprietà non certo per consentire di danneggiare il proprio vicino. La volontà di pregiudicare altri
è, per sua essenza, antisociale; non rappresenterebbe mai la finalità di un qualsiasi concetto
giuridico. Seguendo le riflessioni della Corte di Colmar: “Si parte dal presupposto che il diritto di
proprietà sia un diritto in un certo senso assoluto, il quale consente al proprietario di usare e abusare
del bene; tuttavia, l’esercizio di tale diritto, come quello di ogni altro, deve avere per limite la
soddisfazione di un interesse serio e legittimo. I principi della morale e dell’equità consentono che
la giustizia punisca un’azione ispirata dalla cattiveria, compiuta sotto l’influenza di una malvagia
passione, non giustificata da alcuna utilità personale e volta ad arrecare un grave pregiudizio ad
altri.
. Ecco come la nozione di abuso mette a nudo l’anima stessa della proprietà individuale, l’interesse
egoista del titolare. Tutto ciò che si chiede al proprietario è di utilizzare il suo diritto nel proprio
interesse. Questo interesse rappresenta la più sicura garanzia di realizzazione sociale del diritto; là
dove manca, la condotta del proprietario diviene sospetta e se, nello stesso tempo, provoca danni ad
altri, risulta antisociale e impone pertanto una sanzione giuridica.
2. Diritto di ricorrere alle vie legali
La parte che difende i suoi interessi dinanzi ai tribunali adempie, nello stesso tempo, secondo
l’osservazione di Jhering, un dovere individuale e un dovere sociale: un dovere individuale in
quanto in ultima analisi, lotta per se stesso; un dovere sociale, giacché difendendo il suo diritto,
offre il suo contributo alla realizzazione dell’idea del diritto sulla terra. L’abuso può essere
commesso dall’attore nell’esercizio del diritto; colui che intenta una causa legale o che resiste a una
domanda attorea con scopo malvagio o vessatorio incorre, per questa ragione, in una condanna al
risarcimento per danni supplementari, giacché se colui che ricorre alle vie giudiziarie per ottenere il
pagamento di quello che gli è dovuto non fa altro che esercitare un diritto legittimo, diversamente
accade per colui che ricorre abusivamente, con malizia o spirito vessatorio, o anche con dolo.
Poco importa che la mala fede della parte si manifesti all’inizio dell’azione stessa o nella fase di
difesa o nello svolgimento del processo; i mezzi processuali, legittimi che siano, oggettivamente
considerati, possono a ragione dell’intento che li ha mossi, comportare delle responsabilità per colui
che li utilizza. Il ricorso alle vie legali comporta le stesse riserve, gli stessi limiti soggettivi della
proprietà. (INTERESSE SERIO E LEGITTIMO).

Terza
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2. Diritto di esprimere il proprio pensiero; libertà di stampa
Questa libertà comporta numerosi temperamenti, la maggior parte tratta dai motivi che ispirano lo
scrittore; non si vuole che il diritto di esprimere il proprio pensiero, diritto natura e imprescrittibile,
possa essere antisociale. Il suo utilizzo egoistico non è pericoloso. Se diviene dannoso per altri,
divien pericoloso per chi scrive, è un beneficio revocato alla società e bon più l’interesse
individuale dell’agente che salva gli atti dannosi dalla responsabilità per fatto illecito. Ognuna
afferma che i reati di diffamazione e ingiuria non esistono al di fuori dell’intenzione di nuocere. Ma,
al contrario, questa intenzione può bastare a far sorgere responsabilità di chi parla o scrive.
E’ la stessa comune misura a delimitare i diritti della critica. E’ possibile che le valutazioni
sfavorevoli di un influente cronista nuocciano alla riuscita di un saggio o di un libro, on avendo il
pubblico altro parere che quello preso in prestito. Tuttavia, l’autore di queste critiche godrà di una
completa immunità se è stato guidato dall’unica preoccupazione di dire il vero, in maniera
coscienziosa e sincera. Al contrario, sarà responsabile qualora i suoi attacchi, per la loro
sproporzione, abbiano assunto carattere personale.
2. Diritto di sciopero
Tale diritto trova espressione in un articolo anonimo inserito negli Annales de droit commercial del
1904. L’autore ritiene che lo sciopero aleggia sui contratti, è più forte di loro. Ciò significa che gli
scioperanti non incorrono mai in responsabilità, a meno che non commettano un reato vero e
proprio. E questa soluzione deve essere del tutto indipendente dal conoscere se di fatto lo sciopero
sia o no giustificato, se gli eventi gli abbiano o no dato ragione, se gli operai ne abbiano fatto
ricorso in maniera saggia e consapevole. In ogni caso è legittimo a condizione che sia stato privo di
manovre che contribuiscano a farlo ricadere in ambito penale. In ogni caso le regole del diritto dei
contratti si piegano ad esso.
Il diritto di sciopero si identifica con gli interessi professionali degli operai o impiegato; è per la
salvaguardia dei loro interessi che il diritto di coalizione è concesso, e soltanto se impiegato a tal
fine gli operai avranno carta bianca e potranno invocare l’immunità per lo sciopero. Altrimenti, il
diritto, essendo deviato dal suo scopo, diviene nella misura del pregiudizio causato per la sua
realizzazione, fonte di responsabilità. E’ proprio seguendo tale orientamento che sono state emanate
delle decisioni che affermano che la responsabilità degli scioperanti può essere imputata sia al
datore di lavoro sia nei riguardi degli operai o dei caporeparti boicottati, quando l’intenzione di
nuocere costituisce l’unico motivo della loro determinazione, non essendoci altro interesse
professionale legato alla misura che pretendono di dettare al loro datore.
Una malvagia intenzione o un litigio personale non può costituire chiaramente una legittima causa
all’esercizio del diritto di sciopero; come gran parte dei motivi estranei agli interessi professionali
delle parti coinvolte: senza alcuna distinzione, fanno degenerare in abuso l’esercizio del diritto che
diviene allora fonte di responsabilità.

2. Diritti di famiglia
Per la patria potestà il risultato fu compromesso dal Codice civile: i redattori sembrarono avere fatto
di tale potestà un diritto esclusivo le cui prerogative potessero essere ampiamente esercitate dal
pater familias. Nessun correttivo su base soggettiva fu previsto dalla legge a questa onnipotenza che
evocava il ricordo della patria potestas romana; in specie, nessuna disposizione del c.c. prevedeva
che i genitori potessero essere privati della potestà. La giurisprudenza si impegnò a farlo rivivere:
senza arrogarsi il diritto di sottrarre ai genitori indegni la potestà, non esitò a privarli di una delle
prerogative di questo potere e, in particolare, del diritto di affidamento. Fu riconosciuto che
l’autorità paternale fosse suscettibile di abuso e istituita non per il beneplacito del suo titolare ma
per uno scopo più alto, nell’interesse della famiglia e dei figli. Le leggi del 1874, del 1889 e de
1898 non hanno fatto altro che introdurre in ambito legislativo una teoria felicemente elaborata dai
tribunali: già da diversi anni la patria potestà era limitata.

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Anche il potere maritale si è addolcito: indipendentemente dal testo, la giurisprudenza nega la
marito il dirotto di vietare arbitrariamente alla propria donna ogni relazione con i suoi parenti. E’
con riguardo al diritto di perseguire l’annullamento degli atti che si riconosce la possibilità di un
abuso. La Corte di Parigi infatti ha negato al marito l’azione di nullità perché, dalle circostanze di
causa, risultava che egli si proponeva di farne un uso anormale e poco onorevole.
II. Diritti contrattuali
I diritti che richiamano inevitabilmente l’idea di contratto sono suscettibili di abuso che può
manifestarsi: 1) nella conclusione o nel rifiuto di concludere un contratto; 2) nella sua esecuzione;
3) nella sua risoluzione.
1. Abuso compiuto nella conclusione o nel rifiuto di concludere un contratto (abuso della
libertà contrattuale)
Il Tribunale civile di Bordeaux in una sentenza ben redatta, ha ammesso che il datore di lavoro
possa essere considerato responsabile del rifiuto di assunzione qualora lo stesso rifiuto sia motivato
dalla circostanza che i proponenti facciano parte di un sindacato. Nel caso di specie, tale
atteggiamento negativo del datore aveva portato un buon numero di operai a lasciare in sindacato al
fine di non affrontare un sistematico rifiuto di assunzione. Per questo motivo il presidente di tale
associazione reclamava un’indennità, poi concessa dal Tribunale civile di Brodeaux, essendo stato
provato che il datore avesse agito con cattiveria, arrecando un danno ad altri per nulla, per puro
piacere, con lo scopo proibito di ostacolare il funzionamento di un’istituzione giuridica.
La soluzione è pienamente compatibile con la teoria dell’abuso dei diritti, poiché desunta da un
motivo antisociale, illecito, che aveva spinto il datore al rifiuto, a minare il sindacato degli operai,
istituzione regolare e legale. Tutta l’importanza assegnata al motivo degli atti giuridici dal diritto
francese è collegata alla teoria della causa, un contratto è nullo quando la sua causa è illecita, ossia
quando essa si presenta come contraria alla legge, al buon costume o all’ordine pubblico (art. 1133
c.c.). ora la causa è senza dubbio, una nozione intenzionale.
La nostra giurisprudenza invece ha da tempo infranto il quadro tradizionale. Di frequente, essa
colpisce le transazioni conservando i motivi che, nella concezione dottrinale e classica, restano
esterni alla causa. E’ quanto accade per le liberalità, con la teoria della causa impulsiva e
determinante. Costantemente, si afferma la nullità delle donazioni o delle eredità quando il
benefattore si è lasciato guidare da un pensiero illecito, e questo con grande disapprovazione della
dottrina la quale eccepisce che ogni liberalità, per definizione, ha per causa unica e necessaria
l’intenzione liberale, e che tale intenzione, per sua stessa astrazione, non saprebbe essere illecita.
La nostra giurisprudenza ha una chiara attitudine a prendere in considerazione i motivi estrinseci al
contratto, in esso non cristallizzati e, allo stesso modo, ad ampliare la teoria della causa. Facendo
questo, obbedisce al legittimo bisogno di risalire alla volontà stessa. Imbocca la strada seguita dal
legislatore tedesco; ricerca e reprime gli abusi ai quali può dar luogo, nella sua realizzazione, il
principio di autonomia della volontà al quale assegna una finalità come ad ogni regola o prerogativa
giuridica.

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2. Abuso compiuto nell’esecuzione dei contratti
E’ in questo contesto, forse, che gli abusi sono meno frequentemente concepibili. Il creditore può
esigere l’esecuzione del debito, il debitore deve eseguire la prestazione; a malapena si comprende
come tali prerogative o tali doveri possano dar luogo ad abusi. Tuttavia, non è inutile constatare
che, secondo l’art. 1134, comma 3, c.c. “i contratti devono essere eseguiti secondo buona fede”. A
tale concetto si collegano altre disposizioni legislative, come l’art. 1246 che afferma che “se il
debito ha per oggetto la prestazione di cose determinate soltanto nel genere, il debitore, per essere
liberato, non sarà tenuto a dare cose migliore, ma non potrà offrire cose peggiori”.
3. Abuso compiuto nella risoluzione dei contratti
Attiene ai contratti che, sfuggendo al diritto comune, sono suscettibili di risolversi mediante un
recesso unilaterale; ognuna delle parti ha diritto di revocare l’accordo malgrado esso sia frutto
dell’incontro di più volontà. Questo diritto non è assoluto; il contraente che lo esercita, è sicuro, a
quanto pare, dell’immunità, indipendentemente dal motivo che lo anima. Il diritto di recesso
unilaterale non ha però sempre carattere assoluto; nelle sue applicazioni è stato, dalla legge o dalla
giurisprudenza, considerato suscettibile di abuso, e taluni ambiti gli sono vietati.
a. Il mandato ce ne offre una doppia testimonianza. Esso può estinguersi con la sola volontà
del mandante come con quella del mandatario; nell’una come nell’altra eventualità, il diritto
di risoluzione è soggettivamente limitato. L’art. 2004 c.c. riconosce che il “mandante può
revocare la sua procura ogni volta che vuole..”. questa disposizione non sancisce il diritto di
revoca ad nutum? La giurisprudenza lo nega e reputa che il mandante sia responsabile
quando esercita la facoltà di revoca senza preavviso, in maniera ingiustificata senza legittimi
motivi.
Già la Corte di Douai aveva abbracciato questa tesi nella decisione del 1891; qualche anno dopo, la
Corte di Lione aveva stabilito, in modo più formale, che il mandante non potesse revocare
impunemente il suo incarico in maniera brusca, intempestiva: il risarcimento è dovuto per il
pregiudizio ingiusto causato al mandatario mediante una decisione la severità della quale non si
giustifica con alcun motivo plausibile.
b. Anche per il contratto di società è previsto lo scioglimento unilaterale, almeno quando ha
durata illimitata; ogni socio può porvi fine con un atto di volontà. Ma tale ultima
disposizione apporta subito una limitazione all’esercizio del diritto di recesso: prevede che
sia in buona fede e non esercitato fuori tempo. Ora, la giurisprudenza fa del recesso in mala
fede un concetto ben più ampio di quanto indicato nell’art. 1870, secondo il quale “Il
recesso è in mala fede quando il socio recede al fine di attribuire soltanto a sé gli utili che gli
altri soci si erano proposti di dividere in comune”. I nostri tribunali riconoscono il potere di
ricercare in ogni aspetto della causa gli elementi costitutivi della mala fede e, ad esempio, in
questo caso, che il recesso sia ispirato alla volontà di eludere il pagamento delle quote delle
quali il socio è debitore verso la società.

c. E’ il contratto di servizi a tempo indeterminato che rappresenta attualmente l’ambito di


realizzazione per eccellenza dell’abuso del diritto di recesso unilaterale. Sotto l’influenza del
Codice civile, e malgrado il silenzio del legislatore, la giurisprudenza e la dottrina avevano
riconosciuto ad ognuna delle parti la possibilità di risolvere il contratto con una semplice
manifestazione di volontà. Ma la corte d’appello e la Corte di cassazione avevano ritenuto di

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dover prevede, per l’esercizio di tale prerogativa, delle condizioni di ordine soggettivo. Il
legislatore con la l. del 1890 ha consacrato e sviluppato l’idea contenuta in alcune pronunce
della Suprema Corte: l’art. 1780 c.c., modificato da questa legge, stabilisce al terzo comma
che il recesso, nel contratto di servizi a tempo indeterminato, ouò dar luogo a dei danni
quando è effettuato non solo in modo non tempestivo e brusco ma anche quando il congedo
venga dato senza serio motivo, perfidamente, con cattiveria o per semplice capriccio,
l’espulsione ingiustificata, abusiva, senza legittimo motivo.

d. Riflessioni della medesima natura sono suggerite per lo studio della giurisprudenza in tema
di rottura del fidanzamento. La Corte di Cassazione non riconosceva alla promessa id
matrimonio alcun valore giuridico; sì che, la sua non esecuzione non legittimava alcuna
domanda di risarcimento danni da parte del fidanzato abbandonato. Invero, i nostri tribunali
lo consentono se le circostanze nelle quali la rottura abbia avuto luogo, siano tali da
comportare delle responsabilità per il promittente. E’ un diritto del fidanzato fare un passo
indietro, ma un diritto suscettibile di abuso, e la giurisprudenza assieme alla dottrina non
esitano a identificare l’abuso con assenza di legittimi motivi: “colui che abbandona senza
motivi legittimi un progetto di matrimonio può certamente causare all’altra parte un danno
reale, è pertanto tenuto a ripararlo: ecco una delle applicazioni più naturali e più legittime
del nostro articolo 1382.
I fidanzamenti sono veri e propri “contratti” i quali, come tanti altri, implicano la facoltà di recesso
unilaterale, potendo ognuna delle parti ‘tirarsi indietro’. Unico aspetto: questa facoltà di recesso non
rappresenta un diritto assoluto. E’ suscettibile di abuso come il contratto di servizi, come il
mandato, e tale abuso emerge dall’assenza di motivi legittimi.. Le parti contraenti possono liberarsi
dalla convenzione a condizione di avere dei legittimi motivi i quali saranno valutati
discrezionalmente dal giudice.
Capitolo III – Per una teoria generale dell’abuso dei diritti
Per configurare una teoria generale dell’abuso del diritto è necessario individuare 1) l’elemento
costitutivo dell’abuso di un diritto; 2) l’attuazione pratica dell’abuso dei diritti; 3) la revisione
critica della nozione di abuso dei diritti; a sua collocazione nella teoria generale della responsabilità.
1. Elemento costitutivo, criterio dell’abuso di un diritto e 2.
L’azione umana viene qui esaminata quale manifestazione della volontà: è lo scopo perseguito che
costituisce e identifica l’abuso. Questa tesi soggettiva ha sollevato in dottrina aspre critiche; in
particolare Saleilles ne ha segnalato il pericolo: “nulla è più pericoloso in realtà, o niente è più
inutile, che voler fare affidamento esclusivamente alla psicologia individuale per fornire il criterio
dell’abuso del diritto: non c’è nessuno che abbia, in simili ipotesi, l’ingenuità di confessare che non
aveva altro scopo che quello di nuocere ad altri”. La vera formula sarebbe quella che vedrebbero
l’abuso del diritto nell’esercizio anormale di un diritto, nell’esercizio contrario alla funzione
economica o sociale del diritto soggetto (tesi condivisa anche da Geny). L’elemento costitutivo
dell’abuso sarebbe secondo questi autori l’anormalità dell’atto compiuto, indipendentemente dal
movente al quale l’agente abbia obbedito.
La teoria di Sailles e Geny incorre in critiche la gravità delle quali appare decisiva. Non si ravvisa
come la nozione di abuso del diritto possa essere oggettiva; non si comprende come la teoria del
diritto privato sia di costituzione differente rispetto a quella del diritto pubblico sulla quale è
modellata. Il giudice non è in grado di penetrare i pensieri intimi di ognuno. Le ricerche
psicologiche saranno vane e inutili come lo sarà, con esse, la teoria dell’abuso dei diritti ridotta a
mero criterio soggetto. Eppure la legge, nelle precise formulazioni testuali, non impone ricerche
soggetti al giudice. Si vogli soltanto ricordare il ruolo fondamentale svolto in materia di possesso, di
proprietà, di pagamento dell’indebito, dalla buona o mala fede della peti coinvolte. Che si tratti di
matrimonio, di diritti reali, di obbligazione, di responsabilità, la questione della buona o mala fede
domina i rapporti giuridici e risolve le controversie: in verità, la buona fede crea il diritto. La
valutazione dei motivi che guidano un proprietario o una parte non è più sottile rispetto a quella

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della psicologia del compratore che tratta con un insolvente; ad ogni modo, ogni giorno il giudice
teme questa psicologia poiché tiene sotto la sua dipendenza i risultati delle azione revocatorie
intentate da parte dei creditori del venditore.
La nozione di motivo è precisa. Domandare al giudice di ricercare se gli orai che hanno iniziato lo
sciopero sono stati guidati in questa scelta dalla preoccupazione per i loro interessi professionali, o
se l’autore di un articolo ha perseguito uno scopo disinteressato, o se una parte in causa ha agito per
spirito di chicane, non è porgli un enigma e reclamare da lui un oracolo; gli si rivolge una specifica
questione che il suo buon senso, la propria perspicacia, gli permetteranno, nella stragrande
maggioranza dei casi, di risolvere a colpo sicuro. I tribunali non sono obbligati ad accettare come
parola evangelica tutte le affermazioni dei contendenti: il loro ruolo è proprio quello di verificarne
l’esattezza e spesso accade che circostanze molto specifiche comprovino la deviazione del diritto
esercitato.
L’abuso dei diritti è dunque una nozione d’ordine essenzialmente soggettivo; il movente dell’agente
è l’elemento costitutivo. Il valore di questa nozione trova conferma non soltanto in una moltitudine
di sentenze, ma anche nei tesi legislativi stranieri. Il c.c. tedesco, come il progetto del c.c. federale
svizzero, fa dell’abuso dei diritti una nozione basata sulla volontà o meglio sull’intenzione.
Inoltre occorrerebbe sapere se l’intenzione di nuocere debba rappresentare l’unico movente che ha
spinto l’agente. Sia nel testo di alcune sentenze, sia nelle conclusioni formulate da taluni magistrati,
è possibile individuare formule che riproducono tale esigenza. Così il procuratore generale Ronjat
afferma, nella stessa frase, da una parte che l’uso di un diritto cessa di essere lecito quando ha
l’unico scopo di nuocere altri e dall’altra che non potrebbe esercitarsi un proprio diritto che per la
protezione e la salvaguardia di un interesse legittimo. La generalità di quest’ultima formula toglie
alla precedente il significato esclusivo che le si vorrebbe innanzitutto attribuire. La ragione
maliziosa o malvagia sarebbe sufficiente a viziare la nostra decisione e a renderci responsabili.

2. Se qualifichiamo abusivo ogni uso del diritto che ci scandalizza o ci è sgradito, lo stesso
diritto non presenterò più alcuna sicurezza. In alcune sentenze della Suprema Corte si arriva
ad affermare che è l’intenzione maliziosa l’elemento costitutivo dell’abuso del diritto e
dall’altro che la colpa grave sia tradizionalmente assimilata alla colpa intenzionale (dolo). In
tal modo si amplia addirittura la nozione di abuso dei diritti perché la colpa grave
nell’esercizio di un diritto non è un’eventualità chimerica: può rivestire molti aspetti, ma

TEN
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soprattutto risultare quando un individuo esercita il suo diritto in maniera pregiudizievole
per altri e senza beneficio per se stesso.
La corte di cassazione ha certamente accolto questo punto, quando nella sentenza del 10 giugno
1902, ha concesso un risarcimento al proprietario la cui sorgente era stata prosciugata dai lavori che
il vicino aveva eseguito, non con cattiveria, ma inutilmente, senza conseguirne alcun vantaggio. E’
possibile dunque affermare che la colpa grave sia costitutiva dell’abuso dei diritti allo stesso titolo e
nella stessa misura dell’intenzione malvagia. Un diritto non può essere realizzato impunemente che
condizione di esser messo, dal suo titolare, al servizio di un obiettivo lecito, di un motivo legittimo.
Il motivo legittimo è il criterio esatto, definitivo, la pietra angolare di tutta la teoria dell’abuso dei
diritti, che si rintraccia in una miriade di sentenze, nelle parole di vari autori e nella legislazione.
Motivo legittimo è quello che allega il mandatario quando rinuncia al mandato dimostrando che
sarebbe impossibile continuare a darne esecuzione senza subirne un notevole pregiudizio; fornendo
questa prova, dimostra la sua buona fede e si allontana da un’accusa di malvagità e legittima la sua
decisione. Motivo legittimo come quello utilizzato dal socio quando rompe il patto sociale, al fine
di stabilire la sua buona fede ed evitare le critiche degli altri soci.
Grazie a questa flessibilità, il motivo legittimo fa della nozione dell’abuso del diritto una forza
evolutiva di prim’ordine, uno strumento di progresso e ‘ammorbidimento’ in grado di adattarsi alle
esigenze della società rinnovando costantemente le istituzioni obsolete. Così intesa, la teoria
dell’abuso anima veramente i diritti richiamati; invita il legislatore, il giudice e l’interprete a
esaminare le differenti prerogative concesse agli individui per scoprirne e fissarne la competenza.
Tale esame di coscienza non deve rimanere sterile: è bene conoscere l’essenza dei diritti come
anche il temperamento degli individui, al fine di prevedere a direzione nella quale devono
perseguire le loro sorti.

II. Attuazione pratica dell’abuso dei diritti


Nell’abuso dei diritti bisogna sapere quali saranno le regole da applicare ai fini della prova e quale
dovrà essere la natura del risarcimento per la vittima.
1. Della prova
A. Su chi incombe la prova? Spetta al richiedente il risarcimento dimostrare che il diritto sia stato
esercitato senza un legittimo motivo? O al convenuto dimostrare di aver usato il suo diritto in
maniera conforme allo spirito dell’istituzione? I principi generali in materia di prova forniscono la
risposta: è all’attore che spetta provare gli elementi che sono a fondamento della sua pretesa. Ad
esempio, spetterà al proprietario della fonte prosciugata dai lavori eseguiti sul fondo dal vicino
dimostrare l’altrui intenzione maliziosa; al mandatario provare che la revoca della quale è vittima fu
dettata al mandante da un pensiero malevolo, ed ecc. Solitamente l’abuso dei diritti è costituito
dall’intenzione maliziosa: il richiedente il risarcimento dovrà dunque dare una prova di ordine
positivo: quella della malizia.
E anche quando l’abuso non coinciderò con l’intenzione maliziosa, la prova non rivestirà
necessariamente un aspetto negativo: l’attore dovrò dimostrare che la controparte era guidata da
un’intenzione che non è il motivo legittimo, per esempio da un intento egoista quando il diritto
esercitato ha una vocazione altruista. Del resto, occorre continuare a credere che i ruoli delle de
parti siano inesorabilmente decisi dalla regola actori incumbit probatio, che l’attore deve tutto
dimostrare, mentre il convenuto ha un atteggiamento passivo. Questa massima deve ricevere la sua

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applicazione indipendentemente dalla natura del diritto del quale sia stato fatto abuso, quand’anche
questo diritto fosse quella della risoluzione del contratto di servizi a tempo indeterminato.
B. In realtà, la prova verterà su un duplice elemento: uno psicologico, l’abuso compiuto
nell’esercizio di un diritto; l’altro materiale, il pregiudizio subito. Il secondo elemento non desta
alcuna attenzione: la giurisprudenza ne richiede costantemente l’esistenza. Non ci si sofferma a
controllare il movente delle azioni umane quando le stesse siano inoffensive: possono trincerarsi
indebitamente sotto l’egida dei diritti purché esse non nuocciano a nessuno e non urtino alcun
interesse legittimo. Al contrario, l’elemento psicologico solleva una delicata questione: cosa dovrà
dimostrare l’attore?
Charmont ha fatto, nella Revue critique, una breve allusione a questo aspetto del quale non si
mostra affatto sostenitore. Quanto alla frode pauliana e alla presunzione, si riconosce che la stessa
considerazione non può essere ripresa, perlomeno con la stessa forza: un debitore può perfettamente
accrescere la sua insolvenza senza avere intenzione id nuocere ai suoi creditori. Sì che la soluzione
tradizionale è la più discutibile. La giurisprudenza sembra iniziare a comprenderlo poiché ha la
tendenza a richiedere, se non al debitore, almeno alla persona con la quale ha trattato, non soltanto
la coscienza del pregiudizio che l’atto sta causando ai creditori, ma la volontà stessa di nuocerli.

2. Natura del risarcimento richiesto dalla vittima dell’abuso


Senza alcun ombra di dubbio è lecito richiedere il risarcimento mediante applicazione dei principi
generali in materia di responsabilità. Saleilles afferma che l’abuso del diritto non comporterebbe
altro che la sanzione per equivalente; la vittima non potrebbe pretendere altro che un risarcimento
dei danni. È qui che risiederebbe precisamente l’interesse della distinzione tra l’atto compiuto senza
diritto e l’atto semplicemente abusivo: allorché l’uno comporta quale sanzione la soddisfazione in
natura; l’altro la ripugnerebbe costantemente. Si ammetterebbe, in effetti, che i residenti dinanzi alla
ferrovia possano avere la pretesa di far cessare la circolazione delle locomotive sotto il pretesto che
i fumi da esse sprigionati causano loro un pregiudizio considerevole? È bene per loro accontentarsi,
in questa eventualità come in ogni altra dello stesso genere, del risarcimento dei danni.
Questa tesi non è rimasta puramente teorica: è stata applicata dalla Corte di Lione. La Corte
d’Appello pur riconoscendo che un proprietario aveva, tramite degli scavi mal effettuati, commesso
un abuso del suo diritto, non aveva ordinato che fossero prese delle misure per evitare il ripetersi di
un simile danno; aveva rovesciato la decisione del Tribunale di Montbrison che, applicando un
diverso orientamento, aveva fissato a una cifra massima il numero dei rubinetti che il proprietario
condannato poteva inserire nella sua pompa, accontentandosi di pronunciare una condanna al
risarcimento di danni futuri, ossia affermando la possibilità per i tribunali di riconoscere alla vittima
nuovi danni se il pregiudizio fosse venuto a rinnovarsi. Malgrado tutto, questo orientamento è
rimasto isolato, in dottrina e in giurisprudenza. La gran parte degli autori interessati all’abuso dei
diritti ne denuncia l’inesattezza: l’esempio suindicato di Saleilles fornirà un’indicazione decisiva.
Ben diversa sarebbe la situazione se un atto effettivamente abusivo fosse stato commesso, se il
diritto fosse stato deviato dalla sua direzione regolare. È naturale e giusto che ogni individuo leso
possa esigere che il diritto segua il suo percorso normale, assegnato dal legislatore o dai tribunali,
affinché il danno non sia nuovamente causato: in caso contrario, saranno ordinate e prese delle
misure al fine di prevenire questo pregiudizio. La nostra giurisprudenza svolge il suo compito così:
ove possibile fa intervenire, in caso di abuso, la sanzione in natura. La Corte di Colmar si era già
pronunciata in questo senso a partire dal 1855, allorquando ordinò la soppressione del falso
comignolo costruito maliziosamente da un proprietario che voleva oscurare la vicina dimora.

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III. Critiche di forma e critiche di fondo sulla teoria dell’abuso dei diritti
Sulla teoria dell’abuso dei diritti possiamo ricordare delle critiche di forma e delle critiche di fondo.
1. Critiche di forma
Le critiche hanno in comune l’obiettivo di negare l’abuso dei diritti come teoria originale. Vi è chi
crede da un lato che l’atto c.d. abusivo che è un atto esercitato senza diritto mentre, e secondo chi
invece costituisce la manifestazione di un diritto fonte di responsabilità.
1. Atto esercitato senza diritto
L’idea stessa che si possa abusare di un diritto è in tal caso chimerica e contraddittoria.. Planiol
scrive “il diritto cessa dove l’abuso comincia e non può aversi un esercizio abusivo di un diritto, per
la ragione irrefutabile che un unico e solo atto non può essere allo stesso tempo conforme al diritto e
contrario al diritto”. L’atto abusivo rientrerebbe dunque nella grande famiglia degli atti compiuti
senza diritto e sarebbe perfettamente inutile onorarlo con una categoria particolare. Così per un
soggetto che ha eseguito i lavori di trivellazione nel suo terreno; poiché tali lavori sono stati eseguiti
con cattiveria, con l’intento di nuocere al vicino, sono fonte di responsabilità. Questo proprietario
ha agito nella pienezza del suo diritto, è rimasto nei limiti oggettivi del suo diritto e se responsabile,
lo è esclusivamente in ragione della causa impulsiva che ha determinato la sua volontà viziando
l’esercizio della prerogativa attribuita. Ma il proprietario che agisce senza diritto è ad esempio chi si
comporta come padrone di campo del vicino, chi ara il campo altrui: queste due fattispecie non si
possono confondere e racchiudersi in un’unica categoria.
Tra l’abuso e la mancanza di diritto esistono differenze palpabili che rendono la confusione
realizzata tanto più inspiegabile e pericolosa.
a. La mancanza di diritto è una teoria già elaborata. L’abuso dei diritti rappresenta una teoria
mobile, una nozione meravigliosamente flessibile: è uno strumento di progresso, un
processo di adattamento del diritto ai bisogni sociali.
b. Ma una differenza più precisa separa le due teorie. L’atto compiuto senza diritto è fonte di
responsabilità per il suo autore, indipendentemente dal pregiudizio causato ad altri. Per
l’abuso invece è necessario dimostrato il pregiudizio causato. Senza dubbio non potrei
richiedere un risarcimento là dive non ci siano danni effettivamente subiti.

2. L’atto abusivo si confonde con ogni altro atto compiuto nell’esercizio di un


diritto?
Abusare di un diritto è ancora esercitarlo. Si, colui che ha commesso un tale abuso è responsabile
del danno cagionato, benché non sia davvero fuoriuscito dai limiti assegnati al suo diritto. Con
questa tesi si giunge a negare alla teoria dell’abuso dei diritti ogni originalità: l’opinione che faceva
rientrare l’atto abusivo nel quadro degli atti compiuti senza alcun diritto è confutata; secondo questa
tesi l’atto abusivo lo si annovera tra gli atti compiuti nell’esercizio di un diritto, rifiutando di
assegnargli, in tale moltitudine, un posto speciale. L’atto, raggiunto in qualche modo da un vizio
originale, causa ad altri un pregiudizio; la vittima può, dunque, considerarsi ingiustamente lesa e
reclamare una condanna che ristabilirà l’ordine spezzato.
2. Critiche di fondo
Coloro che formulano tali critiche non si limitano a negare alla teoria dell’abuso del diritto ogni
originalità, ogni valore teorico; disapprovano le soluzioni concrete alle quali essa giunge: sono le
decisioni giurisprudenziali che deplorano e, con esse, la tendenza soggettiva e moralizzatrice dalle

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quali procedono. Esmein nella nota nella quale ricorda un’importante decisione giurisprudenziale,
denuncia con rigore l’inesattezza e il pericolo della nuova tendenza che, per una strana confusione
fra diritto e morale, sostituisce la colpa morale con quella giuridica e da del giudice un censore.
Meglio lasciare in piedi le barriere tradizionali stabilite tra il diritto e la morale, che non sono mai
esistite se non nell’immaginario dei giuristi.
È il giudice l’adattatore, l’attuatore della legge; che lo si voglia o no, resta investito del temibile
compito di applicare la legge al processo, alla luce della morale. Mai egli attuerà le regole
giuridiche in maniera meccanica, distributiva, ma sarà invincibilmente portato a ispirarsi alla
funzione, al perché dei diritti per stabilire la sfera di applicazione e per realizzarne il giusto
equilibrio: non indagherà la morale del processo che gli è sottoposto se conosce, in primo luogo, la
moralità, la funzione dei diritti presenti. Si obietta la presenza di pericoli nell’arbitrio del giudice.
La teoria dell’abuso ha dunque un valore sociale, un significato morale di prim’ordine.
Per quanto riguarda la questione della responsabilità: la responsabilità del diritto privato si
oggettivizza gradualmente e rifiuta la nozione moderna di rischio che si definisce colpa aquiliana: le
due idee di colpa e di responsabilità tendono incontestabilmente a dissociarsi, nel diritto privato. Ed
ecco che una nuova teoria, prendendo in contropiede questa tendenza universale, finge di tornare
sulle esigenze psicologiche del diritto e incita il giudice a procedere con delle ricerche soggettive
estremamente delicate, il risultato delle quali influenzerò iun maniera decisiva l’esito del processo
in responsabilità.
Esiste tuttavia un punto di contatto delle due nozioni: esse sono entrambe delle teorie basate sulla
volontà. In fin dei conti investono di responsabilità colui che ha avuto e ha dato esecuzione a duna
volizione. La sola differenza consiste nel fatto che l’una prende in considerazione la volontà di
causare il danno, in luogo dell’altra, ad essa sussidiaria, inerente alla volontà di compiere un atto
costitutivo di rischi, diremo volentieri la volontà oggettiva. Qui intendiamo affermare la
responsabilità di un individuo perché egli ja voluto far servire un suo diritto a una destinazione
irregolare, antisociale.

Postfazione
1. Rigenerare il diritto intero con una dose di equità
La nozione di abuso è invocata per negare che un diritto, quale esso sia, possa realizzarsi in maniera
antisociale, contraria alla sua finalità: ogni diritto è chiamato a seguire una determinata direzione e
non possono i privati deviarla a loro piacimento. Il magistrato diviene “Bon Juge – l’adattatore
come dice Josserand, colui che tralasciando l’applicazione formale e capziosa della legge, si fa
autore della norma equa da applicare al concreto groviglio che è la vita. Il lavoro di Josserand può
definirsi il prodotto di quel movimento volto a favorire l’applicazione ragionevole e umana delle
disposizioni giuridiche.
il clima preesistente alla venuta alla luce della teoria dell’abuso era estremamente intriso del dogma
della volontà. come, ad esempio, accade in Germania, con riguardo alla teoria della causa. E
l’intima sede della volontà dell’agente, l’animus nocendi, colorerebbe l’esercizio di abusività. Ma di
tale elemento costitutivo sarà dato dubitare, in Francia come in Italia ( non mancano – già
dall’esistenza del diritto romano repressioni di esercizi cc.dd. dolosi sprovvisti di malvagità).
Il compito del giudice sarà allora duplice: da un lato, egli dovrà individuare il motivo che ha ispirato
l’atto dannoso e, dall’altro, comprendere anche se questo motivo sia o meno legittimo, non potendo
lo stesso perseguire scopi antisociali. “Ove c’è diritto non c’è abuso” ovvero “dove comincia
l’abuso, finisce il diritto”. Necessario è individuare REGOLE DI COESISTENZA. Si passa dal
diritto egoista al diritto funzionale; il diritto non è più rivolto alla sfera dell’io ma ala soddisfazione
della funzione sociale. La giurisprudenza si presta all’ascolto e impegna la responsabilità
dell’agente là dove gli atti da lui compiuti, strutturalmente idonei, lascino intravedere la mancata
soddisfazione di un interesse serio e legittimo.
L’abuso altro non è che alterazione del fattore causale; esercizio della situazione giuridica posto in
maniera contraria o estranea alla funzione della stessa (c.d. esercizio controfunzionale o

Tresette
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antifunzionale) non si risolve nel solo superamento dei limiti interni alla cerniera attributiva. E’
impossibile categorizzare la figura giuridica dell’abuso dei diritti non può compiutamente
annoverarsi all’interno di un’unica categoria; questo per il suo ciclico riemergere, apparendo
nell’odierno diritto in quella ricerca di coerenza fra il momento applicativo e i valori tutelati dalla
Costituzione come base essenziale della convivenza.

getta Document shared on www.docsity.com


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GIOVANNI PERLINGIERI – GIOVANNI ZARRA

ORDINE PUBBLICO INTERNO E INTERNAZIONALE TRA CASO CONCRETO E SISTEMA


ORDINAMENTALE.

CAPITOLO PRIMO - L’ORDINE PUBBLICO TRA UNITARIETA’ E DIRITTO.

Agli inizi del XIX secolo, quando si intrapresero i primi studi inerenF il diriGo internazionale privato
moderno, la circostanza che due norme provenienF da ordinamenF giuridici diversi potessero entrambe
pretendere di trovare applicazione in una certa faLspecie che presentasse elemenF di estraneità (per cui si
intende quelli che sono riconducibili a più di un ordimento straniero) rispeGo al foro era di scarsa rilevanza
praFca. InfaL il problema di conQiL di legge si è posto in pochissimi casi.

Al riguardo possiamo disFnguere varie teorie:

 Bartolo da Sossoferrato disFngueva tra


 Statuto personale, per cui ogni persona ovunque si trovi gode di un proprio status giuridico;
 Statuto reale, per cui i suoi beni personali sono soggeL agli statuF del luogo in cui si trova.

In questo modo, si evitavano i conQiL tra leggi poiché tuGe le faLspecie rientravano nell’una o
nell’altra categoria.

 Alcuni giurisF olandesi, tra cui spicca Ulricus Huber, nel corso del XVII secolo teorizzarono un
approccio ai conQiL tra leggi basato su tre postulaF:
1. Le leggi di ogni Stato hanno eYeGo nel territorio di quest’ulFmo ma non al di là di esso;
2. Tali leggi vincolano coloro che transitano sul territorio (de[niFvamente o
temporaneamente);
3. Sulla base di un’idea di comitas genFum, leggi straniere possono essere applicate per
garanFre la conFnuità di situazioni giuridiche acquisite all’estero, a meno che ciò non
comporF pregiudizio per lo Stato territoriale.

 Savigny ha individuato come soluzione al problema del conQiGo di leggi il metodo bilaterale:
aGraverso l’uFlizzo di criteri di collegamento determinaF in maniera astraGa è possibile individuare
la legge applicabile senza tenere conto dell’interesse del singolo Stato in quanto obieLvo del diriGo
internazionale privato è l’armonia internazionale delle soluzioni.

 In Italia, la teoria più rilevante è stata quella di Pasquale Stanislao Mancini che disFngueva tra:
 DiriN personali, del diriPo di famiglia e delle successioni i quali dovevano essere soGoposF
sempre alla legge nazionale dell’individuo;
 Dalla materia delle obbligazioni ( DiriGo privato volontario), dove era la volontà delle parR a
scegliere quale dovesse essere la legge applicabile alla faLspecie.

La situazione era diversa negli StaF UniF d’America dove, a causa della struGura federale, casi di inter-State
conQicts erano molto più frequenF.

pazza
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La ques(one dell’applicabilità, in un dato ordinamento, di una legge straniera dipendeva da un
bilanciamento tra:

1  Il principio di sovranità, che autorizza ogni Stato a disciplinare a>raverso le sue leggi tu? i
fenomeni che si presentano dinanzi ai suoi giudici;
2  E la necessità che ogni situazione giuridica sia governata dal sistema di diri2o in cui essa è
generata e che fosse più conveniente per il rapporto da regolare.

Ciò comportava che la scelta se applicare o meno il diri>o straniero fosse rimessa al giudice che tendeva a

÷::
far prevalere il diri2o interno.

Oggi la situazione è radicalmente diversa rispe>o al passato e ciò è dovuto al fa>o che valori e principi di
origine non domes:ca sono da considerare parte integrante dell’ordinamento nazionale, il che trova
fondamento nella rinuncia preven:va di sovranità che gli Sta( operano a favore delle diri>o internazionale
(consuetudinario e convenzionale) e delle organizzazioni internazionali.

L’ordinamento interno impone al riconoscimento di norme e provvedimen( di origine straniera due limi(:

 L’ordine pubblico, deJnito come l’insieme di principi che iden(Jcano l’ordinamento in un determinato
momento storico. Il contrasto con de? principi può comportare:
 Nell’o?ca del diri2o privato, l’invalidità degli a? di autonomia (nel qual caso si parla di
ordine pubblico interno);
 Nella dimensione internazionalpriva:s:ca , ostano alla produzione di eAe? giuridici di
norme e provvedimen: stranieri (nel qual caso si parla di ordine pubblico internazionale).
 Le Norme ad applicazione necessaria che comprendono quelle regole, espressione di principi o
esigenze di cara>ere pra(co, che devono essere sempre e comunque applicate paralizzando il
funzionamento delle norme di conKi>o ed impedendo il richiamo delle norme straniere.

Primo aspe>o fondamentale, è individuare in quale categoria giuridica vada inquadrato il conce>o di
ordine pubblico.

Erroneamente, si è aMermato che l’ordine pubblico sia un principio ( una norma di par(colare importanza o
una pluralità di norme da cui emerge il senso complessivo di un ambito della vita e del diri>o). Piu>osto si
può aMermare che esso si compone di principi e di regole che ne sono l’espressione e che il conce>o vada
ricondo>o alla categoria delle clausole generali.
-
Per clausola generala occorre intendere un frammento vago di una disposizione priva di signiCcato
proprio; per cui sarà necessario individuare il signiJcato applicabile e, soltanto in seguito, sarà possibile
individuare la norma. Le clausole generali diventano quindi strumen: di concre:zzazione , consentendo la
con(nua speciJcazione delle molteplici possibilità di a>uazione di un principio in relazione al caso concreto.

Sarà compito del giudice applicare e concre(zzare principi e valori dell’ordinamento quali “buona fede”,
“buon costume” la cui vaghezza è superata mediante il rinvio, non alla coscienza o alla valutazione sociale,
-

ma al complesso di principi – rilevan( ed inviolabili - che fondano l’a>uale ordinamento.

Ciò è necessario per evitare che il contenuto dell’ordine pubblico dipenda dalle valutazioni sogge?ve del
singolo interprete, sebbene non si possa negare il fa>o che diri2o e morale siano stre2amente collega: in
quanto ogni norma è sempre preceduta da valutazioni di cara>ere morale così come anche un giudizio di
equità deve essere sempre so>oposto a valutazioni giuridiche.

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L’individuazione del principio presuppone non soltanto una scelta da operare con riguardo ai valori che
devono prevalere e quelli che devono soccombere, in quanto questa deve essere preceduta da
un’individuazione dei valori il cui conDi2o va risolto per l’iden:Ccazione del principio.

A>raverso questo • bilanciamento ad opera del giudice, il contenuto delle clausole generali varia di volta in
volta in base al contesto.

!ÌÉ!!!!ÈPuò infa? succedere che a parità di parametri, il risultato applica(vo di una determinata clausola generale,
"

¥ .

.ua
¥! può essere diverso. Fermo restando che la sensibilità sia un requisito essenziale per l’interprete e che il
diri>o sia cultura, solo il riferimento alle regole e principi dell’ordinamento consente al giudice, a>raverso
il bilanciamento, di mantenere la Kessibilità necessaria per ado>are la decisione corre2a per il caso
concreto, limitandone l’arbitrio, vincolandolo al de>ato della Cos:tuzione e ai principi ad essa connessa.

La centralità del ruolo del giudice nell’individuazione del contenuto delle clausole generali non deve far
pensare ad un diri>o arbitrario: infa?, il fa>o che il giudice sia vincolato ai principi generali assicura il
rispe>o del principio di legalità.

Poiché le clausole generali sono uno strumento di concre(zzazione dei principi fondamentali tale
concre(zzazione deve avvenire secondo ragionevolezza, ossia tenendo conto delle circostanze del caso
concreto, degli interessi e dei valori norma:vi in gioco.

Quello di ordine pubblico è un conce2o rela:vo da tre pun( di vista:

 GeograCco, in quanto muta da un ordinamento all’altro;


 Storico, in quanto, a seguito di mutamento sociali, possono mutare anche nello stesso
ordinamento;
 Ed inJne, è un limite rela(vo, in quanto la contrarietà di una norma straniera con l’ordine
pubblico è stabilita non in astra>o ma in concreto, prendendo in considerazione gli eAe? della
norma nel caso concreto e l’incidenza che l’applicazione di tale legge ha sui principi iden:Cca:vi
del sistema giuridico nazionale. Ad es. può accadere che una norma astra>amente contraria
all’ordine pubblico trovi applicazione perché in concreto non lede alcun principio fondamentale e
viceversa.

La deJnizione di ordine pubblico e il suo contenuto cos(tuiscono ogge>o di un vivacissimo diba?to. Ne.
1824 una Corte inglese lo ha deJnito un cavallo pazzo sul quale una volta sali( non si sa dove condurrà.

Nell’ordinamento italiano, si è posto il problema di dis(nguere l’ordine pubblico dalle norme impera(ve e
dal buon costume.
1
Le norme impera:ve sono quelle norme alle quali non è possibile derogare ad opera dell’autonomia
privata pena l’invalidità dell’a>o. Esse non sono da considerarsi mera espressione dell’ ordine pubblico che 2
rappresenta invece un parametro autonomo ed ulteriore per l’illiceità del contra2o, in quanto idoneo a
richiamare norme impera(ve. L’ordine pubblico interviene quindi, laddove non ci sono norme impera(ve
ma è ravvisabile la contrarietà dell’a2o dei priva: con principi non posi:vizza: . Ques( principi
cos(tuiscono il fondamento di alcune norme impera(ve, il cui contenuto non ne esaurisce il principio ma
ne cos(tuisce una delle possibili concre(zzazioni (operata dal legislatore) ma che lascia la via aperta ad
altre concre(zzazioni (operate dal giudice). Ques( principi sono in primis quelli cos:tuzionali e, nello
speciJco, non soltanto quelli che riguardano i rappor( priva(s(ci ma anche quelli che tutelano interessi e

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valori di rilevanza pubblica e in ogni caso possono essere lesi da una pa>uizione privata (es. uguaglianza,
solidarietà), in quanto prote?vi della persona umana.

3 Per quel che concerne il buon costume, esso è deJnito come l’insieme dei principi che cos(tuiscono il
comune sen:re dei ci2adini in un dato momento storico.
ORDINE PUBBLICO → MORALIZZAZIONE DEL DIRITTO BUONCOSTUME> GIURIDKIZZAZIONEDELLAMORALE
Secondo Trabucchi, se con l’ordine pubblico un ordinamento giuridico vuole garan(re se stesso, con il rispe>o dei
buoni costumi si vuole impedire il riconoscimento di eAe? giuridici ad un agire che, pur non essendo contrario alla
legge, sia in contrasto con i canoni fondamentali della pubblica moralità. La dis(nzione tra i due conce? corrisponde
ad una scelta di sistema in quanto non si può negare che oggi ordine pubblico e buon costume starebbero oggi -

assimilandosi (si parla, infa?, rispe?vamente di moralizzazione del diri>o e giuridicizzazione della morale a>raverso
l’acquisizione all’ordine giuridico di principi morali).

Sebbene, quindi, bisogna riconoscere che il diri>o non è separabile dalla morale (che lo precede), al Jne di
garan(re che la scelta del giudice, nell’a?vità di concre:zzazione delle clausole generali, non sia arbitraria
è necessario ancorarla a dei principi la cui natura sia meramente giuridica.

Mentre nei casi puramente domes(ci, ogni Stato è libero di determinare limi( all’autonomia contra>uale
derivante da regole e principi che esso ri(ene espressione del proprio ordine pubblico, nei casi che
presentano un elemento di estraneità, le istante protezionis:che dei singoli ordinamen: vanno
bilanciate con la volontà degli ordinamen: stessi di

 aprirsi a situazioni giuridiche di natura straniera;


 di garan:re l’armonia internazionale delle soluzioni, a^nché l’esito di una controversia non
dipenda dal luogo in cui essa è celebrata e dal diri>o applicato;
 e di garan:re la con:nuità delle situazioni.

Ne discende che, in una fa?specie che presenta elemen( di estraneità che uno Stato, nel riconoscere
e^cacia ad a? e provvedimen( stranieri, scelga di non dare applicazione a tu? quei principi ai quali
solitamente non intende rinunciare nelle situazioni interne ma solo a quelli che ri(ene di essenziale
applicazione senza eccezione.

Ai casi transnazionali si applica, quindi, una concezione ristre2a di ordine pubblico e al Jne di dis(nguere
tra concezione di ordine pubblico estesa e ristre>a si adoperano rispe?vamente gli appella(vi di ordine
pubblico interno ed internazionale.
a
Ciò non deve far pensare a due conce? diversi, in quanto l’ordine pubblico è uno soltanto. Semplicemente
un
D8 nei casi transnazionali i principi dell’ordine pubblico vanno bilancia:, sempre secondo ragionevolezza,
000A
a con ulteriori fa2ori che entrano in gioco, riducendo lo spe2ro d’azione della clausola generale. Il
ZHAO
Af bilanciamento secondo ragionevolezza impone che esso debba avvenire considerando le peculiarità del
Eootc
deteriorato
za s
caso concreto, le limitazioni di sovranità derivan( dal diri>o internazionale generale e dal diri>o
dell’Unione Europea, degli eventuali obblighi internazionali pa?zi, dei principi iden(Jca(vi ed invalicabili
dotte
UN del nostro sistema giuridico e dei principi fondamentali riconosciu( dalla Conv. Europea dei diri?
idea } dell’uomo e degli altri tra>a( internazionali in materia di diri? umani.
880
EE
n La contrarietà all’ordine pubblico per violazione di principi fondamentali dell’ordinamento e la necessità di tener conto
del caso concreto emergono in una recente sentenza della Corte Suprema Tedesca. Il caso riguardava la
pubblicizzazione da parte dell’emi>ente televisiva ZDF di un servizio sulla liberazione di alcuni campi di
concentramento, in cui Auschwitz e Flossenburg, vennero deJni( come polacchi. Nonostante a seguito di una richiesta
da parte dell’Ambasciata Polacca a Berlino, la ZDF avesse re?Jcato l’annuncio parlando di campi tedeschi in territorio

eta
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polacco, un ci>adino che era stato deportato aveva chiesto la pubblicazione di scuse u^ciali per un mese sulla
homepage del sito internet della ZDF in cui avrebbe dovuto espressamente fare riferimento all’uso di espressioni
scorre>e che oMendono la storia del popolo polacco. Tu>avia, a ciò seguì solo l’invio di una le>era di scuse e la
pubblicazione di un link alla sentenza polacca ma non l’annuncio richiesto. Fu quindi richiesta l’esecuzione della
sentenza in Germania, che fu garan(ta dal tribunale di Magonza e dalla Corte d’Appello di Koblenz. La ZDF ricorse alla
Corte Suprema, la quale aMermò che imporre alla ZDF di pubblicare un testo con un determinato contenuto,
cos(tuisse una violazione della libertà di espressione e di stampa di quest’ul(ma, troppo gravosa rispe>o alla
violazione dei diri? dell’a>ore compiuta dall’emi>ente televisiva.

Per meglio delineare la diMerenza tra ordine pubblico interno ed internazionale è possibile ricorrere alla
dis(nzione tra principi tecnici e fondamentali che compongono il nostro ordinamento.
ORDINE PUBBLICO ente :
'

t.in
-
.

I principi fondamentali cos(tuiscono la massima a2uazione di un valore che è alla base del nostro
ordinamento. Secondo P. Perlingieri e P. Femia, i principi fondamentali (supremi, inviolabili) andrebbero
so>ra? dal bilanciamento. In realtà essi operano sempre in concorso con altri principi al Jne di
legi?mizzare il criterio sulla base del quale si gius(Jca la composizione di preferenza e compa(bilità
1 individuata con il bilanciamento. Ad es. il principio di tutela della persona è un principio assoluto che si
applica anche per giudicare il concorso di altri principi concernen( la persona (salute, ambiente, famiglia)
con ulteriori principi concernen( il patrimonio (proprietà, impresa).
ORDINE PUBBLICO INTERNO
I principi tecnici, invece non sono espressione di alcun valore alla base dell’ordinamento ma rappresentano
la costruzione conce2uale di esigenze de2ate dall’opportunità pra:ca o poli:ca legisla:va (ad es. il
g principio della rela(vità inter partes degli eMe? negoziali, della libertà della forma, del consenso trasla(vo
etc.)

Delineata questa diMerenza si può aMermare che:

 nel conce>o di ordine pubblico internazionale rientrino solo i principi fondamentali – e


disposizioni legisla(ve – espressione dei principi che cos(tuiscono la forma Repubblicana (ex art.
139 cost.);
 mentre in quello di ordine pubblico interno anche i principi tecnici – e norme impera(ve – che,
pur essendo conformi a Cos(tuzione, non sono espressione di principi fondamentali. Ad essi,
l’ordinamento non vuole rinunciare nei rappor( puramente interni mentre, viceversa, sono
derogabili dalla legislazione straniera.

Quanto de>o in relazione alla natura interna del limite dell’ordine pubblico, è stato messo in discussione da
un recente orientamento della Corte di Cassazione.

È Nella sentenza n. 19599 del 2016, ha aMermato che il conce>o di ordine pubblico, inizialmente inteso
come espressione di un limite riferibile al solo ordinamento giuridico nazionale, si è evoluto in senso

¥:& globalizzato. In esso quindi, andrebbero ricompresi non soltanto i principi fondamentali della nostra
Carta Cos:tuzionale ma anche quelli ricavabili dalle principali fon: internazionali in tema di diri?

ÈÈÈ
fondamentali.

In relazione a questo orientamento, si è anche sostenuto che alcune norme di diri2o internazionale (ed in
par(colare l’art. 8 della CEDU) cos(tuiscano un “controlimite all’ordine pubblico”, in quanto imporrebbero

èÈ
• il riconoscimento di una sentenza straniera anche se contraria all’ordine pubblico dello Stato del foro.

ieee
Questo orientamento è stato condiviso anche da parte della do>rina civilis(ca italiana a favore della
globalizzazione dell’ordine pubblico. Si è addiri>ura aMermato che un ordine pubblico interno non esista

paesaggio Document shared on www.docsity.com


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più e che le mancate aperture dell’ordinamento interno a tale visione globale delle situazioni giuridiche
meritevoli di tutela andrebbero intese come violazioni della legalità trans-nazionale che sta a fondamento
dell’ordine giuridico globalizzato.

Al riguardo si è anche parlato di ordine pubblico integrato, fru>o del dialogo e dell’incontro tra culture
giuridiche diverse.

Tu>avia questo approccio è stato cri(cato da parte della do2rina internazionalpriva:s:ca italiana secondo
la quale l’ordine pubblico resta un conce2o puramente nazionale, sebbene abbia recepito all’interno del
proprio ordinamento delle disposizioni di origine sovranazionale, al punto da considerarli tra i propri
principi iden(Jca(vi. Accade, infa?, che l’ordinamento non possa recepire alcune norme di diri>o
internazionale (consuetudinarie o pa?zie) in quanto contrarie a Cos(tuzione e se così non fosse ci
troveremmo nella situazione paradossale in cui da un lato, si conJgurerebbe una norma internazionale
irrecepibile dal nostro ordinamento, dall’altro il fa>o che essa dovrebbe essere automa(camente
considerata principio di ordine pubblico.

Infa?, nella sent. N. 49 del 2015, la Corte Cos:tuzionale ha aMermato che non sempre le decisioni della
Corte Europea dei diri? dell’uomo sono vincolan( per il nostro ordinamento ma che è sempre necessario
un Cltro dell’ordinamento interno che deve stabilire se determina( principi possano essere considera(
come fondamentali ed iden(Jca(vi dello stesso.

Anche le consuetudini internazionali non possono violare i principi fondamentali della Cos(tuzione di cui
l’ordine pubblico è espressione. SigniJca(va è la nota sent. N. 238 del 2014 con cui la Corte Cos:tuzionale
ha aMermato che il controllo di conformità ai principi fondamentali deve essere operato in relazione a
tu2e le consuetudini internazionali (recepibili ex art. 10 Cost.), anche anteriori all’entrata in vigore della
Cos(tuzione. Alla luce di ciò nel nostro ordinamento non opera la norma consuetudinaria internazionale
sull’immunità degli Sta( dalla giurisdizione civile in quanto genera il perpetrarsi di gravi violazioni di diri?
umani. Secondo un autorevole do>rina, in caso di contrasto, tale consuetudine sarebbe da dichiararsi
cos(tuzionalmente illegi?ma.

Secondo P. Perlingieri, il controllo di legi?mità cos(tuzionale dovrebbe essere esteso anche alle norme di diri>o
internazionale generalmente riconosciute, anche se l’art. 134 Cost. non contempla esplicitamente questa ipotesi.
Un’interpretazione le>erale di questo ar(colo non consen(rebbe neanche un giudizio di legi?mità cos(tuzionale sulle
norme comunitarie secondarie che, secondo un’impostazione dualis(ca degli ordinamen( – nazionale ed europeo -
non rientrerebbero nelle norme che compongono l’ordinamento nazionale. La Corte Cos(tuzionale, pur negando un
sindacato dire>o nei confron( delle norme europee, ne ha ammesso un sindacato indire>o, qualora le norme
europee contras(no con i principi supremi dell’ordinamento cos(tuzionale. In realtà regolamen( europei e le fon( di
diri>o internazionale fanno parte del nostro ordinamento, sono applica( dire>amente e devono essere so>opos( al
controllo di legi?mità cos(tuzionale. Ne consegue che un’interpretazione le>erale dell’art. 134 non può avvenire e va
interpretata in conformità con l’intero sistema cos(tuzionale, in par(colare gli ar>. 11 e 117 Cost.

L’ordine pubblico internazionale non può, quindi, considerarsi come sganciato dal singolo ordinamento
nazionale in quanto la scelta delle norme sovranazionali che andrebbero a comporre l’ordine pubblico
internazionale sarebbero comunque rimesse alla discrezionalità dell’interprete da non intendersi come
arbitrio in quanto l’operato del giudice è sempre vincolato ai principi fondamentali dell’ordinamento.

Ciò non toglie l’importanza del diri>o internazionale nella creazione dell’ordine pubblico internazionale, ma
resta il fa>o che i valori norma(vi di riferimento di tale nozione restano una preroga(va del diri>o interno,
anche se aperto a fon( extra statali.

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Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sent. 16601 del 2017, hanno ribadito che il recepimento e
l’interiorizzazione del diri2o sovranazionale nell’ordinamento interno non comporta una riduzione del
controllo in quanto le norme e le sentenze straniere non possono minare la coerenza interna
dell’ordinamento giuridico. A tal Jne, è necessario che esse vadano misurate con la portata della
Cos(tuzione e delle leggi innervano l’ordinamento cos(tuzionale. →BILANCIAMENTO

Il diba?to sull’ordine pubblico è complicato da un’ulteriore ques(one. Secondo una parte della do>rina,
per lo più francese, l’ordine pubblico transnazionale o veramente internazionale sarebbe l’unico a trovare
applicazione nell’arbitrato commerciale internazionale, il quale è una forma di risoluzione delle
controversie che non trova legi?mazione in alcun ordinamento ma soltanto nell’autonomia delle par(.
È un metodo di composizione stragiudiziale delle controversie, intercorse tra soggetti di diritto di diversi Stati
Inerentemente il conce>o di ordine pubblico transnazionale o veramente internazionale non c’è una
deJnizione univoca:

 secondo alcuni consiste in quell’insieme di principi propri del commercio internazionale che
vengono ripetutamente rispe2a: da operatori di diversa nazionalità e la cui applicazione è
sen:ta come obbligatoria e necessaria. Ne consegue che ques( principi non cos(tuirebbero
espressione di alcun valore norma(vo e non sono espressione di nessun sistema giuridico. Non è
quindi possibile riconoscere autonomia applica(va a questo conce>o nell’ambito dell’arbitrato
commerciale internazionale.
 Secondo altri, invece, (ed è questa la tesi da considerarsi corre>a) l’ordine pubblico veramente
internazionale andrebbe individuato:
 nelle norme di ius cogens, ossia quelle cos(tuen( il nocciolo duro del diri>o

[ internazionale pubblico ( principio di autodeterminazione dei popoli e il divieto di


violazione dei diri? umani);
 in quei principi di diri2o che sono comuni alla stragrande maggioranza degli Sta:.

Ques( principi entrano a far parte degli ordinamen( interni , sicché nel momento applica(vo saranno
applica( come parte dell’ordine pubblico internazionale quale conce>o domes(co interno e non in forza
della propria origine internazionale.

In conclusione, quando si parla di ordine pubblico nel diri2o internazionale privato si fa solitamente
riferimento alla nozione di ordine pubblico internazionale come conce2o squisitamente interno , il quale
si compone dei principi fondamentali dell’ordinamento di volta in volta rilevan(.

Quando il giudice si troverà ad aMrontare un caso di conformità di un a>o, un’a?vità o un provvedimento


con l’ordine pubblico, intraprenderà un percorso logico-decisionale cara>erizzato da due fasi, nelle quali
dovrà tenere conto delle peculiarità del caso concreto.

1. La prima fase è cara>erizzata dalla ricerca del principio o dei principi di ordine pubblico che vengono
in rilievo in relazione alla fa?specie concreta.
2. Nella seconda fase, egli dovrà nuovamente tornare sull’analisi del caso e ciò, ovviamente solo se esiste
almeno un principio che osta al riconoscimento , da parte dell’ordinamento dell’a>o o del
provvedimento straniero. Il giudice dovrà valutare quali siano tu? i principi e valori norma:vi in
gioco e, a2raverso il bilanciamento, individuare l’ ”ordine pubblico del caso concreto” che oMrirà la
soluzione rela(vamente migliore per il contrasto tra le pretese di riconoscimento di istanze
determinatesi all’estero e la protezione di principi fondamentali dell’ordinamento.
Questo bilanciamento potrebbe comportare:

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 Il riconoscimento di situazioni potenzialmente incompa(bili con il nostro ordinamento;
 Oppure, il non riconoscimento di istanze che astra>amente non presentavano alcun elemento di
contrasto.

Questo bilanciamento deve essere eAe2uato secondo ragionevolezza che rappresenta il collante
costante tra caso concreto e sistema giuridico di riferimento, consentendo tra le varie soluzioni possibili
quella più conforme agli interessi coinvol( e ai valori norma(vi di un dato ordinamento.

Ovviamente, il signiCcato di ragionevolezza non è immutabile, astorico o insensibile ai cambiamen:. Ciò


cos(tuisce il fondamento della rela:vità del conce2o di ordine pubblico: rela(vità che non dipende
^ soltanto da valutazioni astra>e (es. momento storico) ma che è stre>amente connessa alle peculiarità del
singolo caso, le quali richiederanno un diverso bilanciamento. 2

Ne discende che le fa?specie puramente interne e quelle che presentano elemen( di estraneità,
necessitano di un bilanciamento con intensità diverse.
-

Infa?:

 Nelle controversie senza elemen: di estraneità, ogni valutazione va operata dall’interprete


tenendo conto delle sole esigenze dell’ordinamento nella sua unitarietà;
 Nelle controversie che presentano elemen: di estraneità, le istanze protezionis:che di un dato
ordinamento vanno mi:gate alla luce dei legami del caso concreto con altri ordinamen:.
Sarà quindi necessaria:
 una maggiore ponderazione degli interessi in gioco;
 e limitare eventuali is:n: nazionalis:ci che non tengono conto delle esigenze di apertura
verso sistemi giuridici stranieri.

Ne consegue che, in ogni caso, il contenuto dell’ordine pubblico del caso concreto è fru>o di un costante
bilanciamento. È possibile, quindi superare l’idea che i diri? umani di origine sovranazionale agiscano
come controlimite all’ordine pubblico, la quale sembra presumere un conce>o rigido di ordine pubblico
(non sogge>o a bilanciamento) che scontrerebbe con i diri? di origine sovranazionale che l’ordinamento
interno avrebbe già dovuto prendere in considerazione nella propria ricostruzione dell’ordine pubblico del
caso concreto.

CAPITOLO II – ORDINE PUBBLICO E CASO CONCRETO

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E’ necessario prendere in considerazione casi concre( al Jne di analizzare il diverso a2eggiarsi del limite di
ordine pubblico nei casi puramente interni e in quelli che presentano elemen( di estraneità.

Si tra>a di casi che sono sta( considera( irrecepibili dal nostro ordinamento per contrarietà all’ordine
pubblico ma in relazione ai quali è necessario un ripensamento del conce2o di ordine pubblico anche alla
luce del mutato quadro all’interno del quale si trova ad operare il giurista moderno.

LA MATERNITA’ SURROGATA

Per maternità surrogata su intende la situazione di una madre biologica che, consapevolmente e
liberamente, sceglie di dare compimento ad un proge>o riprodu?vo des(nato a non aver seguito e
con(nuità personale dopo la nascita del Jglio in quanto avrà seguito e con(nuità con un proge>o
genitoriale di altri (i genitori surroga().

La maternità surrogata può avere diverse forme:

 Ges:onale, quando un embrione prodo>o con un ovulo e spermatozoi dei genitori des(natari è
impiantato nella madre surrogata;
 Tradizionale, quando la madre surrogata viene inseminata ar(Jcialmente con lo sperma del padre,
cosicché è legata biologicamente al bambino.

La maternità surrogata è una pra(ca che può essere esperita con due Cnalità contrapposte tra loro:

 Gratuitamente e per Cni altruis:ci;

BANBNO-IYFIEAleoo.ie
 A Cni commerciali, dietro il pagamento di un compenso alla madre biologica.

Ciò comporta dei dubbi rela(vamente la compa(bilità di questa pra(ca con i diri? fondamentali della
persona umana generalmente garan(( dall’ art. 2 Cost, comportando una merciCcazione del corpo
femminile, in quanto nell’ul(mo caso il bambino viene equiparato ad un prodo>o commerciale.

A supporto di questa tesi, l’art. 3 della Carta dei Diri? Fondamentali dell’UE il quale aMerma che non è possibile fare

:*
del corpo umano e delle sue par( una fonte di lucro.

Opinione diametralmente opposta quella di BRUNELLI, secondo il quale l’abolizione universale della maternità
surrogata lederebbe il diri2o di una donna di autodeterminarsi e quindi di scegliere liberamente e consapevolmente
di intraprendere una gravidanza per altri a Jni solidaris(ci. -
ò
MAGGIOR
OIIIÌÉ
Una posizione intermedia è assunta da PEZZINI, il quale non è contrario a priori alla maternità surrogata ma auspica

7k¥
ad un ripensamento del quadro norma:vo volto:

 Da un lato, a far maturare adeguata consapevolezza e informazione nelle donne che scelgono di so>oporsi a
questa pra(ca;
¥
 Dall’altro, di is(tuire una nuova forma di Cliazione che possa regolare adeguatamente i casi di maternità zione
surrogata.

Tradizionalmente, la maternità surrogata è illecita nell’ordinamento italiano e la giurisprudenza ha vietato il


ricorso a questa prassi a par(re dalla nota decisione del Tribunale di Monza del 27 o2obre 1989.

La controversia aveva ad ogge>o la mancata esecuzione di un contra2o di maternità surrogata da parte


della madre algerina la quale, dopo la s(pulazione dello stesso, si era riJutata di consegnare il bambino alla

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coppia italiana commi>ente. Nella fa?specie, il giudice ha reputato nullo il contra2o, per contrarietà
all’ordine pubblico e al buon costume.

È ÈÌÈ È È
Da ciò scaturisce che la maternità surrogata rappresenta un limite di ordine pubblico interno
all’autonomia privata. Ciò è stato confermato:

 dalla sent. 162/2014 della Corte Cos:tuzionale, la quale ha sancito la piena eAe?vità del divieto
di maternità surrogata;
 dall’art. 12 comma 6 della L. 40/2004 che prevede che la commercializzazione di game( o
embrioni e la maternità surrogata sono puni( con la reclusione da tre mesi Cno a due anni e una
multa da 600.000 Cno a un milione di euro.
a. Nonostante ciò, c’è da dire che coloro i quali ne hanno avuto la possibilità economica, sono ricorsi a questa
pra(ca in ordinamen( stranieri che la amme>ono. Si parla, a tal proposito, di “turismo procrea:vo”.
SITUAZIONE DEL BAMBINO :

La ques(one rela(va la maternità surrogata non è semplice da aMrontare anche perché occorre oMrire una
adeguata tutela al bambino che esiste ed è terzo, leso e in buona fede.

Rispe>o ad esso vanno prese le decisioni a>e a proteggere il “best interest of the child” da intendere non
come “superiore” bensì come “migliore interesse del (per il) minore”, per so>olineare il fa>o che
1 2
l’interesse del bambino non solo è superiore ma occorre anche realizzarlo nel modo migliore possibile.

Vari sono i principi da prendere in considerazione nell’opera di bilanciamento volta a valutare la contrarietà
o meno del riconoscimento in Italia del Jglio nato da maternità surrogata all’estero. Le prime indicazioni in
merito provengono dal diri>o internazionale, in par(colare dalla Cedu e dalla Giurisprudenza della Corte di
Strasburgo.

:
La prima ques(one riguarda la con:nuità dello status di Cglio assunto legi?mamente nello Stato in cui si è
portata avan( la gestazione per altri.

Il rispe>o del diri2o alla vita privata del bambino (art.8 CEDU) fa propendere per la tutela della con:nuità
dello status di Cglio assunto all’estero, per evitare che il bambino si trovi in una situazione di incertezza
riguardo la sua iden(tà nella società civile.

Questo elemento è molto importante ai Jni del bilanciamento per impedire vengano emanate sentenze
irragionevoli come quella del caso Cruz 1989, in cui la Corte d’Appello di Torino, al Jne di “tutelare interessi
pubblici preminen(”, toglie una bambina da una famiglia nella quale è inserita da più di un anno, ben
consapevole del danno morale e psicologico causato alla stessa.

Un altro elemento da tenere in considerazione è l’eventuale consolidamento della vita familiare di fa2o
tra il minore e i genitori intenzionali. Questo paramento è ricavato in via giurisprudenziale dalla Corte
Europea dei diri? dell’uomo che impone di valutare se, tra i sogge? in ques(one, si siano crea( legami
emozionali, nel qual caso misure limita:ve di tale situazioni sono da ado2are solo in casi estremi.

Tu>avia è la stessa Corte di Strasburgo che amme>e un ampio margine di discrezionalità degli Sta: al

CASOPARADISOE CAMPANELLI
riguardo.

§ Si può portare ad esempio quanto deciso nella sent. della Gran Camera della Corte Europea dei diri?
dell’uomo del gennaio 2017, rela(vamente al caso Paradiso e Campanelli c. Italia. La vicenda riguardava il
È mancato riconoscimento per contrarietà all’ordine pubblico, da parte delle autorità italiane, di una nascita
#
Eg
§ #
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a- e
ÈÉÈ avvenuta da maternità surrogata in Russia, senza alcun apporto di materiale gene(co dai genitori
intenzionali.

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se
Inizialmente, nel 2015, la seconda sezione della Corte di Strasburgo avevano statuito che le autorità
italiane avessero superato il loro margine di apprezzamento in quanto, data una convivenza di alcuni
mesi, era da presupporre il consolidamento della vita materiale di fa>o, da limitare solo in exstremis. .

è#
In un secondo momento, la Gran Camera della Corte Europea ha ribaltato nuovamente la situazione,
reputando legi?ma la decisione delle autorità italiane. In par(colare, a sostegno della stessa:

 si è negata l’esistenza di una vita familiare di fa2o (per la cos(tuzione della quale pochi mesi non

È
sono su^cien()
 e si è fa>o leva sull’assenza di legame gene:co.

Et #
Pur riconoscendo un diri>o alla vita privata dei ricorren( di diventare genitori e di autodeterminarsi, i
giudici hanno reputato che tale diri>o non è stato violato dall’Italia, in quanto deve ritenersi legi?ma la
volontà delle autorità nazionali di riaAermare la competenza statale di stabilire i parametri di legi?mità

je
di un’adozione internazionale. I ricorren(, infa?, dopo aver o>enuto l’idoneità all’adozione
internazionale, avevano aggirato la legge italiana sull’adozione, portando il bambino in Italia senza
l’autorizzazione della commissione delle adozioni internazionali. Nel caso di specie, perme>ere ai ricorren(
di con(nuare la loro relazione con il bambino, avrebbe signiJcato legalizzare una situazione illegale imposta
come fa>o compiuto.

La sentenza è stata fortemente cri(cata da una parte della do>rina, in quanto priverebbe di valore il conce>o di vita

È
!!
familiare di fa>o.

! In par(colare, GERVASI ha aMermato che il consolidamento della vita familiare di fa>o non si basa solo su un fa>ore
-

quan(ta(vo dal punto di vista temporale. Analoghe cri(che, sono state mosse anche da PICARO secondo il quale

÷
l’unico fondamento della decisione della Gran Camera è cos(tuito dal fa>o che, lasciare il bambino ai ricorren(,
avrebbe legalizzato una situazione determinata in violazione di norme impera(ve dello stato italiano.

La decisione è stata accolta con favore da chi vede nell’uso della clausola “the best interest oh the child” uno
strumento di potenziale abuso da parte dei genitori che cercano di eludere i divie( impos( dal diri>o nazionale in
materia di maternità surrogata.

È bene speciJcare che la sentenza della Gran Camera non preclude l’accoglimento di futuri ricorsi in
materia di maternità surrogata, in quanto la decisione è sempre fru>o di un bilanciamento caso per caso,
tenendo conto delle peculiarità del caso concreto, cosi come tes(monia la giurisprudenza nazionale, di
legi?mità, di merito e cos(tuzionale.

Per quel che concerne la giurisprudenza di legi?mità, la Corte di Cassazione:

 nel 2014, ha emesso una pronuncia in cui aMerma il divieto di maternità surrogata per contrasto
con l’ordine pubblico e che tale divieto è posto a tutela della dignità umana e dell’is(tuto
dell’adozione, unico meritevole a tutelare rappor( di Jliazione che non scaturiscono da gravidanza;
 nel 2016, invece, prende una decisione in discon(nuità con la precedente. La pronuncia aveva ad
ogge>o il riconoscimento di un Jglio di due madri nato da una procedura di procreazione
medicalmente assis(ta, nella quale la Corte ha aMermato che:
 non è da considerare di ordine pubblico qualsiasi principio rispe2o al quale il legislatore gode
di una certa discrezionalità nell’a2uazione;

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 e che le fon: sovranazionali mostrano una tendenza favorevole al riconoscimento di tali
situazioni.

Per quanto riguarda la giurisprudenza di merito, tante sono le sentenze che hanno consen(to il
riconoscimento di un rapporto di Jliazione in apparente contrarietà con la norma(va domes(ca. Tra esse:

1. Una pronuncia della Corte di Appello di Trento del 23 febbraio 2017  la quale ha riconosciuto una
situazione di maternità surrogata in relazione ad un proge>o di genitorialità omosessuale maschile
ritenendo indiAerente la tecnica di procreazione adoperata all’estero in quanto preminente è il
diri2o del minore al riconoscimento dello status Clia:onis nei confron( di entrambi i genitori.
2. Un precedente a questa sentenza, quella emanata nel 2011 dal Tribunale di Napoli il quale ha
trascri>o i cer(Jca( di nascita di due gemelli da( in Colorado da un ci>adino italiano non
coniugato, tramite un contra>o di maternità surrogata, impiegando i game( del padre. Anche in
questo caso, preminente è stato considerata la protezione della prole.
3. Nel 2013, il Tribunale di Trieste ha espressamente riconosciuto che l’interesse del minore possa
agire come controlimite all’ordine pubblico;
4. E nello stesso anno il Tribunale di Milano ha aMermato che va considerato come preminente
l’interesse del minore, in quanto, nella materia in ques(one, l’evoluzione giurisprudenziale negli
altri paesi europei impone una visione a>enuata dell’ordine pubblico.

InJne, la Corte Cos:tuzionale nella sentenza 272/2017 ha aMermato, sempre nell’interesse del minore, la
necessità del bilanciamento anche in caso di divergenza tra iden:tà gene:ca e legale.

Tu>o ciò a tes(monianza del fa>o che il conce>o di ordine pubblico si è evoluto con la conseguenza che il
bilanciamento ragionevole, che il giudice deve compiere caso per caso, impone un asso?gliamento delle
pretese nazionalis(che sul controllo delle modalità con cui può realizzarsi un proge>o genitoriale.

Tu>avia, ciò da luogo a ulteriori problema(che, rela(vamente a situazioni puramente interne, in quanto
determina una discriminazione nei riguardi dei ci>adini meno abbien( che sono impossibilita( ad avere
Jgli.

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IL MATRIMONIO MONOANDRICO POLIGINICO SIMULTANEO

Il secondo caso da analizzare è quello del matrimonio monoandrico poliginico simultaneo di origine
musulmana, nell’ambito del quale un uomo ha il diri2o di sposare contemporaneamente più di una
donna, diri>o che invece è precluso a quest’ul(ma  violazione art. 29 Cost. (uguaglianza dei coniugi). Se -

tale diri>o fosse riconosciuto anche alla donna, non ci sarebbe violazione dell’ordine pubblico bensì del
buon costume.

Nell’ordinamento giuridico italiano, una situazione di matrimonio poligamico contrasta con l’ordine
pubblico interno in virtù:

 Dell’art 86 c.c.  che impone la libertà di stato come requisito per contrarre matrimonio;
 E dell’art. 116 comma 2 c.c.  che subordina al rispe>o dell’art. 86 c.c. anche lo straniero che
contrae matrimonio in Italia.

Di conseguenza, in Italia, il matrimonio con la seconda moglie è da considerarsi nullo.

N.B. è bene speciJcare che non si tra>a di inesistenza bensì di invalidità in quanto il matrimonio conserva
rilevanza giuridica ed è produ?vo di eMe?:

 Sia per le conseguenze che l’a>o produce sul piano penale;


 Sia per la tutela accordata alla prole;
 Sia per la potenziale produzione di eMe? successori in forza delle regole del matrimonio puta(vo.

Tu>avia, sul piano di diri>o interno, quando una situazione di poligamia esiste nei fa?, essa potrà
comunque trovare alcune forme di tutela da parte dell’ordinamento, alla luce del principio fondamentale
di cui l’art. 2 Cost. .

G. Perlingieri riKe>e sull’evoluzione del conce>o di famiglia da intendersi come formazione sociale
all’interno della quale i singoli debbano realizzare la propria personalità.

Ne consegue, quindi, che la persona va tutelata in quanto tale e indipendentemente dal numero di
formazioni sociali nella quali scelga di realizzare la propria personalità. Potrebbe infa? accadere che due
rappor( familiari, uno matrimoniale e uno extramatrimoniale, siano entrambi rilevan( per il diri>o.

Nel caso di un matrimonio poligamico veriJcatosi all’estero, possiamo dis(nguere due circostanze:

1. Quella in cui si richiede tout court il riconoscimento di più matrimoni in capo al medesimo uomo
 in questo caso non ci sono dubbi che la richiesta sia contraria all’ordine pubblico, in par(colare
all’art. 29 Cost. e all’art. 86 c.c. ;
2. Quella in cui la poligamia è solo un presupposto logico giuridico di un’altra situazione giuridica

(
che cos(tuisce ogge>o di giudizio dinanzi ai giudici italiani (es. richiesta di ricongiungimento
familiare, di una pretesa in sede successoria o del riconoscimento dello status di Jglio).

In questo secondo caso, il matrimonio poligamico cos(tuirà, rispe>o a queste situazioni, una ques:one
preliminare (es. quando il rapporto poligamico serve per accertare la legi?mità della Jliazione), con la
conseguenza che, pur non avvallando un is(tuto contrario ai nostri principi giuridici, il giudice potrà tenerne


conto per tutelare situazioni giuridiche meritevoli di tutela ( es. quelle di sogge? che nel paese d’origine
hanno la qualiJca di Jgli legi?mi).

cessione "

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In ques( casi, parte della do>rina internazionalpriva(s(ca parla di ordine pubblico a2enuato, per
gius(Jcare la non applicazione dello stesso.
*
Questa nozione viene spesso discussa insieme a quella di ordine pubblico di prossimità, secondo la quale
l’ordine pubblico non dovrebbe essere invocato in tu? in casi in cui non vi sia un collegamento signiJca(vo
con il foro (ci>adinanza, residenza abituale o domicilio).

Si tra>a in entrambi i casi di due tenta(vi di apertura verso culture diMeren( vol( ad evitare conDi? di
civilizzazione, che si veriJcano quando l’ordine pubblico viene invocato per escludere l’applicazione di
interi se>ori del diri>o straniero e che è stato molto u(lizzato a causa delle signiJca(ve diMerenze culturali
esisten( tra mondo islamico e occidentale.

Per quanto riguarda le ques(oni che possono venire in rilievo c’è poco da dire in merito alla riconoscibilità
dello status di Cglio dei na: da rappor: poligamici , in quanto la contrarietà all’ordine pubblico del
matrimonio poligamico è costre>a a cedere di fronte al principio che impone il soddisfacimento del
migliore interesse del minore.

Più complesse sono le situazioni concernen( una richiesta di ricongiungimento familiare o una pretesa in
sede successoria in situazioni derivan( da poligamia.

1 Richiesta di ricongiungimento familiare Per quel che concerne la prima ques(one, l’art. 29 comma 1 ter
L.94/2009 (t.u. sull’immigrazione) sembra non consen:re il ricongiungimento del coniuge o del genitore,
se la persona che ne beneJcia è coniugata con uno straniero regolarmente soggiornante con un altro
coniuge nel territorio nazionale. Ne consegue che un marito non può chiedere il ricongiungimento per più
di una moglie e che neanche il Jglio può chiederlo per la madre, se il padre risieda in Italia con un’altra
moglie.

A favore di questo orientamento si è schierata la giurisprudenza della Cassazione (2013) e il TAR dell’Emilia
Romagna (1994).Tu>avia, la ques(one è ben più complicata.

 In primo luogo, occorre tenere in considerazione che l’art. 29 comma 1 ter del t.u.
sull’immigrazione Jnisce comunque per amme2ere validità ed ehcacia al matrimonio poligamico
contra2o all’estero, altrimen( non avrebbe avuto accesso in Italia neanche quell’unica persona
ammessa;
 In secondo luogo, il fa>o che il fondamento della norma è il diverso interesse, pur meritevole di
tutela, di garan:re il controllo del territorio e contenere i Dussi migratori.

Tu>e queste ragioni andrebbero, però, bilanciate con altri parametri: in primis, la necessità di soddisfare il
miglior interesse del minore. Questo interesse è stato considerato preminente:

 Dalla dire?va 86 del 2003 la quale lo aMerma rela(vamente il diri2o di ricongiungimento


familiare;
 Dall’art. 28 comma 3 t.u. sull’ immigrazione che dispone che in tu? i procedimen( amministra(vi
e giurisdizionali Jnalizza( a dare a>uazione all’unità familiare e riguardan( i minori, prioritario è
l’interesse del fanciullo;
 Dall’art. 31 comma 3 della stessa legge che sancisce che il Tribunale dei minorenni, tenuto conto
delle condizioni di salute Jsica e mentale del minore, può autorizzare l’ingresso o la permanenza
del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni della
stessa legge;

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 Dalla sentenza della Corte di Appello di Torino del 18 aprile 2001 che ha consen(to al marito
extracomunitario, munito di regolare permesso di soggiorno, di permanere in Italia per consen(re
alla madre di proseguire le cure del Jglio minore sebbene il padre viva in Italia anche con l’altra
moglie  tutela del diri2o del minore a non essere separato senza adeguato mo:vo da uno dei
genitori.
 Dall’ordinanza del 12 marzo 2003 del Tribunale di Bologna che ha consen(to il ricongiungimento
familiare del Jglio, regolarmente residente in Italia, e la madre il cui marito risiedeva in Italia con
un’altra moglie, aMermando che è illegi?mo il provvedimento di diniego del ricongiungimento
emanato sulla base della semplice compresenza sul territorio italiano di due donne straniere con
le quali il padre ha contra2o matrimonio poligamico all’estero.
Tale situazione infa?:
 Non integra gli estremi del reato di bigamia  che può essere compiuto soltanto dal
ci>adino italiano nel territorio italiano.
 Non contrasta con i limi: previs: dall’art. 29 comma 1 le2. a D.lgs. 286/98 che non
sarebbero rispe>a( esclusivamente nel caso in cui il marito chiederebbe il
ricongiungimento con entrambe le mogli, invocando il riconoscimento degli eMe? civili del
matrimonio in Italia;
 Né conCgura una violazione dell’ordine pubblico, in quanto il matrimonio poligamico
contra>o all’estero dal padre del ricorrente sono privi di eMe? civili nell’ordinamento
italiano.

2 Pretesa in sede successoria Per quel che concerne la seconda ques(one, fondamentale è la sentenza n.
1739 del 1999 della Corte di Cassazione la quale ha ammesso che la ci2adina somala, la quale ha contra>o
matrimonio in Somalia secondo le forme previste dalla lex loci, possa far valere dinanzi al giudice italiano i
diri? successori derivan: dal matrimonio medesimo . La fa?specie riguardava un caso di poligamia
potenziale, non avendo di fa>o l’uomo sposato più la donna  situazione irrilevante ai Jni della
valutazione della compa(bilità di tale situazione con l’ordine pubblico.

Nella medesima sentenza, la Corte di Cassazione aMerma che, in tema di poligamia, va tenuta dis(nta:

 la regolamentazione del rapporto giuridico controverso (ques(one principale)


 dalla rilevazione dei suoi presuppos: (ques(one preliminare).

In questo modo si aMerma quindi:

 che il Cglio e la moglie del musulmano poligamo sono comunque ammessi a succedere ai beni
lascia: da costui in Italia
 e che l’accertamento del matrimonio valido o della Cliazione legi?ma
 sono ques:oni preliminari rispe>o a quella principale della devoluzione ereditaria
 e che non pongono problemi di compa:bilità con l’ordine pubblico interno.

In conclusione, non è possibile non riconoscere a priori eMe? derivan( da situazioni che di per sé
sarebbero contrarie all’ordinamento giuridico ma è sempre necessario, tenendo conto delle peculiarità del
caso concreto, “un corre2o bilanciamento di interessi” (G. Perlingieri).

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RIPUDIO

Il ripudio è una par(colare forma di scioglimento del matrimonio islamico e consiste, nei paesi più
conservatori, in un a2o unilaterale con il quale il marito intende liberarsi del vincolo nuziale. In alcuni
Paesi, tra cui il Marocco, si sta avviando una giurisdizionalizzazione del procedimento.

Secondo il diri>o islamico, il ripudio può essere revocabile o irrevocabile. Infa?, prima dello scadere del
periodo di tre mesi (o di tre cicli mestruali) di ri:ro che la donna è tenuta ad osservare, il marito può
ritra>are il ripudio pronunciato. Trascorsi tre mesi senza la ritra>azione o senza la pronuncia di un nuovo
ripudio revocabile il matrimonio è sciolto. Il ripudio può essere pronunciato per un massimo di tre volte,
dopo di che diviene deJni(vo.

Sebbene sia lecito, il ripudio è fortemente disapprovato dal Corano, in quanto la possibilità di ritra>arlo
mina la saldezza del vincolo matrimoniale.

L’a2o ripudio è contrario all’ordine pubblico interno, contrastando con numerosi principi fondamentali
dell’ordinamento italiano:

 non è previsto tra le cause di scioglimento del matrimonio ex art 1 e 3 L. 898/1970;


 contrasta con gli art. 2, 3 e 29 Cost.  uguaglianza tra uomo e donna, singolarmente e come
coniugi;
 ove non vi siano provvedimen( a tutela della prole, contrasterebbe con l’art. 30 comma 2 Cost. 
dovere dei genitori è quello di mantenere, istruire ed educare i Jgli;
 ove non siano regola( i rappor( economici tra uomo e donna, contrasterebbe con il principio di
solidarietà familiare ex art. 29 Cost.

Ques( principi, inoltre, cos(tuiscono anche il nocciolo duro dell’ordine pubblico internazionale. Non
dovrebbe, quindi, o>enere riconoscimento in Italia neanche un ripudio validamente pronunciato all’estero.

Tu>avia, la situazione è ben più complessa. Si pensi al caso di una donna, ripudiata all’estero, che si trovi
nell’impossibilità di risposarsi in Italia perché il precedente vincolo matrimoniale è ritenuto ancora
esistente. Anche questo, contrasterebbe con i principi dell’ordinamento italiano.

Occorre fare due chiarimen(.

1. È necessario dis(nguere due casi:


1.1. Il ripudio avviene in via stragiudiziale  nel qual caso verrà in rilievo l’applicabilità in Italia
delle norme straniere sul ripudio, alla luce della disciplina sui conKi? di legge. In questo caso,
ritenendosi di equiparare il ripudio a una forma di divorzio, la legge applicabile sarebbe
determinata dal Reg. UE n. 1259/2010 il quale pone:
 all’art. 5, il criterio di libertà di scelta da parte dei coniugi della legge applicabile
 e, all’art. 8, una serie di criteri u(lizzabili in caso di assenza di scelta.

In ogni caso, l’art. 12 del reg. sancisce che non sarà applicabile la norma della legge designata,
in virtù dello stesso reg., se tale applicazione è incompa:bile con l’ordine pubblico.

Potranno, quindi veriJcarsi due ipotesi:

1.1.1. Se è applicabile la legge italiana sul divorzio  il ripudio è nullo;

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1.1.2. È applicabile il diri2o straniero  in questo caso, il giudice deve valutare tramite
bilanciamento se, nel caso concreto, siano viola: i principi irrinunciabili
dell’ordinamento e, in questo caso, non applicare la legge straniera individuata.

1.2. Il ripudio si realizza tramite una sentenza  nel qual caso dovrà farsi riferimento alla
disciplina in tema di riconoscimento di a? e provvedimen( stranieri. Si applicherà la L.
218/1995 e in par(colare:
 Art. 64, che prevede il criterio di “regolarità internazionale” o “validità
internazionalpriva:s:ca" delle sentenze straniere, in virtù del quale bisogna veriJcare:
 Se il giudice straniero è obie?vamente competente;
 Il rispe2o dei principi fondamentali dell’ordinamento italiano (es. diri>o di difesa e
ordine pubblico).
 Art. 65, che prevede che i provvedimen: stranieri rela(vi la capacità delle persone,
nonché l’esistenza di rappor: di famiglia o diri? della personalità sono sempre e^caci in
Italia quando:
 Sono pronuncia( da un giudice dello Stato la cui legge sarebbe richiamata dalle
norme di conDi2o italiane nella materia in ques(one;
 O quando, se pur pronunciate da altro giudice, producano eAe? in tale Stato;
 E sempre a condizione che siano rispe>a( i diri? essenziali di difesa e l’ordine
pubblico.

PICONE, so>olinea che entrambe le norme vanno considerate come riferibili alle sole sentenze
straniere e non anche ad altri provvedimen( giurisdizionali o a? amministra(vi.

Si tra>a di due norme complementari tra loro, in quanto l’art. 65 si applica solo nei casi in cui
le norme di conKi>o italiane designino come competente una legge straniera.

2. Laddove il ripudio coinvolga una ci2adina italiana, la norma(va applicabile subisce importan(
variazioni.
2.1. Il limite di ordine pubblico opererà in maniera diversa:
 Nel caso in cui si tra? di una ci2adina italiana, quest’ul(ma dovrà richiedere
espressamente il riconoscimento dell’a2o o della sentenza straniera di ripudio per
liberarsi dal vincolo matrimoniale;
 Nel caso in cui il ripudio avvenga tra due ci2adini stranieri tramite sentenza, l’a2o si è
validamente formato all’estero, con la conseguenza che il problema in Italia sarà solo
eventualmente quello di dare ehcacia agli eAe? del ripudio.
2.2. Inoltre, la ci2adina italiana potrà senz’altro godere del rimedio ex art.3, n. 2, le2. E, L.
898/1970 il quale amme>e che uno dei coniugi presen( domanda di divorzio nell’ipotesi in cui
l’altro coniuge, ci>adino straniero, ha o>enuto all’estero, l’annullamento o lo scioglimento del
matrimonio o a contra>o nuove nozze.
Ques( rappresenterebbero sintomi del disfacimento della situazione matrimoniale che renderebbero
impossibile il mantenimento o la ricostruzione dell’unità materiale e spirituale dei coniugi.
GALOPPINI so>olinea come al riguardo rimanga irrisolta la ques(one del tra>amento economico della
moglie ripudiata e dell’a^damento della prole, almeno quando il marito non risieda in Italia.

Al Jne di limitare i casi in cui a priori si riJuta di dare esecuzione degli a? di ripudio stranieri, una
risoluzione del 2005 dell’Is:tut de Droit Interna:onal, nel rispe>o del principio di ordine pubblico di

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prossimità, propone di limitare il richiamo all’ordine pubblico ai casi in cui la moglie ha o ha avuto la
ci2adinanza dello Stato richiesto o di uno Stato che ignora il ripudio tranne nei casi in cui:

 abbia acconsen(to al ripudio;


nel qual caso potrebbe anche parlarsi di divorzio per mutuo consenso, Jgura introdo>a nel nostro
ordinamento dalla legge 74/1987 e che ha introdo>o la possibilità di o>enere lo scioglimento o la
cessazione degli eMe? civili del matrimonio sulla base di una richiesta congiunta
 o abbia beneJciato di una protezione pecuniaria adeguata.

Molto importante una pronuncia -isolata- della Corte d’Appello di Cagliari con la quale il tribunale sardo ha
dichiarato ehcace nell’ordinamento giuridico italiano il provvedimento di ripudio pronunciato da un
tribunale egiziano tra due ci>adini egiziani e ordinato la trascrizione del provvedimento egiziano nel
Registro di stato civile del comune di Cagliari. La conformità con l’ordine pubblico è stata aMermata perché
in questo modo la moglie ha avuto la possibilità di far valere in sede processuale le sue ragioni economiche
e personali  rispe2o del principio del contraddi2orio secondo la legge egiziana, la quale ri(ene
su^ciente che nell’ambito del procedimento di divorzio sia data alla moglie la possibilità di intervenire.

Diversamente, ciò non è stato possibile in un caso giudicato dalla Corte d’Appello di Roma nel 2016 riguardante un
caso di ripudio tra due ci>adini giordani e accolto dal Tribunale pales(nese senza il coinvolgimento della moglie.

Inoltre, la Corte d’Appello di Venezia ha aMermato che non è su^ciente che il principio del contraddi>orio sia
rispe>ato secondo i de>ami della lex causae, ma che deve essere assicurato il rispe>o dell’art. 111 Cost, a prescindere
dalla nazionalità della moglie ripudiata.

Importante anche la sentenza n. 10378 del 2004 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la quale ha
aMermato che non può essere ritenuta contraria all’ordine pubblico una sentenza di scioglimento del
matrimonio resa dal giudice straniero fra ci>adini italiani per il solo fa>o che il matrimonio è stato sciolto
con procedure, ragioni e situazioni non iden:che a quelle previste dalla legge italiana.

Infa? se il presupposto del divorzio consiste nel disfacimento della comunione familiare e, nel caso
concreto, esso si sia veriJcato è opportuno dare esecuzione al provvedimento di ripudio anche se tale a>o
sia formalmente contrario all’ordine pubblico.

Anche in questo caso, quindi, sarebbe irragionevole una totale chiusura del nostro ordinamento nei
confron( del ripudio. Infa?, l’opera di bilanciamento del giudice - che tenga conto delle peculiarità del caso
concreto - può evidenziare la necessità di riconoscere gli eMe? del ripudio al Jne di garan(re la tutela dei
diri? fondamentali delle par(, a prescindere dalla nazionalità della moglie ripudiata.

Atto
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I MATRIMONI OMOSESSUALI

Per molto tempo, ai sensi dell’art. 29 Cost, parte della do>rina ha riconosciuto soltanto il valore della
famiglia fondata sul matrimonio.

Una svolta in materia è stata segnata dalla L. 76/2016 (cd. Legge Cirinnà per la Regolamentazione delle
unioni civili tra le persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) con cui vengono riconosciute
come degne di tutela anche le famiglie non fondate sul matrimonio, il cui orientamento ha preso avvio già a
par(re dagli anni 80.

Ciò ha signiJcato un grande passo avan(, sebbene sarebbe stato più opportuno rendere accessibile il
matrimonio anche alle coppie dello stesso sesso. Secondo la do>rina odierna, non solo un’unione civile omosessuale
registrata in Italia non contrasta con l’ordine pubblico ma contraria allo stesso sarebbe una legge straniera
che non prevede forme di unioni omosessuali. Le unioni civili vengono infa? tutelate in quanto formazioni
sociali riconosciute e prote>e dall’art. 2 Cost. .

La rilevanza dell’is(tuto è evidente anche nel fa>o che 27 su 47 Sta( del Consiglio d’Europa dispongono di
norma(ve che riconoscono le unioni tra persone dello stesso sesso so>o forma di matrimonio, unione civile
o relazione registrata.
CASO COMAN :
Molto importante è la recente sentenza della Corte di Gius(zia dell’Unione Europea nel caso Coman. La
controversia era stata iniziata dal signor Coman, ci>adino rumeno, e dal signor Hamilton, statunitense, e
riguardava la dire?va 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio Europeo del 29 Aprile 2004 la

è:
quale sancisce, per facilitare il ci>adino europeo a soggiornare liberamente negli Sta( UE, l’estensione
della possibilità di un soggiorno superiore a tre mesi per i familiari non aven: la ci2adinanza di uno Stato

:
membro quando accompagnano o raggiungano nello Stato membro il ci>adino dell’unione. La ques(one è
sorta in quanto per familiare si intende anche il coniuge o partner che abbia contra>o con il ci>adino
dell’Unione un’unione registrata ma la Romania non riconosce i matrimoni omosessuali. Con la
conseguenza che la Corte rumena ha rimesso la ques(one alla Corte di Lussemburgo la quale ha aMermato
che si intende per coniuge anche quello dello stesso sesso e che il riCuto da parte delle autorità rumene di
concedere al signor Hamilton il permesso di ingresso o soggiorno lederebbe il principio della libertà di
circolazione ex art. 21 TFUE, che non può essere subordinato al fa>o che il diri>o nazionale preveda o
meno il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

In passato, problema(co era la riconoscibilità degli a? stranieri che sancivano matrimoni omosessuali
coinvolgen( un ci>adino italiano.

Infa?, il matrimonio omosessuale tra ci>adini stranieri formatosi all’estero è certamente un a>o valido in quanto
re>o dal diri>o in cui si è perfezionato.

La pronuncia più signiJca(va al riguardo è stata emessa nel 2005 dal Tribunale di La(na il quale ha sancito
-

che è pienamente legi?mo il riJuto di trascrivere nei registri italiani un matrimonio straniero, in quanto
secondo l’ordinamento italiano l’unico matrimonio possibile è quello tra uomo e donna. Discorso non
dissimile, nel caso in cui si richiedeva la trascrizione in Italia di unioni civili registrate.

Ciò non comprome>eva la tutela riconosciuta alle par( di rappor(, a^nché godessero dei diri? ex art. 2
Cost. e art. 8 CEDU (diri>o alla vita privata e familiare).

SEE
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Oggi la ques(one è risolta in quanto l’art. 28 Legge Cirinnà ha delegato il governo a legiferare sugli aspe?
internazionalpriva(s(ci delle unioni civili tra persone dello stesso sesso.

Il governo ha quindi emanato il d.lg. 7/2017 che ha aggiunto alla Legge 218/1995: modificato successiva
(

 l’art. 32 bis che dispone che il matrimonio contra>o all’estero da ci2adini italiani con persona dello
stesso sesso produce gli stessi eAe? dell’unione civile regolata dalla legge italiana;
 l’art. 32 quinquies che sancisce che l’unione civile o altro is:tuto analogo cos(tui( all’estero tra
ci2adini italiani dello stesso sesso abitualmente residen( in Italia produce gli stessi eAe?
dell’unione civile regolata dalla legge italiana.

Dei problemi sono sor( rela(vamente l’art. 32 bis.

apposte
Inizialmente il testo faceva riferimento a tu? i matrimoni omosessuali contra? all’estero. In seguito si è
preferivo circoscrivere la norma solo a quelli contra? da ci2adini italiani, in quanto le coppie omosessuali
straniere si sarebbero trovate discriminate rispe>o a quelle eterosessuali di stessa nazionalità.

àÈ
Inoltre non era chiaro se l’inciso “matrimonio contra>o da ci>adini italiani” facesse riferimento ai soli
matrimoni tra italiani o anche a quelli mis: (tra un italiano e uno straniero). La ques(one è stata risolta
dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 11696/2018) la quale ha aMermato che:

 la legge Cirinnà si applica anche per il riconoscimento delle unioni civili avvenute prima dell’entrata
in vigore della stessa;
 e che l’art. 32 bis si applica anche ai matrimoni mis:  facendo leva sulla diMerenza testuale
esistente tra art 32 bis, che parla di matrimoni cos(tui( da ci>adini italiani, e l’art. 35 quinquies,
che fa riferimento a quelli tra ci>adini italiani.
ADOZIONI OMOSESSUALI :
Un’ulteriore ques(one è quella che concerne la registrazione delle adozioni registrate all’estero da parte
di coppie omosessuali.

Recente (2018) è un’ordinanza di remissione del Tribunale di Pisa alla Corte Cos(tuzionale che dovrà
valutare una ques:one di legi?mità cos:tuzionale di una norma che non consente all’u^ciale di Stato
Civile di formare l’a2o di nascita di un bambino, ci>adino straniero, con l’indicazione di due genitori dello

(
stesso sesso.

La Corte Cos(tuzionale avrà modo di pronunciarsi sulla ques(one, sebbene appaia condivisibile l’opinione
di chi ha aMermato che, piu>osto che sollevare una ques(one di legi?mità, sarebbe stata possibile
un’interpretazione cos:tuzionalmente orientata della norma e coerente con la ra:o della disciplina della
Cliazione che è volta a garan(re pari dignità sociale ai Cgli, indipendentemente dal (po di famiglia nel
quale sono na(, e secondo una concezione della famiglia stessa che non può divenire “nemica delle
persone e dei loro diri?”.

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DANNO PUTATIVO

L’idea di danno puta:vo, ossia si un risarcimento che abbia una funzione sanzionatoria oltre a quella
tradizionale compensa(va, si è fa>a strada nella do>rina italiana sulla base dello studio dei puni%ve
damages del diri>o statunitense  dove hanno la funzione di supplire l’assenza di un rimedio risarcitorio e
non sono quindi meramente ancora( all’idea di punizione. Essi hanno due obie?vi:

1. punire il convenuto per la sua condo>a riprovevole;


2. dissuadere lui ed altri dal compiere simili a? in futuro.

Queste Jnalità erano totalmente estranee nei paesi di civil law, per i quali la responsabilità civile è
ancorata all’idea di risarcimento del danno subito. Di conseguenza il pagamento di ogni somma ulteriore
rispe>o la compensazione era percepita come indebita. Infa? i punite damages erano contrari all’ordine
pubblico, sebbene questo orientamento può dirsi totalmente superato.

Secondo un’autorevole do>rina, dato il passaggio da una concezione patrimonialis(ca ad una


personalis:ca dell’ordinamento, la responsabilità civile non può esaurire le sue funzioni nella tutela delle
situazioni patrimoniali ma deve abbracciare anche la lesione della persona e delle situazioni giuridiche
esistenziali. La responsabilità civile ha quindi una pluralità di funzioni (preven(va, compensa(va,
sanzionatoria, puni(va) che devono tra loro coesistere.

Questa tendenza è stata accolta, oltre che dall’ordinamento italiano, anche da quello spagnolo, tedesco,
francese.

Per quel che concerne quello italiano, il legislatore ha infa? introdo>o varie forme di responsabilità civile
con funzione non solo compensa(va ma anche sanzionatoria. Per menzionarne alcune:

 lite temeraria ex art. 96 c.p.c. ( La lite temeraria consiste nel comportamento processuale di una parte
connotato da mala fede o colpa grave. “Se risulta che la parte soccombente ha agito o resis9to in giudizio
con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell'altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al
risarcimento dei danni, che liquida, anche di u?cio, nella sentenza);
 art. 614 bis c.p.c.  potere del giudice di Jssare una somma pecuniaria per ogni violazione o
ritardo nell’esecuzione del provvedimento;
 art. 114 L. 104/2010  che a>ribuisce analogo potere al giudice dell’o>emperanza.

Al riguardo fondamentale, la sentenza 16601/2017 della Cassazione.

La vicenda trae origine da un provvedimento della Corte di Appello di Venezia con il quale sono state
dichiarate ehcaci ed esecu:ve nell’ordinamento italiano tre sentenze statunitensi passate in giudicato.
Queste sentenze son state rese a favore della NOSA Inc., società americana, contro la AXO Sport S.p.A. .
Quest’ul(ma è ricorsa in Cassazione poiché una di queste sentenza la condannava al pagamento di un
ammontare a :tolo di puni:ve demage il quale non avrebbe dovuto essere riconosciuto ed eseguito in
Italia, in quanto contrario all’ordine pubblico.

Nella sentenza 16601/2017, la Corte di Cassazione ha:

 Chiarito la polifunzionalità della responsabilità civile, che può servire anche a scopo di punizione e
deterrenza  eMe?vità della tutela;
 Tu>avia, pur riconoscendo ciò, osserva che il principio di legalità di cui l’art. 23 Cost. impone che
sia il legislatore a prevedere le condizioni e i presuppos: di tale provvedimento. Ne consegue che

SET
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il giudice non può eme>ere provvedimen( puta(vi al di fuori di quelli (pizza(, che sarebbero
contrari all’ordine pubblico.

Ovviamente questo ostacolo non sussiste quando si tra>a di provvedimen( di condanna a puni(ve
demages che provengano da ordinamen( stranieri, purché tale decisione sia emanata sulla scorta di basi
norma(ve adeguate.

LIMITAZIONI DELLA LIBERTA’ TESTAMENTARIA

Un bilanciamento secondo ragionevolezza, ai Jni dell’opera(vità del limite di ordine pubblico (interno ed
internazionale) è necessario anche in ambito successorio.

Si pensi alle norme interne che tutelano la libera revocabilità del testamento e, in genere, gli a? di ul:ma
volontà che, di regola, non sono derogabili da nessuna norma straniera perché a>ua(vi di principi
fondamentali di ordine pubblico a tutela della persona e del risparmio nonché a garanzia della libertà del
de cuius. Potrebbe accadere che il principio di libera revocabilità del testamento e degli a? di ul(ma
volontà soccomba dinanzi a interessi in concreto più meritevoli.

Si pensi all’interesse del Cglio nel caso del riconoscimento ex art. 256 c.c.  il riconoscimento è
irrevocabile. Quando è contenuto in un testamento ha eMe>o dal giorno della morte, anche se il
testamento è stato revocato.

Sebbene il testamento non sia essenziale per la vicenda circolatoria mor(s causa (operando in alterna(va la
successione legi?ma), non si può negare che il testamento trova la sua essenza in bisogni individuali e
sociali (mezzo e^cace per premiare virtù e punire il vizio), e nell’interesse non patrimoniale di dare al de
cuius la possibilità di disciplinare i propri rappor: giuridici dopo la morte.

Anche la do>rina ha da sempre so>olineato l’indissolubile legame tra testamento e sen(men( dell’uomo.

P. Perlingieri, ne “La funzione sociale del diri>o successorio”, ha analizzato una recente sentenza (2018) della Corte
Europea Dei Diri? dell’Uomo, in cui si è aMermato che il valore del testamento quale a2o di autodeterminazione in
relazione al proprio diri2o di proprietà può prevalere anche rispe2o agli obblighi internazionali gravan: su uno
Stato.

Il marito della ricorrente – un musulmano residente in Tracia – aveva disposto mediante testamento pubblico (in
conformità con il codice civile greco) che tu? i suoi beni fossero lascia( alla moglie, la signora Molla Sali. Le sorelle
del defunto invocarono la nullità del testamento in virtù di una convenzione internazionale ra(Jcata dalla Grecia, che
sancisce l’applicazione della Shari’a alle vicende successorie dei musulmani residen( in Tracia, che riconosce la sola
successione ab intestato.

Il ricorso delle sorelle del defunto è stato rige2ato in primo grado da Tribunale di Rodopi e successivamente dalla
Corte d’Appello della Tracia in quando annullare il testamento avrebbe comportato la compromissione

 Dei diri? del defunto  diri>o di proprietà e a non subire discriminazioni su base religiosa
 E i diri? della moglie  discriminata su base religiosa.

Nonostante ciò la Corte di Cassazione greca, cassò la sentenza con rinvio, chiedendo alla Corte d’Appello della Tracia
di dichiarare la nullità del testamento e la necessità di so2oporre la successione alla Shari’a.

La corte d’Appello ha fa>o ricorso alla Corte EdU la quale ha aMermato che ha aMermato che:

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-
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 La decisione della Corte di Cassazione greca cos(tuisse una lesione del diri2o di proprietà della ricorrente 
discriminata in ragione della religione del marito
 La scelta del defunto di far riferimento alla disciplina codicis:ca per disporre dei suoi beni dopo la morte
cos(tuisce un’estrinsecazione del proprio diri2o di autodeterminazione in relazione al proprio diri2o di
proprietà
 I diri? fondamentali cos:tuzionalmente garan:: non possono soccombere al Cne di dare esecuzione ad
una convenzione internazionale.

Sebbene il testamento soddisJ un interesse individuale e sociale, la revocabilità del testamento necessita di
essere ogge>o di un bilanciamento secondo ragionevolezza che consenta di tenere in considerazione le
cara>eris(che del caso concreto.

Stesso discorso vale anche per le norme a tutela dei legi?mari che, seppur impera(ve, sono rimesse a
valutazioni di opportunità, in quanto non a>ua(ve di diri? inviolabili dell’uomo o di altri principi
fondamentali dell’ordinamento.

Sebbene l’is(tuto della legi?ma non abbia funzione assistenziale, si potrà valutare se il legi?mario,
diseredato, leso o pretermesso versi in stato di bisogno.

Il bilanciamento secondo ragionevolezza è stato alla base di un’importante decisione della Corte
Cos(tuzionale n. 174/2016 nella quale ha aMermato che la pensione di reversibilità non può essere
ripar(ta tra coniuge ed ex coniuge semplicemente in proporzione della durata dei rispe?vi matrimoni ma
occorre prendere in considerazione anche altri paramen(, come lo stato di bisogno del coniuge supers:te.
Altri elemen( possono essere la sua condizione, l’eventuale cumulo di reddi(, la presenza di Jgli minori o
inabili nonché il riconoscimento di un minimo di tra>amento pensionis(co da corrispondere comunque,
anche quando la durata del matrimonio sia stata breve.

InJne per quel che riguarda la diseredazione, una a>o disposi(vo della stessa secondo il diri>o interno
qualora sia lesiva della posizione del legi?mario rimarrà valida, ma susce?bile di riduzione. Tu2avia anche
la riduzione sarà preclusa quando:

 Sussista una giusta causa (art. 448 bis c.c.);


 e/o qualora nel caso concreto operi una condizione di reciprocità (art. 16 disp. Prel. C.c.)

Questo perché la quota di legi?ma è prevista da una norma impera(va di ordine pubblico interno che non
esprime un principio fondamentale.

Stesso ragionamento può essere applicato al diri>o straniero.

La disposizione straniera che amme>e la diseredazione non è contraria all’ordine pubblico. Tu>avia il
giudice, in sede di bilanciamento, potrà tenere conto di tu>e quelle situazioni meritevoli di tutela che
impongano di tutelare il legi?mario pretermesso qualora si trovi in stato di bisogno.

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Patti successori: sono convenzioni stipulate tra due o più persone con
cui si dispone della propria successione, o i patti con cui un futuro
erede o legatario dispone dei diritti che gli possono spettare su una
successione non ancora aperta, o rinuncia ai medesimi.
I PATTI SUCCESSORI

L’art. 458 c.c. sancisce il divieto dei pa? successori, che cos(tuisce una norma impera:va espressiva dei
principi di ordine pubblico interno.

Nell’art. 458 c.c. possiamo scorgere tre diversi divie: e, in par(colare, di s:pulare:

1. Pa? is:tu:vi  di disporre della propria successione o di diri? spe2an: su una successione non
ancora aperta. Esso può assumere la forma delIl
 Contra2o, con il quale si nomina altri proprio erede o legatario;
 o dell’accordo o promessa unilaterale, con la quale ci si impegna ad is(tuire altri come
proprio erede o legatario.

Sebbene non ci siano dubbi sull’invalidità dell’accordo successorio, è dubbia la validità del
testamento conforme allo stesso. Per aMermarne l’invalidità, non sarà su^ciente la conformità, ma
è necessaria la prova che il testatore non avrebbe disposto in quel modo in assenza del pa2o o
-
della promessa precedentemente assunta, con evidente compromissione della libertà
testamentaria.

2. A? disposi:vi ↘
3. O rinunzia:vi  con i quali si dispone o si rinuncia a diri? non propri ma rela(vi a una
successione futura di terzi.

Mentre nel caso dei pa? is(tu(vi si tra>a dell’eredità di chi dispone, nel caso di quelli disposi(vi o
rinunzia(vi si tra>a dell’eredità di terze persone. Il punto in comune è che si tra? di successioni non
ancora aperte.

L’art. 458 c.c. è una norma impera:va conforme a Cos:tuzione ma non espressiva di principi
fondamentali, con la conseguenza che può essere derogata in presenza di fa?specie cara2erizzate da
elemen: di estraneità.

In par(colare per quel che concerne i pa? is:tu:vi, il divieto si fonda sulla scelta del legislatore voler
ahdare la scelta dell’erede o del legatario alla sacralità del testamento, a^nché la volontà del de cuius sia
libera da condizionamen( esterni. Tu>avia, poiché il principio non è espressione di principi iden(Jca(vi
dell’ordinamento nulla vieta la ricezione di a? e decisioni straniere che riconoscano la validità e l’esistenza
di pa? del genere.

Inoltre i valori del personalismo e del solidarismo impongono una soluzione restri?va del divieto di pa?
is:tu:vi, alla luce della quale sono vieta: i pa? is:tu:vi diversi dal testamento con i quali si dispone
l’a2ribuzione o devoluzione del patrimonio ereditario o di diri? patrimoniali spe2an: sull’eredità.

Viceversa, non possono essere considera: nulli i pa? successori con i quali si dispone di interessi
stre2amente connessi alla propria persona (es. disposizioni rela(ve la sepoltura o cremazione o
dispersione delle ceneri, donazione di organi, prescrizioni al coniuge supers(te sull’educazione dei Jgli
etc.), in quanto ciò farebbe della norma uno strumento lesivo nei confron( del de cuius.

-83rem Document shared on www.docsity.com


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Anche la norma che vieta i pa? successori disposi:vi è di ordine pubblico interno il cui fondamento
riposa:

 Sull’esigenza di scongiurare la prodigalità rispe>o ad a? di gratuità o liberalità rela(vamente a


beni che non fanno ancora parte del patrimonio dell’autore;
 E nella esigenza di rispe2are la morte altrui: l’accordo tra potenziali eredi, legatari e terzi in
relazione di diri? successori futuri :
 mina il diri2o del testatore di disporre diversamente;
 e rappresenta un a2o contrario all’ordine pubblico e al buon costume, poiché può
risolversi in una scommessa sulla morte altrui.

Nonostante la diversità della ra(o, il discorso è simile per i pa? successori rinunzia:vi. Il divieto imposto
dal legislatore è volto ad impedire al futuro successore di compiere a? poco avvedu: , dei quali non
comprende la piena portata.

Poiché ques( principi non sono fondamentali ed iden(Jca(vi della Repubblica Italiana, oltre ad essere
modiJcabili dallo stesso legislatore, possono essere derogate da fa?specie con estraneità.

In questa direzione deve essere le>o il recente Reg. UE 650/2012 che all’art. 25 aMerma l’ammissibilità, la
validità e l’ehcacia dei pa? successori in Italia qualora sia regolato dalla legge applicabile alla
successione del disponente al tempo della conclusione:

 residenza abituale del disponente al tempo di confezione del pa>o;


 in caso di espressa scelta, quella dello Stato in cui il disponente abbia la ci2adinanza al
momento della conclusione del pa>o.

E ciò indipendentemente dal fa>o che all’apertura della successione abbia ancora quella residenza abituale
o quella ci>adinanza.

Ad esempio è ammesso che un ci>adino italiano durante il suo periodo di residenza abituale in Germania
s(puli un pa>o successorio, des(nato a regolare la sua successione, anche se al tempo della morte sia
tornato a vivere abitualmente in Italia.

L’unico limite che l’art. 35 del regolamento UE impone all’applicazione della legge straniera è il rispe2o
dell’ordine pubblico internazionale, nel quale non rientra l’art. 458 c.c., ma i principi fondamentali ed
iden:Cca:vi dell’ordinamento.

La norma(va introdo>a dal reg. UE dimostra che l’applicabilità della legge straniera deve essere ogge2o di
un bilanciamento secondo ragionevolezza e misurarsi con le norme fondamentali in tema di successione
legi?ma, libertà testamentaria e i principi iden(Jca(vi del sistema ordinamentale.

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LE GARANZIE ATIPICHE

L’economia globalizzata e l’internazionalizzazione dei merca( favoriscono la circolazione di modelli


contra2uali e la diMusione di fa?specie “a:piche” o “aliene” al nostro ordinamento, per cui diventa
necessario intensiJcare il controllo di conformità degli a? di autonomia ai principi fondamentali
ordinamentali e quindi all’ordine pubblico internazionale.

In virtù dell’autonomia negoziale ex art. 1322 c.c., hanno trovato ampia diMusione nella pra(ca degli aMari
nuove forme di garanzia che si sono a^ancate e, talvolta, hanno anche sos(tuito le classiche Jgure
codicis(che. Si pensi al:

 contra2o autonomo di garanzia  È un contra>o innominato in forza del quale un sogge>o si


obbliga ad eseguire la prestazione dovuta da un terzo a prima richiesta, vale a dire rinunciando ad
opporre tu>e le eccezioni rela(ve al rapporto garan(to ;
 la le2era di patronage  La "le2era di gradimento" o "le2era di patronage" (traducibile in
italiano con le>era di presentazione) è una dichiarazione rilasciata ad una banca da un sogge>o (di
solito una società capogruppo o una società controllante) in sos(tuzione di una Jdeiussione vera e
propria al Jne di o>enere, rinnovare o mantenere un Jnanziamento ad una sua partecipata o
controllata;
 i covenants In Jnanza con il termine covenant si indica un accordo che intercorre tra un'impresa
e i suoi Jnanziatori, che mira a tutelare ques( ul(mi dai possibili danni derivan( da una ges(one
eccessivamente rischiosa dei Jnanziamen( concessi. L'accordo prevede clausole vincolan: per
l'impresa, pena il ri(ro dei Jnanziamen( o la loro rinegoziazione a condizioni meno favorevoli. Dal
punto di vista del Jnanziatore, il covenant, serve a ridurre il proprio rischio di credito, cioè ridurre
l'esposizione patrimoniale all'insolvenza del prenditore di fondi.
 L’escrow account Il termine anglosassone escrow individua un accordo scritto fra due
soggetti in forza del quale somme di denaro o titoli di proprietà oggetto del
contratto vengono depositate presso una terza parte a titolo di garanzia, e
rilasciate poi all’avveramento di determinate condizioni espressamente stabilite dalle
parti.

Ovviamente non è possibile aMermare che tali garanzie siano lecite e meritevoli di tutela solo perché
u(lizzate e diMuse anche in altre nazioni di civiltà a^ne ma sarà necessario valutare gli eAe? concre:
delle scelte compiute dalle par( in ragione dell’autonomia negoziale

Ad esempio è stato osservato che l’esecuzione in Italia di un trust (Rapporto giuridico nel quale una
persona amministra dei beni, sui quali ha il controllo, per conto di terzi, che ne sono beneJciari) a
scopo di garanzia nel quale sia prevista una assoluta discrezionalità del trustee nell’a2ribuzione
deCni:va dei beni del trust ai beneCciaries in caso di inadempimento dell’obbligazione garan(ta
potrebbe, in concreto ledere i principi generali e le norme impera:ve, dando luogo alla violazione del
divieto del pa2o commissorio  il quale, oltre al tutelare la par condi(o creditorum, tutela il debitore
dalle conseguenze sproporzionate derivan( da un’eventuale maggior valutazione del valore del bene
trasferito rispe>o al debito (principi espressione di ordine pubblico, principi di solidarietà e
proporzionalità tra debito e garanzia).

Stessa cosa, quanto a seguito della mancata es(nzione del debito, il creditore divenga deJni(vamente
proprietario del bene in trust.

Set
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Molto importante anche un’ordinanza della Corte d’Appello di Bari che ha reso non esecu(vo in Italia
un provvedimento sommario pronunciato da un giudice olandese per garanzia per debi( futuri
illimitata ritenendo che il principio dell’importo massimo garan:to sia di ordine pubblico
internazionale.

Ne consegue un ordine pubblico internazionale che non può soccombere dinanzi agli a? di
autonomia privata e, nel caso speciJco, dai negozi di garanzia i quali non possono essere considera(
leci( solo perché propri di un altro ordinamento, che potrebbe fondarsi anche su principi e valori
norma(vi diversi dal nostro.

Infa?, l’ordinamento italiano è improntato sul solidarismo e personalismo, mentre altri si fondano su
una concezione mercan(le e sull’idea di una libertà negoziale senza controlli.

Il giudice, quindi, dovrà eMe>uare un controllo di legalità in relazione al contesto di riferimento, in


quanto la globalizzazione non può arrivare ad annullare la sovranità, di cui l’ordine pubblico è
espressione.
In Italia a
IL PRINCIPIO DEMOCRATICO NELL’ATTIVITA’ DEGLI ENTI

Il principio di democra:cità, che è alla base della ges(one decisionale degli en(, è da intendersi come
quella procedura decisionale che si fonda:

 Sul confronto
 E su una delibazione
 Mediante voto non coartato
 Con prevalenza della maggioranza sulla minoranza
 E nel rispe2o dei diri? insopprimibili della minoranza.

La democra(cità è considerata una norma impera:va superiore espressione di principio di ordine pubblico
internazionale in quanto stre>amente connessa al:

 Principio di uguaglianza  tu? possono partecipare alle decisioni


 Tutela della persona  la decisioni, seppur prese a maggioranza, non possono dirsi legi?me se
ledono i diri? fondamentali della persona.

La Corte d’Appello di Torino ha aMermato che il principio di democra:cità è un paramento di valutazione


e controllo delle scelte organizza:ve dell’ente, da intendersi non come mor(Jcazione della libertà
associa(va, ma massima realizzazione della stessa.

Inoltre, nel caso di veriJca della legi?mità dell’espulsione di membri di un’organizzazione poli(ca non
riconducibile ai tradizionali par((, si è aMermato che il principio di democra:cità deve essere garan:to in
ogni momento della vita dell’ente, indipendentemente dalla sua qualiJcazione in termini di par(to o
stru>ura poli(ca non stabile.

Il discorso è più complesso quando si parla di validità delle decisioni di espulsione dagli ordini religiosi, la
cui libertà associa:va è ampliCcata da ulteriori garanzie ex ar2. 7,8,19 e 20 Cost. . Infa?, l’art. 23 dei Pa?
Lateranensi riconosce piena ehcacia giuridica (anche civile) in Italia alle sentenze e ai provvedimen:

L E
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emana( dalle autorità ecclesias:che e u^cialmente comunicate alle autorità civili, circa le persone
ecclesias:che o religiose e concernen: materie spirituali o disciplinari.

Tu>avia, come conferma anche il punto 2 le2. C del Protocollo addizionale 18 febbraio 1984, gli eMe?
civili delle sudde>e sentenze e provvedimen( va le>o in armonia con i diri? cos:tuzionalmente garan::
ai ci2adini italiani. Con la conseguenza che anche in questo caso è necessario un controllo di conformità
con i principi fondamentali dell’ordinamento, seguendo le stesse dinamiche del controllo sugli a? di
autonomia di tu? gli en( diri>o privato. (l’unitarietà dei valori fondamentali  esclude l’esistenza di un
separato ordinamento canonico).

Ciò avverrà mediante un bilanciamento secondo ragionevolezza tra:

 Interessi rilevan:
 Principi di democra:cità
 Libertà associa:va
 Autonomia delle confessioni religiose
 Diri2o di difesa e tutela della persona.

Stesso ragionamento, quando si tra>a di dare e^cacia, nell’ambito dell’ordinamento interno, a delibazioni
assembleari assunte all’estero in violazione del principio democra(co.

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CONCLUSIONE

Il conce>o di ordine pubblico, come ogni clausola generale, è un conce2o storico e rela:vo che necessita
di integrazione e concre:zzazione con il tramite delle altre norme, in primis i principi fondamentali ed
iden:Cca:vi di un dato ordinamento.

Premesso che ogni norma è a>ua(va di uno o più principi, è possibile ricondurre la dis(nzione tra ordine
pubblico interno ed internazionale a quella tra principi tecnici, che non hanno carica valoriale indiscu(bile,
e fondamentali, i quali cos(tuiscono l’iden(tà della nostra Repubblica.

Alla luce di ciò, l’ordine pubblico

:
 oltre ad essere un limite  preclude l’ingresso nel nostro ordinamento di situazioni giuridiche
contrarie si valori fondamentali;
 assume anche il ruolo posi(vo di promotore dei principi iden:Cca:vi del nostro ordinamento 
assicura la salvaguardia dei diri? di libertà della persona umana, come singolo e nelle formazioni
sociali.

Questo scenario è raMorzato dall’integrazione nel sistema italiano di diri? di origine sovranazionale i
quali, per essere interiorizza: dall’ordinamento interno, devono sempre essere conformi con i principi
fondamentali dell’ordinamento interno  nel qual caso potranno anch’essi andare a cos(tuire il limite
dell’ordine pubblico. essendosi integrati

Ne consegue che il conce2o di ordine pubblico rimane squisitamente interno: le inKuenze sovranazionali
possono incidere sul contenuto del limite ma non determinarlo  invalicabilità del limite di salvaguardia
dell’iden:tà nazionale.

Quello che emerge dallo studio condo>o è che il limite di ordine pubblico internazionale si mostra
Dessibile: si amplia e si comprime a seconda delle necessità del caso concreto. Infa?, situazioni che il
nostro ordinamento dovrebbe respingere, in sede di bilanciamento, potranno trovare riconoscimento in
quanto, nel caso concreto, si riconosce l’esistenza di situazioni giuridiche meritevoli di tutela.

Data la sua natura storica e rela(va, non è possibile delineare un contenuto di ordine pubblico che:

 Si compone di valori e principi


 Che vanno bilancia: secondo ragionevolezza dal giudice
 Che, nel caso concreto, dovrà individuare la soluzione più idonea a
 preservare le limitazioni di sovranità
 e il rispe2o dell’iden:tà culturale.

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