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Generalità
I delitti descritti nel Titolo II del Libro II del codice penale sono posti a tutela del buon
andamento e dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione.
Quelli commessi contro la Pubblica Amministrazione sono prevalentemente reati propri, i cui
soggetti attivi devono rivestire la qualifica di:
pubblici ufficiali;
incaricati di un pubblico servizio;
esercenti un servizio di pubblica necessità.
Alla disciplina di questi reati è dedicato il capo I (artt. 314-335-bis c.p.).
Il capo II (artt. 336-356 c.p.) è invece dedicato ai delitti contro la Pubblica Amministrazione
commessi da soggetti privati, cioè da parte di comuni cittadini.
Soggetti attivi
Art. 357 c.p.: è pubblico ufficiale chi esercita una pubblica funzione legislativa, giudiziaria
o amministrativa.
Art. 358 c.p.: è incaricato di pubblico servizio chi, a qualunque titolo, presta un pubblico
servizio.
Art. 359 c.p.: sono esercenti un servizio di pubblica necessità quei soggetti che esercitano
talune professioni specifiche, fra cui quella forense e quella sanitaria o, comunque,
professioni connotate da un duplice requisito:
1. il loro esercizio deve essere subordinato al rilascio di una speciale abilitazione
statale;
2. il pubblico deve essere obbligato per legge a valersi di tali professioni.
Delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica Amministrazione
Peculato
Art. 314 c.p.: commette il delitto di peculato il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico
servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di
denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria.
La norma prevede e punisce (con una sanzione meno grave) anche il c.d. peculato d’uso, ossia il
comportamento del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che faccia uso momentaneo
delle cose con immediata restituzione.
L’art. 316 c.p. punisce invece il peculato mediante profitto dell’errore altrui, che si configura
quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, nell'esercizio delle funzioni o del
servizio, giovandosi dell'errore altrui, riceve o ritiene indebitamente per sé o per terzi, denaro o altre
utilità.
Concussione
Art. 317 c.p.: commette il delitto di concussione il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico
servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere
indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità.
Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui viene effettuata la dazione o fatta la promessa.
Corruzione
Il fenomeno della corruzione è previsto e incriminato da più articoli del codice penale,
precisamente dall’art. 318 all’art. 322.
Si tratta di un reato a concorso necessario, in quanto la sua essenza consiste nell’accordo (c.d.
pactum sceleris) tra il pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio) e il privato.
Come il pubblico ufficiale, sono puniti dal legislatore anche il corruttore (art. 321 c.p.) e
l’incaricato di pubblico servizio (art. 320 c.p.), ma quest’ultimo fruisce di una riduzione di pena
non superiore a un terzo.
Art. 318 c.p.: commette il delitto di corruzione per l’esercizio della funzione (c.d. corruzione
impropria) il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri,
indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa.
Art. 319 c.p.: commette il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio (c.d.
corruzione propria) il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato
un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri
d’ufficio, riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa.
Art. 322 c.p.: commette il reato di istigazione alla corruzione chiunque offra o prometta denaro o
altra utilità, come retribuzione non dovuta, a un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio,
per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri (c.d. istigazione alla corruzione impropria)
ovvero per indurlo a omettere o ritardare un atto del proprio ufficio o servizio, ovvero a fare un atto
contrario ai propri doveri (c.d. istigazione alla corruzione propria), nel caso in cui l’offerta o la
promessa non venga accettata
A differenza delle ipotesi criminose di cui agli artt. 318 e 319 c.p., che configurano delle fattispecie
a concorso necessario, l’istigazione alla corruzione è un reato monosoggettivo. Elemento
essenziale della fattispecie è la mancata accettazione da parte del pubblico ufficiale dell’offerta o
della promessa.
Se i primi due commi dell’art. 322 c.p. disciplinano la figura dell’istigazione alla corruzione
passiva, i successivi commi 3 e 4 contemplano l’istigazione alla corruzione attiva, ovvero quella
operata dai pubblici agenti che sollecitano il privato ad una dazione illecita per l’esercizio delle
proprie funzioni o dei propri poteri o per omettere o ritardare un atto del proprio ufficio ovvero per
compiere un atto contrario ai propri doveri.
La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.
Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla
ricezione della richiesta stessa.
Malversazione di erogazioni pubbliche
Art. 316-bis c.p.: commette il reato di malversazione di erogazioni pubbliche chiunque, estraneo
alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle
Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla
realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette
finalità.