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Decisione N.

351450 del 20 aprile 2012

IL COLLEGIO DI MILANO

composto dai signori:

- Prof. Avv. Antonio Gambaro Presidente

- Prof.ssa Antonella Maria Sciarrone Alibrandi Membro designato dalla Banca d’Italia
(Estensore)

- Prof. Avv. Emanuele Cesare Lucchini Guastalla Membro designato dalla Banca d’Italia

- Dott. Mario Blandini Membro designato dal Conciliatore


Bancario Finanziario

- Avv. Guido Sagliaschi Membro designato dal C.N.C.U.

nella seduta del 19 gennaio 2012, dopo aver esaminato:


x il ricorso e la documentazione allegata;
x le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione;
x la relazione istruttoria della Segreteria tecnica.

FATTO

Con ricorso del 24 Maggio 2011, il ricorrente, con l’assistenza di un avvocato, esponeva
quanto segue.
Il 23 Aprile 2010 il ricorrente aveva tratto sull’intermediario tre assegni, ciascuno
dell’importo di 700 Euro. Sebbene il conto presentasse una disponibilità sufficiente,
l’intermediario non li aveva pagati, facendoli protestare.
A fronte di un reclamo presentato il 21 Maggio 2010, l’intermediario aveva addotto a
giustificazione del proprio comportamento la circostanza che la firma di traenza non
corrispondeva a «quella depositata al momento dell’apertura del conto».
Giustificazione infondata, a giudizio del ricorrente, perché per la validità dell’assegno non è
necessario che la sottoscrizione del traente sia «identica a quella che compare sul
contratto di conto corrente».
D’altra parte - sempre secondo il ricorrente - assegni emessi in precedenza (come quello di
Euro 3.000 emesso il 12 aprile 2010), così come pure altri emessi in seguito, con
sottoscrizione simile a quella apposta sui titoli all’origine della presente controversia, sono
stati pagati dall’intermediario.
Né l’intermediario ha provveduto a contattare il ricorrente per sincerarsi dell’autenticità
della sottoscrizione dei tre assegni protestati; farlo, invece, era suo obbligo, come ha
chiarito la pronuncia della Cassazione «06/09/2007, n. 1873»; secondo tale decisione,
precisamente – riferisce la difesa del ricorrente –, «è censurabile la condotta dell’istituto

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bancario che ‹senza svolgere alcun accertamento e senza chiedere alcun chiarimento ai
propri correntisti, avesse provveduto al protesto dell’assegno›».
E l’istante assume di avere riportato diversi pregiudizi a causa della illegittima levata del
protesto: il rifiuto della concessione di un mutuo dallo stesso intermediario così come da un
altro; l’ottenimento di un conto corrente presso altro intermediario solo a seguito
dell’intervento dell’avvocato che lo assiste nel presente procedimento. E ciò per quanto
l’istante sia «un apprezzatissimo professionista che può contare su un reddito di Euro
145.513 annui». Oltre a «danni gravissimi a livello patrimoniale», dunque, egli ha subito
pure una «lesione dell’onore e della reputazione».
Quantificati tutti questi danni nel complessivo importo di Euro 50.000, il ricorrente ha così
chiesto a questo Arbitro che l’intermediario sia «condanna[to] al [loro] risarcimento»,
nonché al «rimborso dei costi della procedura e al pagamento delle spese legali», previa
«dichiara[zione della] illegittimità dei protesti».
L’intermediario ha presentato controdeduzioni il 14 Luglio 2011, concludendo per il rigetto
del ricorso e osservando, a sostegno di tale richiesta, quanto segue.
Il cliente ha depositato la propria firma e questa, ai sensi dell’art. 7 delle Condizioni
generali di conto corrente, costituisce lo specimen per tutti i rapporti in essere; la
sottoscrizione dei tre assegni all’origine della controversia risulta illeggibile e difforme dallo
specimen. Di conseguenza, è stato legittimo il rifiuto di pagarli, come pure il protesto,
avvenuto indicando la causale corrispondente.
Neppure può dirsi esistente un obbligo per la trattaria di convocare il traente in presenza di
un assegno emesso con firma non conforme allo specimen; cosa che, peraltro, il resistente
ha pure fatto, tramite telegramma, rimasto, però, senza risposta.
Quanto agli altri assegni emessi dal ricorrente, sempre l'intermediario riferisce che questi,
diversamente da quelli per cui è lite, sono stati presentati dalla negoziatrice e regolati
tramite la procedura di check truncation, sì che il resistente non ha potuto in alcun modo
verificare la firma di traenza.
Per l'intermediario, infine, il danno lamentato dal ricorrente non risulta comunque provato;
neppure quello non patrimoniale, in quanto il protesto è avvenuto per la detta causale, che
non reca discredito al traente.
Ritenuta la controversia matura per la decisione, il Collegio l’ha esaminata nella seduta del
19 Gennaio 2012.

DIRITTO

Rispetto alla questione oggetto del ricorso va anzitutto rilevato che il contratto di conto
corrente sottoscritto dal ricorrente prevede che «il cliente accetta che la sottoscrizione
apposta di sotto costituisca specimen di firma per tutti i rapporti con la Banca». E la firma
di traenza sui titoli oggetto della controversia, non solo non risulta conforme a quella
depositata dal ricorrente, ma è pure illeggibile. Sì che il resistente doveva astenersi dal
pagare gli assegni (non essendo riconducibili al ricorrente); per conseguenza, essi
potevano essere protestati nell’interesse del beneficiario.
Né può ritenersi che il pagamento di precedenti assegni con firma similare possa essere
valso a privare di valore la riferita clausola. Anzitutto, perché acquisito agli atti risulta un
solo altro assegno (quello di Euro 3 mila) che il ricorrente, come riferito in narrativa,
asserisce emesso il 12 aprile 2010 e regolarmente pagato; la copia prodotta (dall’istante),
tuttavia, è priva di data di emissione e, dall’estratto conto, il relativo importo neppure risulta
addebitato al ricorrente. Non risultano assegni con sottoscrizione difforme dallo specimen,
emessi e pagati prima di quelli cui si riferisce questo procedimento. Né il ricorrente precisa

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di che importo erano gli altri assegni che afferma di aver tratto in precedenza con firma
uguale a quelli per cui è lite, quanti erano, per quanto tempo è durata tale prassi.
In secondo luogo, vigendo la clausola che imponeva al ricorrente di apporre una firma
conforme allo specimen, il pagamento di qualche assegno con sottoscrizione difforme, di
per sé, non avrebbe potuto ingenerare nel ricorrente un affidamento sulla facoltà di
continuare ad usare tale diversa sottoscrizione. Pur ammettendo la non conoscenza da
parte del ricorrente dell’esistenza della procedura di check truncation (praticata dal
sistema bancario per la riscossione degli assegni d’importo non alto e che effettivamente
non consente la verifica della firma di emissione del titolo), il comportamento del
resistente, di per sé, sarebbe dovuto apparire come condotta negligente o, al più, come
bonaria, occasionale tolleranza.
D’altro canto, se non è provato che il resistente ha cercato di contattare il ricorrente per
chiedere chiarimenti sui tre assegni oggetto di questa controversia (non avendo prodotto
alcuna evidenza del telegramma che pure dice di aver inviato), comunque deve negarsi
che la buona fede imponga alla trattaria di contattare il traente ogniqualvolta si riscontri
una firma di traenza non corrispondente allo specimen: al più, un simile obbligo potrebbe
sussistere quando l’assegno sia d’importo particolarmente rilevante, anche tenuto conto
delle condizioni patrimoniali del ricorrente. Mentre d’importo notevole non appaiono i tre
assegni oggetto della presente controversia: in tutto pari a 2100 Euro a fronte di un reddito
del ricorrente – come da lui stesso dichiarato – di circa 145.000 Euro l’anno.
Ammettere un obbligo di contattare il correntista in ogni ipotesi di assegno tratto con firma
difforme dallo specimen, significherebbe, infatti, privare di efficacia la clausola che impone
al cliente di utilizzare, nei rapporti con la banca, solo firme conformi allo specimen. Né la
clausola, in quanto tale, persegue interessi non meritevoli di tutela. Essa anzi consente
all’intermediario di poter in modo agevole controllare l’autenticità della sottoscrizione di
traenza; correlativamente, riduce per il traente il rischio di addebiti per assegni non
emessi. E per il traente non costituisce certo uno sforzo eccessivo emettere gli assegni
con sottoscrizione conforme allo specimen.
Quanto infine alla pronuncia della Cassazione n. 18723/2007, citata dalla difesa del
ricorrente, essa non pare realmente contrastare con quanto qui osservato: al più, essa
sembra doversi leggere come espressiva di un obbligo di contattare il correntista quando
l’assegno, che rechi firma di traenza difforme dallo specimen, sia d’importo rilevante.
Va infatti anzitutto rimarcato che la pronuncia della Cassazione riguarda un caso affatto
diverso da quello oggi davanti a questo Arbitro. Lì correva controversia tra la trattaria e il
beneficiario dell’assegno, il quale lamentava che la banca, presentatole il titolo dalla firma
illeggibile, aveva convocato solo uno dei due cointestatari del conto – e non quello dei due
che aveva spiccato l’assegno –, consentendogli di cancellare la precedente sottoscrizione
e di apporre la propria; così rendendo impossibile azionare il titolo nei confronti del traente,
che dei due correntisti era quello solvibile.
E non è chiaro se la pronuncia affermi che, nel caso deciso, vi fosse un obbligo, in capo
alla trattaria, di convocare il correntista. Essa infatti si limita a notare, in termini non
impegnativi sul punto in interesse: «per quanto riguarda … la convocazione di uno solo dei
titolari del conto corrente …, si tratta di condotta della cui rilevanza a fini risarcitori
potrebbe al più dolersi il titolare del conto non convocato» (corsivo aggiunto). E poi
osserva che l’illeggibilità della firma «legittimava … accertamenti»: dunque, non parla di un
obbligo di eseguirli. Per concludere che la banca non si era condotta male nel convocare
quel correntista.
Solo in seguito la Cassazione nota, quando la conclusione è, appunto, già tratta e dunque
con i tratti dell’obiter dictum, che «la banca sarebbe incorsa in responsabilità nei confronti
dei propri correntisti ove avesse provveduto al pagamento … così come sarebbe stata in

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ipotesi censurabile, ma da parte dei soli titolari del conto, la condotta della banca che,
senza svolgere alcun accertamento e senza chiedere alcun chiarimento ai propri
correntisti, avesse provveduto al protesto dell’assegno». Ma anche sotto questo profilo
ancora una volta non è chiaro se la Cassazione abbia voluto esprimere solo una ipotesi
riguardo alla sussistenza di un obbligo di contattare i correntisti.
Inoltre, e non è differenza di poco momento, il caso considerato dalla Suprema Corte si
differenzia – come anticipato – da quello sottoposto a questo Arbitro anche – e soprattutto
– perché l’importo dell’assegno montava a ben 36 milioni di Lire; e si era alla fine degli
anni Ottanta. E per un titolo d’importo considerevole è ben possibile che la trattaria abbia
l’obbligo, ex fide bona, di contattare il correntista.

P.Q.M.

Il Collegio non accoglie il ricorso.

IL PRESIDENTE
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