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Sentenza n. 14876/2019 pubbl.

il 15/07/2019
RG n. 77495/2016
Repert. n. 14921/2019 del 15/07/2019

Repubblica Italiana

In nome del Popolo Italiano

il Tribunale di Roma

XVII Sezione

in persona del Giudice onorario Dott. Erminio Colazingari , in funzione di giudice unico, ha pronunciato, la
seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al numero 77495 del ruolo generale degli affari contenziosi
dell’anno 2016 , vertente

TRA

PALERMO GIOVANNA, con domicilio eletto in Roma, Via Vicenza, 26, presso lo studio dell’Avvocato
Giuseppe FABIO , rappresentante e difensore per procura alle liti a margine dell’atto di citazione notificato

-attrice opponente –

Firmato Da: COLAZINGARI ERMINIO Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: 56a4a735c85485608d279b95e37f6fb7
Carifin Italia S.p.a. in liquidazione, e per essa la mandataria Cerved Legal Services S.r.l. (già Jupiter Iustitia
S.r.l.), che agisce in virtù di procura rilasciata da Tarida S.p.a., la quale opera a sua volta quale mandataria di
Società Gestione Crediti S.p.a., originaria procuratrice di essa Carifin Italia S.p.a. in liquidazione,
rappresentata e difesa, per procura resa in atti, dall’avv. Palma Catia Criasia, ai fini dei presente atto
elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Silvia Coppola, in Roma Via Cristoforo Colombo 149

- convenuta opposta–

OGGETTO: Contratti bancari(deposito bancario, etc) .

Conclusioni come da verbale del 25.1.2018.

Sentenza redatta ai sensi del nuovo testo dell’art. 132 c.p.c.

Ragioni di fatto e di diritto della decisione

Il decreto ingiuntivo opposto va dichiarato inefficace e la pretesa creditoria va respinta.

Preliminarmente va rilevato, infatti che il decreto opposto risulta depositato in data 1.6.2016 e che lo
stesso, notificato ai sensi della 53/1994, risulta spedito in data 3.10.2016, in assenza di qualsivoglia
provvedimento di rimessione in termini.

Pertanto la notificazione del decreto opposto è intervenuta ben oltre il termine di cui all’art. 644 c.p.c. con
la conseguenza che il decreto ingiuntivo deve essere dichiarato perento.

Ciò non di meno va rilevato come la giurisprudenza abbia in merito statuto che la notificazione del decreto
ingiuntivo oltre il termine di sessanta giorni dalla pronuncia, ai sensi dell'art. 644 c.p.c., comporta
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effettivamente l'inefficacia del provvedimento, vale a dire rimuove l'intimazione di pagamento con esso
espressa, ma non tocca la qualificabilità del ricorso per ingiunzione come domanda giudiziale: ne deriva
che, ove su detta domanda si costituisca il rapporto processuale, ancorché su iniziativa della parte
convenuta in senso sostanziale, la quale eccepisca quell'inefficacia con il giudizio di opposizione, il giudice
adito, alla stregua delle comuni regole del processo di cognizione, ha il potere-dovere non soltanto di
vagliare la consistenza dell'eccezione (con le implicazioni in ordine alle spese della fase monitoria), ma
anche di decidere sulla fondatezza della pretesa avanzata dal creditore ricorrente (Cass. n. 3908/2016, Cass.
n. 14910/2013, Cass. n. 951/2013, Cass. n. 21050/2006).

Ciò posto va preliminarmente esaminata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla parte opponente.

La stessa è infondata.

Invero il contratto è stato stipulato oltre dieci anni prima del primo atto che possa fondatamente ritenersi
interruttivo della prescrizione (notifica decreto ingiuntivo), ma la sottoscrizione del contratto (in data
18.9.2006) non costituisce il dies a quo del termine prescrizionale.

La giurisprudenza in merito, infatti, non ha mancato di rilevare che nel contratto di mutuo la prescrizione
del diritto al rimborso della somma mutuata inizia a decorrere dalla scadenza dell'ultima rata, atteso che il
pagamento dei ratei configura un'obbligazione unica ed il relativo debito non può considerarsi scaduto
prima della scadenza dell'ultima rata (Cass. 30.8.2011 n. 17798).

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Trattandosi di mutuo stipulato con rimborso a 48 rate mensili appare evidente come la prescrizione
(decennale) abbia avuto la sua prima decorrenza dal 2010.

L’eccezione va pertanto disattesa.

Nel merito deve rilevarsi che non è contestato che l’attuale ingiunta/opponente non sia mai entrata nel
possesso della somma erogata dal finanziatore e che la stessa sia stata devoluta alla società Index Europea
s.p.a. sanzionata dalla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per pratica commerciale scorretta
consistente nel pubblicizzare i servizi che poi non venivano erogati (cfr. comunicato stampa allegato al
fascicolo di parte opponente).

Ciò posto occorre ragionare sulla dedotta autonomia dei rapporti contrattuali in argomento e
sull’incidenza dell’inadempimento del contratto di servizi su quello di finanziamento.

Va sul punto ricordato che secondo la Suprema Corte il collegamento negoziale non dà luogo ad un nuovo
ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato
economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo negozio ma attraverso
una pluralità coordinata di contratti, che conservano una loro causa autonoma, ancorché ciascuno sia
finalizzato ad un unico regolamentazione dei reciproci interessi, sicché il vincolo di reciproca dipendenza
non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi una distinta
individualità giuridica, spettando i relativi accertamenti sulla natura, entità, modalità e conseguenze del
collegamento negoziale al giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se
sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. 22/09/2016 , n. 18585).

Peraltro va pure rilevato che affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che
impone la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia il requisito oggettivo,
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costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti
nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia il requisito
soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli
negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine
ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista
causale.

Nella fattispecie va rilevato che è fatto accertato che il contratto di finanziamento fosse di regola proposto
al fine di sottoscrivere il contratto per la fornitura dei servizi da parte della società sanzionata, circostanza
che ha portato alla sanzione da parte della citata Autorità, la quale ha motivato affermando che i contrati
venivano proposti “Con una strategia coordinata, e ciascuno con un suo ruolo, pubblicizzando la possibilità
di aderire a una rete informatica grazie alla quale piccoli e piccolissimi esercenti avrebbero potuto operare
come centro di vendita di servizi quali le ricariche di telefoni cellulari, le spedizioni postali e le scommesse
on-line”. Omettevano però di spiegare che alcuni servizi avrebbero potuto essere indisponibili. Quando le
microimprese cercavano di recedere dal contratto le società opponevano una serie di ostacoli”.

Alla luce di quanto sopra appare evidente come non solo tra i due contratti vi fosse un collegamento
negoziale ma che addirittura la finalità perseguita fosse illecita.

In tale contesto va inquadrata la pattuizione di cui all’art. 17 del contratto sottoscritto e soprattutto il
successivo avvalimento da parte della finanziaria successivamente al provvedimento dell’Autorità.

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Appare evidente come tale avvalimento sia operato in malafede e configura certamente un abuso del
diritto.

Infatti, disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio.

In questa ottica la clausola generale della buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. è stata utilizzata, anche
nell’ambito dei diritti di credito, per scongiurare, per es. gli abusi di posizione dominante.

La buona fede, in sostanza, serve a mantenere il rapporto giuridico nei binari dell’equilibrio e della
proporzione.

Criterio rivelatore della violazione dell’obbligo di buona fede oggettiva è quello dell’abuso del diritto.

Gli elementi costitutivi dell’abuso del diritto – ricostruiti attraverso l’apporto dottrinario e giurisprudenziale
– sono i seguenti: 1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto; 2) la possibilità che il
concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente
predeterminate; 3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della
cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di
valutazione, giuridico od extragiuridico; 4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si
verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la
controparte. L’abuso del diritto, quindi, lungi dal presupporre una violazione in senso formale, delinea
l’utilizzazione alterata dello schema formale del diritto, finalizzata al conseguimento di obiettivi ulteriori e
diversi rispetto a quelli indicati dal Legislatore. È ravvisabile, in sostanza, quando, nel collegamento tra il
potere di autonomia conferito al soggetto ed il suo atto di esercizio, risulti alterata la funzione obiettiva
dell’atto rispetto al potere che lo prevede. Come conseguenze di tale, eventuale abuso, l’ordinamento pone
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una regola generale, nel senso di rifiutare la tutela ai poteri, diritti e interessi, esercitati in violazione delle
corrette regole di esercizio, posti in essere con comportamenti contrari alla buona fede oggettiva.

E nella formula della mancanza di tutela, sta la finalità di impedire che possano essere conseguiti o
conservati i vantaggi ottenuti - ed i diritti connessi - attraverso atti di per sé strutturalmente idonei, ma
esercitati in modo da alterarne la funzione, violando la normativa di correttezza, che è regola cui
l’ordinamento fa espresso richiamo nella disciplina dei rapporti di autonomia privata (cfr. in tal senso Cass.
18.9.2009 n.20106).

Orbene, nella fattispecie, tutti i profili sopra indicati appaiono sussistere, atteso che l’avvalersi della
concordata autonomia dei rapporti, dopo il provvedimento dell’Autorità che ha messo in luce un
comportamento illecito da parte quanto meno della società che avrebbe dovuto fornire i servizi, acquistati
espressamente attraverso il finanziamento (come chiaramente indicato nella tesso contratto) costituisce
senza dubbio un comportamento in mala fede che comporta un totale squilibrio nel rapporto contrattuale:
ove, a fronte della mancata fornitura di un servizio la Index si trova ad aver ottenuto la controprestazione,
la finanziaria otterrebbe la propria, mentre la attuale opponente sarebbe costretta ad adempiere senza
nulla aver ottenuto, remunerando altresì la finanziaria con il riconoscimento degli interessi pattuiti.

A fronte di tale situazione dunque non può prestarsi tutela alla società creditrice e la relativa domanda
deve essere respinta.

La pronunzia di cui sopra assorbe ogni ulteriore questione.

Firmato Da: COLAZINGARI ERMINIO Emesso Da: ARUBAPEC S.P.A. NG CA 3 Serial#: 56a4a735c85485608d279b95e37f6fb7
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

Esecutiva per legge.

PER QUESTI MOTIVI

definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da GIOVANNA PALERMO nei confronti di CERIFIN
ITALIA SPA IN LIQUIDAZIONE con la chiamata/intervento di così provvede

1.- Dichiara inefficace il decreto ingiuntivo opposto;

2.- respinge le domande della società opposta;

3.- condanna l’opposta alla refusione in favore dell’opponente delle spese di lite che liquida nell’importo di
€. 150,00 per esborsi ed €. 800,00 per compenso, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma il giorno 14/07/2019.

Il Giudice Onorario

Dott. Erminio Colazingari

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