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DIRITTO TRIBUTARIO D’IMPRESA

Prof. Ernesto-Marco Bagarotto


mail: ernesto.bagarotto@unimi.it

SLIDE 1
LA NOZIONE DI TRIBUTO
Nel nostro ordinamento non esiste una definizione normativa di «tributo». Non c’è una legge che
stabilisce cosa sia un tributo.
I termini “tributo”, “tassa”, “imposta”, “contributo”, vengono spesso utilizzati in modo fungibile
nel linguaggio ordinario, ancorché dal punto di vista tecnico definiscano concetti diversi.
È un’obbligazione pecuniaria di natura coattiva, le caratteristiche del tributo sono:
- Obbligazione pecuniaria, si corrisponde una somma in denaro ad un ente pubblico
- Coattiva, imposto dalla legge
- Fatto economico lecito, ovvero il presupposto deve rispettare l’ordinamento
- Finanziamento della spesa pubblica

Definire cosa è tributo è importante anche dal punto di vista pratico:


Art. 2 D.lgs. 31-12-1992 n. 546 (Oggetto della giurisdizione tributaria):
Appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni
genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il
contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni
nonché gli interessi e ogni altro accessorio. Con questo articolo si capisce se una fattispecie/
controversia è da discutere davanti al giudice tributario oppure davanti a un'altra tipologia di
giudice.
Art. 1 D.lgs. 18-12-1997 n. 472 (ambito applicazione delle norme in materia di sanzioni
amministrative tributarie):
Il presente decreto stabilisce le disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia
tributaria.
Imponibilità ai fini dell’IVA

Ed ancora, si segnalano:
l'art. 53, comma 2, a norma del quale “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
l'art. 75, comma 2, che vieta il referendum per le “leggi tributarie”.
l'art. 81, comma 3, che impedisce di “stabilire nuovi tributi e nuove spese” con la legge di
approvazione del bilancio.
l'art. 119, comma 2, in forza del quale alle Regioni devono essere “attribuiti tributi propri e quote
di tributi erariali”.

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l'art. 14, comma 3, contiene la previsione di una riserva di legge in tema di accertamenti e
ispezioni per “fini economici e fiscali”.
l'art. 20, sul divieto di istituire “speciali gravami fiscali” in ragione del carattere ecclesiastico e del
fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione.
Infine, si segnalano:
l'art. 1025, c.c., sull'obbligo di pagamento dei “tributi” in caso di uso e di abitazione.
l'art. 1961, c.c., che annovera tra gli obblighi del creditore anti-cretico quello di pagare “i tributi e i
pesi annui” dell'immobile ricevuto in anticresi.
l'art. 2424, c.c., che indica i “debiti tributari” tra le voci del passivo dello stato patrimoniale.
l'art. 2752, c.c., rubricato “crediti per tributi diretti dello Stato ... e per i tributi degli enti locali”,
disciplinante tra l'altro il privilegio che assiste i crediti “per le imposte, le tasse e i tributi dei
comuni e delle province previsti dalla legge per la finanza locale”.
l'art. 2772, c.c., sul privilegio dello Stato per i “tributi indiretti”.
l'art. 10, n. 5, DPR n. 633 del 1972, che include tra le operazioni esenti da IVA quelle relative alla
“riscossione dei tributi”.
I tributi vengono inquadrati tra le entrate acquisite iure imperii, altrimenti dette “di diritto
pubblico”, cui si contrappongono quelle derivanti dalle attività esercitate iure gestionis,
denominate “di diritto privato”.
- da un lato, si collocano dunque i tributi e le altre entrate che lo Stato riesce a procacciarsi in
quanto ente dotato di sovranità (quali le sanzioni, i prestiti forzosi, ecc.)  entrate di diritto
pubblico
- dall'altro lato, i proventi derivanti dallo sfruttamento del patrimonio, dallo svolgimento di
attività economiche e dalle partecipazioni in imprese produttive, nonché le somme ottenute
liberamente in prestito  entrate di diritto privato
A prima vista la distinzione tra esercizio di un potere d'imperio ed esercizio di un'attività
privatistica appare chiara. In realtà vi sono molte «zone grigie» tra la nozione di «tributo»: da un
lato, le entrate che afferiscono all'area del diritto privato, dall’altro lato le altre entrate di stampo
pubblico. Le difficoltà sono rese particolari anche per il linguaggio approssimativo impiegato dal
legislatore (anche per ragioni politiche, per esempio i «contributi», le «tariffe», i «prelievi», i
«canoni», i «diritti», ecc.). Il nomen iuris impiegato, infatti, non è decisivo per valutare la natura,
tributaria o meno, di un’entrata.

LA CLASSIFICAZIONE DEI TRIBUTI


I tributi vengono normalmente distinti in:
Imposte: il presupposto è tale da escludere qualunque relazione specifica con ogni attività
dell'ente pubblico («obbligazione di riparto» e collegamento con un indice di capacità
contributiva); le imposte si pagano a prescindere da ciò che poi si avrà in cambio dallo Stato, si
paga per finanziare qualcosa che serve alla comunità (esempio l’esercito che serve a tutti
indistintamente). Devo pagarla per forza se raggiungo il presupposto prefissato
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Tasse: postulano lo svolgimento da parte della Pubblica Amministrazione di un’attività o di un
servizio nei riguardi dell'obbligato; si paga per il fatto di aver richiesto allo Stato un determinato
servizio, se non faccio niente non devo pagarla (esempio richiedere il passaporto, pago per un
servizio). Non c’è una legge che mi obblighi a pagare questo corrispettivo, decidendo di volere
questo servizio mi obbligo a pagare
Contributi: richiede un'attività pubblica, prestata a favore di una collettività, da cui il singolo
contribuente (obbligato a versare il contributo) tragga un particolare vantaggio; si paga per un
servizio ottenuto dalla PA anche se non richiesto, si paga per il fatto di far parte di una comunità
alla quale viene dato un servizio (esempio la bonifica degli argini di un fiume, chi abita nei pressi
dell’argine deve contribuire alle spese di bonifica)
Monopoli fiscali: il maggior prezzo rispetto al costo o il minor importo della vincita, conseguenti
all'esclusiva della produzione e della commercializzazione di determinati beni ovvero dell'esercizio
di determinati giochi riservata dalla legge allo Stato.
La distinzione più rilevante è tra:
 tributi cd. contributivi (Imposte): ratio è dovere di solidarietà. Il soggetto è chiamato a
corrispondere senza contraccambio e che si giustificano per l'appartenenza del singolo ad
una collettività.
 tributi cd. commutativi (Tasse): scambio di prestazioni, sono dovuti per un particolare
servizio prestato dalla Pubblica Amministrazione o per il godimento di un bene pubblico,
che si giustificano secondo un'idea di scambio di utilità.
La tassa è un istituto “di confine” con i corrispettivi derivanti da attività privatistiche. A grandi
linee:
- nel prezzo (entrata di diritto privato): fonte privatistica  c’è un nesso molto stretto tra ciò
che si paga e ciò che si ottiene, vi è quindi un rapporto sinallagmatico (nesso di reciprocità).
Le prestazioni delle parti sono legate reciprocamente da un nesso così intenso e stretto da
renderle interdipendenti tanto sul piano genetico, quanto su quello funzionale
- nella tassa (entrata di diritto pubblico): fonte legale  non vi è un rapporto così stretto tra
ciò che pago e ciò che ottengo. Tenendo l’esempio del passaporto, il prezzo richiesto non
rappresenta il reale valore economico del bene che ricevo, è un prezzo che lo Stato impone
per un servizio erogato

IL CASO DELLA TIA


Un caso controverso è stato quello della TIA (tariffa di igiene ambientale).
La Corte costituzionale (sent. 238 del 2009) ne ha affermato la natura tributaria ponendo
l’accendo sul fatto che:
La TIA è dovuta a prescindere dall’effettiva produzione di rifiuti e indipendentemente dalla
fruizione del servizio di smaltimento. La tariffa, infatti, è commisurata “alle quantità e qualità
medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di
attività svolte, sulla base di parametri che tengano anche conto di indici reddituali articolati per
fasce di utenza e territoriali”
Il servizio di smaltimento deve essere istituito dai Comuni
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I contribuenti non possono sottrarsi alla TIA adducendo di non voler fruire del servizio
La TIA è dovuta anche se il contribuente dimostra di aver smaltito autonomamente i propri rifiuti
La volontà delle parti non rileva ai fini della nascita dell’obbligo di pagamento della TIA.

SLIDE 2

IL PRINCIPIO DI RISERVA DI LEGGE (ART. 23 COST.)


L’esercizio di potestà normativa tributaria (intesa come potestà di produrre atti normativi diretti
alla disciplina del tributo) incontra un limite di natura costituzionale sancito dall’art. 23, giusta il
quale “nessuna prestazione patrimoniale o personale può essere imposta se non in base alla
legge”. Il potere dello Stato di introdurre tributi incontra un primo limite, il tributo deve essere
infatti previsto dalla legge (o da un atto avente forza di legge). Questo serve per evitare un
possibile abuso da parte dell’amministrazione o del governo e quindi impedire che possa esigere
prestazioni personali o patrimoniali da parte del cittadino se non legittimato dalla legge. Il
parlamento, che rappresenta i cittadini, redige le leggi, queste, data la rappresentatività del
popolo da parte di chi le emana danno forza al governo per imporre tributi.
Detta riserva di legge mira, da un lato, a tutelare la libertà e la proprietà dei cittadini a fronte del
potere di imporre prestazioni patrimoniale e personali, dall’altro, soddisfare l’esigenza che
l’imposizione di tali prestazioni sia demandata esclusivamente al Parlamento, organo titolare della
funzione di indirizzo politico e rappresentativo anche delle minoranze.
Inoltre, l’intervento parlamentare mediante la legge garantisce che ogni atto normativo che
impone prestazioni sia suscettibile di essere sottoposto al vaglio della Corte costituzionale.
La ratio della norma, dunque, non è più riequilibrare i rapporti di forza politici tra sovrano e sudditi
(come nello Stato assoluto) bensì enucleare un’attribuzione esclusiva a favore dell’organo di
vertice dell’ordinamento e degli atti con i quali esso solitamente opera.
Ambito oggettivo dell’art. 23: le prestazioni patrimoniali imposte. (tutto ciò che comporta un
obbligo di pagare)
Il concetto di prestazione patrimoniale imposta comprende la nozione di tributo (prelievo di
ricchezza effettuato coattivamente da un ente pubblico) ma non si esaurisce con esso. Vi
rientrano, infatti, anche i prestiti forzosi e le sanzioni amministrative pecuniarie (nonché i prezzi
per fruire di servizi essenziali resi in regime di monopolio).
Viceversa, rimangono escluse le prestazioni oggetto di specifiche disposizioni: le sanzioni penali a
contenuto pecuniario (art. 25 Cost.), le prestazioni a contenuto negativo (art. 41 Cost.) e le
espropriazioni per pubblica utilità (artt. 42 e 43 Cost.)
Quando si parla di “legge” come fonte normativa privilegiata della riserva, ci si riferisce non
soltanto alla legge ordinaria (atto normativo adottato dal parlamento seguendo la procedura degli
art. da 71 a 74 Cost.) ma anche agli atti che hanno il medesimo rango e la stessa efficacia nella
gerarchia delle fonti.
Di conseguenza, la riserva opera anche a favore di decreti-legge, decreti legislativi (ancorché
promanino dal governo), delle leggi regionali e provinciali (per le province di Trento e Bolzano)
La riserva di legge viene soddisfatta anche dalle fonti di diritto UE.
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Si consideri che l’art. 11 Cost. prevede che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri
Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia
fra le Nazioni” e che l’art. 117 stabilisce che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle
Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario
e dagli obblighi internazionali”.
Una materia su cui legifera l’Europa sono i dazi, tra gli stati UE non possono esserci dazi. Per
quanto riguarda le merci in entrata si applica la tariffa unica comunitaria, viene applicata una volta
sola all’entrata della merce in UE, questa tariffa viene applicata dallo Stato nel quale entra la
merce
Particolare importanza assumono poi le convenzioni internazionali (in particolare, le convenzioni
bilaterali contro le doppie imposizioni, nonché la CEDU)
Per quel che riguarda la potestà delle Regioni si segnala che:
L’art. 117 Cost. prevede che:
 Lo Stato abbia potestà legislativa esclusiva in materia di “sistema tributario e contabile
dello Stato …; perequazione delle risorse finanziarie”
 Siano materie di legislazione concorrente il “coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario”.
L’art. 119 Cost. stabilisce che “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno
risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la
Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio”
Le regole di coordinamento sono state attuate con la Legge delega n. 42 del 2009
Per quanto riguarda le Regioni sono previsti:
- tributi propri derivati istituiti da leggi dello Stato
- addizionali
- tributi propri istituiti da leggi regionali (alle condizioni e nei limiti stringenti fissati dalla L. n.
42 del 2009), i limiti imposti alle regioni sono molto stringenti, le regioni infatti non
possono colpire presupposti già colpiti dallo Stato.
I Comuni non hanno potestà legislativa e, dunque, possono beneficiare di tributi ed addizionali
istituite con legge dello Stato o legge regionale.
La riserva di legge dell’art. 23 riguarda le norme sostanziali e non quelle di natura procedurale.
Viene qualificata come riserva relativa e non assoluta, alla luce di:
- Argomento letterale: l’art. 23 non esige che l’istituzione della prestazione patrimoniale
avvenga per legge, bensì “in base” alla legge. Riserva di legge relativa, questo IN BASE vuol
dire che non tutto deve essere definito dalla legge, solo gli elementi essenziali della
prestazione/tributo devono essere definiti dalla legge. Gli altri elementi del tributo
possono essere regolati da elementi anche inferiori alle leggi, per esempio, i regolamenti
ministeriali o le delibere. Deve comunque essere rispettata l’idea per la quale si era attuato
il tributo.

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- Argomento sistematico: soltanto una riserva relativa consente di lasciare debito spazio alle
esigenze di autonomia degli enti locali, riconosciute e promosse dall’art. 5 Cost.
Di conseguenza, la legge deve provvedere alla disciplina diretta soltanto degli elementi essenziali
della fattispecie che concorrono a formare la prestazione, potendo rimettere a fonti diverse e
subordinate la regolamentazione di elementi secondari, salvo fissare criteri e principi direttivi atti
a delimitare la discrezionalità dell’organo chiamato a completare la disciplina.
Una volta chiarita la natura relativa della riserva dell’art. 23 (da cui deriva che non tutta la
disciplina istitutiva dell’obbligazione tributaria deve essere demandata alla legge) è necessario
individuare gli elementi essenziali che essa deve necessariamente contenere. Tali elementi sono
quelli necessari a identificare:
 Il presupposto del tributo  Cosa fa scattare il dovuto pagamento
 Importo del tributo, base imponibile, aliquota  la legge può demandare ma deve dare dei
limiti guida
 I soggetti passivi  Chi deve pagare il tributo
 Eventuali agevolazioni o esclusioni
L’entità del tributo è un po’ a metà strada, il legislatore ha introdotto tributi senza specificare
l’entità che sarebbe poi stata specificata da una fonte inferiore. La Corte costituzionale ha stabilito
che questo elemento può essere demandato a una fonte di grado inferiore, però, devono esserci
previsioni idonee in grado a limitare l’autorità del delegato tramite linee guida e/o direttive.
Esempio stabilendo minimi e massimi. La determinazione della base imponibile, invece, può essere
demandata ad una fonte secondaria per limitati aspetti espressione di discrezionalità tecnica con
indicazione nella legge dei criteri direttivi. La fissazione dell’aliquota, infine, è delegabile alla fonte
secondaria per esigenze di competenza tecnica o per lasciare spazio alle autonomie locali, previa
indicazione di principi e criteri direttivi.
Tra gli strumenti idonei a delimitare sufficientemente la discrezionalità delle fonti secondarie
(regolamenti, decreti ministeriali e deliberazioni degli enti locali) rientrano:
- la fissazione del limite massimo dell’aliquota
- il fabbisogno finanziario dell’ente per gestire un certo servizio
- l’intervento di un organo tecnico.
Nella sentenza n. 44 del 1966 la Corte Cost. ha ritenuto non fondata la questione di illegittimità
costituzionale della legge n. 246/1963 (per violazione dell’art. 23) nella parte in cui attribuisce ai
Comuni il potere di stabilire la data di riferimento dell'incremento tassabile. La Corte ha
evidenziato che al Comune non è stato attribuito un potere illimitato, “in quanto è stato posto un
termine, anteriormente al quale tale data non può essere fissata: termine stabilito in via generale
in tre anni”, per il quale sia da considerarsi violata la riserva di legge relativa posta dall’art. 23 Cost.
Corte Cost., sentenza n. 4/1957: L'art. 23 della Costituzione prescrive che l’imposizione di una
prestazione patrimoniale abbia “base” in una legge, ma non esige che la legge, che conferisce il
potere di imporre una prestazione, debba necessariamente contenere l'indicazione del limite
massimo della prestazione imponibile. Il rilievo che nella legge, in base alla quale un ente è
abilitato a stabilire una prestazione, non è fissato il massimo della prestazione imponibile non è
per sé solo sufficiente per ritenere che, per tale mancanza, la legge sia costituzionalmente

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illegittima rispetto all'art. 23 della Costituzione. Ma l'espressione “in base” alla legge contenuta
nell'art. 23 della Costituzione, dovendosi interpretare in relazione col fine della protezione della
libertà e della proprietà individuale, a cui si ispira tale fondamentale principio costituzionale,
implica che la legge, che attribuisce ad un ente il potere di imporre una prestazione, non lasci
all'arbitrio dell'ente impositore la determinazione della prestazione. Il principio posto nell'art. 23
della Costituzione esige non soltanto che il potere di imporre una prestazione abbia base in una
legge, ma anche che la legge, che attribuisce tale potere, indichi i criteri idonei a delimitare la
discrezionalità dell'ente impositore nell'esercizio del potere attribuitogli.

Corte Cost., sentenza n.180/1996: La garanzia dettata dall'art. 23 della Costituzione secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte prevede una riserva a carattere relativo, la quale non
esige che la prestazione sia imposta “per legge” (da cui risultino espressamente individuati tutti i
presupposti e gli elementi), ma richiede soltanto che essa sia istituita “in base alla legge” (v.
sentenze nn. 236 e 90 del 1994). Sicché la norma costituzionale deve ritenersi rispettata anche in
assenza di un'espressa indicazione legislativa dei criteri, limiti e controlli sufficienti a
circoscrivere l'àmbito di discrezionalità della pubblica amministrazione, purché gli stessi siano
desumibili dalla destinazione della prestazione, ovvero dalla composizione e dal funzionamento
degli organi competenti a determinarne la misura (v. sentenze n. 182del 1994 e n. 507 del 1988),
secondo un modulo procedimentale idoneo ad evitare possibili arbitri.

SLIDE 3
IL PRINCIPIO DI CAPACITÀ CONTRIBUTIVA
Il legislatore, in sede di creazione delle norme tributarie, non gode di assoluta discrezionalità ma
incontra taluni limiti di natura costituzionale. Il più importante tra questi è posto dall’art. 53 Cost.,
a mente del quale “Tutti sono tenuti a concorrere alle pubbliche spese in ragione della loro
capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. La dottrina ha
attribuito a tale disposizione la funzione di norma cardine del sistema tributario, che svolge una
triplice funzione: solidaristica, garantistica e interpretativa.

FUNZIONE SOLIDARISTICA
La locuzione “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche” afferma il principio della
legittimità costituzionale della imposizione tributaria e della doverosità della contribuzione. Il
termine “tutti” costituisce espressione del principio di universalità del tributo che, conformemente
al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), deve colpire tutti i soggetti senza distinzione, privilegi o
discriminazioni (criteri di collegamento diversi, come residenza, fonte, ecc.).
L’art. 53 può essere considerato come una proiezione in materia tributaria del principio cardine
dell’art. 2 della Cost., il quale chiama tutti i membri della collettività all’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Da ciò deriva l’esistenza di un dovere
tributario di concorrenza alle spese pubbliche estensibile a tutti coloro che appartengono alla
comunità statale, al fine di permettere la sopravvivenza e il progresso della stessa. L’interesse

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della comunità generale ad ottenere le risorse finanziarie occorrenti per realizzare le finalità
pubbliche è denominato “interesse fiscale”.
I tributi possono avere anche ulteriori funzioni, come quelle:
- protezione della produzione nazionale (i dazi)
- ambientale
- incentivo o disincentivo di particolari attività o consumi

FUNZIONE GARANTISTICA
Allo stesso tempo, l’art. 53 svolge anche una funzione garantista, in quanto individua nella
“capacità contributiva” di ciascun consociato il criterio di riparto dei carichi fiscali tra gli
appartenenti alla comunità. Esso si pone quale misura dell’intervento normativo e, dunque, come
criterio difensivo e protettivo della sfera individuale rispetto al prelievo fiscale. La capacità
contributiva funge da:
 Presupposto (ossia idoneità soggettiva alla contribuzione) per cui è tenuto al pagamento
del tributo colui che dispone di una capacità economica eccedente il c.d. minimo vitale,
intendendosi per tale il minimo di capacità economica necessario a soddisfare le esigenze
primarie dell’individuo e della propria famiglia.
 Parametro, in quanto la contribuzione alle spese pubbliche di ciascuno è proporzionata alla
propria capacità contributiva.
 Limite massimo, in quanto non è consentito richiedere ad un soggetto un concorso alle
spese pubbliche superiore alla capacità contributiva, tale da risolversi in un’espropriazione
dell’oggetto dell’imposizione.
Al tempo stesso, le leggi tributarie non debbono ledere le ulteriori libertà garantite dalla
Costituzione. Si pensi, per esempio, alla tutela del risparmio (art. 47), della prima casa (art. 47),
della famiglia (art. 29), del diritto di agire in giudizio (art. 24), della libertà religiosa (art. 20), della
libertà di pensiero (art. 21)

Un primo indirizzo svaluta la portata dell’art. 53, svuotandolo di contenuto sostanziale in quanto
va ravvisando la mera proiezione e specificazione sul piano impositivo del principio di
ragionevolezza immanente nell’art. 3. Da ciò, ne deriva, che l’art. 53 non determina per il
legislatore alcun vincolo se non sotto il profilo del divieto di arbitrarietà in punto di scelte
compiute riguardo, soprattutto, al presupposto dei tributi.
Un’altra corrente di pensiero attribuisce all’art. 53 valenza autonoma, individuandovi
l’indefettibile presupposto costituzionale al quale deve risultare collegato il prelievo e
conseguentemente il limite oltreché il parametro necessario del medesimo.

FUNZIONE INTERPRETATIVA
infine, l’art. 53 svolge anche una funzione interpretatrice, per cui fra diverse interpretazioni
possibili di una disposizione tributaria occorre preferire quella che si conforma al principio della
capacità contributiva (c.d. interpretazione adeguatrice)
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AMBITO APPLICATIVO
Sono inclusi nel campo di applicazione della norma i tributi a carattere contributivo, per cui il
contribuente è tenuto al pagamento, in forza dell’appartenenza ad una comunità, senza aver
diritto ad una controprestazione, ma solo per finalità solidaristiche. Sono esclusi i tributi a
carattere commutativo, per cui è ravvisabile una controprestazione in favore del contribuente
tenuto al pagamento. (la tutela dell’obbligato viene garantita da altre norme costituzionali, per
esempio l’art. 32 sulla salute e 34 sull’istruzione)

INDICI ESPRESSIVI DI CAPACITÀ CONTRIBUTIVA


Il legislatore gode di ampia discrezionalità nell’individuare i fatti da elevare a presupposti
d’imposta, fermo restando il limite della capacità contributiva. Le situazioni tipicamente poste a
fondamento del tributo sono:
 Il reddito (IRPEF e IRES)
 Il patrimonio (IMU) e i suoi incrementi (imposta sulle successioni)
 Gli incrementi di valore del patrimonio (INVIM - abrogata)
 I consumi (IVA)
A fini meramente descrittivi, in base al presupposto colpito si suole distinguere tra imposte:
- Dirette: che assumono a presupposti indici diretti di forza economica (reddito e
patrimonio)
- Indirette: che colpiscono fatti che palesano tale forza in via indiretta o indiziaria (consumo).

CAPACITÀ CONTRIBUTIVA E IRAP


La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 156/2001, ha ritenuto che l’IRAP è un'imposta
costituzionalmente legittima, in quanto la sua struttura portante ed i suoi meccanismi applicativi
non ledono alcuno dei precetti fondamentali della Carta costituzionale, come invece era stato
obiettato da numerosi giudici tributari sin dalla sua entrata in vigore, ritenendola in contrasto col
principio di capacità contributiva in quanto assoggetterebbe il contribuente ad un prelievo fiscale
basato su una mera potenzialità di capacità contributiva, suscettibile di non tradursi in reddito
effettivo.
La Corte costituzionale ha argomentato che:
Rientra nella sfera di discrezionalità del legislatore l'individuazione dei singoli fatti espressivi di
attitudine alla contribuzione, con il solo limite della non arbitrarietà. Tale attitudine alla
contribuzione, quale idoneità del soggetto a far fronte all'obbligazione impositiva, può essere
desunta da qualunque indice rivelatore di ricchezza e non già solo dal reddito individuale.
Nel caso dell'Irap, l'indice di attitudine alla contribuzione è stato individuato dal legislatore, in
termini innovativi, nel valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate
assumendo un indice di capacità contributiva “diverso da quelli utilizzati ai fini di ogni altra

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imposta” che “colpisce con carattere di realità, un fatto economico, diverso dal reddito, comunque
espressivo di capacità di contribuzione". Tale nuova ricchezza viene assoggettata ad Irap prima che
sia distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione; dunque, è ragionevole che
essa rappresenti indice di attitudine alla contribuzione in capo a colui il quale, organizzatore
dell’attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i
diversi soggetti che concorrono alla sua creazione

LA COERENZA DEI TRIBUTI


La Corte Cost., tuttavia, con sent. 262/2020 ha recentemente giudicato illegittima la indeducibilità
dell’IMU dall’IRES sotto il profilo della coerenza e della ragionevolezza, evidenziando che l’ampia
discrezionalità del legislatore tributario nella scelta degli indici rivelatori di capacità contributiva
non si traduce in un potere discrezionale altrettanto esteso nell’individuazione dei singoli elementi
che concorrono alla formazione della base imponibile, una volta identificato il presupposto
d’imposta: quest’ultimo diviene, infatti, il limite e la misura delle successive scelte del legislatore.
Quindi, con riferimento all’IRES, una volta che il legislatore nella sua discrezionalità abbia
identificato il presupposto nel possesso del “reddito complessivo netto”, scegliendo di privilegiare
tra diverse opzioni quella della determinazione analitica del reddito, non può, senza rompere un
vincolo di coerenza, rendere indeducibile un costo fiscale chiaramente e interamente inerente.
Il mancato riconoscimento della deducibilità si riflette in un aggravio del tributo sui redditi causato
soltanto dalla misura dell’IMU che potrebbe, di fatto, azzerare lo stesso reddito netto. Altra
conseguenza della rottura del principio di coerenza è, nel caso di specie, l’indebita penalizzazione
di quelle imprese che abbiano scelto (opzione non certo biasimabile, perché funzionale alla solidità
dell’azienda) di investire gli utili nell’acquisto della proprietà degli immobili strumentali rispetto a
quelle che svolgono la propria attività utilizzando immobili in locazione: solo queste ultime
possono infatti dedurre tutti i costi (i relativi canoni), non essendo soggette, come invece le prime,
all’IMU (indeducibile). Va precisato che quanto detto non esclude in assoluto che il legislatore
possa prevedere limiti alla deducibilità dei costi, anche se effettivamente sostenuti nell’ambito di
un’attività d’impresa.
Tuttavia, forme di deducibilità parziale o forfetaria si devono giustificare in termini di
proporzionalità e ragionevolezza, come ad esempio al fine di:
- evitare indebite deduzioni di spese di dubbia inerenza
- evitare ingenti costi di accertamento
- prevenire fenomeni di evasione o elusione.
Si tratta di deroghe che rispondono a esigenze di tutela dell’interesse fiscale

REQUISITO DI EFFETTIVITÀ
Il concetto stesso di capacità implica che l’idoneità alla contribuzione di un soggetto non possa
essere meramente supposta ma deve presentarsi come effettiva. Dal requisito di effettività della
capacità contributiva deriva che le presunzioni legali sono costituzionalmente legittime solo se
ragionevoli (basate sull’id quod plerumque accidit) e se consentono al contribuente di fornire la
prova contraria (presunzione relative) per dimostrare che la capacità contributiva presunta dalla
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legge non esiste. Il medesimo problema si pone per i molteplici metodi di forfetizzazione della
base imponibile, considerati legittimi sia nel caso in cui siano previsti per il contribuente come
semplicemente opzionali, sia nell’ipotesi in cui la loro adozione da parte dell’amministrazione
derivi da comportamenti anti-doverosi del contribuente. Allo stesso tempo, la Corte Cost. ha
ritenuto legittimo il sistema di tassazione degli immobili su base catastale (invocando la rilevanza
del reddito medio ordinario come indice di capacità contributiva)

REQUISITO DI ATTUALITÀ
Retroattività dell’imposizione: introduco oggi un’imposta che colpisce un presupposto già
verificato in passato. È bene ricordare che nel nostro ordinamento non esiste un divieto assoluto
di retroattività delle norme tributarie. Sono stati però stabiliti dei concetti.
La capacità contributiva deve essere attuale, non pregressa. Da ciò deriva la problematica che
concerne la questione di legittimità costituzionale delle norme retroattive, ossia che assumono a
presupposto di imposizione fatti verificatisi prima della loro entrata in vigore:
- norme innovative, ossia che introducono una nuova imposizione, aumentano l’aliquota
esistente, eliminano o riducono un trattamento agevolativo.
- norme interpretative (dichiarative).
Secondo il costante orientamento della Corte costituzionale:
Non esiste un precetto costituzionale che, di per sé, vieti l’introduzione di norme tributarie
retroattive, sicché occorre verificare, nel singolo caso, se l’efficacia retroattiva della norma
contrasta con il principio di capacità contributiva spezzando l’imprescindibile rapporto tra
imposizione e capacità contributiva (V. Corte Cost. n. 44/1966).
Tale collegamento può venire meno per effetto del decorso del tempo, laddove la norma
retroattiva assuma come presupposto fatti talmente addietro nel tempo da non potersi
razionalmente presumere che valgano quali indici di capacità contributiva attuale (V. Corte Cost. n.
44/1966)  non si può tassare una capacità contributiva che non è più possibile ritenere
disponibile
Inoltre, tale rapporto non può dirsi spezzato nel caso in cui la norma retroattiva introduca una
imposizione prevedibile, ossia colpendo un fatto/atto che, nel momento in cui si è verificato, era
assunto come presupposto di un altro tributo (V. Corte Cost. n. 315/1994);

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 44 del 1966, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo,


in quanto in contrasto con l’art. 53, co. 1, Cost, l’art. 25 della legge n. 246/1963 – amente della
quale i Comuni avrebbero potuto applicare l’imposta sugli incrementi di valore delle aree
fabbricabili anche a carico di coloro che avessero conseguito tali plusvalori fino a dieci anni prima
l’entrata in vigore della stessa – in quanto tale previsione finiva per «spezzare il rapporto che deve
necessariamente sussistere tra imposizione e capacità contributiva… in quanto si ha l’applicazione
dell’imposta a rapporti esauriti, senza che questa efficacia retroattiva della norma sia sorretta da
alcuna razionale presunzione che gli effetti economici dell’alienazione, e del valore realizzato con
essa, permangano nella sfera patrimoniale del soggetto, data anche la possibilità che l’alienazione
sia avvenuta in un tempo notevolmente remoto»

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La Corte Cost. nella sentenza n. 315/1994 ha ritenuto non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 11, co. 9, della legge n. 413/1991 – che prevedeva la tassazione con effetto
retroattivo di tre anni delle plusvalenze realizzate in conseguenza di provvedimenti espropriativi –
in quanto tale retroattività non spezza il rapporto tra imposta e capacità contributiva dato il breve
intervallo di tempo in cui opera e la prevedibilità di imposizione di queste operazioni, data dal
fatto che tale disposizione era «concettualmente connessa» ad ipotesi già presenti
nell’ordinamento, tale da determinare «una più compiuta, più rigorosa disciplina della materia,
con la previsione di nuove fattispecie, sostanzialmente riconducibili alla medesima ratio di quelle
già disciplinate».
Una tassazione retroattiva è legittima tanto più potesse essere prevista per funzioni
dell’ordinamento che stavano andando verso quella fattispecie

L’art. 3, co.1, dello Statuto dei diritti del contribuente (l.212/2000) sancisce che le disposizioni
tributarie diverse da quelle interpretative non possono avere effetto retroattivo; invece, per i
tributi periodici le modifiche si applicano a partire dal periodo d’imposta successivo a quello
incorso alla data di entrata in vigore delle disposizioni modificative.
Il comma 2, inoltre, dispone che, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a
carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data
della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente
previsti.
Va rammentato che lo Statuto è dotato di efficacia “debole”. Esso, infatti, essendo stato approvato
con legge ordinaria, è qualificabile come tale, e costituisce un atto subordinato rispetto alla
Costituzione, di forza pari alle altre leggi o atti aventi forza di legge, che può sempre essere
modificato o abrogato da altre leggi ordinarie. Pertanto, le disposizioni dello Statuto non possono
fungere da parametro di costituzionalità né consentire la disapplicazione della norma tributaria in
contrasto con le stesse.

REQUISITO DI PERSONALITÀ
La capacità contributiva deve essere personale, ossia un soggetto non può essere tassato su una
capacità contributiva manifestata da un terzo. Sulla base di ciò è stata dichiarata l’illegittimità
costituzionale del cumulo familiare, che prevedeva l’imputazione al marito dei redditi della moglie.
Tuttavia, il legislatore può ampliare la sfera dei soggetti passivi, ed imporre il prelievo anche a
persone diverse da coloro cui è riferibile l’indice di forza economica che il prelievo colpisce (es.
sostituto d’imposta); tale possibilità è concessa a patto che il soggetto cui viene esteso il dovere di
contribuzione abbia la sicura possibilità di far ricadere l’onere economico del tributo sulla persona
che realizza il fatto e manifesta la capacità contributiva colpita. In caso contrario, si avrebbe
violazione dell’art. 53, co.1, Cost.
La legge interpretativa è una legge che va a spiegare norme già esistenti che per alcune fattispecie
sono poco chiare. Il legislatore per rispondere a difficoltà nel capire come deve essere interpretata
una norma fa una norma interpretativa. Queste norme non aggiungono nulla alla norma esistente

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(si limitano a chiarirla, quella norma già esistente avrebbe sempre dovuto essere interpretata così.
Non si pone il problema della retroattività su questo tipo di norma)
Dagli artt. 3 e 53 Cost. discende il principio di uguaglianza anche in ambito tributario, nel senso che
a situazioni uguali deve corrispondere un uguale trattamento fiscale, mentre a situazioni diverse
debbono essere applicati trattamenti fiscali diversi. Spetta al legislatore valutare se due situazioni
siano uguali o meno. In passato la Corte Cost. ha dovuto valutare la legittimità di forme di
discriminazione qualitativa del reddito:
- Sentenza n. 116/2013
- Sentenza n. 201/2014
- Sentenza n. 10/2015
La Corte Cost., con la sentenza n. 116/2013, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale – per
violazione dell’art. 53 - dell’art. 18, comma 22-bis, del D.L. 98/2011 nella parte che stabilisce che
dal primo agosto 2011 fino al 31 dicembre 2014, i trattamenti pensionistici corrisposti da enti
gestori di forme di previdenza obbligatorie fossero soggetti ad un contributo di perequazione, da
determinarsi secondo un sistema di aliquote a scaglioni. La Corte individua nella misura in
questione un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di
cittadini (i pensionati) “foriero peraltro di un risultato di bilancio che avrebbe potuto essere ben
diverso e più favorevole per lo Stato, laddove il legislatore avesse rispettato i principi di
uguaglianza dei cittadini e di solidarietà economica, anche modulando diversamente un universale
intervento impositivo” senza che l’eccezionalità della situazione economica possa essere
affrontata dallo Stato provocando “un’obliterazione dei fondamentali canoni di uguaglianza, sui
quali si fonda l’ordinamento costituzionale”.
La Corte Cost., nella sentenza n. 201/2014 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 33 del DL. n. 78/2010 – che ha introdotto un’addizionale del 10% sui
compensi variabili erogati sotto forma di bonus o stock options a dirigenti e amministratori del
mondo bancario e finanziario – ritenuto, dai rimettenti, in contrasto con l’art. 3 e 53 della Cost. in
quanto discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini. La Corte ha ritenuto che tale
scelta legislativa sia tutt’altro che irragionevole o arbitraria, in quanto tale prelievo addizionale
svolge la funzione di scoraggiare modalità remunerative variabili considerate pericolose per la
stabilità finanziaria e che possono condurre all’assunzione di rischi eccessivi di breve termine da
parte della categoria di contribuenti sottoposta al prelievo.
La Corte Cost., nella sentenza n. 10/2015, ha ritenuto fondata la questione di legittimità
costituzionale sull’addizionale IRES (c.d. Robin Hood Tax) per le imprese operanti nei settori
petrolifero ed energetico. La Corte ha riconosciuto che non ogni modulazione del sistema
impositivo per settori produttivi costituisce violazione del principio di capacità contributiva e del
principio di eguaglianza, dall’altro lato ogni diversificazione del regime tributario, per aree
economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da adeguate giustificazioni,
senza le quali la differenziazione degenera in arbitraria discriminazione. Detta discriminazione, nel
caso di specie «non sarebbe supportata da adeguata giustificazione e risulterebbe pertanto
arbitraria. In particolare, sebbene una pluralità di indizi contenuti nel testo normativo impugnato e
nei relativi lavori preparatori suggeriscano che l’ intento del legislatore fosse quello di colpire i
“sovra-profitti” conseguiti da detti soggetti in una data congiuntura economica, in realtà la
struttura della nuova imposta non sarebbe poi coerente con tale ratio giustificatrice» Infatti, il
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legislatore ha previsto una maggiorazione d’aliquota IRES, che colpisce l’intero reddito
dell’impresa, mancando del tutto la predisposizione di un meccanismo che consenta di tassare
separatamente e più severamente solo l’eventuale parte di reddito suppletivo connessa alla
posizione privilegiata dell’attività esercitata dal contribuente al permanere di una data
congiuntura. Gli effetti dell’illegittimità costituzionale sono stati dichiarati, tuttavia, non
retroattivi.

LE AGEVOLAZIONI
L’ordinamento prevede numerosissime agevolazioni fiscali, Tali agevolazioni non contrastano con
il principio di uguaglianza se sono finalizzate a perseguire scopi rilevanti dal punto di vista
costituzionale, come quelli in materia di famiglia, cultura, cooperazione, ambiente, ecc. Le norme
agevolative, però, possono essere censurate se irragionevoli (come accaduto per l’agevolazione in
materia di immobili di interesse storico artistico, la cui fruizione era esclusa per gli enti pubblici e
privati e che, pertanto, è stata estesa anche a tali soggetti – sent. 345/2003).

INTERESSE FISCALE
In molti casi viene invocato il cd. interesse fiscale, cioè quel valore costituzionale che legittima
l’introduzione di disposizioni di particolare tutela del fisco, che differiscono da quelle previste
ordinariamente dall’ordinamento (si pensi, ad esempio, alle norme che prevedono particolari
modalità di riscossione per i tributi e specifiche garanzie per l’Erario).

SLIDE 4
GLI “ALTRI” PRINCIPI COSTITUZIONALI
Art. 53, comma 2: principio di progressività:
I tributi progressivi sono quelli che aumentano più che proporzionalmente rispetto alla base
imponibile. La progressività si ottiene con aliquote crescenti (e non fisse, che conducono a tributi
proporzionali). Normalmente, per evitare distorsioni, si impiegano forme di progressività per
scaglioni (per esempio, nell’IRPEF).
Il principio di progressività ha funzioni redistributive e si riferisce al sistema nel suo complesso e
non ai singoli tributi.
Art. 75 Cost.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di
autorizzazione a ratificare trattati internazionali. La norma è stata interpretata come riferita a
tutte quelle leggi tributarie (anche non strettamente sostanziali) che incidono sull’afflusso di
risorse finanziarie all’erario (per esempio è stata negata la legittimità del referendum sul
meccanismo della sostituzione).

PRINCIPI DELL’ORDINAMENTO UE

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L’UE non ha competenza generale in materia di tributi. L’UE, tuttavia, ha competenza in materia di
mercato interno (art. 26 TFUE).
L’art. 28 TFUE prevede, da un lato, il divieto di dazi tra i Paesi membri e, dall’altro lato, l’istituzione
di una tariffa doganale comune nei rapporti con i Paesi extra-UE.
L’art. 113 TFUE prevede che il Consiglio armonizzi le legislazioni dei Paesi membri in materia di
imposte indirette, nella misura in cui sia necessario per assicurare il funzionamento del mercato
unico (è richiesta l’unanimità).
L’art. 115 TFUE consente genericamente il ravvicinamento delle legislazioni dei Paesi membri «che
abbiano un'incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato interno». Tale
norma può essere invocata per legiferare anche su alcuni temi in materia di imposte dirette (è
richiesta l’unanimità).
La legislazione UE, tuttavia, prevede alcuni principi fondamentali, che conducono ad una forma di
“integrazione negativa”, nel senso che le disposizioni interne che non garantiscono l’attuazione dei
(o che si pongono in contrasto con i citati principi), possono essere dichiarate incompatibili.
L’effetto, dunque, è un parziale avvicinamento della legislazione dei Paesi membri su alcuni temi,
anche in materia di imposte dirette.
Non si tratta di un divieto assoluto: volta per volta viene valutato se sussistano specifiche ragioni
che giustifichino la normativa (per esempio, ragioni di ordine pubblico, di razionalità del sistema,
di contrasto alle frodi) e se la normativa sia proporzionata all’obiettivo che si vuole raggiungere.
Ci si riferisce a:
Principi:
- divieto di discriminazione
- divieto di aiuti di stato
Libertà fondamentali:
- libera circolazione delle merci
- libera circolazione delle persone (lavoratori e libertà di stabilimento)
- libera circolazione dei servizi
- libera circolazione dei capitali

Divieto di discriminazione: L’art. 18 del TFUE stabilisce che nel campo di applicazione dei trattati,
e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione
effettuata in base alla nazionalità (anche dissimulata o indiretta).
Divieto di aiuti di Stato: Gli artt. 107-109 prevedono il principio dell’incompatibilità (salvo alcune
deroghe) degli aiuti di Stato con il mercato comune. In particolare, gli aiuti vietati sono quelli: 1)
concessi sotto qualsiasi forma (sovvenzione o riduzione dei costi), 2) che pesano sulle casse
pubbliche, 3) che incidono su concorrenza e scambi tra Paesi membri 4) che sono concessi in
modo selettivo (a favore di specifici contribuenti o categorie).
Libera circolazione delle merci: (artt. 28 e ss. TFUE) L'Unione comprende un'unione doganale che
si estende al complesso degli scambi di merci e comporta il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi
doganali all’importazione e all'esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure
l'adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi. I dazi doganali
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all'importazione o all'esportazione o le tasse di effetto equivalente sono vietati tra gli Stati
membri. Tale divieto si applica anche ai dazi doganali di carattere fiscale.
Libera circolazione dei capitali: (artt. 63-66 TFUE) Nell'ambito delle disposizioni previste dal
presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra
Stati membri e paesi terzi. Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate
tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.
Libera circolazione delle persone - lavoratori: (artt. 45-55 TFUE) La libera circolazione dei
lavoratori all'interno dell'Unione è assicurata. Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione,
fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la
retribuzione e le altre condizioni di lavoro.
Libera circolazione delle persone - libertà di stabilimento:(artt. 45-55 TFUE) Nel quadro delle
disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato
membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle
restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato
membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa
l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese
e in particolare di società ai sensi dell'articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla
legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni
del capo relativo ai capitali. Le società costituite conformemente alla legislazione di uno Stato
membro e aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o il centro di attività principale
all'interno dell'Unione, sono equiparate, ai fini dell'applicazione delle disposizioni del presente
capo, alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri.
Libera prestazioni di servizi: (artt. 56-62 TFUE) Le restrizioni alla libera prestazione dei servizi
all'interno dell'Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno
Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione. Senza pregiudizio delle
disposizioni del capo relativo al diritto di stabilimento, il prestatore può, per l'esecuzione della sua
prestazione, esercitare, a titolo temporaneo, la sua attività nello Stato membro ove la prestazione
è fornita, alle stesse condizioni imposte da tale Stato ai propri cittadini.

I TRATTATI INTERNAZIONALI
I trattati internazionali in materia tributaria maggiormente diffusi sono i trattati bilaterali contro le
doppie imposizioni. Le convenzioni contro le doppie imposizioni disciplinano le modalità
attraverso le quali si prevede di eleminare il fenomeno dell'imposizione di un medesimo reddito o
di un medesimo patrimonio in capo alla stessa persona da parte di entrambi gli Stati contraenti.
Nel 1963 l’OCSE elabora un proprio modello di convenzione, oggetto nel tempo di aggiornamento
e revisioni costanti, che è diventato il riferimento naturale nella stipula di tali Trattati. Il Modello è
accompagnato da un Commentario, che funge da fondamentale strumento interpretativo. Altri
modelli di Convenzione rilevanti sono il modello USA, il modello ONU e il modello latino-
americano.
I trattati, in particolare, affrontano casi in cui:

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 un soggetto viene considerato residente ai fini fiscali contemporaneamente da ambedue i
Paesi contraenti (si individua una regola per condurre solamente un Paese a considerarlo
residente)
 un soggetto residente ai fini fiscali in uno dei due Paesi consegue un reddito tassabile
nell’altro Paese.
I trattati non impongono tributi ma, a seconda delle fattispecie trattate, consentono l’esercizio
dell’imposizione:
 esclusivamente ad uno dei due Stati contraenti, sicché l’altro rinuncia a tassare
completamente la fattispecie reddituale di riferimento
 da parte di entrambi gli Stati, con un tetto massimo da parte dello Stato della fonte
 da parte di entrambi gli Stati, senza alcun limite di imposizione nello stato della fonte, ma
con obbligo di eliminazione della doppia imposizione da parte del Paese dalla residenza.

SLIDE 5
L’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA
L’effetto primario della fattispecie d’imposta è l’obbligazione tributaria, l’obbligazione tributaria è
una obbligazione di diritto pubblico, legale.
Presupposto: atto o fatto che determina (in via diretta o mediata) l’insorgere dell’obbligazione
tributaria. Il presupposto non si determina sulla base di un contratto, ma in un fatto che, alla sua
realizzazione, pone il contribuente in una posizione di debito nei confronti dell’erario
Base imponibile: grandezza (normalmente monetaria) su cui si applica il tributo.
Dal prodotto tra base imponibile ed aliquota si ottiene il tributo.
Le imposte vengono classificate in:
 dirette / indirette
 reali / personali
 istantanee / periodiche
 fisse / proporzionali / periodiche

SOGGETTI DEL TRIBUTO


Soggetto attivo: ente impositore, titolare del credito (Stato, Regione, ecc.)
Soggetto passivo (cd. contribuente): non sempre coincide con i soggetti titolari di soggettività
giuridica (per esempio, in ambito IVA, sono soggetti passivi le società di persone; nell’ambito
dell’IRES può essere soggetto passivo anche il trust).
Vi sono casi di:
- Solidarietà paritaria, in cui l’obbligo è riferito indistintamente a più soggetti (per esempio,
gli eredi con riferimento all’imposta sulle successioni o le parti del contratto con
riferimento all’imposta di registro); questi casi sono abbastanza pochi visto che il tributo si
paga sulla propria capacità contributiva ed è difficile immaginare che una capacità

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contributiva scaturisca insieme a più soggetti. Per esempio, nel caso dell’eredità la legge
stabilisce che il totale dell’imposta sia dovuto solidalmente da tutti gli eredi. Un altro
esempio è quello dell’imposta di registro che è dovuta in solido dal venditore e
dall’acquirente dell’immobile.
- Solidarietà dipendente, in cui vi è un obbligato principale (che realizza il presupposto) ed
un obbligato dipendente (cd. responsabile d’imposta, per esempio il notaio con riferimento
all’imposta di registro) l’obbligato dipendente non ha realizzato il presupposto a differenza
dell’obbligato principale. Il soggetto dipendente è però nella posizione di avere
anticipatamente l’ammontare del tributo, il notaio per esempio si rivale anticipatamente
sui soggetti principali e quando ottiene i soldi redige l’atto.

Nei casi di solidarietà paritaria si applicano gli artt. 1298-1299 cod. civ., a mente dei quali:
- Nei rapporti interni l'obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori
- Le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente;
- Il debitore in solido che ha pagato l'intero debito può rivalersi sui condebitori soltanto la
parte spettante di ciascuno di essi.
Nei casi di solidarietà dipendente (responsabile d’imposta), invece, l’art. 64, comma 3,
DPR600/1973 prevede che: Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento
dell’imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi, ha diritto di
rivalsa.
Il sostituto d’imposta, invece, è disciplinato dall’art. 64, comma 1, DPR 600/1973:
Chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o
situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto, deve esercitare la rivalsa se non viene
diversamente stabilito in modo espresso.  Il sostituto deve esercitare la rivalsa nei confronti del
sostituito, il sostituto deve essere nelle condizioni materiali di esercitare la rivalsa. Per esempio, il
sostituto (datore di lavoro) quando paga il dipendente (sostituito) trattiene la parte da pagare allo
stato dalla busta paga. Al dipendente verrà pagato il netto e l’impresa con la restante parte
pagherà le imposte

L’ordinamento prevede ritenute:


- A titolo di acconto: non esauriscono il rapporto tributario. Chi la subisce deve comunque
dichiarare l’imponibile lordo e portare in detrazione la ritenuta subita; per esempio, un
avvocato che riceve una parcella da un’impresa che ha ritenuto un tot a titolo di acconto e
lo versa all’erario. In dichiarazione dei redditi, l’avvocato deve dichiarare il reddito lordo
conseguito e da quanto dovrà pagare andrà a scomputare la parte già versata dall’azienda
(questa tipologia di ritenuta costituisce un’anticipazione di quanto di dovrà pagare ma non
esaurisce il rapporto tributario). Nel caso in cui per es. sempre l’avvocato debba pagare
meno di quanto già versato a titolo d’acconto allora si crea un credito nei confronti dello
Stato
- A titolo d’imposta: esauriscono il rapporto tributario. Chi la subisce non deve dichiarare
l’imponibile che è stato assoggettato a ritenuta a titolo d’imposta (tipico esempio, i redditi

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conseguiti da soggetti non residenti) es BTP su cui mi pagano gli interessi, io vedrò
accreditati gli interessi con già tolta la parte dei tributi trattenuta e pagata dalla banca, io
non dovrò fare niente dopo aver ricevuto l’interesse perché è già stato fatto tutto dalla
banca. (questa tipologia di ritenuta estingue il rapporto tributario)

Art. 35 del D.P.R. n. 602/1973:


“Quando il sostituto viene iscritto a ruolo per imposte, sopratasse e interessi relativi a redditi sui
quali non ha effettuato né le ritenute a titolo di imposta né i relativi versamenti, il sostituito è
coobbligato in solido.”
Se la ritenuta non viene applicata e al sostituito viene applicato il lordo, lo Stato può chiedere a
entrambe le parti il versamento del tributo
La rivalsa (con cui il sostituto fa ricadere sul sostituito il peso del tributo) può essere obbligatoria o
facoltativa (in rari casi può essere vietata).
La rivalsa è un concetto giuridico, invece, la traslazione è un concetto economico.
Il rapporto tra sostituto e sostituito è di natura privatistica.
È considerato legittimo l’accollo d’imposta.

SLIDE 6
LA DICHIARAZIONE
La dichiarazione è un atto con il quale il contribuente comunica all’Amministrazione Finanziaria di
aver realizzato il presupposto di un certo tributo. In certi casi il contribuente deve altresì
comunicare qual è l’importo della base imponibile e a quanto ammonta l’imposta.
Si tratta quindi di un atto di collaborazione a cui il contribuente è obbligato per legge (trattandosi
di una «prestazione imposta») che assume una rilevanza fondamentale nel procedimento di
assolvimento dell’obbligazione tributaria, specie nei tributi c.d. di massa, in cui la platea dei
contribuenti è rappresentata da milioni di soggetti. Lo Stato vista la complessità nel ricevere e
riscuotere i tributi ha bisogno di avere un’impostazione molto precisa con cui i contribuenti
devono pagare i tributi. È impensabile che milioni di persone paghino le imposte in modo
autonomo o comunque in maniera non organizzata. All’obbligazione tributaria non si adempie
(come al bar un po’ a caso) ma nei modi stabiliti dal regolamento dei vari tributi.
Per la maggior parte dei tributi (IRPEF, IVA, IRAP, IRES) il contribuente è tenuto a presentare la
dichiarazione, la dichiarazione serve al contribuente per comunicare all’amministrazione di aver
realizzato il presupposto che fa scaturire il tributo e serve all’amministrazione per sapere che quel
contribuente ha realizzato il presupposto. ogni imposta ha la sua dichiarazione, non c’è una
dichiarazione valida per tutto.
Vi sono comunque anche tributi senza dichiarazione (es. imposta di bollo). Per quel che riguarda le
imposte sui redditi, la disciplina si ritrova nel D.P.R. n. 600 del 1973 e nel D.P.R. n. 322 del 1998.

Soggetti obbligati alla presentazione (art. 1 del D.P.R. n. 600 del 1973).

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Di regola sono obbligati alla presentazione della dichiarazione tutti coloro che realizzano il
presupposto delle imposte sui redditi. L’obbligo talvolta sussiste anche se l’imposta dovuta è pari a
zero e anche se il risultato complessivo è una perdita.
Sono esonerate dall’obbligo le persone fisiche che non hanno redditi (se non sono obbligate alla
tenuta delle scritture contabili), ovvero che percepiscono redditi molto bassi, ovvero che
percepiscono solo redditi esenti o tassati con ritenuta a titolo d’imposta o con imposta sostitutiva.
L’esempio più comune di persone che non devono fare dichiarazione sono i lavoratori dipendenti
che non conseguono altri redditi, questi infatti perché hanno esauriscono il loro rapporto con il
fisco a monte, tramite il datore di lavoro tramite ritenuta a titolo di imposta. È comunque possibile
presentare la dichiarazione perché può capitare che ci siano agevolazioni (anche se molto rare).
Chi invece è obbligato a tenere le scritture contabili sono: le società, gli imprenditori e i lavoratori
autonomi anche se non dovessero raggiungere il presupposto per l’imposizione. Questo obbligo
esiste perché questi sono degli osservati speciali dato che hanno operazioni più complesse e
godono di una maggiore facilità per quanto riguarda l’evasione fiscale
Modalità di presentazione (artt. 1 e 3 del D.P.R. n. 322 del 1998).
A pena di nullità la dichiarazione deve essere redatta su stampati conformi a quelli approvati con
atto amministrativo: quindi esiste un modello predisposto con provvedimento del direttore
dell’Agenzia che deve obbligatoriamente essere rispettato: questo è oggi pressoché automatico e
scontato, visto che le dichiarazioni vengono per lo più compilate su supporto informatico e inviate
all’Agenzia per via telematica.
Quando è stata redatta la norma nel 1998 questo non era così scontato dato che non veniva
compilata su supporto informatico
La necessità di seguire uno stesso modello si giustifica in considerazione dei controlli automatizzati
cui vengono sottoposte le dichiarazioni.
La dichiarazione (o meglio la copia della dichiarazione che rimane al contribuente dopo l’invio
telematico) deve essere sottoscritta a pena di nullità, ma si tratta di nullità che può essere sanata
dal contribuente su invito dell’Amministrazione Finanziaria. La copia firmata, anche se non
arriva all’amministrazione, esiste e deve essere tenuta dal professionista o dal contribuente, oggi è
praticamente impossibile che venga riscontrata la nullità per la mancanza della firma perché
l’amministrazione non chiede la copia cartacea quando ha già quella digitale
La presentazione di una dichiarazione nulla equivale alla non-presentazione, da cui consegue
l’irrogazione di sanzioni amministrative e, talvolta, anche penali
Contenuto della dichiarazione (artt. 2 e s. del D.P.R. n. 600 del 1973).
contenuto della dichiarazione è standardizzato dal modello predisposto dall’Agenzia.  il
contenuto del modello non è stabilito dalla legge e questo è possibile perché questo non
rappresenta un elemento essenziale.
Concretamente, è richiesto l’inserimento dei dati identificativi del contribuente e
dell’intermediario che invia la dichiarazione; dei dati relativi alle singole categorie di reddito
conseguiti; del reddito complessivo e dell’imposta dovuta. Tali dati vengono inseriti in sezioni della
dichiarazione che prendono il nome di «quadri». Ogni «quadro» si divide in più «righi».

20
È, inoltre, richiesta l’indicazione di taluni dati che, sebbene non siano rilevanti ai fini della
determinazione dell’imposta, sono utili all’Amministrazione per effettuare controlli ed individuare
eventuali anomalie.
Termini di presentazione (art. 2 del D.P.R. n. 322 del 1998).
La dichiarazione si presenta con periodicità annuale (le imposte sui redditi sono imposte
periodiche).
Al verificarsi di particolari eventi, tuttavia, le dichiarazioni si debbono presentare entro termini
diversi (si pensi ai casi di liquidazione societaria, di fusione, di scissione, ecc.). questi casi
chiedono infatti una dichiarazione anticipata
I termini sono stabiliti dalla legge. Più in particolare:
- per le persone fisiche, il termine è fissato al 30 giugno (30 novembre per le dichiarazioni
inviate telematicamente) dell'anno successivo a quello di chiusura del periodo di imposta; il
30 giugno è rimasto per chi consegna la dichiarazione cartacea alla posta
- per i soggetti IRES il termine è l'ultimo giorno dell’undicesimo mese successivo a quello di
chiusura del periodo d’imposta (cioè, per chi chiude l’esercizio al 31 dicembre, il 30
novembre successivo).
- Le dichiarazioni presentate dopo la scadenza del termine, ma entro i 90 giorni successivi,
sono valide, anche se il ritardo comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria
- quelle presentate oltre i 90 giorni successivi si considerano omesse; tuttavia, costituiscono
per l’Amministrazione finanziaria titolo per pretendere il pagamento delle imposte in esse
indicate.
Chi non presenta la dichiarazione o chi la presenta dopo i 90 gg è detto evasore totale, a parità di
imposta evasa le sanzioni saranno più alte, le modalità di controllo inoltre sono molto più invasive
rispetto a colore che hanno invece presentato una dichiarazione infedele. La posizione di evasore
totale è quindi peggiore di quella di chi presenta una dichiarazione fittizia
Natura della dichiarazione
La dichiarazione ha natura di dichiarazione di scienza: il contribuente espone dei fatti, qualifica
giuridicamente quei fatti e ne dà comunicazione all’Amministrazione Finanziaria.
Ci sono anche parti della dichiarazione in cui il contribuente è chiamato ad esercitare delle opzioni:
queste opzioni hanno natura di manifestazioni di volontà di carattere negoziale.
Ritrattabilità della dichiarazione
La qualificazione della dichiarazione come dichiarazione di scienza ha ripercussioni importanti sulla
possibilità per il contribuente di modificare quanto in precedenza dichiarato, attraverso la
ripresentazione della dichiarazione (cd. dichiarazione integrativa). La dichiarazione può essere
ritrattata (ovvero presentando una nuova dichiarazione che sostituisce quella vecchia) solo per la
parte di scienza, le opzioni una volta scelte non possono più essere modificate
Questa possibilità è teoricamente illimitata (appunto perché trattasi di dichiarazione di scienza),
ma soggiace a dei vincoli temporali.  il vincolo temporale è fino al giorno in cui
l’amministrazione finanziaria può effettuare controlli (termine lungo)
In linea generale, il contribuente ha la possibilità di correggere errori od omissioni, presentando
una nuova dichiarazione entro lo stesso termine di cui dispone l’Amministrazione Finanziaria per
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rettificare la dichiarazione inizialmente presentata dal contribuente con la procedura di
accertamento.
Vi sono dichiarazioni integrative che comportano:
a) una riduzione dell’importo in precedenza dichiarato
b) un aumento rispetto a quanto in precedenza dichiarato

Nel caso sub a (dichiarazione integrativa a favore del contribuente), se il contribuente ha già
versato le imposte indicate nella dichiarazione errata, la correzione della dichiarazione si innesta
nella procedura di rimborso, in quanto l’errore commesso dal contribuente ha determinato il
pagamento di un’imposta in più rispetto a quella effettivamente dovuta. Il rimborso delle imposte
sui redditi è disciplinato:
In primo luogo, dall’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973, il quale prevede un termine di decadenza di
48 mesi dalla data di versamento per la presentazione dell’istanza con la quale si chiede il
rimborso dell’imposta versata in eccesso (istanza nella quale il contribuente dovrà indicare in cosa
consiste l’errore in precedenza commesso);
In secondo luogo, dall’art. 2, comma 8-bis, del D.P.R. n. 322 del 1998, il quale prevede una
procedura più snella e più rapida, poiché stabilisce che l’eventuale credito a favore del
contribuente risultante dalla dichiarazione integrativa può essere utilizzato in compensazione per
saldare i debiti maturati a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in cui è stata
presentata la dichiarazione integrativa. Con questa procedura, quindi, non si deve attendere che
l’Amministrazione Finanziaria restituisca le imposte versate in eccesso, perché l’importo delle
imposte versate in eccesso (che costituisce un credito del contribuente verso l’Erario) viene
utilizzato per abbattere l’importo di altre imposte dovute dal contribuente.

Nel caso sub b (dichiarazione integrativa a sfavore del contribuente), invece, la correzione di errori
determina un aumento rispetto a quanto in precedenza dichiarato. Resta però fermo che in
precedenza (cioè nella dichiarazione oggetto di integrazione) il contribuente aveva commesso una
violazione, in quanto aveva dichiarato e versato di meno rispetto a quanto dovuto. Questa
violazione comporta l’irrogazione di una sanzione, anche se il contribuente si attiva per porvi
rimedio mediante l’integrazione della dichiarazione. Se così non fosse, del resto, nessuno avrebbe
interesse a rispettare i termini e le prescrizioni stabilite dalla legge. D’altro canto, però, se il
comportamento positivo del contribuente, il quale si attiva per porre rimedio ad una violazione
commessa, non venisse in alcun modo premiato, è chiaro che nessuno avrebbe interesse ad
attivarsi, essendovi pur sempre la possibilità che la violazione non venga scoperta
dall’amministrazione Finanziaria. Per questo il legislatore, con l’art. 13 del D.lgs. n. 472 del 1997,
ha introdotto un meccanismo premiale denominato ravvedimento operoso: se il contribuente
pone rimedio ad una violazione commessa, pagando l’imposta in precedenza non pagata, e lo fa
entro determinati termini, il contribuente può beneficiare di una rilevante riduzione della
sanzione.

SLIDE 7

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L’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA
L’attività amministrativa in materia tributaria viene svolta da:
- Agenzia delle entrate (in cui è confluita anche l’Agenzia del territorio)
- Agenzia delle dogane (per dazi ed accise)
L’Agenzia delle entrate è organizzata in:
- Direzione centrale
- Direzioni Regionali  ha competenza su contribuenti di grandi dimensioni (più di 100
milioni di fatturato)
- Direzioni Provinciali  si occupano dei contribuenti più piccoli
- Uffici territoriali
Le direzioni regionali e provinciali emettono gli avvisi e le notifiche ai contribuenti
L’attività investigativa viene svolta, oltre che dall’Agenzia delle Entrate, anche dalla Guardia di
finanza.
Gran parte dei provvedimenti in materia tributaria (in primis, gli avvisi di accertamento) viene
emessa dalle DP e dalle DR (per i contribuenti di maggiori dimensioni). La riscossione viene seguita
dall’agente ad essa dedicato (ex Equitalia, ora Agenzia delle Entrate-Riscossione). È abbastanza
semplice per GdF e Agenzia Entrate scoprire che uno evade e quanto evade, è più complicato farsi
pagare
L’attività amministrativa in materia tributaria è sottoposta al principio di legalità.
L’Amministrazione finanziaria svolge sia attività di controllo e di accertamento, sia ulteriori attività
(come quelle legate alle istanze di interpello). Nell’ambito dell’attività di controllo ed
accertamento dell’Amministrazione finanziaria non segue una sequenza predeterminata e può
concludersi con l’emanazione di un provvedimento finale o senza l’emissione di alcun
provvedimento.
Il potere di imposizione è di natura vincolata. L’amministrazione non può disporre liberamente del
credito tributario (si parla di principio di indisponibilità del credito tributario).
L’attività amministrativa in materia tributaria non segue sistematicamente un iter predeterminato
in tutti i suoi singoli passaggi. L’Agenzia delle entrate (e lo stesso dicasi per la Guardia di finanza)
ha dei margini di scelta sia nella selezione dei contribuenti da sottoporre a controllo, sia nella
scelta dei poteri di indagine e dei metodi di accertamento da impiegare nella singola fattispecie. In
ogni caso, il procedimento di applicazione del tributo successivo alla dichiarazione
(eventualmente) presentata dal contribuente può sfocare, a seconda della tipologia di controllo
posto in essere, in:
- nessun provvedimento finale (cd. archiviazione della pratica)
- una iscrizione a ruolo e successiva cartella di pagamento
- un avviso di accertamento o in un atto di irrogazione sanzioni o in altro atto similare.
L’amministrazione, una volta che l’evasione viene rilevata, non ha più scelta e, a questo punto
deve procedere obbligatoriamente con la riscossione, non può decidere se riscuotere o meno. Si
dice quindi che il credito tributario è indisponibile, il totale da pagare è infatti imposto dalla legge
e l’amministrazione finanziaria non può disapplicare la legge.

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AUTOTUTELA
Gli Uffici finanziari, pur non potendo rinunciare al credito tributario, possono, non solo emettere
provvedimenti impositivi, ma anche auto annullare i provvedimenti emessi. Ciò in quanto nel
potere di emettere un atto è insito anche il potere di ritirarlo, laddove esso sia illegittimo (cd.
autotutela).
L’autotutela tributaria è regolata dal DM 37/1997, in forza del quale:
 Il potere di autotutela spetta «all'ufficio che ha emanato l'atto illegittimo o che è
competente per gli accertamenti d'ufficio ovvero in via sostitutiva, in caso di grave inerzia,
alla Direzione regionale … dalla quale l’ufficio stesso dipende»
 L’autotutela può essere esercitata quando «senza necessità di istanza di parte, anche in
pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità
dell'atto o dell'imposizione, quali tra l'altro:
- errore di persona
- evidente errore logico o di calcolo
- errore sul presupposto dell'imposta
- doppia imposizione
- mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti
- mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza
- sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi,
precedentemente negati
- errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione
L’autotutela può essere esercitata anche d’ufficio ed anche con riferimento ai provvedimenti
definitivi: l’unico limite è rappresentato dal divieto di esercitare autotutela per un motivo sui quali
sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria.

CONTROLLI AUTOMATIZZATI
L’art. 36-bis del DPR 600/1973 regola l’unica forma di controllo che viene effettuato su tutte le
dichiarazioni presentate (54-bis del DPR 633/1972 per l’IVA).
Si tratta di un controllo effettuato a livello informatico, che è finalizzato a correggere errori di
calcolo (minori versamenti rispetto al dichiarato, errori aritmetici, indicazione di dati diversi
rispetto a quelli contenuti in altre dichiarazioni, riporto di perdite non dichiarate in passato, ecc.).
Nel caso in cui dal controllo emergano anomalie non viene emesso un avviso di accertamento, ma
viene inviato un “avviso bonario” con richiesta di versare le maggiori imposte liquidate,
maggiorate della sanzione del 30% per omesso versamento (non infedele dichiarazione) ed
interessi. Il contribuente può versare il dovuto (con sanzioni ridotte ad 1/3 in caso di
adempimento entro 30 giorni). Laddove il contribuente ritenga errata la pretesa, ha la possibilità
di inviare chiarimenti. Se l’Amministrazione accoglie i chiarimenti, archivia la posizione; in caso
contrario iscrive a ruolo la somma dovuta ed il contribuente riceve una cartella di pagamento.
Questi controlli sono possibili perché tutte le fatture ormai sono elettroniche, ovviamente questo
controllo non viene fatto dall’uomo ma dalle macchine.
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CONTROLLI FORMALI
L’art. 36-ter del DPR 600/1973 regola i controlli formali, che vengono effettuati «a campione» in
base a criteri selettivi. Tali controlli sono stati istituiti per far fronte alla «dematerializzazione»
delle dichiarazioni e della conseguente mancata allegazione dei documenti cartacei che, in
passato, venivano depositati unitamente alla dichiarazione. Oggetto del controllo sono, in
particolare, i documenti che attestano le deduzioni, le detrazioni ed i crediti d’imposta.
Anche in questo caso, dopo aver verificato i documenti forniti dal contribuente, l’Amministrazione,
se riscontra irregolarità, invia un avviso bonario con richiesta di versare le maggiori imposte
liquidate, maggiorate della sanzione del 30% per omesso versamento (non infedele dichiarazione)
ed interessi. Il contribuente può versare il dovuto (con sanzioni ridotte a 2/3 in caso di versamento
entro 30giorni). Laddove ritenga errata la pretesa, ha la possibilità di inviare chiarimenti. Se
l’Amministrazione accoglie i chiarimenti, archivia la posizione; in caso contrario iscrive a ruolo la
somma dovuta ed il contribuente riceve una cartella di pagamento.

CONTROLLI SOSTANZIALI
I controlli sostanziali vengono effettuati «a campione» impiegando i poteri istruttori conferiti dalla
legge. Si tratta di:
- Analisi delle informazioni presenti nell’anagrafe tributaria
- Invito al contribuente o a terzi a fornire chiarimenti
- Invito al contribuente o a terzi a fornire documenti
- Richieste di informazioni ad altre pubbliche amministrazioni
- Indagini bancarie
- Utilizzo dei dati acquisiti in sede penale (nb: allo stesso tempo, per l’AF c’è obbligo di
notitia criminis in caso di riscontro di violazioni penalmente rilevanti)  se viene scoperto
un reato tributario (sanzionato sul versante penale) è molto probabile che lo stesso reato
sia anche amministrativo, la polizia giudiziaria lo comunica quindi all’agenzia delle entrate
che penserà alla parte amministrativa. I dati acquisiti in sede penale possono essere
trasmessi alla agenzia delle entrate, la quale, può utilizzarli ai fini dell’accertamento.
- Utilizzo dei dati acquisiti mediante scambio di informazioni con l’estero  si sostanzia
principalmente tramite lo scambio di informazioni tra le amministrazioni dei diversi paesi,
la più diffusa è lo scambio di informazioni su richiesta (il principale limite è che l’Italia deve
almeno avere un sospetto che il contribuente abbia qualcosa di nascosto in una
determinata Nazione, questo infatti è impegnativo per l’amministrazione finanziaria). Nei
tempi più recenti, per risolvere il problema, si è spinto per lo scambio di informazioni
automatizzato, nell’UE per esempio si è deciso di mettere in comune alcune tipologie di
informazioni (lo Stato non deve più fare richiesta ma gli viene comunicato
automaticamente se un contribuente detiene beni all’estero). Ultima possibilità è lo
scambio spontaneo, quando un’amministrazione ha delle informazioni su un cittadino di un
altro Paese e le comunica spontaneamente.
- Accessi, ispezioni e verifiche.  si intendono tutte quelle attività che fanno seguito alla
previsione che funzionari di ufficio o militari di GdF si recano presso i locali dei contribuenti
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per accertare fatti o acquisire documenti (questo è il potere più intrusivo nei confronti del
cittadino)
In sede di reato penale, la procura può disporre le intercettazioni telefoniche, la polizia giudiziaria
ha il potere di inviare le intercettazioni all’agenzia delle entrate, l’agenzia può usare le
informazioni delle intercettazioni che le sono state inviate anche per la parte amministrativa
(l’agenzia delle entrate non può disporre autonomamente delle intercettazioni).

GARANZIE PER IL CONTRIBUENTE


Garanzie per il contribuente (artt. 33 DPR 600/1973 e 52 del DPR 633/1972):
- Autorizzazioni capo ufficio  questa autorizzazione occorre per qualsiasi posto si voglia
ispezionare
- Presenza del titolare dello studio in caso di accesso in locale destinato all’esercizio di arti e
professioni  questo perché il titolare potrebbe sollevare problematiche relative al
segreto professionale
- Autorizzazioni Procuratore della Repubblica per l’accesso presso locali adibiti anche ad
abitazione  locali promiscuamente adibiti ad abitazione, esempio il professionista con lo
studio dentro casa, è richiesta l’autorizzazione dalla procura della repubblica ma non è
necessario che sussistano gravi violazioni
- Autorizzazioni Procuratore della Repubblica in presenza di gravi indizi di violazione alle
norme tributarie per l’accesso presso locali adibiti ad abitazione  l’autorizzazione deve
essere rilasciata dalla procura e a fronte di gravi indizi di violazione tributaria, al fine di
recuperare prove relative alla specifica violazione (l’abitazione è il posto più protetto)
È in ogni caso necessaria l'autorizzazione del procuratore della Repubblica per procedere durante
l'accesso a perquisizioni personali e all'apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili,
ripostigli e simili nonché per l'esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è
eccepito il segreto professionale.

LE GARANZIE PER IL CONTRIBUENTE


- Rilascio del processo verbale di constatazione
- Contraddittorio anticipato
Art. 12 Statuto del contribuente:
Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della
copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il
contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli
uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del già
menzionato termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza  il contribuente ha 60 giorni
per rispondere all’amministrazione e dare spiegazioni, decorso questo termine viene emesso
l’avviso di accertamento che ha carattere definitivo
Art. 5-ter D.lgs. 218/1997

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L'ufficio, fuori dei casi (casi in cui è l’agenzia ad andare dal contribuente) in cui sia stata rilasciata
copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, prima di
emettere un avviso di accertamento, notifica l'invito a comparire per l'avvio del procedimento di
definizione dell'accertamento.  il contribuente viene invitato e si notificano le procedure che si
vogliono muovere contro di lui, in questo caso non è necessario concedere i 60 giorni al
contribuente per far nascere una sorta di contraddittorio preventivo prima dell’avviso di
accertamento

SLIDE 8
L’AVVISO DI ACCERTAMENTO
L’avviso di accertamento è il provvedimento che può essere emesso al termine del procedimento
di applicazione del tributo (al termine della verifica sostanziale).
È un atto vincolato (non discrezionale), ancorché sia spesso il frutto di scelte tecniche e
valutazioni.
L’avviso di accertamento determinata in modo autoritativo il debito d’imposta del contribuente.
Mentre inizialmente è il contribuente tramite dichiarazione a determinare il proprio debito, in
questa situazione si ribalta la situazione e diventa l’amministrazione a stabilire in definitiva qual è
il vero debito di imposta del contribuente, l’amministrazione può correggere le dichiarazioni
perché la legge gli attribuisce questo potere. (oltre ad aggiungere interessi e relative sanzioni).
L’avviso di accertamento diviene definitivo se non tempestivamente dal contribuente davanti al
giudice tributario, che può sindacarne la legittimità. (60 giorni è il tempo per impugnarlo), dal
61esimo giorno non sarà più sindacabile la decisione dell’amministrazione finanziaria a
prescindere da quale sia il motivo.
Il Giudice tributario, se accoglie il ricorso del contribuente e ritiene illegittimo (poiché viziato o
infondato) l’avviso di accertamento può annullarlo in tutto o in parte (rideterminando quindi la
pretesa del Fisco).
L’avviso di accertamento è un provvedimento detto di tipo vincolato, l’ufficio che lo emette deve
applicare in modo lineare la legge. Riscontrata un’evasione, il fisco deve limitarsi a chiedere la
parte mancante più le sanzioni decise dalla legge.
In altri casi, le amministrazioni hanno margini di manovra e decisione, questa tipologia di
provvedimenti è detta di tipo discrezionale.
Il contenuto necessario dell’avviso di accertamento:
- Sottoscrizione
- motivazione (attenzione a motivazione rafforzata e motivazione per relationem)

Art. 42 del DPR 600/1973:


Gli accertamenti in rettifica (a chi ha presentato dichiarazione) e gli accertamenti d'ufficio (a chi
non ha presentato la dichiarazione) sono portati a conoscenza dei contribuenti mediante la

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notificazione di avvisi sottoscritti dal capo dell'ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva
da lui delegato.
L'avviso di accertamento deve recare l'indicazione dell'imponibile o degli imponibili accertati, delle
aliquote applicate e delle imposte liquidate, al lordo e al netto delle detrazioni, delle ritenute di
acconto e dei crediti d’imposta, e deve essere motivato in relazione ai presupposti di fatto e le
ragioni giuridiche che lo hanno determinato e in relazione a quanto stabilito dalle disposizioni di
cui ai precedenti articoli che sono state applicate, con distinto riferimento ai singoli redditi delle
varie categorie e con la specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso a
metodi induttivi o sintetici e delle ragioni del mancato riconoscimento di deduzioni e detrazioni. Se
la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, questo
deve essere allegato all'atto che lo richiama salvo che quest'ultimo non ne riproduca il contenuto
essenziale.
L’avviso di accertamento deve essere notificato (portato a conoscenza in modo formale) al
destinatario. È necessario rispettare i termini di decadenza.

Art. 43 del DPR 600/1973:


- Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31
dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione
- Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione
nulla l’avviso di accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno
successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata

Diversamente da quanto si verificava in passato, l’avviso di accertamento ha effetti esecutivi.  In


passato (fino al 2009) l’avviso di accertamento non aveva effetto esecutivo, quando veniva
notificato l’avviso di accertamento, se il contribuente non avesse pagato, sarebbe poi stata fatta
una cartella di pagamento avente titolo esecutivo. Questo dava quindi la possibilità all’agenzia
della riscossione per la riscossione forzata. Questa metodologia era inefficiente e dal 2009 è stato
dato titolo esecutivo all’avviso di accertamento (un atto con titolo esecutivo è quell’atto che
consente di intraprendere la riscossione forzata dei beni).
L’avviso di accertamento, infatti, è titolo esecutivo e contiene l’intimazione a adempiere parte
degli (o tutti) gli importi richiesti (a seconda che sia proposto tempestivamente ricorso o meno),
con l’avvertenza che decorsi 30 giorni dal mancato pagamento la riscossione delle somme sarà
affidata all’Agente della riscossione, che procederà anche con riscossione forzata.
Più precisamente, nell’avviso di accertamento viene chiesto il pagamento entro sessanta giorni, di:
- un terzo delle imposte ed interessi, in caso di tempestiva presentazione del ricorso
(pagamento a titolo provvisorio)
- la totalità delle imposte ed interessi, nonché delle sanzioni (con possibilità di ottenere
riduzione in caso di pagamento tempestivo), in caso di mancata presentazione del ricorso
(pagamento a titolo definitivo).

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TIPOLOGIE DI ACCERTAMENTO
A seconda della modalità impiegata per ricostruire l’imponibile abbiamo:
 in caso di accertamento a carico di persone fisiche (non imprenditori e non lavoratori
autonomi):
- Accertamento analitico (art. 38, comma 1, DPR 600/1973)
- Accertamento analitico-presuntivo (art. 38, comma 3, DPR 600/1973)  tramite
presunzioni dell’amministrazione finanziaria, non sono presunzioni assolute ma
ammettono il contraddittorio. Presunzione deve essere (precisa, grave e concordante)
- Accertamento sintetico (art. 38, comma 4, DPR 600/1973)
- Accertamento sintetico-redditometrico (art. 38, comma 5, DPR 600/1973)
 in caso di accertamento a carico di imprenditori, lavoratori autonomi e società:
- Accertamento analitico (art. 39, comma 1, lett. a, b, c, d primo periodo, DPR 600/1973)
- Accertamento analitico-presuntivo (art. 39, comma 1, lett. d secondo periodo, DPR
600/1973)
- Accertamento induttivo (art. 39, comma 2, lett. a, b, c, d primo periodo, DPR 600/1973)

Casi particolari:
- Accertamento d’ufficio (in caso di omessa presentazione della dichiarazione)
- Accertamento con adesione (cioè concordato con il contribuente)
Materie particolari:
- Interposizione fittizia (art. 37, comma 3, DPR 600/1973)
- Abuso del diritto/elusione (art. 10-bis Statuto del contribuente)
A seconda del rapporto con altri avvisi di accertamento:
- Accertamento integrativo (Art. 43, comma 3, DPR 600/1973)  Fino alla scadenza del
termine stabilito nei commi precedenti l'accertamento può essere integrato o modificato
in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza
di nuovi elementi da parte dell'Agenzia delle entrate. L’Agenzia delle Entrate può quindi
emettere più avvisi di accertamento se vengono scoperti nuovi fatti che non erano
calcolabili al momento del precedente controllo.
Nell'avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli
atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell'ufficio delle imposte.

- Accertamento parziale (Art. 41-bis del DPR 600/1973)  Senza pregiudizio dell'ulteriore
azione accertatrice nei termini stabiliti dall'articolo 43, i competenti uffici dell'Agenzia delle
entrate, qualora dalle attività istruttorie di cui all'articolo 32, primo comma, numeri da 1) a
4), nonché dalle segnalazioni effettuati dalla Direzione centrale accertamento, da una
Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie
fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai
dati in possesso dell'anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire
l'esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito
parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile,
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compresi i redditi da partecipazioni in società, associazioni ed imprese di cui all'articolo 5
del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o l'esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni
in tutto o in parte non spettanti, nonché l'esistenza di imposte o di maggiori imposte non
versate, escluse le ipotesi di cui agli articoli 36-bis e 36-ter, possono limitarsi ad accertare,
in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili, ovvero la maggiore
imposta da versare.
Tutto ciò che emerge dagli atti istruttori, vale a dire elementi che fanno scaturire maggiori
imponibili, l’Agenzia può emettere un accertamento parziale che comprende questi nuovi
imponibili. La particolarità è che non crea il pregiudizio per un ulteriore accertamento,
questo permette all’Agenzia di emettere avvisi automatizzati. L’unica garanzia per il
contribuente è che se l’accertamento viene emesso dopo un’attività istruttoria ampia, tutti
gli elementi che l’amministrazione aveva a disposizione grazie a quella attività devono
rientrare nello stesso avviso di accertamento parziale (dato che tutte derivano dalla stessa
fonte d’innesco).

SLIDE 9
INTERPOSIZIONE FITTIZIA
Art. 37 DPR 600/1973
In sede di rettifica o di accertamento d'ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui
appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise
e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona.
Le persone interposte, che provino di aver pagato imposte in relazione a redditi successivamente
imputati, a norma del comma terzo, ad altro contribuente, possono chiederne il rimborso.
L'amministrazione procede al rimborso dopo che l'accertamento, nei confronti del soggetto
interponente, è divenuto definitivo ed in misura non superiore all'imposta effettivamente
percepita a seguito di tale accertamento.

ABUSO DEL DIRITTO


Art. 10-bis dello Statuto del contribuente:
Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel
rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali
operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi
determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato
dal contribuente per effetto di dette operazioni.
Ai fini del comma 1 si considerano:
- operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati,
inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di
sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole
operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo
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degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato.  esempio, uno sportivo
professionista, nella contrattazione con la società, al posto di farsi pagare un certo
ammontare per la prestazione sportiva, viene pagato molto meno e la restante parte viene
pagata come “diritti d’immagine”, il professionista può poi vendere i diritti a una società
sita in un paradiso fiscale che non pagherà imposte.
- vantaggi fiscali indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità
delle norme fiscali o coni principi dell'ordinamento tributario.
Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali,
non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di
miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attività professionale del
contribuente.
Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra
operazioni comportanti un diverso carico fiscale.

È inoltre previsto:
- obbligo di contraddittorio anticipato attraverso una richiesta di chiarimenti preventiva (e
conseguente obbligo di motivazione «rafforzata»)
- possibilità di interpello preventivo
- onere della prova a carico dell’Amministrazione finanziaria con riferimento alla
“sussistenza della condotta abusiva, non rilevabile d'ufficio”, mentre a carico del
contribuente pesa l'onere di dimostrare “l’esistenza delle ragioni extrafiscali”.
- mancata riscossione frazionata prima della sentenza di primo grado
- diritto al rimborso per i soggetti diversi da quelli che hanno subito l’accertamento, con
limiti simili a quelli in materia di interposizione
- espressa natura “residuale” dell’abuso del diritto (l'abuso del diritto può essere configurato
solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di
specifiche disposizioni tributarie).
- non punibilità sotto il profilo penale, ferma restando sanzionabilità sul piano
amministrativo

ACCERTAMENTO CON ADESIONE


L’accertamento con adesione è una particolare tipologia di accertamento. È caratterizzato
dall’accordo tra Ufficio impositore e contribuente.
Può essere redatto:
- Dopo l’emissione di un p.v.c. o di un invito da parte dell’Ufficio (prima, dunque,
dell’emissione dell’avviso di accertamento)
- Dopo l’emissione di un avviso di accertamento (il contribuente, una volta ricevuto l’avviso,
può fare un’istanza di attivazione del procedimento di adesione, che sospende per 90
giorni i termini di impugnazione e che può concludersi con un accordo o meno). Si tratta di
una fattispecie che dovrebbe diventare residuale, considerato che dopo un controllo o

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viene emesso un pvc (art. 12 dello Statuto del contribuente) o viene emesso un invito (art.
5-ter del D.Lgs. N. 218/1997).
L’accertamento con adesione conduce a determinare imposte dovute, maggiorate di interessi e
sanzioni. Le sanzioni si applicano nella misura di un terzo dei minimi edittali.
L’accertamento con adesione è definitivo ed impegna contribuente ed Amministrazione
finanziaria. Sicché:
- Il contribuente non può proporre ricorso
- L’Ufficio non può modificarlo (ferma restando, a determinate condizioni, la possibilità di
emettere un ulteriore avviso di accertamento).
L’accertamento con adesione si perfeziona, dopo la sua sottoscrizione, con il versamento delle
somme dovute (o della prima delle 8 o 16 rate trimestrali) da parte del contribuente.
Art. 2 del D.Lgs. N. 218/1997
3. L'accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione, non è integrabile o
modificabile da parte dell'ufficio e non rileva ai fini extratributari, fatta eccezione per i contributi
previdenziali e assistenziali, la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi.
4. La definizione non esclude l'esercizio dell'ulteriore azione accertatrice entro i termini previsti
dall'articolo 43del DPR 29 settembre 1973, n. 600
a) se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi, in base ai quali è possibile accertare un maggior
reddito, superiore al cinquanta per cento del reddito definito e comunque non inferiore a
centocinquanta milioni di lire
b) se la definizione riguarda accertamenti parziali
c) se la definizione riguarda i redditi derivanti da partecipazione nelle società o nelle associazioni
indicate nell’articolo 5 del TUIR, ovvero in aziende coniugali non gestite in forma societaria
d) se l'azione accertatrice è esercitata nei confronti delle società o associazioni o dell'azienda
coniugale di cui alla lettera c), alle quali partecipa il contribuente nei cui riguardi è intervenuta la
definizione.

INTERPELLI
Art. 11 Statuto del contribuente
1. Il contribuente può interpellare l'amministrazione per ottenere una risposta riguardante
fattispecie concrete e personali relativamente a:
a) l'applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza
sulla corretta interpretazione di tali disposizioni e la corretta qualificazione di fattispecie
alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime, ove ricorrano condizioni di
obiettiva incertezza e non siano comunque attivabili le procedure di cui all'articolo 31-ter
del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (accordi preventivi
per multinazionali) e di cui all'articolo 2 del medesimo decreto legislativo 14 settembre
2015, n. 147 (cd. interpello nuovi investimenti)

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b) la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori
richiesti dalla legge per l'adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti
c) l'applicazione della disciplina sull'abuso del diritto ad una specifica fattispecie.

2. Il contribuente interpella l'amministrazione finanziaria per la disapplicazione di norme tributarie


che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti
d'imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall’ordinamento
tributario, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non
possono verificarsi. Nei casi in cui non sia stata resa risposta favorevole, resta comunque ferma la
possibilità per il contribuente di fornire la dimostrazione di cui al periodo precedente anche ai fini
dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa.

L’Amministrazione finanziaria:
- ha precisi termini per rispondere (90 giorni nel caso del comma 1, lett. a; 120 giorni negli
altri casi)
- deve fornire una risposta “scritta e motivata”
- in caso di mancata risposta si verifica il cd. silenzio assenso
- è vincolata «con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell'istanza e limitatamente al
richiedente». Conseguentemente, «gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio
difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli»
- la presentazione dell’istanza non incide sulle scadenze fiscali del contribuente istante.

SLIDE 10
LA RISCOSSIONE
La riscossione è la fase finalizzata a consentire all’Erario di incassare i tributi dovuti dal
contribuente. Si tratta di una fase che sottostà al principio di tipicità, nel senso che gli obblighi di
versamento in capo ai contribuenti e i poteri di riscossione, anche forzata, da parte
dell’Amministrazione finanziaria, seguono procedure ben precise, stabilite dalla legge.
Essa è disciplinata da diverse norme, che peraltro hanno subito pesanti modifiche nel tempo: il
nucleo centrale delle disposizioni applicabili in materia si ritrova nel D.P.R. n. 602 del 1973.
Ulteriori importanti disposizioni sono recate dal D.lgs. n. 241 del 1997 e dai D.lgs. n. 46, 112 e 237
del 1999.
In materia si usa distinguere la riscossione spontanea, che si concretizza nel versamento
spontaneo da parte del contribuente di quanto dovuto, dalla riscossione forzata (o coattiva), che si
rende necessaria nei casi in cui il contribuente non adempia volontariamente alla propria
obbligazione tributaria.
Vi sono diverse forme attraverso cui realizzare la riscossione, saranno di seguito elencate.

LA RITENUTA DIRETTA

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La ritenuta diretta è una forma di riscossione che viene impiegata nel campo delle imposte dirette
nei casi in cui una Pubblica Amministrazione corrisponda ad un contribuente determinati
compensi.
La somma pagata dalla Pubblica Amministrazione viene decurtata «a monte» di una ritenuta, che
può essere a titolo di acconto (ritenuta diretta a titolo d’acconto) o a titolo di imposta (ritenuta
diretta a titolo definitivo).
Nel primo caso, la ritenuta operata non esaurisce il rapporto tributario, poiché il contribuente
dovrà dichiarare il compenso percepito, liquidare le relative imposte e versarle al netto della
ritenuta subita.
Nel secondo caso, invece, il prelievo operato (mediante il pagamento del contribuente da parte
dell’amministrazione al netto dell’intera imposta dovuta in relazione alla somma percepita) è
definitivo.
A titolo esemplificativo, vengono riscosse con ritenuta diretta le imposte sui redditi di lavoro
dipendente del personale delle Pubbliche Amministrazioni e le imposte sulle vincite e sui premi del
lotto e delle lotterie nazionali.
La ritenuta diretta va tenuta distinta dalla «ordinaria» ritenuta alla fonte che si ricollega al
fenomeno della “sostituzione” di cui all’art. 64 del D.P.R. n. 600 del 1973: nel primo caso, infatti, il
sostituto d’imposta coincide con il soggetto creditore dell’imposta (lo Stato); mentre, nel secondo
caso, il sostituto d’imposta non coincide con il soggetto creditore dell’imposta (lo Stato) sicché,
una volta effettuata la ritenuta sulla somma versata al sostituito, egli è tenuto a versare la ritenuta
stessa all’Erario.
La ritenuta diretta si differenzia dalla sostituzione d’imposta perché viene effettuata direttamente
dalla PA, con questa tipologia di ritenuta il denaro confluisce direttamente nelle casse dello Stato.
Nella sostituzione d’imposta è invece il datore di lavoro a trattenere il denaro che deve poi versare
all’erario.

VERSAMENTO DIRETTO
Il versamento diretto è il metodo di riscossione volontario più diffuso e consiste nello spontaneo
versamento da parte del contribuente all’Erario.
In gran parte dei casi esso si concretizza nel versamento alla Tesoreria dello Stato attraverso una
delega irrevocabile ad una Banca o alle Poste Italiane.  deriva dal fatto che la delega viene
redatta in base a un modello prestampato dell’agenzia delle entrate, questo modello, che è
informatizzato, viene acquisito in maniera sempre più automatica dalle banche.
Tale delega per le imposte dirette, l’IRAP, l’IVA e molti altri tributi, è concretamente costituita dal
modello F24.  ricorda l’esistenza del modello F24 elide, questo modello serve per particolari
versamenti, per esempio per il versamento delle imposte di registro.
Il versamento diretto è divenuto nel tempo il sistema principale attraverso il quale i contribuenti
versano tributi (ma anche contributi previdenziali ed altre tipologie di somme) all’Erario.
Il metodo del versamento diretto trova applicazione, tra l’altro, per gli acconti ed i saldi delle
imposte sui redditi indicate nella dichiarazione, le relative addizionali e l’IRAP, nonché per i
versamenti periodici e a saldo dell’IVA e delle ritenute operate dai sostituti d’imposta.

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Nell’ambito dell’adempimento tramite versamento diretto va altresì segnalato l’adempimento
mediante compensazione, istituto disciplinato in ambito civilistico dagli artt. 1241 e ss del c.c.
(“Quando due persone sono obbligate l'una verso l'altra, i due debiti si estinguono per le quantità
corrispondenti, secondo le norme degli articoli che seguono”).
La compensazione nei rapporti tra contribuente ed Erario, invero, è ammessa solo nei casi
espressamente disciplinati dalla legge. Negli ultimi anni si sono ampliate le fattispecie in cui il
contribuente può saldare un debito tributario mediante la sua compensazione con posizioni
creditizie vantate verso il Fisco.
A questo proposito, si usa distinguere la compensazione verticale dalla compensazione
orizzontale.
La compensazione verticale è quella che avviene all’interno di una singola imposta (per esempio,
utilizzo di un credito IRPEF di un anno per saldare il debito IRPEF dell’anno successivo).  questo
tipo di compensazione è l’unica che non ha limiti
La compensazione orizzontale è quella che avviene tra tributi diversi (per esempio, utilizzo di un
saldo IVA a credito per regolare un debito IRES). Quest’ultimo è ammesso nei limiti di 2.000.000€
per anno solare.

RUOLO E CARTELLA DI PAGAMENTO


Il ruolo (sinonimo di elenco) è un sistema di riscossione impiegato per la riscossione coattiva (e, in
certi casi, anche per la riscossione spontanea, ad esempio, per il pagamento della tariffa di asporto
rifiuti). Il ruolo è un elenco predisposto dall’Ufficio impositore contenente le generalità di diversi
contribuenti residenti nella sua circoscrizione ed i dati relativi ai tributi da questi dovuti
(ammontare, periodo d’imposta di riferimento, ecc.).
Tale elenco viene inviato all’Agente della riscossione (oggi Agenzia delle entrate - Riscossione, in
precedenza Equitalia S.p.A.) seguendo particolari procedure automatizzate. Dopodiché,
quest’ultimo soggetto forma, per ogni contribuente, un apposito atto, denominato “cartella di
pagamento”, che viene notificato al contribuente stesso. Con la cartella di pagamento viene
chiesto il pagamento delle somme dovute (così come risultanti dal ruolo) entro il termine di
sessanta giorni, con l’avvertenza che in caso di mancato pagamento verrà attivata la procedura di
riscossione forzata.
Questa metodologia di riscossione tramite ruolo viene adottata per le imposte relative ad alcuni
redditi assoggettati a tassazione separata (trattamento di fine rapporto, arretrati, ecc.), nei casi di
liquidazione effettuata in base ai c.d. controlli automatizzati di cui all’art. 36-bis e 36-ter del D.P.R.
n. 600 del 1973 (tra cui rientra anche il caso delle imposte indicate in dichiarazione dei redditi dal
contribuente e da questi non versate). Anteriormente alle modifiche apportate dal D.L. n.78 del
2010, il ruolo veniva impiegato anche per la riscossione delle somme dovute a seguito
dell’elevazione di avvisi di accertamento, allorquando il contribuente non volesse pagare
spontaneamente le maggiori imposte accertate e le relative sanzioni.

AVVISO DI ACCERTAMENTO ESECUTIVO


L’art. 29 del D.L. n. 78 del 2010 ha introdotto delle significative innovazioni finalizzate ad
accelerare e semplificare il procedimento di riscossione delle somme derivanti dall’attività
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accertativa posta in essere dall’Amministrazione finanziaria. Più precisamente, per la riscossione
delle somme richieste mediante accertamento non è più necessaria la comunicazione della cartella
di pagamento, in quanto è stabilito che gli avvisi di accertamento diventino «esecutivi» una volta
decorso il termine previsto per la loro impugnazione. Pertanto, l’Agente della Riscossione non ha
più l’obbligo di comunicare alcun provvedimento al contribuente per riscuotere le somme da
questi dovute, ma può attivare direttamente la procedura esecutiva sulla base del solo avviso di
accertamento (il quale, per l’appunto, costituisce titolo esecutivo).
Il citato art. 29, infatti, ha previsto che l’avviso di accertamento contenga:
- l’intimazione a adempiere al pagamento delle somme accertate o, in caso di proposizione
del ricorso, delle somme dovute a titolo provvisorio
- l’avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, il credito
erariale sarà affidato all’Agente per la riscossione coattiva.
Il novo sistema di riscossione, dunque, prevede che a seguito della notifica dell’avviso di
accertamento il contribuente debba versare le somme accertate entro il termine previsto per la
presentazione del ricorso. E che, in caso di mancato pagamento, l’avviso di accertamento
costituisce il titolo esecutivo sulla base del quale, senza necessità che venga formato un ruolo e
notificata una cartella di pagamento, l’Agente della riscossione procederà alla riscossione forzata.
In caso di proposizione del ricorso, però, il contribuente non è tenuto a versare la totalità delle
imposte richieste con l’avviso di accertamento. Trovano, infatti, applicazione le disposizioni in
materia di riscossione frazionata di cui all’art. 15 del D.P.R. n. 602 del 1973 ed all’art. 68 del D.Lgs.
n. 546 del 1992.
Più precisamente, nel caso in cui il contribuente impugni l’avviso di accertamento, il contribuente
è chiamato a versare:
- un terzo degli importi dovuti a titolo di imposta ed interessi entro il termine di
presentazione del ricorso (nessun versamento è dovuto a titolo di sanzione)
- l'ammontare di imposte, interessi e sanzioni dovute in base a quanto stabilito dalla
sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, ma comunque non più dei due terzi del
totale accertato (di converso, in caso di vittoria del contribuente nulla è dovuto da
quest’ultimo e quanto eventualmente versato medio tempore dovrà essere restituito
dall’Amministrazione)
- il residuo determinato nella sentenza della Commissione Tributaria Regionale: il
contribuente, quindi, una volta depositata la sentenza di secondo grado, sarà chiamato a
pagare la totalità delle imposte, interessi e sanzioni dovuti in base alla decisione della
Commissione Tributaria Regionale (anche in questo caso nulla è dovuto in caso di vittoria
del contribuente).
Come detto, in caso di inadempimento da parte del contribuente, gli importi dovuti vengono
affidati all’Agente della riscossione, una volta decorsi i 30 giorni dal termine ultimo per il
pagamento. Di qui l’Agente della riscossione può in ogni momento avviare le azioni cautelari, ma
non quelle esecutive, per le quali è previsto un periodo di sospensione di 180 giorni.

L’ESECUZIONE FORZATA

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Il soggetto deputato a condurre l’esecuzione forzata è l’Agente della riscossione (oggi Agenzia
delle entrate - Riscossione, in precedenza Equitalia S.p.A.), il quale deve seguire le normali regole
dettate in ambito civilistico, integrate da alcune specifiche disposizioni tributarie.
La procedura di esecuzione forzata si articola essenzialmente nel pignoramento di beni del
debitore, nella loro vendita e nell’assegnazione del ricavato all’Erario creditore.
Al fine di rendere più efficace l’attività di esecuzione forzata, inoltre, gli Agenti della riscossione
sono stati via via dotati di particolari poteri in materia di riscossione, quali la possibilità di accedere
(anche telematicamente) alle informazioni dell’Anagrafe tributaria, di iscrivere ipoteche sugli
immobili del contribuente debitore e di disporre il fermo amministrativo delle sue autovetture,
ecc.

SLIDE 11

LE SANZIONI TRIBUTARIE
Al fine di spingere i contribuenti a adempiere correttamente agli obblighi tributari, dissuadendoli
dall’evadere le imposte, la violazione delle norme tributarie viene punita con l’irrogazione di
sanzioni. Nel caso in cui un contribuente non adempia ai propri obblighi fiscali, dunque, se
scoperto dall’amministrazione finanziaria, egli sarà chiamato non solo a versare il tributo evaso
maggiorato degli interessi, ma anche a sottostare alle relative sanzioni.
Vi sono sanzioni amministrative e sanzioni penali. Le sanzioni amministrative consistono
prevalentemente in somme di denaro aggiuntive da versare all’Erario e sono irrogate
dall’Amministrazione finanziaria (o, per i tributi locali, dall’Ente locale) a seguito di un
procedimento amministrativo. Le sanzioni penali, invece, si sostanziano principalmente in pene
pecuniarie (somme di denaro) o in pene detentive e sono applicate dall’Autorità giudiziaria a
seguito di un procedimento penale. Le sanzioni penali sono disciplinate dal D.lgs. n. 74 del 2000.

LE SANZIONI AMMINISTRATIVE
I principi generali in materia di sanzioni amministrative sono rinvenibili nel D.lgs. n. 472 del1997.
Innanzitutto, in base al principio di legalità nessuno può essere assoggettato a sanzione se non in
forza di una legge entrata in vigore prima della realizzazione del fatto o della omissione che viene
considerata dal legislatore come una violazione. Le sanzioni, poi, possono essere introdotte
nell’ordinamento solamente con atti aventi forza di legge (principio di riserva di legge). Di qui
deriva la tassatività delle sanzioni e la necessità che esse vengano applicate in modo rigoroso,
senza ricorso all’interpretazione analogica.
Ed ancora, è previsto il principio del favor rei, in base al quale:
- da un lato, salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni
per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. In altre
parole, qualora un soggetto tenga un comportamento che, in base alla legislazione vigente
all’epoca dei fatti, è considerato sanzionabile, egli non potrà essere sanzionato, per aver
tenuto detto comportamento, se successivamente entra in vigore una disposizione che
elimina dall’ordinamento detta sanzione. Se, tuttavia, al momento dell’entrata in vigore
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della nuova disciplina (quella che non considera più sanzionabile il comportamento in
precedenza tenuto) la sanzione è già stata irrogata con provvedimento definitivo, il debito
residuo relativo alla sanzione si estingue, ma non è ammessa restituzione di quanto già
pagato
- dall’altro lato, se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le
leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la disposizione più
favorevole al contribuente, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto
definitivo.
Tra i principi che caratterizzano le sanzioni amministrative va ricordato altresì quello secondo cui
esse non producono interessi e quello della non trasmissibilità agli eredi (le sanzioni relative a
violazioni commesse dal defunto non si trasmettono ai suoi eredi). Dunque, mentre il debito per
un tributo evaso (o comunque non versato) matura interessi e si trasmette agli eredi, le relative
sanzioni non producono interessi e, in caso di decesso del soggetto che ha compiuto la violazione,
non si trasmettono agli eredi.
Un ulteriore principio in materia è quello della colpevolezza, secondo cui, affinché vi sia illecito
sanzionabile, è necessario che ricorra il c.d. «elemento soggettivo», cioè la capacità di intendere e
di volere e la colpevolezza. In base all’art. 4 del D.lgs. n. 472 del 1997, infatti, chi, al momento in
cui ha commesso il fatto, non aveva, in base ai criteri indicati nel Codice penale, la capacità di
intendere e di volere, non può essere assoggettato a sanzione.
Quanto alla colpevolezza, il successivo art. 5 stabilisce che nelle violazioni punite con sanzioni
amministrative ciascuno deve rispondere della propria azione od omissione, cosciente e
volontaria, sia essa dolosa o colposa. Dunque, la violazione, per essere sanzionabile, deve essere
animata da colpa o da dolo. La colpa indica lo stato di chi agisce in modo negligente, cioè con
imperizia o imprudenza, ma senza la volontà di commettere l’illecito. Il dolo, invece, indica una
situazione più grave, in cui la persona agisce proprio con l’intento di violare una norma e di
arrecare un danno all’Erario (e, specularmente, di conseguire un vantaggio indebito).
Vengono tuttavia riconosciuti dei meccanismi di riduzione delle sanzioni nei casi in cui la colpa non
sia grave. La colpa si intende grave quando la negligenza del comportamento è indiscutibile e non
è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata (si pensi
alla violazione dell’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi da parte di una società). Nei
casi di colpa grave, dunque, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi
tributari.
Il D.lgs. n. 472 del 1997 e lo Statuto dei diritti del contribuente prevedono alcuni casi in cui la
violazione di norme tributarie non è sanzionabile. In base all’art. 10 dello Statuto ed all’art. 6 del
D.lgs. n. 472 del 1997, non sono irrogabili sanzioni al contribuente, tra l’altro, qualora:
- egli si sia adeguato a indicazioni contenute in atti dell'Amministrazione finanziaria
(circolari, risoluzioni, istruzioni, ecc.), anche se tali indicazioni vengono successivamente
modificate dalla stessa Amministrazione
- il comportamento del contribuente risulti attuato a seguito di fatti direttamente
conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'Amministrazione finanziaria
- la violazione dipenda da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di
applicazione della norma tributaria

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- la violazione si traduca in una mera violazione formale che non arreca pregiudizio alle
azioni di controllo e che non comporta alcun debito di imposta (c.d. violazione formale).

IL SOGGETTO SANZIONATO
Per quel che riguarda l’individuazione del soggetto al quale riferire la sanzione amministrativa
tributaria, la disposizione cui fare riferimento è l’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, in base al quale è
responsabile l’autore materiale della violazione. La regola generale, pertanto, è quella della
punibilità (e, quindi, dell’irrogazione della sanzione a carico) della specifica persona fisica che ha
commesso la violazione.
L’art. 11 del citato d.lgs. n. 472 del 1997, poi, stabilisce un particolare meccanismo per le violazioni
che hanno inciso sulla liquidazione o sul pagamento di un tributo (quali l’omessa dichiarazione di
ricavi o l’omesso versamento di imposte) commesse, nell'esercizio delle relative funzioni, da un
dipendente o da un amministratore di una società (diversa dalle società di capitali per le ragioni
che vedremo tra breve). In questi casi, la società è obbligata solidalmente con l’autore materiale
(dipendente o amministratore) al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata:
l’Amministrazione finanziaria, dunque, potrà richiedere la sanzione sia all’autore materiale, sia alla
società.
A seguito dell’emanazione dell’art. 7 del D.L. n. 269 del 2003, tuttavia, la regola della punibilità
della persona che ha commesso la violazione trova una pesante deroga per quel che riguarda le
società di capitali e gli altri enti aventi personalità giuridica. Tale disposizione stabilisce, infatti, che
le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità
giuridica (s.p.a., s.r.l., s.a.p.a., fondazioni, associazioni riconosciute, ecc.) sono esclusivamente a
carico della persona giuridica e non, quindi, della persona fisica che materialmente ha commesso
la violazione (per esempio il dipendente o l’amministratore della società di capitali).
Da ultimo, va segnalato che l’art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997 prevede che quando più persone
concorrono in una violazione (cioè quando la stessa violazione è commessa da più persone in
collaborazione tra loro), ciascuna di esse deve soggiacere alla sanzione per questa disposta.

IL PROCEDIMENTO SANZIONATORIO
Le sanzioni sono irrogate dall’Ufficio competente all'accertamento del tributo cui le violazioni si
riferiscono. Vi sono però due procedimenti che possono essere seguiti:
Il primo riguarda le sanzioni riferite e collegate ad un tributo accertato in capo al soggetto
destinatario della sanzione. In questo caso, a norma dell’art. 17 del d.lgs. n. 472 del 1997, la
sanzione viene irrogata contestualmente all’elevazione del provvedimento con cui si recuperano le
maggiori imposte non versate, cioè l’avviso di accertamento (o, nei casi dei c.d. accertamenti
automatizzati, la cartella di pagamento). Pertanto, unitamente all’avviso di accertamento (ossia
nello stesso atto) sarà notificato al trasgressore anche l’atto di irrogazione delle sanzioni. La
contestazione da parte del contribuente del contenuto dell’atto di irrogazione, dunque, dovrà
avvenire nell’ambito del ricorso avverso l’avviso di accertamento.
Negli altri casi si rende necessario seguire un secondo procedimento, dettato dall’art. 16 del d.lgs.
n. 472 del 1997. Tale disposizione prevede che l'Ufficio notifichi un apposito atto, chiamato “atto
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di contestazione”, contenente l’indicazione dei fatti attribuiti al trasgressore, gli elementi
probatori, le norme applicate e le sanzioni che intende applicare. Il contribuente, una volta
ricevuto l’atto di contestazione, ha tre possibilità:
a) definire la vertenza versando le sanzioni contestate, ridotte ad un terzo
b) impugnare l’atto di contestazione entro sessanta giorni dalla sua ricezione
c) proporre le proprie deduzioni difensive  l’Ufficio, se non condivide le difese del
contribuente, provvede ad emettere un atto, detto “avviso di irrogazione delle sanzioni”,
con il quale chiede al contribuente di pagare le sanzioni. Tale atto deve essere motivato, a
pena di nullità, anche in relazione alle deduzioni presentate dal contribuente e deve essere
emesso entro un anno dalla data di presentazione delle deduzioni difensive da parte del
contribuente. L’avviso di irrogazione delle sanzioni è impugnabile dal contribuente entro il
termine ordinario di sessanta giorni dalla sua ricezione.

LE TIPOLOGIE DI SANZIONI
Mentre nel d.lgs. n. 472 del 1997 sono rinvenibili i principi e le procedure applicative relativi alle
sanzioni amministrative in materia tributaria, le singole ipotesi che costituiscono violazioni e le
relative sanzioni sono previste nel d.lgs. n. 472 del 1997, oltre che in talune specifiche leggi
d’imposta.
Nell’ambito delle imposte sui redditi e dell’IVA le principali categorie di violazioni sanzionabili
sono:
- quelle relative agli obblighi strumentali (mancata o irregolare tenuta di documentazione,
mancata presentazione di documenti e risposta a questionari, ecc.), solitamente punite in
misura fissa
- quelle relative ai dati dichiarati (dichiarazione di minori ricavi o di maggiori costi, con
conseguenti minori imposte liquidate), punite in misura percentuale rispetto alle minori
imposte liquidate (cioè alle maggiori imposte accertate dall’Ufficio)
- quelle relative ai versamenti (omessi o tardivi versamenti), anch’esse punite in misura
percentuale rispetto alle minori imposte versate.
Un esempio di sanzione sub a) è contenuto nell’art. 9 del d.lgs. n. 471 del 1997, in base al quale chi
non tiene o non conserva secondo le prescrizioni le scritture contabili, i documenti e i registri
previsti dalle leggi in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto ovvero i libri, i
documenti e i registri, la tenuta e la conservazione dei quali è imposta da altre disposizioni della
legge tributaria, è punito con la sanzione amministrativa da euro mille a euro ottomila.
Un esempio di sanzione sub b) è rappresentata dall’art. 1 del d.lgs. n. 471 del 1997, in forza del
quale se nella dichiarazione è indicato un reddito imponibile inferiore a quello accertato, o,
comunque, un'imposta inferiore a quella dovuta o un credito superiore a quello spettante, si
applica la sanzione amministrativa dal novanta al centottanta per cento della maggior imposta o
della differenza del credito.
Un esempio di sanzione sub c) è rinvenibile nell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997, in virtù del quale
chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti
periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell'imposta risultante dalla dichiarazione, è
soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato.
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LE SANZIONI PENALI (CENNI)
Le fattispecie punite a livello penale sono individuate dal d.lgs. N. 74/2000:
- Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti (senza soglia minima)
- Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (se imposta evasa nel periodo d’imposta
>30.000 € e imponibile evaso nel periodo d’imposta > 5% del «fatturato» o 1,5 mil. €); -
Dichiarazione infedele (se imposta evasa nel periodo d’imposta > 100.000 € e imponibile
evaso nel periodo d’imposta > 10% del «fatturato» o 2 mil. €)
- Omessa dichiarazione (se imposta evasa nel periodo d’imposta > 50.000 €)
- emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti
- Occultamento o distruzione di documenti contabili
- Omesso versamento di ritenute dovute o certificate (soglia 150.000 per periodo d’imposta)
- Omesso versamento di IVA (soglia 200.000 per periodo d’imposta)
- Indebita compensazione crediti non spettanti o inesistenti (soglia 50.000 per periodo
d’imposta)
- Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (soglia 50.000).

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PARTE SPECIALE

IRPEF
Si tratta di un’imposta:
 Diretta
 che colpisce il reddito
 personale
 ad aliquote progressive a scaglioni
 periodica
 generale

Art. 1 TUIR
Presupposto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche è il possesso di redditi in denaro o in
natura rientranti nelle categorie indicate nell’articolo 6.
Va evidenziato che nel disciplinare l’IRPEF il legislatore non ha dato una definizione di reddito, ma
ha preferito adottare un approccio casistico, affermando (artt. 1 e 6 TUIR) che il presupposto
dell’imposta è il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie dei:
- redditi fondiari
- redditi di capitale
- redditi di lavoro dipendente
- redditi di lavoro autonomo
- redditi d’impresa
- redditi diversi
le tipologie di reddito sono state differenziate perché in base ad ogni categoria viene calcolato in
modo diverso il quantitativo di reddito, le diverse categorie godono inoltre di tassazioni diverse.
Tuttavia, vi sono alcune norme “di chiusura”:
- nell’ambito dei redditi diversi è prevista la tassabilità dei redditi derivanti dalle obbligazioni
di fare, non fare e permettere
- nell’ambito dei redditi di capitale è prevista la tassabilità degli interessi e degli altri
proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego di capitale

Art. 2 TUIR - Soggetti passivi


I soggetti passivi dell'imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello
Stato.
Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del
periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio
dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile.
Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi
della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori cd. Black list. La black list è contenuta nel
D.M. 4 maggio 1999 (che include per esempio il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti, le Isole Cayman,
l’Isola di Man, ecc.)  se ci si trasferisce in uno di questi Paesi detti Black list, cambia l’onere della
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prova, è il contribuente a dover dimostrare di non essere più residente nello Stato e non
l’amministrazione a dover dimostrare il contrario.
Le società di persone non sono soggette passive IRPEF.
I relativi redditi sono imputati «per trasparenza» ai relativi soci indipendentemente dalla loro
percezione.

 Le persone fisiche residenti sono assoggettate ad IRPEF in relazione ai redditi prodotti


ovunque nel mondo.  per questa tipologia di contribuenti nasce il problema della doppia
imposizione nel caso in cui un residente consegua redditi all’estero, per ovviare a questo
problema esistono le convenzioni contro le doppie imposizioni, queste stabiliscono come e
quale dei due Stati debba tassare una certa fattispecie.
 Le persone fisiche non residenti sono assoggettate ad IRPEF solo in relazione ai redditi
prodotti nel territorio dello Stato
Se una persona fisica risulta residente in due o più Stati, il problema viene arginato secondo le
convenzioni, queste si occupano di stabilire in quale dei paesi il cittadino debba essere considerato
residente. Per svolgere questo compito si guardano alcuni punti in ordine di importanza.
1. La dimora stabile, dove la persona risiede stabilmente.
2. Il centro degli interessi vitali (domicilio), dove la persona ha il nucleo familiare.
3. Cittadinanza.
4. I vari paesi si confrontano e decidono.

Art. 5 TUIR - Redditi prodotti in forma associata


I redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio
dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione,
proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili.
Le quote di partecipazione agli utili si presumono proporzionate al valore dei conferimenti dei soci
se non risultano determinate diversamente dall'atto pubblico o dalla scrittura privata autenticata
di costituzione o da altro atto pubblico o scrittura autenticata di data anteriore all’inizio del
periodo d'imposta; se il valore dei conferimenti non risulta determinato, le quote si presumono
uguali.
Le società di persone hanno un sistema di tassazione trasparente tramite il quale per il fisco la
società e i soci non sono soggetti distinti. Questo sistema ha il vantaggio che il reddito prodotto
viene tassato una sola volta in capo ai soci.

Art. 3 TUIR - Base imponibile


L'imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi
posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell'articolo 10 e per i non residenti soltanto da
quelli prodotti nel territorio dello Stato.
NB: l’art. 10 del TUIR prevede la deducibilità di alcune somme, tra cui:
- Assegni periodici corrisposti al coniuge (esclusi quelli destinati al mantenimento dei figli)
risultanti da provvedimenti dell’Autorità giudiziaria
- Contributi previdenziali
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Art. 8 TUIR
Il reddito complessivo si determina sommando i redditi di ogni categoria che concorrono a
formarlo e sottraendo le perdite derivanti dall'esercizio di arti e professioni.
Le perdite delle società in nome collettivo ed in accomandita semplice si sottraggono per ciascun
socio o associato nella proporzione stabilita dall'articolo 5. Per le perdite della società in
accomandita semplice che eccedono l'ammontare del capitale sociale la presente disposizione si
applica nei soli confronti dei soci accomandatari.
Le perdite derivanti dall'esercizio di imprese commerciali e quelle derivanti dalla partecipazione in
società in nome collettivo e in accomandita semplice sono computate in diminuzione dei relativi
redditi conseguiti nei periodi d'imposta e, per la differenza, nei successivi, in misura non superiore
all'80 per cento dei relativi redditi conseguiti in detti periodi d'imposta e per l'intero importo che
trova capienza in essi.

I passaggi che devono esser fatti per determinare l’imposta dovuta sono i seguenti:
Reddito complessivo - Oneri deducibili = Reddito imponibile
Al reddito imponibile si applicano le aliquote progressive e si ottiene l’imposta lorda.
Dall’imposta lorda si sottraggono le detrazioni d’imposta ed i crediti d’imposta e si ottiene
l’imposta netta (l’imposta netta viene versata in parte mediante acconti ed in parte “a saldo”).
Aliquote 2022:
1) fino a 15.000 euro, 23%
2) oltre 15.000 euro e fino a 28.000, 25%
3) oltre 28.000 euro e fino a 50.000, 35%
4) oltre 50.000 euro, 43%

Art. 6 TUIR
I proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le
indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella
perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono
redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti.

Art. 9 TUIR
Per la determinazione dei redditi e delle perdite i corrispettivi, i proventi, le spese e gli oneri in
valuta estera sono valutati secondo il cambio del giorno in cui sono stati percepiti o sostenuti o del
giorno antecedente più prossimo e, in mancanza, secondo il cambio del mese in cui sono stati
percepiti o sostenuti; quelli in natura sono valutati in base al valore normale dei beni e dei servizi
da cui sono costituiti.
Ai fini delle imposte sui redditi le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso valgono anche
per gli atti a titolo oneroso che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento
e per i conferimenti in società.

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Art. 17 TUIR
Per evitare la distorsione legata alla progressività dell’IRPEF, l’imposta si applica separatamente su
una serie di redditi a formazione pluriennale, tra cui:
a) TFR
g) plusvalenze, compreso il valore di avviamento, realizzate mediante cessione a titolo
oneroso di aziende possedute da più di cinque anni e redditi conseguiti in dipendenza di
liquidazione, anche concorsuale, di imprese commerciali esercitate da più di cinque anni
l) redditi compresi nelle somme attribuite o nel valore normale dei beni assegnati ai soci
delle società di persone nei casi di recesso, esclusione e riduzione del capitale o agli eredi
in caso di morte del socio, e redditi imputati ai soci in dipendenza di liquidazione, anche
concorsuale, delle società stesse, se il periodo di tempo intercorso tra la costituzione della
società e la comunicazione del recesso o dell'esclusione, la deliberazione di riduzione del
capitale, la morte del socio o l'inizio della liquidazione è superiore a cinque anni
Per i redditi di cui alla lettera g) ed l) l'imposta è determinata applicando all'ammontare
conseguito o imputato, l'aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del
contribuente nel biennio anteriore all'anno in cui i redditi sono stati rispettivamente conseguiti o
imputati.

Alcuni regimi IRPEF particolari:


- art. 24-bis TUIR: regime opzionale riservato ai «nuovi residenti» (che non siano stati residenti per
un tempo almeno pari a nove periodi d'imposta nel corso dei dieci precedenti l'inizio del periodo di
validità dell’opzione) che consente di versare un’imposta fissa sui redditi di fonte estera, pari a
100.000 € annui. La durata massima è di 15 anni (nessuna agevolazione è prevista per i redditi di
fonte italiana).
- art. 24-ter TUIR: regime opzionale per i «nuovi residenti» (che non siano stati residenti nei cinque
periodi d'imposta precedenti a quello di validità dell'opzione) che siano titolari di pensioni e che si
trasferiscono in alcune zone d’Italia (principalmente Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania,
Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia). Grazie a tale regime è possibile assoggettare a tassazione i
redditi di fonte estera nella misura del 7%. La durata massima è di 10 anni.
- art. 16 D.lgs. 147/2015: regime opzionale per i lavoratori (che non siano stati residenti in Italia nei
due anni precedenti) che si trasferiscono in Italia per almeno due anni che consente di pagare le
imposte su un imponibile ridotto al 30% per i redditi di lavoro dipendente, di lavoro autonomo e di
impresa (per le imprese avviate in Italia dopo il trasferimento). La durata massima è 5 anni,
rinnovabile a determinate condizioni di ulteriori 5 anni.

Art. 23 TUIR - Applicazione dell'imposta ai non residenti


Ai fini dell'applicazione dell'imposta nei confronti dei non residenti si considerano prodotti nel
territorio dello Stato:
a) i redditi fondiari  immobili ubicati in Italia, terreni o fabbricati che sono o che dovrebbero
essere iscritti a catasto
b) i redditi di capitale corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o
da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti
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c) i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato (..)
d) i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato
e) i redditi d'impresa derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato mediante stabili
organizzazioni
f) i redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano
nel territorio stesso, nonché le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di
partecipazioni in società residenti.

Art. 25 TUIR - Redditi fondiari


Sono redditi fondiari quelli inerenti ai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che
sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto
edilizio urbano.
I redditi fondiari si distinguono in:
 Redditi dei TERRENI:
- redditi dominicali  redditi derivanti dall’essere padrone del fondo
- redditi agrari (nb. La definizione di attività agricola si trova nell’art. 32 TUIR)  redditi
derivanti dalla lavorazione del terreno
 Redditi dei FABBRICATI
La rendita di terreni e fabbricati data dal catasto è molto più bassa rispetto alla rendita reale
odierna
I redditi fondiari concorrono a formare il reddito anche se non percepiti.
Fanno eccezione i redditi dei terreni in caso di calamità naturali ed i redditi dei fabbricati locati,
che non concorrono a formare il reddito se la mancata percezione sia comprovata dall’intimazione
di sfratto per morosità o dall'ingiunzione di pagamento.  Questa norma nasce per evitare che il
contribuente si possa mettere d’accordo con l’inquilino per evitare il pagamento delle imposte.
I redditi dei terreni si determinano in base alle risultanze catastali.
Il reddito agrario viene definito come la parte del reddito del terreno imputabile al capitale
d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno,
nell'esercizio di attività agricole su di esso.

Sono considerate attività agricole:


- le attività dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura
- l'allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno e le
attività dirette alla produzione di vegetali tramite l'utilizzo di strutture fisse o mobili, anche
provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del
terreno su cui la produzione insiste
- le attività di cui al terzo comma dell'articolo 2135 del codice civile, dirette alla
manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione,
ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione
del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni
due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con decreto del Ministro
dell'economia e delle finanze su proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali.
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NB: in caso di superamento dei limiti di cui sopra si considererà prodotto un reddito d’impresa

I redditi dei fabbricati si determinano come segue:


- l’abitazione principale è sostanzialmente detassata
- le seconde case a disposizione ubicate in un comune diverso da quello dell’abitazione
principale non producono redditi imponibili, viene pagata solo l’IMU
- le seconde case a disposizione ubicate nello stesso comune in cui si trova l’abitazione
principale producono un reddito imponibile in misura pari alla rendita catastale divisa per
due ad aumentata di un terzo, questo si aggiunge ovviamente al pagamento dell’IMU
- i fabbricati locati concorrono a formare il reddito nella misura del maggiore tra rendita
catastale e canone annuale risultante dal contratto, ridotto del 5%. In alternativa, il
proprietario può optare per il regime della cd. cedolare secca, disciplinato dall’art. 3 del
D.lgs. n. 23 del 2011, in virtù del quale, in luogo dell’IRPEF, il canone di locazione viene
assoggettato ad un’imposta del 21% (che scende al 10% per i contratti di locazione a
canone concordato relativi ad abitazioni ubicate nei comuni con carenze di disponibilità
abitative e nei comuni ad alta tensione abitativa).
Non si considerano produttivi di reddito fondiario:
- gli immobili relativi ad imprese commerciali
- gli immobili che costituiscono beni strumentali per l'esercizio di arti e professioni
- gli immobili ubicati all’estero

È importante ricordare il grande vantaggio insito nei redditi fondiari, questi vengono infatti tassati
sulla base della rendita catastale (sono molto basse dato che sono state definite in passato
basandosi sull’idea che l’agricoltura fosse un lavoro povero), in alcuni casi però, con l’evoluzione
delle tecnologie e del mercato (es. vini importanti, oli, ecc.), si traggono guadagni molto alti che
vengono comunque tassati a rendita catastale.

Art. 44 TUIR - Definizione redditi di capitale


- gli interessi e altri proventi derivanti da mutui, depositi e conti correnti
- gli interessi e gli altri proventi delle obbligazioni e titoli similari, degli altri titoli diversi dalle
azioni e titoli similari, nonché dei certificati di massa
- le rendite perpetue e le prestazioni annue perpetue
- i compensi per prestazioni di fideiussione o di altra garanzia
- gli utili derivanti dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società ed enti soggetti
all'imposta sul reddito delle società
- i proventi derivanti da riporti e pronti contro termine su titoli e valute
- i proventi derivanti dal mutuo di titoli garantito
- gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l'impiego del
capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e
negativi in dipendenza di un evento incerto.

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Art. 45 TUIR - Determinazione del reddito di capitale
Il reddito di capitale è costituito dall'ammontare degli interessi, utili o altri proventi percepiti nel
periodo di imposta, senza alcuna deduzione. I redditi di capitale seguono il PRINCIPIO DI CASSA.
L’unica eccezione al principio di cassa è per i capitali dati a mutuo  Gli interessi, salvo prova
contraria, si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuite per iscritto. Se le scadenze
non sono stabilite per iscritto gli interessi si presumono percepiti nell'ammontare maturato nel
periodo di imposta. Se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si computano al saggio
legale.
Per quanto riguarda il mondo dei redditi da capitale, il legislatore ha voluto semplificare
introducendo varie forme di tassazione sostitutiva, la maggior parte di questi redditi, infatti, non
entrano nella dichiarazione dei redditi ma vengono tassati direttamente alla fonte. Solitamente
l’aliquota applicata è definita al 26% (12% per i titoli di stato).

Art. 49 TUIR - Redditi di lavoro dipendente


Sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione
di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a
domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro.
Costituiscono, altresì, redditi di lavoro dipendente:
- le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati
- le somme di cui all’art. 429, ultimo comma, del Codice di procedura civile

Art. 51 TUIR - Determinazione del reddito di lavoro dipendente


Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque
titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sottoforma di erogazioni liberali, in relazione al
rapporto di lavoro. Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in
genere, corrisposti dai datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo
d'imposta successivo a quello cui si riferiscono. Esiste una articolata disciplina sui rimborsi spese e
sui cd. Benefit.

Art. 53 TUIR - Redditi di lavoro autonomo


Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall'esercizio di arti e professioni. Si tratta
dell’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo
diverse da quelle «commerciali», che sono produttive di redditi d’impresa.
La caratteristica essenziale di artisti e professionisti è la prevalenza dell’apporto «intellettuale»
rispetto a quello di mezzi e capitale (si pensi, ad esempio, a notai, avvocati, commercialisti,
architetti, ecc.).

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Art. 54 TUIR - Determinazione del reddito di lavoro autonomo
Il reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l'ammontare
dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di
partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio dell'arte o
della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi. I compensi sono computati al netto
dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li
corrisponde.
Il principio base è perciò quello di cassa e di tassazione al netto dei costi.

Vi sono alcune deroghe al principio di cassa e limitazione alla deduzione delle spese:
- deduzione quote annuali di ammortamento per i beni strumentali
- deduzione dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali per un periodo non
inferiore alla metà del periodo di ammortamento corrispondente
- deduzione nella misura del 50% cento delle spese di acquisto di beni mobili adibiti
promiscuamente all'esercizio dell'arte o professione e all'uso personale o familiare
- deduzione delle spese cellulari nei limiti dell’80%
- le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande sono
deducibili nella misura del 75 per cento, e, in ogni caso, per un importo complessivamente
non superiore al 2 per cento dell'ammontare dei compensi percepiti nel periodo d'imposta
- le spese di rappresentanza sono deducibili nei limiti dell'1 per cento dei compensi percepiti
nel periodo di imposta

Art. 55 TUIR – Redditi d’impresa


Sono redditi d'impresa quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali.
Per esercizio di imprese commerciale si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non
esclusiva delle attività indicate nell'art. 2195 c.c.:
- attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi
- attività intermediaria nella circolazione dei beni
- attività di trasporto per terra, per acqua o per aria
- attività bancaria o assicurativa
- altre attività ausiliarie delle precedenti
… e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell'art. 32 (attività agricole) che
eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d'impresa.
Sono inoltre considerati redditi d'impresa:
- i redditi derivanti dall'esercizio di attività organizzate in forma d'impresa dirette alla
prestazione di servizi che non rientrano nell'art. 2195 c.c.
- i redditi derivanti dall'attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni
e altre acque interne
- i redditi dei terreni, per la parte derivante dall'esercizio delle attività agricole di cui
all'articolo 32, pur se nei limiti ivi stabiliti, ove spettino alle società in nome collettivo e in
accomandita semplice nonché alle stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti
esercenti attività di impresa (è però possibile opzione per determinazione del reddito su
base catastale)
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Il reddito d'impresa è determinato secondo le regole proprie dell’IRES, con qualche differenza,
soprattutto in materia di dividendi e plusvalenze azionarie.
Il principio base è quello della competenza (contrapposto al principio di cassa).
NB: si considerano redditi d’impresa anche i redditi conseguiti dalle società di persone (vd. art. 5
TUIR).
I pagamenti di utili da società di persone a socio non sono perciò fiscalmente rilevanti (si tratta di
utili già tassati per trasparenza).
I pagamenti di dividendi da società di capitali a socio, invece, sono imponibili in capo al socio come
redditi di capitale.

Art. 65 TUIR - Beni relativi all’impresa


Per le imprese individuali, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano relativi all'impresa:
- i beni alla cui produzione e scambio è diretta l’attività d’impresa, nonché le materie prime
e sussidiarie, semilavorati e altri beni mobili, acquistati o prodotti per essere impiegati
nella produzione
- i beni strumentali per l'esercizio dell'impresa (attenzione a norma speciale sugli immobili)
- i crediti acquisiti nell'esercizio dell'impresa
- i beni appartenenti all'imprenditore che siano indicati tra le attività relative all'impresa
nell'inventario tenuto a norma dell'articolo 2217 del Codice civile
Gli immobili strumentali si considerano relativi all'impresa solo se indicati nell'inventario.
Per le società in nome collettivo e in accomandita semplice si considerano relativi all'impresa tutti
i beni ad esse appartenenti

Art. 67 TUIR
Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale, se non sono conseguiti nell'esercizio di
arti e professioni o di imprese commerciali né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:
- le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni
- le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o
costruiti da non più di cinque anni
- le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società
- le vincite delle lotterie
- i redditi di natura fondiaria non determinabili catastalmente
- i redditi di beni immobili situati all'estero
- i redditi derivanti dall'utilizzazione economica di opere dell'ingegno, di brevetti industriali
- i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente
- i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla
assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere

Gli art. 68 e ss. TUIR prevedono regole specifiche di determinazione dei redditi diversi, ispirate al
criterio di cassa, tendenzialmente al netto degli oneri sostenuti. Per esempio, i redditi delle attività
commerciali non esercitate abitualmente e delle attività di lavoro autonomo non esercitate

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abitualmente sono costituiti dalla differenza tra l'ammontare percepito nel periodo di imposta e le
spese specificamente inerenti alla loro produzione.

Affinché un’attività possa rientrare in uno degli articoli del TUIR che disciplinano le varie categorie
reddituali, non è necessario che l’attività sia lecita. Anche un’attività di natura illecita potrebbe
essere considerata in grado di produrre reddito tassabile.
Il reddito generato da attività illecite viene considerato al lordo dei costi. I redditi derivanti da
attività illecite non possono però essere assoggettati a imposte perché mancano del requisito del
possesso del reddito che viene sequestrato e poi confiscato in caso di condanna.

Imposta sui ricchi  prevista dall’articolo 24 bis del DPR del TUIR. Si tratta di un regime opzionale
che riguarda i neo-residenti in Italia o comunque chi per almeno 9 dei 10 periodi di imposta
precedenti non è stato residenti in Italia con un’elevata capacità reddituale. Questi possono
optare per una tassazione sui redditi prodotti all’estero fissata forfettariamente a 100000€,
inoltre, se a questo regime aderiscono anche familiari, pagano un’imposta fissa di 25000€. Questo
regime opzionale se scelto ha una durata massima di 15 anni.

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IRES
L’IRES trova applicazione in capo a quattro diverse categorie di soggetti, individuati dal primo
comma dell’art. 73 TUIR.
a) Società di capitali
b) Enti commerciali
c) Enti non commerciali
d) Enti non residenti (società ed enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità
giuridica)
L’inclusione di un soggetto passivo in una piuttosto che nell’altra categoria è di grande rilievo,
poiché alle singole categorie sono applicabili regole diverse per la determinazione della base
imponibile.
Per i soggetti di cui alle lett. a) e b), trovano applicazione le disposizioni di cui all’art. 81 ss. TUIR,
che applicano a tutti i redditi conseguiti le regole del reddito d’impresa (richiamate anche ai fini
IRPEF per le persone fisiche che conseguono redditi d’impresa).
Per i soggetti di cui alla lett. c), trovano applicazione gli artt. 143 ss. TUIR (che disciplinano un
sistema di tassazione simile a quello delle persone fisiche, imperniato sulla tassazione delle singole
categorie di reddito).
Per i soggetti di cui alla lett. d), trovano applicazione, in caso di enti commerciali, gli artt. 151 e152
TUIR e, in caso di enti non commerciali, l’art. 153 TUIR (norme che regolano un sistema di
tassazione incentrato sulla tassazione dei soli redditi prodotti nel territorio dello Stato).

Per comprendere a quale categoria appartenga un ente diverso da una società di capitali è
necessario valutarne la commercialità.
I soggetti sub a), infatti, sono sempre considerati enti commerciali in ragione della forma giuridica
assunta. Di contro, per gli enti diversi dalle società, che possono ricadere sia nella categoria di cui
alla lett. b) sia nella categoria di cui alla lett. c), è necessario verificare se abbiano o meno “per
oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”.
La natura commerciale di una attività deve essere valutata in base all’art. 55 TUIR.

L’art. 73, comma 4, TUIR prevede che “L’oggetto esclusivo o principale dell’ente residente è
determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto
pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata.
Per oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari
indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto”.
Dal dato testuale sembrerebbe che un ente assume la qualifica di ente commerciale laddove l’atto
costitutivo o lo statuto prevedano come prevalente o esclusivo lo svolgimento di attività di tipo
commerciale (dato “formale”).
In realtà, la valutazione della qualifica di un ente non può prescindere da un’analisi “sostanziale”
che tenga conto dell’attività effettivamente esercitata.
Tale conclusione viene confermata dal contenuto dell’art. 149 TUIR, in forza del quale
“indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale
qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta”.
52
Al fine di valutare se un determinato ente svolga materialmente attività commerciale, il citato art.
149 TUIR suggerisce di avere riguardo ai seguenti criteri, che possono attestare lo svolgimento di
attività commerciale in via prevalente:
- prevalenza delle immobilizzazioni relative all’attività commerciale, al netto degli
ammortamenti, rispetto alle restanti attività
- prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle
cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali
- prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali,
intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative
- prevalenza delle componenti negative inerenti all’attività commerciale rispetto alle restanti
spese.

I soggetti passivi IRES sono inclusi in categorie distinte anche a seconda che essi siano residenti
[categorie a), b) e c)] o non residenti (categoria d)] nel territorio dello Stato.
L’art. 73, comma 3, TUIR stabilisce che si considerano residenti le società e gli enti che per la
maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o
l’oggetto principale nel territorio dello Stato.
Vi sono perciò tre criteri di collegamento alternativi:
- la sede legale
- la sede dell’amministrazione
- l’oggetto principale dell’ente.
Il collegamento con il territorio nazionale deve verificarsi per la maggior parte del periodo
d’imposta, sicché ai tre citati criteri, alternativi tra loro, se ne aggiunge un quarto, che deve
sussistere in ogni caso (c.d. requisito temporale).
La sede legale è l’elemento più semplice da verificare: in assenza di una espressa definizione
normativa, la sede legale è rappresentata dal luogo indicato dalla società nell’atto costitutivo,
annotato nel registro delle imprese e comunicato agli Uffici finanziari.
Per sede dell’amministrazione, invece, si intende il luogo in cui è effettivamente localizzata la sede
principale di direzione e controllo della società. Essa dovrebbe coincidere con il luogo in cui si
forma la volontà dell’organo amministrativo, cioè il luogo in cui i componenti (o il componente)
dell’organo amministrativo assumono le decisioni concernenti l’attività sociale.
Il terzo criterio di collegamento previsto dal legislatore tributario è quello legato all’oggetto
principale, cioè il luogo in cui viene prevalentemente svolta l’attività sociale ed in cui si concretizza
l’attività economica posta in essere.

I commi 5-bis e 5-ter dell’art. 73 TUIR stabiliscono che una società formalmente localizzata
all’estero si “considera”, salvo prova contraria, residente in Italia qualora detenga una
partecipazione di controllo in una società o ente commerciale residente in Italia e se,
contemporaneamente, soddisfi una delle seguenti condizioni:
- sia controllata, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, c.c., da soggetti
residenti nel territorio dello Stato
- sia amministrata da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di
gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.
53
Non si tratta di un nuovo criterio di determinazione della residenza delle società, poiché è stabilito
che, al perfezionarsi delle citate condizioni, la società sia fiscalmente residente in Italia.
Non vi è alcun limite al contenuto della prova contraria che il contribuente potrà fornire a
dimostrazione della propria effettiva residenza all’estero.

Art. 2359 c.c. definisce cos’è il controllo di una società. Sono società controllate:
- Le società in cui un’altra società dispone la maggioranza dei voti esercitati nell’assemblea
ordinaria (controllo di diritto)
- Le società in cui un’altra società dispone voti sufficienti per esercitare un’influenza
dominante nell’assemblea ordinaria (controllo di fatto)
- Le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di vincoli
contrattuali con essa.

La determinazione del reddito imponibile di società ed enti commerciali è disciplinata agli art. 81
ss. TUIR. Tale disposizione stabilisce che il reddito di detti soggetti, da qualsiasi fonte provenga, è
considerato reddito d'impresa ed è determinato secondo le disposizioni della sezione I del capo II
del TUIR.
Per società ed enti commerciali, pertanto, non ci sono le singole categorie di reddito.

L’art. 83 del TUIR stabilisce che: “Il reddito complessivo è determinato apportando all'utile o alla
perdita risultante dal conto economico, relativo all'esercizio chiuso nel periodo d'imposta, le
variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all'applicazione dei criteri stabiliti nelle
successive disposizioni della presente sezione”.
Si tratta del principio di derivazione del risultato fiscale da quello civilistico.
I due valori non coincidono poiché all’utile o alla perdita risultanti dal conto economico devono
essere apportate, al fine di determinare l’imponibile fiscale, le rettifiche di segno positivo e
negativo previste dalle disposizioni contenute nel TUIR.
Il sistema delle variazioni fiscali è la diretta conseguenza delle diverse finalità perseguite dal
legislatore nel disciplinare, con la normativa civilistica, il principio di corretta redazione del bilancio
e, con le disposizioni fiscali, i criteri di determinazione della base imponibile.
Le variazioni in aumento sono variazioni fiscali che incrementano il reddito imponibile rispetto al
risultato di bilancio e traggono origine:
- dalla rilevanza fiscale di componenti positivi di reddito non inclusi o inclusi solo in parte nel
conto economico dell’esercizio
- dall’indeducibilità totale o parziale di componenti negativi imputati a conto economico.
Le variazioni in diminuzione determinano un decremento del reddito imponibile rispetto al
risultato di bilancio e sono generate:
- dalla non imponibilità integrale o parziale dei componenti positivi imputati a conto
economico
- dall’inclusione tra i componenti negativi fiscalmente rilevanti di quote di costi non rilevati,
in tutto o in parte, nel conto economico dell’esercizio.

54
Le variazioni permanenti sono quelle che originano quando la normativa civilistica e fiscale
trattano in maniera del tutto diversa uno stesso componente di reddito ammettendone o meno
l’imputazione a conto economico ovvero la rilevanza fiscale.
Le variazioni temporanee generano, invece, uno spostamento di base imponibile tra più esercizi e
sono il risultato della differente modalità di imputazione civilistica, da un lato, e fiscale, dall’altro
del medesimo costo o del medesimo ricavo. Tale rettifica o integrazione temporanea determina,
rispettivamente, un differimento oppure un’anticipazione del momento impositivo rispetto al
periodo in cui il costo/ricavo ha rilevanza civilistica (contabilmente si creano imposte anticipate ed
imposte differite). La variazione fiscale di cui trattasi è però destinata ad annullarsi nel corso del
tempo.
La norma negli anni è stata integrata, prevedendo che per i soggetti IAS-adopter e per i soggetti
OIC-adopter diversi dalle microimprese di cui all’articolo 2435-ter del Codice civile “valgono, anche
in deroga alle disposizioni dei successivi articoli della presente sezione, i criteri di qualificazione,
imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai rispettivi principi contabili”.
Si tratta del cd. principio di derivazione rafforzata. La normativa di attuazione di tale principio ne
ha però limitato il concreto effetto.

Il D.M. n. 48/2009 ed il D.M. 3 agosto 2017 hanno stabilito che, per effetto del principio di
derivazione rafforzata:
- assumono rilevanza, ai fini fiscali, gli elementi reddituali e patrimoniali rappresentati in
bilancio in base al criterio della “prevalenza della sostanza sulla forma” stabilito dall’art.
2423- bis cod. civ. (criteri di rilevazione iniziale, valutazione di crediti e debiti al costo
ammortizzato, sale and lease back, operazioni “pronti contro termini”, ecc.)
- devono intendersi non applicabili le regole di competenza fiscale di cui all’art. 109, commi
1 e 2, TUIR e ogni altra disposizione fiscale che assuma i componenti patrimoniali e
reddituali in base a regole di rappresentazione non conformi al principio di prevalenza della
sostanza sulla forma.
Si deve però rilevare che anche per i soggetti per i quali non trova applicazione il principio di
derivazione rafforzata sono sempre più assoggettati al principio di prevalenza della sostanza sulla
forma e che i criteri dell’art. 109, commi 1 e 2, TUIR sono molto simili a quelli disciplinati dai
principi OIC.

In ogni caso, anche per i soggetti che applicano il principio di derivazione rafforzata restano ferme
le disposizioni fiscali che prevedono:
- limiti quantitativi alla deduzione di componenti negativi (es. ammortamenti, spese di
rappresentanza, svalutazione crediti, interessi passivi) o la loro esclusione dalla formazione
del reddito imponibile (es. accantonamenti diversi da quelli individuati nel TUIR) o la
ripartizione in più periodi d’imposta (es. spese di manutenzione per l’importo eccedente il
5% del costo dei beni ammortizzabili)
- l’esenzione o l’esclusione, parziale o totale, dalla formazione del reddito imponibile di
componenti positivi (es. dividendi e plusvalenze da partecipazioni) o la ripartizione in più
periodi d’imposta (es. le plusvalenze su beni detenuti da almeno tre anni)
- la rilevanza di componenti positivi o negativi nell’esercizio della loro percezione o del loro
pagamento (es. interessi di mora, compensi agli amministratori, dividendi).
55
L’imposta sul reddito delle società è un’imposta:
- proporzionale, con aliquota del 24%
- periodica.
L’art. 76 TUIR stabilisce infatti che l’IRES è dovuta per periodi di imposta, a ciascuno dei quali
corrisponde una obbligazione tributaria autonoma salvo quanto stabilito negli artt. 80 e 84.
Il periodo d’imposta è costituito dall’esercizio o periodo di gestione della società o dell’ente,
determinato dalla legge o dall’atto costitutivo e, pertanto, può non coincidere con l’anno solare.
Tuttavia, se la durata dell'esercizio o periodo di gestione non è determinata dalla legge o dall'atto
costitutivo, o è determinata in due o più anni, il periodo di imposta è costituito dall'anno solare.
La separazione dell’obbligazione tributaria di ciascun periodo d’imposta trova due limitazioni in
relazione rispettivamente al “riporto o rimborso delle eccedenze” ed al “riporto delle perdite”.

L’art. 80 del TUIR stabilisce che se l'ammontare complessivo dei crediti per le imposte pagate
all'estero, delle ritenute d'acconto e dei versamenti in acconto di cui ai precedenti articoli è
superiore a quello dell'imposta dovuta il contribuente ha diritto, a sua scelta, di:
- computare l'eccedenza in diminuzione dell'imposta relativa al periodo di imposta
successivo
- di chiederne il rimborso in sede di dichiarazione dei redditi
- di utilizzare la stessa in compensazione (disciplinata dall’art. 17 del D.lgs. n. 241/1997).

L’art. 84 del TUIR disciplina il riporto delle perdite:


“la perdita di un periodo d’imposta, determinata con le stesse norme valevoli per la
determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi
d’imposta successivi in misura non superiore all’80% del reddito imponibile di ciascuno di essi e
per l’intero importo che trova capienza in tale ammontare”
La perdita compensabile è, pertanto, correlata all’ammontare del reddito prodotto: la perdita,
infatti, può essere utilizzata solo fino all’80% del risultato imponibile realizzato nel periodo
d’imposta; l’eventuale eccedenza non utilizzata può essere riportata negli esercizi successivi.
Questa limitazione quantitativa non si applica alle perdite fiscali realizzate nei primi tre periodi
d’imposta dalla data di costituzione. Tali perdite, poiché conseguite nella fase di start up e, quindi,
ritenute dal legislatore fisiologiche, possono essere computate in diminuzione del reddito
complessivo dei periodi d’imposta successivi entro il limite del reddito imponibile di ciascuno di
essi e per l’intero importo che trova capienza nel reddito imponibile di ciascuno di essi a
condizione che si riferiscano ad una nuova attività produttiva.

Nell’art. 109 del TUIR troviamo principi generali sulle valutazioni. Particolare attenzione va
dedicata:
- al principio di competenza
- al principio di inerenza
- al principio di previa imputazione a conto economico

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L’art. 109 TUIR prevede che i componenti reddituali vadano rilevati, salvo deroghe del TUIR, in
base alla competenza economica (non secondo il principio di cassa).
Tale disposizione, al comma 2, prevede che per le cessioni di beni si debba fare riferimento:
- alla data di consegna o spedizione per i beni mobili
- alla stipula dell’atto di trasferimento ovvero, se successiva, alla data in cui si verifica
l’effetto traslativo o costitutivo della proprietà o di altro diritto reale, per gli immobili e per
le aziende.
Per le prestazioni di servizi, invece si deve fare riferimento:
- alla data in cui le prestazioni sono ultimate
- ovvero, per i servizi dipendenti da contratti di locazione, mutuo, assicurazione e altri
contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi
stessi.
La norma, inoltre, prevede che i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di
competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare
concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni. Viene perciò richiesto che i
componenti reddituali siano certi (cioè non meramente supposti) ed obiettivamente determinabili
(cioè non stimati).
Il principio di competenza è strettamente legato a quello di cd. correlazione, in base al quale i costi
debbono seguire in termini di competenza i ricavi. La correlazione non viene espressamente
richiamata nel TUIR, ma viene spesso applicata (si pensi a quanto accade per ammortamenti,
rimanenze, ecc.).
Per alcune tipologie di componenti reddituali (per esempio, imposte, dividendi, interessi di mora,
compensi agli amministratori), il TUIR, in deroga a tale principio generale, impone di adottare il
principio di cassa.

L’art. 109, comma 2, TUIR dovrebbe non trovare applicazione per i soggetti che applicano il
principio di derivazione rafforzata. Per i soggetti OIC-adopter diversi dalle microimprese, pertanto,
si farà riferimento alle regole contenute negli OIC 15 e OIC 19.
Tali principi, comunque, dettano regole molto simili a quelle previste dall’art. 109, comma 2, del
TUIR poiché richiedono che crediti e debiti (e, conseguentemente, costi e ricavi) originati da
operazioni di vendita e di acquisto di beni concorrono alla formazione del reddito nell’esercizio in
cui si verificano entrambe le seguenti condizioni:
- il processo produttivo dei beni è stato completato
- si è verificato il passaggio sostanziale e non formale del titolo di proprietà assumendo
quale parametro di riferimento, per il passaggio sostanziale, il trasferimento dei rischi e dei
benefici (cosa che, in molti casi, avviene con la consegna o spedizione del bene).
Per i servizi i citati OIC prevedono che si debba fare riferimento al momento in cui servizio è reso o
è stato ricevuto, cioè nel momento in cui la prestazione è stata effettuata.

In base al principio di inerenza sono deducibili solamente i costi che, direttamente o


indirettamente, generano ricavi o comunque, sono, funzionali all’esercizio dell’attività d’impresa.

57
Di contro, sono indeducibili i costi estranei all’attività svolta dal soggetto passivo (come le spese
sostenute per finalità personali dei soci o amministratori).
Tale previsione si ricava direttamente dalla definizione di reddito d’impresa e deve essere tenuta
distinta dalla regola dell’art. 109, comma 5, TUIR, che esclude la deducibilità dei costi che
producono redditi esenti da tassazione: “le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli
interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella
misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a
formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.

L’art. 109, comma 4, TUIR statuisce che:


“le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui
non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza”.
L’imputazione a conto economico di un costo è condizione necessaria, ma non sufficiente per la
sua deducibilità (dovrà anche essere di competenza e inerente).
Di contro, i ricavi sono tassabili anche se non risultano imputati al conto economico (in altre
parole, anche i ricavi non contabilizzati, cioè conseguiti in nero, sono tassabili).
La regola della previa imputazione a conto economico dei costi trova principalmente tre deroghe:
- costi imputati a conto economico di un esercizio precedente la cui deducibilità fiscale è
stata rinviata sulla base della normativa fiscale (per esempio, un costo accantonato in
esercizi precedenti e, in generale, tutti i costi per i quali è stata fatta in precedenza una
variazione in aumento temporanea)
- costi non imputati a conto economico, ma deducibili per espressa previsione di legge (per
esempio, costi figurativi deducibili per effetto di disposizioni agevolative)
- costi non imputati a conto economico, ma specificatamente afferenti a ricavi e proventi
d’impresa che risultano da elementi certi e precisi (i costi «in nero» relativi a ricavi «in
nero» che siano stati accertati dall’Amministrazione finanziaria).

I componenti positivi del reddito possono essere essenzialmente distinti come segue:
- ricavi
- plusvalenze
- sopravvenienze attive
Strettamente connessa alla distinzione di cui sopra vi è la distinzione tra “beni merce” (la cui
cessione produce ricavi) ed “immobilizzazioni” (la cui cessione produce plusvalenze o
minusvalenze).
Le “immobilizzazioni” possono essere a loro volta distinte tra “immobilizzazioni meramente
patrimoniali” (acquisite a titolo di puro investimento) ed “immobilizzazioni strumentali” (acquisite
per essere utilizzate durevolmente nel ciclo produttivo aziendale).

L’art. 85 TUIR stabilisce che costituiscono ricavi:


a) i corrispettivi delle cessioni di “beni merce” e delle prestazioni di servizi alla cui produzione
o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa

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b) i corrispettivi delle cessioni di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e di altri beni
mobili, esclusi quelli strumentali, acquistati o prodotti per essere impiegati nella
produzione dei “beni merce”
c) i corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di partecipazioni o titoli che non costituiscono
immobilizzazioni finanziarie
d) le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita
o il danneggiamento di beni di cui alle precedenti lettere
e) i contributi in denaro, o il valore normale di quelli in natura, spettanti sotto qualsiasi
denominazione in base a contratto o a norma di legge (eccezione fatta i contributi in conto
capitale).

I ricavi sono valorizzati in base al corrispettivo pattuito ovvero, in caso di operazioni effettuate a
titolo gratuito, in base al valore normale.
L’art. 85 prevede infatti che si comprende inoltre tra i ricavi il valore normale dei beni di cui al
comma 1 assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa.  nel caso in cui
un socio prende un bene dell’azienda a titolo gratuito, può farlo ma l’azienda deve registrare la
vendita al prezzo di mercato anche se non riceve il pagamento.

Nel caso di cessione di immobilizzazioni (beni diversi dai beni merce) viene realizzata una
plusvalenza o minusvalenza.
La plusvalenza imponibile è determinata dalla differenza tra il corrispettivo pattuito (ovvero il
valore normale del bene in caso di atti a titolo gratuito) ed il valore fiscalmente riconosciuto del
bene ceduto (cioè costo d’acquisto meno ammortamenti dedotti).
In generale, la plusvalenza realizzata è imponibile nell’anno in cui interviene la cessione del bene.
Tuttavia, in caso di “immobilizzazioni” detenute per almeno tre anni, è possibile ripartire in quote
costanti la plusvalenza realizzata nell’esercizio in cui si è verificata la cessione e nei quattro
successivi (art. 86, comma 4, TUIR).
Le plusvalenze sono imponibili, non solo in caso di cessione a titolo oneroso del bene, ma anche in
caso di risarcimento, anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni o se i
beni vengono assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all'esercizio dell'impresa.

Le sopravvenienze attive sono costituite da rettifiche a vantaggio del contribuente di eventi


contabilizzati in precedenti periodi di imposta.
“Si considerano sopravvenienze attive i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdite
od oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi e i ricavi o altri proventi
conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in precedenti
esercizi, nonché la sopravvenuta insussistenza di spese, perdite od oneri dedotti o di passività
iscritte in bilancio in precedenti esercizi” (art. 88 TUIR).
Sono considerati sopravvenienze attive anche i contributi in conto capitale.
I contributi “in conto impianti”, invece, vengono contabilizzati in riduzione del valore del cespite.
Di contro, non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a
fondo perduto o in conto capitale alle società o enti commerciali residenti nonché la rinuncia dei
soci ai crediti per la parte che non eccede il relativo valore fiscale.

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Per quel che riguarda i proventi immobiliari si deve precisare che:
- gli immobili che sono beni merce generano componenti reddituali come gli altri beni merce
- gli immobili che sono beni strumentali generano componenti reddituali come gli altri beni
strumentali.
NB: Gli immobili possono essere strumentali per destinazione (poiché impiegati nell’attività
imprenditoriale) o per natura (poiché catastalmente appartenenti alle categorie diverse da quelle
che contraddistinguono gli immobili abitativi a/1 – a/9).
Gli immobili rimanenti (a/1 – a/9 non impiegati come beni strumentali per destinazione) sono
definiti immobili “meramente patrimoniali”.
I costi di tali immobili non sono deducibili ed il loro reddito concorre a formare l’imponibile (che è
sempre considerato reddito d’impresa) in misura pari:
- se non locati, alla rendita catastale
- se locati, al maggiore tra rendita catastale e canone di locazione ridotto fino al 15% delle
spese effettivamente sostenute

A fine esercizio occorre rettificare i costi di acquisto delle merci che non hanno ancora generato i
ricavi per i quali sono stati sostenuti.
La rilevazione delle rimanenze finali consente di sospendere costi, in modo tale che vengano presi
in considerazione quanto i relativi ricavi saranno generati, coerentemente con il principio di
competenza economica ed il corollario della correlazione.
Le “rimanenze finali” di un esercizio diverranno nell’esercizio successivo “rimanenze iniziali”.
L’art. 92 del TUIR ammette la valutazione a costi specifici o, per i beni distinti in categorie
omogenee, in misura non inferiore al valore derivante dall’adozione dei criteri LIFO, FIFO o della
media ponderata. Se in bilancio vengono impiegati criteri diversi, è necessario adottare un valore
non inferiore a quello risultante dall’adozione del criterio LIFO a scatti.
Per le opere di durata ultrannuale pattuite come oggetto unitario, è prevista la valorizzazione delle
rimanenze in base al criterio del “corrispettivo pattuito”, anziché al “costo”. Il margine della
commessa viene così imputato anno per anno lungo la durata della commessa.

Gli ammortamenti, se iscritti in conto economico, possono essere dedotti nella misura massima
derivante dall’applicazione dei coefficienti stabiliti dal D.M. 31 dicembre 1988.
Per gli immobili, è previsto che non siano ammortizzabili i terreni (agricoli o edificabili) ed i terreni
sottostanti i fabbricati (il cui valore è stimato forfettariamente nella misura del 30% del costo
complessivo del bene immobile in caso di fabbricati industriali, ovvero nella misura del 20% in tutti
gli altri casi).
L’ammortamento deve iniziare nell’esercizio in cui lo stesso entra in funzione; nel primo esercizio
in cui il bene entra in funzione l’aliquota di ammortamento applicabile è ridotte alla metà.
Il costo di acquisto dei beni di costo unitario inferiore ad € 516,46 possono essere integralmente
dedotti nell’esercizio in cui sono stati sostenuti.

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Decreto 2006, dice che non può essere dedotto tutto il costo di un fabbricato dato che questo
posa su un terreno (per definizione non ammortizzabile), devo quindi ammortizzare il valore
dell’immobile al netto del costo del terreno.

Per quanto riguarda i beni acquisiti mediante leasing finanziario: (si deduce il canone)
- per i beni mobili, è prevista la deducibilità dei canoni di locazione finanziaria imputati a
conto economico in un periodo non inferiore alla metà della durata dell’ammortamento
previsto ai fini tributari
- per i beni immobili è stabilita la durata minima per la deducibilità dei canoni di leasing pari
a dodici anni

Per i beni immateriali l’art. 103 TUIR prevede quanto segue:


1. Le quote di ammortamento del costo dei diritti di utilizzazione di opere dell'ingegno, dei
brevetti industriali, dei processi, formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite in
campo industriale, commerciale o scientifico sono deducibili in misura non superiore al 50
per cento del costo; quelle relative al costo dei marchi d'impresa sono deducibili in misura
non superiore ad un diciottesimo del costo.
2. Le quote di ammortamento del costo dei diritti di concessione (quando pago per prendere
in concessione un bene, esempio la concessione su autostrade o spiagge) e degli altri diritti
iscritti nell’attivo del bilancio sono deducibili in misura corrispondente alla durata di
utilizzazione prevista dal contratto o dalla legge.
3. Le quote di ammortamento del valore di avviamento iscritto nell'attivo del bilancio sono
deducibili in misura non superiore a un diciottesimo del valore stesso.

L’art. 108 TUIR, poi, prevede che le altre spese relative a più esercizi sono deducibili nel limite della
quota imputabile a ciascun esercizio (in sostanza, seguendo le regole dei principi contabili).
In base a tale disposizione sono deducibili nell’esercizio le spese di pubblicità (dirette a diffondere
la conoscenza del prodotto e del marchio con forme diverse dall’erogazione gratuita di beni).
Per le spese di rappresentanza è prevista una norma ad hoc, con un limite di deducibilità pari
all’ammontare dei ricavi e proventi della gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla
dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo in misura pari:
a) all’1,5% dei ricavi e altri proventi fino a euro 10 milioni
b) allo 0,6% dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 10 milioni e fino a 50 milioni
c) allo 0,4% dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente euro 50 milioni
Il D.M. 19.11.2008 definisce le spese di rappresentanza come quelle per erogazioni a titolo
gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni e il cui
sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell'obiettivo di generare anche
potenzialmente benefici economici per l'impresa ovvero sia coerente con pratiche commerciali di
settore.
Costituiscono, in particolare, spese di rappresentanza:
- le spese per viaggi turistici in occasione dei quali siano programmate e in concreto svolte
significative attività promozionali dei beni o dei servizi la cui produzione o il cui scambio
costituisce oggetto dell'attività caratteristica dell'impresa
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- le spese per feste, ricevimenti e altri eventi di intrattenimento organizzati in occasione di
ricorrenze aziendali o di festività nazionali o religiose
- le spese per feste, ricevimenti e altri eventi di intrattenimento organizzati in occasione
dell’inaugurazione di nuove sedi, uffici o stabilimenti dell'impresa
- le spese per feste, ricevimenti e altri eventi di intrattenimento organizzati in occasione di
mostre, fiere, ed eventi simili in cui sono esposti i beni e i servizi prodotti dall'impresa
- ogni altra spesa per beni e servizi distribuiti o erogati gratuitamente, ivi inclusi i contributi
erogati gratuitamente per convegni, seminari e manifestazioni simili il cui sostenimento
risponda ai criteri di inerenza indicati nel presente comma.

L’art. 102, comma 6, TUIR, stabilisce che le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento
e trasformazione, non imputate ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono (destinate
ad essere ammortizzate), possono essere dedotte, in relazione al periodo di effettivo possesso dei
beni oggetto di manutenzione, nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali
ammortizzabili quale risulta all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili; la parte
eccedente tale limite può essere dedotta in quote costanti nei cinque esercizi successivi.
La manutenzione ordinaria è un costo in conto economico, non aumenta il valore del bene. La
manutenzione straordinaria invece non viene iscritta a conto economico, bisogna capitalizzarla
(non la faccio tutti gli anni, quella manutenzione mi dura per più anni quindi va ammortizzata).

Il TUIR prevede una disciplina molto stringente per gli accantonamenti.


Sono deducibili gli accantonamenti per indennità di fine rapporto di lavoro dipendente e fondi di
previdenza, caratterizzati dalla certezza, sia nell’an che nel quantum, già al momento della
rilevazione contabile. La quota deducibile è quella maturata nell’esercizio e sempre che tali fondi
vengano costituiti in conti individuali di ogni singolo dipendente.
Anche gli accantonamenti effettuati sulla base di rapporti di collaborazione coordinata e
continuativa (cd. TFM, trattamento di fine mandato) sono deducibili, purché risultanti da un atto
con data certa anteriore all’inizio del rapporto lavorativo.

L’art. 106 TUIR, poi, prevede che gli accantonamenti e le svalutazioni per rischi su crediti siano
deducibili in ciascun esercizio entro il limite massimo dello 0,5% del valore dei crediti commerciali
esposti in bilancio e derivanti da cessioni di beni e da prestazioni di servizi che hanno generato
ricavi.
Sono esclusi dal computo i crediti coperti da garanzia assicurativa, i crediti derivanti dalla cessione
di beni patrimoniali e di beni strumentali.
La deducibilità dell’accantonamento è consentita fintantoché il fondo non abbia raggiunto il 5%
del valore nominale o di acquisizione dei crediti risultanti alla fine del periodo di imposta dal
bilancio.
Le perdite su crediti sono deducibili alle condizioni fissate dal precedente art. 101 del TUIR,
sempre che eccedano il fondo stanziato (in sostanza, in caso di perdita, si deve «utilizzare» il fondo
e riprendere con gli accantonamenti).

In base all’art. 101 del TUIR sono deducibili le perdite su crediti che risultano da elementi «certi e
precisi», cioè:
62
- se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o simili
- quando il credito sia di modesta entità (5.000 € per società con fatturato > 300 milioni di €;
2.500 negli altri casi) e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del
credito stesso
- quando il diritto alla riscossione del credito è prescritto
- in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili

L’art. 107 del TUIR contiene una norma di chiusura, che dispone che la totale indeducibilità degli
“accantonamenti diversi da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del presente Capo”
(vi sono alcune limitate eccezioni per specifici settori).

L’art. 99 TUIR prevede che:


- le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono
ammesse in deduzione
- le altre imposte sono deducibili nell'esercizio in cui avviene il pagamento (cd. criterio di
cassa).

L’art. 101 TUIR prevede che:


- le minusvalenze relative a beni dell’impresa diversi dai “beni merce” siano deducibili dal
reddito se realizzate mediante cessione a titolo oneroso, ovvero mediante risarcimento,
anche in forma assicurativa, per la perdita o il danneggiamento dei beni (ma non in caso di
destinazione ai soci o a finalità extra-imprenditoriali)
- sono sopravvenienze passive deducibili quelle consistenti nel mancato conseguimento di
ricavi od altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi, nel
sostenimento di spese, perdite od oneri a fronte di ricavi o altri proventi che hanno
concorso a formare il reddito in precedenti esercizi e nella sopravvenuta insussistenza di
attività iscritte in bilancio in precedenti esercizi

Una disciplina particolare (volta essenzialmente a disincentivare l’indebitamento e incentivare il


rafforzamento patrimoniale) è prevista in materia di interessi passivi.
Mentre gli interessi attivi concorrono alla formazione del reddito d’impresa in base al principio di
competenza e secondo la remunerazione pattuita tra le parti (nel caso in cui la misura degli
interessi non sia stata pattuita tra le parti, si applica il tasso di interesse legale) gli interessi passivi
sono deducibili, sempre in base al principio di competenza, solamente nel rispetto dell’art. 96
TUIR.
Tale disposizione stabilisce che gli interessi passivi sono deducibili, in prima battuta, in misura
corrispondente all’ammontare degli interessi attivi. L’eventuale eccedenza degli interessi passivi
rispetto agli interessi attivi, invece, è deducibile fino a concorrenza del 30% del risultato operativo
lordo della gestione caratteristica (c.d. ROL) cioè, in sostanza, della differenza tra il valore della
produzione (art. 2425, lett. A, c.c.) ed i costi della produzione (art. 2425, lett. B, c.c.), senza però
considerare ammortamenti e canoni di locazione finanziaria di beni strumentali.
Per evitare distorsioni relative in relazione alla suddivisione in periodi d’imposta, è previsto un
meccanismo di riporto delle eccedenze.
63
Attenzione: l’art. 109 del TUIR prevede che gli interessi di mora (attivi e passivi) concorrono alla
formazione del reddito nell'esercizio in cui sono percepiti o corrisposti (criterio di cassa).

Il TUIR prevede discipline particolari per quanto riguarda:


- dividendi e plusvalenze e minusvalenze azionarie
- rapporti con società estere
- gruppi societari

L’art. 89 TUIR disciplina gli utili conseguiti dai soggetti passivi IRES dalla partecipazione in società di
persone ed in altre società di capitali.
Mentre per le partecipazioni in società di persone trova applicazione l’art. 5 TUIR (imputazione per
trasparenza) per le partecipazioni in società di capitali la disciplina è più articolata.

Prima di tutto, si deve precisare che costituiscono dividendi la distribuzione ai soci (da parte di
società di capitali) di tutto o parte l’utile di esercizio in occasione dell’approvazione del bilancio,
nonché la distribuzione di riserve costituite con l’accantonamento di utili di esercizi precedenti
(riserva legale, riserva statutaria, riserva straordinaria, ecc.).
Non costituiscono dividendi le distribuzioni di riserve diverse da quelle formate con utili, come le
riserve di sovrapprezzo, i versamenti dei soci a fondo perduto o in conto capitale, le riserve di
rivalutazione esenti (c.d. riserve di capitale).
Quando una società partecipata distribuisce una somma è possibile che all’interno del suo
patrimonio vi siano sia riserve di utili sia riserve di capitale.
L’art. 47, comma 1, TUIR prevede una presunzione legale assoluta, secondo cui si presumono
distribuiti prioritariamente l’utile di esercizio e le riserve di utili (si vuole evitare che vengano
distribuite somme non imponibili in capo ai soci e mantenute nella società partecipata gli utili, che
sarebbero imponibili in capo ai soci se distribuiti).

In base all’art. 89 TUIR i dividendi:


- concorrono a formare il reddito delle società di capitali nell’esercizio nel quale sono
effettivamente percepiti (c.d. criterio di cassa)
- sono imponibili solo nella misura del 5% del loro ammontare.
Si tratta del regime di cd. “pex sui dividendi”. Tale misura non è una agevolazione, ma una misura
volta ad attenuare la doppia imposizione economica che deriva dalla somma della tassazione
presso la società che genera gli utili (tassati ai fini IRES) e presso i relativi soci società di capitali
(tassate nuovamente ai fini IRES) e persone fisiche (tassate al 26% ai fini IRPEF).
Si vuole evitare, in particolare, che nel caso di «catene di partecipazioni» (holding, sub-holding e
così via) gli utili di una società si trasformino in dividendi tassabili (e, dunque, utile tassabile) in
capo ad una seconda società e, infine, in dividendi tassabili ai fini IRPEF in capo al socio persona
fisica «a monte».

La “pex sui dividendi” (diversamente, come si vedrà, dalla pex sulle plusvalenze) non è subordinata
a particolari condizioni riferite all’attività della società partecipata ed all’iscrizione della
64
partecipazione nel bilancio del socio (trova applicazione sia per le partecipazioni dell’attivo
immobilizzato, sia per le partecipazioni dell’attivo circolante).
La “pex sui dividendi” trova alcune deroghe con riferimento ai dividendi provenienti da società
ubicate in Paesi che garantiscono trattamenti «di favore». L’art. 47-bis del TUIR prevede che si
considerano società che beneficiano di regimi privilegiati quelle ubicate in Paesi diversi da quelli
UE e SEE (sempre che scambino effettivamente informazioni con l’Italia) qualora:
- in caso di società controllate, siano assoggettate a tassazione effettiva inferiore alla metà
di quella a cui sarebbero state soggette qualora residenti in Italia
- negli altri casi, il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello
applicabile in Italia.

I dividendi derivanti da partecipazioni in società che beneficiano di regimi privilegiati sono


imponibili integralmente in capo alla società partecipante. È, tuttavia, possibile applicare la «pex
sui dividendi» (tassazione al 5%) anche su tali dividendi se si dimostra (anche mediante interpello)
che dalle partecipazioni sin dal primo periodo di possesso non consegua l'effetto di «localizzare i
redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato.
Tali dividendi, invece, sono tassabili nella misura del 50% se si dimostra che la società partecipata
svolga un'attività economica effettiva, mediante l'impiego di personale, attrezzature, attivi e locali
(in tal caso, inoltre, spetta il credito d’imposta «in ragione delle imposte assolte dall'impresa o
ente partecipato sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, in
proporzione alla quota imponibile degli utili conseguiti e nei limiti dell'imposta italiana relativa a
tali utili»).
NB: per gli utili derivanti dalle sole partecipazioni di controllo in società che beneficiano di regimi
fiscali privilegiati è previsto, a determinate condizioni, un meccanismo di tassazione «per
trasparenza» (art. 167 TUIR - cd. regime CFC, controlled foreign companies).

Stante le strette analogie tra dividendi e plusvalenze, è previsto un regime di esenzione per il 95%
anche per le plusvalenze che derivano dalla cessione di partecipazioni (nb: i dividendi sono definiti
esclusi al 95%, mentre le plusvalenze su partecipazioni sono definite esenti al 95%).
L’art. 87, però, prevede una serie di condizioni più stringenti affinché le plusvalenze siano esenti.
In particolare, è richiesto che esse derivino dalla cessione di partecipazioni:
- detenute ininterrottamente nei dodici mesi precedenti la cessione, considerando cedute
per prime quelle acquisite in data più recente
- classificate nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso
durante il periodo di possesso
- relative a società non residenti in Paesi a fiscalità privilegiata o per le quali sia accertato
che non è stato conseguito l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono
sottoposti a regimi fiscali privilegiati
- relative a società che esercitano un’impresa commerciale secondo la definizione di cui
all’art. 55 TUIR. In assenza di anche solamente uno di tali requisiti, le plusvalenze derivanti
dalla cessione di partecipazioni sono imponibili al 100%.

Viene inoltre precisato che:

65
- per il requisito sub d), senza possibilità di prova contraria, si presume che non svolgano
attività commerciale le società il cui valore del patrimonio è “prevalentemente costituito
da beni immobili diversi dagli immobili alla cui produzione o al cui scambio è
effettivamente diretta l'attività dell'impresa, dagli impianti e dai fabbricati utilizzati
direttamente nell'esercizio d'impresa. Si considerano direttamente utilizzati nell'esercizio
d'impresa gli immobili concessi in locazione finanziaria e i terreni su cui la società
partecipata svolge l'attività agricola”.
- i requisiti sub c) e sub d) devono sussistere ininterrottamente, al momento del realizzo,
almeno dall’inizio del terzo periodo d’imposta anteriore al realizzo stesso.
- nel caso di partecipazioni detenute in società holding o sub-holding (cioè società la cui
attività consiste in via esclusiva o prevalente nell'assunzione di partecipazioni) i requisiti
sub c) e sub d) vanno verificati in capo alle società indirettamente partecipate e si
verificano «quando tali requisiti sussistono nei confronti delle partecipate che
rappresentano la maggior parte del valore del patrimonio sociale della partecipante» (cd.
look through approach).

Specularmente, è previsto che le minusvalenze siano deducibili solo se realizzate e se relative a


partecipazioni iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie che non hanno i requisiti sopra indicati per
l’esenzione sulle plusvalenze.
In ogni caso, come per tutte le altre immobilizzazioni (materiali ed immateriali), non è prevista la
deducibilità delle svalutazioni eventualmente contabilizzate (per la deduzione, infatti, è richiesto il
«realizzo»).
Le partecipazioni iscritte nell’attivo circolante, invece, sottostanno sempre al trattamento proprio
dei beni-merce. Anche per le partecipazioni iscritte nell’attivo circolante non è mai ammessa la
svalutazione (le eventuali perdite possono emergere solamente in occasione del realizzo mediante
cessione).

L’art. 110, comma 7, del TUIR prevede una particolare disciplina (cd. transfer pricing) per quanto
riguarda i componenti reddituali derivanti da operazioni concluse con società appartenenti allo
stesso «gruppo» ma ubicate in Paesi diversi (a prescindere che si tratti di «paradisi fiscali» o
meno).
Tali componenti di reddito devono essere determinati (ai soli fini fiscali) con riferimento alle
condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di
libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito (in sostanza,
al valore di mercato).
Tale norma trova applicazione con riferimento a tutte le operazioni concluse tra soggetti residenti
in Paesi diverse se appartenenti al medesimo «gruppo» (costi e ricavi da acquisto merci,
plusvalenze, minusvalenze, ecc.).
Tale disposizione parte dal presupposto che i corrispettivi pattuiti nell’ambito di tali operazioni in
quanto fissati all’interno di un «gruppo» potrebbero non essere indicativi del reale valore delle
operazioni concluse e, magari, «manovrati» per «spostare» materia imponibile verso giurisdizioni
a minore tassazione.
NB: la norma, in prima battuta, prevede che il valore di mercato vada sostituito al corrispettivo
pattuito solamente se ciò comporta un aumento di imponibile in Italia.

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La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, ma
solamente secondo le modalità e alle condizioni di cui all'articolo 31-quater del D.P.R. 29
settembre 1973, n. 600, cioè:
a) in esecuzione degli accordi conclusi con le autorità competenti degli Stati esteri a seguito
delle procedure amichevoli previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie
imposizioni
b) a conclusione dei controlli effettuati nell'ambito di attività di cooperazione internazionale i
cui esiti siano condivisi dagli Stati partecipanti
c) a seguito di istanza da parte del contribuente a fronte di una rettifica in aumento definitiva
e conforme al principio di libera concorrenza effettuata da uno Stato con il quale è in
vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni sui redditi che consenta un
adeguato scambio di informazioni.

Gli artt. 117 e ss. TUIR prevedono un particolare regime opzionale di tassazione per «gruppi»
societari (cd. consolidato nazionale).
Per effetto di tale disciplina, la società consolidante determina il risultato fiscale complessivo della
«fiscal unit» come somma algebrica dei risultati fiscali complessivi netti (utile o perdita) delle
singole società che hanno optato per aderire al consolidato.
Nella base imponibile consolidata confluisce l’intero risultato fiscale delle società aderenti al
consolidato, anche se la partecipazione detenuta dalla consolidante non è totalitaria.
Le società controllate-consolidate, conseguentemente, non sono assoggettate ad autonoma
imposizione IRES, poiché è la controllante-consolidante che assolve l’intero debito d’imposta della
controllata-consolidata.
Il principale vantaggio garantito dall’istituto del consolidato fiscale è costituito dalla possibilità di
compensare le perdite realizzate da una società con i redditi prodotti dalle altre società (cd.
compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali).
Tutte le società che partecipano al consolidato redigono comunque una dichiarazione (senza la
liquidazione dell’imposta). La consolidante presenta anche la dichiarazione del consolidato, in cui
vengono sommati gli imponibili delle società che hanno aderito al consolidato e liquidata l’IRES
dovuta.

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IVA

L’IVA è un’imposta:
- che grava sui consumi
- proporzionale al corrispettivo (sia pure con aliquote differenti)
- che colpisce le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato
effettuate nell’esercizio di imprese o di arti e professioni, nonché tutte le importazioni da
chiunque effettuate

L’IVA è una materia caratterizzata da fortissimi tecnicismi, vi sono molti regimi speciali e transitori,
norme derogatorie, deroghe alle deroghe, ecc…
La complessità aumenta se si considera che vi sono diverse categorie di operazioni, alcune delle
quali, seppur non imponibili, rilevano comunque ai fini della determinazione del tributo.
Anche dal punto di vista delle fonti l’IVA è una materia complessa. Essa è un’imposta di matrice
unionale e, pertanto, in materia abbiamo:
- Regolamenti e Direttive
- norme interne di rango primario e secondario
- giurisprudenza comunitaria e nazionale
La norma principale in Italia è il DPR n. 633/1972.

È necessario distinguere i “soggetti IVA” (imprenditori e lavoratori autonomi) dai “consumatori


finali”.
I “soggetti IVA” pagano ai propri fornitori l’IVA sugli acquisti conclusi e incassano l’IVA sulle vendite
effettuate, grazie al metodo della rivalsa e della detrazione i “soggetti IVA” versano all’Erario solo
la differenza tra l’imposta incassata e quella pagata, cosicché non ne sopportano economicamente
il peso. (contabilmente l’IVA, nella normalità dei casi, non è un costo per le imprese, bensì una
partita di credito e debito)
L’IVA è perciò un’imposta plurifase non cumulativa:
- è applicata ad ogni passaggio del ciclo produttivo e distributivo
- l’Erario incassa ad ogni passaggio solamente l’imposta computata sulla differenza tra le
operazioni attive le operazioni passive (cioè, per l’appunto, sul valore aggiunto).
Per i “soggetti IVA” l’imposta diviene quindi in linea di principio neutrale. Il tributo finisce con il
pesare integralmente sul consumatore finale, che versa l’IVA al proprio fornitore e non ha la
possibilità di detrarla o di recuperarla rivalendosene su soggetti terzi.
In alcuni casi, però, l’IVA non può essere detratta neppure dai “soggetti IVA”, in tal caso, l’IVA
pagata da questi ultimi diviene un costo per gli stessi.  l’IVA non detraibile viene considerata
come un costo deducibile per l’imponibile dell’esercizio.

Il meccanismo “rivalsa-detrazione”:
GROSSISTA
P vendita = BI + IVA = 100 + 22 = 122 (IVA “a debito”)

68
DETTAGLIANTE
P acquisto = 100 + 22 = 122 (IVA “a credito” su acquisti: è detraibile)
P vendita = 300 + 66 = 366 (IVA “a debito”, rivalsa su consumatore finale)
CONSUMATORE FINALE
P acquisto = 300 + 66 = 366 (IVA non detraibile, in quanto NO “soggetto IVA”).

Prendiamo l’esempio del DETTAGLIANTE, che verserà all’Erario 44, cioè 66 – 22


- 44 corrisponde al 22% (aliquota IVA) di 200
- 200 è pari alla differenza tra prezzo di vendita e costo di acquisto (netto Iva) (300 – 100).
Si tratta, in sostanza, del “VALORE AGGIUNTO” del DETTAGLIANTE

 Ad essere colpito dall’IVA è sempre l’acquirente finale che non può detrarla non essendo
un soggetto IVA

Più che di presupposto del tributo si parla di operazioni che rilevano ai fini dell’IVA:
- Cessioni di beni effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese, arti o
professioni
- Prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese, arti o
professioni
- Importazioni da chiunque effettuate.

Vi sono dunque:
 Un presupposto oggettivo
 Un presupposto soggettivo
 Un presupposto territoriale
Le operazioni che realizzano tutti i presupposti possono essere imponibili o esenti, le operazioni
che non realizzano i presupposti sono escluse (definite anche “non IVA” o “fuoricampo”). Le
cessioni intra UE e le esportazioni sono definite operazioni non imponibili.

Presupposto oggettivo:
- Cessioni di beni (art. 2 del DPR 633/1972): Cessioni “a titolo oneroso che importano
trasferimento della proprietà ovvero costituzione o trasferimento di diritti reali di
godimento su beni di ogni genere … le cessioni gratuite di beni …la destinazione di beni
all'uso o al consumo personale o familiare …”
- Prestazioni di servizi (art. 3 del DPR 633/1972): “prestazioni verso corrispettivo dipendenti
da contratti d'opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione,
deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la
fonte”

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Presupposto soggettivo:
- Esercizio di imprese (Art. 4 del DPR 633/1972): “esercizio per professione abituale,
ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 e 2195
del Codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l'esercizio di
attività, organizzate informa d'impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano
nell'articolo2195 del Codice civile”
- Esercizio di arti e professioni (Art. 5 del DPR 633/1972): “l'esercizio per professione
abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di
persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità
giuridica costituite tra persone fisiche per l'esercizio informa associata delle attività stesse”

Presupposto territoriale:
- Cessioni di beni: si considerano effettuate nel territorio dello Stato se hanno per oggetto
beni immobili ovvero beni mobili nazionali, comunitario vincolati al regime della
temporanea importazione, esistenti nel territorio dello stesso ovvero beni mobili spediti da
altro Stato membro installati, montati o assiemati nel territorio dello Stato dal fornitore o
per suo conto
- Prestazioni di servizi verso:
Clienti “consumatori finali”  si valuta il luogo prestatore del servizio (operazione B2C)
Clienti “soggetti IVA”  si valuta il luogo del committente (operazione B2B)
NB: vi sono numerose deroghe per varie categorie di servizi

Cessioni all’esportazione: regime di non imponibilità (art. 8, 8-bis e 9 del DPR n. 633/1972)

Operazioni intraUE: il D.L. n. 331/1993 disciplina una sistema (transitorio) basato su tassazione nel
Paese di origine per le cessioni a consumatori finali; per le cessioni a “soggetti IVA” vi è un sistema
basato sulla detassazione (vengono emesse fatture «senza iva») e sull’assolvimento dell’IVA nel
Paese di destinazione (viene applicato il cd. reverse charge, cioè l’annotazione a credito ed a
debito dell’IVA applicata sul corrispettivo indicato in fattura).

Base imponibile (art. 13 DPR n. 633/1972): “è costituita dall’ammontare complessivo dei


corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e
le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al
committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da
altri soggetti”.
Aliquota (art. 16 DPR n. 633): 22% salvo deroghe al 4%, 5% e 10%
Operazioni esenti (art. 10 del DPR n. 633/1972):
Tipologie diverse
Finalità diverse (agevolative per consumatore finale o tecniche, per esempio per consentire di
applicare tributi diversi a particolari tipi di operazioni)

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Imposta dovuta (Art. 17 del DPR n. 633/1972):
“L'imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi
imponibili, i quali devono versarla all'erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e
al netto della detrazione prevista nell'art. 19”
Rivalsa (Art. 18 del DPR n. 633/1972):
“Il soggetto che effettua la cessione di beni o prestazione di servizi imponibile deve addebitare la
relativa imposta, a titolo di rivalsa, al cessionario o al committente”
Detrazione (Art. 19 DPR 633/1972):
“è detraibile dall'ammontare dell'imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell'imposta
assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai
servizi importati o acquistati nell'esercizio dell'impresa, arte o professione”.
La detrazione è il meccanismo che consente ai “soggetti passivi” di neutralizzare l’IVA e di renderla
sostanzialmente una “partita di giro” creditoria e debitoria.
Nei casi in cui la detrazione non può essere esercitata integralmente l’IVA diviene un costo anche
per il “soggetto IVA” (alla stregua di quanto accade per il “consumatore finale”).
Percentuale di detrazione (Art. 19-bis DPR 633/1972):
Per i contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il
diritto alla detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti, il diritto alla detrazione
dell'imposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni.

In materia di IVA sussistono molteplici obblighi strumentali, primo tra tutti quello dell’emissione
della fattura (art. 21 DPR n. 633/1972), si tratta di un documento (ora telematico) numerato in
ordine progressivo contenente l’indicazione delle parti, del numero di partita iva dell’emittente,
dell’oggetto dell’operazione cui si riferisce, della base imponibile, dell’aliquota e dell’imposta.
La fattura deve essere emessa anche per le operazioni non imponibili e per quelle esenti,
indicando la norma da cui dipende il loro regime. La fattura non deve essere emessa (salvo
richiesta del cliente), ed è sostituita dalla ricevuta o dallo scontrino fiscale, per la maggior parte
delle cessioni e prestazioni effettuate in locali aperti al pubblico.

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