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BUONA FEDE E INVALIDIT DEL CONTRATTO di ANTONIO ALBANESE

La questione relativa alla possibile rilevanza invalidante del comportamento scorretto di una delle parti, in violazione della buona fede ha assunto una crescente importanza nellattuale dibattito giurisprudenziale in ragione di una precisa tendenza evolutiva del diritto privato e pi in generale

dellordinamento nel suo complesso.

La sempre pi frequente interferenza tra regole di correttezza e regole di validit trova infatti origine in un mutamento delle modalit con le quali si realizza il controllo del giudice sul concreto esercizio dellautonomia contrattuale.

Negli ultimi decenni la riqualificazione dellintervento pubblico nelleconomia, non pi diretto a sostituirsi al mercato, ma a garantirne il corretto ed efficiente funzionamento, ha comportato anche il progressivo abbandono di quelle forme di disciplina eteronoma del rapporto negoziale, che attraverso limposizione o il divieto di determinate clausole o contenuti, si sostituivano alla libera contrattazione.

La legge quindi non vieta ex ante un determinato regolamento contrattuale, ma disapprova soltanto quellaccordo che, in ragione delle modalit concrete con cui si formato, non costituisce sufficiente espressione di libert e autonomia di uno dei contraenti.

Nella nuova disciplina dei contratti le parti sono, infatti, libere di determinare le regole dello scambio mentre sono vietate soltanto specifiche fattispecie di

abuso, allinterno delle quali assume rilevanza anche la condotta scorretta, con la quale una parte impone allaltra un regolamento dinteressi significativamente squilibrato.

Cos nella disciplina dei contratti con i consumatori demandato al giudice il compito di valutare, alla stregua della buona fede, se la condotta del predisponente configura un abuso di potere contrattuale che, ai fini del giudizio di vessatoriet di singole clausole, legittima il sindacato giudiziale sullo squilibrio che queste eventualmente determinano a carico del contraente debole.

Analogamente il contrasto con la buona fede, pur non trovando espressa menzione nel testo della norma, talvolta tipizzato dalla legge come comportamento, che, a seconda dei casi, rende il contratto nullo per abuso di posizione dominante o di dipendenza economica.

Si realizza in tal modo una commistione tra regole di validit e regole di comportamento, che, sia pure con forme ed esiti diversi, ripropone un modello non del tutto estraneo alla tradizione del nostro ordinamento come dimostrano le fattispecie del dolo e della violenza, nelle quali i raggiri o le minacce poste in essere da una delle parti rendono annullabile il contratto quando abbiano avuto una efficacia determinante del consenso manifestato dallaltro contraente.

In tutte le norme in questione, peraltro, la violazione delle regole di correttezza non assume rilievo autonomamente, ma soltanto in connessione con altri presupposti che nelle diverse ipotesi attengono alla condizione dei contraenti, ai reciproci rapporti tra di essi, allequilibrio del regolamento contrattuale e/o alla regolare formazione della volont negoziale.

Ne consegue che la buona fede non pu costituire da sola criterio di validit del contratto, in quanto se cos fosse la previsione legale di requisiti aggiuntivi con riguardo alle fattispecie in esame risulterebbe superflua, se non addirittura ingiustificatamente restrittiva della tutela riconosciuta alla parte vittima del comportamento scorretto, in contrasto con le finalit protettive che chiaramente connotano la relativa disciplina.

Viceversa tali norme assumono un significato logicamente coerente con il sistema, ove configurino un ampliamento dei rimedi esperibili dal contraente protetto rispetto alla mera azione risarcitoria.

In tal senso la regola di correttezza si arricchisce di un nuovo significato e rileva non pi soltanto come fonte di obblighi di protezione degli interessi dellaltra parte, che potrebbero essere pregiudicati nello svolgimento del rapporto, ma anche come strumento per correggere asimmetrie informative o di potere contrattuale.

Se, peraltro, la buona fede come fonte dintegrazione del regolamento contrattuale, opera in forme rispettose della volont, anche non espressa, delle parti, allo stesso modo, ove la legge ne stabilisca la rilevanza invalidante rispetto a ipotesi specificamente previste, essa non si traduce nellimposizione di criteri di valutazione diversi da quelli che avrebbero ispirato le libere scelte dei contraenti, ma impedisce che assumano effetti giuridicamente vincolanti clausole ingiustificatamente squilibrate, diverse da quelle che le parti avrebbero convenuto in mancanza degli indebiti condizionamenti che una ha scorrettamente esercitato sullaltra. In tal caso, per, il comportamento scorretto non costituisce di per s stesso violazione di una norma imperativa che rende nullo il contratto, ma assume rilevanza come elemento costitutivo di una fattispecie complessa, nella quale il disvalore non riguarda soltanto il comportamento precontrattuale di una o di

entrambe le parti, ma anche lassetto che esse hanno concretamente dato ai loro interessi.

Al di fuori di questi casi non si potrebbe configurare una nullit per contrariet a norme imperative, in quanto questa conseguenza, se pure prescinde dalla specifica comminatoria di invalidit, presuppone comunque lesistenza di una previsione legislativa, che vieti il regolamento contrattuale.

Tale ipotesi non potrebbe invece ravvisarsi nella regola che impone alla parti di comportarsi secondo buona fede durante le trattative, la cui violazione non pertanto in grado di realizzare la previsione generale dellart. 1418, co. 1, c.c., la quale fa invece preciso riferimento a una norma imperativa in grado di qualificare il contratto e le sue clausole nel loro contenuto specifico e non in quanto possibile risultato genericamente riconducibile ai comportamenti che ne precedono la conclusione.

La possibile rilevanza invalidante della buona fede non mette in discussione la distinzione tra regole di responsabilit, che stabiliscono le conseguenze di comportamenti materiali, e regole di validit, che invece presuppongono unanomalia nella formazione o manifestazione della volont delle parti ovvero una difformit del regolamento pattuito rispetto alle valutazioni di liceit dellordinamento giuridico.

In contrasto con questa ricostruzione, tuttavia, una parte della dottrina ha sostenuto che la violazione delle regole di correttezza possa determinare, a seconda dei casi, la nullit dellintero contratto ai sensi dellart. 1418, co. 1, c.c. o di singole clausole a norma dellart. 1419 c.c.

A sostegno di tale affermazione stata richiamata una pronuncia con la quale la Cassazione ha dichiarato illegittima la delibera assembleare di scioglimento

anticipato di una s.r.l., adottata dalla maggioranza dei soci in violazione dellobbligo di buona fede nellesecuzione del contratto costitutivo1.

Manca, tuttavia, nella motivazione della sentenza lespresso riconoscimento, da parte dei giudici, della violazione di una norma imperativa sub specie di regola di correttezza, e lannullabilit dellatto collegiale sembra in realt fondarsi su una generica non conformit dello stesso alla legge, secondo il particolare regime di invalidit previsto dallart. 2377, co. 2, c.c., che non consente di affermare una generale rilevanza della buona fede come regola di validit anche rispetto ai contratti e agli altri atti privati diversi dalle delibere assembleari.

Valutazioni discordanti ha dato inoltre la dottrina con riferimento ad un altro precedente, nel quale la Cassazione ha ritenuto in contrasto con il dovere di lealt il comportamento di una parte che, approfittando della clausola contrattuale che commisurava il canone da essa dovuto per lo sfruttamento di una sorgente di acqua minerale al prezzo di vendita delle bottiglie, aveva fraudolentemente pattuito un corrispettivo irrisorio nel contratto di distribuzione stipulato con una societ controllata2.

Al riguardo non sembra per possibile ravvisare un ricorso alla buona fede in funzione correttiva dellautonomia negoziale, dovendosi piuttosto ritenere che il sindacato in essa condotto alla stregua della correttezza riguardi non il regolamento negoziale, ma le modalit con le quali questo stato attuato, come dimostra il rinvio al giudice di merito per decidere delle domande di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno.

Sulla norma con la quale lart. 1375 c.c. impone alle parti di eseguire il contratto secondo buona fede, la Cassazione sembra invece fondare linvalidit della
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Il riferimento a Cass., 26 ottobre 1995, n. 11151, in Giur. comm., 1996, 329. Vedi in tal senso Cass., 20 aprile 1994, n. 3775, in Giust. civ., 1994, I, 2164 s.

clausola del contratto di leasing che pone a carico del conduttore il rischio della mancata consegna del bene da parte del fornitore, ritenendo che il primo sia comunque tenuto a pagare il canone di locazione3.

In tale caso peraltro la valutazione alla stregua della buona fede non riguardava semplicemente la condotta di una parte nella concreta esecuzione del contratto, ma il contenuto stesso della clausola che gi nella sua originaria formulazione consentiva espressamente un determinato comportamento scorretto.

Manca, tuttavia, laffermazione da parte dei giudici di un contrasto diretto tra la pattuizione privata e la regola non scritta di correttezza.

Al riguardo la Cassazione sostiene, infatti, che consentire al concedente di pagare il prezzo anche indipendentemente dalla consegna da parte del fornitore e poi ottenere dallutilizzatore quanto questi sarebbe tenuto a corrispondere ove avesse goduto del bene, non appare giustificabile n in rapporto alla causa del contratto di leasing finanziario n in rapporto al dovere di esecuzione del contratto secondo buona fede.

Questultima valutazione, pertanto, nel contesto della motivazione assume rilevanza come uno dei criteri in base al quale verificare, attraverso lesame dei comportamenti resi concretamente possibili dalla clausola presa in considerazione e di quelli alternativamente imposti dalla buona fede, lesistenza di un interesse meritevole di tutela in grado di giustificare, anche in relazione alla causa del contratto, una ripartizione convenzionale del rischio relativo alla impossibilit del godimento diversa da quella delineata nellart. 1463 c.c.

Cos Cass., 2 novembre 1998, n. 10926, in Foro it., 1998, I, 3081 s. In senso contrario, per la validit della clausola dinversione del rischio, vedi, tra le altre, Cass., 30 giugno 1998, n. 6412, ibidem e Cass., 2 agosto 1995, n. 8464, in Foro it., 1996, I, 164.

Ritiene, infatti, la Corte che il rischio della mancata consegna possa essere evitato attraverso una diversa modalit di esecuzione delle prestazioni nellambito del contratto di fornitura di tal che la clausola di inversione del rischio, applicata alla mancata consegna non realizza interessi meritevoli di tutela e non quindi in s valida.

La nullit (parziale) trova pertanto fondamento in una deficienza del contratto sotto il profilo causale proprio in ragione di quella clausola secondo la quale la prestazione di una parte dovuta anche in caso di mancato ottenimento della prestazione corrispettiva.

In tal caso la mancanza della causa non invalida lintero regolamento contrattuale, ma soltanto quella parte di esso che impedisce un corretto funzionamento del sinallagma.

Non sembra, pertanto, possibile individuare la ratio decidendi della pronuncia in esame nella diretta violazione della regola che impone di eseguire il contratto secondo buona fede.

Trova invece conferma il ruolo essenziale della causa come strumento di controllo giudiziale sullesercizio dellautonomia privata, contraddicendo la lidea che le clausole generali abbiano occupato per intero larea coperta in precedenza dai vecchi dogmi a tutela della giustizia contrattuale.

In definitiva da questa sentenza e dalle altre esaminate non si pu desumere lesistenza di un orientamento giurisprudenziale favorevole ad ammettere una generale e diretta incidenza sulla validit dellatto di autonomia negoziale dalla mera violazione di regole desumibili dalla buona fede e dalla correttezza.

Viceversa, la giurisprudenza di legittimit ha espressamente affermato che la violazione dellobbligo di buona fede, tanto nellesecuzione del contratto quanto nella fase che ne precede la conclusione, non lo rende invalido n lo priva di effetti, ma obbliga solamente la parte responsabile al risarcimento del danno4.

Cos la Suprema Corte esclude la diretta rilevanza invalidante della violazione della buona fede quando, pur considerando scorretto il comportamento del creditore che esiga il pagamento della penale manifestamente eccessiva, ritiene valida la clausola che ne stabilisce in tale misura lammontare5.

Secondo le Sezioni unite della Cassazione, infatti, il potere di ridurre la penale pu essere esercitato, sia pure dufficio, solo in presenza di una clausola che sia valida.

In termini ancora pi espliciti in unaltra sentenza sempre le Sezioni unite della Cassazione, proprio in base alla ribadita distinzione tra regole di correttezza e di validit, hanno escluso che, in tema dintermediazione finanziaria, la violazione dei doveri dinformazione e di corretta esecuzione del mandato da parte degli intermediari possa dar luogo alla nullit del contratto per violazione di norme imperative ai sensi dellart. 1418, co.1, c.c., ove tale conseguenza non sia legislativamente prevista6.

Allo stesso modo la legge che definisce lambito di applicazione e le conseguenze derivanti dalla violazione di regole, che non sono scritte ma che essa stessa consente al giudice di desumere dalla clausola generale di buona

Cos Cass., 15 marzo 1999, n. 2284, in Foro it., 1999, I, 1165, con riguardo alle conseguenze del comportamento scorretto di una banca, che aveva indotto il fideiussore a ritenere estinto il contratto in assenza di un atto formale di recesso. 5 Cfr. Cass. s.u., 13 settembre 2005, n. 18128. 6 Cos Cass. s.u., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725, cit., che ribadiscono lorientamento espresso da Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, in Danno e resp. 2006, 25 s.

fede, in base a direttive e criteri deontologici altrimenti privi di forza giuridica vincolante e apprezzabili esclusivamente sul piano dei rapporti sociali.

In questi termini si del resto espressa la Cassazione in due recenti sentenze del novembre 2009 e del giugno 2010.

Nella prima la Suprema Corte ha escluso linvalidit della pattuizione che condizionava risolutivamente lefficacia del contratto preliminare di compravendita di un terreno alla mancata approvazione entro un certo termine del piano di lottizzazione, con lobbligo di restituire il prezzo anticipatamente pagato maggiorato degli interessi convenzionali a decorre dal verificarsi dellevento risolutivo7.

In tale occasione i giudici di legittimit hanno affermato che la violazione della buona fede, bench fonte di responsabilit per il danno, non inficia il contenuto del contratto, salvo che non si traduca in una specifica causa di nullit o di annullabilit.

Tale ipotesi non si per ritenuto di poter ravvisare nella mera inadeguatezza delle clausole pattuite a soddisfare le aspettative economiche di uno dei contraenti ancorch riconducibile ad un preteso comportamento scorretto dellaltro.

Successivamente la Cassazione ha ribadito tali principi di diritto, stabilendo che il comportamento scorretto della banca, che capitalizzi trimestralmente gli interessi dovuti dal cliente, implica solo conseguenze sul piano risolutorio e risarcitorio, ma non linvalidit contrattuale8.

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Cass., 27 novembre 2009, n. 25047 Cass., 3 giugno 2010, n. 13477.

Da questa prospettiva le regole non scritte di correttezza in tanto possono invalidare il contratto in quanto il legislatore espressamente le traduca in limiti allautonomia privata, contemplandone linosservanza tra gli elementi costitutivi di una determinata fattispecie di invalidit.

Nel nostro ordinamento, tuttavia, le norme generali concernenti il precetto di buona fede non incidono sulla validit del negozio, ma disciplinano linterpretazione e lesecuzione del contratto, ladempimento dellobbligazione e il comportamento delle parti durante le trattative.

Neppure in questultimo caso, peraltro, lobbligo di comportarsi secondo buona fede configura un limite alla libert di concludere il contratto, tanto che il danno risarcibile in conseguenza del comportamento scorretto di una parte in nessun caso si estende fino a coprire linteresse positivo allesecuzione della prestazione.

Sono invece specifici i casi in cui la violazione della correttezza vale a integrare con altri elementi - determinate fattispecie dalle quali la legge fa discendere linvalidit del contratto.

Ma anche in questi casi la valutazione alla stregua della buona fede non riguarda direttamente e immediatamente il regolamento negoziale dinteressi, bens il comportamento delle parti durante le trattative o comunque nella formazione del contratto.

Essa, quindi, non uno strumento per accertare iniquit sostanziali del regolamento contrattuale ma criterio per valutare i comportamenti e le circostanze soggettive delle parti.

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Se si ammettesse invece che la validit e liceit del contratto possano essere sindacate dal punto di vista della conformit a buona fede del regolamento di interessi pattuito, questa finirebbe per svolgere una funzione che non le compete.

Diversa , infatti, la rilevanza che la buona fede assume rispetto al buon costume.

1) Anzitutto la contrariet al buon costume riguarda il contenuto dellaccordo e non la condotta che pu averlo prodotto.

2) In secondo luogo la nullit per illiceit della causa normativamente prevista dal combinato disposto degli artt. 1343 e 1418, co. 2, c.c.

3) Infine, sul terreno comune delle clausole generali si pu dire che, pur nella vaghezza che le caratterizza, ognuna ha un contenuto suo proprio.

Al di l del comune referente assiologico, costituito dalla morale sociale, ogni clausola generale acquista quindi un significato specifico a seconda del contesto nel quale chiamata ad operare dalla legge.

Questo spiega perch il buon costume sia da sempre criterio funzionale a limitare lefficacia dei contratti (ad es. art. 1343 c.c.) e pi in generale degli atti privati (ad es. art. 2031, co. 2, e 5 c.c.; artt. 19 e 21 cost.), mentre la buona fede funge da fonte di ulteriori obblighi di comportamento non espressamente previsti dalla legge o dal contratto.

La diversit di contenuto delle due clausole generali si riflette, infatti, nella diversa funzione: l dove la prima delimita la seconda integra e amplia.

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Nel nostro sistema pertanto la correttezza, a differenza del buon costume, non opera direttamente come criterio di valutazione della liceit e validit dei negozi giuridici, ma genera soltanto obblighi di comportamento, la cui violazione in primo luogo fonte di responsabilit e, solo ove la legge espressamente lo stabilisca, costituisce requisito di una pi complessa fattispecie di invalidit.

Non

sempre,

peraltro,

l'ordinamento

garantisce

l'efficiente

corretto

funzionamento del mercato negando validit ed efficacia del regolamento dinteressi che risulti squilibrato per effetto di un abuso di potere contrattuale.

Esso talvolta prevede invero obblighi legali dinformazione che mirano a ridurre le asimmetrie informative tra i contraenti per consentire a entrambi un esercizio consapevole della propria autonomia, a prescindere da un sindacato sul contenuto del contratto che ne costituisce il risultato.

Occorre, quindi distinguere le regole, la cui violazione incide direttamente sugli effetti dell'atto di autonomia contrattuale rendendolo invalido e quelle per le quali, invece, il riequilibrio del rapporto si realizzi attraverso rimedi risarcitori che non precludono l'efficacia del contratto.

Ad esempio questo quanto avviene nelle ipotesi in cui la violazione degli obblighi di comportamento che la legge pone a carico degli intermediari finanziari non abbia consentito al risparmiatore di ottenere una corretta informazione circa la natura, il grado di sicurezza delloperazione e lo abbia indotto a compiere scelte dinvestimento non consapevoli o comunque inadeguate rispetto al suo profilo di rischio.

Al riguardo non corretto affermare che la violazione degli obblighi che la legge pone a carico dellintermediario al fine di orientare il risparmiatore nelle sue

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scelte dinvestimento possa rendere nullo il contratto nel quale tali scelte si sono concretizzate.

A tal fine non si potrebbe invero invocare la regola dellart. 1418, co. 1, c.c., la quale dice contrario alla norma imperativa il contratto, non gi la condotta scorretta di uno dei contraenti.

Il comportamento antigiuridico di una parte, infatti, pur quando abbia influenzato in modo determinante la decisione della controparte, non si traduce di per s in un assetto dinteressi vietato dalla legge, la quale non disapprova il contenuto dellaccordo, ma soltanto le modalit con le quali questo si formato.

A maggior ragione la violazione degli obblighi legali di condotta, ove si risolva in una mera omissione, non pu in alcun modo rendere illecito il regolamento negoziale voluto dai contraenti.

In tal senso pu essere correttamente inteso il principio di diritto affermato dalla Cassazione secondo cui la disposizione dellart. 1337 c.c. che impone alle parti lobbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto norma meramente precettiva o imperativa positiva, dettata a tutela ed a limitazione degli interessi privatistici nella formazione ed esecuzione dei contratti, e non pu, perci, essere inclusa tra le norme imperative, aventi invece contenuto proibitivo, considerate dal primo comma dellart. 1418 c.c., la cui violazione determina la nullit del contratto anche quando tale sanzione non sia espressamente comminata9.

Dal punto di vista della disciplina del mercato finanziario, gli obblighi di condotta imposti dalla legge agli intermediari hanno principalmente la funzione
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Cass., 18 ottobre 1980, n. 5610.

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di ridurre le asimmetrie informative tra i contraenti e comunque di garantire una maggiore trasparenza e consapevolezza nel compimento delle scelte dinvestimento.

In tali casi, quindi, la legge muove dal presupposto che le parti, ove siano state adeguatamente informate, siano in grado di determinare liberamente il contenuto del contratto.

Non si giustifica pertanto una limitazione della loro autonomia secondo la logica paternalistica, che invece ispira le norme che tutelano il contraente debole impedendogli di vincolarsi a un determinato regolamento contrattuale, che in ipotesi costituisce il risultato di un abuso di potere contrattuale.

Lordinamento, infatti, non vieta n impone un determinato contenuto negoziale, ma soltanto esige che la volont di una delle parti, a prescindere dal suo contenuto finale, sia orientata da una corretta informazione circa gli aspetti rilevanti del rapporto contrattuale.

Proprio con riguardo a tali ipotesi, come abbiamo gi rilevato, le Sezioni unite della Cassazione hanno affermato che la contrariet a norme imperative rilevante ai fini dellapplicazione dellart. 1418, co. 1, c.c. soltanto quella che riguarda elementi della fattispecie negoziale e non gi fatti a essa estranei quali i comportamenti tenuti dalle parti nella fase precontrattuale, la cui eventuale illegittimit non pu dar luogo alla nullit del contratto, se non nei casi espressamente previsti dalla singola disposizione violata10.

Lomissione di una condotta obbligatoria per legge non genera invece alcun contrasto tra il contratto e la norma che pone lobbligo, la quale, come gi si
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In questo senso Cass. s.u., 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725, cit., che hanno accolto lorientamento espresso da Cass., 29 settembre 2005, n. 19024, cit., 25 s. che a sua volta richiama ulteriori precedenti sia pure pronunciati con riguardo a fattispecie diverse: Cass., 9 gennaio 2004, n. 111 e Cass., 25 settembre 2003, n. 14234.

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detto, da un lato impone un comportamento puramente materiale, dallaltro prescinde da qualsiasi considerazione relativa alla concreta pattuizione.

Perch possa ritenersi nullo il contratto, in assenza di unespressa previsione in tal senso nella specifica norma violata, invece necessario che il contenuto programmatico dellatto o la funzione che a questultimo le parti assegnano, eventualmente in concorso con altri elementi, esprima il disvalore che ne giustifica la proibizione, rendendo logicamente coerente, rispetto al divieto previsto dalla legge, la negazione degli effetti negoziali.

Il termine contratto, del resto, se pure assume significati diversi a seconda del contesto normativo nel quale utilizzato, nondimeno va inteso in una accezione appropriata alla regola dellart. 1418, co. 1, c.c., che a esso fa riferimento in senso univoco come oggetto della proibizione legale e al tempo stesso come regolamento negoziale, al quale la nullit impedisce di produrre effetti disapprovati dallordinamento giuridico.

Ne deriva che contrario alla norma non pu che essere il contratto come regolamento, in quanto soltanto di questo si potrebbe ragionevolmente negare la validit e lefficacia, mentre non avrebbe alcun senso predicare la nullit dei comportamenti e delle omissioni nella fase che precede la formazione del consenso.

Limpossibilit di trattare la mancata informazione alla stregua di un difetto che renda invalido il contratto trova del resto una conferma sistematica proprio nella disciplina specifica dellintermediazione finanziaria e pi precisamente in quelle norme che, al fine di garantire una maggiore consapevolezza del risparmiatore-investitore nel compimento delle proprie scelte, prevedono che determinate circostanze, la cui conoscenza considerata essenziale ai fini della corretta formazione del consenso, siano rese note mediante la redazione di un

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documento, la cui sottoscrizione, pubblicazione o consegna risulta decisiva ai fini della validit del contratto (c.d. neoformalismo).

In tal caso la prescrizione della forma appare strettamente collegata allimposizione di un contenuto minimo del contratto, in quanto diviene strumento di trasparenza e di riequilibrio delle asimmetrie informative, per consentire al contraente non professionale di vincolarsi in modo consapevole.

Da tali disposizioni quindi logico desumere che la legge, l dove ritenga essenziale per la valida manifestazione della volont la conoscenza di determinate circostanze o elementi, con espressa previsione traduca lobbligo di informare laltra parte in requisito essenziale del contratto, rilevante non sul terreno della responsabilit, ma su quello della nullit.

Questa, pertanto, espressamente prevista da una norma che impone il rispetto di determinate formalit, a prescindere dai riflessi che leventuale condotta contraria produce sul contenuto concreto dellatto di autonomia e

indipendentemente dalleventuale presenza di vizi del consenso.

Alla luce di tali considerazioni, la distinzione tra regole di validit e di condotta deve essere correttamente intesa come criterio che definisce lambito di applicazione dellart. 1418, co. 1, c.c., impedendo di considerare nullo il contratto in ragione della mera violazione di divieti o obblighi legali, che riguardano per la condotta delle parti in fase precontrattuale o esecutiva.

In mancanza di una specifica previsione in tal senso, infatti, si potrebbe razionalmente negare la validit ed efficacia del contratto, soltanto ove questo sia vietato come regolamento diretto a produrre effetti giuridici disapprovati dalla legge.

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Il ricorso a tale criterio non invece necessario nelle ipotesi in cui la stessa nullit, specificamente prevista dalla norma violata, esprima la

disapprovazione dellordinamento.

In questi casi, peraltro, la violazione della regola di condotta non costituisce la ragione da sola sufficiente a invalidare il contratto, ma il pi delle volte assume rilevanza, come abbiamo detto in precedenza, soltanto in presenza di altri elementi, che nelle diverse ipotesi attengono allequilibrio contrattuale e/o alla regolare formazione della volont negoziale.

Bibliografia di riferimento A. ALBANESE, Violazione di norme imperative e nullit del contratto, JOVENE, 2003. A. ALBANESE, Contratto mercato responsabilit, Milano, Giuffr, 2008.

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