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IL COLLEGIO DI NAPOLI
FATTO
del mancato protesto dell’assegno” e chiedeva di garantire la solvibilità del suo cliente.
Insoddisfatta dall’esito del reclamo – che la trattaria riscontrava con lettera del 4 maggio
2012 rivendicando la correttezza del proprio operato – la società, con l’assistenza di un
difensore, proponeva ricorso all’ABF, chiedendo al Collegio di dichiarare l’obbligo del
resistente di levare il protesto e di segnalare in centrale dei rischi il soggetto obbligato a
pagare l’assegno, e quindi, per l’effetto, di condannare l’intermediario al risarcimento del
danno e al rimborso delle spese legali. A fondamento delle domande così articolate, la
ricorrente ha, in particolare, esposto che la motivazione per il mancato pagamento
dell’assegno addotta dalla trattaria era “falsa e pretestuosa” specie considerando che la
firma apposta sull’assegno era identica alle firme poste su altri titoli in proprio possesso.
Per quel che concerne più specificamente la domanda di risarcimento dei danni la società si
è richiamata a quell’orientamento giurisprudenziale, seguito anche dalla Suprema Corte, in
base al quale la funzione del protesto non sarebbe soltanto quella di cui all’art. 45 della
legge sugli assegni ma servirebbe a far attestare in forma pubblica e a ogni altro possibile
effetto il mancato pagamento da parte dell’obbligato.
L’intermediario ha resistito depositando controdeduzioni, con le quali ha chiesto il rigetto del
ricorso. Il resistente ha osservato, preliminarmente, che la mancata levata del protesto in un
caso come quello di specie rispondeva a specifiche disposizioni interne che prevedevano
che “ove non espressamente richiesto dall’interessato, la non consegna del titolo al P.U. per
gli assegni che dovessero risultare impagati, quando non vi sono ulteriori girate”. Con
riferimento alla vicenda concreta ha quindi osservato che l’assegno è stato presentato per il
pagamento in stanza di compensazione in data 27 gennaio 2012 e che la propria filiale
trattaria, verificata la non corrispondenza della firma di traenza a quella depositata, in data
31 gennaio ha comunicato l’impossibilità di procedere al pagamento con causale “assegno
recante firma non riferibile al correntista ma non denunciato smarrito o rubato”, e che, il 2
febbraio 2012, a seguito della comunicazione di insoluto, provvedeva a rendere il titolo.
Tanto precisato, e dopo aver sottolineato come nel caso di specie non fosse pervenuta
alcuna comunicazione da parte del beneficiario volta a chiedere egualmente la consegna
dell’assegno al P.U. per la levata del protesto, il resistente ha osservato che l’assegno de
quo recava la clausola “non trasferibile” sicché nei casi in cui l’assegno non ha avuto
circolazione, la mancata levata del protesto non pregiudica il diritto di regresso del
prenditore contro il traente come rilevato dall’art. 45, 2° comma, della legge assegni.
Sulla base di tali premesse il resistente ha quindi concluso che nessun pregiudizio sarebbe
derivato al prenditore dell’assegno dal mancato protesto, anche considerando la causale
con la quale il medesimo avrebbe potuto essere elevato.
DIRITTO
dal traente (come sembra pure al Collegio anche in base ad una mera comparazione
obiettiva).
Orbene, la circostanza che nella presente vicenda non venga in rilievo un caso di rifiuto di
pagamento motivato dall’assenza di provvista o dalla mancanza del potere di emettere
assegni rende obiettivamente poco pertinente il richiamo della società a quell’indirizzo della
Corte di Cassazione – che peraltro il Collegio aveva ritenuto in precedenti occasioni di
disattendere (ma a cui il Collegio di Coordinamento dell’ABF, con decisione del 19
settembre 2012, invita, invece, a fare riferimento) – secondo il quale la mancata levata del
protesto può essere fonte di danno anche quando non sussistono obbligazioni di regresso,
perché in tal caso il traente verrebbe privato di quella forza coercitiva, derivante dal
discredito sociale del protesto, e che non sarebbe surrogabile dalle altre forme di pubblicità
del mancato pagamento di assegni oggi previste dall’ordinamento.
Gli è, infatti, che un simile orientamento (al di là della sua condivisibilità) può comunque
entrare in gioco solo nei casi in cui il rifiuto di pagamento sia effettivamente rimproverabile a
un fatto del correntista, nei cui confronti il protesto dovrebbe essere levato; vale a dire solo
nei casi in cui l’insoluto dipenda dalla mancanza di fondi sul conto ovvero dalla mancanza di
autorizzazione a disporre tramite assegni, appunto perché solo in questi casi ha un senso
ragionare di un’eventuale maggiore forza coercitiva derivante dal discredito conseguente a
siffatta constatazione di inadempimento. Un tale argomento non può essere, invece,
invocato rispetto ai casi – come quello che qui ci occupa – in cui le ragioni del mancato
pagamento sono tutt’altre, ossia una falsificazione della firma di traenza, e cioè fatti che non
sono imputabili al correntista, che semmai è anch’egli vittima incolpevole della vicenda.
Non è un caso, del resto, che in evenienze di tal fatta l’indirizzo interpretativo prevalente in
dottrina sia nel senso che la banca non debba procedere alla levata del protesto e ai
conseguenti adempimenti pubblicitari, perché in questi casi si finirebbe per ledere
l’immagine di un soggetto incolpevole (il correntista), e che la stessa giurisprudenza affermi
spesso, anche là dove ritiene che il protesto debba essere levato, che il destinatario di tale
formalità non possa comunque mai essere il correntista, ma il reale firmatario, ovvero in
caso di firma illeggibile la stessa banca trattaria (Cass. n. 18316/2007), o ancora affermi
che la banca dovrebbe precisare al pubblico ufficiale che il titolare del conto corrente è un
soggetto diverso da quello il cui nome figura nella sottoscrizione dell’assegno (Cass. n.
8787/2012).
Ebbene, tutti questi indirizzi interpretativi, pur nella difformità delle soluzioni concrete cui
pervengono, sono tuttavia accomunati, al vertice, dalla convinzione che in caso di
emissione di assegno con firma apocrifa e comunque illeggibile venga in un certo senso
meno l’interesse alla pubblicità dei soggetti protestati, o quanto meno che questa pubblicità
non possa certo coinvolgere il traente, appunto perché incolpevole del mancato pagamento.
Se si accoglie quest’ordine di idee – che peraltro questo Collegio, seppure in diversa
composizione, ha già avuto modo di fare proprio, ancorché in un caso speculare a quello di
cui ora si discute (dove cioè era il traente dell’assegno a denunciare l’illegittimità del
protesto elevato a suo nome nel caso in cui il pagamento del titolo era stato rifiutato per
falsificazione della firma di traenza: ABF-Collegio Napoli, n. 1390/2010) - la conclusione che
ne discende è che nel caso di specie nessun rimproverò può muoversi alla condotta
dell’intermediario che nelle sue linee operative si è ispirato a posizioni correttamente più
restrittive in ordine ai casi in cui si deve ritenere obbligatoria la levata del protesto.
Quanto precede risulta dirimente. Solo per scrupolo di completezza il Collegio ritiene
tuttavia necessario osservare che a un esito complessivamente diverso non si potrebbe
pervenire neppure qualora si ritenesse di dover accogliere l’indirizzo qui criticato, che
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Decisione N. 1207 del 04 marzo 2013
assume la levata del protesto sempre necessaria anche in casi come quello che interessa
nella presente controversia. Anche in questo caso la domanda di risarcimento dei danni
promossa dalla società ricorrente dovrebbe essere respinta, in quanto la stessa non ha
offerto prova nemmeno di aver tentato di agire per il pagamento del titolo, e del fatto che le
difficoltà di ottenerne l’adempimento dell’obbligazione in base all’azione causale siano
ricollegabili eziologicamente al mancato effetto coercitivo della pubblicità negativa
conseguente al protesto.
P.Q.M.
IL PRESIDENTE
firma 1
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