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DIRITTO TRIBUTARIO

Il diritto tributario è l’insieme delle disposizioni che disciplinano i tributi, possono essere sulle fattispecie
impositive ovvero quell’insieme degli elementi il cui verificarsi sorge l’obbligo di corrispondere una forma di
denaro o riguardano i procedimenti di applicazione, accertamento e riscossione dei tributi.
Queste norme possono regolare quindi sia il rapporto che si istaura fra il soggetto attivo, che preleva
ricchezza dall’economia private, e il soggetto passivo, il contribuente.
Il rapporto prende il nome di rapporto obbligatorio di imposta.
Ci saranno comunque altri tipi di rapporti relativi agli obblighi strumentali al pagamento dei tributi.

Le nozioni sono coestensive (condividono la stesse tensione). Il diritto tributario per definizione è quel
settore dell’ordinamento giuridico che disciplina i tributi, che sono anche oggetto di studio da parte della
scienza delle finanze, ma la differenza è che il primo ha come oggetto lo studio delle norme che disciplinano
il fenomeno impositivo di stampo giuridico, studia solo le entrate pubbliche di natura tributaria, invece la
scienza delle finanze ha per oggetto non solo le entrate tributarie ma tutte le entrate pubbliche e anche
delle spese pubbliche.
La scienza delle finanze studia i modelli teorici della politica fiscale e il modo in cui si ripartiscono le spese
pubbliche e gli effetti della finanza pubblica, non giuridica ma economica.
Il diritto tributario si distingue dal diritto finanziario, che si intendeva lo studio dell’intero ambito
dell’attività finanziaria dello stato, entrate e uscite.
Il diritto tributario è un settore autonomo, in passato era considerato un diritto speciale rispetto al diritto
comune. Oggi si afferma che il diritto tributario ha una propria autonomia anche rispetto al suo genitore
diritto amministrativo.

Il diritto tributario viene anche definito diritto di secondo grado, cioè che utilizza e prende in prestito
istituti, strumenti e nozioni appartenenti ad altre branche del diritto. Il diritto tributario si riferisce a
rapporti e situazioni che possono essere già disciplinati altrove in altri ordinamenti ad esempio quando
parliamo di procedimento tributario la nozione di procedimento bisogna considerarla allo stesso modo in
cui la consideriamo nell’ambito del diritto amministrativo.
Studiare le norme di diritto tributario vuol dire coordinare le norme di natura fiscale con eventualmente le
norme attualmente esistenti in altri settori.
Questa operazione di studio in parallelo è particolarmente problematica, deriva dal fatto che quando ci
troviamo di fronte ad un termine usato dal legislatore fiscale ci dobbiamo porre sempre la domanda
rispetto al significato e contenuto di quel termine, ovvero se ha un significato proprio del diritto tributario o
se il contenuto di quel termine debba essere ricercato in un altro settore dell’ordinamento.
Es: Possesso, ha un significato particolare nella norma fiscale?
Diritto tributario non è solo un diritto autonomo ma è anche un diritto che è specialistico e questa specialità
si traduce in una pluralità di sotto settori del diritto tributario che studiano particolari norme, tipo diritto
tributario internazionale, diritto tributario di impresa.

Concetto di entrata tributaria, è un entrata di natura pubblica, ovvero l’insieme delle risorse che affluiscono
allo stato per far fronte alle spese che necessariamente che lo stato deve sostenere.
Tra le entrate pubbliche figurano le entrate che derivano dall’utilizzo o di beni patrimoniali come avviene
nell’ambito della concessione di spiaggia per lo sfruttamento da parte di privati o le entrate che derivano
dallo svolgimento di attività economiche da parte di organismi di natura pubblica o le entrate che derivano
dalle riscossioni di sanzioni. Quelle particolari entrate che discendono dalla riscossioni di tributi prendono il
nome di entrate tributarie.

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Francesco Gruppelli
Le entrate possono essere classificate in vario modo, si definiscono entrate di diritto pubblico e privato a
seconda della disciplina pubblicistica o privatistica di quel particolare rapporto.
Entrate a titolo originario sono tutti i proventi che lo stato incassa dallo sfruttamento del territorio
nazionale, a titolo derivato sono tutte le altre.
Una distinzione è quella fra entrate commutative e entrate contributive, nelle prime si configura uno
scambio di utilità economica tra e ente impositore e contribuente, quindi lo stato incassa un tributo e
riceve un entrata a fronte di un’utilità che consegue il soggetto. Le altre non prevedono uno scambio di
utilità tra le parti, il soggetto è chiamato a corrispondere una somma di denaro pur in assenza di una utilità
che riceve.

Entrate tributarie
Dal punto di vista legislativo non abbiamo una definizione di tributo, il legislatore quindi non definisce cosa
si debba intendere per tributo, imposta, tassa. Ci sono però dei requisiti che si possono ricavare dalla
lettura delle norme fiscali per capire che cosa si debba intendere per tributo.
Possiamo però delineare dei requisiti:
1. Coattività, possiamo definire il tributo come un prelievo di ricchezza che attua di imperio, quindi
coattivamente nei confronti del contribuente lo stato procaccia i mezzi economici al fine di raggiungere
i propri fini istituzionali. Il tributo è sempre un entrata coattiva, imposto con atto dell’autorità, questa
caratteristica lo rende indipendente dalla volontà di chi subisce il prelievo.
2. Il tributo poi comporta sempre il sorgere di un obbligazione e questo aspetto distingue entrate
tributarie da altre forme di esercizio di coattività da parte dello stato che comportano limitazioni o
ablazioni, come avviene nel caso delle espropriazioni per pubblica utilità.
3. Fatto generatore, la causa che determina il sorgere di un tributo è sempre rappresenta da un fatto
economico, e questo distingue i tributi dalle sanzioni pecuniarie che sono collegate al verificarsi di un
fatto illecito.
4. Dal punto di vista funzionale il tributo realizza il concorso alla spesa pubblica, quindi il gettito derivante
dall’obbligazione è destinato a finanziare lo stato e altri enti pubblici, quindi non può mai essere tributo
un operazione imposta in cui il creditore non sia un ente pubblico. Affinché vi sia tributo non è
necessario individuare lo scopo per il quale il tributo è stato istituito, l’unica cosa è che deve essere
attribuito allo stato o altri enti pubblici.

Queste 4 caratteristiche ci definiscono che cos’è un tributo, ma tributo rappresenta una definizione di
genere che dobbiamo declinare a seconda di quattro diversi istituti di specie, che sono l’imposta, la tassa, il
monopolio fiscale e contributo (tributo speciale)

Per introdurre il concetto di imposta e distinguerlo dal concetto di tassa dobbiamo distinguere tra la
nozione di servizio divisibile e indivisibile. Il primo è il servizio che il consociato può fruire da solo in quanto
singolo, ad esempio l’istruzione o il trasporto, in quanto è il consociato che manifesta la volontà di usufruire
di un servizio come quello dell’istruzione, trasporto ecc. L’altra invece sono quelli usati dai consociati non in
modo individuale ma in quanto componenti della collettività, ad esempio la difesa e l’ordine pubblico.
Distinzione importante perché quelli divisibili sono finanziati mediante quei particolari tributi chiamati
tasse, ovvero somme di denaro che il singolo contribuente corrisponde nel momento in cui richiede quel
particolare servizio. L’altro sono finanziati mediante quei particolari tributi chiamati imposte.

Imposte
Prima definizione di imposte che possiamo dare è quella di prestazione a carattere contributivo quindi
sganciata da qualsiasi rapporto di scambio e di utilità con lente impositore.
L’imposta è una prestazione coattiva dovuta dal contribuente in base al presupposto di fatto che esclude
qualunque relazione specifica con un attività dell’ente pubblico che incassa l’entrata.
Il consociato realizza un cosiddetto presupposto di fatto o atto considerato dal legislatore fiscale e per il
semplice fatto di aver realizzato questo presupposto scatta l’imposizione, sganciata da qualsiasi rapporto di

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finalità ed è destinata a ripartire le spese pubbliche tra gli appartenenti alla collettività in relazione alla
cosiddetta capacità contributiva.
Entrata denominata imposta presuppone l’esercizio di una sovranità da parte di un ente impositore da
parte dello stato e ha come causa legis la necessità di procurare un entrata finanziaria all’ente impositore.
Dal punto di vista del titolo giustificativo del prelievo possiamo distinguere due orientamenti dottrinali: il
primo afferma che l’imposta è dovuta in funzione della forza economica espressa dal soggetto quella che
chiameremo capacità contributiva, l’altro invece afferma che la funzione specifica è quella di suddividere la
spesa per quei servizi indivisibili ripartendo tra tutti i consociati il costo della spesa pubblica per questi
servizi.
L’applicazione delle imposte è giustificata dal fatto che quel determinato consociato è titolare di situazione
e fatti indicativi di forza economica.
Viceversa secondo l’altro orientamento, l’imposta serve per ripartire la spesa.

Le imposte possono essere dirette o indirette. Le prime sono quelle che colpiscono un presupposto
impositivo direttamente espressivo di una forza economica/capacità contributiva, ad esempio IRPEF
colpisce il possesso di un reddito. Le altre sono quelle imposte che colpiscono una manifestazione indiretta
di capacita produttiva, esempio il consumo e quindi l’IVA, colpisce un particolare indice di capacità
contributiva indiretto.
Poi possono essere personali e reali, a seconda che nella loro disciplina abbia rilievo un elemento che
attiene alla persona del contribuente come la sua situazione personale. Se ha rilievo l’imposta è personale.
Viceversa se l’imposta colpisce il fatto espressivo di capacità contributiva considerato, senza nessuna
correlazione con la situazione personale, l’imposta ha natura reale

Tassa
La tassa è invece definibile come la prestazione che l’ente impositore impone al fine di procurarsi un
entrata in stretta correlazione all’espletamento di funzioni pubbliche che riguardano specificamente quel
soggetto obbligato al pagamento del tributo in una situazione di scambio di utilità.
La tassa configura una prestazione che diversamente dall’imposta si ispira al principio di correlatività e di
commutatività e non trova un titolo giustificativo della capacità contributiva del soggetto al quale il tributo
è richiesto.
Il soggetto chiede all’ente impositore l’espletamento di una pubblica funzione o un servizio pubblico e
quindi si rende dovuto questo tributo. La causa legis è quella di procurare un entrata allo stato ma il titolo
giustificativo è diverso, qui c’è uno scambio di utilità, il soggetto è destinatario di un attività effettuata
dall’ente impositore.
Nella tassa non vi è un rapporto di sinallagmaticità come invece abbiamo in diritto privato. Tra la
prestazione pecuniaria e l’attività pubblica c’è un rapporto di correlatività, cioè le tasse correlate ad un
servizio pubblico sono dovute anche se il servizio non è utilizzato, proprio perché il tributo non è dovuto in
base all’espletamento della funzione pubblica ma in occasione dell’espletamento di questa funzione o
servizio. La tassa per il porto d’armi è dovuto di fatto anche se non uso le armi.
Questi particolari allontanano questa tributo dalle imposte e lo avvicinano al diritto privato.
Come distinguere la tassa dall’area dei corrispettivi di diritto privato: la prima ha sempre la sua fonte nella
legge ed è dovuta in una misura in cui non può esserci contrattazione e la disciplina del rapporto tributario
è sempre una disciplina autocitata a differenza dei corrispettivi di diritto privato dove la disciplina è regolata
dal codice civile, ovvero disciplina privatistica.

Monopolio
Il monopolio di fatto o giuridico, il primo si ha quando in un mercato un solo soggetto ed è l’unico a
svolgere una determinata attività economica. Quello giuridico si ha quando una norma di legge vieta ai
privati di svolgere una determinata attività economica che viene riservata in via esclusiva allo stato o ad un
altro ente pubblico.

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Il monopolio giuridico può essere di diritto o fiscale, il primo in tutti i casi in cui la legge individua un utilità
generale che giustifica ciò, come per la rai fino agli anni 70. L’altro quando la legge individua come fine
l’esigenza di procurare un gettito per l’erario, come per il tabacco, gioco d’azzardo.
La causa legis è molto simile a quello dell’imposta di consumo, soggetto obbligato al tributo che decide di
acquistare quel determinato prodotto soggetto al monopolio. La fonte dell’obbligazione è sempre una
fonte del diritto privato, però molto particolare in quanto la prestazione derivante derivante dal pagamento
del tributo incorporato nel prezzo ha un ammontare prestabilito coattivamente determinato dello stato.

Contributo/tributo speciale
Il contributo è quel particolare tipo di tributo che ha come presupposto l’arricchimento che determinate
categorie di soggetti ritraggono dall’esecuzione di un’opera pubblica destinata di per se alla collettività in
modo indistinto.
Il contributo è sempre una prestazione coattiva che trova il suo fondamento in uno specifico vantaggio
economico che il soggetto trae da un’attività effettuata dall’ente pubblico da carattere generale.
È molto difficile distinguere il contributo dalla tassa o dall’imposta perché le differenza tra queste specie di
tributi è in realtà non sempre molto netta. Ad esempio nel contributo di utenza stradale si affianca alla
tassa di circolazione. Invece per il contributo al servizio sanitario nazionale appare molto simile all’imposta.

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Fonti del diritto tributario
Principi costituzionali che sono contenuti principalmente negli articoli 23,53,72,81 della costituzione.

Articolo 23
Articolo 23 ‘nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge’.
Questa norma riproduce un principio classico delle democrazie liberali, ‘no taxation without
reppresentation’.
Lo ritroviamo anche nello statuto Albertino, articolo 30 ‘nessun tributo può essere imposto se non è stato
consentito dalle camere e sanzionato dal re‘.
Muta la ratio della riserva di legge, che oggi noi intendiamo come non solo la norma costituzionale tutela gli
interessi individuali del singolo, ma tutela anche gli interessi della collettività.
L’art. 23 è un norma che prevede una riserva di legge, cioè afferma che in quanto cittadino italiano non mi
potrà mai essere imposto un tributo che non trovi la sua fonte nella legge; il governo se vuole introdurre
dei tributi deve necessariamente passare attraverso il parlamento. Non troveremo mai un tributo
introdotto attraverso un regolamento.

Ci sono 3 problemi:
 Nozione di prestazione patrimoniale imposta, non parla di tributi. La categoria delle prestazioni
personali e patrimoniali imposte di cui parla l’art.23 è sicuramente una categoria più ampia rispetto al
concetto di tributo. Essa comprende sia le prestazioni imposte “in senso formale”, vale a dire imposte
con un atto autoritario, sia le prestazioni di natura non tributaria che sono imposte “in senso
sostanziale” (es. le tariffe elettriche, canoni per uso dei beni demaniali, tariffe sull’assicurazione
obbligatoria dell’auto) → imposte in senso sostanziale perché non c’è un atto dello stato che mi obbliga
a utilizzare la luce, l’acqua potabile, i beni demaniali; però se voglio questi devo necessariamente
adempiere ad una prestazione di carattere pecuniario. Le prestazioni patrimoniali imposte in senso
sostanziale sono tutte quelle prestazioni relative a beni essenziali di cui l’individuo non può privarsi
(energia elettrica, acqua potabile).
 Concetto di legge, quando la costituzione parla di legge nell’articolo 23 fa riferimento alla fonte quindi a
tutti gli atti di fonte primaria quindi non solo la legge ma anche gli atti equiparati alla legge, come
decreti leggi e decreti legislativi. La legge non è solo quella statale ma anche regionale.
 ‘ in base alla legge ‘: Perché l’art.23 non usa l’espressione “in forza di legge” come viene usato nell’art.
25? Mentre la riserva dell’art.25 è una riserva assoluta (la legge deve coprire tutto, deve precisare
tutto), la riserva dell’art. 23 è una riserva relativa: questo significa che non è necessario che la leggi
disciplini tutto del tributo, è sufficiente che la legge disciplini gli elementi essenziali del tributo: il
soggetto passivo d’imposta; il presupposto d’imposta (fatto generatore al cui verificarsi è dovuto il
tributo) e la base imponibile (la modalità di calcolo del tributo). Questi 3 elementi devono essere
necessariamente contenuti in un atto di rango primario (legge, decreto legge/legislativo, legge
regionale).

Articolo 53
Articolo 53 della costituzione: ‘tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro
capacità contributiva’.
L’articolo non a caso è collocato sotto il titolo dei rapporti politici, tra i doveri di difendere la patria, articolo
52, e il dovere di fedeltà della repubblica, articolo 54.
Configura uno di quei doveri inderogabili di solidarietà politica e sociale sanciti dall’articolo 2 della
costituzione.

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Quindi l’evasione fiscale rappresenta quella rottura di vincolo che lega tra loro i consociati, e comporta la
violazione di uno di quali doveri inderogabili di solidarietà.
Il fondamento e la giustificazione di pagare i tributi non risiede in un rapporto commutativo del singolo con
lo stato, non ricevo niente in cambio, ma risiede nel dovere di solidarietà.
Se lo stato preleva i tributi in uno stato di solidarietà ciò vuol dire anche che la funzione dei tributi non è
meramente fiscale, ovvero quello di procurare delle entrate ma è anche extra-fiscale, e redistribuiva della
ricchezza, persegue fini di solidarietà verso soggetti e zone svantaggiate e può avere anche finalità di
incentivo/disincentivo risputò a determinate attività e consumi.
La costituzione non accoglie un concetto di finanza pubblica naturale ma bensì come finanza funzionale, il
tributo è un mezzo di attuazione del principi di solidarietà ed è uno strumento dell’adempimento dei fini
sociali che la costituzione assegna alla repubblica, questo perché lo stato non deve limitarsi a garantire il
libero svolgimento della vita economica e sociale ma ha il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale che limitano di fatto la libertà e uguaglianza dei cittadini che impoveriscono il pieno
sviluppo della persona umana.

Analizziamo l’articolo 53 con quello il suo omonimo precedente, articolo 25 dello Statuto Albertino ‘tutti i
regnicoli contribuiscono indistintamente nella proporzione dei loro averi ai carichi dello stato’.
Il dovere di imposizione era riferito a tutti i regnicoli, nella norma costituzionale, articolo 53 si parla di tutti,
non solo i cittadini italiani ma tutti devono concorrere alle spese pubbliche. Principio universalistico, e
questi tutti devono concorrere alle spese in ragione della loro capacità contributiva. Occorre che vi sia un
presupposto soggettivo alla tassazione, occorre che il soggetto abbia un attitudine soggettiva alla
contribuzione, occorre che l’obbligazione tributaria sia posta a carico di chi ha realizzato il presupposto dei
tributo. Un esempio è l’IRPEF: anche i soggetti che non hanno alcun collegamento con il territorio dello
stato italiano, se producono reddito in Italia, sono tenuti al pagamento dell’IRPEF.

Ci sono delle norme fiscali che però pongono obblighi a carico di terzi, dei casi in cui chiamato a pagare il
tributo è un soggetto diverso, in questi casi occorre che il terzo sia posto in grado di far ricadere l’onere del
tributo su chi ha realizzato il presupposto, altrimenti sarebbe violazione l’articolo 53 della costituzione.
Come il sostituto di imposta.

Un’altra differenza tra questi due articoli è che la norma statutaria coglieva un principio proporzionalistico,
invece l’articolo 53 indica che il concorso alle spese pubbliche deve avvenire in ragione della capacità
produttiva. Ovvero principio non proporzionalistico ma un principio di progressività, ovvero più che
proporzionale. Questo elemento è ciò che differenza di più questi due articoli.

Il concetto di capacità produttiva è apparso all’inizio come un concetto molto vago, privo di rigore, una
scatola vuota. Il legislatore potrebbe comunque istituire i tributi anche senza articolo 53, bisogno pagare lo
stesso i tributi anche senza di esso. La corte costituzionale ha arricchito di contenuti questo principio:

Attraverso la lettura coordinata dell’articolo 53 con l’articolo 3 della costituzione, ovvero il principio di
eguaglianza, l’articolo 53 è espressione di eguaglianza tributaria che va intesa non già nel senso che tutti
devono contribuire in egual misura ma va inteso nel senso che va assicurato all’ordinamento un uniformità
di trattamento a parità di condizioni di capacità produttiva e una simmetrica diversità di trattamento in
condizioni di diversità.
Questa lettura obbliga il legislatore che istituisce un tributo a scriminare tra i contribuenti nella ragione
della loro capacità contributiva, imponendo trattamento fiscale diverso a contribuenti che esprimono
capacita contributiva diversa.
Con capacità contributiva si intende forza economica, questo significa che presupposto essenziale del
prelievo tributario è la sussistenza di una fonte economica, non ci può essere prelievo se una ricchezza non
esiste.

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Risponde all’esigenza che ogni prelievo o tributario abbia una causa giustificatrice in indici concretamente
rilevamenti di ricchezza dai quali sia razionalmente deducibile l’idoneità soggettiva all’obbligazione di
imposta.
La capacità contributiva inoltre rappresenta un parametro d’imposizione, cioè una misura unitaria di
riferimento nella determinazione nel concreto carico tributario che deve gravare sul singolo.
Il sacrificio patrimoniale imposto attraverso il tributo deve essere rapportato alla idoneità del singolo a
privarsi parte dei propri beni da destinare al pagamento del tributo.
La capacità contributiva è il limite che il legislatore deve rispettare nel momento in cui istituisce un tributo.
Quindi è un limite non solo nella scelta del fatto espressivo di capacità contributiva ma anche come limite
dal punto di vista del quantum all’imposizione che può gravare sul singolo che ha manifestato quella
capacità contributiva.

Un’ulteriore lettura che possiamo dare tra art 53 e 3 concerne il canone di coerenza, ragionevolezza
desumibile sempre dall’articolo 3 della costituzione.
Il canone di coerenza implica che assunto un presupposto quale indice di una capacità contributiva ogni
fattispecie imponibile sia espressione di quella particolare ipotesi di capacità contributiva, ad esempio
nell’ambito dell’imposta di successione per il discorso dei figli legittimi, illegittimi, adottivi.

Secondo la corte cost l’articolo 53 si applica solo alle imposte quindi non opera rispetto ai tributi
commutativi, rispetto alle tasse.
Il principio costituzionale riguarda solo le contribuzioni relative alle prestazioni di servizi il cui costo non può
essere determinato in modo indivisibile.
Tuttavia se leggiamo in modo letterale il dettato dell’articolo 53 questa norma ci dice che ogni concorso alla
spesa pubblica deve essere giustificato da una capacità contributiva senza distinzioni rispetto al modo del
concorso o rispetto alla divisibilità dei servizi pubblici. Ci sono dei servizi pubblici che pur essendo divisibili
soddisfano i bisogni essenziali e questi servizi godono di una tutela istituzionale, anche se il finanziamento
di questi servizi è un finanziamento di una spesa pubblica da realizzare tra i soggetti che richiedono
determinati servizi. Il concorso tributario alla spesa che riguarda questi servizi dovrebbe essere comunque
legato alla capacità contributiva (istruzione, sanità).

Infine possiamo leggere articolo 53 in combinato con tutti gli altri articoli della costituzione con riferimento
a quelle particolare norma tributarie che sono le norme di favore, le quali derogano rispetto ad un regime
ordinario. Queste norme devono trovare una giustificazione costituzionale, è possibile che per il legislatore
escludere e derogare dal trattamento ordinario rispetto a determinati soggetti a questo trattamento
differenziato deve trovare una giustificazione in altre norme costituzionali, come l’articolo 9, 31,32,35,47
ecc.

Il principio di capacità contributiva vincola il legislatore che intende istituire un tributo nella scelta di
presupposto del tributo e nella scelta della misura del tributo. Per presupposto è quel fatto espressivo di
capacità contributiva al verificarsi del quale la legge collega l’obbligo di pagare un imposta, il possesso di un
immobile è il presupposto dell’imposta comunale sugli immobili, come il possesso di un reddito per IRPEF.

La misura del tributo è rappresenta dalla base imponibile è il parametro di commisurazione del tributo, in
altri termini il valore che viene attribuito alla situazione di fatto presa in esame ai fini fiscali sul quale
applicando l’aliquota è calcolata l’imposta.

Dal punto di vista del presupposto d’imposta il principio di capacità contributiva onera il legislatore a
scegliere tra tutti i fatti della vita che sono astrattamente selezionabili da parte del legislatore quel fatto
della vita espressivo della forza economica del soggetto, questo ad esempio porta all’impossibilità per il
legislatore di tassare i calvi o i celibi, questo perché non è espressivo di alcuna capacita contributiva/ forza
economica.

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La forza economica deve rendere evidente la disponibilità in capo al contribuente dei mezzi per fare fronte
al tributo.
Contribuente lo chiamiamo soggetto passivo di imposta, colui che realizza il presupposto di imposta e che
tendenzialmente è tenuto al pagamento del tributo.

Il principio di capacità contributiva ci dice che non si può applicare un imposta sul reddito rispetto ad un
presupposto non significativo della disponibilità di reddito.

Se lo colleghiamo all’articolo 36 della costituzione che tutela il lavoro arriviamo alla conclusione che la
tassazione dei salari non deve ledere i principi fissati nell’articolo 36, il cosiddetto minimo vitale.
Capacità contributiva non solo come limite qualitativo ma anche come limite quantitativo.
Il sacrifico patrimoniale deve essere rapportato all idonea che quel soggetto mostra di potersi privare di una
parte dei propri beni per metterla a disposizione della collettività.

Questo ha dei corollari: ragionevolezza dell’aliquota, la corte costituzionale dice che l’imposta sul
patrimonio può sommarsi all’importo derivante da altri tributi solo nei limiti in cui l’onore fiscale
complessivo si attesti in prossimità di un valore mediano nella divisione tra mano privata e mano pubblica.
Il complesso dei tributi che gravano sul medesimo presupposto non deve eccedere la capacita contributiva
manifestata dal soggetto e quel minimo vitale.

Come misurare la capacita Contributiva


La norma costituzionale non individua un incide preciso. Lo sceglie il legislatore ordinario.
Gli indici astrattamente che si possono scegliere si distinguono in diretti e indiretti: i primi sono reddito e
patrimonio, i secondi sono il consumo o gli affari. Se il reddito è quella variazione incrementativa del
patrimonio, il patrimonio è uno stock che comprende tutti i valori mobiliari e immobiliari, fruttiferi e
infruttiferi di cui è titolare un soggetto.

L’Italia nel 76 a seguito di una sentenza della corte costituzionale ha scelto l’individuo come L’Unità
impositiva, a ciascun contribuente è assegnato un numero di codice fiscale quindi un espressione
alfanumerica costruita attraverso i dati anagrafici. È lo strumento di identificazione dei contribuenti.

Il concetto di reddito non è definito nel sistema tributario ma si può dire che reddito deriva da ‘redeo’, ciò
che ritorna, o ‘reddo’, ciò che si produce. Il reddito complessivo delle persone al netto delle spese di
produzione si presta a rispecchiare la capacita contributiva complessiva delle persone, funge a base di
commisurazione dell’imposta complessiva sul reddito globale, IRPEF.
Vedremo anche che il reddito può avere una dimensione effettiva o meramente nominale. Poi può essere
reddito fonte, prodotto solo ciò che deriva da una fonte produttiva, o reddito come entrata, ogni variazione
incrementativa del patrimonio a differenza di una fonte produttiva.
La maggior parte dei sistemi mondiali tassa le persone fisiche in base a reddito o patrimonio.

La corte costituzionale ha affermato che la capacità contributiva deve essere una capacità contributiva
attuale, ovvero che il tributo nel momento in cui trova applicazione deve essere correlato ad una forza
economica in atto, e non passata o futura.
Nel momento in cui io percepisco il reddito deve scattare la tassazione. Sarebbe incostituzionale un tributo
che tassa i soggetti passivi che 10 anni fa hanno prodotto un reddito, manca il legame di attualità. È per
questo che la corte costituzionale ha dichiarato illegittimità l’imposta sull’incremento di valore delle aree
fabbricabili.

In deroga al principio generale dell’irretroattività il legislatore fiscale può emanare delle norme fiscali
retroattive, quindi può dire da domani saranno tassati soggetti che nel passato hanno manifestato una
capacità contributiva, questo è possibile, rispetta il principio di attualità, purché le norme trovano adeguata

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giustificazione sul piano della ragionevolezza, art 3, e non si pongano in contrasto con altri interessi
costituzionalmente protetti.
Inoltre i tributi retroattivi sono costituzionalmente legittimi se colpiscono fatti del passato che in base ad
una verifica che deve essere compiuta volta per volta esprimano una capacità contributiva ancora
temporale.
Quindi sulla base di questa deroga è legittimo che il legislatore fiscale introduca un tributo che da domani
colpisca soggetti passivi su una base di capacità contributiva che i soggetti hanno manifestato nel passato a
condizione che ci sia un legame tra il fatto del passato, il presupposto impositivo realizzato nel passato e il
momento della tassazione presente.
Noi paghiamo IRPEF sulla base del reddito prodotto l’anno precedente, questo non viola il principio di
attualità della capacita contributiva perché si presume che la capacità contributiva che ho manifestato
l’anno prima continui nel tempo e nel momento in cui avviene la tassazione sia ancora attuale.

Il requisito di attualità impedisce inoltre al legislatore di imporre pagamenti anticipati di tributi collegati a
presupposti di imposta che si verificheranno in futuro, non posso essere tassato oggi per una
manifestazione di ricchezza che non si è ancora verificata.
Anche qui sulla base della deroga precedente, il prelievo anticipato non è del tutto scollegato dal
presupposto, ed è per questo che nel nostro sistema sono costituzionalmente legittimi gli acconti delle
imposte sul reddito dovuti nel corso del periodo di imposta, prima di perfezionare l’importo impositivo.
Questi acconti nel momento in cui sono calcolai sulla base del presupposto di imposta si rendono legittimi.
Se al termine non ho manifestato quella capacita contributiva che il legislatore aveva presunto ho diritto di
recuperare parte del tributo che ho già versato attraverso l’acconto. Ci deve essere un meccanismo di
riequilibrio che consenta al soggetto di recuperare quella parte eccedente del tributo che ha già versato.

Oltre che attuale deve essere effettiva, cioè che il collegamento tra il fatto rivelatore della forza economica
e il tributo deve essere non apparente o fittizio.
Sulla base di questo principio è stata ritenuta incostituzionale un tributo detto ICIAP che assumeva come
base imponibile di calcolo del tributo la superficie dei locali usati per l’attività.
Nel momento in cui viene istituito un tributo il legislatore deve scegliere un presupposto di imposta e una
base imponibile che siano effettivamente rilevatori della capacita contributiva.

Il diritto tributario è tuttavia rischio di presunzioni e parametri medio ordinari, tutte queste misurazioni
sono possibili a condizione che il contribuente abbia la possibilità di dimostrare la diversità della sua
situazione effettiva rispetto a quella presuntivamente assunta dal legislatore per il calcolo del tributo.
Il reddito effettivo oggetto di tassazione ai fini del rispetto dell’articolo 53 della costituzione è quel reddito
non nominale, è quel reddito che è concretamente rilevatore della ricchezza prodotta dal soggetto passivo.

Sulla base di questi principi un caso problematico è rappresentato dalla tassazione ambientale, in quanto
nel nostro sistema ci sono dei tributi in cui il presupposti è legato non tanto alla forza economica quanto
alla potenzialità inquinante dalle attività svolta dal soggetto.

Molti studiosi affermano che non si potrebbe usare la tassazione per incidere sulla stile di vita, quindi usare
la tassazione in modo etico, con finalità extra-fiscali. Tuttavia ciò si può fare se però sono rispettati tutti i
principi, quindi che il tributo colpisca manifestazione di forza economica e che non costituisca una
violazione del principio di uguaglianza.

Il secondo comma dell’articolo 53 ci dice che ‘il sistema tributario è informato a criteri di progressività’.
Il principio di progressività indica che il sistema tributario non ha solo lo scopo di fornire mezzi finanziari
allo stato ma anche funzioni ridistributive per il raggiungimento di quei fini di giustizia sociale fissati
nell’articolo 3 della costituzione.
Non riguarda il singolo tributo ma il sistema intero, infatti è possibile che un singolo tributo possa avere
criteri diversi, ad esempio un tributo proporzionale è l’IRES.

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È quindi difficile dichiarare una norma incostituzionale in base alla non progressività, in quanto il legislatore
è chiamato a guardare all’intero sistema tributario e può comunque introdurre un sistema proporzionale
come la flat tax.
Con la progressività l’aliquota aumenta con l’aumentare dell’indice di capacita contributiva in modo più che
proporzionale.

Lezione 30/9 prima parte

Articolo 75 comma 2, ‘ non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio ‘


Questo perché i referendum abrogativi dei tributi si prestano ad operazioni di facile demagogia e
potrebbero avere degli effetti sul bilancio statale molto gravi.
Rispetto a questa disposizione c’è un unico problema interpretativo, ovvero il concetto di legge tributarie, si
intende solo alle leggi istitutive di tributi, quelli leggi che precisano il presupposto di imposta o la base
imponibile o anche si fa riferimento alle leggi che disciplinano l’attuazione del prelievo, ovvero come il
tributo si deve applicare.
La questione si è posta come riferimento ad un referendum popolare per l’abrogazione della modalità di
riscossione dei tributi che era modalità con ritenuta alla fonte. In quell’occasione la corte costituzionale ha
precisato che con la dizione ‘ leggi tributarie ‘ il legislatore ha inteso fare riferimento a tutte le disposizioni
che disciplinano il rapporto tributario nel suo insieme e quindi sono coperte dal divieto di referendum
abrogativo sia le norme che attengono al momento costitutivo dell’imposizione sia le norme che
istituiscono i tributi sia quelle che disciplinano gli aspetti dinamici, le modalità attraverso le quali il tributo si
applica.

Articolo 81, comma 3 ‘ con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuova tributi e
nuove spese ‘
La ratio sostanzialistica è quella di evitare nuovi tributi o l’inasprimento di quelli esistenti ai fini della
copertura delle spese statali.
C’è anche una giustificazione tradizione, nella legge che approva il bilancio non possono essere contenute
norme tributarie perché il costituente ha inteso conservare questo strumento normativo come uno
strumento avente carattere di legge in senso formale. La legge di approvazione del bilancio è una legge solo
in senso formale perché il bilancio è predisposto dal governo, l’esecutivo quindi è il legislatore di fatto e il
parlamento si limita ad approvare il bilancio.

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Francesco Gruppelli
Fonti di produzione delle norme tributarie
Possiamo suddividere a seconda della loro tipologia, applicazione ed efficacia.

 Tipologia: le norme trovano la fonte sempre in delle leggi che possono essere promanate dal
parlamento nazionale, quindi di livello statale, o di livello sub-statale, quindi regionale, comunale,
provinciale.
Dal punto di vista del livello possiamo parlare di fonti di produzione di matrice comunitaria.
 Applicazione: dobbiamo distinguere tra interpretazione delle norme tributarie e il meccanismo di
analogia che delle caratteristiche peculiari rispetto ai criteri interpretative ordinariamente applicati.
 Efficacia: sia nel tempo che nello spazio.

I rapporti tra ordinamento UE e ordinamento nazionale

Fonti europee
1 dicembre del 2009 è entrato in vigore il trattato sul funzionamento dell’Unione europea che ha sostituito
il trattato istitutivo della comunità europea. In ambito europeo non c’è una corrente normativa in ambito di
imposte, non abbiamo un sistema di tributi di matrice comunitaria, però si può parlare di fonti europee
perché l’articolo 113 del trattato rimette al consiglio che deve decidere all’unanimità su proposta della
commissione previa consultazione del parlamento europeo, il potere di adottare le disposizione che
riguardano l’armonizzazione delle legislazioni relative a determinati tributi, ad esempio sulla cifra affari,
relativi al consumo, tributi indiretti.
Al fine di assicurare la funzione del mercato interno c’è una competenza delle istituzione comunitarie a
emettere delle norme fiscali che avvicinino le normative nazionali in materia di fiscalità indiretta.
Sulla base dell’articolo 113 del trattato, dato che il consiglio deve deliberare all’unanimità, abbiamo poche
norme.
I tributi diretti non sono stati devoluti dagli Stati membri alle istituzione dell’Unione europea.

Oltre all’armonizzazione dei tributi indiretti realizzata attraverso una sorta di integrazione in positivo,
attraverso quindi l’emanazione di norme di fonte comunitaria, in ambito europeo possiamo parlare di un
integrazione in negativo, in quanto le istituzioni comunitarie attraverso il sindaco della corte di giustizia, che
è l’organo giurisdizionale di vertice delle istituzione europea, censura quelle normative fiscali nazionali che
non rispettano il divieto di discriminazione nell’ambito comunitario.
Ad esempio sulla base dei principi e delle libertà fissate dal trattato fondativi dell’Unione europea, i cittadini
comunitari hanno il potere di circolare liberamente all’interno dello spazio giuridico europeo andando a
localizzare i loro affari nel paese membro che ritengono più vantaggioso. Quindi questa libertà di
circolazione non può essere scoraggiata da normative fiscali nazionali che limitino o rendano molto difficili
l’esercizio di queste libertà.

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Francesco Gruppelli
L’integrazione negativa è un settore molto ampio perché può riguardare tributi diretti e quindi dal punto di
vista delle fonti del diritto tributario fonti vere e proprie di integrazione positiva ne abbiamo molto poche,
solo in casi residuali e che riguardano solo i tributi indiretti.

Fonti statali
Molto più importanti, dal punto di vista numerico, sono le fonti statali.
La legge ordinaria costituisce lo strumento principe in quanto diretta emanazione del parlamento per
l’istituzione di tributi.
Tuttavia le norme tributarie molto spesso devono essere emanate con rapidità e prevedono un livello di
tecnicismo molto alto, ed è per questo molto spesso le fonti di istituzione dei tributi li rintracciamo nei
decreti legge e decreti legislativi.

Con decreto legge facciamo riferimento all’articolo 77 della costituzione il quale afferma che in casi
straordinari di necessità e urgenza il governo può adottare provvedimenti provvisori con forza di legge, i
quali necessitano della conversione in legge da parte del parlamento entro 60 giorni dalla loro
pubblicazione, pena la perdita d’efficacia.
Il vantaggio del decreto legge è quello di consentire una rapida istituzione del tributo, e quindi di entrate,
che ovviamente ha l’effetto di evitare manovre elusive da parte dei contribuenti che essendo a conoscenza
della prossima emanazione di un tributo potrebbero porre in essere dei comportamenti volti a distogliere il
gettito.
Si è fatto talmente tanto ricorso a tale meccanismo che si è arrivato ad un abuso vero e proprio che ha
portato all’emanazione dell’articolo 4 nell’ambito dello statuto dei diritti del contribuente, che prevede il
divieto di istituire nuovi tributi o estendere tributi già esistenti a nuove categorie di soggetti attraverso il
decreto legge.
Anche se articolo 23 della costituzione consente l’istituzione di nuovi tributi attraverso il decreto legge,
dobbiamo tenere conto che una norma dello statuto prevede il divieto di istituire i tributi in questo
meccanismo.

Nuovi tributi possono essere istituiti anche con decreto legislativo, articolo 76 costituzione ‘ il governo può
adottare decreti legislativi su delega delle camere che deve precisare i principi e criteri direttivi ‘.
Adozione dei decreti legislativi può avvenire soltanto per un tempo limitato e per oggetti definiti.
Anche questo è uno strumento che si presta molto ad essere utilizzato in campo tributario in quanto
idoneo a delegare una normazione eminentemente tecnica ad un soggetto quale il governo che rispetto
all’iter legislativo che deve seguire il parlamento può agire con maggiore agilità.
Infatti tutta la riforma tributaria degli anni 70 sulla quale è stato modulato l’attuale assetto tributario è stata
introdotta attraverso i decreti legislativi.
Anche in questo caso c’è stato un abuso per eccesso di delega, il parlamento che non confeziona leggi
delega in modo preciso definendo i principi e criteri direttivi consente all’esecutivo di eccedere nella delega
e di predisporre dei decreti legislativi e quindi le norme tributarie che vanno ben oltre a ciò che il
parlamento aveva inteso delegare.

Tra le fonti del diritto tributario dobbiamo annoverare anche i regolamenti, gli atti di fonte secondaria, sulla
base del principio di riserva di legge dell’articolo 23 sappiamo che i tributi devono trovare per lo meno una
base in atti di fonti primaria, e quindi in ambito tributario non troveremo mai dei regolamenti autonomi e
indipendenti, proprio perché contrari al principio di riserva di legge.
Possiamo trovare dei regolamenti esecutivi, quindi di fonte secondaria che vadano a dettagliare ciò che le
norme di legge prevedono in termini generali.
Oppure dei regolamenti attuativi e integrativi che vadano a completare una disciplina già prevista dalla
legge, questo l’abbiamo visto a proposito dell’articolo 23 con riferimento dell’aliquota, sulla base delle
sentenze della corte costituzionale affinché sia rispettata la riserva di legge relativa è necessario e
sufficiente che la fonte di rango primario fissi la forbice, il minimo e il massimo dell’aliquota.

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Francesco Gruppelli
In questo caso il regolamento attuativo e integrativo potrà intervenire per andare a fissare nel singolo caso
concreto quale effettiva aliquota applicare rispettando la forbice predeterminata dal legislatore.
Nel caso in cui un regolamento preveda un qualcosa di contrario a quanto previsto dalla legge quel
regolamento potrà essere annullato dal giudice amministrativo o potrà essere disapplicato dal giudice
tributario.

Quando viene emessa una nuova norma tributaria l’amministrazione finanziaria generalmente emana una
circolare, una norma di condotta attraverso la quale illustra agli uffici periferici dell’amministrazione
finanziaria il significato e l’interpretazione accolta di quelle norme tributarie.
Le circolari sono atti interni all’amministrazione e non costituiscono fonti del diritto, non sono quindi
vincolanti per i contribuenti.
Se un contribuente ritiene corretta un interpretazione delle norma fiscali diversa da quella colta
dall’amministrazione finanziaria in una sua circolare potrà benissimo seguire l’interpretazione che ritiene
più corretta senza necessita di andare di fronte ad un giudice impugnando la circolare dell’agenzia delle
entrate dell’amministrazione finanziaria che ritiene contraria all’interpretazione che egli ritiene giusta.
Tuttavia le circolari comportano degli effetti giuridici, avviene nel caso in cui il contribuente legga una
circolare e decida di conformarsi all’interpretazione contenuta, ma successivamente quella circolare viene
rettificata in quanto sbagliata. Se succede ciò, anche se poi i contenuti vengono cambiati, il contribuente
che segue l’interpretazione non può essere sanzionato ne può essere oggetto di richiesta di interessi
moratori, ma dovrà solo versare la differenza di importo.
Questo solo se il contribuente ha seguito in buona fede l’interpretazione dell’amministrazione finanziaria.
( la prima circolare dice di versare 80, il contribuente lo fa ma successivamente cambiano la circolare e
bisogna versare 100. Il contribuente avendo seguito la prima circolare non può essere sanzionato ma dovrà
semplicemente versare la differenza di 20).

Articolo 23 costituzione: interpretando il concetto di legge, dobbiamo fare riferimento non solo a livello
statale ma anche a livello regionale, qua si introduce il concetto di federalismo fiscale, si intende
l’attribuzione della potestà impositiva, del potere di istituire i tributi anche a livello sub-statale, questo è
particolarmente auspicabile, è preferibile un imposizione a livello sub-statale in quanto in questo caso il
contribuente ha modo di riscontrare meglio come vengono spesi i tributi.
Le risorse percepite mediante le entrate tributarie per sodisfare i bisogni locali.
È possibile parlare di federalismo fiscale perché il titolo quinto della costituzione è stato riformato nel 2001
e secondo quella riforma e attuale articolo 117 della costituzione la potestà legislativa può essere esercitata
dallo stato e dalle regioni nel rispetto della costituzione e dei vincoli derivanti dal regolamento comunitario
e obblighi internazionali.

La potestà legislativa è bipartita tra stato e regioni.


Lo stato ha una potestà legislativa esclusiva nella materie indicate nel comma 2 dell’articolo 117, e tra
questo elenco si trova la disciplina del sistema tributario e contabile dello stato e la perequazione delle
risorse finanziarie.
È competente il livello statale a disciplinare il sistema tributario nel suo complesso e a prevedere
meccanismi di perequazione tra una regione e l’altra.
La potestà legislativa regionale invece è una potestà legislativa concorrente e residuale, in materia
tributaria quindi le regioni possono disciplinare, possono emettere delle norme tributarie, ma trovano un
limite nei principi fissati dalle leggi dello stato.
Nella legislazione regionale è compreso il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Quindi sulla base di questa bipartizione allo stato è riservata la fissazione dei principi fondamentali nelle
materie di legislazione concorrente e il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario
complessivo, alla regione è demandata la competenza di emettere norme fiscali nel rispetto dei principi
generali fissati a livello statale.

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Francesco Gruppelli
Allo stato è poi affidato in via esclusiva la perequazione delle risorse finanziarie e quindi per evitare che vi
siano disparita tra una regione e l’altra lo stato può intervenire emanando norme tributarie con compiti
perequativi tra una regione e un’altra dello stato.
Questo è per evitare disparita nella tassazione che non troverebbero una giustificazione costituzionale.

In che cosa si esplica la potestà tributaria delle regioni ?


Dobbiamo leggere l’articolo 119 della costituzione che prevede che le regioni e gli enti locali stabiliscono ed
applicano tributi propri in armonia con la costituzione e secondo quei principi di coordinazione della finanza
pubblica e del sistema tributario che sono di emanazione da parte del legislatore statale.

Il termine stabilire ha una valenza diversa a seconda che sia riferita alle regioni o agli enti locali perché solo
le regioni sappiamo essere dotate di potestà legislativa, le regioni possono stabilire nel senso di istituire i
tributi, cosa che ovviamente non è possibile per gli enti locali.
La regione può istituire dei tributi ma lo può fare solo rispettando quei principi a livello statale che devono
andare ad indicare quali sono gli oggetti imponibili e quali tributi possono essere oggetto di legislazione
regionale.

Nel caso in cui la legge statale indichi l’oggetto imponibile e il tributo la regione potrà istituire dei tributi
propri, con tributo proprio si intende un tributo istituto da leggi regionali in relazione a presupposti non
assoggettabili ad imposizione statale. I tributi propri vanno distinti dai tributi propri derivati, in quanto gli
ultimi sono in realtà istituiti e regolati da leggi statali.
Possiamo introdurre anche la categoria degli addizionali, ovvero tributi calcolati su base imponibile di
tributi statali, quindi nel caso degli addizionali le regioni per propria legge possono modificare le aliquote
del tributo previamente istituito con legge statale.
Ad oggi non si danno ancora tributi che possono definirsi a pieno titolo propri delle regioni, se non in
piccolissima scala.

Con riferimento al problema dell’efficacia delle legge tributaria nel tempo dobbiamo fare molte precisazioni
In ambito tributario, dobbiamo distinguere la data di emanazione di una norma fiscale, la data di vigenza, la
data di efficacia e l’estensione nel tempo.

Con l’entrata in vigore facciamo riferimento, evidentemente come per tutte le norme di legge, all’articolo
73 della costituzione che indica il momento di inizio dell’obbligatorietà di quella norma.
Il momento dell’entrata in vigore ci indica soltanto che la legge è perfetta.
Le leggi dopo l’approvazione parlamentare e la promulgazione da parte del presidente della repubblica
vengono pubblicate in gazzetta ufficiale ed entrano in vigore dal 15 giorno successivo dalla loro
pubblicazione.
Può quindi accadere che una norma di legge emanata e pubblicata il 1 settembre, sulla base dell’articolo 73
della costituzione e articolo 10 delle pre-leggi del coisce civile, sia vigente, inizi la sua obbligatorietà il 16
settembre, decorso il periodo di vacatio legis.

La vigenza va distinta dall’efficacia nel tempo, l’articolo 11 delle per-leggi ci dice che la legge non dispone
che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo.
Può accadere che una norma emanata e pubblicata il 1 settembre risulti vigente il 16, sarà applicabile
solamente a partire dal momento in cui quella norma prevede la sua applicabilità.
La norma infatti potrebbe prevedere che solo a partire dal 1 gennaio 2021 la norma sarà efficace.
L’efficacia non può mai essere retroattiva.

Nel diritto tributario con riferimento alle norme fiscali abbiamo un ulteriore data da considerare che è la
data di estensione, perché la norma di legge non solo può stabilire qualcosa in merito alla sua efficacia e
applicabilità, ma può stabilire anche un quale cosa rispetto al presupposto impositivo.

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Francesco Gruppelli
La norma di legge può infatti dire che a partire dal 1 gennaio 2021 saranno tassati i soggetti che nel 1999
possedevano un reddito, questo riferimento al possesso di reddito ancorato nel tempo indica l’estensione
della norma che è cosa diversa dal concetto di applicabilità ed efficacia.
Rispetto all’estensione abbiamo già parlato del requisito dell’attualità della capacità contributiva dicendo
che in termini generali ci deve essere equivalenza tra il momento in cui il reddito è prodotto e il momento
in cui avviene la tassazione, ma ci sono delle deroghe.
È per questo che dal punto di vista del principio generale dell’articolo delle pre-leggi la norma fiscale non
può che disporre per l’avvenire.
Divieto assoluto di retroattività per norme penali tributarie
Importanza del diritto intertemporale, ovvero del ricordo da parte del legislatore all’interno delle norme
fiscali a discipline che regolamenti gli effetti intertemporali dell’applicazione delle norme, può accedere che
nel momento in cui viene emanata una norma fiscale il legislatore precisi il periodo di tempo interessato da
quella norma fiscale.

Efficacia della legge nello spazio dobbiamo distinguere tra efficacia ed estensione

Efficacia intendiamo che la legge tributaria esplica i suo effetti esclusivamente nel territorio politico
nazionale, solo entro tale ambito.
Quindi non può avere efficacia oltre i limiti del territorio sottoposto alla sovranità dello stato.
Al di fuori del territorio dello stato valgono le leggi tributarie degli altri stati, quindi se lo stato italiano vuole
perseguire un evasore fiscale che magari è fuggito all’estero, deve chiedere la collaborazione alle autorità
svizzere per portare a termine quel tributo che il soggetto aveva evaso.

Con il concetto di estensione ci riferiamo come il luogo in cui a sede il presupposto di imposta, dove è
localizzato il presupposto oggetto di tassazione, quindi nulla vieta al legislatore nazionale di scegliere quale
presupposto di imposta anche un fatto che si sia verifica al di fuori dei confini nazionali.
Il legislatore nel momento in cui istituisce un tributo può tassare anche dei fatti avvenuti all’estero dando
rilievo evidentemente a situazioni e fatti localizzabili al di fuori del territorio nazionale.

L’unico limite che incontra il legislatore nello scegliere come presupposto di imposta un fatto localizzabile
all’estero è rappresentato da quel canone di ragionevolezza e coerenza che troviamo nell’articolo 3 della
costituzione e quindi il legislatore nazionale può decidere di tassare in Italia sulla base di un tributo di fonte
italiana un soggetto non residente affinché però sia rispettato il canone di ragionevolezza costituzionale, il
soggetto non residente potrà essere oggetto di pretesa da parte dello stato italiano solo se il reddito
prodotto da questo soggetto che non presenta un reddito nel territorio italiano è localizzabile in Italia,
infatti su base IRPEF i non residenti sono tassati in italia solo sui redditi prodotti entro il territorio italiano.
Quindi il legislatore può avanzare una pretesa tributaria nei confronti di un soggetto o per un presupposto
di imposta localizzabile fuori dai confini nazionali ma serve comunque un collegamento con il territorio
italiano affinché sia rispettato il canone di ragionevolezza e coerenza.

La destinazione tra efficacia ed estensione delle legge tributaria nello spazio ci introduce la distinzione tra
pretesa tributaria e potestà tributaria. Sulla base del concetto di estensione il legislatore può avanzare una
pretesa tributaria nei confronti di un soggetto o rispetto di un presupposto di imposta localizzato al di fuori
del territorio nazionale, ma quella pretesa non è detto che sia o che possa essere portata a termine da
parte di quello stato.
La pretesa può essere portata a termine solo se lo stato ha il potere giuridico di riscuotere quel tributo.
Lo stato può avere la pretesa in un soggetto estero ma non la potestà giuridica, ovvero di portare a termine
quella pretesa, perché la legge tributaria esplica i suoni effetti sono nel territorio nazionale.

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Francesco Gruppelli
Lezione 4.1

Uno dei problemi più importanti che si incontra nel diritto tributario è l’interpretazione delle disposizioni
fiscali. Interpretare come noto significa attribuire un significato ad un testo, una disposizione che è il
prodotto del legislatore.
L’esito ottenuto è la norma, la disposizione carica di significato giuridico.

Una prima questione è se esistano criteri interpretativi peculiari al diritto tributario, infatti storicamente
sono state sostenute alcune tesi che postulavano l’esistenza di specifici canoni ermeneutici per le specifiche
disposizioni fiscali, uno di questi era il canone ‘in dubio pro fisco’, nel caso di dubbio scegliere
l’interpretazione più favorevole alle ragione erariali.
Oggi rispetto a questo canone si è fronteggiata e affermata la tesi opposta, ‘ in dubio contra fisco ‘, in caso
di dubbio scegliere l’interpretazione più favorevole al contribuente posto che il tributo viene considerato
come un intromissione dello stato nella vita privata.

Oggi la dottrina maggioritaria ritiene che le disposizioni tributarie siano soggette alle stesse regole e principi
operanti in tutti i rami dell’ordinamento giuridico e siano soggette alle regole dettate in via generale
dell’articolo 12 delle disposizioni preliminari al codice civile.
Tale disposizione indica che nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto
palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse e secondo la volontà del
legislatore.

Per interpretare le disposizioni fiscali dobbiamo fare riferimento al dato letterale.


Questo criterio non risolve tutti i problemi semantici, sintattici e logici che possiamo incontrare dalla lettura
delle disposizioni fiscali. Perciò al criterio letterale dobbiamo abbinare un criterio di tipo sistematico, ovvero
che quando la legge non è chiara è indispensabile ricorrere ad altri elementi e criteri, quali i lavori
probatori.

Un altro canone interpretativo è rappresentato dal principio di conservazione degli atti giuridici, quindi
privilegiare l’interpretazione che conduce ad un risultato che giuridicamente ci consenta di attribuire una
valenza a quel dato e atto normativo.

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Francesco Gruppelli
Un altro è rappresentato dal principio gerarchico delle fonti, per cui nell’’interpretare un testo normativo si
deve privilegiare l’interpretazione conforme al testo gerarchicamente sovraordinato.

In ambito tributario un ruolo particolare lo riveste l’interpretazione funzionale delle leggi tributarie, ovvero
che i termini giuridici utilizzati dalle leggi tributarie non devono essere assunti nel loro significato tecnico
ma devono essere assunti in significato economico ed è per questo che quando il legislatore fiscale parla di
vendita ad esempio dobbiamo intendere non tanto il particolare istituto giuridico disciplinato dal diritto
privato ma lo scambio di ricchezza in generale.
Quindi se soggetta a tassazione la vendita dobbiamo ritenere dovuto il tributo ogni volta che uno scambio
di ricchezza si presenta anche se per caso il rapporto in essere non rientra dentro i confini dell’istituto della
vendita di diritto privato.
Questo tipo di interpretazione ci obbliga a guardare alla funzione e alla causa giustificativa del tributo più
che alla sua conformazione giuridica.

Un problema particolare lo riveste il caso in cui il legislatore fiscale scelga un termine tecnico, ovvero
utilizzato in altri settori dell’ordinamento giuridico, rispetto a questo caso si pone l’alternativa
interpretativa se attribuire a questo termine lo stesso significato rintracciabile nell’altro settore
dell’ordinamento giuridico, rispettando il principio di unitarietà dell’ordinamento, o e se si debba attribuire
al termine una peculiarità di significato adeguando l’interpretazione di quel termine alle finalità
economiche perseguite dalle disposizioni tributarie.
Rispetto a queste due soluzioni molte volte il legislatore fiscale ci aiuta dando una definizione propria,
valevole solo a fini fiscali, del termine tecnico utilizzato.
Ad esempio avviene rispetto al concetto di residenza ai fini fiscali, viene definito dallo stesso legislatore che
in questo modo elimina o riduce notevolmente i dubbi interpretativi che possiamo avere nell’attribuire al
concetto di residenza lo stesso contenuto in termini di significato giuridico che potremmo attribuire a tale
termine utilizzando le disposizione al codice civile relativi e alla residenza.
Nel caso in cui il legislatore non precisi il significato a seconda dei casi dovremo attribuire a quel termine o
lo stesso significato rintracciabile sulla base delle norme del settore dell’ordinamento da qui quel termine
stato mutuato, o viceversa dobbiamo attribuire a quel termine un significato proprio e specifico e valevole
solo ai fini tributari.
Questa seconda ipotesi si verifica nei casi in cui da un’analisi emerge che l’attribuzione del medesimo
significato a quel termine è incompatibile con le altre definizioni che disciplinano il tributo.
Questo si verifica ad esempio rispetto alla nozione di possesso, articolo 1 del testo unico delle imposte sui
redditi il legislatore fiscale utilizza il termine possesso per indicare il presupposto impositivo dell’ IRPEF,
imposta sul reddito delle persone fisiche.
Siamo quindi di fronte all’alternativa se attribuire al termine possesso quel significato di elemento
materiale e psicologico che rinveniamo dalle disposizione del codice civile o se attribuire a questo termine
un significato proprio valevole solo ai fini fiscali.
Analizzando le norme del TUIR studieremo che è impossibile possedere il reddito in senso civilistico e quindi
dobbiamo ricostruire questa nozione di reddito ai fini tributari come disponibilità, titolarità della fonte del
redito attribuendo un significato al concetto di possesso del tutto proprio.

L’approccio interpretativo corretto è quello in prima battuta di privilegiare in conformità al principio di


unitarietà dell’ordinamento il medesimo significato attribuire a quel termine del ramo di provenienza, e in
seconda battuta controllare se questo significato alla luce dell’interpretazione sistematica è compatibile
con le altre disposizioni che regolano la materia tributaria, in caso affermativo avremo trovato il significato
corretto da attribuire a quel termine.
Diversamente dovremo attribuire una significato diverso e questo significato sarà quello derivante dal
l’interpretazione sistematica o funzionale che il diritto tributario ci spinge a coltivare e perseguire.

Questione a parte è rivestita dall’analogia, ovvero quello strumento di integrazione dell’ordinamento


giuridico finalizzato a colmare una lacuna.

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Francesco Gruppelli
Parliamo di analogia quando siamo di fronte ad una lacuna, cioè ad un fatto giuridicamente rilevante che
non trova una disciplina giuridica.

In prima battuta è molto difficile capire se siamo di fronte ad una lacuna in senso tecnico o ideologica,
dobbiamo quindi capire se il vuoto normativo, la mancanza di disposizione, volta a regolamentare quella
fattispecie rappresenta una specifica scelta del legislatore, che può aver scelto di non disciplinare quella
fattispecie, o se invece c’è un imperfezione nella legge e va corretta facendo ricorso all’analogia.
Quindi se siamo di fronte ad una lacuna ideologica non possiamo ricorrere all’analogia, se siamo di fronte
ad una lacuna in senso tecnico allora il ricorso all’analogia è doveroso.

Dell’analogia parla l’articolo 12 comma 2 delle preleggi al codice civile che dispone che se una controversia
non può essere decisa con una precisa disposizione riguardo alle disposizioni che regolano casi simili e in
seconda battuta se il caso rimane ancora dubbio si decide secondo i principi generali dell’ordinamento
giuridico dello stato.
Articolo 12 indica due forme di analogia: applicazione di norme dettate per casi simili e materie analoghe,
analogia legis, oppure il ricorso ai principi generali dell’ordinamento, analogia iuris.

È utilizzabile analogia nel diritto tributario ?


Per rispondere bisogna distinguere a seconda delle particolari disposizioni tributarie cui ci stiamo riferendo.
Rispetto alle disposizione procedurali, quelle relative all’accertamento e riscossione, e processuali, relative
al processo tributario, l’analogia è ammessa. Viceversa per le norme tributarie penali o eccezionali, ovvero
quelle che derogano a regole generali, l’analogia è esclusa.

È discusso se l’analogia sia utilizzabile rispetto alle norme impositive in senso stretto e quelle agevolative.
Le prime sono le norme che istituiscono un tributo, ovvero quelle che abbinano alla realizzazione di un fatto
della vita, alla realizzazione di un presupposto di imposta un determinato carico tributario, un determinato
trattamento fiscale.
Il ricorso all’analogia rispetto alle norme impositive comporterebbe un aggiramento alla riserva di legge
dell’articolo 23 della costituzione e quindi non è possibile interpretare estensivamente una disposizione
impositiva allargando la portata del presupposto di imposta.
Secondo altri è impossibile ricorrere all’analogia rispetto alle norme impositive perché sono norme a
fattispecie esclusiva, quindi norma che in modo puntiforme scelgono i fatti della vita assoggettabili a
tassazione e rispetto a queste fattispecie non è possibile risalire ad un principio generale che consenta il
ricorso all’analogia.
In realtà considerato che l’analogia è uno strumento di integrazione dell’ordinamento giuridico finalizzato a
colmare le lacune, in relazione ai casi non disciplinati da una disposizione impositiva non è ravvisabile
alcune lacuna, in assenza cioè di una norma impositiva trova applicazione la regola generale della libertà
della sfera patrimoniale del singolo dagli obblighi e oneri non espressamente stabiliti dalla legge.
Cioè che le leggi tributarie impositrici sono complete rispetto alle quali l’interprete non ha nulla da
completare, come le norme penali.

Esempio se una norma prevede l’obbligo di pagare un tributo sui canoni di locazione e non dice nulla sui
canoni di locazione finanziaria, aderendo a questo maggioritario orientamento dottrinale il tributo non sarà
dovuto sui canoni di locazione finanziaria perché nulla autorizza l’interprete ad estendere in via analogica la
portata del presupposto impositivo fissato dal legislatore nel momento in cui ha scritto espressivamente
scritto canone di locazione e non ha precisato canone di locazione finanziaria.

Lo stesso discorso si può fare per le norme agevolative, ovvero quelle norme che derogano alla norma
impositiva prevedendo un trattamento di favore per talune categorie di soggetti o per talune categorie di
beni.

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Francesco Gruppelli
Se c’è una norma impositiva che prevede la tassazione di tutte le cessione dei veicoli e prevede come
disposizione agevolativa un’aliquota agevolata per la cessione delle biciclette è possibile invocare l’analoga
agevolazione anche per la cessione di monopattini ?
Dobbiamo interrogarci se nel momento in cui il legislatore ha utilizzato l’espressione bicicletta abbia inteso
una categoria più ampia comprendente anche i monopattini. In realtà aderendo all’orientamento che
abbiamo visto per le norme impositive il caso non disciplinato dalla norma agevolativa rientra a pieno titolo
nel campo della norma impositiva, norma che dispone la tassazione di tutti i veicoli. Però tanto anche in
questo caso manca quella lacuna normativa che costituisce il presupposto per il ricorso all’analogia.

Analogia per tanto serve a rimedirai a delle norme e disposizioni che non ci sono, non può essere utilizzata
per disapplicare delle norme impositive che ci sono.

Statuto dei diritti del contribuente


Si intende la legge luglio 2000, numero 212, costituisce una fonte normativa imprescindibile e
indispensabile per lo studio del diritto tributario. La disposizione che contiene questa legge può essere
raggruppata in 3 macro insiemi:
 articoli dall’ 1 al 4 sono norme che pongono limite al legislatore futuro, quindi meta-norme utili a
guidare l’azione del legislatore nel momento in cui decide di introdurre un tributo.
 Dal 5 a 9 sono norme che regolano il rapporto tra contribuente e l’amministrazione finanziaria, quindi
norme che ci dicono come contemperare l’interesse fiscale che fa parte e viene perseguito
dall’amministrazione finanziaria dalla agenzia delle entrate con i diritti fondamentali di cui è titolare il
contribuente.
 Nell’ultima partire, dal 10 al 19, sono espresse dei diritti e garanzie che vengono riconosciuti al
contribuente.
Le norme dello statuto sono importanti perché attuano le disposizioni della costituzione relativi e codificate
agli articoli 3, principio di uguaglianza, 23 riserva di legge in materia tributaria, 53 principio di capacità
contributiva, 97 diritto ad una buona amministrazione.

Articolo 1: principi generali


Troviamo una auto qualificazione delle norme dello statuto in termini di principi generali dell’ordinamento
tributario. Le norme dello statuto si auto qualificano come espressive degli articoli 3, 23,53,97 della
costituzione.

A fronte di questa auto qualificazione nel comma 1 dell’articolo 1 dello statuto troviamo espresso un
principio di fissità, queso principio di fissità è espresso nel senso di prescrivere che le disposizioni dello
statuto possano essere derogate e modificate solo espressamente e mai da leggi speciali.
Il legislatore futuro che voglia prevedere un qualcosa di diverso lo dovrà fare solo in modo espresso e solo
attraverso una legge di portata generale.

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Francesco Gruppelli
Il legislatore dello statuto ha manifestato esplicitamente l’intenzione di attribuire ai principi espressi nelle
disposizioni delle statuto o desumibili da esso una rilevanza particolare nell’ambito del diritto tributario e
una sostanziale superiorità assiologia in termini di principi rispetto alle altre disposizioni vigenti in materia.

Dobbiamo notare che lo statuto è una legge, dal punto di vista della gerarchia delle fonti è un atto di fonte
primaria, quindi rispettando il principio di gerarchia nulla esclude che il legislatore futuro con un atto di pari
rango e quindi con una legge promulgata dal parlamento deroghi alle norme dello statuto e lo faccia senza
rispettare questo principio di fissità espresso nell’articolo 1 dello statuto.
Questo non toglie il fatto che le norme dello statuto in virtù di questa auto qualificazione come norme
attuative dei principi generali dell’ordinamento tributario abbiano una specifica funzione di orientamento
ermeneutico nell’interpretazione delle norme fiscali, e quindi siamo molto utili ai fini ai un interpretazione
adeguata.
Questo valore ermeneutico dei principi statutari si fonda su due rilievi, quello in prima battuta secondo cui
l’interpretazione conforme a statuto si risolve in definitiva nell’interpretazione conferme alle norme
costituzionali richiamate nel comma 1, che lo stesso statuto dichiara di attuare nell’ordinamento tributario.
E in seconda battuta secondo cui alcuni dei principi posti dallo statuto proprio in quanto esplicitazioni
generali nella materia tributaria delle norme costituzionali che abbiamo richiamato, debbano ritenersi
immanenti nell’ordinamento stesso già prima dell’entrata in vigore dello statuto e per tanto vincolanti per
l’interprete in forza del fondamentale canone ermeneutico dell’interpretazione adeguatrice a costituzione,
quindi del dovere dell’interprete di preferire nel dubbio il significato e la portata conformi a costituzione.
Se affermiamo che le disposizioni dello statuto codificano dei principi immanenti all’ordinamento tributario
diciamo che queste regole sono in realtà applicabili ben prima dell’anno 2000, prima dell’emanazione della
legge 212.

Articolo 2: chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie


Troviamo delle regole volte a dare chiarezza e trasparenza alle disposizioni tributarie, in particolare nel
primo comma troviamo una disposizione che va contro la prassi dei cosiddetti titoli muti.
Le leggi tributarie devono menzionare il loro oggetto nel titolo e che la rubrica della partizioni interne dei
singoli articoli deve menzionare l’oggetto delle disposizioni che sono contenute.
Sulla base di ciò il legislatore deve dare evidenza del fatto che sta introducendo una disposizione tributaria,
magari all’interno una legge che contiene altre disposizioni non tributarie, questo perché l’interprete deve
individuare subito il contributo tributario e fiscale di una determinata norma.

Il secondo comma è ancora più stringente nell’obbligare il legislatore futuro a non emanare leggi tributarie
che contengano al loro interno disposizioni non tributarie, non ci possono essere delle norme intruse,
quindi se il legislatore vuole emanare una disposizione tributaria lo deve fare in un contesto esclusivamente
tributario, non ci possono essere leggi che siano nello stesso tempo tributarie e non tributarie.

Terzo comma ci dice che i rinvii che vengono effettuati da una disposizione fiscale ad un’altra devono
essere subito comprensibili e devono indicare il contenuto sintetico della disposizione alla quale si rinvia.
Disposizioni molto utile perché molto spesso il legislatore fiscale fa rinvio ad altre discipline e questo rinvio
molte volte presenta dei problemi interpretativi superabili qualora il legislatore nel momento in cui compie
il rinvio indichi in modo sintetico il contenuto della disposizione rinviata.

Quarto comma ci dice che le disposizioni modificative di leggi tributarie devono essere introdotte
riportando il testo conseguentemente modificato.
Le disposizioni modificative per riuscire immediatamente comprensibili devono riportare il testo risultate
dalla modifica.

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Francesco Gruppelli
Queste regole sulla redazione delle leggi tributarie future sono molto importanti e le dobbiamo leggere in
combinato disposto con quanto studieremo a proposito dell’articolo 10 dello statuto che ci dice che se ci
sono condizioni obbiettive di incertezza sulla portata o sull’ambito applicativo di una norma tributaria il
contribuente che incappa per errore in una scorretta applicazione della norma tributaria non può essere
sanzionato.

Articolo 3: efficacia temporale delle norme tributarie


Primo comma afferma un principio che abbiamo già ricavato dalle preleggi del codice civile perché ci dice
che salvo quanto previsto a proposito delle norme interpretative le disposizioni tributarie non hanno
effetto retroattivo, l’efficacia della norma tributaria è solo pro futuro, non può retroagire.
Abbiamo già detto che è relativa solo all’efficacia, diversa è l’estensione.

Continua indicando una regola rispetto ai tributi periodici, che sono dal punto di vista temporale la
fattispecie di imposta che può essere costituita da un fatto istantaneo o da un fatto di durata, da qui la
distinzione da tributi istantanei e tributi periodici.
Un esempio di tributo istantaneo è quello che colpisce l’atto di vendita, quello per cui tutte le volte in cui
avviene quell’avvenimento, quello scambio di ricchezza, si realizza il presupposto di imposta e sorge un
distinta e unica obbligazione.
Un esempio di tributo periodo è l’imposta sulla successione che colpisce l’asse ereditario al momento della
morte del tizio.
Viceversa sono periodiche le imposte che hanno come presupposto una fattispecie che si prolunga nel
tempo per cui assume rilievo giuridico un insieme di fatti che si collocano in un dato arco temporale
denominato periodo di imposta.
Le imposte sui redditi sono imposte periodiche in quanto l’imposta è dovuta per anni solari a ciascuno dei
quali corrisponde una singola obbligazione tributaria. In questo caso il presupposto di imposta si spalma su
tutto l’anno.

La disposizione statutaria ci dice che rispetto ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a
partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni
che le prevedono, quindi se il legislatore quest’anno vuole introdurre una modifica che entra in vigore nel
2020, dal punto di vista dell’efficacia quella modifica sarà efficace solo a partire dal periodo di imposta
2021, quello relativo ai fatti che avvengono tra il 1 gennaio e 31 dicembre 2021.

In ogni caso, ci dice il secondo comma, le disposizioni tributarie non posso prevedere nuovi adempimenti a
carico dei contribuenti prima che sia decorso un periodo di latenza di almeno 60 giorni.

Articolo 4: utilizzo del decreto-legge in materia tributaria


Disposizione relativa alla fonte istitutiva di un tributo, perché la disposizione ci dice che non si può disporre
con decreto legge l’istituzione di nuovi tributi nel prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre
categorie di soggetti.
Questa disposizione la dobbiamo leggere in combinato con l’articolo 23 della costituzione (riserva di legge),
il termine legge in realtà intendete tutte le fonti di pari rango, quindi decreto legge e decreto legislativo.
Articolo 4 ci dice ciò perché argina quel fenomeno di abuso della decretazione di urgenza in materia
tributaria. Norma meramente orientativa per l’interprete.

Garanzie che lo statuto prevede a favore del contribuente

Articolo 11: diritto di interpello


Il diritto di interpello è il diritto di formulare una domanda all’amministrazione finanziaria, questa domanda
deve essere relativa ad una fattispecie concreta e personale del contribuente.
La disciplina dell’interpello è stata modificata sulla base di una legge delega del 2014 e la disciplina attuale
così come oggi è entrata in vigore il 1 gennaio 2016.

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Francesco Gruppelli
Questa riforma ha avuto il pregio di unificare le regole procedurali dell’interpello rispetto alle tante
fattispecie e che erano disseminate in varie parti del diritto tributario.
Oggi l’articolo 11 contempla 4 tipologie di interpello:

La prima tipologia è l’interpello ordinario, disciplinato al comma 1, interpello ordinario si distingue in


interpello interpretativo puro, già previsto nella normativa precedente, o interpello qualificatorio, novità.

Il primo ci dice che il contribuente ha diritto di porre un quesito all’amministrazione finanziaria in ordine ad
una sua fattispecie concreta e personale e questo quesito è volta ad individuare il significato giuridico
esatto di una disposizione di legge che si presenta come obiettivamente incerta nella sua applicazione
rispetto alla fattispecie concreta e personale del contribuente.
Se ho un dubbio sull’interpretazione di una disposizione fiscale rispetto ad un operazione che mi accingo a
compiere posso interpellare o rivolgere un quesito all’amministrazione finanziaria per conoscere
l’interpretazione corretta di quella disposizione e quindi il trattamento fiscale che devo applicare alla mia
situazione.

Per quanto riguarda l’interpello qualificatorio, ad essere dubbio può non essere l’interpretazione di una
disposizione di legge ma può essere la qualificazione della fattispecie che il contribuente intende porre in
essere, ad esempio se la spesa di un imprenditore che ha sostenuto debba essere qualificata come una
spesa di pubblicità o di rappresentanza.
Questa parte è innovativa perché consente al contribuente di ottenere dall’amministrazione un parere non
tanto in merito all’Interpretazione di una norma quanto rispetto alla fattispecie concreta e personale che il
contribuente sta per realizzare.

Questa innovativa apertura al fatto dell’Interpello qualificatorio trova comunque il limite costituito
dall’inammissibilità di istanze di interpello avente ad oggetto accertamenti di fatto quindi caratterizzati da
una spiccata e ineliminabile rilevanza di profili fattuali o di tipo tecnico ed altre pubbliche amministrazioni,
rispetto ai quali il ricordo all’Interpretazione qualificatorio è precluso, quindi a fronte dell’ambito
applicativo ci sono delle fattispecie escluse e sono quelle che richiedono un esame tecnico approfondito nel
merito nella fattispecie realizzata dal contribuente e chiaramente non possono essere oggetto di istanza.
Lezione 5.1
Proseguiamo l’esame della norma statutaria sul diritto di interpello e vediamo gli aspetti procedurali
Interpello ordinario: interpretativo o qualificatorio, condizioni di ammissibilità, ovvero quando il
contribuente può presentare istanza di interpello:

Prima condizione è che vi sia uno stato di obbiettiva incertezza sull’interpretazione di una norma fiscale o
sulla qualificazione di una determinata fattispecie.
Se l’amministrazione finanziaria si è già pronunciata in relazione alla fattispecie questo esclude che, non
essendoci più alcune certezza interpretativa, un contribuente possa presentare un istanza di interpello
ordinario.

Seconda condizione è che l’istanza di Interpello sia preventiva rispetto al comportamento che il
contribuente descriveva nella sua istanza, questo accadeva in passato.
Oggi invece è stato precisato che ad essere preventivo è non tanto il comportamento descritto nell’istanza
quanto il termine per l’adempimento tributario.
Questo termine è rappresentato dalla dichiarazione dei redditi, posso presentare un istanza se la fattispecie
che descrivo nell’istanza non è stata ancora dichiarata all’agenzia delle entrate.

Terzo requisito è rappresentato dal carattere di novità, quindi esclusa la presentabilità di un’istanza se il
contribuente ha già ottenuto un parere da parte dell’amministrazione finanziaria.

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Francesco Gruppelli
Deve essere poi dotata di un grado minimo di completezza formale, deve avere le generalità del
contribuente e la descrizione circostanziata e specifica della fattispecie.

Istanza non deve interferire con l’attività di controllo, quindi se amministrazione finanziaria ha già iniziato a
verificare la mia posizione in relazione a quella fattispecie, quella fattispecie non può essere oggetto di un
istanza di interpello.

Infine un interpello ordinario non può essere attivato qualora l’istanza abbia ad oggetto un accordo
preventivo con imprese con attività internazionale, nuovo investimento o procedura di adempimento
collaborativo. Per queste situazioni sono a disposizione degli altri tipi di interpello.

Se l’istanza di interpello è difettosa di qualche elemento non è regolare, l’amministrazione finanziaria


manda al contribuente un invito alla regolarizzazione e può essere spedito solo una volta entro 30 giorni e
impone al contribuente di sistemare nei 30 giorni successivi, pena di inammissibilità.
L’Amministrazione finanziaria può anche chiedere una documentazione integrativa necessaria, e se la
fornisce l’amministrazione finanziaria deve rispondere entro 60 giorni, e se il contribuente non manda i
documenti entro un anno l’istanza si intende rinunciata salva la possibilità per il contribuente di presentare
una nova istanza.

Istanza di interpello deve essere indirizzata alla direzione regionale dell’agenzia delle entrate nella cui
circoscrizione il contribuente ha il domicilio fiscale.
In ogni caso qualora il contribuente individuai male l’ufficio competente questo errore non determina
l’inammissibilità dell’installazione che verra trasmessa all’ufficio competente.

Esclusi i casi di invito alla regolarizzazione e di richiesta di documentazione, l’amministrazione finanziaria


che riceve l’istanza deve fornire una risposta entro 90 giorni.
Qualora questo termine decorre senza che il contribuente riceva una risposta si consolida l’interpretazione
fornita dal contribuente nella sua istanza di interpello attraverso il meccanismo di silenzio assenso.
Affinché questo meccanismo si attui è quindi necessario che nella sua istanza di interpello non solo formuli
un quesito all’amministrazione finanziaria ma fornisca anche una soluzione interpretativa, il contribuente si
fa una domanda e si da anche una risposta, e se amministrazione finanziaria non risponde, la risposta che il
contribuente ha indicato nella sua istanza si da per accolta.
Se l’amministrazione finanziaria ha fornito una risposta al contribuente o se si è formato il silenzio assenso,
l’amministrazione finanziaria ha il potere di rettificare la risposta fornita o l’effetto di consolidamento che
consegue al silenzio assenso.
In questo caso potrebbe accadere la risposta tardiva arrivata al contribuente successivamente alla scadenza
dei 90 giorni intervenga quando già il contribuente ha perfezionato il comportamento descritto nell’istanza
di interpello.
Oppure potrebbe accadere che la risposta tardiva arrivi in un momento anteriore a quello di inizio da parte
del contribuente del comportamento descritto nella fattispecie di interpello.
In questo caso qualora li contribuente decide di discordarsi dalla risposta tardiva, l’effetto della
presentazione dell’istanza è un effetto di ‘penalty protectioin’.
Il contribuente che avendo ricevuto una prima risposta dall’amministrazione finanziaria o avendo ottenuto
un silenzio assenso e riceve successivamente una risposta tardiva che si discosta da quella iniziale, e che
decide di discostarsi da questa risposta tardiva, per il comportamento che decide comunque di attuare in
difformità dalle indicazione non può essere sanzionato.

Al di fuori di questo caso la risposta dell’agenzia delle entrate e il silenzio assenso ha un effetto di vincolo
per l’amministrazione finanziaria.
Se quindi ad esempio rispetto ad un operazione di fusione il contribuente inoltra l’istanza di interpello sulla
tassazione della fusione e l’amministrazione finanziaria risponde che la tassazione è 80 o non risponde e si

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Francesco Gruppelli
forma il silenzio assenso, l’amministrazione finanziaria non potrà successivamente richiedere al
contribuente un maggior tributo ad esempio asserendo che la tassazione corretta è 100 e non più 80.
L’amministrazione finanziaria resta vincolata al parere che ha reso.
Resta inteso che il contribuente rispetto ad una risposta dell’amministrazione finanziaria resta libero di
comportarsi come crede, e quindi se l’amministrazione finanziaria mi risponde inizialmente che la
tassazione della fusione è 100 io resto libero di auto liquidare il tributo e auto-tassarmi per 80.
In questo caso è molto probabile che l’amministrazione finanziaria richieda il maggior tributo attraverso la
notifica di una richiesta di accertamento.
Questo vincolo che l’Interpello ordinario e idoneo a determinare in capo alle risposte dell’amministrazione
finanziaria si distingue da quell’effetto che abbiamo visto rispetto alle circolari dell’agenzia delle entrate,
questo perché l’articolo 10 comma 2 dello statuto dei diritti del contribuente mi dice che si io ho letto una
circolare dell’agenzia delle entrate e mi uniformo alla soluzione interpretativa della circolare io potrò essere
oggetto di richiesta del maggior tributo da parte dell’amministrazione finanziaria che successivamente
smentisce quel l’interpretazione accolta in circolare ma non potrò mai essere sanzionato, ne mi potranno
mai essere richiesti gli interessi moratori.
Questo perché fonte del diritto tributario è sempre e soltanto la legge, le circolari non sono fonti del diritto
tributario ma sono norme di condotta.
Qualora invece io non abbai realizzato il mio comportamento sulla base di una circolare ma abbia effettuato
un istanza di interpello l’effetto di vincolo di una risposta resa dall’amministrazione finanziaria è molto più
forte perché se mi uniforme dal parere reso dall’amministrazione finanziaria, quest’ultima non mi potrà
chiedere ne sanzione e interessi ma neanche il maggior tributo.

Una seconda tipologia di interpello, che si trova sempre nell’articolo 11, è l’interpello probatorio, devo
esperire un interpello probatorio e non ordinario quando voglio conoscere il parere dell’amministrazione in
ordine alla sussistenza delle condizioni e all’idoneità degli elementi probatori richiesti dalle leggi per
l’adozione di specifici regimi fiscali.
L’Interpello probatorio è tassativo, quindi limitato all’ipotesi legislativamente definite, non è obbligatorio.
I casi di interpello probatorio sono molto complessi e risulteranno chiari quando studieremo i redditi di
impresa, un esempio che può essere subito chiaro può essere quello dell’accesso del consolidato mondiale,
che è un sistema di tassazione unitario di tutte le imprese appartenenti ad un gruppo, se un gruppo di
imprese è incerto in relazione ad un dubbio e all’accesso a questo regime del consolidato mondiale può
inoltrare un interpello probatorio all’amministrazione finanziaria.
La procedura dell’interpello probatorio è del tutto identica a quella delineata dall’articolo 11 per l’Interpello
ordinario, l’unica differenza è che il termine di risposta è di 120 giorni e non di 90.

Una terza tipologia di interpello codificata sull’articolo 11 è l’interpello anti-abuso

Una quarta tipologia di interpello codificata all’articolo 11 è l’interpello disapplicativo, si chiama così perché
attraverso questa istanza il contribuente chiede all’amministrazione finanziaria di disapplicare delle norme
tributarie.

Quali norme posso chiedere che vengano disapplicate ?


Le norme che limitano la facoltà del contribuente di chiedere delle deduzioni, detrazioni, crediti di imposta,
fornendo la prova che nel caso di specie non ricorrono quegli intenti elusivi che la disposizione mira a
contrastare.
Vi sono infatti disseminate all’interno del sistema tributario delle disposizioni che sono volte a evitare dei
comportamenti elusivi da parte dei contribuenti, ad esempio sempre nell’ambito della disciplina del TUIR
troviamo all’articolo 172 una disposizione che limita il riporto delle perdite fiscali, nel caso di fusione io
posso decidere di abbassare la base imponibile facendo emergere la perdita della società con la quale mi
sto fondendo.

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Francesco Gruppelli
Questo ovviamente ha il fine di eliminare o ridurre il commercio delle cosiddette bare fiscali, quelle
operazioni di fusione realizzate esclusivamente con l’intento di portare in pancia delle perdite maturate da
altri soggetti.

Rispetto ad una situazione del genere il contribuente può presentare un istanza di interpello dichiarando
all’agenzia delle entrate di trovarsi nella situazione decritta dalla norma e tuttavia per ragioni personali e
concrete legate a quella specifica situazione chiede la disapplicazione di quella norma, perché posso farlo?
Perché sempre nell’ambito dell’articolo 172 il legislatore mi consente il riporto delle perdite fiscali se io
soddisfo un cosiddetto test di validità, parametrato sulla base della media dei due bilanci precedenti.
Se io sono una società neocostituita che si fonde con un’altra società, io non potrò mai rispettare questo
test perché un corrispondo dei due bilanci dei due esercizi precedenti.
Quindi posso chiedere di disapplicare l’articolo 172 perché quella clausola di esclusione al limite
dell’importo delle perdite fiscali io non la potrò mai ottemperare perché il test è parametrato e comporta
l’esistenza di due esercizi sociali che nel mio caso di specie non si possono ottenere.

La difficolta maggiore dell’Inter disapplicativo è che la norma che contiene la disciplina di questo particolare
tipo di interpello non enumera le ipotesi tipiche nelle quelli è richiesto l’invio dell’istanza di interpello e
quindi devo andare io a rintracciare nell’ambito del sistema tributario quelle norme aventi finalità anti
elusiva che possono essere oggetto di disapplicazione.
Qualora amministrazione finanziaria mi risponda che la norma nel mio caso non può essere disapplicata io
ho la possibilità di impugnare l’interpello, lo devo fare però all’atto impositivo che l’amministrazione
finanziaria mi notificherà, quindi all’avviso di accertamento.
Se a seguito della risposta negativa non arriverà alcun avviso di accertamento non avrò la possibilità di
accedere alla giustizia tributaria e di andare di fronte al giudice tributario perché non ci sarà alcun atto
autonomamente impugnabile.

Un’ulteriore interpello è quello sui nuovi investimenti, che non trova la propria fonte normativa nell’ambito
dello statuto dei diritti del contribuente, c’è perché c’è l’esigenza di dare certezza a tutti quesi soggetti
residenti o non residenti che intendono effettuare investimenti rilevanti in italia, dando certezza sotto il
profilo del trattamento fiscale degli investimenti e delle operazioni societarie che questi soggetti stanno per
pianificare.
L’ambito soggettivo che possono effettuare l’istanza di interpello è rappresentato dagli imprenditori
individuali, persone fisiche, società di capitali e dagli altri enti residenti non che il trust, soggetti che hanno
quale oggetto esclusivo principiale l’esercizio di un attività commerciale.
Questi soggetti possono presentare istanza di interpello se intendono realizzare un piano di investimento
nel territorio italiano che abbia ricadute occupazionali significative e durature e che sia di ammontare non
inferiore ai 30 milioni di euro.
Qualsiasi progetto volto a rappresentare una iniziativa economica a carattere duraturo a ristrutturare o
ottimizzare un complesso aziendale già esistente o porre in essere iniziative dirette alla partecipazione del
patrimonio dell’impresa, possono accedere a questa tipologia di interpello.

Il contenuto dell’ istanza non presenta particolari problemi, l’istante deve descrivere in modo dettagliato
l’investimento, deve indicare le specifiche disposizioni tributarie di cui richiede interpretazione o rispetto
alle quali intende richiedere un parere da parte dell’agenzia delle entrate rispetto all’eventuale abusività
delle operazioni connesse al piano di investimento.

La risposta dell’agenzia è scritta e motivata e deve essere comunicata entro 120 giorni, vale sempre il
meccanismo del silenzio assenso.
Rispetto agli effetti della risposta dell’agenzia delle entrate, una particolarità è che il vincolo si manifesta
non solo nei confronti dell’istante ma anche rispetto a tutti i soggetti coinvolti nel piano di investimento.

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Francesco Gruppelli
Sempre rispetto agli effetti della risposta, i contribuenti che si adeguano alla risposta ricevuta all’agenzia
delle entrate godono dell’ulteriore effetto di avere un accesso agevolato a quel regime di cooperative
compliance, regime che è subordinato a determinati requisiti dimensionali.

Un ulteriore tipologia di interpello è l’interpello che prende il nome di ruling internazionale, ruling
disciplinato l’articolo 31 ter del DPR 600/1973 che ha la finalità di rendere l’Italia un paese attrattivo e
competitivo per le imprese nazionali o straniere che intendano operarvi.
I requisiti soggettivi per avere accesso sono particolarmente complessi, è sufficientemente ricordare che
possono accedere a questo interpello le imprese con attività internazionale, quindi imprese che effettuino
delle transazioni con l’estero o che corrispondano dividendi, interessi o royalty a soggetti non residenti in
Italia.

Dovrebbe fare ciò perché le imprese con attività internazionale nel momento in cui trasferiscono la
proprietà di beni e servizi intangible tra entità appartenenti allo stesso gruppo multinazionale devono
determinare qual è il prezzo congruo di un operazione.

Se due imprese associate e residenti in paese diversi effettuano una transazione è molto probabile che
determineranno il prezzo del bene e servizio dell’intangible trasferito in modo da far figurare un costo nel
paese che presenta una fiscalità molto alta e un utile nel paese che presenta una fiscalità molto bassa.
È per questo che rispetto a questo tipo di operazioni trans nazionali si accentuano i controlli da parte
dell’agenzia delle entrate, proprio perché attraverso questo operazione di determinazione del prezzo della
transazione.

Questo tipo di interpello consente alle imprese che svolgono attività trans nazionale di chiedere in anticipo
all’agenzia delle entrate quale il prezzo congruo rispetto all’operazione che stanno compiendo.
Se effettuo quindi l’istanza di interpello e mi adeguo al prezzo fissato dall’agenzia delle entrate, sarò certo
di non incorrere in accertamenti, controlli e quindi alla notifica di avvisi di accertamento.

Dal punto di vista della modalità di presentazione dell’istanza non ci sono dei profili particolari di interesse,
dal punto di vista del contenuto è bene chiarire qual è l’oggetto dell’accordo preventivo, e quindi andrà
descritto all’agenzia qual è l’operazione che l’impresa sta per effettuare.

Una particolarità rispetto ad questa tipologia dei interpello è che il requisito della preventività non appare
una condizione essenziale per l’ammissibilità alla procedura di interpello, come invece abbiamo visto per le
tipologie di interpello disciplinate all’articolo 11 dello statuto.
Un ulteriore particolarità di questo tipo di interpello è legata al procedimento perché in questo caso è
previsto un contraddittorio tra l’agenzia delle entrate e il contribuente che è invitato a comparire.
L’istruttoria quindi si svolge attraverso un dialogo con il contribuente e deve essere terminata entro 180
giorni salve le sospensioni dovute alla necessita di contattare l’eventualità autorità straniere nel caso
servano informazioni anche reperibili in stati esteri.
A seguito di questa fase di contraddittorio amministrazione finanziaria e contribuente sottoscrivono un
accordo che è sul prezzo di trasferimento, ha un efficacia vincolante non solo per il periodo di imposta ma
anche per i 4 anni successivi, salvi ovviamente i casi di mutamenti di circostanze di fatto e diritto.

Rispetto a questo arco temporale è preclusa all’amministrazione finanziaria di effettuare i controlli e di


notificare degli avvisi di accertamento che smentiscano il contenuto di questo accordo.

Nel caso in cui l’amministrazione ravvisi una violazione da parte del contribuente, totale o parziale
dell’accordo ne deve dare comunicazione all’impresa invitandola a presentare delle memorie che devono
pervenire entro 30 giorni.
Se le memorie sono ritenuto insufficienti l’ufficio comunica la risoluzione anche parziale dell’accordo.

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Francesco Gruppelli
L’accordo inoltre può essere oggetto di modifica qualora sussista un mutamento delle condizioni di fatto o
diritto su cui quell’accordo si basa, in questo caso è necessario riavviare la procedura di contraddittorio tra
amministrazione e contribuente.
Infine l’accordo può essere rinnovato qualora entro 90 giorni dalla sua scadenza l’impresa richieda il
rinnovo all’amministrazione finanziaria competente.

I soggetti del rapporto d’impresa


Vede come protagonisti, non più il legislatore tributario, ma il contribuente da un lato e l’amministrazione
finanziaria dall’altro. In questa parte affronteremo gli istituti della dichiarazione dei redditi e dell’avviso di
accertamento e della fase di riscossione dei tributi.

Soggetto attivo, o ente impositore, è il soggetto titolare di potere autoritativi e titolare di un diritto di
credito.
Il rapporto obbligatorio di imposta è infatti un rapporto tra due soggetti, un soggetto che è debitore, tenuto
ad una determinata prestazione, ed un soggetto che è creditore, titolare di un diritto di credito.

L’obbligazione tributaria non si differenzia da un punto di vista concettuale da tutte le obbligazioni di diritto
privato che conosciamo dal codice civile.

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Francesco Gruppelli
Sappiamo che nel codice civile non troviamo una definizione di obbligazione ma sappiamo dalla lettura
delle norme del codice civile che il debitore vincolato da un obbligazione è il soggetto tenuto ad eseguire
una prestazione nei confronti di un altro soggetto.

Il soggetto debitore è tenuto ad un comportamento o attivo, di dare e fare, o negativo, di permettere, e


questo comportamento è suscettibile di valutazione economica, quindi la prestazione è informata al criterio
della patrimonialità.
L’obbligazione tributaria presenta tutte queste caratteristiche e quindi è del tutto simile alle altre
obbligazioni di diritto privato disciplinate dal codice civile.

Obbligazione tributaria però non è soggetta solo alla disciplina del codice civile ma ha una disciplina propria
ed è per questo che è un obbligazione propriamente di diritto pubblico, questo perché nel caso in cui vi sia
una lacuna nella disciplina prevista dal codice civile, noi dobbiamo ricorrere per individuare le regole
disciplinanti il rapporto obbligatorio di imposta alla disciplina di diritto pubblico.

Obbligazione tributaria è un obbligazione legale, è la legge che definisce il soggetto attivo e il soggetto
passivo.
Questo significa che a differenza dell’obbligazione di diritto privato, obbligazione tributaria non da spazio
alla volontà delle parti, il contribuente cosi come l’amministrazione finanziaria non gode di discrezionalità
nella disciplina dell’obbligazione.
Tutto è stabilito dalla legge, questo principio è molto importante soprattutto dal lato attivo del rapporto
obbligatorio perché significa che l’amministrazione finanziaria non può disporre del credito nascente dal
tributo, non può rinunciare a riscuotere i tributi, non è un creditore come i creditori di diritto privato.
Così pure l’amministrazione finanziaria non può disporre del potere impositivo, deve agire nell’ambito della
legge.
L’esercizio del potere impositivo può essere anche affidato ad un altro soggetto, però questo meccanismo è
del tutto irrilevante all’individuazione del soggetto attivo titolare del rapporto obbligatorio di imposta che
resta lo stato o l’ente pubblico che istituisce il tributo e che avanza la pretesa tributaria nei confronti del
contribuente.

Il soggetto passivo per contro è il soggetto tenuto alla prestazione avente carattere patrimoniale, il soggetto
passivo è il soggetto con il quale si attiva il rapporto obbligatorio con il soggetto attivo.

Soggetto passivo non va confuso con il contribuente di fatto perché il contribuente di fatto identifica il
soggetto sul quale grava l’onore finanziario dell’imposta.
Quindi possiamo identificare il soggetto passivo nel soggetto che realizza il presupposto di imposta, che fa
nascere l’obbligazione tributaria, contribuente di fatto invece indichiamo il soggetto che materialmente
viene inciso dal tributo.

Questa differenza è molto evidente nell’IVA. Soggetto passivo è imprenditore o lavoratore autonomo che
pone in essere la cessione di bene o la prestazione di servizio, mentre il soggetto inciso dall’iva, quello che
effettivamente subisce l’onore finanziario del tributo è il consumatore finale che acquista il bene o il
servizio e sopporta il peso economico del tributo.

Il soggetto passivo è il centro titolare degli effetti tributari, può essere non necessariamente una persona
fisica ma può essere un qualsiasi ente dotato di personalità giuridica o addirittura privo di personalità
giuridica, quindi anche soggetti non personificati che non hanno un individuazione specifica nell’ambito del
diritto privato.
Il termine contribuente non è invece un termine tecnico giuridico ed è per questo che infatti lo troviamo
poche volte nell’ambito delle disposizione tributarie.

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Francesco Gruppelli
Ogni soggetto passivo ha un domicilio fiscale, la nozione di domicilio fiscale è diversa dal domicilio
civilistico: il primo è una nozione di diritto formale che ci aiuta ad identificare qual è lo specifico ufficio
territoriale dell’agenzia delle entrate competente.
Ai fini reddituali i soggetti residenti in italia hanno per domicilio fiscale il comune dell’anagrafe della
popolazione civile e residente in cui sono iscritti.
Per le società e gli enti vale invece il comune dove si trova la sede legale.
Se siamo di fronte ad un soggetto non residente in italia il domicilio fiscale sarà quello del comune in cui è
prodotto il reddito.

Può non essere sempre facile individuare chi sia il soggetto passivo, il criterio che dobbiamo considerare è
quello di guardare a chi realizza il presupposto di imposta.
Questa individuazione è facile rispetto a determinati tipi di presupposto come possono essere la percezione
di un reddito derivante da un lavoro dipendente.
Se siamo di fronte alla fattispecie salario il soggetto passivo sarà il lavoratore dipendente che ha prodotto e
percepisce quel determinato salario.

Ma ci sono dei casi in cui il presupposto di imposta può essere riferito ad una pluralità di soggetti, pensiamo
agli eredi o ad un contratto di trasferimento di bene in cui abbiamo un venditore e un acquirente.
L’imposta che grava sulla vendita può essere riferita alla capacità contributiva del venditore che attraverso
quell’operazione realizza un guadagno o dell’acquirente che portandosi a termine la vendita manifesta la
possibilità di potersi permettere quel determinato bene che sta acquistando.

Rispetto al caso di pluralità di soggetti che realizzano un unitario presupposto di importa possiamo avere
due situazione: se la capacità contributiva è riferibile per intero a ciascun soggetto nel caso della vendita la
capacita contributiva è riferibile sia all’acquirente che al venditore, ciascun soggetto sarà obbligato per
l’intero, quindi sia uno che l’altro dovrà rispondere sull’imposta gravante sulla vendita per il 100% del
tributo, il fisco può ritenersi sodisfatto quando percepisce il 100% del tributo anche da parte solo di uno dei
due, salve le eventuali azioni di rivalsa e regresso interne ai due soggetti privati.

Questa particolare situazione va tenuta distinta dalla situazione la cui capacità contributiva è invece
riferibile a ciascun soggetto passivo ma solo pro quota, non per l’intero.
È il caso degli eredi, ciascuno dei figli che riceve in eredita parte del patrimonio del padre risponderà nei
confronti dell’erario non per l’intero ma solo pro quota, ovvero la parte di eredità ricevuta.
Questo succede anche in caso di comproprietà in caso di vendita.

Lezione 6.1

Tendenzialmente soggetto passivo e contribuente coincidono in uno stesso soggetto, nei casi in cui invece
siano soggetti distinti dobbiamo analizzare il rapporto che sussiste tra questi due soggetti, può essere
disciplinato dalla legge o può non trovare una disciplina nella legge.
La legge può fare divieto rispetto al fenomeno della traslazione dell’imposta, ovvero vietare al soggetto
passivo di imposta di addebitare il tributo ad un altro soggetto, questo accadeva nel caso del tributo
dell’INVIM, imposta sull’incremento di valore degli immobili.

In altre situazioni è la legge che conferisce al soggetto passivo il cosiddetto diritto di rivalsa, ovvero diritto di
addebitare l’imposta ad un altro soggetto e questo vedremo che accade nell’iva dove non solo c’è il diritto
del soggetto passivo di addebitare l’imposta, ma ce anche l’obbligo.
L’effetto economico della rivalsa prende il nome di traslazione dell’imposta.

Infine la legge può contemplare la rivalsa anche in modo facoltativo, la legge può autorizzare l’esistenza di
clausole contrattuali tra privati che determinano l’effetto economico della rivalsa, e realizzano la traslazione
dell’imposta.

29
Francesco Gruppelli
Nel caso in cui un soggetto abbia pagato un imposta dovuta per un presupposto riferibile per un altro
soggetto si realizza una surrogazione legale, a vantaggio di che essendo tenuto con altri o per altri al
pagamento di un tributo ha assolto il debito di imposta.
Questo soggetto può surrogarsi nei confronti del debitore di imposta negli stessi diritti che il debitore di
imposta vanta nei confronti del creditore, del fisco quindi.
Il credito che vanta colui che ha pagato il tributo per un presupposto di imposta riferibile ad un altro è
assistito dagli stessi privilegi a cui è garantito il credito del fisco.

Può anche accadere che la legge non disciplini la traslazione di imposta, nel caso di rapporto tra
contribuente di diritto e di fatto non disciplinato, potremmo avere una transazione di imposta occulta o
palese, sarà occulta quando il prezzo della cessione di un bene o della prestazione di un servizio è formato
tenendo conto del onere tributario e quindi il prezzo incorpora già l’onere tributario che trasla dal
contribuente di diritto a quello di fatto, oppure la traslazione può essere palese, cioè i soggetti di fatto e
diritto possono concordare il trasferimento dell’imposta.
Questa situazione è molta problematica in quanto i patti di imposta potrebbero portare ad una violazione
del principio di capacità contributiva, articolo 53 della costituzione ci dice che tutti devono contribuire alle
spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Nella prassi i patti di imposta sono molto frequenti soprattutto in ambito sportivo, molto spesso infatti i
contratti di ingaggio prevedono un compenso netto agli sportivi tenendo già conto di quello che sarà
l’onere tributario, e quindi a fronte del reddito prodotto dallo sportivo, la società che ingaggia lo sportivo si
fa già carico dei tributi gravanti su questo reddito.
Es se su 2 milioni di euro sono dovuti tributi per 1 milione di euro, l’ingaggio netto di 1 milione di euro
equivale in un compenso effettivo esattamene pari al doppio. In questo caso la società che fa l’ingaggio si
accolla, si impegna verso un altro soggetto lo sportivo l’accollato, a far fronte al debito di imposta risultate
da quel contratto di ingaggio. L’imposta accollata concorre alla formazione dell’imponibile poiché l’accollo
rappresenta una parte della retribuzione.

I patti di imposta e l’accollo sono possibili anche rispetto ai tributi in quanto dobbiamo superare quelle
critiche mosse ai patti di imposta sulla base dell’articolo 53, perché dobbiamo ritenere che l’articolo 53
riguardando il rapporto tra fisco e contribuente non incida e non pregiudichi l’autonomia proviate dei
soggetti che per vari motivi possono prevedere la traslazione dell’imposta.

Nulla vieta che a titolo gratuito o oneroso un altro soggetto si obblighi a corrispondere un debito tributario
facente capo ad un altro soggetto. La legittimità dei patti di imposta è stata poi sancita nello statuto dei
diritti del contribuente, articolo 8 comma 2 ‘ è ammesso l’accollo del debito di imposta altrui senza
liberazione del contribuente originario ‘, quindi i patti di imposta sono possibili, ma il debitore originario
continua ad essere responsabile nei confronti del fisco per quel debito tributario.
Questo tipo di situazione ci porta alla considerazione che ad essere coinvolti nel prelievo tributario non
sono solo i contribuenti di diritto ma ci possono essere altri soggetti coinvolti nel pagamento del debito di
imposta.
Questo è stato specificato attraverso l’introduzione di due specifiche figure che sono quella del sostituto di
imposta e del responsabile di imposta. Entrambe queste figure sono disciplinate nel dpr numero 600 del 73
che raccoglie molti disposizioni in materia di accertamento, possiamo chiamarlo decreto accertamento.
Sostituto di imposta
La definizione legislativa, articolo 64 comma 1 del decreto accertamento, è sostituto colui che in forza di
disposizione di legge è tenuto al pagamento di imposte in luogo d’altri per fatti o situazioni a questo
riferibili.
È molto importante quel ‘ in luogo di altri ‘ perché come vedremo il responsabile di imposta è colui che è
tenuto al pagamento di imposte insieme con altri.

30
Francesco Gruppelli
Il sostituto di imposta è un soggetto passivo o è un soggetto solo coinvolto nell’attuazione del tributo, cioè
nel modo attraverso il quale l’erario incassa il tributo riferibile ad un altro soggetto?
Dobbiamo tenere in considerazione il fatto che il presupposto della sostituzione tributaria è che io soggetto
corrispondo delle somme ad un altro soggetto, il sostituito.

Questo meccanismo è vantaggioso per il fisco per il fatto che il sostituto di imposta non ha alcun interessa a
non versare le imposte gravanti sul debitore originario.
L’esempio di sostituzione di imposta è il datore di lavoro che è sostituto di imposta rispetto al tributo irpef
dovuto dall’operaio.
Il datore di lavoro, in quanto sostituto di imposta, è tenuto sulla base del contratto di lavoro a
corrispondere delle somme al proprio dipendente e nei confronti del fisco è tenuto ad operare una
ritenuta, per cui una busta paga dell’operaio darà evenienza del fatto che rispetto allo stipendio
contrattualmente previsto è già stata scontata l’imposizione, e quindi in busta paga l’operaio vedrà
accreditato lo stipendio netto.

Il fisco coinvolge il datore di lavoro in questo meccanismo in quanto il datore di lavoro è garanzia che non vi
sarà evasione, perché il datore di lavoro è una posizione fiscalmente neutrale, in quanto il sostituto è
obbligato personalmente verso il fisco ma ha anche il diritto e dovere di trattenere la somma che
corrisponde al proprio operaio per un importo pari alla somma di cui è debitore un operaio nei confronti
del fisco.

Sono sostituti di imposta i soggetti tenuti al pagamento del ires, le società di persone, le associazioni, gli
imprenditori individuali e coloro che esercitano arti e professioni.
Questi soggetti quando corrispondo somme o valori che costituiscono reddito di lavoro dipendente,
compensi di lavoro autonomo, provvigioni, interessi, dividenti e altri redditi di capitale devono operare una
ritenuta a titolo definitivo provvisorio e devono versare le somme ritenute al fisco.
Per tanto il datore di lavoro quando corrisponde lo stipendio, il salario al proprio dipendete è tenuto ad
operare una trattenuta, ritenere parte delle somme contrattualmente dovute e a versare queste somme al
fisco.

Tra sostituto di imposta, il datore di lavoro e il sostituito intercorre un rapporto di rivalsa, in base a ciò il
sostituto ha il diritto e dovere di effettuare le ritenute.
Effettuare la ritenuta è un dovere la cui violazione è punita con una sanzione amministrativa.

Rispetto alla sostituzione ci dobbiamo chiedere qual è la posizione del sostituito, è estromesso dal rapporto
con il fisco in quanto è tenuto ad intervenire il sostituto o va ancora qualificato come soggetto passivo di
imposta?
Se il sostituito lo consideriamo come estromesso dal rapporto obbligatorio con il fisco, l’unico soggetto
rispetto al quale potrebbe rivalersi il fisco qualora le ritenute non fossero versate è il sostituto di imposta
che potrebbe essere agevolmente qualificato come soggetto passivo.
La risposta a questa questione la dobbiamo dare con riferimento ai due distinti casi di ritenuta che il nostro
ordinamento conosce, ritenuta a titolo di acconto e a titolo di imposta.

Nella sostituzione a titolo di acconto il sostituto non diventa debitore di imposta in luogo del soggetto che
sarebbe altrimenti obbligato secondo i criteri generali della soggettività passiva dell’obbligazione, ma è
obbligato ad un obbligo autonomo di versamento rispetto al quale non è riferibile alcune idea di
sostituzione.

31
Francesco Gruppelli
Nella sostituzione a titolo di acconto quindi il sostituto non diventa soggetto passivo di imposta ma è tenuto
ad un obbligo molto preciso e determinato che è quello di versare le ritenute che ha effettuato sui redditi
del sostituito e il versamento di queste ritenute non esaurisce l’obbligazione di imposta.
Le ritenute di acconto per chi le subisce costituiscono un acconto dell’imposta che sarà dovuta una volta
che saranno calcolati tutti i redditi prodotti in un determinato periodo di imposta.
Quindi se mi viene operata una ritenuta a titolo di acconto io acquisirò un credito di pari ammontare nei
confronti del fisco che potrò far valere in sede di dichiarazione dei redditi e che sarà detratto dal debito di
imposta complessivo che verra calcolato una volta che terminerà il mio periodo di imposta.
La sostituzione a titolo di acconto realizza una forma di riscossione anticipata, prima che venga definito il
mio debito di imposta complessivo mi viene già prelevato parte di quella ricchezza che dovrò destinare al
pagamento dei tributi, quindi la riscossione a titolo d’acconto realizza una riscossione anticipata.

Ipotesi patologiche: imaginiamo che il sostituto di imposta venga meno al suo obbligo di effettuare le
ritenute.
Se le ritenute non sono state effettuare ma il sostituto versa di tasca propria l’ammontare delle ritenute che
avrebbe dovuto operare al fisco, nessun problema ci sarà perché il fisco incassa esattamente quanto si
aspettava.

Se viceversa le ritenute non sono operate e nessuna somma è versata al fisco da parte del sostituto
dobbiamo vedere qual è il comportamento del sostituito, se esso si costituisce debitore nei confronti del
fisco e quindi in sede di dichiarazione non fa valere alcun credito nei confronti del fisco ma calcola le sue
imposte in modo complessivo, senza scomputare alcun acconto, ecco che adempiendo all’intera
obbligazione tributaria libera nei confronti del fisco anche il sostituto.

Se viceversa il sostituito non si costituisce debitore il fisco potrà pretendere l’ammontare delle ritenute dal
sostituto, quindi resta obbligato nei confronti del fisco e ovviamente resta salvo il diritto del sostituto di
rivalersi nei confronti del sostituito andando successivamente a prelevare l’importo di quelle ritenute non
effettuate al suo tempo, questo meccanismo prende il nome di rivalsa successiva.
In termini generali quindi il fisco potrà avanzare una pretesa nei confronti del sostituto per stabilire che ho
omesso di effettuare le ritenute e di versarle, e potrà aggredire il sostituito se esso ha dichiarato un reddito
inferiore a quanto effettivamente gli è stato corrisposto perché appunto non sono state effettuate le
ritenute.

La domanda se le ritenute possono essere chieste anche al sostituito, rispetto a questa domanda la
giurisprudenza da risposta positiva perché ritiene che il contribuente che abbia percepito delle somme
soggette a ritenuta alla fonte a titolo di acconto resta debitore principale dell’obbligazione tributaria,
qualora il sostituto non abbia versato all’erario l’importo della ritenuta l’amministrazione finanziaria resta
libertà di rivolgersi direttamente al sostituito per ottenere le somme dovute.

Questo ci dice che il soggetto passivo dell’obbligazione resta il sostituito, esso è l’unico soggetto passivo.
In capo al sostituto grava solo un obbligo di versamento e di previa effettuazione delle ritenute,
l’obbligazione diversamente costituisce un obbligazione autonoma rispetto all’obbligazione sulla totale del
reddito prodotto che grava sul sostituito.
Questo è ulteriormente confermato da una disposizione del TUIR che consentire al sostituito di effettuare
lo scomputo della ritenuta subita anche se non versata, quindi l’operaio che si vede decurtare in busta paga
l’importo del suo salario da parte del datore di lavoro che effettua la ritenuta che poi non la versa, matura
comunque nei confronti del fisco il diritto di scomputare quella ritenuta.

Lezione 6.2
Sostituzione a titolo di imposta
La ritenuta effettuata dal sostituto esaurisce l’obbligazione tributaria fra il debitore principale, il sostituito e
il fisco.

32
Francesco Gruppelli
La sostituzione a titolo d’imposta realizza quindi al tempo stesso una sostituzione in senso soggettivo,
perché il prelievo totale sui redditi prodotti dal debitore principale è effettuata da un soggetto diverso da
colui che percepisce il reddito, ma realizza anche una sostituzione in senso oggettivo, perché le ritenute a
titolo di imposta vengono calcolate sulla base di una aliquota standard, una misura che non
necessariamente corrisponde alla misura applicabile alla totalità dei redditi prodotti dal soggetto.

Se noi diciamo che le somme soggette a sostituzione a titolo di imposta sono soggette ad un regime fiscale
sostitutivo noi non stiamo dicendo altro che la tassazione del reddito prodotto dal debitore principale,
sostituito, subisce una deroga rispetto a quel criterio di progressività che abbiamo visto codificato
all’articolo 53 secondo comma della costituzione, proprio perché l’aliquota non la andiamo a calcolare su
tutto il reddito globale e complessivo prodotto dal soggetto ma con riferimento alle somme soggette a
sostituzione a titolo di imposta andiamo ad applicare un regime fiscale sostitutivo, quindi effettuiamo una
deroga in senso oggettivo al principio di tassazione globale e progressiva delle persone fisiche.

È per questo che la sostituzione a titolo di imposta è presente solo in casi limitati, tra i quali i compensi
corrisposti ai lavoratori autonomi non residenti ai fini fiscali nello stato, i dividenti e gli altri redditi di
capitali che spettano a soggetti non residenti ai territori dello stato, e alcuni redditi di capitale e le vincite.
Quindi se io vinco all’otto la ricchezza che vinco sarà già decurtata da una ritenuta a titolo di imposta che
esaurisce il mio rapporto con il fisco rispetto a quella ricchezza e quel reddito.

Per verificare se il sostituito è stato estromesso dal rapporto di imposta nel caso di sostituzione a titolo di
imposta dobbiamo anche in questo caso verificare l’ipotesi patologica, nell’ipotesi in cui il sostituto di
imposta non effettui la ritenete ma versi comunque l’importo della ritenuta al fisco, non si pone alcun
problema perché il fisco si ritiene appagato dal fatto che comunque ha avuto un gettito.

Nel caso in cui invece il sostituto di imposta non effettui la ritenuta di imposta e non effettui il versamento
c’è una norma particolare nell’ambito del nostro decreto sull’accertamento, decreto 602 articolo 35, che ci
dice che quando la ritenuta non è stata effettuata e il versamento non è stato effettuato il sostituito è
obbligato il solido nei confronti del fisco.
Quindi l’obbligazione tributaria è posta e resta a carico del sostituito a causa della duplice omissione del
sostituto che non effettua la ritenuta e non la versa.

Inoltre c’è un’altra disposizione contenuta all’articolo 38 del dpr 602 che ci dice che qualora sia stata
effettuata una ritenuta di imposta in misura superiore a quella effettivamente dovuta il sostituito può
direttamente avanzare una domanda di rimborso nei confronti del fisco per recuperare la ritenuta indebita.

Questa due disposizioni ci dicono che il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria non è il sostituto di
imposta perché se il sostituto non effettua la ritenuta e non versa è obbligato e continua a restare il
sostituito che vanta anche un diritto di rimborso diretto nei confronti del fisco qualora l’ammontare delle
ritenuta sia superiore a quelle dovute.

Possiamo dire che tanto nella sostituzione a titolo di acconto quanto a quella di imposta il sostituto non è
altro che un soggetto incaricato dalla legge di adempiere l’obbligazione del sostituito, quindi interviene solo
ai fini del attuazione del tributo, previa provvista dei mezzi finanziaria, quindi il meccanismo della
sostituzione è legittimo e rispetta l’articolo 53 perché c’è il meccanismo della ritenuta, quindi la ricchezza
che viene prelevata e viene devoluta all’erario per il pagamento del tributo è una ricchezza che fa parte del
reddito prodotto dal sostituito, quindi non è una ricchezza che proviene dalle risorse e redditi del sostituto.
Esso in quanto mero incaricato dalla legge dell’adempimento, parziale nel caso di ritenuta a titolo
d’acconto, totale nel campo di ritenuta di imposta, non è il soggetto passivo di imposta ma titolare di un
obbligazione autonoma di versamento delle ritenute che è obbligato ad effettuare.

33
Francesco Gruppelli
Diversa rispetto alla figura del sostituto di imposta è quella del responsabile di imposta, quando
l’obbligazione tributaria ricade oltre che su colui che ha realizzato il presupposto di imposta anche su un
altro soggetto definito responsabile di imposta, questo perché la definizione legislativa che rintracciamo nel
decreto sull’accertamento, articolo 64 terzo comma, ci definisce responsabile di imposta colui che è tenuto
del tributo insieme con altri per fatti riferibili esclusivamente a questi ultimi.

È responsabile di imposta colui che non realizza quindi il presupposto del tributo ma realizza una fattispecie
collaterale e risulta fiscalmente obbligato in via dipendente e in solido con il soggetto che ha realizzato il
presupposto di imposta.
Quindi l’obbligazione del responsabile di imposta non deriva dall’aver concorso a realizzare il presupposto
di imposta ma deriva dall’aver posto in essere una fattispecie ulteriore e diversa rispetto a quella codificata
dal legislatore sai fini della nascita dell’ obbligazione per l’obbligato principale.
Questa fattispecie ulteriore e diversa che pone in essere il responsabile di imposta sta nel rapporto di
dipendenza con l’obbligazione realizzata dal obbligato principale.
Quindi l’obbligazione del responsabile di imposta esiste in quanto esiste l’obbligazione principale realizzata
dal debitore principale.
E anche rispetto a questa figura ci dobbiamo porre il problema se il responsabile di imposta sia soggetto
passivo a tutti gli effetti del rapporto obbligatorio o sia solo un soggetto che interviene ai fini
dell’applicazione del tributo.

Esempi di responsabile di imposta: nell’ambito di imposta di registro sono il notaio o il pubblico ufficiale che
redige o autentica latto di vendita, rispetto allatto di vendita, gli obbligati principali sono venditore e
compratore, riaspetto al pagamento dell’imposta di registro, responsabile di imposta è il notaio, ovvero il
soggetto che realizza non la fattispecie che fa nascere l’obbligazione principale ma una fattispecie ulteriore
diversa, l’aver redatto o autenticato l’atto di vendita che fa scattare una responsabilità ulteriore rispetto a
quella degli obbligati principali, in ordine al pagamento del tributo, l’imposta di registro.
Altro esempio è quello del cessionario di azienda che risponde entro i limite del valore dell’azienda
acquistata, dell’imposta e sanzioni riferibili alle violazioni commesse all’anno a cui è avvenuta la cessione e
nei 2 precedenti dal cedente.
Se io acquisto un azienda sono responsabile di imposta per i tributi dovuti nel periodo precedente
all’avvenuta cessione dei tributi realizzati sulla ricchezza e sui presupposti dal cedente.
Anche in questo esempio vediamo che tra la fattispecie principale a cui è collegato il debito dell’obbligato
principale, il cedente e la fattispecie secondaria da cui deriva l’obbligazione del responsabile di imposta, vi è
un rapporto di pregiudizialità e dipendenza, l’obbligazione del cessionario esiste in quanto esiste
l’obbligazione principale da parte del cedente.
Tutto ciò per aumentare la garanzia per il fisco che vi sia il pagamento del tributo.
Il rapporto che c’è tra le due fattispecie non ha rilievo nei confronti del fisco.

Nel rapporti esterni il responsabile di imposta è coobbligato in solido nei confronti dell’erario.
Nei rapporti interni invece il responsabile di imposta maturerà un diritto di regresso per l’intero nei
confronti dell’obbligato principale, quindi se il notaio e cessionario di azienda, qualunque responsabile di
imposta viene chiamato a corrispondere il tributo per il presupposto riferibile all’obbligato principale, il
responsabile di imposta può vantare il diritto di recuperare per l’intero il tributo versato nei confronti
dell’obbligato principale.

Queste considerazioni ci portano alla conclusione che il responsabile di imposta non manifesta alcuna
capacita contributiva rispetto all’obbligazione a cui è chiamato, quindi non può essere qualificato come
coobbligato principale, ma ciò nonostante è in grado di evitare il prelievo con il proprio comportamento.
Quindi se il responsabile di imposta versa il tributo in luogo del versamento dell’obbligato principale avrà
diritto di regresso per l’intero nei confronti di quest’ultimo.
Questo ci porta alla conclusione che il responsabile di imposta non è il soggetto passivo di imposta.

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Francesco Gruppelli
Solidarietà tributaria
Anche l’obbligazione tributaria, come tutte le obbligazioni di diritto civile, può essere solidale e vale anche
per il diritto tributario quanto è disposto nell’articolo 1292 codice civile ‘ l’obbligazione in solido quando più

35
Francesco Gruppelli
debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto
all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli altri’.

Quindi anche nel diritto tributario possiamo avere diverse situazioni passive che scaturiscono dalle
fattispecie tributarie e che fanno capo ad una pluralità di soggetti passivi.
La solidarietà tributaria si può avere solo dal lato passivo e mai da quello attivo.

Esattamente come nel caso di sostituzione è la legge che mi dice i casi in cui c’è solidarietà tributaria, i casi
in cui l’obbligazione è solidale.
La legge tributaria non mi dice quale disciplina applicare ai casi di solidarietà, ne abbiamo già parlato a
proposito dei rapporti tra il diritto tributario e gli altri settori dell’ordinamento, quando c’è una lacuna in
senso tecnico noi possiamo rifarci, andare a cercare la disciplina in altri settori dell’ordinamento a patto che
le norme che rintracciamo in altri settori siano compatibili con quanto troviamo nell’ambito tributario.

L’assenza di disciplina rispetto alla solidarietà nel settore tributario ci impone di guardare alle norme del
codice civile cui infatti dobbiamo riferirci.
Dobbiamo riferirci alle norme sulla solidarietà del codice civile tenendo in considerazione una differenza
molto importante che rintracciamo nella disciplina tributaria, ovvero la differenza tra solidarietà paritaria e
dipendente.

Si ha la prima quando il presupposto del tributo è riferibile ad una pluralità di soggetti, tutti quelli passivi
realizzano il presupposto di imposta, nel caso viceversa di solidarietà dipendente vi è un obbligato
principale che ha realizzato il presupposto di imposta e un obbligato dipendente che non ha partecipato
alla realizzazione del presupposto di imposta, ma è tuttavia obbligato in solido perché è posto in essere una
fattispecie collaterale.
In questo caso, solidarietà dipendente, quindi ritorna quella figura del responsabile di imposta.
Esso è l’obbligato dipendente che non ha realizzato il presupposto di imposta ma una fattispecie collaterale
che sta in rapporto di pregiudialità dipendenza con l’obbligazione principale e che per questo viene
obbligato dalla legge in solido al pagamento del tributo riferibile all’altro soggetto.

Si ha solidarietà paritaria soprattutto nel campo dell’imposta indirette, esempio è di nuovo quello di due
soggetti che compravendono un bene, immobile, nel caso di compravendita immobiliare, acquirente e
venditore sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta di registro.
Quindi un unico presupposto di imposta, il contratto di compravendita immobiliare, ma abbiamo due
diversi soggetti passivi, venditore e acquirente entrambi tenuti in solido per la medesima prestazione.
Altro esempio è quello degli eredi che ricevono un bene in eredita, sono solidalmente responsabili in solido
in via paritaria rispetto al pagamento dell’imposta sulle successioni, se poi il tizio ha dei debiti tributari
pregressi c’è una norma sulla solidarietà paritaria che ci dice che per le imposte sui redditi gli eredi del
contribuente defunto sono solidalmente responsabili in via paritaria.

Norme sulla solidarietà tributaria le troviamo anche in norme civilistiche, articoli del codice civile che ad
esempio ci dicono che i soci di società in nome collettivo e i soci accomandatari delle società in
accomandita rispondo solidalmente e illimitatamente dei debiti delle società, e quindi anche dei debiti
fiscali.

È importante distinguere tra solidarietà paritaria e dipendente perché nel caso di solidarietà paritaria la
responsabilità di ciascun soggetto passivo è solo pro quota, e quindi se un coobbligato versa interamente il
tributo riferibile all’intera obbligazione che coinvolge anche gli altri soggetti avrà diritto di recuperare il
tributo nei confronti degli altri coobbligati ma solo pro quota ovvero in relazione alla responsabilità fiscale
di ciascuno.
Quindi se un erede assolve ad un tributo che grava sull’eredità o per l’intero si potrà rivalere nei confronti
degli altri coeredi ma solo pro quota.

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Francesco Gruppelli
Viceversa abbiamo visto che il responsabile di imposta ha diritto di regresso per l’intero nei confronti
dell’obbligato e degli obbligati principali.

Nel caso di coodebitore in solido il fisco può decidere nei confronti in quale soggetto agire?
La risposta è si, il fisco come qualunque altro creditore può scegliere di agire nei confronti di un solo
debitore o agire nei confronti di tutti, il primo nei confronti dei quali si soddisfa determina la liberazione
degli altri e quindi il fisco una volta che ha ottenuto il 100% del tributo richiesto nei confronti di un
coodebitore non potrà più continuare l’azione di riscossione nei confronti degli altri.
Come può il fisco avanzare la sua pretesa nei confronti di un coodebitore? Deve notificare un atto
impositivo, un avviso di accertamento.

In passato sulla base di una teoria denominata della super solidarietà, accadeva che il fisco notificasse un
solo avviso di accertamento nei confronti di un coodebitore ma poi richiedesse il pagamento anche nei
confronti degli altri soggetti non destinatari di uno specifico avviso di accertamento.
Accadeva che un soggetto ricevessi l’avviso di accertamento e gli altri soggetti ricevessero subito delle
cartelle di pagamento.
La corte costituzionale con una sentenza del ‘68 ha ritenuto questo sistema contrario ai principi
costituzionali e quindi obbliga il fisco che voglia avere più possibilità di gettito e incassare il credito
tributario agisca nei confronti di tutti i coodebitore notificando a ciascuno un distinto atto impositivo,
avviso di accertamento.
L’obbligazione tributaria resta un’unica e quindi quando il fisco sarà soddisfatto richiedendo e ottenendo da
un debitore il 100% del tributo dovrà necessariamente interrompere l’azione di accertamento e riscossione
nei confronti degli altri coobbligati in solido.

Lezione 7.1

37
Francesco Gruppelli
Studio della parte dinamica del rapporto tributario di imposta, rapporto tra amministrazione finanziaria e
contribuente.
Alcune nozione che bisogna approfondire:

Fattispecie impositiva
È l’insieme di quegli elementi al cui verificarsi il legislatore ricollega e fa scattare l’obbligo tributario.
Fattispecie impositiva è l’enunciazione astratta di tutti quegli elementi che ci consentono di determinare an
e quantum del tributo.

Al suo interno possiamo distinguere i due elementi del presupposto di imposta e della base imponibile.
Con presupposto di imposta si intende il fatto imponibile, la situazione base, evento della vita al cui
verificarsi scatta l’obbligo tributario.
Sulla base dell’articolo 53 il presupposto deve essere sempre un fatto espressivo della forza economica di
capacità contributiva del soggetto che realizza perché il presupposto giustifica il titolo giustificativo del
prelievo tributario.

Viceversa la base imponibile ci da la dimensione del quantum del tributo, ci da il parametro sulla base del
quale commisurare il tributo.
Sempre alla luce dell’articolo 53 abbiamo visto che il legislatore nel momento in cui sceglie la base del
tributo deve considerare i limiti insiti al concetto di capacità contributiva, questo perché il tributo deve
salvaguardare il minimo vitale e rispettare tutte quei principi di matrice costituzionale.

Presupposto e base imponibile costituiscono gli elementi essenziali della fattispecie impositiva che devono
trovare la loro fonte nell’atto di rango primario, nella legge, questo per rispettare articolo 23.

La base imponibile rappresenta l’entità quantitativa del tributo, ovvero il valore solitamente espresso
attraverso una somma di denaro, che costituisce la base per il calcolo dell’imposta.

Nell’ambito delle imposte dirette generalmente la base imponibile corrisponde con il presupposto, ad
esempio nell’imposta sui redditi il presupposto di imposta è il possesso di reddito e la base imponibile è la
totalità del reddito posseduto.
Più facile distinguere il concetto di presupposto e base imponibile nelle imposte indirette, ad esempio per
l’IVA.

L’imposta può essere stabilita in misura fissa, come per l’imposta di registro, bollo, tassa sulle concessioni
governative, tassa sul passaporto ecc. o può essere stabilità sulla base di un tasso variabile, e questo
avviene quando la base imponibile ha una grandezza monetaria alla quale dobbiamo applicare un aliquota,
ovvero calcolare il tributo sulla base di una percentuale dell’imponibile.
Questa aliquota può essere a sua volta fissa o progressiva.
Se l’aliquota è fissa avremo un imposta proporzionale, quindi un tributo la cui grandezza non muta con il
variare della base imponibile, questo avviene ad esempio nella compravendita di immobile, sconta una
certa aliquota a prescindere di quale sia l’ammontare della base imponibile.
Nell’ irpef, tributo che caratterizza il nostro sistema tributario, nel rispetto dell’articolo 53 è adottato un
principio di progressività, attuata per scaglioni, ad ogni scaglioni di reddito i contribuenti sono divisi in
sottoinsieme a seconda del volume di reddito prodotto, ad ogni scaglione corrisponde una aliquota che è
via via crescente che non varia all’interno dello scaglione ma da uno all’altro. Più che proporzionale,
progressività per scaglioni.

38
Francesco Gruppelli
Come avviene la dinamica tributaria del rapporto di imposta in Italia
in Italia il tributo deve trovare attuazione senza interventi da parte della pubblica amministrazione, quindi il
sistema si basa essenzialmente sulla auto-tassazione e autodeterminazione delle imposte da parte dei
contribuenti.
Ciascun soggetto passivo deve individuare quale tributo è chiamato a corrispondere, lo deve calcolare e lo
deve liquidare.

Queste operazioni di auto-tassazioni possono avvenire senza alcuna comunicazione all’amministrazione


pubblica, come ad esempio avviene per l’imposta di bollo in cui determino il tributo e lo verso senza
effettuare nessuna comunicazione agli uffici fiscali.
Nella maggioranza dei casi l’auto-tassazione prevede anche un obbligo dichiarativo, devo comunicare anche
delle informazioni all’amministrazione finanziaria. Sono i casi maggioritari e che rintracciamo nell’ambito
delle imposte dirette e rispetto alle quali studieremo la dichiarazione dei redditi.

Quando occorre presentare queste comunicazioni?


In alcuni casi le comunicazioni sono periodiche, vanno presentate ogni anno, in quanto cambiano di anno in
anno, e quindi nel momento in cui si perfezione il presupposto di imposta e si determina il quantum del
tributo presento la dichiarazione.
Rispetto ad altri tributi che hanno carattere istantaneo, come l’imposta sul registro e sull’eredità, la
comunicazione va presentata ogni volta che si verifica il presupposto di imposta.

39
Francesco Gruppelli
La dichiarazione
È un atto fondamentale nel rapporto tra contribuente e fisco. È in termini giuridici una dichiarazione di
scienza, non è un negozio giuridico, non è una confessione stragiudiziale.
È un atto attraverso il quale io porto a conoscenza di un altro soggetto delle informazioni, evidentemente
relative alla mia posizione fiscale.

Nella dichiarazione c’è anche spazio per delle manifestazioni di volontà del soggetto dichiarante.
Pensiamo alla dichiarazione dei redditi, noi possiamo destinare il 5x1000 a enti no profit o possiamo fare
delle opzioni rispetto a sistemi di tassazione separata, possiamo a scegliere una confessione religiosa a cui
destinare 8x1000, possiamo esprimere delle opzioni, manifestare delle nostre volontà.

Un’altra manifestazione è quella relativa all’uso dell’eventuale credito nascente dalla dichiarazione, se
quindi dalla nostra dichiarazione dei redditi emerge non un debito ma un debito che vantiamo nei confronti
dell’erario possiamo a scegliere se chiederlo a rimborso, ottenere una compensazione o se portarlo a
nuovo.

Che cosa contiene la dichiarazione dei redditi


Il contenuto caratteristico della dichiarazione si incentra su presupposto e base imponibile, quindi
dovremmo indicare tutti gli elementi attivi e passivi necessari a qualificare il presupposto di imposta e a
determinare l’imponibile, individuare il nostro scaglione reddituale e individuare l’aliquota applicabile e
infine versare l’eventuale tributo qualora dalla dichiarazione risulti un debito tributario a nostro carico.

Chi deve presentare la dichiarazione dei redditi


Deve essere per regola generale presentata da ogni soggetto che nel periodo di imposta abbaia posseduto
dei redditi.

A questa regola generale fanno eccezione alcuni casi, infatti sono esonerati dalla presentazione i soggetti
che hanno redditi che non superano il minimo vitale, principio 53 costituzione.

Inoltre sono esonerati anche i soggetti titolari di soli redditi di lavoro dipendente inferiore di un dato
importo e di redditi derivante dall’abitazione principale.

Anche i soggetti possessori esclusivamente di redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta,
perché l’obbligazione tributaria è già esaurita in capo al sostituto.

Ci sono poi delle regole particolari che ci dicono che anche se sono stati prodotti dei redditi ma da quei
redditi non consegue alcun debito di imposta, ovvero nessun obbligo di versamento, anche in questo caso
comunque la dichiarazione deve essere presentata.
Così pure obbligati sono quei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, imprenditori e lavoratori
autonomi devono presentarla anche se non hanno prodotto reddito.

Tutte queste regole ci dicono che l’obbligo dichiarativo non corrisponde all’obbligo contributivo, soggetti
tenuti a presentare la dichiarazione non corrispondono alla platea dei soggetti tenuti a versare i tributi.

Come va presentata
Deve essere data, pena di nullità, su stampati conformi ai modelli approvati annualmente dal ministero e la
dichiarazione deve essere sottoscritta dal dichiarante.
Un caso particolare riguarda i lavoratori dipendenti, in quanto se la situazione patrimoniale di questi
soggetti non è complessa possono presentare la dichiarazione dei redditi semplificata avvalendosi
dell’assistenza del loro datore di lavoro, di un CUF o di un professionista abilitato.

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Francesco Gruppelli
I sostituti di imposta sono tenuti a presentare una dichiarazione dalla quale risulti l’ammontare delle
ritenute che hanno effettuato e le generalità dei soggetti che hanno percepito le somme soggette a
ritenuta.
In caso di sostituzione a titolo di imposta, il sostituto ha l’obbligo di ricevere le dichiarazioni dei propri
dipendenti e deve liquidare le imposte, effettuare i conguagli in relazione alle ritenute effettuate e in
versamenti da conto eventualmente già effettuati su quelle somme.

Quando deve essere presentata


Ogni anno viene fissato un termine che può variare da fine settembre a fine ottobre, si considerano valide
le dichiarazioni presentate con ritardo non superiore a 90 giorni, ma in questo caso scatta una sanzione
amministrativa.
Viceversa le dichiarazione presentate con ritardo superiore ai 90 giorni si considerano omesse e questo
avrà degli effetti sulle modalità di accertamento, in questo caso l’accertamento verrà fatto in forma
dell’accertamento d’ufficio e non come accertamento in rettifica, le dichiarazioni omesse costituiscono in
oltre titolo per la riscossione delle imposte dovute in base agli immobili indicati.
La dichiarazione non si considera giuridicamente valida ma da comunque titolo all’erario per riscuotere
quanto in essa indicato.
Quindi queste dichiarazioni chiamate anche ultra tardive possono essere prese in considerazioni dal fisco in
utilibus. Ovviamente le dichiarazioni omesse ultra tardive possono far scattare la sanzione penale del reato
di omessa dichiarazione.

Effetti della dichiarazione


In quanto dichiarazione di scienza e non manifestazione di volontà comporta degli effetti che non
dipendono mai dalla volontà del dichiarante, non rilevano gli eventuali vizi di volontà del dichiarante.
Questo significa che se un contribuente presenta più dichiarazioni entro il termine di presentazione
l’amministrazione può considerare tutte queste ai fini della determinazione del tributo.

Gli effetti della dichiarazione sono sempre effetti determinati dalla legge perché l’obbligazione in cui
consiste l’atto del dichiarare è un obbligazione ‘ex lege’.

Questi effetti li possiamo misurare nella fase dell’accertamento e nella fase della riscossione, in sede di
accertamento possiamo dire che l’obbiettivo principale dell’amministrazione finanziaria è quella di
verificare che la fattispecie dichiarata corrisponde alla fattispecie reale.
Quindi nell’accertamento l’amministrazione controlla se quanto dichiarato corrisponde al vero.

In sede di riscossione, viceversa, l’amministrazione mira ad incassare l’importo dichiarato o accertato.


In fase di accertamento la dichiarazione ha una rilevanza procedimentale, in quanto la dichiarazione
condiziona il modo in cui l’amministrazione andrà a controllare quello che ho scritto nella dichiarazione.

La dichiarazione esplica anche un effetto dal punto di vista probatorio perché quanto ho indicato nella
dichiarazione può essere subito assunto come vero da parte dell’amministrazione, la dichiarazione esonera
l’amministrazione dal provare quanto indicato in dichiarazione.
Tutto ciò che non ho scritto nella dichiarazione deve essere provato dall’amministrazione che mi voglia
rettificare la mia dichiarazione dei redditi.
Dal punto di vista della riscossione la dichiarazione dei redditi costituisce titolo per la riscossione quindi la
dichiarazione è titolo costitutivo di un credito o debito del contribuente nei confronti dell’erario.
Quindi se nella dichiarazione ho indicato come dovute da parte del dichiarante delle somme che non sono
state versate, l’amministrazione potrà subito procedere con delle misure esecutive per riscuotere quanto
dichiarato ma non versato, se viceversa in dichiarazione io ho esposto un credito a mio favore nei confronti
dell’erario ho diritto a mia scelta a computare quel credito in diminuzione dell’imposta dovuta nel periodo
di imposta successivo oppure sempre a mia scelta posso chiedere il rimborso sempre all’interno della
dichiarazione dei redditi oppure possono chiedere la compensazione anche con altri tributi.

41
Francesco Gruppelli
Dal punto di vista della patologia la dichiarazione si definisce omessa quando non è stata presentata o è
stata presentata oltre il termine dei 90 giorni dalla scadenza.
È nulla quando non è redatta su stampati conformi a quelli ministeriali o non è sottoscritta.
Dal punto di vista dell’accertamento la dichiarazione nulla è equiparata a quella omessa, questo ha una
effetto dal punto di vista dall’accertamento perché l’amministrazione può emettere un accertamento di
ufficio e può quindi rettificare il reddito globale con un metodo che studieremo essere il metodo sintetico
che è un metodo poco garantista per il contribuente.

Dal punto di vista contenutistico il contribuente può compiere tre tipi di atti, ci possono essere 3 vizi diversi;
il primo è quello della dichiarazione infedele, quando un reddito netto non è indicato nel suo esatto
ammontare.
Incompleta quando manca una fonte reddituale e infine inesatta quando ci sono degli errori di calcolo, dal
punto di vista quantitativo ci sono degli errori.
Ciascuno di questi 3 vizi determina il potere di controllo, che andrà a rettificare la mia dichiarazione dei
redditi

Lezione 7.2

Valore probatorio della dichiarazione


In passato si riteneva che poiché nella dichiarazione sono enunciati dei fatti sfavorevoli per il dichiarante,
fatti per il quale sorge un debito di imposta, la dichiarazione avesse il valore di confessione stragiudiziale,
resa al di fuori del processo.
Con questa qualifica venivano attribuiti alla dichiarazioni tutti una serie di effetti vincolanti propri della
dichiarazione stragiudiziale.

Questa tesi è ormai superata e oggi si ritiene che in ambiti tributario la dichiarazione non possa avere
l’effetto probatorio della confessione, questo perché l’obbligazione tributaria non è disponibile da parte dei
soggetti, il soggetto passivo colui che realizza il presupposto di imposta non ha la disponibilità
dell’obbligazione tributaria, non può fare in modo che non nasca e quindi esattamente come prevede il
codice civile articolo 2733 rispetto ai diritti non disponibili non si può attribuire efficacia di prova piena ad
una confessione che verta su questi diritti non disponibili.

Il fatto che la dichiarazione non sia una confessione già ci orienta rispetto al problema se la dichiarazione
possa essere rettificata da parte del dichiarante.
Se noi riteniamo la dichiarazione dei redditi un atto negoziale e una dichiarazione di volontà, dobbiamo
arrivare alla conclusione che la dichiarazione non è rettificabile se non nei casi espressamente previsti dalla
legge.
Se invece noi accogliamo, come dobbiamo accogliere, la teoria della dichiarazione dei redditi come
dichiarazione di scienza allora la dichiarazione è assolutamente rettificabile da parte del dichiarante.

In particolare la dichiarazione è rettificabile per errori di fatto e diritti ed è rettificabile senza limiti di tempo,
in ogni tempo il contribuente può ritornare su quanto ha dichiarato per rettificarlo.

La rettifica può essere peggio o meglio per il contribuente e può quindi attraverso la rettifica far valere degli
errori che ha commesso nel corso della redazione della dichiarazione che hanno portato ad un prelievo in
debito e questo potere di rettifica si ha anche quando l’amministrazione ha già controllato la dichiarazione
dei redditi e in ipotesi abbia anche già notificato un avviso di accertamento.

Se a fronte dell’errore commesso nella redazione della dichiarazione è conseguito un versamento


eccessivo, quindi il contribuente si accorge di aver sbagliato in sede di dichiarazione e di aver liquidato un

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Francesco Gruppelli
tributo in una misura eccessiva rispetto a quella corretta deve tenere però conto che c’è un termine
previsto per presentare istanza di rimborso, e questo termine è quello di 48 mesi dal versamento in debito.
Quindi diciamo non c’è un termine di legge per la rettificabilità della dichiarazione ma qualora a seguito
della dichiarazione sia intercorso un versamento eccessivo per recuperare di fatto quanto ho versato in
eccesso devo tener conto del termine fissato dalla legge di 48 mesi.

Oltre alla rettifica si ha anche la situazione della dichiarazione integrativa, scaduto il termine per presentare
una dichiarazione il contribuente può presentare una nuova dichiarazione non solo che sani le violazioni
formali e rechi un aumento dell’imponibile o dell’imposta, o una riduzione di una perdita dichiarata, ma
può presentare una nuova dichiarazione, questa dichiarazione integrativa deve essere presentata entro il
termine concesso all’agenzia dell’entrata per controllare la prima dichiarazione presentata.
Questo termine come vedremo corrisponde al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è
stata presentata la prima dichiarazione.
Entro questo termine quindi il contribuente può presentare una seconda dichiarazione che evidentemente
va da peggiorare a rendere la situazione fiscale più gravosa e quindi comporti un debito tributario maggiore
per il contribuente.

Controllo formale della dichiarazione


Una volta che il contribuente ha trasmesso la sua dichiarazione dobbiamo vedere come questa
dichiarazione viene controllata dagli uffici dell’amministrazione finanziaria, dagli uffici dell’agenzia delle
entrate.
Il primo tipo di controllo che subisce la dichiarazione dei redditi è un controllo di tipo formale che si
distingue in due diversi tipi di sub controlli.

Il primo step, il primo controllo, è il controllo ex articolo 36bis decreto sull’accertamento, dpr 600 1973.
Questo tipo di controllo viene effettuato su tutte le dichiarazione presentate, riguarda la platea di tutti i
contribuenti e viene effettuato attraverso delle procedure informatiche, quindi sono i computer degli uffici
dell’agenzia delle entrate che effettuano questo controllo.

Qual è il perimetro di questo controllo, questo controllo va a verificare i dati indicati in dichiarazione e i dati
desumibili dall’anagrafe tributaria, una banca dati in cui sono raccolti su scala nazionale i dati, le notizie
relative alle dichiarazione, le denunce presentate agli uffici dell’amministrazione finanziaria.

Tutte le volte in cui noi spendiamo il nostro codice fiscale, quella sequenza alfanumerica che ci identifica
come contribuenti, l’anagrafe tributaria registra anche i rapporti bancari dei contribuenti, questo controllo
accerta gli eventuali errori materiali e di calcolo commessi dal contribuente, errori aritmetici compietevi in
sede di dichiarazioni.
Corregge anche degli oneri, chiamate detrazione o deduzioni, che il contribuente può aver indicato in
dichiarazione in misura superiore a quella prevista dalla legge, oppure riduce i crediti di imposta indicati dal
contribuente in misura superiore rispetto a quella indicata dalla legge o in misura non spettante sulla base
dei dati indicati in dichiarazione.

Infine il controverso 36 bis verifica la tempestività dei versamenti e che il versato corrisponda al dichiarato,
quindi devo aver liquidato esattamente dell’importo indicato come dovuto in dichiarazione.

Questo tipo di controllo possiamo dire che è molto limitato perché verifica l’esattezza numerica del dato
riportato in dichiarazione e la sua corrispondenza rispetto quanto versato all’erario.

Se risulta un errore o se risulta che l’importo auto-liquidato dal contribuente è inferiore rispetto a quello da
versare l’amministrazione procede subito alla riscossione della somma non versata, quindi non si passa
attraverso un avviso di accertamento ma inizia subito una procedura di riscossione volta ad incamerare
quanto emerge già dalla dichiarazione come non versato.

43
Francesco Gruppelli
Se quindi il computer dell’agenzia dell’entrata riscontra uno di questi errori, vizi, ex articolo 36 bis verrà
comunicato al contribuente l’errore, attraverso un apposito atto denominato avviso bonario, attraverso il
quale il contribuente è invitato a regolarizzare la sua posizione.
Se il contribuente non regolarizza la sua posizione, l’amministrazione procederà attraverso quella che
vedremo essere un iscrizione a ruolo e avverrà la notificazione di una cartella di pagamento, quindi non si
procederà attraverso l’atto di accertamento ma al primo atto che il contribuente si vedrà notificare è una
cartella di pagamento.
Non si procede con avviso di accertamento perché in questo caso non c’è nulla da accertare, emerge già
dalla dichiarazione e dall’anagrafe tributaria che il contributo ha commesso un errore numerico e che non
ha versato quanto dichiarato, non c’è necessita di fare ulteriori controlli.

Se la dichiarazione dei redditi supera il controllo ex articolo 36bis può accedere al controllo ex articolo 36ter
sempre del decreto sull’accertamento.
Può accedere perché l’ambito delle dichiarazioni controllate non corrisponde alla totalità delle dichiarazioni
presentate.
Solo infatti le categorie dei contribuenti individuati con il decreto del ministero delle finanze sono
sottoposti al controllo 36ter, questo elenco varia di anno in anno a seconda della potenziale elusività di
certi contribuenti riaspetto ad altri.

Il perimetro di questo secondo controllo formale è molto più ampio del precedente perché
l’amministrazione in questo caso è chiamata a verificare la conformità del dato esposto in dichiarazione con
tutti i dati già in possesso dell’amministrazione finanziaria.
Questi dati possono essere dati contenuti in dichiarazioni di quel contribuente relative agli anni di imposta
precedenti, dichiarazioni di sostituti di imposta, dichiarazioni di determinati soggetti come banche, enti
previdenziali e così via.

Ad esempio se nella mia dichiarazione ho indicato di aver subito una ritenuta a titolo di acconto ad una
misura superiore di quella che risultata nella dichiarazione del mio sostituto e che ha effettuato la ritenuta
e la dichiarata al fisco, scatterà, se la mia dichiarazione rientra tra le controllabili ex articolo 36ter, il
controllo da parte dell’amministrazione finanziaria.
Così pure il controllo scatta qualora io abbia indicato in dichiarazione di aver sostenuto degli oneri
deducibili o detraibili sulla base di documenti che mi vengono chiesti dall’amministrazione finanziaria.

In sede di controllo formale infatti io posso essere invitato dall’amministrazione finanziaria a fornire
chiarimenti, fornire giustificazioni rispetto ad alcuni elementi che ho indicato in dichiarazione.
Se ad esempio ho sostenuto una spesa per ristrutturare il mio ufficio e ho indicato quella spesa in
dichiarazione, l’amministrazione finanziaria mi può convocare affinché io esibisca la pezza giustificativa
della spesa che ho sostenuto.
Il controllo 36ter si differenzia dal controllo 36bis perché non riguarda solo la dichiarazione ma anche tutti i
documenti e le pezze giustificative che devono corredarla.

Qualora scatti il controllo formale e venga accertato un vizio nella dichiarazione, mi viene notificato di
nuovo un avviso bonario, un avviso attraverso il quale l’amministrazione mi informa dei motivi che hanno
dato luogo alla rettifica del dato che io non esposto in dichiarazione.
A seguito della bonifica di questo avviso bonario io posso segnalare all’ufficio dell’agenzia delle entrate che
ci sono dei dati, dei documenti che l’ufficio non ha valutato o ha valutato erroneamente e posso quindi
difendere la legittimità della mia dichiarazione dei redditi.
Qualora io non presenti motivazioni e chiarimenti o questi chiarimenti vengano ritenuti insufficienti da
parte dell’amministrazione finanziaria, l’amministrazione mi inviterà a versare il maggior tributo risultante
dal controllo formale vero e proprio, se io non osservo, non do seguito a questo invito si procederà subito
alla riscossione anche in questo caso non verrà notificato un avviso di accertamento perché anche in questo

44
Francesco Gruppelli
caso non c’è nulla da accertare, emerge già dai documenti l’errore risultante dalla mia dichiarazione dei
redditi.

Quindi il procedimento che regola il controllo ex articolo 36ter è un procedimento più complesso di quello
ex articolo 36 bis perché prevede sempre una fase di contraddittorio con il contribuente, un momento di
dialogo tra contribuente e amministrazione finanziaria che passa attraverso la richiesta di documenti del
contribuente, quest’ultimo può decidere di non dare seguito a questa richiesta e di non presentare le pezze
giustificative rispetto agli importi che ha indicato in dichiarazione, qualora non desse seguito a questa
richiesta documentale è chiaro che l’amministrazione giudicherà ingiustificato quell’importo esposto in
dichiarazione e procederà quindi subito con la comunicazione formale al contribuente di regolarizzare la
sua posizione e qualora il contribuente non desse seguito a questa con l’iscrizione a ruolo e con l’avvio della
riscossione.

Un ulteriore differenza rispetto ai due tipi di controlli attiene anche al termine entro il quale questi controlli
devono essere effettuati perché il controllo ex articolo 36bis deve essere spedito dall’amministrazione
finanziaria entro l’inizio del periodo di presentazione della dichiarazione per l’anno successivo, viceversa il
controllo 36 ter va effettuato entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione
della dichiarazione.

Sempre nel rispetto di quest’ultimo termine che l’amministrazione è tenuta a correggere anche gli errori
materiali di calcolo commessi nella dichiarazioni dei sostituti di imposta.

45
Francesco Gruppelli
Lezione 8.1

Agenzia delle entrate, amministrazione finanziaria, così come l’agenzia del demanio, delle dogane e dei
monopoli e delle entrate di riscossione, è un agenzia che svolge una funzione tecnico operativa al servizio
del ministero dell’economia e delle finanze.

L’agenzia è un ente pubblico ed economico, soggetto al potere di indirizzo e vigilanza del ministero
dell’economia e delle finanze, è un soggetto autonomo dal punto di vista regolamentare, amministrativo,
patrimoniale e contabile e finanziario, che ha competenza in relazione alle entrate tributarie e ai diritti
erariale ipotecari e catastali.

Agenzia delle entrate amministra tutti i tributi statali con l’eccezione dei tributi doganali e delle accise che
sono di competenza dell’agenzia della dogane.
In particolare l’agenzia delle entrate ha il compito di controllare le posizioni fiscali dei contribuenti, fornisce
assistenza e informazioni ai contribuenti che devono provvedere alla autodeterminazione dei tributi.
Mette in campo delle misure per contrastare l’evasione fiscale, e gestisce il processo tributario.

Dal punto di vista organizzativo l’agenzia delle entrate ha una direzione centrale a Roma e ha degli uffici
periferici, articolati in direzioni regionali e provinciali. La competenza delle direzioni provinciali in relazione
ai diversi contribuenti è in ragione del loro domicilio.

Agenzia delle entrate che ha compiti di controllo e accertamento, rispetto alla posizione fiscale, non va
confusa con l’agenzia delle entrate e riscossione, quest’ultima è un ente pubblico ed economico che ha
compiti esclusivamente legati alla riscossione dei tributi.
Quindi in una sequenza ordinaria e normale di intervento, interviene prima l’agenzia delle entrate
controllando la posizione fiscale del contribuente e nel caso emettendo un avviso di accertamento, un atto
di accertamento di un maggiore imponibile rispetto a quanto auto-dichiarato dal contribuente, per portare
a termine, per realizzare al pretesa impositiva accertata dall’agenzia delle entrate, interverrà agenzia delle
entrate riscossione, affinché lo stato incameri il gettito relativo al maggior tributo non versato dal
contribuente.

Poteri di controllo sostanziale che può mettere in campo l’agenzia delle entrate
Sono rigidamente disciplinati dalla legge, deve muoversi all’interno del quadro normativo di poteri
predeterminato dalla legge, norma di riferimento articolo 32 dpr 600 1973.
In questo articolo troviamo un elenco di poteri di controllo che l’agenzia delle entrate può mettere in atto
per andare a verificare la veridicità, assenza di errori o per ricostruire la base imponibile che non ha
dichiarato all’agenzia delle entrate.

Questi poteri comprendono il potere di invito, posso essere convocato, invitato a comparire davanti ai
funzionari dell’agenzia delle entrate, mi può essere inviato un questionario, un elenco di domande a cui
devo rispondere e restituire all’agenzia delle entrate, questi poteri sono molto importanti perché se io non
do seguito ad un invito o questionario oltre ad essere soggetto ad una sanzione amministrativa sarò anche
soggetto ad una particolare preclusione processuale, perché tutti quegli elementi a mio favore che non ho
tempestivamente portato a conoscenza all’amministrazione finanziaria a seguito dell’invio di inviti e
questionari, non potrò farli valere davanti al giudice, non potrò farli valere in un secondo momento, ovvero
nel caso di processo.

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Francesco Gruppelli
Questo significa che se l’agenzia delle entrate attiva un contraddittorio, vuole dialogare, io sono molto
incentivato a dialogare con l’agenzia, posto che non potrò in un secondo momento richiedere un
contraddittorio in sede processuale, non avendolo portato a termine in sede procedimentale.

Un’altra differenza terminologica è la differenza tra processo e procedimento


Il secondo indica tutto quello che avviene prima della notifica dell’atto terminale del procedimento, che è
l’avviso di accertamento, processo indica la fase giurisdizionale di fronte all’autorità terza del giudice.

I funzionari dell’agenzia delle entrate possono anche chiedermi di esibire o trasmettere documenti,
possono inoltrare queste richieste ad altre amministrazioni dello stato, possono chiedere copie di atti
depositati presso pubblici ufficiali come i notai, possono inoltre avere accesso ai documenti degli istituti di
credito.

Nell’ambito delle indagini bancarie, articolo 32 dpr 600 comma 2 indica una regola molto importante, sulla
base di essa l’ufficio dell’agenzia delle entrate può fondare le rettifiche delle basi imponibile dei
contribuenti su dati bancari se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione
del reddito soggetto ad imposta o che quel reddito non ha rilevanza ai fini della determinazione del tributo.
Quindi l’agenzia delle entrate può controllare la mia posizione fiscale confrontandola con quello che risulta
dal mio conto corrente.
Questa regola ha un ulteriore corollario, perché troviamo un ulteriore presunzione, sulla base di essa i
prelevamenti e gli importi riscossi sono posti come ricavi o compensi a fondamento degli avvisi di
accertamento, questo a meno che il contribuente non indichi il soggetto beneficiario e sempre che non
risultino dalle scritture contabili.
Questo significa che un prelevamento che non trova giustificazione, viene considerato un ricavo in nero,
quindi tanto l’accredito quanto il prelevamento si presume come un reddito non dichiarato, ricavo in nero.
Questa presunzione è particolarmente gravosa nel caso di prelevamenti, perché normalmente uno preleva
denaro dal conto per effettuare una spesa e quindi è molto forte una presunzione che dice che anche quella
spesa viene considerata reddito e quindi tassata ed è per questo che a seguito di una sentenza della corte
costituzionale questa norma è mutata e oggi si prevede che la pressione dei prelevamenti non giustificati
equivalenti a ricavi in nero si applichi solo nel caso di prelievi superiori ai 1000 euro al giorno e comunque
5000 al mese.

Un altro potere molto importante è il potere di accesso, poter entrare nei luoghi in cui è svolta l’attività
commerciale, agricola, artistica del contribuente.
L’accesso al domicilio, al centro degli affari e interessi del contribuente, come sappiamo è protetto da una
norma costituzionale, articolo 14 ci dice che il domicilio è inviolabile.
Trova un limite nei casi e nei modi stabiliti dalla legge allorquando serva effettuare delle ispezioni e
perquisizioni o dei sequestri.
Quindi sulla base della norma costituzionale deve essere la legge a predeterminare i casi in cui il domicilio
può essere violato, questi casi prevedono la garanzia per il contribuente dell’autorizzazione che deve essere
data con un atto motivato dall’autorità giudiziaria, ed è per questo che per l’accesso nella abitazioni dei
contribuenti è necessaria l’autorizzazione del procuratore della repubblica che può essere concessa con
atto motivato soltanto in presenza di gravi indizi di violazione delle norme fiscali e allo scopo di reperire
libri, registri e documenti e altre prove delle violazioni.
In tutti gli altri accessi è sufficiente l’autorizzazione da parte del direttore dell’ufficio dell’agenzia delle
entrate o del comandante del reparto di zona nel caso in cui l’accesso venga effettuato dalla guardia di
finanza.

La guardia di finanza è una delle forze di polizia dello stato italiano, ha un ordinamento militare con una
competenza in materia economica finanziaria ma dipende direttamente dal ministero dell’economia e delle
finanze.

47
Francesco Gruppelli
La guardia di finanza non ha i poteri di accertamento che ha l’agenzia delle entrate, che resta l’unico ente in
grado di spiccare un avviso di accertamento. Tuttavia guardia di finanza ha dei poteri di controllo pari a
quelli dell’agenzia delle entrate perché appunto può accedere ed effettuare ispezioni e verifiche allo stesso
modo dei funzionari dell’agenzia delle entrate.

Nel caso di accesso sono previste particolari tutele per il contribuente che trovano la loro fonte nell’articolo
12 dello statuto del diritti del contribuente.
Questa norma ci dice che quando inizia un controllo sostanziale nei confronti del contribuente, esso ha
diritto di essere informato delle ragione che hanno giustificato questo controllo, dell’oggetto del controllo,
ha la facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato e ha tutta una serie di diritti nei confronti dei
funzionari che stanno effettuando l’accesso, l’ispezione o la verifica perché l’articolo 12 dello statuto ci dice
che i controlli salvi casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati devono essere effettuati durante
l’orario ordinario di esercizio delle attività e con modalità tali da recare la minor turbativa possibile allo
svolgimento delle attività poste in essere dal contribuente e alle sue relazioni commerciali o professionali.

Diverso dall’accesso è la verifica, è generalmente contabile ed è una forma di controllo volta ad esaminare
la completezza esattezza e veridicità della contabilità delle scritture contabili dei documenti tenuti dal
contribuente.
Il controllo si appunta sulla completezza, esattezza e sulla veridicità che sono non a caso i tre tipi di vizi che
possono essere rilevati in sede di dichiarazione effettuata dal contribuente.

L’ispezione oltre che documentale può essere relativa a beni e persone, possiamo avere delle ispezioni sugli
impianti, sul personale se ad esempio un funzionario ha il motivo di credere che il contribuente stia
nascondendo sulla propria persona un documento di rilevanza fiscale, può ispezionare il soggetto
perquisendolo.

Sempre sulla base dell’articolo 12 dello statuto il contribuente ha il diritto di richiedere che l’esame dei
documenti amministrativi e contabili o l’altra attività di controllo sostanziale che si sta svolgendo prosegua
e venga effettuata negli uffici dell’agenzia delle entrate o presso il professionista che lo assiste o
rappresenta.
Questo perché la permanenza dei verificatori presso le sedi e domicili del contribuente può essere già di
per se un motivo di danno alla reputazione e immagine del contribuente, e può comunque comportare un
disagio. È per questo che, sempre all’articolo 12, ci dice che la permanenza dei verificatori non può
superare i 30 giorni lavorativi, prorogabili negli ulteriori 30 nei casi di particolare complessità dell’indagine
che devono essere specificati dai verificatori.

Cosa può fare il contribuente che si vede effettuare un controllo sostanziale che non rispetta queste regole
Non può andare direttamene dal giudice, il contribuente non può andare di fronte al giudice tributario
perché gli atti endoprocedimentale, ovvero gli atti dell’amministrazione finanziaria che l’amministrazione
compie prima dell’atto terminale del procedimento, prima dell’avviso di accertamento non sono atti
autonomamente impugnabili, non possono essere annullati dal giudice tributario.
Quindi il giudice tributario non può conoscere di un eventuale irregolarità compiuta dai funzionari durante
la fase di controllo.

Resta salva la possibilità per il contribuente, qualora subisca un danno ad esempio dalla presenza
prolungata presso la sua attività commerciale oltre il termine dei 30 giorni in assenza di ragioni di
particolare complessità dell’indagine, la possibilità di adire il giudice civile, ordinario instaurando un
apposita causa per il risarcimento danni.
Al di fuori di questa ipotesi limite non c’è tutela giurisdizionale per il contribuente rispetto ad un vizio
amministrativo nella fase endoprocedimentale.

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Francesco Gruppelli
C’è però la possibilità per il contribuente di effettuare delle osservazioni di presentare delle memorie
all’agenzia delle entrate, questo lo può fare perché al termine dell’attività di controllo i verificatori
rilasciano un processo verbale di constatazione, un cosiddetto PVC, in questo documento che viene
notificato al contribuente sono indicate tutte le attività svolte durante l’attività di controllo , queste attività
sono circostanziate indicando giorno ora luogo in cui sono state effettuate le attività e alla fine di questo
documento i verificatori formulano i loro rilievi, cioè dichiarano già al contribuente quali sono quelli
eventuali carenze che hanno riscontrato rispetto alla gestione commerciale, amministrativa e professionale
del contribuente.

Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo del rilascio della copia
del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte dei verificatori, il contribuente nei 60 giorni
successivi può presentare osservazioni e richieste che il comma 7 dell’articolo 12 dello statuto ci dice sono
valutate dagli uffici impositori.
Questo significa che se mi viene fatto un rilievo in sede di pvc a seguito del controllo sostanziale i
verificatori rilevano che io ho omesso di conservare di presentare una fattura, io nei 60 giorni successivi alla
notifica del pvc posso dare le spiegazioni e posso dare le mie memorie ai verificatori spiegando le ragioni
per le quali quella fattura non è stata esibita e formata.
Poiché la norma dello statuto dice che le mie osservazioni sono valutare dai verificatori, l’agenzia delle
entrate che riterrà non convincenti le mie giustificazioni qualora deciderà di emettere l’avviso di
accertamento in sede di avviso di accertamento dovrà spiegare le ragioni per le quali le mie osservazioni
sono state ritenute insufficienti.

La possibilità per il contribuente di presentare memorie e osservazioni costituisce e realizza un


contraddittorio endoprocedimentale tra amministrazione e contribuente.
È un ipotesi molto importante perché nell’ambito del settore tributario noi non abbiamo l’affermazione di
un principio generale di contraddittorio endoprocedimentale, solo nei casi espressamente previsti dalla
legge, e questo lo è, c’è l’obbligo per l’amministrazione finanziaria di dialogare con il contribuente, in tutti i
casi non è espressamente previsto dalla legge questo obbligo di attivare il contraddittorio con il
contribuente non c’è e quindi l’amministrazione finanziaria può procedere autonomamente senza necessità
di coinvolgere il contribuente e qualora ritenga che la mia dichiarazione dei redditi sia viziata mi può subito
notificare un avviso di accertamento.
Assenza di un principio generale che obblighi l’amministrazione ad attivare sempre il contraddittorio è
particolarmente discussa e problematica perché ci sono delle sentenze della corte di giustizia di
Lussemburgo, dell’Unione Europa, che affermano un principio contrario, ovvero il principio che il
destinatario di una decisione lesiva per la propria posizione deve poter far valere sempre le sue
osservazione prima che quella decisione venga posta in essere, secondo il giudice comunitario gli
ordinamenti nazionali dovrebbero essere uniformati alla regola che richiede che il contribuente possa
interagire e dire la sua prima che venga spiccato un atto di accertamento.

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Francesco Gruppelli
Lezione 8.2

Accertamento tributario
Innanzitutto individuiamo le fonti normative di riferimento: disciplinato, essendo un procedimento che
vede come protagonista una pubblica amministrazione, dalla disciplina generale dei procedimenti
amministrativi, ovvero la legge numero 241 1990. Ci sono però delle fonti specifiche in materia tributaria
che regolano all’accertamento, statuto dei diritti del contribuente, legge 212 del 2000, e il decreto
sull’accertamento, dpr 600 1973.
Il fatto che l’accertamento tributario sia disciplinato dalla legge generale sul procedimento amministrativo
costituisce uno di quegli esempi di cui parlavamo all’inizio del nostro corso rispetto ai rapporti tra diritto
tributario e altri settori dell’ordinamento giuridico.

Diritto tributario essendo una costola del diritto amministrativo spiega bene e fa comprendere la ragione
per la quale una legge generale sul procedimento amministrativo come la legge 241 trovi applicazione
anche in materia tributaria, con 2 eccezioni esplicitate dalla stessa legge 241: le norme in materia di
partecipazione del cittadino al procedimento, quindi il capo terzo della legge 241, e le norme in tema di
accesso, capo quinto legge 241, non trovano applicazione in materia tributaria.

Questo significa che il contribuente non viene mai avvisato dell’inizio di un procedimento, quando l’agenzia
delle entrate decide di sottoporre a controllo la posizione fiscale di un contribuente non è tenuta ad
avvisare il soggetto oggetto di controllo, quindi io non so se in questo momento la mia posizione fiscale è
all’attenzione di un funzionario dell’agenzia delle entrate.
Quindi non vengo avvisato dell’avvio del procedimento e non ho nemmeno un diritto di partecipazione.
Questo perché abbiamo detto che il contraddittorio costituisce un obbligo per l’amministrazione finanziaria
solo nei casi espressamente individuati dal legislatore, quello disciplinato dall’articolo 12 dello statuto del
contribuente a seguito di un controllo sostanziale mi viene notificato il pvc, processo verbale di
constatazione, e da quel momento ho 60 giorni di tempo per esprimere le mie osservazioni, memorie
all’agenzia che dovrà valutare e prendere una posizione su quanto io dico.

A fronte di questo spazio che io ho diritto di esprimere le mie osservazioni e memorie l’agenzia delle
entrate non può emettere un avviso di accertamento, prima del decorso dei 60 giorni dalla notifica del pvc,
salvi casi di urgenza che però deve essere anche in questo caso motivata dai funzionari dell’agenzia delle
entrate che decidono di notificarne l’avviso prima del decorso di questi 60 giorni.
Qualora manchi la specificazione dei motivi di urgenza l’avviso di accertamento potrà essere annullato di
fronte al giudice.

Non essendo applicabili le norme il materia di accesso disciplinare dalla legge 241 del 90 i procedimenti
tributari, il contribuente che vuole conoscere le attività di controllo che sono state fatte rispetto alla propria
posizione fiscale, potrà esercitare un diritto di accedere alla documentazione amministrativa solo al termine
del procedimento, solo quando verrà notificato l’atto terminale del procedimento che vedremo essere
l’avviso di accertamento, il contribuente può chiedere alla pubblica amministrazione di accedere agli atti.

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Francesco Gruppelli
Accertamento tributario è una nozione che supporta almeno tre accezioni:
Nella prima si fa riferimento al provvedimento, l’atto terminale di un procedimento amministrativo
Seconda identifica l’attività di controllo, quindi l’esercizio di tutti quei poteri che abbiamo visto disciplinati
dell’articolo 32 del dpr 600
Terza identifica il procedimento di accertamento dei tributi, quindi quell’attività scadenza e disciplinata
dalla legge predeterminata dal legislatore che una pubblica amministrazione mette in atto al fine di
giungere ad un atto terminale del procedimento quale appunto avviso di accertamento.

Secondo le due principali accezioni di accertamento tributario, noi dobbiamo identificare o l’atto o l’attività
di accertamento.
Se identifichiamo l’accertamento con l’atto parliamo di atto di accertamento o avviso di accertamento,
ovvero quell’atto impositivo che viene redatto da un ufficio dell’agenzia delle entrate per rideterminare la
pretesa impositiva che il contribuente ha indicato nella propria dichiarazione dei redditi o che non ha
indicato nella propria dichiarazione.
L’avviso di accertamento determina sempre una rettifica della base imponibile, ci può non essere una
liquidazione del tributo, ma c’è sempre una rideterminazione della base di commisurazione del tributo.

Nella seconda accezione di accertamento tributario facciamo invece riferimento a quel procedimento di
ricerca e acquisizione di elementi utili per arrivare alla rettifica della base imponibile indicata dal
contribuente, quindi tutte quelle attività che all’amministrazione mette in campo per contrastare l’elusione
o l’evasione fiscale.

Dal punto di vista temporale possiamo qualificare come atto iniziale della fase di accertamento il momento
in cui il contribuente presenta la sua dichiarazione dei redditi, tenendo in considerazione però che
attraverso la presentazione della dichiarazione, il contribuente non intende far partire un procedimento di
accertamento, perché la presentazione della dichiarazione dei redditi corrisponde ad un mero
adempimento di un obbligo dichiarativo determinato dalla legge, nel momento che trasmetto la mia
dichiarazione dei redditi io non determino l’avvio di un procedimento.
Quel momento determina unicamente l’inizio del possibile esercizio dei poteri di controllo effettuati
dall’agenzia della entrate.
Poteri che l’agenzia delle entrate deve effettuare entro un termine di decadenza andando a controllare non
solo il dato inserito in dichiarazione, ma anche tutti i documenti e le dichiarazioni che corredano la
dichiarazione e che ne giustificano gli importi.
Questo controllo come abbiamo visto può essere meramente cartolare, controllo formale 36bis/ter dpr
600, oppure può concretarsi in un attività di indagine più incisiva e quindi gli accessi e le ispezione e le
verifiche, ovvero il controllo sostanziale di cui parla la rubrica dell’articolo 12 dello statuto dei diritti del
contribuente.
L’atto terminale conclusivo del procedimento tributario è sempre un provvedimento di accertamento che
prende il nome di avviso di accertamento.

Quali sono le caratteristiche di questo atto terminale del procedimento: avviso di accertamento ha natura
autoritaria, ha il potere di incidere sulla sfera giuridica e soggettiva del destinatario, a prescindere dalla
volontà e consenso di questo soggetto.
Avviso di accertamento è inoppugnabile, ovvero che il contribuente che si vede notificare l’atto terminale
del procedimento, ha un tempo definito pari a 60 giorni, decorrenti alla data di notifica decorsi i quali l’atto
diventa definitivo e incontestabile.
Se voglio contestare un avviso di accertamento devo presentare ricorso dentro 60 giorni dalla sua notifica,
altrimenti quell’atto non può più essere possibile atto di tutela davanti al giudice.

Avviso di accertamento è poi un atto esecutorio, ovvero che l’amministrazione finanziaria provvede
direttamente a dare esecuzione alla propria pretesa, non c’è necessità per l’amministrazione finanziaria di

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Francesco Gruppelli
rivolgersi ad un giudice, ma l’amministrazione finanziaria può adattare la situazione di fatto alla situazione
di diritto, procedendo autonomamente attraverso le missioni di un avviso di accertamento.
La natura esecutoria dell’avviso di accertamento significa che la parte pubblica si soddisfa senza dover
ricorrere ad un’autorità terza.
Questo carattere della esecutorietà va tenuto differenziato dal carattere della esecutività, avviso di
accertamento quale atto esecutivo, significa avviso di accertamento immediatamente produttivo di effetti
giuridici.

Quali sono questi effetti?


Nell’avviso di accertamento è contenuto un precetto, ovvero un ordine al soggetto destinatario dell’avviso
di pagare, entro 60 giorni, il maggior tributo liquidato in sede di avviso di accertamento, oltre agli interessi
di mora per un aver pagato in tempo oltre alle eventuali sanzioni.
Quindi il contribuente nei 60 giorni dalla notifica o paga l’avviso di accertamento o presenta ricorso davanti
al giudice, come vedremo il ricordo davanti al giudice non sospende l’esecuzione dell’avviso di
accertamento, quindi significa che se io decido di chiedere al giudice un esame in merito alla legittimità
dell’azione dell’amministrazione finanziaria che ha confezionato quell’avviso di accertamento io dovrò nel
contempo pagare quell’avviso di accertamento perché la fase amministrativa dell’avviso di accertamento
continua ad essere esecutiva.
Quindi decorsi 60 giorni la legge dice che nei successivi 30 l’agenzia delle entrate trasmette l’avviso di
accertamento alla agenzia delle entrate riscossione, quindi all’ente pubblico economico deputato alla
esazione del tributo.
La riscossione resta sospesa per un termine di legge pari a 180 giorni. Dopodiché l’agenzia delle entrate
della riscossione provvederà a porre in essere tutte quelle misure esecutive per incassare effettivamente il
credito tributario, questo anche se ho instaurato un processo di fronte al giudice tributario.
Il piano della esecutività amministrativa dell’avviso di accertamento può andare in parallelo con il piano
processuale.
Durante il processo sono comunque tenuto a pagare una parte dell’avviso di accertamento che continua a
produrre i suoi effetti.
Questo a meno che io non chieda di sospendere in modo provvisorio o temporale gli effetti di quell’avviso
di accertamento e quella richiesta la posso inoltrare sia all’amministrazione che ha notificato l’avviso di
accertamento sia al giudice.
In mancanza di un provvedimento di sospensione l’avviso di accertamento è esecutivo e quindi sono
ritenuto nel frattempo a pagare.
Se poi il giudice mi darà ragione in sede processuale avrò chiaramente diritto ad essere ripristinato e quindi
al rimborso di quanto nelle more del processo ho già pagato.

In che forma si svolge il procedimento amministrativo tributario


La forma del procedimento tributario è la forma delineata dalla legge 241 del 1990, che prevede una fase
iniziale, istruttoria, conclusiva.

Nella fase iniziale dobbiamo osservare che il procedimento di imposizione inizia sempre d’ufficio, la
dichiarazione dei redditi non può infatti essere considerata un atto di avvio del procedimento, quando io
presento la dichiarazione non miro ad avviare un procedimento amministrativo ma sto semplicemente
adempiendo ad un obbligo di legge, all’obbligo dichiarativo.
Il momento iniziale del procedimento può quindi essere fatto coincidere tendenzialmente con la
presentazione della dichiarazione dei redditi, ma poi c’è un funzionario dell’agenzia delle entrate che
d’ufficio decide di controllare quella determinata dichiarazione.

Lo fa avviando un istruttoria e ricercando tutti quei fatti fiscalmente rilevanti idonei a confermare o
sconfessare quanto indicato dal contribuente.

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Francesco Gruppelli
Il termine di questa fase istruttoria, fase conclusiva, deve poi trovare una conclusione o in una archiviazione
di quella attività di controllo, che evidentemente ha portato ha verificare la correttezza della mia
dichiarazione, dichiarazione che non presente ne incompletezze, né infedeltà, né inesattezze che deve
spingere il funzionario ad archiviare il procedimento. In questo caso non viene comunicato al contribuente
nulla, non arriva una patente di legittimità della dichiarazione. Il contribuente non saprà neanche che il
controllo è stato avviato.
Se viceversa risulterà un maggiore imponibile ci può esser il presupposto per la notifica di un atto
impositivo, avviso di accertamento.

La natura procedimentale dell’accertamento ci pone di fronte a due problematiche, quella legata alle
illegittimità commesse dall’amministrazione finanziaria, durante l’istruttoria, quindi agli errori e violazioni
compiute ai funzionari, e il tema della tutela che al contribuente rispetto a queste illegittimità irregolari
compite nella fase procedimentale.

Nella prospettiva del fisco questi due temi possono essere tradotti nella seguente tema:
le irregolarità, illegittimità e violazioni procedimentali si risolvono in una inutilizzabilità dei dati raccolti
dall’amministrazione ?
Se un funzionario non rispetta la regole procedimentali fissate dalla legge, a seguito di questa violazione di
norme procedurali, diventano inutilizzabili dall’amministrazione finanziaria i dati raccolti ?

Rispetto a ciò c’è una posizione maggiormente rigorista della dottrina che afferma l’inutilizzabilità ai fini
accertativi degli elementi raccolti in violazione di norme procedurali.

La giurisprudenza della cassazione però è più favorevole a ritenere comunque utilizzabili gli elementi
acquisiti.
Questa posizione è molto criticabile in quanto non si capisce allora il senso delle norme procedurali come
quelle dell’articolo 12 dello statuto, che pongo una serie di limiti all’attività di indagine e controllo, se poi la
violazione di queste regole non si traduce in una inutilizzabilità degli elementi raccolti.
Aderendo comunque alla posizione della corte di cassazione dobbiamo arrivare ad affermare che
qualunque elemento comunque raccolto o comunque pervenuto alla agenzia delle entrate diventa una
elemento che può giustificare un avviso di accertamento

Nella prospettiva del contribuente il tema si risolve nell’alternativa rispetto alle modalità che l’ordinamento
mette a disposizione del contribuente per difendere i suoi interessi.
Quindi in che modo il contribuente può far valere l’esercizio illegittimo dell’azione della pubblica
amministrazione?
Il processo tributario mira ad accertare se la pubblica amministrazione nel momento in cui mi ha notificato
quel particolare avviso di accertamento ha agito seguendo le norme di legge e del procedimento
amministrativo tributario, quindi oggetto del processo tributario non tanto se il contribuente è un evasore
fiscale o meno ma quanto se l’amministrazione finanziaria nel momento in cui mi ha indicato come evasore
e mi ha rideterminato la mia base imponibile attraverso quello specifico avviso di accertamento lo ha fatto
seguendo le norme di legge.
Oggetto del processo è il controllo sulla legittimità dell’agire da parte dell’amministrazione finanziaria.

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Francesco Gruppelli
Lezione 9.1

Rispetto la tutela del contribuente sono possibili due indirizzi interpretativi

Secondo il primo indirizzo interpretativo il contribuente non può subito far valere l’illegittimità della
violazione endoprocedimentale compiuta dall’amministrazione finanziaria che ad esempio ha raccolto le
prove che smentiscono la legittimità, correttezza e fedeltà della dichiarazione dei redditi in un modo non
conforme al diritto, può avere tutela solo nel momento in cui l’amministrazione notifica l’avviso di
accertamento, e quindi solo quando l’amministrazione emette un atto impositivo lesivo della posizione
giuridica e soggettiva del contribuente.
Questa tesi è la tesi della tutela differita, posso fare ricorso solo rispetto all’atto terminale, devo attendere
che il procedimento si perfezioni con l’avviso di accertamento.

Rispetto ad un secondo indirizzo interpretativo, il contribuente posto che l’atto lesivo compiuto dai
funzionari dell’agenzia delle entrate o guardia di finanza, comporta subito un danno per il contribuente, c’è
la necessita di prevedere una tutela immediata, e quindi una protezione rispetto gli interessi patrimoniali e
non del contribuente che vengono lesi dell’agire della pubblica amministrazione.

La dottrina adotta una tesi favorevole alla tutela immediata del contribuente, viceversa la giurisprudenza e
la prassi amministrativa propendono in modo maggioritario e prevalente a favore della tutela differita.

Tuttavia dobbiamo registrare un orientamento, seppur minoritario, della corte di cassazione che ritiene
impugnabile da parte del contribuente anche il pvc che porti a conoscenza del contribuente una pretesa già
perfezionata, come il pvc che contenga un rilievo da parte del verificatore attraverso il quale si determina in
aumento la base imponibile del contribuente, perché la cassazione ritiene che questo atto già comporti una
lesione alla sfera giuridica soggettiva del destinatario del pvc.
Per questa non si capisce il perché il contribuente debba aspettare l’avviso di accertamento potendo già
facoltativamente chiedere tutela di fronte al giudice tributario rispetto al pvc dal quale risulti un irregolarità
procedurale.
La cassazione precisa anche che l’impugnazione facoltativa del pvc non preclude la possibilità di impugnare
il successivo avviso di accertamento.
Se mi vedo notificare un pvc dal quale già posso rilevare una maggiore base imponibile e posso già
individuare dei vizi nell’agire amministrativo compiuti dai verificatori, io posso o impugnare subito il
processo verbale di constatazione oppure posso attendere che mi venga notificato un avviso di
accertamento riproduttivo del contenuto di quel pvc.

Se affermiamo che il contribuente ha diritto ad una tutela immediata nei confronti dell’atto
endoprocedimentale viziato, ci dobbiamo porre il problema rispetto quale giudice chiedere tutela.

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Francesco Gruppelli
Questo giudice può essere quello ordinario, quindi il giudice civile, nel caso in cui la posizione lesa del
contribuente configuri un diritto soggettivo.
Se il contribuente può far valere davanti al giudice un interesse suo personale, riconosciuto come
prevalente da una norma, il giudice deputato a gestire la tutela dei diritti soggettivi è necessariamente il
giudice ordinario.

Se qualifichiamo la posizione del contribuente come una posizione di interesse legittimo, quindi come la
posizione di un privato che ha la pretesa che l’amministrazione eserciti un potere pubblico in conformità
alla legge, a che gli organi di una pubblica amministrazione svolgano la loro attività nel rispetto delle norme
giuridiche, allora il giudice che ha giurisdizione su questo è il giudice amministrativo.

Nella prassi entrambe le soluzioni sono state seguite e quindi alcuni contribuenti hanno richiesto al giudice
ordinario il rilascio di un provvedimento di urgenza, ex articolo 700, di una misura cautelare con una
funzione anticipatoria della sentenza.
Più numerosi sono stati i contribuenti qualificando la propria posizione come quella di interesse legittimo
hanno chiesto tutela al TAR, quindi il giudice amministrativo.

Va detto che entrambe queste soluzione pratiche hanno avuto scarso successo e che in ogni caso il giudice
tributario che è diverso dal giudice ordinario e dal giudice amministrativo, non ha il potere di conoscere un
atto endoprocedimentale, questo perché studiando l’accesso al processo tributario la legge predetermina
gli atti della pubblica amministrazione impugnabili di fronte al giudice tributario e tra questi atti non
troviamo atti endoprocedimentali, quali il pvc.
Questa ricostruzione che ci dice che il pvc non è impugnabile di fronte al giudice tributario e non lo
dovrebbe essere nemmeno di fronte al TAR, non è smentita da una norma che leggiamo nella statuto dei
diritti del contribuente, articolo 7 comma 4 dice che la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso al
giudice amministrativo quando ne ricorrano i presupposti.

Come dobbiamo intenderla: non la dobbiamo leggere come duplicativa di una possibilità di tutela del
contribuente davanti al giudice amministrativo oltre che davanti al giudice tributario.
Il senso della norma è che c’è la tutela giudiziaria del giudice amministrativo in tutti quei casi in cui non è
possibile la tutela di fronte al giudice tributario.
Quindi lo spazio applicativo di questo articolo è uno spazio assolutamente residuale perché dobbiamo
sempre rispettare le disposizione processuali che ci dicono che il primo atto che il giudice tributario può
conoscere è l’avviso di accertamento.
Questo significa che se il contribuente nota una violazione procedimentale compiuta dai verificatori in sede
di controllo sostanziale della sua posizione dovrà attendere che gli esiti di quel controllo confluiscano in un
avviso di accertamento, perché impugnando l’avviso potrà chiedere l’annullamento dell’avviso di
accertamento in quanto basato su un atto procedimentale viziato.
Posto che la finalità del contribuente è far cadere l’avviso di accertamento e la rettifica in aumento della
sua base imponibile, per fare questo potrà utilizzare il vizio procedimentale compiuto dai verificatori che
trova spazio nell’avviso di accertamento.
Questo è coerente con il fatto che il contribuente non ha interesse a far valere un vizio procedimentale in
quanto tale ma solo nella misura in cui quel vizio procedimentale determini una rettifica in aumento della
sua base imponibile.

Qual è il contenuto essenziale dell’avviso di accertamento ?


L’avviso di accertamento come tutti gli atti amministrativi deve essere motivato, sottoscritto dal CAP, e
deve contenere una parte dispositiva, un comando, un ordine. Questo ordine è rappresentato dalla rettifica
della base imponibile, questo elemento c’è sempre, un elemento indefettibile di ogni avviso di
accertamento.

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Francesco Gruppelli
A seguito della rideterminazione della base imponibile ci può essere la determinazione di un maggior
tributo, la liquidazione del maggior tributo tuttavia non c’è in tutti i casi, studiando gli avvisi di
accertamento cosi detti senza imposta, non c’è la determinazione del maggior tributo ma c’è comunque la
rideterminazione della maggior base imponibile.

Vediamo più nel dettaglio che cos’è la motivazione


L’obbligo di motivazione degli atti amministrativi terminali di un procedimento, e quindi anche dell’avviso di
accertamento, è previsto dall’articolo 3 della legge 241 del 1990 che ci dice che il provvedimento
amministrativo deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che hanno determinato quella
decisione adottata dall’amministrazione finanziaria.

Questo obbligo motivazionale trova un’altra fonte normativa nell’articolo 7 dello statuto dei diritti del
contribuente e nell’articolo 42 del dpr 600 del 1973 che ci dice che l’avviso di accertamento non motivato è
nulla, quindi la motivazione costituisce un elemento essenziale dell’atto impositivo.

La finalità della motivazione è giustificare il perché della ripresa in aumento della base imponibile,
giustificare l’esercizio dell’azione impositiva e nel contempo delimitare le ragione alla base delle quali
l’amministrazione finanziaria esercita quel potere.
La motivazione serve al destinatario dell’avviso di accertamento per comprendere le ragioni che hanno
indotto l’ufficio dell’amministrazione finanziaria a ritenere non conforme a diritto il dato indicato in
dichiarazione e a rettificarlo.
Quindi la motivazione è essenziale per il contribuente perché sulla base di questa motivazione il
contribuente può decidere se esercitare il suo potere di impugnativa ricorrendo davanti all’autorità
giurisdizionale per sindacare l’esercizio dell’azione amministrativa, esercitata attraverso la notifica
dell’avviso di accertamento.
Quindi la motivazione dell’atto procedimentale ha un effetto anche processuale perché la motivazione è
strumento di garanzia dell’esercizio del diritto di difesa in giudizio.

Cosa si intende con presupposti di fatto e ragioni giuridiche


I primi sono tutti quegli eventi, quei fatti e notizie che hanno determinato l’amministrazione finanziaria ad
accertare la mia posizione fiscale.
Quindi nell’avviso di accertamento io devo trovare indicati i fatti che corredati di data e orario e tutte le
indicazioni di dettaglio, hanno portato quel particolare ufficio a controllare la mia posizione e gli elementi
sulla base dei quali l’ufficio si è convinto a rideterminare il mio imponibile.

Sempre in sede di motivazione io devo vedere enunciate le ragioni giuridiche, e quindi devo trovare i
riferimenti normativi e dottrinali giurisprudenziali che giustificano l’esercizio di quel potere impositivo.

L’agenzia delle entrate mi deve indicare nell’avviso di accertamento sulla base di quale interpretazione
delle disposizione fiscali è arrivata quel risultato in ipotesi diverso da quello che io ho indicato nella mia
dichiarazione dei redditi.

Sempre nelle motivazione si possono leggere quelli che sono i rilievi effettuati dai verificatori prima, in sede
di notifica del pvc, e fatti propri dai funzionari dell’agenzia delle entrate in sede di avviso di accertamento.
Si dice infatti che i verbalizzanti hanno rilevato una omessa presentazione di dichiarazione e delle
irregolarità nella tenuta della contabilità e questi fatti propri portano alla indicazione di questo dispositivo,
ai sensi dell’articolo 41 del dpr 600 si determina un reddito di impresa e si accetta un reddito imponibile di
irpef pari a tot e una conseguente rideterminazione anche dell’IRAP e dell’IVA.

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Francesco Gruppelli
Nella parte dell’avviso di accertamento in cui l’amministrazione scrive SI ACCERTA troviamo la
rideterminazione in aumento della base imponibile e a volte anche una liquidazioni di maggiori tributati.

Una liquidazione di maggiori tributi che non si trovano negli avvisi senza imposta, un esempio di avviso
senza imposta è l’avviso relativo ai redditi delle società di persone.
Per i redditi nelle società di persone vedremmo che le società di persone sono soggetti trasparenti al fisco,
in applicazione di questo principio di trascuranza il reddito prodotto dalle società di persone è imputato pro
quota ai soci.
Questo porta l’effetto che se l’amministrazione fiscale rettifica in aumento la base imponibile di una società
di persone notificherà un avviso di accertamento senza imposta alla società di persone, in quanto persona
giuridica, e notificherà poi degli avvisi di accertamento ai singoli soci rispetto ai quali pro quota andrà in
virtù della rideterminazione della base imponibile della società di persone a liquidare per ciascun socio
l’imposta dovuta da ciascun socio.
Altre ipotesi di avviso senza imposta è l’accertamento sui redditi rispetto ad imprese in perdita, se ad
esempio una società commerciale è in perdita e attraverso l’avviso di accertamento l’agenzia delle entrate
determina una perdita minore di quella dichiarata, l’avviso conterrà una rideterminazione dell’imponibile
ma chiaramente non ci sarà nessun tributo perché l’effetto dell’avviso è solo in termini di rideterminazione
e rimodulazione della perdita.

Oltre che la rettifica dell’imponibile e l’eventuale liquidazione del tributo l’avviso di accertamento può
contenere l’irrogazione delle relative sanzioni e quindi nel prospetto riepilogativo finale torciavano non solo
il maggior tributo richiesto e i relativi interessi moratori per non aver assolto al pagamento del tributo nel
termine di legge previsto, ma troviamo anche l’irrogazione delle sanzioni.

Lezione 9.2

Un altro profilo che dobbiamo considerare nel momento in cui guardiamo all’avviso di accertamento è che
il concetto di motivazione di avviso di accertamento va tenuto distinto dal concetto di prova.
Un avviso di accertamento può essere ben motivato se da conto di tutti i presupposti di fatto e le ragioni
giuridiche che hanno portato l’ufficio ha rideterminare la base imponibile, ma può non essere provato,
ovvero che può difettare di elementi di prova idonei sufficienti per condurre ad una rettifica dell’imponibile
nella misura determinata dall’ufficio.
Per censurare quindi l’avviso di accertamento il contributo può da un lato far valere il difetto di
motivazione, l’ufficio ha trovato la prova che il contributo è un evasore ma non ha confezionato un avviso di
accertamento rispettoso delle norme di legge sulla modalità di redazione della motivazione, o viceversa un
avviso può essere scritto molto bene ma alla prova dei fatti gli elementi su cui si basa da punto di vista
probatorio sono insufficienti e questo chiaramente lo stabilisce il giudice in giudizio.

Come abbiamo visto negli esempi di prima, un avviso di accertamento può fare riferimento ad un atto
endoprocedimentale, l’avviso di accertamento può riferirsi ad esempio ad un pvc.
Questo tipo di situazione prende il nome di motivazione per relazione, trova una disciplina all’articolo 7
dello statuto dei diritti del contribuente che ci dice che l’atto impositivo è nullo se l’amministrazione non
assicura la piena conoscenza da parte del contribuente delle ragioni poste alla base delle ragioni
giustificative dell’atto impositivo, e quindi è possibile per l’amministrazione motivare per relazione ma a
patto che l’atto cui si riferisce sia già stato portato validamente a conoscenza del contribuente, quindi
nell’esempio che si faceva prima il riferimento al pvc è legittimo, a patto che quel pvc sia già stato notificato
al contribuente, in caso contrario la motivazione è del tutto carente perché al contribuente attraverso la
sola notifica dell’avviso di accertamento viene meno un elemento di conoscenza imprescindibile per capire
le ragione della rettifica in aumento della sua base imponibile.
Se prima del termine del procedimento è stato esperito una contraddittorio obbligatorio con il
contribuente, un esempio è quello dell’articolo 12 statuto del contribuente.

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Francesco Gruppelli
Una diatriba dottrinale è quella rispetto alla natura dichiarativa o costitutiva dell’avviso di accertamento
Questa discussione riguarda la natura dell’accertamento tributario, perché alcuni autori ritengono che
l’obbligazione tributaria sorga allorquando si verifica il presupposto di fatto del tributo, quindi quando io ho
prodotto il reddito, in quel momento sorge l’obbligazione tributaria.
Se diciamo questo arriviamo alla conclusione che l’avviso di accertamento nel momento in cui rettifica la
dichiarazione inesatta, infedele, non veritiera da parte del contribuente, l’avviso di accertamento abbia
natura meramente dichiarativa, cioè si limita a dichiarare una obbligazione tributaria che è già sorta nel
momento in cui si è verifica il presupposto di imposta.

Viceversa chi appoggia la natura costitutiva dell’avviso di accertamento sostiene che l’obbligazione che è
stata accertata dall’avviso di accertamento è un obbligazione che in precedenza doveva essere dichiarata
dal contribuente ma è stata dichiarata in modo non conferme alla legge e che l’obbligazione tributaria
venga costituita dall’avviso di accertamento.
Avviso di accertamento quindi fa nascere l’obbligazione che non è stata dichiarata dal contribuente o che
non è stata dichiarata secondo diritto nella misura prevista dalla legge.

Queste due diverse teorie comportano due effetti diversi rispetto alla natura del processo tributario, perché
se noi sposiamo la teoria dichiarativa dell’avviso di accertamento che ci dice che l’obbligazione è sorta sin
dal momento in cui si è verificato il presupposto del tributo, nel momento in cui noi impugniamo l’avviso di
accertamento di fronte al giudice e noi dobbiamo chiedere al giudice di verificare quel l’obbligazione
tributaria sorta nel momento in cui si è verificato il presupposto di imposta.
Quindi in questo caso devo chiedere al giudice un giudizio sul rapporto tributario, non mi interessa tanto
l’avviso di accertamento com’è stato confezionato dall’amministrazione finanziaria ma devo andare a
chiedere al giudice un giudizio sull’obbligazione tributaria.

Viceversa se sostengo la teoria costitutiva dell’avviso di accertamento e quindi l’obbligazione non nasce nel
momento in cui ho prodotto il reddito ma nel momento in cui mi è stato notificato quello specifico avviso di
accertamento, io per far cadere la pretesa del fisco dovrò aggredire l’atto specifico, quell’avviso di
accertamento chiedono al giudice di portalo nel nulla.
In questo caso quindi solleciterò non tanto un giudizio sul rapporto tributario ma sull’atto, quell’atto
illegittimo e se quell’atto illegittimo viene annullato e tolto dal dal mondo giuridico, quindi il contribuente
trae soddisfazione dall’aver posto nel nulla la ripresa in aumento effettuata dall’ufficio.

Quindi teoria dichiarativa dell’avviso di accertamento porta a configurare l’oggetto del processo tributario
come un processo sul rapporto tributario, conta se io sia o meno un evasore o un elusore di imposta,
viceversa la teoria costitutiva dell’avviso di accertamento porta a configurare l’oggetto del processo
tributario come un processo sull’atto, questa seconda teoria è più conforme alle norme sul processo
tributario e quindi ci porta a dire oggi conformandoci alla posizione espressa dal professor Tesauro che
l’avviso di accertamento abbia natura costitutiva dell’obbligazione tributaria.

Quindi in accoglimento di questa teoria diamo rilevanza a tutte quelle norme procediemtnali che dicono
all’amministrazione finanziaria come accertare in aumento la base imponibile.
Queste norme hanno senso perché se queste norme non vengono seguite io lo posso andare a censurare di
fronte al giudice tributario e il giudice tributario dovrà ritenere illegittimo se sussistono questi vizi
procedimentali dovrà ritenere illegittimo l’avviso di accertamento e porre nel nulla la pretesa del fisco.

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Francesco Gruppelli
Notificazione
Il potere dell’agenzia delle entrate di notificare un avviso di accertamento quindi è un potere molto
importante, potere che viene appunto delimitato da tutta una serie di norme procedimentali, prima tra
tutto la norma sulla decadenza, articolo 43 del decreto sull’accertamento, dpr 600 del 73, ci dice che gli
avvisi di accertamento devono essere notificati a pena di decadenza entro il 31 dicembre del quinto anno
successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.
Nel casi di dichiarazione omessa o nulla, questo termine è del settimo anno successivo a quello in cui la
dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.

Quale termine conta ai fini del rispetto della decadenza?


Conta il giorno di notificazione, che indica quel particolare procedimento attraverso il quale l’avviso di
accertamento non solo viene portato a conoscenza del contribuente in termini giuridici, ma addirittura
viene ad esistenza.

La notificazione è cosi importante ai fini dell’accertamento tributario che configura un elemento


imprescindibile di questo atto, tale per cui l’avviso di accertamento notificato male rende quell’atto
giuridicamente inesistente.
La notificazione è un procedimento particolarmente importante che deve essere eseguito da ufficiali
giudiziari, messi comunali o messi speciali autorizzati che nel momento in cui notificano un avviso di
accertamento devono documentare che quell’atto è pervenuto alla conoscenza giuridica del destinatario.

In che modo avviene ciò?


Il messo deve far sottoscrivere l’atto al consegnatario, se il consegnatario non è il destinatario dell’avviso di
accertamento il messo deve consegnare o depositare la copia dell’atto da notificare in una busta che deve
essere sigillata e deve essere trascritto in numero cronologico della notificazione e deve dare atto di questa
attività in una relazione, relazione che andrà allegata alla copia dell’avviso di accertamento.
Se il destinatario dell’avviso è irreperibile c’è una procedura ancora più complessa che si uniforma alle
regole di notificazione degli atti processuali, regole delineate nel codice di procedura civile.

Cosa avviene se il destinatario di un atto si accorge che c’è un vizio nel procedimento di notifica.
Le tesi sono due:

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Francesco Gruppelli
Se il destinatario dell’atto decide di impugnare quell’atto di fronte ad un giudice nei 60 giorni successivi alla
notifica venuta in modo irrituale, una prima tesi sostiene che attraverso impugnazione il destinatario
dell’atto abbia sanato il difetto di notifica, perché impugnando l’atto di fronte al giudice il soggetto dimostra
di essere pervenuto a conoscenza di quell’atto.

Viceversa se noi aderiamo alla natura procedimentale dell’avviso di accertamento nulla ci vieta di
impugnare l’atto notificato male nei 60 giorni successivi di fronte al giudice chiedendo al giudice di porre
nel nulla quell’atto perché la notifica non è avvenuta in modo conforme al diritto.
In questo caso l’impugnazione da parte del contribuente non sana il vizio di notifica, ed è una posizione più
coerente dal punto di vista delle norme procedimentali che ci dicono che l’atto di accertamento viene ad
esistenza nel momento in cui è notificato bene e per cui se il messo notificatore non ha seguito le norme di
legge è giusto porre nel nulla quell’atto perché non si è perfezionato il particolare procedimento di notifica
delineato dal legislatore.

L’avviso di accertamento deve essere notificato presso il domicilio fiscale del contribuente, che quindi non
corrisponde al domicilio civilistico, centro degli affari degli interessi, ma corrisponde per le persone fisiche
al comune di iscrizione anagrafica, per i soggetti non residenti al comune di Italia, nel luogo in cui è stato
prodotto il reddito, per le persone giuridiche nel luogo in cui si torva la sede legale, amministrativa, la sede
secondaria, la stabile organizzazione e in manca di questi criteri di collegamento dove la persone giuridica
esercita prevalentemente la sua attività.

Questi luoghi di notifica identificano anche i luoghi di competenza degli uffici territoriali dell’agenzia delle
entrate e quindi l’amministrazione finanziaria competente ad accertare la mia posizione fiscale e
competente ad emettere un avviso di accertamento nei miei confronti è quella del luogo in cui si trova il
mio domicilio fiscale.
Qualora mi venisse notificato un avviso di accertamento da un ufficio territoriale dell’agenzia delle entrate
non competente in relazione al mio domicilio fiscale posso impugnare quest’avviso di accertamento
chiedendone l’annullamento per incompetenza dell’ufficiale a notificarmi l’atto impositivo.

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Francesco Gruppelli
Patologia dell’avviso di accertamento
Si intende l’insieme dei vizi che possono inficiare un atto impositivo e delle conseguenze giuridiche
abbinate a questi vizi.
Diciamo subito che non c’è una norma generale in ambito tributario, mediante la quale il legislatore
identifichi tutte le possibili violazioni che può effettuare un ufficio dell’agenzia delle entrate nel momento in
cui redige un avviso di accertamento, ne esiste una norma che abbini a ciascuna violazione la conseguenza
giuridica, cioè il legislatore tributario non si è preoccupato una volta per tutte di indicare quali sono i vizi
dell’avviso di accertamento e quali sono le conseguenze procedimentali a questi vizi.
Solo in casi isolati il legislatore ci dice che a fronte di questa violazione l’avviso di accertamento va
qualificato in tal modo.

Un esempio lo abbiamo già visto vedendo l’articolo 42 del dpr 600 del 1973 che ci dice che l’avviso di
accertamento che difetta di motivazione è nullo, abbiamo l’indicazione del vizio, il difetto di motivazione e
la conseguenza giuridica, la nullità.
Questo è un caso isolato perché non sempre il legislatore indica quali sono i possibili vizi dell’atto
impositivo ne qualifica questi vizi in termini di vizi di nullità, annullabilità, inesistenza o irregolarità.

Questi vizi procedimentali che vanno distinti secondo queste 4 categorie vanno sempre e comunque fatti
valere di fronte al giudice tributario in termini di vizi di annullabilità, quindi io posso qualificare un vizio
procedimentale in termini di vizio di nullità, annullabilità, inesistenza o invalidità ma qualunque di questi
vizi di fronte al giudice tributario potrà determinare sempre e soltanto un annullabilità dell’avviso di
accertamento.
Questo perché l’unica azione che il giudice tributario ha giurisdizione competente a giudicare è un azione di
annullamento dell’atto impositivo.

Lezione 10.1

Proseguiamo lo studio dell’avviso di accertamento, patologia dell’avviso di accertamento


Nullo, annullabile, inesistenze o irregolare. Tutti questi nel momento in cui vengono trovati si traducono in
vizi che determinato sempre l’annullamento dell’atto impositivo.

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Francesco Gruppelli
Vizi aventi efficacia non invalidante
Sono vizi che rappresentano delle mere irregolarità sanabili dell’atto, questi vizi non incidono sulla natura e
il contenuto essenziale dell’atto e sono ad esempio i vizi che rintracciamo in quegli atti che difettano di
indicazioni formali.
Un indicazione formale la cui mancanza da luogo ad una mera irregolarità è quella che troviamo nell’avviso
di accertamento laddove l’agenzia delle entrate ci specifica di fronte a quel giudice tributario andare a
presentare il nostro eventuale ricorso.
Se manca ciò l’articolo 7 comma 2 dello statuto ci dice che l’atto impositivo è meramente irregolare e
quindi continua ad essere produttivo di effetti giuridici, il vizio non è invalidante.

Al capo opposto dell’ invalidità degli atti di accertamento viziati troviamo l’inesistenza giuridica, che non
trova una specifica norma tributaria ma data l’importanza della notificazione possiamo dire che l’avviso di
accertamento intestato ad un soggetto inesistente o portato giuridicamente a conoscenza del destinarlo
attraverso un procedimento di notificazione avvenuto non secondo legge determina l’inesistenza giuridica
dell’atto.

In una via di mezzo tra l’irregolarità e l’inesistenza giuridica dell’atto troviamo le due figure di invalidità
rappresentate dalla nullità e annullabilità. Queste due figure trovano un esplicita disciplina legislativa
all’interno del capo quattro bis della legge regolatrice del procedimento amministrativo, nostra legge 241
del 1990.
Nel 2005 questa legge è stata novellata ed è stato inserito questo capo 4 bis che introduce nell’ambito del
diritto amministrativo quella bipartizione della patologia che troviamo nel codice civile, atti nulli e atti
annullabili. A seguito della riforma subita anche rispetto agli atti di natura amministrativa troviamo la
bipartizione.

In particolare articolo 21 septies definisce atto nullo l’atto terminale di un procedimento amministrativo,
ovvero il provvedimento amministrativo, che o manca degli elementi essenziali o è viziato da difetto
assoluto di attribuzione, o è adottato in violazione o elusione del giudicati e in tutti gli altri casi
espressamente previsti dalla legge.
Elemento essenziale dell’avviso di accertamento è il dispositivo e la sottoscrizione, quindi applicando
l’articolo 21 septies dobbiamo ritenere nullo dal punto di vista procedimentale, l’avviso di accertamento
che non reca l’avviso dispositivo e che non è sottoscritto.
Allo stesso modo dobbiamo ritenere nullo l’avviso di accertamento emesso in una situazione di difetto
assoluto di attribuzione che dobbiamo interpretare come carenza di potere.
Un esempio è l’avviso di accertamento emesso per la rettifica della base imponibile di un tributo inesistente
o emesso da un soggetto o organo territoriale privo del potere di accertamento.

Infine il 21 septies ci dice che nullo in tutti gli altri casi espressamente previsti dalla legge, e noi sappiamo
che la legge tributaria in modo puntiforme, per determinate fattispecie, culmina una nullità testuale, fatta
esplicita dalla norma di legge.
Esempio articolo 42 dpr 600: il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento ne determina la nullità.
Un altro esempio di nullità testuale: laddove l’articolo 11 dello statuto dei diritti del contribuente ci dice che
gli atti anche a contenuto impositivo sanzionatorio difformi dalla risposta espressa o tacita ricevuta dal
contribuente sono nulli.

Molto più problematica è l’applicabilità dell’articolo 21 octies che individua i casi di annullabilità del
provvedimento amministrativo, secondo questo articolo è annullabile il provvedimento amministrativo
adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza.
Perché problematica l’applicabilità? Perché alcune di queste ipotesi patologiche coincidono alle ipotesi
patologiche che abbiamo visto per articolo 21 septies.

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Francesco Gruppelli
Ma la problematica maggiore che incontriamo a proposito dell’applicazione di questa norma della legge
generale sul procedimento amministrativo al procedimento tributario è legata al secondo comma, ci dice
che non è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione delle norme sul procedimento
o sulla forma degli atti quando per la natura vincolata del provvedimento è palese che il contenuto non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Salva dal punto di vista giuridico quegli attimi amministrativi che risultano viziati nel caso in cui il vizio
riguardi la forma o il procedimento, se cioè il vizio in cui è inficiato l’atto è un vizio meramente formale,
questa disposizione ci dice che nei procedimenti vincolati quelli nei quali è la legge a scandire tutta la
sequenza degli atti procedimentali, l’atto seppur viziato da un mero vizio di natura formale continua ad
essere efficace qualora li suo contenuto se anche quel vizio non ci fosse stato sarebbe rimasto il medesimo.

Se noi applicassimo alla lettera questa disposizione, essendo il procedimento tributario un procedimento
vincolato ed essendo l’avviso di accertamento un provvedimento vincolato, ovvero che ha un contenuto
predeterminato dalla legge, dovremmo arrivare alla conclusione che tutti i vizi di natura procedimentale e
formale non intaccherebbero mai l’atto impositivo che continuerebbe e a produrre effetti posto che anche
qualora fosse stata rispettata la norma procedimentale il contenuto non sarebbe stato diverso da quello
effettivamente adottato e codificato nell’avviso di accertamento.
Se noi quindi applicassimo alla lettera tale disposizione dovremmo dire che tutte le norme procedimentali si
risolvono in un non nulla, perché se l’avviso di accertamento in quanto provvedimento vincolato continua
ad essere efficace a prescindere dalla violazione formale in cui è incappata l’amministrazione finanziaria,
ecco che queste regole di fatto non avrebbero un effetto giuridico.
È per questo che la dottrina ritiene inapplicabile l’articolo 21 octies alla materia tributaria.

Tipologia/classificazione degli accertamenti tributari


Classificazione che si può fare in ordine alla tipologia codificata dalle norme tributarie, quindi a come il
legislatore fiscale ha deciso di chiamare e distinguere le varie tipologie di avvisi di accertamento e
classificazione che dobbiamo condurre anche in relazione alle metodologie utilizzate dagli uffici dell’agenzia
delle entrate per ricostruire la base imponibile del contribuente.
In particolare rispetto alla metodologia vedremo come le modalità di ricostruzione dell’imponibile si
debbano articolare attorno a due modalità principali che sono la metodologia analitica, se sono note
all’agenzia delle entrate le fonti di reddito, l’agenzia delle entrate deve procedere sempre con metodo
analitico, deve ricostruire l’imponibile del contribuente motivando con riferimento ai redditi delle varie
categorie di reddito, viceversa se queste fonti di reddito non sono conosciute l’agenzia delle entrate, se ne
ricorrono i presupposti di legge, può agire su base sintetica, la modalità di ricostruzione in questo caso
desume dalle spesse sostenute il reddito prodotto dallo stesso.

Iniziamo della tipologia degli avvisi di accertamento:


Principio di unicità, l’agenzia delle entrate ha il potere di rettificare la mia base imponibile ma lo può fare di
volta in volta per una singola obbligazione tributaria, può ricostruire l’imponibile ma lo deve fare in
un'unica battuta per tutti i redditi che io ho prodotto nel periodo di imposta considerato, perché ad ogni
periodo di imposta corrisponde un'unica e una sola obbligazione tributaria, quindi in relazione ai redditi che
ho prodotto nel 2017 l’agenzia delle entrate dovrà controllare la mia posizione fiscale per tutto l’anno
accertando quindi quanto io ho prodotto dal 1 gennaio al 31 dicembre 2017 e potrà spiccare un unico
avviso di accertamento all’interno del quale dovrà confezionare tutti i rilievi relativi a tutti i redditi che io ho
prodotto in quell’anno ai fini di quella unica obbligazione tributaria.

Rispetto a questo principio di unicità, che obbliga l’agenzia delle entrate a non procedere in modo
frammentario ma controllare la mia posizione reddituale in modo globale e unitario, troviamo due
eccezioni:
Una prima eccezione riguarda un accertamento parziale questo perché se leggiamo l’articolo 41 bis del dpr
600 del 1973 noi troviamo una disposizione che dice che senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertartice

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Francesco Gruppelli
nei termini previsti a pena di decadenza dall’articolo 43, senza che l’agenzia della entrate venga privata del
suo potere di controllo e accertamento è possibile per l’amministrazione finanziaria emettere subito un
avviso di accertamento in presenza dei presupposti fissati dell’articolo 41 bis.
Quali sono questi presupposti ?

Un primo presupposto è rappresentato dalle segnalazioni che sono delle informazioni che provengono da
soggetti particolarmente qualificati che sono altre amministrazioni finanziere, la guardia di finanza,
qualunque pubblica amministrazione, il centro informativo delle imposte dirette, tutte una serie di soggetti
qualificati che possono trasmettere a quel particolare ufficio dell’agenzia delle entrate un informazione che
si ritiene già qualificata, questa informazione se comporta una rettifica della dichiarazione del contribuente
perché va ad individuare l’esistenza di un reddito che li contribuente non ha dichiarato o il maggior
ammontare di un reddito parzialmente dichiarato dal continua o la non spettanza di deduzioni, esenzioni e
agevolazioni che il contribuente si è imputato nella sua dichiarazione dei redditi in questo caso la
segnalazione consente all’ufficio dell’agenzia delle entrate di spiccare subito un avviso di accertamento
perché l’informazione su cui si basa la rettifica dell’imponibile è già fidefacente.

Un secondo tipo di informazione che consente la deroga al principio di unicità all’avviso di accertamento è
l’informazione contenuta in quella banca dati che abbiamo visto essere l’anagrafe tributaria, tutte le volte
che usiamo il codice fiscale quell’informazione fiscale relativa a quel contratto o atto o operazione che
abbiamo effettuato arriva a conoscenza dell’amministrazione finanziaria e così pure tutte le informazioni
che l’amministrazione raccoglie nell’ambito dell’attività di controllo sostanziale (accessi, ispezioni e
verifiche ) e tutte quelle attività istruttorie che abbiamo visto indicate e codificate nell’articolo 32 del
decreto sull’accertamento.
Qualora l’amministrazione possegga un informazione di questo tipo può subito emettere un avviso di
accertamento parziale indicandolo nella parte dispositiva dell’avviso di accertamento, resta impregiudicata
la possibilità di emettere un secondo avviso di accertamento, potrà essere emesso anche facendo
riferimento ad elementi che l’ufficio ha già acquisito nel momento in cui ha emesso l’avviso di
accertamento parziale.

Una seconda deroga al principio di unicità di accertamento è l’avviso di accertamento integrativo, indicato
nell’ambito dell’articolo 43 del decreto sull’accertamento.
Ci dice che fino alla scadenza del termine previsto a pena di decadenza, l’accertamento può essere
integrato e modificato in aumento e quindi l’amministrazione l’ipotesi contemplata dell’articolo 43 è che
l’avviso di accertamento è già stato validamente notificato al contribuente, ci dice che il primo avviso di
accertamento può essere integrato e modificato in aumento a condizione che sopravvengano a conoscenza
dell’ufficio dei nuovi elementi.
Ai fini della legittima dell’avviso integrativo dovremmo trovare scritta nella motivazione dell’accertamento
integrativo l’indicazione a pena di nullità di quei nuovi elementi, atti o fatti, che portano l’ufficio a rivedere
per il contribuente la rettifica dell’imponibile già effettuata per quell’obbligazione tributaria.

Lezione 10.2

Metodologia di accertamento, della ricostruzione della base imponibile che gli uffici dell’agenzia delle
entrate adottano.
Gli articoli di riferimento sono 38 e 39 del dpr 600.
Articolo 38 è dedicato alla ricostruzione della base imponibile dei redditi delle persone fisiche.
Articolo 39 è dedicato alla ricostruzione della base imponibile dei redditi delle persone giuridiche.
Ai commi dell’uno al tre dell’articolo 38 troviamo codificato l’accertamento analitico, all’articolo 39 dalla
lettera A alla lettera C troviamo l’accertamento analitico delle persone giuridiche.
Esclusivamente con riferimento alle persone giuridiche abbiamo una sottospecie dell’accertamento
analitico che è l’accertamento analitico induttivo che troviamo codificato all’articolo 39 lettera D.

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Francesco Gruppelli
A fronte di queste modalità ordinarie, standard che dovrebbero sempre presiedere la ricostruzione degli
imponibili sotto forma di metodologia analitica, all’articolo 38 dai commi 4 all8 troviamo declinato
l’accertamento sintetico delle persone fisiche e all’articolo 39 comma 2 l’accertamento sintetico delle
persone giuridiche.

L’accertamento analitico delle persone fisiche, ambito dell’articolo 38, primi 3 commi

Quando può rettificare la base imponibile di una persona fisica


Quando l’ufficio accerta che il reddito complessivo dichiarato da contribuente è inferiore rispetto a quello
effettivo, quando cioè la determinazione della base imponibile effettuata in dichiarazione è inferiore
rispetto a quella che risulta dagli elementi raccolti dall’ufficio dell’agenzia delle entrate.
Oppure quando non sussistono o non spettano in tutto o in parte gli oneri deducibili o detraibili che il
contribuente ha indicato in dichiarazione, quando studieremo le norme del TUIR vedremo in che cosa
consistono questi oneri deducibili e detraibili.

Come avviene l’accertamento analitico delle persone fisiche


Accertamento analitico avviene con un unico atto, viene rispettato il principio di unicità dell’avviso di
accertamento, quindi per ogni singola obbligazione di imposta che per le persone fisiche coincide con il
periodo corrispondente all’anno solare, la totalità dei redditi prodotti dal 1/1 al 31/12 di ciascun anno
solare, è possibile uno e un solo avviso di accertamento.

Si chiama analitico perché ha per oggetto le single fonti reddituali e i redditi appartenenti alle specifiche
categorie delineate nel TUIR.
Quando studieremo il testo unico delle imposte sui rediti e irpef vedremo che i singoli redditi sono
classificati sulla base della loro fonte e si distinguono in redditi di capitale, di lavoro dipendente, di lavoro
autonomo, redditi di impresa e redditi diversi.
Accertamento analitico accerta la consistenza reddituale prodotta dal continuate e lo fa fonte per fonte.

I presupposti per l’accertamento analitico si evincono già da quelli che possono essere i vizi della
dichiarazione dei redditi che abbiamo già visto, la dichiarazione può essere incompleta, falsa, inesatta se
ricorre uno o più di questi vizi scatta la possibilità per l’ufficio dell’agenzia delle entrate di rettificare la base
imponibile.
La disposizione di cui all’articolo 38 ci dice che questi vizi della dichiarazione possono essere desunti dai
funzionari dell’agenzia delle entrate dalla dichiarazione stessa oppure dal confronto tra la dichiarazione in
esame e quelle relative agli anni precedenti oppure dai dati e notizie acquisite ai sensi dell’articolo 37 che
rimanda a sua volta ad articoli precedenti, articolo 32.

La norma dell’articolo 38 ci dice che gli elementi che i funzionari possono utilizzare possono essere anche
elementi presuntivi, le presunzioni e quindi le inferenze che i funzionari possono fare per risalire a partire
da un fatto noto a un fatto ignoto e il fatto ignoto è la base imponibile del contribuente, ci dice la norma
che devono essere gravi, precisi e concordanti, devono avere quei caratteri che l’articolo 2729 del codice
civile precisa ai fini della utilizzazione da parte del giudice delle presunzioni semplici.
Questo significa che nel momento in cui un funzionario emette un avviso di accertamento analitico deve
corroborare quell’accertamento non con elementi meramente indiziari ma con elementi probatori che al
più possono avere i caratteri di pressioni e appunti meccanismi inferenzaili per raggiungere la prova a
partire da fatti noti e però questi elementi devono essere supportati da gravità, importanza dell’elemento
indiziario ai fini del raggiungimento della prova, precisione e specificità dell’elemento indiziario e
concordanza.

Se la regola generale è l’accertamento analitico, l’articolo 38 ai commi che vanno dal 4 all’8 prevede la
possibilità di una seconda metodologia di accertamento definita accertamento sintetico, questo perché noi
leggiamo nella norma che l’ufficio dell’agenzia delle entrate indipendentemente dalle disposizioni relative

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Francesco Gruppelli
all’accertamento sintetico può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente.
La determinazione del reddito complessivo è la determinazione della somma dei redditi appartenenti alle
specifiche categorie di reddito.
Quindi accertamento sintetico significa non accertamento fonte per fonte ma accertamento della
complessità e della globalità del reddito prodotto dal contribuente in quel periodo di imposta.

Qual è il presupposto che consente all’agenzia della entrate di fare un accertamento sintetico e quindi di
non andare a vedere fonte reddituale per fonte reddituale ma di determinare in una sola battuta il reddito
complessivo del contribuente, il presupposto è definito dall’articolo 38 ed è rappresentato dalla discrasia
fra il reddito dichiarato e il reddito accertato.

Se il reddito complessivo accertato eccede di almeno 1/5 di quello dichiarato ecco che scatta il potere per
l’agenzia delle entrate di procedere con l’accertamento sintetico, meno garantista per il contributo perché
l’ufficio nel caso in cui non siano note le fonti reddituali e la dichiarazione del contribuente si discosti molto
da quella che è effettività del redito prodotto, la norma di legge consente agli uffici dell’agenzia delle
entrate di rideterminare il reddito complessivo assumendo come punto di partenza le spese, dalla spesa
effettuata dalla persona fisica viene dedotto il reddito complessivo prodotto.
È un accertamento meno garantista in quanto basato su un meccanismo inferenziale che dice che se io mi
possono permettere una spesa di una tot di ammontare significa che ho prodotto un reddito pari a tot.
Quindi la determinazione sintetica avviene senza bisogno di verificare previamente la congruità dei singoli
redditi dichiarati.

In che modo avviene questa deduzione dalla spesa al reddito, l’accertamento sintetico prende come
riferimento le spese, in particolare prende come riferimento la spesa globale, ovvero tutti quesi costi che
attengono e che determinano il tenore di vita della persona fisica, tutto ciò che il contribuente ha speso in
un periodo di imposta.
Se l’insieme delle spese sostenute è superiore al reddito netto dichiarato si presume che la differenza sia
rappresentata da un reddito imponibile non dichiarato.
L’ufficio dell’agenzia delle entrate quindi va a vedere se io mi sono permesso dei viaggi, se ho delle
allocazioni immobiliari, se ho lavoratori domestici, se no acquistato gioielli e cosi via, tenendo anche in
considerazione una quota di denaro risparmiato, se ho accumulato del reddito anche quello incide, viene
considerato spesa idonea a ricostruire presumibilmente il reddito complessivo.

La determinazione sintetica del reddito complessivo può essere fondata sul contenuto induttivo di elementi
indicativi di capacità contributiva, questo contenuto induttivo di elementi indicativi di capacità contributiva
viene individuato mediante dei campioni significativi di contribuenti raggruppati a seconda della
dimensione del loro nucleo familiare e del territorio italiano a cui appartengono.
Qui il legislatore sta disciplinando il cosiddetto redditometro, ovvero un paniere di fatti indice di reddito che
possono essere utilizzati dagli uffici dell’agenzia delle entrate ai fini dell’accertamento, quindi con il
redditometro si codifica una presunzione di legge, tale per cui se in relazione al mio nucleo familiare, al
luogo di italia in cui vivo o opero, io realizzo determinati fatti indice considerati dal legislatore.
Se il soggetto realizza uno o più di questi fatti indice l’ufficio dell’agenzia delle entrate può andare a vedere
il coefficiente reddituale abbinato al singolo fatto indice e ricostruire in modo matematico la totalità del
reddito prodotto da contribuente, questa è una presunzione molto importante che facilita molto il lavoro
dell’agenzia delle entrate perché l’ufficio deve esclusivamente provare la sussistenza a dei fatti indice
assunti e codificati dal legislatore per arrivare alla determinazione del reddito complessivo.

Cosa può fare il contribuente per superare un accertamento sintetico.


Il contribuente può documentare all’ufficio dell’agenzia delle entrate che le spese che l’agenzia della
entrate ha scoperto essere state sostenute dalla persona fisica sono in realtà state sostenute attraverso dei
redditi diversi da quelli prodotti in quel periodo di imposta, come ad esempio dei risparmi per l’acquisto di

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Francesco Gruppelli
un auto di lusso e quindi l’acquisto che io ho effettuato nel 2020 non consente all’ufficio di desumere un
reddito nel 2020, perché ho utilizzato dei risparmi sulla base di redditi prodotti negli anni precedenti.
Oppure le spese sono state sostenuto con redditi non soggetti a tassazione, redditi esenti, redditi che sulla
base di norme di favore non concorrono alla formazione della mia base imponibile oppure ancora posso
dimostrare che ho sostenuto quelle spese però le ho sostenute attraverso dei redditi soggetti a ritenuta alla
fonte a titolo di imposta, quindi redditi che hanno già scontato una tassazione effettiva e definitiva in capo
al sostituto di imposta.
Infine come prova liberatoria il contribuente può documentare all’agenzia delle entrate che il
finanziamento delle spese è avvenuto con redditi esclusi dalla formazione della base imponibile per una
qualunque altra ragione.

Sempre articolo 38 ci dice che nel caso di accertamento sintetico c’è obbligo di contraddittorio, quindi
prima di notificarmi un avviso di accertamento basato sull’articolo 38 commi 4-8, l’agenzia delle entrate è
tenuta a convocarmi.
Questa convocazione serve a capire dal contribuente se le spese che l’ufficio ha rintracciato come
effettuate da quel contribuente trovano la loro giustificazione in fonti reddituali diverse da quelle dichiarate
dal contribuente in dichiarazione.

Sempre articolo 38 prevede che nel caso di accertamento sintetico il contribuente comunque abbai diritto a
far valere l’esistenza di oneri deducibili e detrazioni di imposta se ne ricorrono i presupposti di legge.
Questo significa che l’ufficio sulla base dell’accertamento sintetico può si rideterminare il mio reddito
complessivo ma dovrà comunque tenere conto dell’esistenza di particolari costi indicati dal legislatore del
TUIR come particolarmente meritevoli di attenzione e che consentono una diminuzione o del reddito
complessivo imponibile del contribuente o una diminuzione dall’imposta lorda per il calcolo dell’imposta
netta.

Una volta viste le caratteristiche dell’accertamento sintetico risulterà chiaro l’effetto e le caratteristiche
dell’accertamento d’ufficio. L’articolo 41 del decreto sull’accertamento ci dice che l’accertamento di ufficio
viene emesso quando non è stata presentata o è nulla la dichiarazione, quindi nel caso di dichiarazione che
non è stata presentata, o ultra tardiva, o nel caso di dichiarazione nulla la legge stabilisce che l’ufficio può
determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente e lo può fare sulla base dei dati e delle
notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, quindi l’articolo 41 consente all’ufficio di utilizzare
qualunque tipo di fonte indiziaria o probatoria idonea a rideterminare la base imponibile del contribuente e
lo può fare avvalendosi anche di presunzioni prive dei requisiti di gravita, precisione e concordanza.

Quindi una conseguenza ai fini dell’accertamento molto importante e molto grave per il contribuente che
non presenta la dichiarazione dei redditi o presenta una dichiarazione nulla è consentire agli uffici
dell’agenzia delle entrate di determinare la totalità del reddito prodotto davvero con un amplissimo
margine di manovra.

Aggiunge l’articolo 41 che l’ufficio può addirittura prescindere dalla dichiarazione se eventualmente
presentata successivamente fuori tempo massimo dal contribuente, o nel caso di dichiarazione nulla,
l’ufficio può prescindere dal dato dichiarato nella dichiarazione presentata ma nulla e l’ufficio può altresì
prescindere dalle scritture contabili anche addirittura nel caso in cui queste scritture siano state
regolarmente tenute da contribuente.
Questo non significa che l’avviso di accertamento sintetico di ufficio debba essere del tutto arbitrario, però
sulla base di questi presupposti è assolutamente intuibile come amplissima sia la facoltà e l’ambito
indiziario e probatorio utilizzabile dall’ufficio per rideterminare la base imponibile.

Altre due particolarità che detta la norma di quell’articolo 41 del dpr 600 è che nel caso di redditi fondiari
posseduti dal contribuente questi sono in ogni caso determinati in base a catasto.

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Francesco Gruppelli
L’altra è che nel caso di determinazione sintetica del reddito gli oneri pur documentati dal contribuente e
considerato deducibili non sono deducibili, quindi un ulteriore conseguenza negativa per il contribuente

Lezione 11.1

Accertamento analitico lo possiamo meglio declinare come l’accertamento analitico contabile dei redditi di
impresa, è un accertamento che rettifica singole componenti attive o passive del reddito di impresa ed è un
accertamento che presuppone che la contabilità tenuta da contribuente nel suo complesso sia attendibile.
Questa modalità si definisce analitica perché la rettifica riguarda singole componenti attive o passive del
reddito e si definisce contabile perché presuppone e mantiene salva la contabilità tenuta dal contribuente.

La versione dell’analitico induttivo si differenzia da quello contabile perché in questo caso la rettifica può
avvenire anche attraverso l’utilizzo di presunzioni.

Infine il sintetico extra-contabile è l’accertamento che presuppone un superamento dello schermo delle
scritture contabili tenute dal contribuente e determina una ricostruzione della base imponibile dei redditi di
impresa attraverso caratteristiche esteriori della attività di impresa.

Accertamento analitico contabile


Presuppone che la contabilità tenuta dal contribuente sia attendibile e consente agli uffici dell’agenzia delle
entrate di rettificare singole componenti positive o negative di reddito.
Quali sono i casi che legittimano l’agenzia delle entrate ad effettuare questo accertamento?
I casi sono quelli individuati alle lettere a, b, c del primo comma dell’articolo 39.

La prima ipotesi è quella della mancata corrispondenza tra dichiarazione e bilancio, nel caso cioè in cui i
funzionari dell’agenzia delle entrate accertino una discordanza tra dichiarazione, bilancio e scritture
contabili.

Seconda ipotesi si ha quando viene riscontrata una violazione di una norma fiscale in materia di reddito di
impresa, violazione che comporta una variazione del reddito fiscale rispetto all’utile civilistico.
Nel caso in cui il contribuente abbia dedotto come componente passivo una quota di ammortamento non
deducibile secondo la norma fiscale, questa violazione della norma fiscale legittima l’accertamento analitico
contabile.

Il terzo caso è un caso residuale che amplia enormemente la gamma dei presupposti che legittimano
questo tipo di accertamento, perché la terza ipotesi ci dice che allorquando sono rinvenute prove
documentali come possono essere le risposte a questionari, l’esame di atti e documenti del contribuente o
di altri soggetti, l’esame dei conti bancari, i verbali dei contraddittori eventualmente instaurati con il
contribuente.
Se da tutto ciò risultano in modo certo e diretto situazioni di incompletezza, falsità e inesattezza degli
elementi indicati nella dichiarazione, evidentemente questo costituisce un presupposto legittimo per
l’emissione di un avviso di accertamento analitico contabile.

In questo accertamento quindi possiamo sempre individuare due step molto distinti che devono essere
seguiti dai funzionari dell’agenzia delle entrate.
Prima c’è un controllo di diritto, l’ufficio accerta se vi sono i presupposti per l’emissione di un accertamento
analitico contabile, quindi se ricorre una di quelle tre ipotesi che abbiamo appena delineato.
Una volta effettuato questo controllo di diritto, ai fini della rettifica delle base imponibile i funzionari
dell’agenzia delle entrate dovranno operare un controllo di fatto, dovranno cioè individuare quelle
componenti reddituali che risultano sottratte a tassazione.

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Francesco Gruppelli
In questo secondo controllo dovrà essere rettificata la base imponibile individuando quella che è l’effettiva
dimensione quantitativa ed economia della componente positiva o negativa di reddito che il contribuente
ha male rappresentato nella sua dichiarazione.

Una particolare modalità di accertamento analitico è l’accertamento analitico induttivo che troviamo
disciplinato alla lettera d del primo comma dell’articolo 39, che ci dice che se l’incompletezza, falsità o
inesattezza degli elementi indicati in dichiarazione risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre
verifiche documentali effettuate dall’agenzia delle entrate, anche in questo caso si può procedere con un
accertamento analitico.

Si definisce induttivo in quanto la lettere d ci precisa che l’esistenza di attività non dichiarante o la
inesistenza di passività dichiarate può essere desunta dai funzionari dell’agenzia delle entrate anche sulla
base di presunzioni semplici, presunzione che non devono avere i caratteri di gravità, precisione e
concordanza.
Questo significa che gli uffici dell’agenzia delle entrate possono utilizzare non solo atti e documenti che
risultino formati dal contribuente come le scritture contabili ma anche tutte le informazioni che sono state
acquisite attraverso l’esercizio di potere istruttori.

Accertamento quindi in questo caso si può avvalere di elementi probatori ed esterni alla contabilità del
contribuente.
Questi elementi esterni alla contabilità del contribuente costituiscono i fatti noti posti alla base del
ragionamento inferenziale che si concreta nella presunzione che quel particolare meccanismo inferenziale
che troviamo codificato nel codice civile all’articolo 2729, codificato con riferimento alle presunzioni
utilizzabili dal giudice, che consente al giudice di risalire ad un fatto non noto a partire da un fatto noto.
Questo fatto noto, certo su cui basare il meccanismo presuntivo può essere anche un elemento esterno alla
contabilità del contribuente.

Infine la terza modalità di accertamento dei redditi delle persone giuridiche è la modalità dell’accertamento
sintetico extra-contabile.
Nei casi in cui gli uffici dell’agenzia delle entrate riscontrino violazioni che per gravita e tipologia non
consento di tenere salva la rappresentazione contabile e fiscale che il contribuente ha dato rispetto alla sua
attività di impresa, scatta la modalità di accertamento e rettifica della base imponibile meno garantista.
Articolo 39 secondo comma del decreto ci dice che l’ufficio può determinare il reddito di impresa o
l’ammontare complessivo imponibile ai fini IVA sulla base dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a
conoscenza dell’ufficio, quindi il valore probatorio degli elementi posti a base dell’accertamento è
assolutamente labile perché la norma legittima l’accertamento anche se fondato su una notizia, a
prescindere dal modo in cui quella notizia è stata raccolta o è arrivata a conoscenza dei funzionari.

Questo accertamento è poco garantista nei confronti del contribuente perché consente agli uffici anche di
prescindere in tutto o in parte dalle risultanze contabili se esistenti, la contabilità e le scritture contabili
tenute dal contribuente non costituiscono un limite all’azione di accertamento e rettifica da perte
dell’agenzia delle entrate, che può avvalersi anche di presunzioni non assistite dai requisiti di gravità,
presunzioni e concordanza, quindi anche presunzioni semplici.

Queste tre caratteristiche ci spiegano come avviene la stima del reddito della persona giuridica.
Questo tipo di giudizio, il giudizio di stima del reddito, lo dobbiamo tenere distinto dal giudizio sulla
complessiva inattendibilità della contabilità del contribuente.
Questo secondo giudizio costituisce il presupposto che legittima l’ufficio al ricorso all’accertamento
sintetico extra-contabile.

Una volta visto in che cosa consiste l’accertamento extra-contabile occorre misurarne e accertare quali
sono i presupposti, ovvero le condizioni che consentono agli uffici dell’agenzia delle entrate di derogare alla

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Francesco Gruppelli
via dell’accertamento analitico per confezionare un tipo di accertamento che sicuramente è meno fedele
quel principio di effettività della capacità contributiva che deve sempre guidare la mano dell’ufficio
accertatore ai sensi dell’articolo 53 della costituzione.
Cinque sono le ipotesi che legittimano li ricorso all’accertamento sintetico extra-contabile:

Il primo presupposto consiste nella mera rilevazione del fatto che il reddito di impresa non è stato indicato
in dichiarazione, quindi questa grave dimenticanza da parte del contribuente che pure ha presentato la
dichiarazione, legittima subito agenzia delle entrate a procedere con questo accertamento.

Il secondo presupposto si verifica quando da un verbale di ispezione risulta che il contribuente non ha
tenuto o ha sottratto una o più scritture contabili prescritte ai fini fiscali.
Quindi se a seguito di un controllo sostanziale effettuato presso il contribuente o presso il professionista
che lo assiste dove sono archiviate e costudite le scritture contabili risulta la mancanza di una scrittura
contabile o la volontà del contribuente di sottrarre all’ispezione una scrittura contabile, questo legittima
l’accertamento sintetico e qui occorre notare che la norma individua accomuna a questa ipotesi anche
quella della indisponibilità delle scritture contabili per causa di forza maggiore, come ad esempio un
incendio.

La terza ipotesi si ha quando le omissioni e le false o inesatte indicazione accertare mediante verbale di
ispezione o le irregolarità formali delle scritture contabili sono così gravi, numerose e ripetute da rendere
nel complesso inattendibili le scritture contabili, quindi nel caso in cui manchino le garanzie che dovrebbe
avere una contabilità ordinata e sistematica si può procedere ad accertamento extra-contabile,
esattamente come dice, la rettifica della base imponibile diventa possibile prescindendo lo schermo delle
scritture contabili che risultano particolarmente viziate e inattendibili.

La quarta ipotesi è il mancato seguito agli inviti di esibizione o di trasmissione di atti e documenti o alla
compilazione e restituzione di questionari, quindi quando l’agenzia delle entrate attiva il contraddittorio, mi
chiede un informazione evidentemente non in suo possesso e il contribuente non da seguito a questo
contraddittorio perché non si presenta, non trasmette il dato richiesto dall’amministrazione, questo ha un
effetto ai fini dell’accertamento molto grave, perché oltre alla sanzione amministrativa, legittima
l’emissione di un accertamento sintetico extra-contabile.
La mancata documentazione ecc, fa scattare anche un effetto processuale che preclude al contribuente che
eventualmente instaura un giudizio di dedurre di fronte al giudice fatti e dati e quelle notizie che avrebbe
dovuto presentare all’amministrazione finanziaria che ha attivato il contraddittorio e che per una ragione
imputabile al contribuente non ha prodotto.

Quand’è che le richieste dell’amministrazione sotto forma di inviti o questionari sono legittime?
L’articolo 6 comma 4 dello statuto dei diritti del contribuente, ci dice che al contribuente non possono
essere richiesti documenti e informazioni già in possesso all’amministrazione finanziaria o di altre
amministrazioni pubbliche.
Quindi è legittima la richiesta a patto che questo complesso di elementi non sia già in possesso della
agenzia o altre, questo perché evidentemente il contribuente non deve essere sottoposto ad uno stillicidio
di richieste da parte dell’agenzia delle entrate che se per una via più breve attraverso una richiesta ad
un’altra pubblica amministrazione ha la possibilità di ottenere quel dato non deve onerare il contribuente
attraverso un invito o un questionario.
Qualora mi venga inviatate una richiesta a cui io non do seguito e l’agenzia delle entrate mi notifiche un
accertamento sintetico extra contabile io potrò smontare quell’accertamento andando a dedurre di fronte
al giudice l’illegittimità della richiesta del dato ecc perché quel tipo di informazione risultava già in possesso
dell’agenzia delle entrate e quindi nel caso di specie difettava nel presupposto numero 4 per accertamento
sintetico extra contabile

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Francesco Gruppelli
Infine la quinta ipotesi è rappresentata dal caso di omessa presentazione dei modelli per la comunicazione
dei dati rilevanti all’applicazione degli studi di settore o nel caso di infedele compilazione di questi modelli.

Lezione 11.2

Le imprese minori e i soggetti che esercitano attività e professione tenuti alla compilazione di scritture
contabili seguono modalità di accertamento assimilabili a quelle valevoli per le persone giuridiche.
Per questi soggetti sarà applicabile l’articolo 39.
Le persone fisiche non obbligate alla tenuta delle scritture contabili seguono le regole dell’articolo 38 per le
persone fisiche.

Quindi la regola di accertamento per questi soggetti è quella dell’accertamento analitico, ovvero il
presupposto e la base imponibile delle imposte dirette vanno determinati con riferimento alle singole
categorie di reddito quindi attraverso l’individuazione e la distinzione dei redditi a seconda della loro fonte
di provenienza, con la possibilità da parte degli uffici dell’agenzia delle entrate di ricorrere a presunzioni
semplici, ovvero presunzioni dotate di gravità, precisione e concordanza per andare a ricostruire la base
imponibile delle singole fonti di reddito.
Evidentemente le regole dettate dall’articolo 39 presuppongono che la persona giuridica sia un soggetto
avente una certa dimensione che in quanto tale sia tenuto a tenere in modo sistematico la contabilità
ordinaria.

Nel passato infatti è stata rilevata la difficolta se non l’impossibilità di applicare le regole dettate dal
l’articolo 39 per le così dette imprese minori, ovvero per quei soggetti che per fatturato, dimensione e
attività non sono equiparabili a quei soggetti tenuti alla contabilità ordinaria, ed è per questo che a partire
dalla meta degli anni 80 sono stati introdotti degli avvisi di accertamento su base standardizzata, dei
meccanicismi di accertamento presuntivi.
Questi meccanismi presuntivi sono di vario tipo, però presentano come fattore comune il ricorso l’utilizzo di
elementi esterni all’attività di impresa, tipicamente rintracciabili nei fattori della produzione, ai fini della
determinazione della base imponibile, quindi elementi esterni all’attività di impresa vengono utilizzati come
fatti noti per risalire al fatto ignoto, ovvero alla base imponibile reddituale prodotta dal soggetto.

La procedura standardizzata è la procedura degli ormai abrogati studi di settore.


L’accertamento standardizzato mediante studi di settore era un accertamento che si applicava ad
imprenditori e lavoratori autonomi e serviva per individuare i ricavi e i compensi, quindi non il reddito ma
queste specifiche componenti positive di reddito.

Come funzionavano?
I soggetti imprenditori e lavoratori autonomi venivano suddivisi in gruppi omogenei, denominati cluster,
sulla base di una molteplicità di fattori che tenevano conto dei modelli organizzativi, dei tipi di clientela,
dell’area del mercato di riferimento, delle modalità di svolgimento delle attività e cosi via.
Rispetto a ciascun cluster veniva attribuito un determinato coefficiente che consentiva di risalire
all’ammontare presento di ricavi e compensi prodotti dal soggetto.

L’elemento caratteristico del settore era dunque la relazione matematica attraverso la quale per casi un
cluster partendo dai dati contabili e strutturali del singolo soggetto si calcolava una variabile dipendente
rappresentata dall’importo presunto dei ricavi o dei compensi.
Attraverso un software ogni contribuente poteva controllare la propria posizione reddituale, ogni
contribuente doveva inviare periodicamente all’agenzia delle entrate dei dati relativi ai fattori esterni alla
sua attività, sulla base di questi dati il soggetto veniva classificato all’interno di un cluster e attraverso la
relazione matematica il coefficiente attribuito dallo studio economico e non giuridico, veniva individuato il
ricavo o il compenso prodotto.

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Francesco Gruppelli
Una caratteristica di questa modalità di accertamento era che prima della notifica dell’avviso di
accertamento vi era un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale che obbligatoriamente gli uffici
dell’agenzia delle entrate dovevano attivare con il contribuente.

Con la legge di conversione del giugno 2017 n96 sono stati abrogati gli studi di settore e sono stati
rimpiazzarti dagli ISAF, indici sintetici di affidabilità fiscale.
ISAF sono un nuovo strumento attraverso il quale si intende fornire a professionisti e imprese un riscontro
accurato e più possibile trasparente sul loro livello di affidabilità fiscale, ISAF sostituiscono gli studi di
settore e si applicano agli stessi soggetti.

Sono degli indicatori costruiti con una metodologia statistica ed economica basata su dati e informazioni
contabili e strutturali relativi a più periodi di imposta molto simili agli studi di settore.

Questi ISAF consentono agli operatori economici di valutare autonomamente la loro posizione fiscale e di
verificare il loro grado di affidabilità su una scala di valori che va da 1 a 10, cioè viene attraverso questi
indicatori attribuito un voto da 1 a 10 di affidabilità fiscale all’operatore economico, e questo voto serve
all’operatore economico per avere un riscontro della coerenza della propria gestione aziendale o
professionale con il vantaggio per il fisco di favorire comportamenti da parte dei contribuenti più
trasparenti possibili, volti alla determinazione spontanea delle basi imponibile.

Per l’attribuzione del punteggio ISAF il contribuente deve comunicare all’agenzia delle entrate attraverso
degli appositi modelli come quelli che abbiamo visto per gli studi di settore e la cui mancata o infedele
compilazione determinava l’accertamento sintetico extra contabili, i propri dati economici contabili e
strutturali.

Sulla base dei dati trasmessi l’agenzia delle entrate ha costruito dei modelli di business, dei mob, cioè dei
gruppi omogenei di soggetti con caratteristiche simili.
Sulla base di quanto dichiarato dal contribuente, esso viene assegnato all’interno di uno di questi gruppi.
I mob rappresentano la struttura della catena del valore, alla base del processo di produzione del bene o
del servizio e sono espressione delle differenze fondamentali che derivano dalle diverse combinazioni delle
funzioni operativi dell’impresa.

L’indice sintetico di affidabilità fiscale è rappresentano dalla media semplice di due tipi di indicatori
elementari, ci sono gli indicatori elementari di affidabilità che valutano l’attendibilità di relazioni e rapporti
tra grandezze di natura contabile e strutturale e possono assumere un valore compreso tra 1 e 10 e gli
indicatori elementari di anomalia che segnalano situazioni di gravi incongruenze contabili e gestionali o
diseallinamenti tra dati e informazioni presenti nei diversi modelli di dichiarazione o che emergono dal
confronto con banche date esterne.
Ciascuno di questi indicatori è poi differenziato in ragione delle diversità territoriale del luogo in cui ha sede
il contenute soggetto ad ISAF.

Gli ISAF non si applicano per il periodo di imposta in cui il contribuente ha iniziato o cessato l’attività o non
si trova in condizioni di normale svolgimento di attività o nel caso in cui siano dichiarati ricavi o compensi di
ammontare superiore ai 5milioni o nei casi in cui il soggetto si avvalga di un regime forfettario agevolato nei
casi previsti dalla legge.

Gli ISAF inoltre non sono applicabili per le società cooperative, consortili e consorzi che operano
esclusivamente a favore delle imprese socie o associate.

È interesse dei contribuenti ottenere un voto alto perché i contribuenti virtuosi beneficiano di una serie di
vantaggi, ad esempio con ISAF superiore o uguale a 8 si gode della anticipazione di un anno dei termini di

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Francesco Gruppelli
decadenza per l’attività di accertamento, quindi il contribuente virtuoso gode dello sconto di un anno
rispetto a quei termini che abbiamo visto indicati all’articolo 43 del dpr 600 del 1973.
Se il punteggio è pari o superiore a 8,5 sono esclusi dagli accertamenti basati sulle presunzioni semplici,
quindi l’impresa non potrà essere destinataria di un accertamento analitico induttivo di cui all’articolo 39
comma 1 lettera d del dpr 600.
Se la persona fisica ha un livello di affidabilità almeno pari a 9 è prevista l’esclusione dalla determinazione
sintetica del reddito complessivo, articolo 38 non può essere applicato.

Per accedere a questi vantaggi chi esercita attività di impresa o lavoro autonomo può migliorare il proprio
punteggio ad esempio correggendo eventuali errori commessi in fase di compilazione che possono aver
condizionato negativamente il punteggio di uno o più indicatori elementari oppure può indicare in
dichiarazione ulteriori componenti positivi che non risultano dalle scritture contabili e che sono rilevanti ai
fini tanto delle imposte dirette quanto dell’IVA.

Finita la fase di accertamento, adesso ci occupiamo dell’ultima fase di accertamento amministrativo


tributario che consiste nella riscossione

La riscossione
Tutta quella fase destinata alla formale apprensione da parte dell’erario del danaro che costituisce oggetto
dell’obbligazione tributaria di cui è debitore il contribuente.

Il testo di riferimento in tema di riscossione è il dpr n 602 del 1973, testo dettato per la riscossione delle
imposte sui redditi e poi esteso anche alla riscossione dell’IVA e delle altre imposte indirette.
Dal punto di vita della riscossione il soggetto deputato alla realizzazione delle funzioni pubbliche di esazione
non è più l’agenzia delle entrate tout court ma è il concessionario della riscossione.

Questo concessionario della riscossione in passato era un soggetto di diritto privato, soggetto di diritto
privato a poi visto una partecipazione pubblica.
Agenzia delle entrate e riscossione, ovvero un ente pubblico economico istituito nel 2016 che appunto
svolge le funzioni relative alla riscossione nazionale.

73
Francesco Gruppelli
Questo ente esattamente come l’agenzia delle entrate è sottoposto alla funzione di indirizzo e vigilanza del
ministero dell’economia e delle finanze e svolge compiti strumentali all’incasso delle pretese tributarie
accertaste dall’agenzia delle entrate tout court.

Dal punto di vista della normativa in materia di riscossione, al di la dello sviluppo storico della funzione di
esecuzione dei tributi, una distinzione fondamentale da tenere come punto di partenza è quella tra
riscossione spontanea e riscossione in base a dati emessi dall’amministrazione finanziaria.
La riscossione spontanea consiste nel pagamento volontario spontaneo che il contribuente esegue di
propria iniziativa in adempimento degli obblighi previsti dalla legge, in questo caso parliamo di versamenti
diretti o ritenute.
Viceversa con riscossione effettuata in base a dati emessi dall’amministrazione finanziaria parleremo di
ruolo e di cartella di pagamento.

L’articolo 1 del dpr 602 del 1973 ci dice che l’adempimento dell’obbligazione tributaria deve avvenire in
forme tipiche, noi non possiamo adempire all’obbligo tributario se non nelle modalità espressamente
previste dalla legge, queste modalità sono di tre tipi; ritenuta diretta, versamenti diretti e iscrizione a ruolo.
Le prime due modalità configurano una modalità di riscossione spontanea.

Le ritenute dirette sono delle ritenute effettuate da delle amministrazioni pubbliche.


Sono quindi ritenute del tutto assimilabili a quelle cui sono tenuti i sostituti di imposta, e si chiamano
dirette perché promanano dallo stesso soggetto creditore del danaro oggetto dell’obbligazione tributaria.
Alla ritenuta diretta sono soggetti i redditi di lavoro dipendente e i redditi assimilati, i redditi di lavoro
autonomo e alcune provvigioni e i redditi di capitali, contributi premi e le vincite.
La ritenuta diretta o alla fonte è possibile nelle 2 modalità della ritenuta a titolo di acconto o della ritenuta a
titolo di imposta.
In entrambi i casi si realizza quel meccanismo di sostituzione che abbiamo già studiato quando abbiamo
esaminato i soggetti del rapporto di imposta.

La forma di riscossione più importante è quella rappresentata dai cosi detti versamenti diretti.
Abbiamo già anticipato che le imposte sui redditi sono imposte periodiche, ad ogni periodo di imposta
corrisponde una e una sola obbligazione tributaria, i presupposto di imposta di questa obbligazione
tributaria si spalma dal 1 gennaio al 31 dicembre di ogni anno solare, per le persone fisiche, o dal primo
giorno fino all’ultimo di ogni esercizio sociale, per le persone giuridiche.
Tendenzialmente ci aspetteremo un sistema in base al quale una volta perfezionato il presupposto di
imposta ed quindi per le persone fisiche una volta aspirato il 31/12 di ogni anni solare è possibile
quantificare la base imponibile e quindi si perfeziona l’obbligo di pagamento.

In realtà il nostro sistema è molto più complicato rispetto a questa rappresentazione perché una forma di
riscossione dell’imposta avviene già durante il corso del periodo di imposta, quindi prima del
perfezionamento del presupposto di imposta il contribuente viene chiamato a versare parte del tributo il
cui presupposto non si è ancora perfezionato.
Questo avviene perché il legislatore con la riscossione anticipata mira a avvicinare il momento di
produzione del reddito a quello di pagamento del tributo, secondo un principio che nella letteratura
anglosassone prende il nome di ‘pay as you earn’.

Quindi questa forma di riscossione anticipata precede sia il perfezionamento del presupposto di imposta,
sia l’eventuale procedura di accertamento, abbiamo riscossione anticipata in due modalità:
La prima è quella della ritenuta di acconto che già conosciamo che può essere operata tanto dai sostituti
dei soggetti di diritto privati quanto dalla pubblica amministrazione nel caso di ritenuta alla fonte.

Una seconda modalità è quella del versamento di acconti direttamente da parte del contribuente.

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Francesco Gruppelli
La norma di legge prevede che i sostituti di imposta versino mensilmente generalmente entro il giorno 16 le
ritenute operate nel mese precedente.
Quindi se io lavoratore autonomo ho percepito un compenso soggetto a ritenuta, il mio sostituto di
imposta, il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è avvenuto il mio accredito del mi compreso
verserà all’erario la quota parte che mi è stata trattenuta ovvero la ritenuta.

Oltre ai versamenti dei sostituti, ciascun contribuente deve effettuare nel corso del periodo di imposta due
versamenti di acconto in relazione alla sua base irpef, questi versamenti prendono come parametro l’Irpef
dovuta come periodo di imposta precedente e hanno l’effetto di accreditare un credito per il contribuente
rispetto all’Irpef e che risulterà dovuta per li periodo di imposta in corso.

La ratio di questo meccanismo è legata alla presunzione che il reddito del contribuente si produca di anno
in anno almeno nella medesima misura, ed è per questo che tendenzialmente ogni 30 giungo io verso il
saldo relativo al periodo di imposta precedente e do un acconto relativo al periodo di imposta in corso.
Nell’altra data in cui è previsto l’acconto, il 30 novembre di ogni anno, io verso il secondo acconto relativo o
al periodo di imposta in corso.
Nell’anno successivo a quello in corso scadrà il termine di presentazione delle dichiarazioni dei redditi
relativi al periodo di imposta incorso.
Quindi il 30 giungo di quest’anno si è versato il saldo 2019 e l’acconto 2020, il 30 novembre si deve versare
il secondo acconto 2020, la dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2020 andrà presentata
nell’anno 2021 perché solo arrivati al 31 dicembre 2020 è possibile fotografare l’esatta capacità
contributiva e determinare esattamente l’ammontare dell’Irpef.

Posso non versare o versare un acconto inferiore a quello predeterminato dalla legge e calcolato sull’Irpef
che ho versato per il periodo di imposta precedente?
La risposta è si ma me ne assumo il rischio, se io prevedo di produrre un reddito inferiore rispetto a quello
che ho prodotto nell’anno precedente posso dichiararlo al fisco pagando un acconto minore, se però la mia
previsione si rivela errata incorro in una sanzione amministrativa.

Lezione 12.1

Per quanto riguarda la modalità di estinzione dell’obbligazione tributaria, dobbiamo considerare la


possibilità per il contribuente di estinguere l’obbligazione tributaria attraverso compensazione.
Questa modalità è espressamente prevista dall’articolo 8 dello statuto dei diritti del contribuente ed è
ammesso nei casi e modi previsti in modo espresso dalla legge o da regolamenti attuativi del principio
statutario.

La compensazione può essere verticale quando interessa un singolo tributo, posso quindi compensare il
debito relativo ad un determinato tributo con il credito relativo allo stesso tributo sorto in precedenti
periodi di imposta che non sono già stati chiesti a rimborso.
Se quindi il contribuente vanta un credito irpef, una situazione creditoria nei confronti dell’erario, rispetto
all’Irpef può chiedere che quel credito venga scomputato dalla quota di irpef dovuta ad esempio in acconti
in relazione ad un altro periodo di imposta.

Può essere orizzontatale e può coinvolgere non solo tributi diversi ma anche debiti per contenuti
previdenziali.
Il contribuente può quindi utilizzare le sue posizione creditorie nei confronti di soggetti diversi quali lo
stato, INPS, enti locali e cosi via, potendo quindi estinguere non solo debiti erariali ma anche contributi
previdenziali.

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Francesco Gruppelli
Nel caso in cui la riscossione non avvenga nelle forme spontanee della ritenuta e del versamento diretto
abbiamo la riscossione mediante iscrizione a ruolo, che è il mezzo di riscossione di tutti quei tributi per i
quali la riscossione non avviene mediante ritenuta alla fonte, versamento diretto o in base ad avviso di
accertamento.
I casi della ritenuta e del versamento diretto li abbiamo già visti, dobbiamo precisare meglio il concetto di
riscossione con avviso di accertamento.

Tra gli elementi che noi possiamo rintracciare nell’avviso di accertamento noi troviamo l’intimazione ad
adempiere, vuol dire che l’avviso di accertamento in quanto atto immediatamente esecutivo produce
effetti nella sfera giuridica del destinatario e li produce attraverso una formula, quella dell’intimazione ad
adempiere che non è altro che un precetto, un ordine di pagamento al destinatario dell’avviso degli importi
indicati nell’avviso.
Nel caso di avvisi diversi dagli avvisi senza imposta, noi troviamo nell’avviso, oltre alla rideterminazione,
anche la liquidazione del maggior tributo con il calcolo dei relativi interessi di mora per non aver versato il
tributo a suo tempo, più le eventuali sanzioni.

Il contribuente che riceve l’avviso di accertamento che se lo vede notificare è tenuto a pagare gli importi
nei 60 giorni successivi alla notifica dell’avviso di accertamento, importi indicati nell’atto impositivo.
Il fatto che sia presente questa intimazione ad adempiere rende l’avviso di accertamento non solo un atto
di accertamento ma anche un atto della riscossione, ed è per questo che alcuni autori propendono per
l’espressione di atto impo-esattivo, ovvero che l’avviso ha somma in se non solo effetti ai fini
dell’accertamento ma anche dell’esazione e quindi della riscossione.
Nei 60 giorni successivi dalla notifica il contribuente è tenuto a pagare gli importi dell’avviso di
accertamento ed entro il termine di pagamento ha la possibilità di adire il giudice tributario per richiedere
un annullamento totale e parziale di quell’atto impoesattivo.

Ora nel caso in cui il contribuente presenti un ricorso al giudice di primo grado una norma presente
nell’ambito del decreto sul processo tributario disciplina la così detta riscossione frazionata, cioè
l’ammontare degli importi indicati nell’avviso di accertamento che si rendono dovuti pur in pendenza di
giudizio, questo perché i binari della riscossione, della fase amministrativa vanno in parallelo con il binario
eventuale del processo tributario, quindi non basta instaurare un processo tributario per escludere il
pagamento dell’avviso di accertamento.
Questo a meno che io non chieda un sospensione della riscossione o all’amministrazione finanziaria o al
giudice.

Quanto devo pagare se presento ricorso ?


Se non presento ricorso devo pagare il 100% degli importi indicati, se presento ricorso al giudice di primo
grado, pendente il ricorso di primo grado io sono tenuto a versare 1/3 del maggior tributo liquidato
nell’avviso e i relativi interessi, non devo versare nulla per le sanzioni.
Se il giudice in primo grado mi darà ragione avrò un credito nei confronti dell’erario pari alle somme che ho
già versato.
Qualora la sentenza sia negativa io sono tenuto a versare quanto il giudice ha indicato come ammontare
dovuto e comunque non posso essere chiamato a rispondere oltre i 2/3 del maggior tributo, dei maggiori
interessi e delle sanzioni.

Posso presentare appello e andare davanti al giudice di secondo grado, se mi darà ragione ho diritto ad
ottenere chiaramente il rimborso delle somme che si rivelano non più dovute per il contribuente, se
viceversa mi da torto dovrò pagare il residuo, ovvero l’ammontare determinato nella sentenza del giudice
di appello la quota parte di differenza tra gli importi indicati nell’avviso e quanto versato fino a quel
momento.

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Francesco Gruppelli
Per gli importi che non mi vengono già intimati, che non devo già pagare sulla base dell’avviso di
accertamento ma che devo pagare in conseguenza delle vicende del processo, la riscossione avviene
attraverso appunto iscrizione a ruolo.

Così pure avviene iscrizione a ruolo nelle due modalità che abbiamo già visto a proposito del controllo
formale, 36 bis e ter del dpr 600.
Se a seguito di una verifica cartolare della mia dichiarazione dei redditi emerge un errore materiale o di
calcolo o una discordanza a rispetto ad un documento già in possesso dell’amministrazione finanziaria o che
io presenti in sede di contraddittorio non c’è bisogno di ulteriori accertamenti, l’amministrazione procede
subito con inscrizione a ruolo.

Altra modalità di riscossione mediante iscrizione a ruolo è la tassazione separata, il legislatore può stabilire
con una norma ad hoc che alcune categorie di fatti siano sottratte all’applicazione di un tributo e
assoggettate ad un regime speciale, abbiamo in questo caso una fattispecie sostitutiva o un regime fiscale
sostitutivo, e questo può avvenire sia per motivi di agevolazione, quindi ragioni extra fiscali che spingono il
legislatore a prevedere un regime ad hoc per determinate fattispecie, o per motivi di tecnica impositiva,
motivi di semplificazione del meccanismo di calcolo ed esazione del tributo.

La tassazione separata può prevedere l’intervento di una sostituzione anche in senso soggettivo quindi
intervento del sostituto di imposta, in ogni caso comunque il reddito soggetto a tassazione separata è
tassato in via autonoma e quindi la tassazione separata è soggetta ad una aliquota fissa e che chiaramente
può essere diversa da quella marginale del soggetto e quindi la tassazione separata sfugge alle regole della
progressività nel caso il reddito sia soggetto ad irpef.

Il regime di tassazione separata viene in genere previsto per redditi che si sono formati in un periodo di
tempo piuttosto lungo e che sono stati percepiti tutti insieme in un secondo momento, in un momento
diverso rispetto a quello della loro produzione.
È chiaro quindi che se andassimo a tassare l’intero ammontare dei redditi prodotti formati in un periodo di
tempo molto più lungo avremo una esplosione della aliquota marginale del contribuente e una tassazione
molto alta, ed è per questo che ad esempio il tfr viene tassato mediante il meccanismo della tassazione
separata perché si tratta di un reddito formato in periodo di tempo lungo ma che viene percepito dallo
stesso in un unico momento e quindi sarebbe ingiusto andare ad applicare sulla base dei criteri di
progressività un aliquota esclusivamente nel momento in cui il reddito è stato percepito.

Ecco quindi che in tutti questi casi, tassazione separata, articolo 36 bis, ter controllo formale, tributi
derivanti da avvisi di accertamento o sentenze la riscossione avviene attraverso il ruolo.

L’iscrizione a ruolo è un atto amministrativo collettivo che prevede un elenco di somme da riscuotere
relative a tributi, interessi e sanzioni e in ciascun ruolo vengono iscritte le somme dovute dai contribuente
che hanno domicilio fiscale nell’ambito territoriale a cui si riferisce il ruolo.
Il ruolo è un atto amministrativo di fonte amministrativa e in particolare di fonte della pubblica
amministrazione finanziaria, quindi il ruolo è formato dall’agenzia delle entrate e viene sottoscritto dal
titolare dell’ufficio specifico competente territorialmente dell’agenzia delle entrate e la sottoscrizione
effettuata dal funzionario attribuisce al ruolo effetti di titolo esecutivo.

Il ruolo viene poi inviato telematicamente al concessionario della riscossione, agenzia delle entrate invia
l’iscrizione a ruolo, che viene sottoscritta dal funzionario dell’agenzia delle entrate, all’agenzia delle entrate
riscossione che porta a conoscenza del contribuente il ruolo mediante notifica della cartella di pagamento.

Cartella di pagamento attualizza un obbligo di versamento, perché con la cartella mi viene intimato di
pagare l’importo risultante che non è altro che l’importo dell’iscrizione a ruolo aggiornata con gli interessi
che continuano a decorrere per li passare del tempo più l’aggio dovuto all’agente della riscossione.

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Francesco Gruppelli
L’iscrizione a ruolo legittima l’agente della riscossione ad eseguire azioni di esecuzione forzata, a prendere
misure coercitive nei confronti del contribuente che non adempie all’obbligazione tributaria, ad effettuare
pignoramenti, fermi, iscrizioni ipotecarie e cosi via.
Il ruolo come ogni altro provvedimento amministrativo è soggetto alla legge 241 del 1990 e quindi deve
essere motivato.

Nell’iscrizione a ruolo che mi viene portata a conoscenza attraverso la cartella di pagamento, il ruolo non
esiste in quanto atto cartaceo, in queso particolare atto io devo trovare la motivazione e quindi devo
trovare le ragione che giustificano l’azione dell’agenzia delle entrate che a formato questo titolo esecutivo
nei miei confronti, e quindi nel caso di somme dovute in base a sentenza che non sono state versate
spontaneamente dal contribuente, nell’iscrizione a ruolo dovrò trovare il riferimento alla sentenza del
giudice che mi condanna ad una somma che io non ho evidentemente già versato.

Oppure nel caso in cui l’iscrizione a ruolo abbia per titolo la dichiarazione, se a seguito del controllo 36 bis
del dpr 600 si accerta che io ho scritto e indicato nella mia dichiarazione un importo ma poi non ho
proceduto a versare quella somma o ne ho versata una di misura inferiore, attraverso l’iscrizione a ruolo
dovrò trovare il riferimento all’importo che io ho indicato nella mia dichiarazione.

Così pure dovrà procedere l’agenzia delle entrate quando sono da riscuotere dei tributi soggetti a
tassazione separata, perché gli importi soggetti a tassazione separata devono essere indicati in
dichiarazione.

Sulla base dell’articolo 6 dello statuto dei diritti del contribuente prima di procedere ad iscrizione a ruolo
che derivano dalla liquidazione dei tributi risaltanti da dichiarazioni, se sussistono delle incertezze su aspetti
rilevanti della dichiarazione, l’agenzia delle entrate mi deve inviare, instaurare un contraddittorio.

L’iscrizione a ruolo può essere provvisoria, come ad esempio un iscrizione a ruolo basata su un avviso di
accertamento non definitivo perché impugnato dal contribuente, quindi l’amministrazione mi scrive a ruolo
per le somme dovute in base alla norma sulla riscossione frazionata in pendenza di giudizio di cui abbiamo
parlato ed evidentemente questa iscrizione a ruolo è soggetta a conferma o smentita sulla base di quello
che sarà l’esito processuale.

La legge però può legittimare un iscrizione a ruolo così detta straordinaria, perché in casi disciplinati dalla
legge è consentito all’amministrazione finanziaria richiedere in via anticipata rispetto ai tempi ordinari le
somme per le quali vi sia un fondato pericolo di non riscuoterle.
L’agenzia delle entrate può indicare nella motivazione del ruolo le ragioni per le quali ritiene necessario
procedere per l’intero delle somme iscritte a ruolo, imposte interesse e sanzioni che invece sulla base delle
norme ordinarie andrebbero riscosse solo in parte perché ad esempio indicate in atti impositivi o atti
dell’amministrazione finanziaria che sono stati nel frattempo impugnati dal contribuente.
Questa possibilità dell’iscrizione a ruolo a titolo straordinario è molto importante è in quanto abbrevia i
tempi ordinari di riscossione che vediamo codificati nella legge soprattutto con riferimento alle somme
dovute in base all’avviso d accertamento.

Perché le somme richieste attraverso avviso di accertamento vengono appunto intimate al contribuente
attraverso la notifica dell’atto di accertamento, nei 60 ignori successivi della notifica il contribuente deve
pagare e o presentare ricorso al giudice, qualora il contribuente non effettua il pagamento per l’intero o per
1/3 di tributo interessi nel caso di ricorso davanti al giudice, nei successivi 30 giorni l’agenzia delle entrate
invierà all’agente della riscossione le somme relative all’avviso di accertamento che non sono state versate,
è poi previsto un periodo di sospensione ex lege di 180 giorni dalla riscossione, qualora il contribuente
anche decorso tutto questo tempo non effettui il pagamento potranno essere subito iniziate misure
esecutive nei confronti del contribuente per quelle somme dovute in base ad avviso di accertamento.

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Francesco Gruppelli
Lezione 12.2

L’iscrizione a ruolo formata dall’agenzia delle entrate viene portata a conoscenza del contribuente
attraverso la notifica della cartella di pagamento formata dal concessionario della riscossione, dall’agenzia
delle entrate e riscossione.

Nella cartella di pagamento sono indicati i tributi scritti a ruolo, gli interessi, le sanzione e l’aggio, ovvero la
misura del compenso dovuto all’agente delle riscossione.

La cartella inoltre deve indicare la data di esecuzione a ruolo, la data in cui il ruolo è stato formato ed è
divenuto titolo esecutivo attraverso la sottoscrizione del funzionario dell’agenzia delle entrate, la
descrizione delle partite, delle singole componenti, a che cosa si riferiscono le varie somme, il modo di
estinguere l’obbligazione, quindi le modalità di pagamento e la possibilità di chiedere la rateizzazione.

A pena di nullità, nullità testuale, dobbiamo trovare indicato in cartella sia il responsabile del procedimento
di iscrizione a ruolo sia il responsabile del procedimento di emissione e notificazione delle cartella.

Esattamente come negli avvisi di accertamento esecutivi anche la cartella deve contenere il precetto,
ovvero l’intimazione ad adempiere entro i 60 giorni successivi alla sua notificazione, con lo specifico
avvertimento che in mancanza di pagamento si procederà ad esecuzione forzata.
Con azione forzata si intendo tutte quelle misure volare all’apprensione materiale del danaro e dei beni del
contribuente in modo che il creditore possa soddisfarsi.
L’esecuzione forata segue, salvi specifici aspetti connessi alla natura pubblica del credito oggetto di
esecuzione forzata, le regole del codice di procedura civile, ed è per questo che la giurisdizione in materia di
controversie sulle modalità dell’esecuzione forzata è in capo al giudice ordinario e non più al giudice
tributario.
Se ci sono delle controversie relative al modo in cui è stato effettuato un pignoramento, un iscrizione
ipotecaria, un fermo, il soggetto esecutato avrà possibilità di ricevere tutela giurisdizionale di fronte al
giudice civile.

Il contenuto della cartella può essere estrogeno, perché in una singola cartella di pagamento io posso
trovare non solo l’indicazione delle somme erariali che non ho versato e di cui sono debitore ma anche
somme non tributarie come contenuti previdenziali, sanzioni amministrative, canoni e così via che mi
vengono richieste unitariamente attraverso la notifica di una medesima cartella di pagamento.

La cartella di pagamento è soggetta a così detta scadenza perché decorso un anno dalla sua notifica, se il
destinatario della cartella non paga e non iniziano misure di esecuzione forzata, l’intimazione ad adempiere
recata dalla cartella di pagamento esaurisce il suo effetto e quindi per avviare delle nuove azioni esecutive
per proseguire nella riscossione sarà necessaria la notifica di una nuova intimazione ad adempiere e quindi
di una nuova cartella di pagamento.

La cartella di pagamento è poi soggetta a decadenza, devono essere notificate entro un termine perentorio,
e questo perché deriva dal principio costituzionale dell’articolo 24, non è possibile lasciare il contribuente
assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato.
È per questo che l’articolo 25 del dpr 602 del 1973 prevede dei termini di decadenza e quindi onera
l’agenzia delle entrate e riscossione a notificare la cartella entro termini prestabiliti dalla legge e se questo
non avviene il potere di iniziare l’azione forzata nei confronti del contribuente si estingue.
È la modalità della riscossione delle imposte dirette, per le imposte indirette ci sono delle regole particolari
che in qualche modo costituiscono una deroga rispetto al paradigma normativo ordinario che è quello

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Francesco Gruppelli
dettato dal dpr 602 1973 per le imposte dirette. È per questo che troviamo regole particolari per l’imposta
sul valore aggiunto, per l’imposta di registro, imposta di bollo e per i diritti doganali.

Il rimborso
Ci sono dei casi fisiologici o non fisiologici derivanti dai meccanismi di riscossione dei tributi che
determinato per il contribuente una posizione creditoria, non debitoria, nei confronti del fisco.

Si può verificare questa situazione nel caso di crediti risultanti da dichiarazione, crediti cioè che non
derivano dall’aver pagato indebitamente un tributo ma derivano proprio dal modo fisiologico in cui
funziona il meccanismo di dichiarazione e versamento dei tributi.

80
Francesco Gruppelli
Questo ad esempio avviene quando la somma dei versamenti di acconto effettuati nel corso del periodo di
imposta, delle ritenute di acconto subite e dei crediti di imposta maturati dal contribuente ecceda l’importo
dell’imposta effettivamente dovuta, calcolo che si può fare solo in sede di dichiarazione.

Se nel corso del periodo di imposta ci sono stati dei versamenti in acconto, ci sono state delle ritenute in
acconto e/o dei crediti di imposta e la misura di queste somme è superiore all’imposta effettivamente
dovuta, calcolata sul presupposto di imposta che come sappiamo è possibile fissare per le persone fisiche
solo al termine dell’anno solare e per le persone giuridiche al termine del periodo di esercizio, ecco che
dalla dichiarazione emergerà non un ulteriore debito tributario per il contribuente ma un credito.

Oppure una situazione di credito la possiamo avere nel caso di errore da parte dell’amministrazione
finanziaria, se il funzionario dell’amministrazione finanziaria iscrive a ruolo una somma non dovuta il
contribuente chiaramente a diritto al recupero di quegli importi erroneamente iscritti a ruolo.

Nel caso di somme riscosse mediante ruolo non abbiamo una norma di legge, la legge non displica la
domanda di rimborso, e rispetto a questo caso si è formato un orientamento giurisprudenziale che ritiene
necessario ai fini del rimborso delle somme indebitamente iscritte a ruolo, l’impugnazione del ruolo.
Una parte della giurisprudenza ritiene che affinché il contribuente si veda reintegrato rispetto a quelle
somme erroneamente iscritte a ruolo, richiede che il contribuente impugni di fronte al giudice tributario il
ruolo chiedendone l’annullamento e la condanna dell’amministrazione al rimborso.
Si tratta però di una posizione criticabile perché come nota il professor Tesauro, la menata impugnazione
del ruolo non consolida altro che gli effetti del ruolo e quindi non impedisce il rimborso delle somme
indebitamento riscosse.

Quindi se io non impugno nei 60 giorni successivi alla notifica della cartella di pagamento il ruolo che mi
viene comunicato attraverso la notifica io perdo solo la possibilità di contestare di fronte al giudice il ruolo
ma sicuramente non perdo la possibilità di essere rimborsato delle somme erroneamente iscritte a ruolo.

Infine il nostro ordinamento prevede la figura dei cosiddetti crediti di imposta in senso stretto, possono
essere previsti a fini agevolativi o a fini di coerenza del sistema fiscale nazionale come nel caso dei crediti
per le imposte assolte all’estero.
Se il contribuente produce il suo reddito all’estero e questo reddito all’estero è tassato dallo stato estero il
nostro ordinamento può prevedere un credito di imposta per le imposte assolte all’estero, quindi sei io
sono un soggetto residente ai fini fiscali in Italia ma io produco il mio reddito attraverso un impresa
localizzata in Francia, sul reddito prodotto attraverso quella impresa io sarò tassato in Italia e in Francia,
l’Italia però riconoscerà un credito di importa pari alle imposte che io ho versato al fisco francese su quella
medesima ricchezza che ho prodotto.

Questo evidentemente per andare a tassare l’effettiva capacità contributiva del soggetto che non può
essere sottoposto ad una duplice tassazione in relazione ad un medesima ricchezza che ha prodotto.
Quindi diciamo che le somme che possono essere chieste a rimborso riguardano non solo somme risultanti
dalla dichiarazione dei redditi e che a suo tempo sono state debitamente versate ma anche somme per
agevolare o rendere coerente il sistema fiscale come nel caso dei crediti di imposta in senso stretto e crediti
per rimborsi da indebito, errori da parte dell’amministrazione finanziaria che ad esempio indica come
dovuta, iscrive a ruolo, una somma rispetto alla quale non esiste un effettivo diritto di credito del fisco.

Il rimborso di indebito è per altro rapportabile al principio generale che noi troviamo codificato nell’articolo
2033 del codice civile secondo cui il pagamento in debito genera un credito di rimborso o restituzione a
favore del solvens.

In ambito tributario può infatti accadere che il fisco si arricchisca senza giusta causa nei confronti del
contribuente perché ad esempio una norma tributaria e istitutiva di un tributo viene dichiarata

81
Francesco Gruppelli
costituzionalmente illegittima, se nel frattempo c’è stato un accertamento basato su quella norma di legge
illegittima e c’è stato una riscossione in relazione a questo tributo, il fatto che venga meno la norma di
legge che giustifica il prelievo rende evidentemente illegittimi a catena tutti gli atti di accertamento e
riscossione e rende legittimo il rimborso per il contribuente di quell’indebito.

Come avviene la procedura di indebito ?


La procedura di rimborso dell’indebito avviene, o dovrebbe avvenire, d’ufficio.
Le somme cioè indebitamente riscosse a causa di errori materiali o duplicazioni imputabili all’agenzia delle
entrate dovrebbero trovare la loro procedura in un meccanismo che parte di impulso dagli uffici
dell’agenzia delle entrate.
Può accadere che per il particolare meccanismo della riscossione frazionata, delle somme che si
considerano, che andavano considerate come debitamente versate da contribuente, risultino poi non più
dovute, è il caso della riscossione che avviene a seguito di accertamento e conseguente impugnazione
davanti al giudice tributario da parte del contribuente.
Se la sentenza di primo e secondo grado annulla in tutto o in parte l’atto impositivo, le somme che non
sono più dovute a seguito del pronunciamento del giudice dovranno essere rimborsate dal contribuente
che mediotempore le ha versate e questa procedura prevede il rimborso d’ufficio.

Per il rimborso delle ritenute diretti e versamenti diretti è necessario che il contribuente si attivi, si trova
attraverso una apposita istanza di rimborso che deve inviare, ex articolo 38 dpr 600 73, e lo deve fare pena
di decadenza nei 48 mesi successivi alla data di versamento.
Si guarda il momento in cui le somme sono state effettivamente bonificate all’erario.
Se il versamento riguarda delle ritenute che sono state indebitamento operate e versate, come abbiamo già
visto parlando della sostituzione, l’istanza di rimborso può essere presentata sia dal sostituto che ha
effettuato la ritenuta e che ha versato, sia dal sostituito che ha subito la ritenuta. Il termine in questo caso
per il sostituito decorre da quando ha subito la ritenuta e per il sostituto da quando ha versato.

Quale tutela ha il contribuente rispetto ad una istanza di rimborso che non trova seguito da parte
dell’agenzia delle entrate
La norma di riferimento per rispondere è l’articolo 21 del decreto legislativo 546 del 1992 che disciplina il
processo tributario che prevede delle regole generali in materia di rimborso.
Sulla base di queste regole l’istanza di rimborso deve essere presentata entro due anni dal pagamento o dal
giorno in cui è sorto il diritto alla restituzione.

Rispetto ad una istanza di rimborso l’amministrazione mi può rispondere positivamente oppure può
rifiutare espressamente di dare seguito alla mia istanza oppure può rimanere inerte.
Nel caso di rifiuto espresso, quel rifiuto costituisce un atto autonomamente impugnabile di fronte al giudice
tributario, quindi se ricevo una risposta negativa ho diritto di impugnare quella risposta negativa nel
termine di 60 giorni.

Se l’amministrazione resta inerte, e questa inerzia è prolungata per 90 giorni dal giorno in cui ho presentato
la mia istanza di rimborso, il silenzio vale come silenzio rifiuto.
Questo silenzio rifiuto, anche se non è concretizzato in un atto cartaceo può essere impugnato di fronte al
giudice tributario.

In caso di silenzio il contribuente può ricorrere quindi solo dopo 90 giorni ma non oltre il termine di
prescrizione del diritto alla restituzione, posto che il termine di prescrizione ordinaria è di 10 anni, se io
presento un istanza di rimborso e non ricevo nei 90 giorni successivi una risposta negativa da parte
dell’amministrazione finanziaria, quel l’istanza si intende rifiutata e avrò 10 anni di tempo per
eventualmente impugnare quel silenzio rifiuto davanti al giudice tributario.

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Francesco Gruppelli
Le ragioni che possono portare un contribuente a presentare un istanza di rimborso possono essere le più
varie a tal proposito l’articolo 38 del dpr 602, menziona il caso di errore materiale quindi il contribuente che
esegue per errore materiale un versamento di imposta superiore alla misura corretta o nel caso di
duplicazione di un esistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento, se effettuo due versamenti in
luogo di uno o se il contribuente confeziona una dichiarazione inesatta, se viene dichiarata e versata un
imposta non dovuta o maggiore del dovuto è chiaro che in questo caso c’è un diritto al rimborso da far
valere nel termine di 48 mesi.

In luogo di una apposita istanza io la richiesta di rimborso la posso effettuare anche in sede di dichiarazione
e abbiamo infatti già visto che nel caso di credito nascente da dichiarazione le azioni per il contribuente
sono quella della procedura di rimborso, chiedo che mi venga bonificato il credito nascente da
dichiarazione oppure posso riportare all’anno successivo il mio credito di quest’anno e farlo valere rispetto
ad un debito tributario che si perfezionerà nell’anno successivo e quindi attraverso il meccanismo della
compensazione oppure il credito può essere ceduto, se in dichiarazione io opto per il rimborso, il rimborso
che risulta deve essere eseguito d’ufficio da parte dell’agenzia delle entrate attraverso una procedura
automatizzata.

Lezione 13.1

Istituti deflattivi
Sono istituti disciplinati in vari momenti del rapporto giuridico di imposta aventi la comune finalità di
prevenire una lista potenziale tra contribuente e amministrazione finanziaria.

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Francesco Gruppelli
Il legislatore fiscale si è preoccupato di introdurre dei meccanismi che consentano al contribuente di ridurre
i tempi e costi di un eventuale processo gestendo il rischio fiscale, il rischio cioè di essere soccombente in
un giudizio, ottenendo nella fase procedimentale un abbattimento delle sanzioni qualora il contribuente
rinunci appunto ad instaurare o a proseguire il contenzioso di fronte al giudice.

Possono essere suddividi in vari tipi:


Abbiamo degli istituti deflattivi attivabile prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, che sono la
cooperative compliance, il ravvedimento operoso, e possiamo inserire tra queste l’interpello , che consente
al contribuente di prevenire una eventuale lite con il fisco dovuto ad una divergente interpretazione di una
norma fiscale.

Abbiamo poi istituti deflattivi utilizzabili dopo l’emissione dell’atto di accertamento, autotutela,
acquiescienza (rinuncia al ricorso), accertamento con adesione e accertamento con invito,
reclamo/mediazione.

Abbiamo istituti deflattivi utilizzabili durante il processo, una volta che il contenzioso è già stato instaurato,
che è la conciliazione.

La prima modalità di deflazione del contenzioso è quella della cooperative compliance, con questa
espressione si intende una interlocuzione tra fisco e contribuente basata su collaborazione, trasparenza e
fiducia reciproca, su quei canoni che troviamo codificati all’articolo 10 dello statuto dei diritti del
contribuente, che ci dice che i rapporti tra contribuente e amministrazione sono improntati al principio
della collaborazione e della buona fede.
Attraverso il decreto legislativo 128 del 2015 è stato introdotto un meccanismo che consente a
contribuente e amministrazione finanziaria di divenire ad una determinazione della base imponibile del
contribuente, il più possibile concordata.

Com’è possibile che amministrazione e contribuente concordino sulla determinazione delle base imponibile
e quindi prevengano eventuali liti future in ordine a questa determinazione ?
Perché questo meccanismo invita e incentiva i contribuenti a fornire informazioni spontanee, complete e
tempestive all’agenzia delle entrate.
Attraverso questo regime, che è un regime opzionale, i soggetti dotati di un sistema di rilevazione, gestione
e controllo del rischio fiscale, ovvero il rischio di operare in violazione di norme fiscale o in contrasto con
principi derivanti dall’ordinamento fiscale, possono comunicare e cooperare con l’amministrazione
finanziaria al fine di valutare in modo congiunto tutte quelle situazioni suscettibili di generare un rischio
fiscale, quindi una divergente interpretazione da parte del contribuente e da parte dell’amministrazione.

I soggetti destinatari di questo strumento sono quindi evidentemente i contribuenti dotati di meccanismi e
di sistemi complessi in grado di garantire all’impresa un presidio costante sui rischi fiscali.
In particolare è previsto che con cadenza almeno annuale l’impresa invii una relazione agli organi di
gestione per l’esame e le valutazione relative alle potenziale situazioni di rischio fiscale.
Quindi solo quei soggetti che riescono ad avere al loro interno quei meccanismi che consentano una chiara
attribuzione di ruoli e responsabilità nell’ambito dell’attività di impresa, che abbiano strutturato delle
procedure per rilevare, misurare e controllare il rischio fiscale e chiaramente porvi rimedio, sono in grado di
accedere a questo tipo di strumento.

Effettivamente negli ultimi anni anche a seguito dell’introduzione di questo strumento, molte imprese si
sono dotate di meccanismi interni per la rilevazione e misurazione del rischio fiscale, meccanismi che
chiaramente sono differenti a seconda della specifica realtà economica nella quale opera l’impresa.
In sede di prima applicazione questo meccanismo è stato riservato a soggetti che per volume di affari e per
dimensione dei ricavi, soddisfacessero le soglie indicate nella slides.

84
Francesco Gruppelli
Un particolare accesso è riservato inoltre a quei soggetti che presentano istanza di interpello sui nuovi
investimenti.

Che cos’è chiamata a fare l’amministrazione finanziaria per un soggetto che opta per questo strumento ?
L’amministrazione è tenuta ad esaminare in modo preventivo le situazioni suscettibili dei rischi fiscali
significativi, è tenuta a rispondere alle richieste dei contribuenti e quindi a tutti i dubbi che le imprese
hanno rispetto alle operazioni che stanno per compiere, è tenuta a proporre quegli interventi e
interpretazioni che ritiene necessarie per eliminare il rischio fiscale interagendo in modo imparziale e
reattivo al fine di co-determinare e guidare l’azione di impresa ai fini della autotassazione del soggetto.
D’altro canto il contribuente se attiva questo strumento si rende disponibile ad ascoltare gli input
dell’agenzia delle entrate, a mantenere quindi un comportamento collaborativo e trasparente, a rispondere
a sua volta alle richieste informative che provengono agli uffici dell’agenzia delle entrate ed imprentare
tutta la cultura aziendale a quei principio di onestà, correttezza e rispetto della normativa tributaria che
ispirano questo particolare strumento deflattivo.

Un contribuente dovrebbe aderire a questo meccanismo deflattivo per i benefici previsti dalla legge, questi
benefici consistono nella valutazione comune di tutte quelle situazioni idonee a generare rischi fiscali
attraverso il dialogo con l’agenzia delle entrate.
Altro beneficio è la riduzione alla metà della sanzioni che l’amministrazione resta deputata ad irrogare nei
confronti del contribuente, con possibilità di godere della sospensione delle riscossione fino a quando
l’accertamento non risulta definitivo.
Altro beneficio è quello della procedura abbreviata dell’interpello preventivo, quindi se io faccio un
interpello preventivo l’amministrazione si impegna a rispondere ai miei quesiti entro 45 giorni e non entro i
90 previsti dall’articolo 11 dello statuto.
Nel caso io chieda un rimborso di imposta per il quale il meccanismo del rimborso prevede la prestazione di
una garanzia, il soggetto è esonerato dalla prestazione della garanzia per tutto il periodo di permanenza nel
regime di cooperative.

Poi c’è un effetto reputazionale perché i soggetti che aderiscono a questo regime e che dimostrano di voler
essere trasparenti e collaborativi con il fisco vengono pubblicati in un elenco sul sito dell’agenzia delle
entrate.

La procedura di adesione del regime non prevede particolari problemi, la domanda va inoltrata per via
telematica, e a seguito della presentazione di quesa domanda l’amministrazione verifica la sussistenza dei
requisiti di ammissione al regime, non tenendo in considerazione la perdita dei requisiti dimensionali se
questa perdita deriva da operazioni di aggregazione o disaggregazione aziendale infragruppo.

Il regime si applica a partire dal periodo di imposta nel corso del quale la domanda è trasmessa, si rinnova
tacitamente, si vieni invece esclusi qualora emergano dei rischi fiscali che il contribuente non ha
adeguatamente rappresentato all’agenzia delle entrate o nel caso in cui questi rischi fiscali siano ritenuti
rilevanti dall’agenzia stessa.

Oltre a questo, un secondo istituto deflattivo utilizzabile prima dell’emissione è il ravvedimento operoso,
disciplinato all’articolo 13 del decreto legislativo 472 del 1997, decreto che studieremo quando faremo le
sanzioni amministrative tributarie.

Il ravvedimento operoso è quell’istituto che consente all’autore della violazione o ai soggetti solidalmente
obbligati al pagamento del tributo di sanare in modo spontaneo secondo modalità e termini previsti dalla

85
Francesco Gruppelli
legge le omissioni o le irregolarità commesse in occasione della compilazione, presentazione della
dichiarazione o nel versamento delle somme dovute.

Si tratta di un istituto ideato nel 2014 che di fatto sostituisce tutta un’altra serie di istituti deflattivi oggi non
più attivabili.
Tra questi istituti abrogati c’era la adesione al pvc, prima dell’introduzione del ravvedimento operoso era
infatti possibile al contribuente aderire, ottenendo uno sconto sanzionatorio, ai rilievi indicati dai
verificatori nel processo verbale di constatazione. Oggi questa possibilità non è più esperibile.

Il ravvedimento operoso consistete nella adesione e regolarizzazione spontanea da parte del contribuente,
anche successivamente alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione.
Quindi se mi accorgo che il sede di dichiarazione ho indicato a mio favore un importo, posso regolarizzare la
mia situazione attraverso questo istituto e attraverso un beneficio in termini di sanzione applicabile.

Il presupposto che chiaramente non siano iniziate attività di controllo sostanziale, accessi, ispezioni e
verifiche e che tasto meno non mi sia già stato notificato un atto impositivo, questo perché il ravvedimento
deve essere spontaneo.
Nulla esclude che a seguito della presentazione della dichiarazione, il contribuente che si accorge di aver
indicato un importo a suo vantaggio e a svantaggi del fisco, presenti una dichiarazione integrativa con
contestuale ravvedimento, sanando quell’omissione o errore che determinano una minor gettito per
l’erario.

L’istituto della dichiarazione integrativa l’abbiamo già visto, articolo 2 comma 8 del dpr 322 del 1988
prevede che salva l’applicazione delle sanzioni, che vedremo applicate in forma ridotta, e ferma la
possibilità del ravvedimento, le dichiarazioni possono essere integrate per correggere errori e omissioni che
determinano una maggiore o minore base imponibile.
La dichiarazione integrativa però deve essere presentata entro i termini indicati dell’articolo 43 per la
decadenza del potere dell’ufficio dall’accertare le basi imponibili dei contribuenti.

Il pagamento e la regolarizzazione effettuati dal contribuente non limitano l’azione dell’agenzia delle
entrate che può iniziare o proseguire attività di controllo nei confronti di quel determinato contribuente.

Il contribuente dovrebbe ravvedersi e non attendere che l’agenzia delle entrate effettui i suoi controlli ed
eventualmente spicchi nei suoi confronti un avviso di accertamento perché ci sono dei benefici per il
contribuente che si ravvede, tanto ai fini amministrativi quanto ai fini penali.
Ai fini amministrativi abbiamo una riduzioni delle sanzioni, riduzione che comporta anche la non operatività
di istituti non applicabili nel caso di pluralità di violazioni come quelli del cumulo giuridico e la recidiva,
abbiamo la non applicazione delle sanzioni accessorie.
Dal punto di vista penale abbiamo, in alcuni casi, l’estinzione della fattispecie di reato, quindi il beneficio
goduto dal contribuente che si ravvede è importante e spiega la fortuna di questo istituto.

Il beneficio in termini di riduzione della sanzioni amministrativa è la regolarizzazione a seconda del


momento in cui interviene, comporta una diversa modulazione della riduzione della sanzione. (Slides
lezione 13.1 minuto 19:34)

Se regolarizzo la mia posizione entro 30 giorni dall’omesso effettuato godrò della riduzione della sanzione
ad 1/10 dell’importo minimo della sanzione.

Qualora invece tra la violazione e la regolarizzazione intervenga un periodo più lungo, ma comunque entro i
90 giorni dalla violazione, la riduzione è pari ad 1/9 del minimo.
È così via per gli altri periodi.

86
Francesco Gruppelli
Ai fini dell’applicazione di questi termini per gli omessi versamenti si deve tenere in considerazione il
momento in cui doveva essere effettuato i versamento, per le violazioni invece direttamente collegate alla
presentazione della dichiarazione, il termine è quello fissato dalla legge per la presentazione delle
dichiarazione stessa.

Tra gli istituti esperibili dopo la notifica dell’atto impositivo troviamo l’acquiescenza, disciplinata all’articolo
15 del decreto legislativo 218 del 1997.

L’acquiescenza non è altro che la rinuncia a proporre ricorso al giudice tributario.

L’acquiescenza si perfezione attraverso il versamento da parte del contribuente entro i termine di


presentazione del ricorso che coincide con i 60 giorni successivi alla notifica dell’atto impositivo della
misura del tributo, dei relativi interessi moratori e della sanzione della misura ridotta indicati nell’atto
impositivo.

Pago subito l’avviso di accertamento rinunciando a contestarlo di fronte al giudice innanzitutto per ragioni
di merito, perché ad esempio sono consapevole che l’accertamento effettuato dall’agenzia delle entrate è
corretto o che l’atto impositivo non reca un vizio procedimentale che mi consenta l’annullamento ottenibile
dal giudice, l’effetto favorevole che ottengo è il termini di riduzioni delle sanzioni, perché se faccio
acquiescenza la sanzione si riduce ad 1/3 dell’importo irrogato dall’avviso di accertamento.
Anche in questo caso non sarà applicabile la recidiva e non saranno applicabili le sanzioni accessorie, ci
sono poi degli effetti dal punto di vista penale perché se il debito tributario viene estinto integralmente
prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado di fronte al giudice penale, ottengo
una significativa riduzione delle pene irrogabili davanti al giudice.
È chiaro che se pago tutto e subito quanto mi viene indicato dall’ufficio dell’agenzia delle entrate nell’atto
impositivo questo rappresenta la situazione ideale per l’agenzia delle entrate perché manda subito a frutto,
ottiene subito il risultato della sua attività di controllo e di accertamento.
Ed è per questo che l’istinto dall’acquiescenza è stato molto sviluppato nel corso degli ultimi anni ed è stata
estesa, favorita la possibilità di ricorrere a questo istituto anche in relazione a fattispecie in passato escluse
dall’ambito applicativo.

Lezione 13.2

Tra gli istituti deflattivi c’è anche l’autotutela, che trova la fonte di disciplina in vari provvedimenti.
L’autotutela tributaria, cosi come l’istituto conosciuto dal diritto amministrativo, è lo strumento attraverso
il quale una pubblica amministrazione che constata l’esistenza di un vizio nel procedimento di emissione di
un determinato atto, interviene per annullare o revocare quell’atto appunto viziato dal punto di vista
procedimentale.

Abbiamo già detto che il potere dell’amministrazione finanziaria di rettificare la base imponibile dichiarata
da un contribuente deve avvenite attraverso la notifica di un solo atto per obbligazione tributaria e
abbiamo visto come questo principio di unicità subisca una deroga con la previsione dell’accertamento
integrativo, questo perché la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi può legittimare l’amministrazione
finanziaria a ritornare sulla rettifica già operata per incrementare la pretesa tributaria già portata a
conoscenza del contribuente.
Al di fuori di questa ipotesi, l’amministrazione può esercitare nuovamente il potere accertativo nei casi in
cui l’atto già emesso presenti un vizio di legittimità, quindi un vizio di forma o procedimentale, in questo
caso si parla proprio di annullamento.
Nel caso in cui dal punto di vista contenutistico l’atto impositivo già emesso risulti infondato si parla di
revoca.

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Francesco Gruppelli
In ambito tributario l’autotutela costituisce un potere e dovere dell’amministrazione finanziaria, mentre nel
diritto amministrativo la pubblica amministrazione gode di discrezionalità e quindi l’annullamento dell’atto
viziato o infondato deve trovare una giustificazione dalla sussistenza di un interesse dell’ammirazione
all’annullamento alla revoca, in diritto tributario non c’è discrezionalità da parte dell’amministrazione
finanziaria, non sono possibili valutazione di convenienza e quindi se l’agenzia delle entrate si avvede di un
vizio che inficia l’atto che ha già emesso non solo ha il potere ma anche il dovere di intervenire per
ripristinare la legalità assicurando trasparenza ed equità all’azione amministrativa.

Il procedimento di autotutela può essere attivato d’ufficio dall’agenzia delle entrate, può essere attivato dal
contribuente che ha ricevuto l’atto impositivo viziato, in questo caso però è bene sapere che l’autotutela
non sospende l’efficacia dell’atto impositivo e quindi il contribuente che presenta continua ad essere
soggetto all’onere di pagare il contenuto dell’avviso di accertamento e di presentare ricorso osservando
sempre il termine dei 60 giorni dalla notifica.
Oppure il procedimento di autotutela può essere attivato dal garante del contribuente, esso è una figura
disciplinata all’articolo 13 dello statuto dei diritti del contribuente, un organo monocratico scelto tra
categorie di soggetti particolarmente qualificate, tra cui magistrati, professori universitari, notai, dirigenti
dell’amministrazione finanziaria, che ha il compito di assistere il contribuente che lamenti disfunzioni,
irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale, ed è dotato di un potere di moral .. nei confronti
dell’amministrazione finanziaria.
Quindi il garante non ha poteri giuridici ma può sollecitare l’azione dell’amministrazione finanziaria ad agire
secondo diritto.

Il potere di autotutela può esercitarlo l’ufficio che ha emanato l’atto illegittimo o infondato, in caso di
inerzia da parte di questo ufficio sarà l’ufficio competente in senso gerarchico.

Può essere oggetto di autotutela qualsiasi tipo di provvedimento e quindi non solo gli atti impositivi ma
anche gli atti della riscossione, gli atti di diniego e evoluzioni fiscali richieste dal contribuente e gli atti di
diniego di rimborso.

L’autotutela può essere anche parziale, quindi l’ufficio può annullare non l’integrità dell’atto emesso ma
solo la parte viziata, e in questo caso la pretesa impositiva resterà valida per la parte dell’atto non travolta
dall’esercizio dell’autotutela.

Nel potere di autotutela è compreso non solo il potere caducatorio di annullare l’atto illegittimo o revocare
l’atto infondato, ma anche il potere di sostituire un atto impositivo e quindi non solo effettuare, realizzare
un effetto caducatorio o anche emanare un nuovo atto attraverso il quale viene corretto il vizio del primo
atto, questo a condizione che siano rispettati i termini di decadenza che abbiamo visto essere fissati
nell’articolo 43 del dpr 600 del 1973.

Le ragioni che possono determinare l’esercizio dell’autotutela, la previsione normativa non è tassativa ma
enuncia alcuni casi, questi casi sono il caso di errore di persona, qualora l’ufficio individui male il
contribuente destinatario dell’atto impositivo, il caso di errore logico o di calcolo, il caso di errore sul
presupposto del tributo, il caso di doppia imposizione, il caso in cui l’ufficio non abbia recepito un
pagamento nel frattempo effettuato dal contribuente, il caso inoltre di atto impositivo giustificato da un
assenza di documentazione a cui supplisce il contribuente sulla base della quale risulti evidente
l’illegittimità e l’infondatezza dell’azione di recupero dell’imponibile attuata dall’amministrazione
finanziaria e il caso in cui sussistano i requisiti per discipline tributarie di favore la cui spettanza in
precedenza è stata negata dall’ufficio dell’agenzia delle entrate e infine il caso di errore materiale compiuto
da parte del contribuente che sia facilmente riconoscibile dall’amministrazione finanziaria.

All’autotutela l’amministrazione può e deve procedere senza necessita di istanza di parte anche in
pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità dell’atto viziato.

88
Francesco Gruppelli
Il fatto quindi che l’atto sia già stato impugnato da parte del contribuente non preclude l’esercizio da parte
del potere e dovere dell’amministrazione di ritirare o annullare l’atto già portato a conoscenza del giudice.
Addirittura anche nel caso in cui il giudice si sia già pronunciato sulla legittimità dell’atto e abbia
pronunziarsi una sentenza favorevole all’amministrazione finanziaria, l’amministrazione che si accorge di un
vizio dell’atto pur confermato dal giudice, conserva il potere e dovere di annullare o ritritare quell’atto.

L’unico limite temporale rispetto a questo è rappresentato dal passaggio ingiudicato di una sentenza che
conferma la validità nel merito dell’atto impositivo, quindi se il giudice a seguito di ricorso promosso dal
contribuente conferma la legittimità dal punto di vista sostanziale della pretesa vantata dall’ufficio e
portata a conoscenza del contribuente attraverso la notifica di quello specifico atto e se questa sentenza è
passata ingiudicato e cioè non è più ulteriormente impugnabile da parte del contribuente, in questo caso
l’amministrazione che pure si accorge di un vizio successivamente al passaggio ingiudicato, non potrà più
ritirarlo.
La ratio di questo limite è evitare che l’amministrazione finanziaria si possa sostituire al sindacato del
giudice non più contestabile per le vie giurisdizionali.

Diverso è il caso in cui il giudice abbia dato ragione all’amministrazione finanziaria, ma sulla base di motivi
di ordine formale o sulla base di motivi diversi da quelli in base al quale l’amministrazione finanziaria
intende procedere all’annullamento o al ritiro dell’atto.
In questo caso il potere e dovere di autotutela resta pieno e resta esercitabile da parte dell’ufficio.

Nel caso in cui il contribuente abbia impugnato un atto impositivo e successivamente l’amministrazione
faccia autotutela il contribuente conserva la possibilità di utilizzare gli strumenti deflattivi in relazione a
quella parte dell’avviso che non è stato travolto dall’autotutela.

Una questione a se stante è quella rappresentata dal potere di impugnare il diniego di autotutela, qualora
cioè il contribuente porti all’attenzione dell’amministrazione finanziaria un atto viziato e l’amministrazione
finanziaria risponda nel senso di non esercitare il potere e dovere di autotutela ci si chiede se questo
diniego di autotutela sia impugnabile di fronte al giudice.
La giurisprudenza è orientato nel senso di negare la possibilità di ricorrere al giudice nel senso di richiedere
l’annullamento del diniego di autotutela perché i giudici della cassazione ritengono che sia sufficiente la
tutela prestata al contribuente attraverso l’impugnazione dell’atto impositivo.
Quindi se io voglio contestare una ripresa di imponibile ho l’onore di impugnare nei 60 giorni successivi
all’avviso di accertamento.
Non posso successivamente presentare istanza di autotutela e poi impugnare il diniego di autotutela,
perché attraverso questo meccanismo mi precostituirei una possibilità di tutela di fronte al giudice ulteriore
rispetto a quella che l’ordinamento mi metta a disposizione attraverso l’impugnazione dell’avviso di
accertamento dei 60 giorni. L’unica strada è impugnare nei 60 giorni, non posso impugnare il successivo
diniego di autotutela.

Un terzo istituto deflattivo che il contribuente ha a disposizione una volta che è stato notificato l’atto di
accertamento è l’accertamento con adesione, che trova la propria disciplina nel decreto legislativo 218 del
1997.
L’adesione è un momento di dialogo tra amministrazione e contribuente, momento che porta a ridiscutere
la posizione fiscale del contribuente e ha definire la rettifica della base imponibile in modo concordato.

Una volta cioè che l’amministrazione ha notificato una avviso di accertamento, su impulso dell’ufficio o del
contribuente si può aprire una fase anticipatoria rispetto alla scadenza del termine per proporre ricorso,
fase nella quale contribuente e amministrazione possono venirsi in contro per definire di comune accordo
l’ammontare della pretesa tributaria.

89
Francesco Gruppelli
Questo accordo può riguardare qualunque tipo di tributo e qualunque tipo di soggetto, l’adesione può
essere esperita tanto da contribuente e persone fisiche quanto da contribuente e persone giuridiche.
Può essere fatta in relazione a qualunque atto dell’amministrazione finanziaria.

Sono esclusi solo gli atti sanzionatori, gli atti cioè che attraverso i quali l’amministrazione non chiede un
maggior tributo ma si limita a sanzionare e sono esclusi dall’adesione anche gli esiti che derivano dalla
liquidazione automatica della dichiarazione e dal controllo formale tout court, che come abbiamo già visto
studiando gli articoli 36 bi e ter del dpr 600, gli esiti di questi controllo non costituiscono accertamenti in
senso tecnico.

L’accertamento con adesione può essere attivato tanto dall’ufficio che emette un invito a comparire al
contribuente quanto dal contribuente nel caso di accessi, ispezioni e verifiche o a seguito della notifica di
un avviso di accertamento non previamente preceduto ad un invito a comparire.
Quindi se non sono già stato invitato dall’amministrazione, ricevuto l’avviso di accertamento posso fare
istanza di accertamento con adesione.

Se faccio istanza di accertamento con adesione il termine di 60 giorni per impugnare l’atto impositivo viene
sospeso per un periodo di 90 giorni, per consentire proprio ad amministrazione e contribuente di
concordare la pretesa tributaria.
Una volta che ho presentato l’istanza entro 15 giorni devo essere convocato dal funzionario dell’agenzia
delle entrate e vedere se in quella sede o in incontri successivi si arriva ad un accordo.
Nel caso in cui non ci siano accordi riprenderà, finito il periodo di 90 giorni, a decorrere il termine per
proporre impugnazione e il contribuente mantiene quindi, a seguito del mancato accordo e della mancata
adesione con l’ufficio, la possibilità di esperire le vie giurisdizionali impugnando l’atto impositivo di fonte al
giudice tributario.
Nel caso invece in cui l’accordo sia raggiunto, amministrazione e contribuente redigono e firmano un
verbale, nel quale sono indicate le motivazioni di entrambe le parti, l’eventuale documentazione da parte
del contribuente è allegata, in questo verbale troviamo la liquidazione dei maggior tributi dovuti per effetto
della definizione.

Per il perfezionamento della adesione non è sufficiente la sottoscrizione dell’accordo con il fisco da parte
del contribuente perché l’adesione si perfeziona con il versamento delle somme risultati come dovute da
questo accordo, o nel caso il conchiuda il pagamento rateale con il versamento della prima rata.

Il contribuente dovrebbe adirare, rinunciando alla possibilità di presentare ricorso e chiedere


l’annullamento e ottenere l’annullamento integrale dell’avviso di accertamento, perché attraverso
l’accertamento con adesione elimina l’alea del processo tributario, i tributi vengono definiti in modo
concordato con l’ufficio dell’agenzia delle entrate e il contribuente non resta esposto all’incertezza che
l’esito processuale evidentemente comporta.

Inoltre a seguito della definizione le sanzioni risultano applicabili nella misura di 1/3 del minimo previsto
dalla legge e ci sono vantaggi dal punto di vista penale qualora in relazione a quella medesima fattispecie
oggetto dell’atto impositivo sia stato instaurato anche un processo dal punto di vista penale per evasione.

Il contribuente che aderisce sa che l’atto di adesione non è impugnabile, l’ufficio che aderisce sa che quella
determinazione condivisa con il contribuente non potrà essere integrata o modificata a meno che l’ufficio
non venga a conoscenza di nuovi elementi che consentano di accertare un reddito superiore al 50% di
quello definito dell’accordo e comunque non inferiore alla soglia di otre 77mila euro, a meno che la
definizione non riguardi accertamenti parziali, quindi che ex articolo 41 bis del dpr 600 fanno slava la
possibilità per l’ufficio accertatore di procedere ad ulteriori controlli e rettifiche della base imponibile e a
meno che la definizione riguardi redditi di partecipazioni in società di persone.

90
Francesco Gruppelli
Ulteriore incentivo e favorimento dell’adesione è stato realizzato attraverso l’introduzione dell’articolo 5
ter nell’ambito del decreto legislativo 218 del 1997.
Questa norma in vigore dal 1 luglio 2020 dice che l’ufficio al di fuori dei casi in cui sia stato rilasciato un pvc
prima di emettere un avviso di accertamento deve sempre notificare al contribuente l’invito a comparire,
deve sempre realizzare un contraddittorio, questo a meno che l’avviso di accertamento che
l’amministrazione sta per notificare non sia un accertamento parziale.

Al di fuori di questo caso per tutti gli avvisi di accertamento, gli avvisi di agenzia delle entrate è oggi
obbligata ad invitare a comparire il contribuente, questo a meno che in situazioni di particolare urgenza che
deve essere motivata o nelle ipotesi di fondato pericolo nella riscossione, l’ufficio decida di notificare subito
l’avviso di accertamento non preceduto dall’invito.

Se a seguito di questo invito il contribuente e l’amministrazione concordano sulla pretesa tributaria avremo
il verbale di adesione con la sottoscrizione del contribuente e il versamento della parte indicata
nell’accordo o della prima rata, in caso viceversa di mancata adesione, l’avviso di accertamento che
l’amministrazione notificherà deve essere specificamente motivato in relazione ai chiarimenti forniti e
documenti prodotti dal contribuente nel corso del contraddittorio.

Quindi nella parte nativa dell’avviso di accertamento noi dovremmo sempre trovare ciò che il contra
dedotto in sede di contraddittorio e le ragioni per le quali l’amministrazione finanziaria ritiene questi
chiarimenti insufficienti a smentire o mitigare la pretesa tributaria confezionata nell’atto impositivo.

Se l’amministrazione omette di attivare il contraddittorio, il 5 comma dell’articolo 5ter ci dice che l’avviso di
accertamento risulta invalido se a seguito di impugnazione da parte del contribuente davanti al giudice il
contribuente riesce a dimostrare che le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse
stato attivato erano idonee a portare l’amministrazione finanzia ad una riduzione o addirittura avrebbero
portato l’amministrazione a non emettere l’atto impositivo.
Quindi questa causa di annullamento della pretesa impositiva non scatta ex lege ma necessita di
dimostrazione.
Con riferimento al reclamo mediazione, l’istituto deflattivo che fa da cuscinetto tra la fase procedimentale e
la fase processuale e con riferimento alla conciliazione, ovvero all’istituto deflattivo utilizzabile nel corso del
giudizio di fronte al giudice tributario ne parleremo quando affronteremo la disciplina del processo
tributario.

Lezione 14.1

91
Francesco Gruppelli
Iniziamo la parte speciale del corso dedicata allo studio dei singoli tributi. Lo facciamo iniziando dai tributi
che caratterizzano il nostro sistema tributario, ovvero i tributi sui redditi

IRPEF
Caratterizza il nostro sistema tributario e lo caratterizza in un modo davvero innovativo rispetto alla
situazione che si aveva vigente nel regno d’Italia, perché durante quel periodo il sistema era caratterizzato
da due imposte reali e proporzionali e poi delle imposte minori.

Con la riforma Vanoni e successivamente con la riforma del 1973 il nostro sistema si caratterizza invece in
un modo molto più personale.
Questa caratterizzazione personale significa che viene posto al centro come soggetto aggregatore dei
crediti sottoposti a tassazione il contribuente, quindi il nostro sistema evolve verso un modello
personalistico.
Questa evoluzione è evidente nella riforma del 1973, che come ricorda la data a riguardato anche la fase
dell’accertamento e riscossione, posto che il dpr 600 e 602 sono entrambi del 1973.
Riforma che ha portato all’emanazione del dpr del 22 dicembre 1986 nuderemo 917 e da questo momento
in poi chiamiamo TUIR.
Il testo unico come noto designa non una legge ma una raccolta di disposizione che disciplinano una
determinata materia, quindi non abbiamo in ambito tributario un codice, una legge nel senso di codice
utilizzabile in ambito civilistico, ma abbiamo una mera raccolta, quindi un unificazione in un'unica sede di
disposizioni che prima trovavano la loro fonte in provvedimenti diversi.
Il TUIR ha la forma di decreto del presidente della repubblica perché fino al 1988 era questa la forma di
emanazione dei testi unici, dopo la promulgazione della legge 400 del 1988 i testi unici devono essere
emanati con decreto legislativo.
Nel TUIR noi troviamo la disciplina dell’Irpef e dell’ires

I caratteri dell’IRPEF
Innanzitutto è un imposta in senso tecnico, è un tributo erariale, il gettito arriva alle casse dell’erario
statale, è un imposta sul reddito che assume come indice di capacità produttiva il reddito, questo reddito è
il reddito globale, ovvero complessivo ovunque prodotto nel mondo dal soggetto passivo ed è anche
effettivo.

Come vedremo non tutti i redditi vanno calcolati sulla base dell’effettività della ricchezza prodotta e
percepita dal soggetto, ad esempio per i redditi derivanti da fabbricati.

Irpef è ispirata a quel principio di progressività che troviamo nel comma 2 dell’articolo 53 della costituzione,
progressività realizzata per scaglioni e quindi la platea dei contribuenti è suddivisa in insieme a seconda del
volume di reddito prodotto, l’aliquota non muta all’interno del singolo scaglione ma muta da uno scaglione
all’altro, e questo muta più che proporzionalmente, quindi progressivamente, da uno scaglione ad un altro.

Irpef è un imposta periodica perché l’obbligazione tributaria tassata su base irpef è un obbligazione che
viene calcolata determinando il presupposto di imposta che si realizza lungo tutto un arco di tempo.
Per le persone fisiche l’arco di tempo è realizzato con l’anno solare.

Irpef come tutti i tributi deve essere analizzata sulla base di determinati aspetti, il primo è quello del
presupposto di imposta, dell’ AN, quando scatta il tributo.
Rispetto a questo profilo la norma di riferimento è l’articolo 1 del TUIR che ci dice che il presupposto
dell’Irpef è il possesso di redditi in denaro o in natura riconducibili ad una delle categorie indicate dal
legislatore all’articolo 6.

Il secondo profilo di interesse è legato dal soggetto passivo che può essere una persona fisica residente ai
fini fiscali in Italia o non; in questo ultimo caso, posto che il soggetto non residente è tassato su base irpef

92
Francesco Gruppelli
solo per i redditi prodotti all’interno del territorio italiano, abbiamo necessita di individuare i criteri di
localizzazione dettati dal legislatore per determinare quale sia la base di commisurazione del irpef dovuta
dal soggetto non residente.

Dobbiamo poi per descrivere irpef determinarne la base imponibile e cui si deve fare riferimento a tutte
quelle regole che in considerazione della diversa qualificazione dei redditi prevedono modalità di
determinazione della base imponibile tra loro diverse, quindi è importante distinguere un reddito fondiario
da un reddito di impresa perché le modalità di determinazione della base imponibile di queste due fonti
produttive è assolutamente diversa e infine dobbiamo a considerare il periodo di imposta, la norma di
riferimento in questo caso è l’articolo 7 del TUIR e ci dice che irpef è dovuta per anni solare e a fronte di un
anno solare corrisponde un'unica e autonoma obbligazione tributaria.
Rispetto alla determinazione dell’obbligazione tributaria dobbiamo quindi andare a rintracciare nelle norme
fiscali quei criteri di imputazione temporale che ci dicono quando un reddito si considera prodotto per
appunto distinguere se quella ricchezza la dobbiamo a impaurare per il 2020 e quindi in relazione
all’obbligazione tributaria 2020 o in ipotesi nel 2019 o 2021, rispetto a questo ci servono criteri di
imputazione temporale.

Concetto di presupposto, l’an dell’Irpef


Articolo 1 ci dice che presupposto dell’Irpef è il possesso di redditi in denaro e natura rientranti nelle
categorie indicate nell’articolo 6 del TUIR.
Quindi il presupposto del tributo è costruito attraverso 3 elementi,
 elemento oggettivo, il reddito, irpef tassa il reddito come indice di capacità contributiva.
 elemento soggettivo, parla di persone fisiche
 elemento relazionale, la relazione tra la persona fisica e il reddito è individuata dal legislatore in termini
di possesso.

Che cosa si intende con possesso


Si ripresenta quel problema già anticipato quando abbiamo analizzato interpretazione delle disposizioni
fiscali, se attribuire al concetto di possesso lo stesso significato tecnico e giuridico attribuito dal legislatore
civilistico nell’ambito dell’articolo 1140 del codice civile, disposizione che ci definisce il possesso in termini
di potere sulla cosa che si manifesta in un attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro
diritto reale.
Situazione che deve sempre prevedere un elemento soggettivo e la detenzione materiale della cosa.
Il legislatore fiscale non ci aiuta a risolvere la problematica perché non da una definizione esplicita da
possesso e dobbiamo a quindi ricorrere all interpretazione sistematica, dobbiamo quindi andare a vedere e
a leggere le norme del TUIR per desumere quale nozione di possesso il legislatore del TUIR aveva in mente.
Andando a leggere le norme del TUIR relative ai redditi di lavoro autonomo, dipendente di capitali e diversi
ci rendiamo conto che la tassazione è ancorata dal legislatore rispetto al reddito quando questo reddito è
materialmente percepito.
Questo concetto di percezione è diverso dal concetto di possesso che noi ricaviamo dalla norma civilistica,
cosi come diverso è il concetto di possesso che dobbiamo abbinare ai redditi fondiari, perché dall’ambito
delle norme dei redditi fondiari il possesso è riferibile all’immobile inteso come fonte produttiva, non tanto
come reddito derivante dalla detenzione dell’immobile e così pure una nozione di possesso molto
particolare noi la ricaviamo dalle norme sul reddito di impresa perché studieremo che il reddito di impresa
è un’astrazione contabile rispetto alla quale non possiamo parlare di possesso negli stessi termini utilizzati
dal legislatore dell’articolo 1140 del codice civile.
Tutti questi esempi ci dicono che il concetto di possesso utilizzato dal legislatore fiscale nell’articolo 1 va
riferito non tanto alla nozione civilistica quanto alla titolarità giuridica della fonte.
Possesso non è altro che un escamotage lessicale utilizzato dal legislatore per individuare la relazione
giuridica qualificata tra il soggetto passivo e il cespite oggetto di tassazione.

93
Francesco Gruppelli
Che cos’è oggetto di tassazione
Oggetto di tassazione è il reddito, come dice il termine indica ciò che si ha, deriva dal latino redeo. Se
accogliamo invece l’etimo derivato da reddo che vuol dire ciò che si acquista.
In ogni caso reddito definisce la risultate delle variazioni incrementativa del patrimonio, una grandezza
dinamica, insieme delle situazioni giuridiche e soggettive a contenuto economico di cui è titolare un
soggetto in un dato momento.
Allorquando queste situazioni giuridiche soggettive subiscono un incremento.

Reddito a sua volta può subire varie accezioni, se inteso come spesa e consumo dobbiamo indicare come
reddito, e quindi tassare, la sommatoria dei consumi potenziali e delle variazioni nette del patrimonio e se
accogliamo questa accezione non possiamo assoggettare a tassazione il reddito risparmiato, posto che
appunto non si tratta di una ricchezza spesa o consumata.

Se viceversa accogliamo un’accezione di reddito come prodotto, andiamo a tassare solo quella ricchezza
che deriva da una fonte produttiva, sia essa continuativa o una tantum.

Se invece accogliamo l’eccezione di reddito come entrata andiamo a tassare sia i frutti del patrimonio sia le
attività del soggetto e quindi assoggettiamo a tassazione ad esempio anche le donazioni.

Infine se accogliamo invece una teoria nominalistica, indichiamo come reddito e tassiamo solo ciò che viene
definito tale espressamente dal legislatore.

Nel TUIR non abbaiamo una definizione di reddito, il legislatore non si è preoccupato di definirlo ma ha
definito i singoli redditi, ha definito cioè le singole categorie di reddito individuate nell’ambito dell’articolo
6 del TUIR, e questa definizione è stata fatta sulla base di fonti, la nozione accolta di reddito da parte del
legislatore del TUIR è l’accezione di reddito come prodotto.
Quindi costituisce novella ricchezza solo ciò che il contribuente riesce a mettere a frutto una volta dedotti i
costi e spese sostenute per raggiungere quel frutto.

Già da questa destinazione possiamo prevedere che assoggettate a tassazione saranno tutti i proventi
onerosi, cioè tutti i proventi che conseguono dalla titolarità e detenzione di una titolo giuridico e fonte.
Viceversa dobbiamo ritenere non tassabili i proventi gratuiti, come ad esempio le donazioni non
remunerative proprio perché in questo caso manca una fonte produttiva.

Se l’accezione di reddito come prodotto è l’accezione in termini generali sposata dal legislatore del TUIR,
non mancano all’interno del TUIR delle specifiche norme che possiamo leggere solo accogliendo una
nozione di reddito come entrata.

Ad esempio nell’ambito dei redditi di impresa il legislatore ci dice che sono tassabili gli incrementi
patrimoniali sotto forma di plus valenze e sopravvenienze anche se di origine gratuita.
Questa norma si spiega solo ammettendo che il legislatore abbiamo accolto in questo specifico caso
l’accezione di reddito come entrata.

Oppure nell’ambito dei redditi di lavoro dipendente, studieremo che sono anche tassabili le indennità di
disoccupazione e le borse di studio, quindi di nuovo delle ricchezze che non derivano da una fonte
produttiva, ma che determinano un entrata, una variazione del patrimonio.

Così pure nell’ambito dei redditi diversi vedremo che sono tassate le plusvalenze speculative e le vincite alle
lotterie, posto che il biglietto della lotteria non può essere considerato una fonte produttiva, ma determina
un entrata nel mio patrimonio, nel momento in cui quelle entrata è assoggettata a tassazione il legislatore
sicuramente non sta accogliendo una nozione di reddito come prodotto.

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Francesco Gruppelli
L’articolo 6 del TUIR ci specifica che costituisce reddito anche ciò che si acquista in sostituito di reddito e
quindi sono tassati proventi conseguenti in sostituzioni di redditi come risarcimento danni per la perdita di
quei redditi.
Se io perdo o vedo danneggiata una mia fonte produttiva e conseguo un indennità risarcitoria a fronte di
quella perdita, la parte di risarcimento sotto forma di lucro cessante, cioè quella parte di risarcimento che
va a ristabilire il reddito che io avrei potuto conseguire qualora quel danneggiamento e perdita non ci fosse
stata, costituisce reddito e va come tale tassato.
Viceversa la parte di risarcimento imputabile a danno emergente, andando a reintegrare la mera
diminuzione patrimoniale avrà una rilevanza esclusivamente patrimoniale e non reddituale e quindi la
partire di risarcimento imputabile a danno emergente non sarà tassabile.
Quindi anche quel risarcimento che io conseguo in sostituzione di un reddito andato perduto, costituisce
reddito in quanto deriva sempre da una fonte produttiva e come tale va tassato.

Più problematico è il problema relativa alla tassazione dei proventi da attività illecite.
Ci si chiede se costituisca reddito la vincita al gioco d’azzardo, appropriazione indebita e refurtiva del ladro.
Rispetto a ciò si sono fronteggiate due teorie: la prima nega la tassabilità perché i proventi derivanti da
attività illecite derivano da una fonte illecita e quindi sarebbe contraddittorio per l’ordinamento da un lato
qualificare come illecita quella attività e poi dall’altro lato pretendere la tassazione dei frutti legati e
derivanti da quell’attività.
Secondo invece una seconda teoria, è doverosa la tassazione dei proventi da attività illecite perché se
negassimo la tassazione arriveremmo all’effetto di prevedere un trattamento di vantaggio per chi pone in
essere attività illecite.

A queste due teorie la legge Gallo del 1993 ha dato risposta affermativa rispetto alla tassabilità perché ha
stabilito che i proventi derivanti da illecito civile e penale ed amministrativo sono imponibili a condizione
che da un lato siano riconducibili ad una delle categorie individuate dal legislatore all’articolo 6 del TUIR,
dall’altro i redditi non siano già stati tassati e non siano oggetto di confisca penale.
Quindi se il reddito è rimasto nella disponibilità del contribuente non c’è ragione per non tassarlo e questo
ci dice che un reddito può essere allo stesso tempo illecito e tassabile, nel momento in cui ci mettila
nell’ottica fiscale non dobbiamo assumere un approccio morale.

Posto che oggetto di tassazione è il reddito inteso quale novella ricchezza e quindi il frutto dell’attività del
contribuente al netto dei costi e delle spese sostenuti dal contribuente per raggiungere quel prodotto ci
aspetteremo che i costi e le spese riconducibili ad attività illecite siano come tutti i costi e le spese
deducibili.
In senso contrario invece ha stabilito il legislatore nel 2002 prevedendo l’indeducibilità dei costi e delle
spese e questo violando il principio di capacità contributiva, perché risultano in questo modo oggetto di
tassazione anche quei costi e quelle spese sostenuti per mettere a punto l’attività illecita.

Ulteriore evoluzione di questa problematica si è avuta nel 2006 quando il legislatore ha precisato che sia
proventi da attività illecita non sono riconducibili a nessuna di quelle categorie vanno comunque qualificati
come redditi diversi che hanno una valenza residuale e come tali vanno tassati.

95
Francesco Gruppelli
Lezione 14.2

Soggetti passavi nell’imposta sul reddito


Fondamentale distinzione tra i soggetti passivi è quella tra persone fisiche residenti e persone fisiche non
residenti.
La resistenza è quella ai fini fiscali, nozione di diritti sostanziale, non formale, perché l’essere residente o
non residente ci da una un informazione utile al calcolo della base imponibile, questo perché i soggetti
residenti vengono tassati su base irpef su tutti i redditi ovunque prodotti nel mondo, si segue cioè il cosi
detto World Wide principle, in base al quale se anche io non metto piede in italia e non produco reddito in
italia, l’intero complesso dei mei redditi è prodotto all’estero, se io soddisfo uno dei criteri per la residenza
fiscale io sarò soggetto ad imposizione anche da parte del fisco italiano.
Viceversa la persona fisica non resistente viene tassata su base irpef da parte dello stato italiano solo sui
redditi che si considerano prodotti entro i confini del territorio politico nazionale.

Per capire se il reddito si considera prodotto entro i confini del territorio nazionale dobbiamo andare a
leggere i criteri di collegamento fissati dell’articolo 23 del TUIR, che ci dice che le pensioni se corrisposte
dallo stato italiano si concederà o redditi prodotto dentro i confini nazionali e quindi se un soggetto non
residente in italia percepisce una pensione da parte dello stato italiano, quella persona fisica non residente
sarà tassata su base irpef solo su il reddito discendente da pensione.
Questo perché risulta integrato il criterio di localizzazione del reddito, cioè quindi un criterio di
collegamento territoriale tra la persona fisica non residente e il fisco italiano.
Questo criterio di collegamento è necessario perché se pur abbiamo studiato che sulla base del principio di
capacità contributiva tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche e quindi il principio universalistico
accolto dall’articolo 53 della costituzione consente allo stato italiano di poter avanzare una pretesa anche
nei confronti di soggetti non residenti in Italia.
Ai fini del principio di ragionevolezza codificato nell’articolo 3 della costituzione, la pretesa tributaria che lo
stato può avanzare nei confronti del soggetto non residente deve essere ragionevole e affinché sia
ragionevole è necessario che rispetto al soggetto passivo che non presenta alcun collegamento con il
territorio della stato italiano vi sia per lo meno un reddito prodotto all’interno del territorio italiano.

È importante quindi stabilire se il soggetto è residente o non residente ai fini in italia. Per capire ciò
dobbiamo leggere l’articolo 2 del TUIR, articolo modificato nel 2007, ci dice che ai fini della residenza fiscale
deve essere soddisfatto almeno uno dei tre criteri indicati dalla norma.
La norma dice che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior
parte del periodo di imposta sono iscritte nell’anagrafe della popolazione residente o hanno nel territorio
dello stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.

Quindi la norma è strutturata attraverso un criterio di ordine temporale, uno dei tre requisiti deve essere
soddisfatto per almeno la maggior parte del periodo di imposta, ed essendo il periodo di imposta
coincidente con l’anno solare per le persone fisiche, il termine temporale è pari a 183/184 giorni all’anno.
Se per 183/184 giorni io ho o l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione civile residente e quindi sono
iscritto all’anagrafe di un comune italiano, iscrizione all’anagrafe che non coincide con l’anagrafe tributaria.
La sussistenza di questo mero dato formale legittima il fisco a considerarmi residente ai fini fiscali in italia,
quindi se io decido di emigrare all’estero avrò l’onere per non essere più considerato residente ai fini fiscali
in italia di cancellarmi dall’anagrafe della popolazione civile residente ed eventualmente iscrivermi
nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero, aire.

Se ci fosse solo questo dato formale sarebbe facilmente elusa la nozione di residenza ai fini fiscali, ai fini
della tassazione su base irpef, ed è per questo che l’articolo 2 prevede due ulteriori criteri per determinare
la residenza, che sono la residenza civilistica, ovvero la dimora abituale e quindi se per più di 183/184 giorni
io dormo all’interno dei confini nazionali, acquisterò la residenza civile e quindi automaticamente la
residenza ai fini fiscali, quindi è molto più ampia della nozione di residenza ai sensi del codice civile.

96
Francesco Gruppelli
Terzo e ulteriore criterio è quello del domicilio civilistico, quindi il centro degli affari di natura patrimoniale
o degli interessi di natura personale.
Questo è un criterio molto più ampio rispetto al criterio della residenza civilistica in quanto si basa su una
res iuris, su una elezione, io posso eleggere domicilio e manifestare la volontà di localizzare i miei interessi
in un certo luogo anche se in quel luogo effettivamente io non ci metto piede, e quindi questo differenza il
domicilio civilistico dalla residenza civilistica che invece individua una res facti perché la residenza ai fini
civilistici va configurata nel luogo di dimora abituale e quindi richiede un accertamento di fatto rispetto alla
materialità del collegamento tra la persona fisica e quel determinato luogo.
Il dominio civilistico viceversa può essere eletto e può essere individuato anche nel luogo in cui si trovano
gli affetti del soggetto e quindi se tutta la mia attività è svolta all’estero, se io dimoro per tutto l’anno
all’estero ma in Italia ho la mia famiglia e in Italia i miei figli vanno a scuola, sulla base del criterio del
domicilio civilistico mi può essere impostato dall’amministrazione finanziaria l’esistenza di una residenza ai
fini fiscali in Italia con la conseguenza che il fisco sulla base di questo criterio potrà richiede e l’Irpef su tutti i
redditi ovunque prodotti nel mondo, ed è per questo che il criterio del domicilio civilistico è un criterio
molto importante e molto utilizzato dall’agenzia delle entrate per attrarre a tassazione in Italia sulla
globalità del reddito prodotto i soggetti che si dichiarano non residenti.

L’articolo 2 del TUIR poi prevede una norma specifica antielusiva, una norma che ha il fine di evitare che
l’utilizzo strumentale di questi criteri consenta ai soggetti di sfuggire all’imposizione sulla globalità dei
redditi prodotti in italia.
Il comma 2 bis dell’articolo 2 recita infatti che si considerano altresì residenti ai fini fiscali, salvo prova
contraria, presunzione relativa e sappiamo che le presunzioni assolute non sono ammesse, i cittadini italiani
che si siano cancellati dall’anagrafe della popolazione residente e si sono trasferiti in uno stato o in un
territorio a fiscalità privilegiata.
Quindi se io mi sono trasferito dall’Italia al principato di Montecarlo, in quanto cittadino italiano sono
soggetto a questo presunzione legale relativa.

La prova contraria per superare questa presunzione di residenza è particolarmente difficile da dare da parte
del contribuente, perché l’oggetto della prova che io devo dare al fisco per non essere considerato
residente ai fini fiscali in italia è la prova di non aver più alcun tipo di legame con il territorio italiano, ed è
per tanto che non mi basterà dimostrare al fisco che io pago le bollette della luce che io dimoro nel
principato di Montecarlo ma dovrò dare una prova molto più diabolica per il contribuente, ovvero la prova
di non aver più alcun legame con il territorio italiano e quindi dimostrare che sul territorio italiano io non
solo non dimoro più e quindi non è integrata la residenza civilistica ma non ho più alcun tipo di affare di
natura economico patrimoniale ne i miei affetti sono più localizzati all’interno del territorio italiano.
Solo fornendo tutte queste prove negative, molto difficili da dare, il contribuente potrà sfuggire a questa
presunzione legale presuntiva.

Rispetto ai soggetti passivi una norma fondamentale da ricordare è l’articolo 5 del TUIR che riguarda i
redditi prodotti in forma associata.
Dobbiamo distinguere rispetto a questa norma l’appartenenza di una persona fisica ad una società di
capitali o ad una società di persone.
Come è noto nelle società di capitali i soci rispondono dei debiti sociali nei limiti del conferimento e il
potere di amministrare è disgiunto dalla qualità di socio e la qualità di socio può essere liberamente
trasferibile.

Questo differenzia nettamente la figura del socio di una società di capitali dalla figura del socio nelle società
di persone, in cui c’è un minor distacco tra la persona fisica e l’entità giuridica.
Nelle societa di persone infatti i soci non sono soggetti solo alle regole sulla responsabilità illimitata di cui
godono i soci delle società di capitali ma rispondono dei debiti sociali e anche oltre il valore del
conferimento e generalmente i soci sono anche amministratori delle societa di persone.

97
Francesco Gruppelli
Questo maggior avvicinamento tra la persona fisica e quella giuridica ha portato il legislatore fiscale a
ritenere le società di persone come schermi trasparenti.
Le società di persone agli occhi del fisco non sono soggetti passivi perché il reddito prodotto attraverso le
società di persone viene imputato direttamente ai soci, proprio perché risalterebbe troppo complesso e
difficile se non addirittura impossibile disgiungere il reddito prodotto dal socio persona fisica dal reddito
prodotto dalla società di persone.

La norma specifica che l’impugnazione del reddito prodotto da persona giuridica al socio avviene
indipendentemente dalla percezione e proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili del socio.
Queste quote di partecipazioni agli utili si presumono proporzionate al valore dei conferimenti dei soci
salvo risulti diversamente stabilito nell’atto pubblico, nella scrittura privata autenticata costitutiva della
persona giuridica o comunque anteriore al periodo di imposta.
Se il valore dei conferimento non risulta determinato le quota si presumo uguali.

Quindi il reddito prodotto dalle società di persone viene suddiviso tra tutti i soci e imputato ai soci nello
stesso periodo in cui il reddito è prodotto dalla società, e a questo fine rileva la compagine sociale alla fine
del periodo di imposta.
Quindi essere socio di una società di persone comporta un’attenzione particolare perché se una società di
persone è composta da due soci e uno solo di loro amministra e percepisce gli utili questo non esonera
l’altro socio dal dichiarare la quota parte del reddito a lui imputabile proprio perché la norma dell’articolo 5
del TUIR ascrive la responsabilità fiscale per i debiti sociali indipendentemente dalla percezione in capo al
socio del reddito.

Come bisogna qualificare i redditi di partecipazione dei soci


Nell’ambito dell’articolo 6 non abbiamo una categoria tipica per questo tipo di situazione. Quindi possiamo
dire che il socio è una società commerciale o un imprenditore individuale il reddito di partecipazione lo
dobbiamo qualificare come reddito di impresa in virtù del principio di attrazione, di tutti i redditi prodotti
nell’ambito del reddito di impresa, se viceversa il socio è una società semplice, quindi un soggetto
ontologicamente non commerciale, o una persona fisica non imprenditore, il reddito non potrà essere
qualificato come reddito di impresa e dovremmo cercare di inquadrarlo all’interno delle altre categorie di
quell’articolo 6.

Un ulteriore figura che dobbiamo considerare nell’ambito dei soggetti passivi è l’impresa familiare, che
subisce dal punto di vista fiscale una caratterizzazione diversa da quella che leggiamo nell’articolo 230bis
del codice civile.
Ai sensi del codice civile l’impresa familiare sorge di fatto, se un familiare presta in modo continuativo la
sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento e partecipa agli utili
in proporzione la quantità e qualità del lavoro che presta.

Dal punto di vista fiscale il legislatore tributario non può accontentarsi di una situazione di fatto che può
essere difficile da rilevare e quindi richiede dei presupposti di natura formale perché se leggiamo all’articolo
5 comma 4 del TUIR troviamo scritto che ciascun familiare può prestare in modo continuativo e prevalente
la sua attività di lavoro nel impresa ma l’impresa familiare sorge a condizione che i familiari che partecipano
all’impresa risultino dal punto di vista nominale in un atto pubblico o in una scrittura privata autenticata
anteriore all’inizio del periodo di imposta, l’imprenditore che gestisce l’impresa familiare indiche le quote di
partecipazione agli utili che spettano ai vari familiari e ciascun familiare attesti nella propria dichiarazione
dei redditi di aver prestato la sua attività di lavoro nell’impresa in modo continuativo e prevalente.

Quindi l’impresa familiare rileva fiscalmente se prima dell’inizio del periodo di imposta c’è per lo meno un
atto pubblico o scrittura privata e autenticata che individua i familiari che hanno prestato la loro attività
all’interno dell’impresa.

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Francesco Gruppelli
Se queste condizioni formali sono soddisfatte l’effetto è che il reddito dell’impresa familiare viene
distribuito, al titolare dell’impresa è attribuito almeno il 51% del reddito prodotto dall’impresa familiare e
questo reddito va qualificato come redditi di impresa, viceversa i collaboratori familiari viene imputato una
quota di reddito complessivo prodotto dall’impresa e questa quota deve essere proporzionale al lavoro
effettivamente svolto da ciascun familiare.

Lezione 15.1

Una volta esaminati presupposto e soggetti passivi dell’Irpef, vediamo come va calcolata la base imponibile,
va calcolata sulla base di una serie di passaggi che sono quelli evidenziati nella slides.

Il punto di partenza è il calcolo della base imponibile lorda, rappresentato dalla sommatoria dei redditi
ovunque prodotti nel mondo, se il nostro soggetto passivo è una persona fisica residente ai fini fiscali in
italia o dai soli redditi prodotti all’interno del territorio nazionale se è una persona fisica non residente ai
fini fiscali in italia.
Questa sommatoria va fatta considerando tutti i redditi che il soggetto ha prodotto ovunque nel mondo o in
italia sulle singole regole di determinazione della base imponibile abbinate a ciascuna categoria di reddito.

Quindi ad esempio se la nostra persona fisica è residente in Italia che ha una casa in proprietà che
percepisce un reddito di lavoro dipendente e che percepisce anche dei dividenti derivanti dalla
partecipazione in una società di capitali, nel calcolo del lordo imponibile dovremo andare a vedere come
determinare la rendita fondiaria derivante dalla casa di proprietà del soggetto sulla base delle regole di
determinazione delle base imponibile tipiche dei redditi fondiari, dovremo poi andare a stimare il salario
prodotto dal lavoratore dipendente sulla base delle regole e dei redditi di lavoro dipendente e dovremo
infine andare a valutare il reddito derivante dal dividendo percepito sulla base delle regole dettate dalla
categoria di rediti di capitale.
A fronte della diversa qualificazione della fonte produttiva detenuta dal soggetto sono abbinate delle
specifiche regole per la determinazione di quel determinato reddito.

La somma di tutti i redditi prodotti costituisce la base imponibile lorda, a questa base imponibile lorda
dobbiamo sottrarre gli oneri deducibili, cioè indicati all’articolo 10 del TUIR, tenendo in considerazione
eventuali perdite se siamo di fronte ad un reddito di impresa.
La risultante di questa differenza algebrica ci da il cosiddetto imponibile netto, che rappresenta la base di
commisurazione e di calcolo dell’imposta lorda, per ottenere l’imposta lorda dobbiamo applicare le
aliquote, ovvero applicare i coefficienti individuati dall’articolo 11 del TUIR.

Come sappiamo irpef attua una progressività per scaglioni e quindi suddivide la platea dei contribuenti in 5
grandi insiemi. Ad ogni insieme è abbinata una determinata aliquota.
Il primo scaglione irpef coinvolge i contribuenti con un reddito compreso tra 0 e 15mila euro l’anno,
l’aliquota abbinata è quella del 23% che corrisponde nel caso di massimo reddito ad una tassazione di 3450
euro.
Il secondo scaglione invece comprende i redditi da 15mila a 28mila euro e l’aliquota riservata a questa
fascia è quella del 27%, quindi con una tassazione fino a 6960euro.
A partire da questo secondo scaglione in poi, e quindi in caso di reddito maggiore rispetto a quello con
aliquota base, si applica l’aliquota successiva solo per la parte eccedente di reddito.
Rispetto all’aliquota è importante ricordare che gli scaglioni sono 5, non è ovviamente necessario ricordare
i vari ammontare di reddito ne le aliquote. 23% e 27%, poi si passa a quella del 38%, 41% e infine 43%.

Sempre nell’ambito dell’articolo 11 del TUIR troviamo anche indicata la soglia di così detta ‘no tax area’,
quell’ammontare di reddito considerato come indispensabile per il soggetto passivo per mantenersi in vita
e che coma tale nel rispetto del principio del minimo vitale derivante dall’applicazione dell’articolo 53 della

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Francesco Gruppelli
costituzione letto in combinato disposto con l’articolo 36 della costituzione, determina l’esenzione totale
dalla imposizione sul reddito.

L’imposta lorda trovata applicando le aliquote all’imponibile netto non è ancora l’imposta dovuta perché il
successivo passaggio che dobbiamo compiere è quello di sottrarre dall’imposta lorda gli oneri detraibili.
Dall’imposta netta cosi ottenuta dobbiamo scomputare le ritenute, i crediti di imposta e gli acconti versati
in corso d’anno.
Questo passaggio finale ci porta all’individuazione dell’imposta effettivamente dovuta.

Questa struttura del calcolo dell’Irpef ci consente già di percepire una differenza sostanziale tra gli oneri
deducibili e gli oneri detraibili perché le deduzione costituiscono l’importo che il contribuente sottrae dal
proprio reddito allo scopo di ridurre la base imponibile, viceversa le detrazioni costituiscono degli importi
che il contribuente sottrae dal tributo dovuto.

L’onere deducibile quindi rileva prima che venga applicata l’aliquota marginale del contribuente che ha
prodotto il reddito, l’onore detraibile invece rileva una volta che l’aliquota marginale che è stata individuata
e applicata, e quindi la detrazione di imposta porta un beneficio identico a tutti i contribuenti.
È quindi importante qualificare un onere come deducibile o detraibile

Se infatti qualifichiamo l’onore come deducibile il vantaggio ritratto dal soggetto passivo lo dobbiamo
misurare in considerazione dell’aliquota marginale applicabile a quel soggetto.
Al contrario l’onere detraibile apporta un beneficio identico per tutti i contribuenti, indipendentemente dal
redito e aliquota.
Il beneficio marginale sarà maggiore per il contribuente che ha un reddito complessivo più basso.

Gli oneri deducibili e detraibili sono prefissati dal legislatore che sceglie se indicare una spesa l’intendo
dell’una o dell’altra categorie con le differenze in termini di gettito espressive delle scelte volte a favorire le
fasce più alte o più basse di reddito e trovano la loro fonte normativa in disposizione diverse, per quanto
riguardano gli oneri deducibili la norma di riferimento è l’articolo 10 del TUIR che appunto come detto
detassa la parte di reddito impiegata dal contribuente per determinate spese.
Queste spese sono spese sostenute dal soggetto in relazione alla sua situazione personale o familiare, sono
ad esempio le spese mediche, gli assegni al coniuge, i contribuenti a fondi pensione, tutte spese che
servono per personalizzare l’Irpef.
Come abbiamo detto l’Irpef è un imposta personale non solo perché i redditi si aggregano interno ad un
unico centro di interesse, la persona fisica, ma anche perché nel calcolo della base imponibile si tiene conto
della situazione personale o familiare del soggetto e si tiene conto proprio attraverso la rilevanza fiscale che
viene attrite unità a determinati costi e spese sostenute dal soggetto.
Oltre a personalizzare il tributo, la finalità degli oneri deducibili è anche quella di agevolare la destinazione
del reddito al soddisfacimento di interessi considerati meritevoli di rilevanza da parte del legislatore, ed è
per questo che se scorriamo l’elenco dell’articolo 10 troviamo anche l’erogazione liberali a favore di
università, centri di ricerca, chiese ecc e quindi a favore e impiegate per finalità considerate meritevoli da
parte del legislatore e che consento al contribuente di ridurre il suo imponibile netto.

Una terza ratio che possiamo scorgere in alcuni oneri elencati nell’articolo 10 riguarda la rilevanza che
attraverso l’inclusione dell’ambito dell’articolo 10 viene data quelle spese di produzione del reddito che
non sono deducibili sulla base delle regole di determinazione della base imponibile proprie di ciascuna
categoria di reddito.

Se guardiamo alle regole che determinano la base imponibile di ciascuna categoria di reddito non tutte le
spese di produzione di quella particolare categoria di reddito trovano rilevanza fiscale, non tutte le spese di
produzione ad esempio della categoria di redditi di impresa, vengono considerati deducibili all’interno delle
regole di determinazione del reddito di impresa, ad esempio le somme destinate a dipendenti chiamati ad

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Francesco Gruppelli
incarichi elettorali non sono considerate deducibili nell’ambito delle spese di lavoro sostenute
dall’imprenditore.
E allora l’aver annoverato queste spese all’interno dell’articolo 10 consente di dare rilevanza fiscale a
queste spese di produzione del reddito che non sono risultate rilevanti prima nel momento logicamente
anteriore e cioè nel momento in cui abbiamo calcolato la singola base imponibile di quella specifica
categoria di reddito.
Ad esempio a partire da un determinato reddito imponibile lordo, il contribuente si può dedurre non solo
l’acquisto di una carrozzina e quindi di un bene che acquistato in considerazione di una sua situazione
personale o familiare, ma anche una donazione ad un associazione e il contributo previdenziale
costituiscono oneri in grado di abbassare l’imponibile netto a cui poi andrà applicata l’aliquota marginale.

Disciplina degli oneri deducibili


Innanzitutto l’elenco degli oneri deducibili è un elenco tassativo, è consentita la rilevanza di queste
determinate spese e di questi costi solo se prevista dal legislatore, quindi non posso personalizzare la mia
irpef se quell’onore non è indicato nell’articolo 10 non posso abbassare il mio imponibile netto.

Il secondo principio è che la deduzione deve avvenire secondo il principio di cassa, rileva cioè il momento in
cui la spesa è stata effettivamente sostenuta, se ho sottoscritto un contratto per l’acquisto di un bene ma
l’esborso è avvenuto nel periodo di imposta successivo sarà solo in questo periodo di imposta che l’onore
potrà avere rilevanza fiscale.
La documentazione giustificativa dell’onere non deve essere allegata alla dichiarazione dei redditi ma il
contribuente è tenuto a conservarla e esibirla se ad esempio l’ufficio dell’agenzia delle entrate manda un
invito al contribuente per presentarsi ed esibire la documentazione o come sappiamo se a seguito di un
controllo 36 ter del dpr 600 viene chiesto conto al contribuente del perché è indicato un determinato onere
deducibile nell’ambito della sua dichiarazione.

Cosa succede se ho indicato nella mia dichiarazione un onere deducibile che effettivamente ho sostenuto
ma poi per ragioni varie sono stato rimborsato di quell’onore: ovviamente serve un meccanismo di
ripristino perché io ho goduto di una riduzione del mio imponibile netto rispetto ad una spesa che poi mi è
stata ristorata.
In questo caso la disciplina del TUIR prevede che la somma che mi è stata accredita ai fini del rimborso
dell’onere che ho sostenuto venga tassata attraverso il meccanismo della tassazione separata, e come
abbiamo già detto la tassazione separata prevede una deroga alla progressività perché l’onere oggetto di
tassazione separata viene fatto oggetto di un meccanismo sostitutivo che prevede un aliquota diversa
rispetto a quella marginale applicabile a quel contribuente.
La rendita della prima casa di abitazione non viene tassata su base irpef, perché questo particolare cespite
è indicato tra gli oneri deducibili e quindi sulla prima casa di abitazione noi non paghiamo irpef.

Disciplina degli oneri detraibili


Trovano invece la loro fonte di disciplina negli articoli dal 12 al 16 bis del TUIR.
Gli oneri detraibili seguono come detto un procedimento di rilevanza fiscale diverso rispetto agli oneri
deducibili, perché trovano rilevanza nel calcolo dell’Irpef solo una volta che l’aliquota marginale del
contribuente è stata applicata e quindi l’inclusione di una spesa all’interno degli oneri detraibili anziché
nell’elenco degli oneri deducibili favorisce dal punto di vista marginale i contribuenti con redditi più bassi.

La detrazione è consentita fino a capienza dell’imposta lorda quindi se non ho sufficiente capienza
nell’ambito dell’imposta lorda io perdo la possibilità di dare rilevanza fiscale a queste spese e questi costi.
Queste spese e costi che possono avere natura soggettiva o oggettiva, gli oneri soggettivi esattamente
come gli oneri deducibili servono per personalizzare il tributo e servono per riflettere la capacità
contributiva maggiore o minore del soggetto destinatario del pagamento e dell’obbligazione tributaria, ed è
per questo che all’articolo 12 del TUIR noi troviamo indicati tra gli oneri detraibili i carichi di famiglia, quindi
se non sono single ma ho a carico dei figli, l’aver a carico dei figli si riflette in una mia minor capacita di

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Francesco Gruppelli
concorrere alle spese pubbliche e questa situazione viene presa in considerazione dal legislatore all’interno
dell’articolo 12.

Le detrazione possono avere natura oggettiva ed è il caso di tutte quelle disposizioni che danno rilevanza in
modo forfettario alle spese di produzione del reddito ai fini della mitigazione del prelievo sui redditi di
ammontare ridotto e quindi per i lavoratori dipendenti e i pensionati, l’articolo 13 del TUIR consente di dare
rilevanza a dei costi e delle spese che non rilevano all’interno della categoria dei redditi di lavoro
dipendente.
Posto che a differenza dei lavoratori autonomi, i lavoratori dipendenti non hanno diritto alla rilevanza
fiscale delle spese che loro sostengono per produrre il loro reddito, ai fini del rispetto del principio del
minimo vitale di derivazione costituzionale, gli oneri detraibili consentono in questa fase della
determinazione del tributo di dare rilevanza delle spese che viceversa non rilevano nel momento in cui
andiamo a quantificare il reddito dei categoria, di lavoro dipendente che è tassato al lordo.
Sempre per mitigare il prelievo sui redditi di ammontare ridotto, il legislatore prevede la possibilità di
sottrarre dall’imposta lorda il 19% della spesa sostenuta, se questa spesa ad esempio è relativa a badanti,
una spesa per un funerale, un erogazione liberale, i canoni per la locazione per gli studenti universitari fuori
sede, i canoni per l’acquisto della prima casa e le spese per abbonamenti di viaggio, tutta una serie di costi
la cui rilevanza fiscale sotto forma di oneri detraibili evidentemente favoriscono quei soggetti titolari dei
redditi più bassi.
Anche in questo caso come rispetto agli oneri deducibili non è necessario ricordare l’elenco indicato in tutte
queste norme, è sufficiente memorizzare quelle che sono le finalità e ragioni che distinguono gli oneri
deducibili dagli oneri detraibili.

Lezione 15.2

Una volta individuati gli oneri detraibili e sottratti dall’imposta lorda otteniamo l’imposta netta, ulteriore
passaggio è quello al fine di individuare l’imposta effettivamente dovuta.
Quest’ultimo passaggio ci pone di dare rilevanza ai versamenti in acconto effettuati dal contribuente nel
corso del periodo di imposta prima che si perfezioni il presupposto di imposta, alle ritenute subite dal
soggetto a titolo di acconto, non alle ritenute a titolo di imposta perché quelle derogano sia in senso
soggettivo sia in senso oggettivo al principio di progressività e non vanno quindi annoverate nel calcolo
dell’Irpef, e dobbiamo dare rilievo ai crediti di imposta.

Crediti di imposta che come abbiamo detto costituiscono delle somme che il contribuente vanta nei
confronti del fisco. Possono essere attributi per motivi di tecnica tributaria e in particolare per porre
rimedio al fenomeno della doppia imposizione internazionale.
Se io ho percepito un reddito di fonte estera o se io ho prodotto il reddito all’estero io molto probabilmente
su quel reddito sarò soggetto ad imposizione sia all’estero sia in italia se sono residente ai fini fiscali.
Per evitare che su quell’unica ricchezza io paghi le imposte due volte, una volta nei confronti del fisco dello
statuto estero e un’altra volta nei confronti del fisco italiano, il fisco italiano mi attribuisce un credito per le
imposte assolte all’estero.

Questo credito però è utilizzabile solo a compensazione del debito di imposta e quindi se c’è un eccedenza
io non ho diritto al rimborso, quindi significa che se su quel reddito prodotto all’estero, io ho pagato un
tributo più elevato di quello dovuto in italia, il credito che mi attribuisce il fisco italiano non sarà pari
all’imposta che io effettivamente ho assolto all’estero ma sarà pari solo all’imposta applicabile in italia
qualora quel reddito fosse stato prodotto in italia e non all’estero.

Il credito è attribuito in misura limitata, non superiore all’imposta dovuta in Italia sul reddito prodotto
all’estero e questo significa che il credito per le imposte estere equivale ad una detrazione, funziona come
funzionano gli oneri detraibili.

102
Francesco Gruppelli
Crediti di imposta inoltre vengono previsti dal nostro sistema per ragioni extra fiscali per favorire
determinate attività e quindi viene utilizzata la leva fiscale per dare dei finanziamenti a determinati soggetti
che svolgono attività ritenute meritevoli di tutela da parte del legislatore fiscale.

Una volta che dall’imposta netta io ho dettato i crediti di imposta, i versamenti di acconto e le ritenute
subite a titolo di acconto, trovo l’imposta effettivamente dovuta, che costituisce la somma che io devo
versare e il versamento va effettuato prima di dichiarare, anticipatamente rispetto al momento della
dichiarazione.
Abbiamo già visto che se l’importo versato non corrisponde all’importo dichiarato, questo fa scattare il
controllo automatico ex articolo 36 bis del 1973.
Se l’ammontare dei criceti di imposta, dei versamenti ad acconto, delle ritenute subite a titolo di acconto è
superiore rispetto all’imposta netta, la risultante di questa differenza algebrica sarà un credito a favore del
contribuente.

In sede di dichiarazione abbiamo già visto che il contribuente questo credito può scegliere se chiederlo a
rimborso, e quindi non serve un istanza di rimborso perché lo specifico già in sede di dichiarazione, oppure
lo posso compensare con un debito tributario futuro, questo prende il nome di riporto a nuovo, posso
scomputare il credito che ho maturato oggi rispetto ai debiti di imposta che sorgeranno per i periodi di
imposta futuri.
Una terza ed ulteriore possibilità a cui abbiamo fatto cenno è la possibilità di cedere il credito, io posso
cedere il credito ex articolo 1260 del codice civile, affinché la cessione sia efficace nei confronti del fisco, la
cessione deve essere stipulata con atto pubblico o scrittura privata autentica e deve essere notificata
all’ente pubblico a cui spetta effettuare il pagamento, che dovrà essere effettuato non nei confronti del
soggetto che ha maturato il diritto di credito ma nei confronti del cessionario.

Periodo di imposta
Irpef è un imposta periodica non perché si applica in modo continuativo ma perché il presupposto di
imposta è delimitato temporalmente, in particolare abbiamo detto che irpef colpisce quell’insieme di fatti
della vita che si verificano in un dato periodo, fatti della vita che ovviamente devono avere una rilevanza
giuridica, devono essere cioè stati selezionati dal legislatore come fatti generatori dell’obbligo tributario.
Questo significa che il reddito prodotto dal soggetto noi lo dobbiamo riferire ad un particolare arco
temporale predeterminato dalla legge rispetto al quale ne dobbiamo misurare la dimensione, questo arco
temporale è individuato dall’ articolo 7 dei TUIR che ci dice che il periodo di riferimento delle persone
fisiche è l’anno solare.
Questo significa che per ogni anno solare noi avremo una e una sola obbligazione tributaria.
Quindi vale un principio di autonomia dell’obbligazione tributaria per anno di imposta.

Aver delimitato dal punto di vista temporale il presupposto di imposta però ci porta ad un nuovo problema,
quello di imputare dal punto di vista temporale il reddito prodotto dal soggetto ad un anno solare piuttosto
che ad un altro e questo richiede chiaramente delle regole.
Il legislatore fiscale ci deve guidare per stabilire se il reddito prodotto dal soggetto vada ascritto ad un
periodo di imposta o vada scritto ad un periodo di imposta immediatamente precedente o successivo.
Queste regole le rintracciamo nelle regole dettate dal legislatore per le diverse categorie di imposta, per
ogni categoria reddituale vengono dettate delle regole di imposizione temporale.
Queste regole impediscono al soggetto passivo di dare rilevanza fiscale ad un fatto e presupposto di
imposta a suo piacimento, il soggetto passivo non ha la possibilità di scegliere rispetto a quel periodo di
imposta dare rilevanza fiscale a quel fatto.

Questa regola subisce però almeno due deroghe, la prima riguarda la possibilità di riportare le perdite che
derivano da imprese commerciali o dalla partecipazione in società in nome collettivo o a societa in
accomandita semplice.

103
Francesco Gruppelli
Se abbiamo di fronte uno di questi soggetti che per un periodo di imposta hanno realizzati una perdita,
questa perdita scelta da soggetto può essere utilizzata per diminuire il reddito conseguito nei periodi di
imposta successivi con il limite del quinto anno e con ulteriore limite rappresentato dalla capienza che di
anno in anno è possibile dare a quella perdita.
Se nell’anno 1 la mia impresa commerciale è in perdita, questa perdita può essere portata a nuova negli
anni successivi fino al quinto, andando a diminuire i redditi prodotti negli anni futuri, ma la rilevanza fiscale
della perdita può essere data solo se negli anni futuri io avrò un reddito.
Se non ho un reddito capiente perderò la possibilità di far valere dal punto di vista fiscale qual perdita.

L’altra deroga al principio che da rilevanza solo a quello che succede in quel determinato periodo di
imposta è rappresentato dalla facoltà concessa al contribuente di detrarre l’eccedenza dell’imposta versta
nei periodi precedenti.
E quindi il saldo a credito risultante da dichiarazione, a scelta del contribuente può essere riportato a nuovo
scomputando tale credito dai successivi debiti di imposta attraverso il meccanismo della compensazione,
con il debito che sorgerà in futuro.

Ai fini irpef, e ce lo dice l’articolo 1 del TUIR, rilevano solo quei redditi qualificabili all’interno delle categorie
fisaste dell’articolo 6, che suddivide il reddito prodotto dal soggetto nelle diverse qualificazioni dei redditi
fondiari, di capitale, di lavoro autonomo, di lavoro dipendente, d’impresa e diversi.

Abbiamo già detto che a ciascuna di queste categorie corrispondono regole di determinazione della base
imponibile diversa, abbiamo delle regole che quantificano dal punto di vista dimensionale il reddito in
modo diverso, delle regole di imputazione a periodo diverse, e anche delle regole contabili diverse, ci sono
obblighi dichiarativi, metodi di accertamento, regole sulle ritenute alla fonte assolutamente diverse a
seconda delle varie categorie di reddito.
Collocare un reddito all’interno di una categoria o nell’altra quindi determina un cambiamento del regime
giuridico di quel reddito.

La collocazione del reddito varia non solo in considerazione della natura di quel reddito e delle definizione
di quel reddito che ci viene fornita dal legislatore ma anche in considerazione della modalità di produzione
del reddito.
Ad esempio se un reddito è prodotto in modo occasionale, quel reddito potrebbe essere qualificato come
reddito diverso, viceversa se quello stesso reddito è prodotto in modo continuativo, sicuramente la
qualificazione corretta non sarà in termini di reddito diverso ma dovremo fare riferimento ai redditi di
impresa o ai redditi di lavoro autonomo.

Poiché l’articolo 1 parla di reddito in denaro o in natura, dobbiamo considerare anche il fatto che il soggetto
può aver prodotto un reddito monetario e quindi un frutto già espresso in un valore rispetto al quale noi
riusciamo ad attribuire un numero certo, se il reddito viceversa è in natura, ovvero reddito sotto forma di
beni o servizi, dobbiamo monetizzare questo reddito.
Per monetizzarlo dobbiamo fare riferimento all’articolo 9 del TUIR che ci dice che dobbiamo a prendere in
considerazione il così detto valore normale, che si intende il prezzo o il corrispettivo mediamente praticato
per i beni e servizi della stessa specie o similari in condizioni idi libera concorrenza e al medesimo stadio di
commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni e servizi sono stati acquisiti o prestati o in
mancanza nel tempo e nel luogo più prossimi.
Si può fare riferimento a tariffe destino, listini, mercuriali, tariffe professionali e così via.
Questa definizione di valore normale che noi troviamo nell’articolo 9 del TUIR esprime quel principio ‘res
tantum valet quantum vendi potest’.
Un bene o un servizio cioè ha il valore che quel bene o servizio hanno nel mercato.

Rispetto a ciascuna categoria di reddito dobbiamo applicare un principio di unicità, ci dice che nel reddito di
categorie confluiscono tutti i proventi riconducibili alla medesima categoria e quindi noi avremo un unico

104
Francesco Gruppelli
ammontare di reddito per ciascuna categoria di reddito se il soggetto produce redditi qualificabili secondo
tutte le categorie, quindi in modo indipendente dal numero di cespiti produttivi del reddito noi alla fine di
ogni categoria di reddito dobbiamo trovare un unico e solo ammontare.
Se per esempio una persona fisica, e abbiamo già detto che attorno alla persona fisica vanno aggregati tutti
i redditi prodotti, possiede 4 appartamenti e 2 attività commerciali, a prescindere dal numero di cespiti
produttivi, alla fine dobbiamo sempre individuare una e una sola determinazione dei redditi fondiari
prodotti dal soggetto che discendo dai 4 appartamenti posseduti, e una e una sola determinazione del
redito di impresa, anche se i cespiti produttivi derivano da 2 attività commerciali.

Abbiamo già detto che la classificazione dei redditi nelle varie categorie dipende dalla natura oggettiva del
provento e questa natura oggettiva ci viene specificata e dettagliata dal legislatore che per ciascuna
categoria prevede una definizione normativa di reddito, e quindi troviamo definito che cos’è un reddito
fondiario, che cos’è il reddito di impresa, che cos’è il reddito di lavoro dipendente e così via.
Rispetto però ha questa regola noi dobbiamo considerare che c’è un eccezione, rappresentata dal principio
di attrazione del reddito di impresa.
Questo principio di attrazione ci dice che il reddito percepito nell’esercizio di attività commerciali va sempre
qualificato come reddito di impresa, a prescindere dalla natura oggettiva del provento.

Quindi se siamo di fronte ad una società commerciale di persone o di capitali, un soggetto che svolge
istituzionalmente attività di impresa, qui non dobbiamo farci nessun problema di qualificazione del reddito
perché tutto quello che è ascrivibile alla società commerciale va sempre qualificato in termini di reddito di
impresa.

Abbiamo un problema qualificatorio per le persone fisiche e per gli enti non commerciali, la persona fisica
infatti può essere imprenditore o non imprenditore, se il reddito è prodotto dalla persona fisica nella sua
veste di imprenditore quel reddito andrà qualificato come reddito di impresa, se quel reddito è prodotto
dalla persona fisica nella sua veste di non imprenditore dovremmo qualificare il reddito sulla base delle
altre categorie indicate dell’articolo 6 del TUIR.

Così pure un problema ce l’abbiamo per gli enti non commerciali, cioè quegli enti che istituzionalmente non
svolgono un attività di impresa, poiché gli enti non commerciali possono in via secondaria non principale
svolgere attività di impresa, per gli enti non commerciali noi possiamo avere una delle categorie di reddito
di cui all’articolo 6 esclusi evidentemente i redditi di lavoro dipendente ed autonomo, e possiamo avere se
l’ente non commerciale svolge in via secondaria un attività di impresa una fonte produttiva di reddito da
qualificare come reddito di impresa.
Se non siamo di fronte ad una attività di impresa e non dobbiamo dare applicazione a questo principio di
attrazione del reddito di impresa, i redditi e le perdite che concorrono a formare il reddito complessivo,
vanno determinati in modo distinto per ciascuna categoria, secondo le disposizioni previste dal legislatore
per ciascuna categoria in base al risultato complessivo netto di tutti i cespiti che rientrano in quella
determinata categoria.

105
Francesco Gruppelli
Lezione 16.1

Analisi delle singole categorie di reddito.


Seguendo l’ordine indicato all’articolo 6 del TUIR affrontiamo i redditi fondiari.

Prima categoria di reddito, Redditi fondiari


Per quanto riguarda i redditi fondiari la norma di riferimento è articolo 25 del TUIR, leggiamo che sono
redditi fondiari quelli inerenti a terreni e fabbricati qualora abbiano queste due caratteristiche, siano situati
nel territorio dello stato e siano e debbano essere iscritti a catasto.
Significa che non rientrano nella definizione legislativa i redditi relativi ad immobili situati all’estero e anche
i redditi relativi a fabbricati e terreni che non devono essere iscritti a catasto, come spiagge, lastrici solari.
Queste fonti produttive e di reddito vanno qualificate alla stregua di redditi diversi, categoria residuale.

Secondo comma articolo 25 ci dice che i redditi fondiari vanno distinti nelle tre sotto categorie dei redditi
dominicali dei terreni, redditi agrari, redditi dei fabbricati.
Il reddito dei terreni si distingue quindi in reddito dominicale e agrario.

Il reddito dominicale a sua volta può essere distinto nelle due situazioni che riguardano la remunerazione
della proprietà del fondo, ovvero quella parte di rendita che remunera la terra nel sua stato naturale e
questa parte del reddito dominicale va distinta alla parte relativa ai capitali investiti nel terreno quindi al
capitale di miglioramento che il soggetto passivo investe nel terreno.

Concorrono a formare il reddito complessivo del soggetto passivo i terreni che sono posseduti, concetto di
possesso che troviamo all’articolo 1 del TUIR pere individuare il presupposto dell’Irpef.
Il concetto di possesso lo dobbiamo riferire al terreno e lo decliniamo nel senso di imputare la ricchezza al
soggetto passivo che ha la proprietà o esercita altro diritto reale su quel terreno.

Il reddito del terreno che invece rientra nella sotto categoria dei redditi agrari lo dobbiamo ulteriormente
differenziare rispetto alla quota parte di reddito relativa al capitale di esercizio, quindi a ciò che viene
investito dall’agricoltore per svolgere l’attività agricola e questa parte va distinta dal lavoro, quindi il reddito
agrario remunera non solo il capitale di esercizio ma anche il lavoro speso dal soggetto passivo nel terreno
ai fini della produzione agricola.

I redditi dei fabbricati vanno imputati al proprietario del fabbricato o al soggetto titolare di altro diritto,
diritto reale di godimento su quei fabbricati. Nel caso di usufrutto su quel fabbricato, soggetto passivo
dell’Irpef calcolata sui redditi dei fabbricati sarà l’usufruttuario

I redditi fondiari presentano due caratteristiche fondamentali:

La prima è che l’emersione di questo reddito è legata alla mera titolarità dell’immobile, quindi la tassazione
dei redditi fondiari prescinde dall’effettiva produzione o percezione di un reddito, quindi il soggetto passivo
è tassato anche se il fabbricato non è effettivamente abitato e si ha tassazione anche rispetto al terreno
anche nel caso in cui questo terreno non sia sottoposto a coltura, quindi non dia un frutto.

La seconda è la determinazione di questi redditi che avviene sulla base dei dati risultanti dal catasto.

La prima caratteristica trova esplicitazione nell’articolo 26 del TUIR, che dice che i redditi fondiari
concorrono alla formazione del coacervo lordo imponibile che abbiamo detto essere il punto di partenza

106
Francesco Gruppelli
per calcolare irpef indipendente dalla percezione, e questo contrasta con il principio di effettività della
capacità contributiva.
La questione è stata risolta dalla corte costituzionale con una sentenza che ha affermato la legittimità
costituzionale della tassazione dei redditi fondiari perché posto che la terra, i fabbricati che insistono sulla
terra rappresenta la ricchezza principale dello stato italiano, il prevede comunque una tassazione a carico
dei soggetti che hanno la proprietà o esercitano altro diritto reale su quella terra.
Spinge questi soggetti a mettere a frutto la terra rispetto alla quale detengono un diritto reale e quindi
nell’interesse generale dello sfruttamento economico e della risorsa principale del nostro stato si giustifica
una deroga a quel principio di effettività della capacità contributiva e quindi si ritiene tassabile anche chi
non percepisce un frutto.

Inoltre se l’agricoltore documenta un evento eccezionale che non gli ha consentito di mettere a frutto il
terreno e di riceverne un reddito è possibile una riduzione della tassazione ordinariamente applicabile ai
detentori di quel tipo di fondo, quindi il sistema prevede anche dei meccanismi di riequilibrio che sono
orientati a salvaguardare il principio di effettività della capacità contributiva.

La seconda caratteristica è il fatto che i redditi fondiari vanno determinati su base catastale, il catasto
fornisce la misura del reddito imponibile e il reddito risaltate dall’applicazione delle risultanze catastali è un
reddito che va definito come medio ordinario.
È un reddito medio perché calcolato per cicli produttivi quindi è un reddito che tiene in considerazione il
fatto che le culture sono soggetto a rotazione e tiene in considerazione gli eventi naturali che incidono sulla
produttività del fondo ed è ordinario perché il reddito ottenuto da un coltivatore di capacita normale che
applica le tecniche produttive generalmente adottate in quella zona in cui si trova il fondo.

La corte costituzionale a ritenuto legittima la tassazione media ordinaria, tassazione che prescinde dal
rispetto di quel corollario di effettività della capacità contributiva perché se io so che comunque sarò
tassato per quella misura rispetto al fondo di cui ho possesso, sarò incentivato ad utilizzare in modo
intensivo il fondo perché la quota parte del frutto che supera quello ritraibile dal coltivatore di capacità
normale so che sarà esentato da tassazione.

Il procedimento di attribuzione della rendita al cespite immobiliare passa attraverso la formazione delle
tariffe d’estimo. Le tariffe d’estimo catastali accertano la redditività media delle unità culturali o dei
fabbricati considerando le specifiche caratteristiche individuate per gruppi omogenei e per categorie di beni
individuando dei coefficienti applicabili alle singole particelle dei terreni o alle singole unità immobiliari.
La rendita quindi di un terreno o di un fabbricato verra calcolata moltiplicando la dimensione del bene per
la tariffa d’estimo unitaria predeterminata dal legislatore per quella particella di terreno o per quella
determinata unità immobiliare.

Attraverso il catasto dei terreni viene inventariata tutta la proprietà terriera del territorio dello stato, viene
suddivisa in particelle intendendo per particelle delle porzioni contigue di terreno appartenenti allo stesso
possessore e avente la medesima quantità e classe di coltivazione.
Allo stesso modo attraverso il catasto urbano viene inventariata la proprietà immobiliare esistente nei
comuni del territorio italiano, in questo caso l’unità elementale sarà costituita non dalla particella ma dalla
unità immobiliare che viene classificata per categorie e classi.

Per ciascuna zona censita viene rilevato quali sono le proprietà e quali sono le particelle, in particolare i
terreni vengono suddivisi per qualità, che individua la destinazione culturale a cui è soggetto quel
determinato fondo e rispetto ad ogni qualità vi sono delle classi di merito, quindi attribuito un punteggio a
seconda della produttività di quel determinato fondo.
Viceversa i fabbricati sono suddivisi per categorie, a seconda delle caratteristiche strutturali e della
destinazione d’uso dei fabbricati quindi abbiamo la differenziazione dei fabbricati destinati a residenza,
edifici collettivi, edifici commerciali e ciascuna categoria.

107
Francesco Gruppelli
C’è poi un ulteriore suddivisione in classi di merito sulla base delle caratteristiche estrinseche dei fabbricati.

A ciascuna qualità e classe di terreno, cosi come ciascuna categoria e classe di fabbricato viene attribuito un
coefficiente di produttività e redditività che costituisce la mia tariffa d’estimo, quindi se io possiedo un
terreno adibito a cultura dovrò individuare la qualità e classe di quel terreno calcolata dal catasto e per
individuare la rendita totale dovrò moltiplicare la dimensione del mio fondo per la tariffa unitaria
individuata dal catasto dei terreni.
Allo stesso modo dovrò procedere se sono possessore di un fabbricato, dovrò individuare la categoria e la
classe del mio fabbricato e per individuare la rendita totale moltiplicherò i metri quadri del mio fabbricato
per la tariffa unitaria individuata dal catasto dei fabbricati.

Possiamo dire che il sistema di determinazione del reddito fondiario è un sistema presuntivo perché viene
calcolata la redditività di un fondo di un terreno per comparazione, guardando cioè alle caratteristiche
intrinseche ed estrinseche di quel determinato bene andando a vedere a quale sottoinsieme appartiene il
mio terreno e fabbricato e quale coefficiente di redditività attribuito per quel determinato sottoinsieme.
Rispetto a questa modalità generale di individuazione del reddito effettuata attraverso il raffronto tra i
terreni e immobili che presanno caratteristiche similari vi sono dei casi in cui necessariamente si deve
provvedere alla determinazione del reddito fondiario attraverso una stima diretta.
Vi sono infatti degli immobili che per loro caratteristiche intrinseche non sono soggetti a presunzioni, stime
predeterminabili come gli opifici, alberghi, case di cura, stazioni di servizio, edicola, fari, per tutti questi
fabbricati occorre necessariamente procedere ad una stima diretta andando a vedere quali sono le
indicazione del mercato immobiliare per valutare la redditività di questi determinati e specifici beni.

Per quanto riguarda i terreni dobbiamo operare la distinzione in redditi dominicali e redditi agrari.
Il reddito dominicale, come ci dice l’articolo 27 del TUIR, remunera la parte dominicale del reddito medio
ordinario, quindi remunera il titolo giuridico in base al quale il soggetto passivo esercita il potere di
dominus su quel determinato terreno.
Il reddito agrario invece remunera quella parte di reddito medio ordinario imputabile a capitale di esercizio
e al lavoro di organizzazione dell’agricoltore.

Il reddito dominicale è il reddito che io ritraggo dal terreno a prescindere dal fatto che quel terreno sia
sottoposto a coltivazione, ed è il reddito che viene imputato a chi detiene il possesso del fondo sia a titolo
di proprietà che di altro diritto reale.

Nella definizione di reddito dominicale dobbiamo escludere dal novero dei redditi fondiari i terreni che
costituiscono delle pertinenze di fabbricati urbani, perché i giardini dei fabbricati urbani si considerano
parte dell’immobile e rientrano quindi nella tassazione dei redditi dei fabbricati, così pure dobbiamo
escludere i terreni dati in affitto per usi non agricoli e dobbiamo escludere i terreni produttivi di reddito di
impresa perché per il principio di attrattività del reddito di impresa che abbiamo già visto, tutto quello che
riguarda e che afferisce all’attività commerciale, va sempre qualificato in termini di redditi di impresa e
quindi non può essere nello stesso tempo qualificabile come reddito fondiario.

Anche i redditi dominicali dei terrei si determinano sulla base delle risultanze catastali, quindi devo
guardare alle tariffe d’estimo, rispetto però alla determinazione presuntiva, alla fotografia della capacità
contributiva che mi da il catasto, è possibile operare delle variazioni nel caso in cui muti la cultura, ciò che
viene coltivato nel terreno e così pure è possibile una variazione rispetto a ciò che risulta da catasto nel
caso in cui a seguito di eventi naturali o cause di forza maggiore diminuisca la capacità produttiva del
terreno.
In questa ipotesi è possibile una revisione del classamento dei terreni e quindi ci può essere un intervento
direttamente in sede di catasto oppure nel caso di perdita per l’agricoltura della mancata coltivazione
dovuta ad una causa di forza maggiore, l’imponibile viene ridotto del 30%, quindi si parte sempre dalla

108
Francesco Gruppelli
tariffa d’estimo ma si opera una riduzione dell’imponibile, nel caso di perdita per eventi naturali se la
perdita è superiore al 30% il reddito si considera inesistente.

Lezioni 16.2

Il reddito dei terreni se non qualificabile come reddito dominicale può essere reddito agrario, cioè
dell’impresa agraria. È il reddito evidentemente che deriva dell’esercizio di un attività agricola, così lo
definisce articolo 32 comma 1 del TUIR.
Anche in questo caso la determinazione della base imponibile avverrà sulla base delle risultanze catastali e
quindi dovremmo andare a vedere la qualità e la classe di quel terreno e la rendita totale sarà la risultante
della moltiplicazione della dimensione del terreno in quesitone rispetto ai coefficienti stabiliti dalle tariffe
d’estimo catastali.

Una regola da ricordare rispetto la determinazione dei redditi agrari è che sono irrilevanti, dal punto di vista
fiscale, i costi sostenuti dall’agricoltore e i ricavi percepiti nello svolgimento dell’attività, quindi di nuovo
abbiamo una determinazione del reddito che non rispecchia il principio di effettività della capacità
contributiva perché dobbiamo disinteressarci e rispetto ai costi effettivamente sostenuti e ai ricavi percepiti
dall’impresa agraria.

Se il terreno è posseduto dal soggetto che svolge direttamente l’impresa agraria, il redito agrario andrà
imputato a questo soggetto passivo, se invece il terreno è dato in affitto sarà l’affittuario del fondo soggetto
passivo e soggetto quindi a cui imputare l’eventuale reddito agrario.

La difficolta che si incontra con riferimento alla studio dei redditi agrari riguarda quali attività considerare
attività agricole, al riguardo dobbiamo fare riferimento a ciò che viene qualificato come attività agricola dal
legislatore fiscale all’articolo 32 comma 2 del TUIR.
In questa disposizione noi troviamo delle attività qualificate come agricole in senso stretto e delle attività
agricole per connessione.
Le attività agricole in senso stretto individuano le attività che possono produrre redditi agrari sulla base di
parametri qualitativi, quindi il tipo di attività mi dice se quell’attività va qualificata come attività agricola o
sulla base di parametri quantitativi, un esempio di impresa agricola individuata sulla base di parametri
qualitativi è l’attività di coltivazione del terreno o di silvicultura.

L’attività di coltivazione è sempre produttiva di reddito agrario perché in questo caso la qualificazione
dell’attività in termini di coltivazione del terreno e silvicultura è di per se sufficiente ad ascrivere quelle
attività tra quelle produttive di redditi agrari.

Rispetto ad altre attività articolo 32 individua dei parametri quantitativi. A proposito dell’ allevamento
infatti il legislatore ci dice che se l’ allevamento con mangimi ottenibili per almeno ¼ dal terreno
quell’attività è produttiva di reddito agrario e va qualificata come attività agricola.
Se il mangime infatti deriva per almeno ¼ dal terreno questo criterio di soglia ci dice che l’attività svolta ha
una determinata connessione con il suolo.
Nel caso in cui questa soglia non sia rispettata e l’allevamento viene svolto con mangimi che non sono
ottenuti nella misura indicata dalla soglia per almeno ¼ dal terreno è chiaro che siamo di fronte ad un
attività intensiva di allevamento che non presenta un collegamento con il terreno su cui insiste l’attività e
quindi quell’attività non andrà qualificata come attività produttiva di reddito fondiario ma come attività
produttiva di reddito di impresa.
Quindi il valore soglia del mangime ottenibile per almeno ¼ dal terreno costituisce il criterio sulla base del
quale il legislatore ci dice se c’è un collegamento con il terreno allora il reddito prodotto è fondiario, se
questo collegamento diventa via via più evanescente, l’attività di allevamento diventa come attività che va
qualificata come attività commerciale e come tale va qualificata come produttiva di reddito di impresa.

109
Francesco Gruppelli
Così pure la produzione di vegetali attraverso delle strutture, se la superficie adibita a produzione non
eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione insiste, l’attività va qualificata come agricola e
quindi produttiva di reddito qualificabile come fondiario.
In caso diverso, e per la parte eccedente, va qualificata come reddito di impresa.
Queste sono le attività agricole in senso stretto, individuate sulla base di parametri qualitativi e quantitativi.

Ci sono poi delle attività agricole per connessione che sono elencate nell’articolo 2135 del codice civile e
sono le attività di manipolazione, trasformazione e conservazione di prodotti anche se questa attività non
sono svolte sul terreno, nel caso in cui però riguardino prodotti ottenuti prevalentemente da attività
agricola, sono idonee ad essere qualificate come attività agricole produttive di reddito fondiario.

Il fatto che le attività agricole per connessione vadano qualificate come attività produttive di redditi fondiari
ci dice che il concetto di impresa agricola è un concetto basato sul ciclo biologico.
Se infatti in passato il concetto civilistico di impresa agricola era basato sulla mera presenza della terreno
era sufficiente constatare l’esistenza di un terreno per dedurre l’esistenza di un impresa agricola, oggi
viceversa si accoglie un concetto diverso di impresa agricola e si ritiene che siano agricole solo quelle
attività caratterizzate dal cosi detto ciclico biologico.
È per questo appunto che le attività agricole per connessione sono produttive di redditi fondiari perché le
attività di manipolazione, trasformazione e conservazione generano e vanno qualificate come attività
agricole solo se i prodotti ottenuti derivano prevalentemente da attività agricole, quindi non è tanto
l’esistenza di un terreno a farci dedurre l’esistenza di un impresa agricola ma è l’impiego produttivo di quel
terreno e l’esistenza di un ciclo biologico che insiste su quel terreno ad indicarci che la fonte produttiva è il
fondo e quindi siamo di fronte ad un reddito fondiario.

Così non è nel caso invece dell’impresa perché se lo sfruttamento del terreno è secondario rispetto
all’attività di organizzazione commerciale che viene effettuata dal soggetto è chiaro che siamo di fonte ad
una impresa di natura commerciale perché prevale l’organizzazione dei mezzi attuata dall’imprenditore
rispetto al ciclo biologico che caratterizza il terreno agricolo.

Rispetto a quanto abbiamo già detto in relazione al principio di attrattivà del reddito di impresa, dobbiamo
dire che la tassazione del reddito agrario avviene su base catastale quando questo reddito è imputato a
persone fisiche, a società semplici ed enti non commerciali.
Se il reddito è prodotto da un ente commerciale per il principio di attrazione questo reddito sarà sempre
reddito di impresa.
Tuttavia se l’ente commerciale è una società di persone, una srl, una società cooperativa che svolge in via
esclusiva un’attività agricola questo soggetti possono optare per la tassazione su base catastale quindi in
sede di dichiarazione una manifestazione di volontà che possiamo trovare nella dichiarazione di questi
soggetti è appunto relativa all’opzione per la determinazione del reddito prodotto a seguito delle
sfruttamento e dell’attività agricola su base catastale e non secondo i principi che vedremo per il reddito di
impresa.
Al contrario per definizione di legge sono sempre imprenditori agricoli e quindi generano sempre reddito
fondiario le società di persone e le srl se costituite da imprenditori agricoli e se svolgono esclusivamente
attività di manipolazione trasformazione o conservazione di prodotti ceduti dai soci.

I redditi dei fabbricati abbiamo detto essere redditi medi ordinari ritraibile dalle unità immobiliari urbane
Abbiamo detto che le pertinenze degli immobili urbani costituiscono parte integrante dell’unità immobiliare
e quindi non vanno qualificati come redditi dei terreni ma come redditi dei fabbricati.

Il catasto rilevante in questo caso è il catasto dei fabbricati urbani e rurali, catasto che divide le zone
immobiliari del territorio dello stato per zone censuarie divise per categorie o classe.

110
Francesco Gruppelli
La categoria mi dice la destinazione dell’immobile, se è destinato ad abitazione se è destinato allo
svolgimento di attività commerciali, se è destinato ad attività industriali e la classe che attribuisce un valore
al singolo immobile.
La rendita catastale sarà pari al valore della tariffa per la dimensione e grandezza dell’immobile.

Per la nuove costruzione c’è una procedura che si chiama diacatastamento attraverso la quale il possessore
del fabbricato propone una rendita che poi può essere modificata dall’agenzia delle entrate.

Le costruzioni rurali, le relative pertinenze, l’abitazione principale dell’agricoltura così pure i luoghi di
ricovero degli animali o di custodia delle macchine agricole vanno qualificati e rientrano nella nozione di
reddito agrario.
Gli immobili invece utilizzati per lo svolgimento dell’attività dell’impresa commerciale e i beni strumentali
per l’esercizio di arti e professioni vanno qualificati e rientrano nelle categorie rispettivamente dei redditi di
impresa e dei redditi di lavoro autonomo.

Non sono produttivi di reddito dei fabbricati le unità immobiliari destinate al culto, ad attività
esclusivamente di natura religiosa.

Per quanto riguarda il reddito di categoria si fa riferimento ad una comparazione, raffronto tra l’immobile in
questione e quello delle unita simili, a meno che il fabbricato non abbia destinazione particolare o speciale
perché in questo caso occorre precedere attraverso stima diretta.

Delle regole particolari sono dettate per i fabbricati concessi in locazione e per il reddito dell’unità
immobiliare adibita ad abitazione principale.

Se il fabbricato è concesso in locazione, dobbiamo vedere se questa locazione avviene in regime di libero
mercato, se avviene in regime di equo canone o se segue il regime del canone convenzionale.
L’ipotesi più frequente è quella del libero mercato se la locazione è cioè decisa sulla base di un canone
liberamente determinato da soggetti privati il reddito è dato dal valore più alto tra la rendita catastale
rivalutata e il canone di locazione aggiornato con la rivalutazione istat ridotto di una percentuale stabilità
dalla legge.

Altra possibilità molto sfruttata nella pressi è quello della cedolare secca, non è altro che un imposta
sostitutiva del 21 15 %.
Imposta sostitutiva ci richiama i meccanismi sostituti di tassazione, meccanismi che derogano alla
progressività e prevedono una tassazione di quel cespite che viene assoggettato all’aliquota
predeterminata dal legislatore e che non deve quindi essere incluso nell’ammontare di quei cespiti che
formano il coacervo lordo imponibile, base di partenza del calcolo dell’Irpef.

Un’altra caratteristica da tenere in conservazione derivante da locazioni è che la tassazione di questi redditi
prescinde dal fatto che siano effettivamente percepiti.
Quindi se scelgo male il mio inquilino e non mi paga il canone di affitto io comunque sono tenuto a
dichiarare, a meno che non sia nel regime della cedolare secca, il canone di affitto e ad assoggettarlo a
tassazione.

Altra regola particolare concerne il reddito di unità immobiliari adibita ad abitazione principale.
Se la mia casa di abitazione principale non è qualificabile tra quelle di lusso io maturo il diritto di dedurre
dal reddito complessivo una quota parte equivalente dalla rendita catastale dall’abitazione principale e
delle relative pertinenze.
Questo significa che sulla mia casa di famiglia, la casa in cui dimoro viene di fatto annullato il prelievo su
base irpef.

111
Francesco Gruppelli
Questo ovviamente nel rispetto di quel principio del minimo vitale derivante dalla norma costituzione
dell’articolo 53 e quindi posto che l’abitazione costituisce un prerequisito essenziale per i bisogni
indefettibili dell’individuo, la casa di abitazione principale se non qualificata di lusso è esente da tassazione
sui redditi.

Ragioni speculari motivano e spiegano una previsione come quella che leggiamo all’articolo 41 del TUIR che
ci dice che se ci sono delle unità immobiliari ad uso abitativo possedute in giunta a quella adibita ad
abitazione principale e queste unita non sono locate, sono cioè utilizzato come residenze secondarie, il
reddito è aumentato di 1/3.
Se la mia capacita contributiva e la mia forza economica è tale da consentirmi una seconda casa avrò sulla
base di questa disposizione un incremento del reddito che mi è attribuibile e quindi una maggiore
tassazione su base irpef.

112
Francesco Gruppelli
Seconda categoria di reddito, Redditi di capitale
Troviamo displicante dall’articolo 44 all’articolo 48 del TUIR e che trovano delle disposizioni di interesse per
quanto riguarda il meccanismo della riscossione negli articoli 26 e seguenti nel nostro decreto
sull’accertamento.

La norma di riferimento per individuare che cosa siano i redditi di capitale è l’articolo 44, a differenza della
norma che abbiamo visto per i redditi fondiari, non abbiamo una dedizione generale astratta ma abbiamo
un elenco.
In questo elenco figurano gli interessi, i compensi per prestazioni di fideiussione, gli utili derivanti dalla
partecipazione in società commerciali, i redditi derivanti dai rendimenti delle prestazioni pensionistiche e
così via.

Rispetto a questo elenco ci dobbiamo porre la questione se sia possibile individuare un minimo comune
denominatore nell’elenco di fattispecie enunciate nell’articolo 44 e dobbiamo porci ulteriore questione di
quali siano i tratti differenziali tra i redditi di capitale rispetto ai redditi diversi di naturerà finanziaria, redditi
che appunto dobbiamo qualificare non come redditi di capitale ma come redditi diversi.

Rispetto al primo quesito possiamo dire che esiste un minimo comune denominatore tra tutte le fattispecie
elencate all’articolo 44, e questo minimo comunque denominatore è rappresentato dal fatto che
assoggettato a tassazione è il risultato economico dello sfruttamento delle potenzialità produttive del
capitale, esattamente come dice il nome la fonte produttiva del reddito qualificabile come reddito di
capitale è il capitale.
Se questo capitale almeno secondo un giudizio prognostico ex ante non viene consumato a seguito del suo
impiego, il capitale è idoneo ad essere una fonte produttiva del reddito qualificabile come reddito di
capitale.
Quindi se la fonte produttiva resta intatta dopo che l’ho sfruttata molto probabilmente il frutto di
quell’impiego di capitale genera un reddito di capitale e il capitale come noto in virtù del mero decorso del
tempo può produrre dei proventi.
Questi proventi finanziari se non hanno natura aleatoria, se cioè non derivano da rapporti o strumenti che
prevedano un alea, se cioè il capitale non è stato investito dal soggetto passivo a fini speculativi ma ad
esempio il soggetto passivo a stipulato un reddito da una rendita perpetua, si tratta di compensi per
fideiussioni, reddito che deriva da gestioni collettive di patrimoni immobiliari, reddito che deriva da una
polizza assicurativa, quindi non da rapporti aleatori, in tutti questi casi il capitale funge da fonte produttiva
di un reddito di capitale.
In caso contrario se c’è un rapporto e un interesse speculativo da parte del soggetto passivo che vuole
investire addossandosi il rischio anche di perdere la fonte produttiva, se c’è quindi un alea il reddito che
deriva dall’utilizzo di quello strumento speculativo, andrà qualificato come reddito diverso.

Lezione 17.1

Che cosa costituisce reddito di capitale ?

113
Francesco Gruppelli
La dottrina ha individuato due grandi gruppi di redditi qualificabili in termini di redditi di capitale, questi
gruppi sono gli interessi e altri proventi che derivano da prestiti, quindi mutui e altre forme di credito
veicolato attraverso un prestito obbligazionario, e i proventi derivanti da partecipazioni in societa ed enti
soggetti all’imposta sui redditi delle società.
Possiamo dire che le due principali categorie di reddito di capitale sono rappresentate dagli interessi e
dividendi.

Questi proventi costituiscono redditi di capitale qualora la fonte produttiva, cioè il capitale, resti intatta a
seguito del suo sfruttamento.
È per questo che non sono qualificabili le plusvalenze che derivano dalle cessioni di obbligazioni e azioni
perché in questo caso il provento deriva da un evento incerto.
Qualora cioè sia incerto in merito allo sfruttamento del capitale che generi un frutto, il frutto derivante da
quello sfruttamento di capitale andrà qualificato in termini di redditi diversi.

Questo criterio lo dobbiamo applicare anche a tutti gli altri proventi di varia natura che troviamo elencati
nell’articolo 44 che parla non solo di interessi e dividendi ma anche proventi da obbligazione, rendite
perpetue, compensi per fideiussione, proventi da partecipazioni in fondi comuni di investimento.

Rispetto a tutti questi strumenti noi, ai fini dell’individuazione del regime fiscale, dobbiamo capire se la loro
remunerazione è totalmente dipendente dai risultati economici della società che li emette o se la loro
remunerazione dipende solo parzialmente dalla società emittente, perché rispetto al primo caso questi
strumenti finanziari risulteranno del tutto equivalenti alle azioni e quindi il reddito prodotto dal soggetto
che hanno effettuato l’investimento costituirà un dividendo tassabile in capo al soggetto che lo percepisce e
indeducibile per la società che lo stacca.
Se viceversa questi strumenti consentono una remunerazione che dipende solo parzialmente dai risultati
della società emittente questi strumenti vanno qualificati come strumenti atipici soggetti alla ritenuta a
titolo di imposta del 26%.

In termini generali come va calcolata la base imponibile, l’ammontare degli interessi utili o altri proventi
qualificabili come redditi di capitale?
Innanzitutto la tassazione avviene al lordo, ovvero che non è possibile alcuna deduzione in ordine alle
perdite o alle spese di produzione del reddito, quindi se per procurarmi un determinato strumento per
sfruttare il mio capitale io ho sostenuto delle spese bancarie, queste ultime non sono deducibili.

Un’altra regola generale è quella del principio di cassa, i redditi di capitale sono tassati nel periodo di
imposta in cui sono percepiti, quindi non rileva il credito maturato ma rileva il momento in cui avviene
l’incasso a favore del soggetto passivo.

Altro principio è quello di attrazione nell’ambito del reddito di impresa e quindi se lo strumento, l’interesse
o il dividendo è percepito nell’ambito dell’esercizio di attività commerciale non ci dobbiamo porre la
questione sulla qualificazione purché quel reddito andrà sempre qualificato in termini di reddito di impresa.

Infine rispetto a molti strumenti e fattispecie indicate nell’articolo 44 la modalità di tassazione è attraverso
ritenuta alla fonte, questo vale soprattuto per il risparmio gestito e amministrato in fondi comuni, per
questi strumenti ci sono dei regimi sostitutivi.
Ci sono dei regimi sostitutivi per una ratio favor nei confronti del risparmio, il risparmio ricordiamo che è
tutelato anche in costituzione dell’articolo 47, e regime sostitutivo significa tassazione proporzionale,
deroga al principio di progressività, ritenuta alla fonte e applicazione di un aliquota che può essere del
12,5% o del 26% e il fatto che i redditi di capitale siano assoggettati a ritenuta alla fonte tutela l’anonimato,
perché la tassazione avviene esclusivamente in capo all’intermediario e il percettore del reddito di capitale
risulta esonerato anche da adempimenti di tipo dichiarativo cui altrimenti sarebbe soggetto.

114
Francesco Gruppelli
Esaminiamo le due principali categorie di redditi di capitale, interessi e dividendi.

Interessi sono quei proventi che hanno chiaramente natura corrispettiva, ovvero quei proventi che
derivano dall’accensione di mutui, depositi, conti correnti e che vengono tassati come componenti del
reddito complessivo.

In questa nozione dobbiamo escludere quegli interessi che non derivano dall’impiego di capitale, quali ad
esempio gli interessi moratori previsti per contratto, se cioè due soggetti privati stipulano un contratto e
prevedono la corresponsione di una partire a favore dell’altra di interessi per eventuali ritardo nell’
adempimento del contratto, l’articolo 6 comma 2 del TUIR ci dice che questi interessi appartengono alla
stessa categoria di reddito di quelli da cui derivano i crediti su cui questi interessi sono maturati.
Se nel contratto tra professionista e cliente è previsto interesse moratorio a favore del professionista per il
ritardo nel pagamento della parcella, questi interessi moratori che spettano al professionista vanno
qualificati alla stessa stregua del reddito dell’attività professionale, ovvero come reddito di lavoro
autonomo.

Parimenti vanno esclusi dalla nozione di interesse rilevante nell’ambito dei redditi di capitale, gli interessi
compensativi, interessi che spettano per fini di reintegrazione del patrimonio.
Se ho diritto ad un interesse compensativo a seguito di una paternità patrimoniale, quell’interesse
compensativo non va tassato in quanto la rilevanza di quel componente non è reddituale ma è
esclusivamente patrimoniale.

Nell’ambito delle disposizioni del TUIR troviamo due presunzioni che regolano gli interessi:
La prima presunzione è data dall’articolo 45 comma 2 che ci dice che gli interessi derivanti da mutui si
presumono percepiti alla scadenza e nella misura pattuita, se non è stata pattuita dai contraenti la misura
dell’interesse, essi vanno calcolati all’ammontare maturato nel periodo di imposta e al saggio legale.

La seconda presunzione la rinveniamo nell’articolo 46 e riguarda le somme versate dai soci a soggetti,
società assoggettate ad imposta sul reddito delle società. Rispetto alle somme versate dai soci siamo di
fronte all’alternativa se considerare quelle somme versamenti in conto capitale o a fondo perduto o se
considerare quelle somme come dei mutui.

Nel primo caso i versamenti in conto capitale in fondo perduto danno in capo al socio il diritto alla
restituzione, ma quella restituzione appunto non configura un frutto del capitale investito dal socio e quindi
le somme restituite dalla società al socio non devono essere tassate perché non costituiscono reddito ma la
restituzione dell’impiego di parte del patrimonio del socio.

Discorso diverso invece se le somme che il socio conferisce alla società si qualificano come mutui, perché in
questo caso il socio ha il diritto ad ottenere un interesse per le somme destinate al finanziamento della
società.
La presunzione di quell’articolo 46 ci dice che se dal bilancio della società non risulta diversamente, le
somme versate dai soci si presumono sempre date a mutuo, si tratta di una presunzione relativa perché è
possibile dimostrare che il mutuo è stato dato a titolo gratuito e quindi non è produttivo di interessi
assoggettabili a tassazione.

Per quanto riguarda i dividendi ci dobbiamo porre nella diversa situazione di un soggetto che possiede un
titolo rappresentativo di una frazione del capitale o del patrimonio di una società emittente.

Se questa società emittente è una società di persone abbiamo già visto il principio di trasparenza di cui
all’articolo 5 del TUIR che ci dice che i redditi delle societa di persone sono imputati direttamente ai soci
presso i quali quei redditi vanno qualificati in termini di redditi di partecipazione.

115
Francesco Gruppelli
Questo perché la società di persone è trasparente agli occhi del fisco.

Regime diverso invece è applicato nel caso in cui il capitale o patrimonio delle società emittente venga
frazionato in titoli e la società emittente sia una società soggetta ad imposta sul reddito delle società.
Se io posseggo un titolo che rappresenta una frazione del capitale sociale, io acquisto la qualità di socio e
partecipo al capitale di rischio, questo significa che se l’impresa va bene e guadagna, l’impresa stacca un
dividendo e il valore della mia partecipazione cresce. Se l’impresa fallisce in quanto socio ci perdo.

Questa qualità di costo che identificata il titolare dell’azione è nettamente diversa dalla posizione del
creditore ovvero del soggetto che effettua un prestito, che acquista quindi un diritto di credito nei confronti
del soggetto finanziato.
Nel caso dell’obbligazione se io presto del denaro ad un impresa, lo strumento dell’obbligazione mi
garantisce che sarò rimborsato non solo del capitale prestato ma avrò diritto anche ad un interesse.
Nel caso in cui l’impresa fallisca ho diritto alla restituzione comunque del prestito, quindi sono in una
posizione nettamente diversa rispetto al caso del socio.

Dal punto di vista della società questo significa che la società si può finanziare con capitale di rischio o con
capitale di debito.
Se fa la prima il socio detentore dell’azione verra remunerato attraverso la distribuzione degli utili della
società e quindi attraverso lo stacco di dividendi. I dividendi non sono deducibili dal reddito delle società.

Si realizza infatti una doppia imposizione, avviene una tassazione in capo alla società dell’utile prodotto e
quando quell’utile è distribuito al socio avviene una tassazione in capo al socio e quell’utile distribuito va
qualificato in capo al socio come reddito di capitale.
Questo a meno che il dividendo non sia staccato a favore di un socio società commerciale, perché in questo
caso sul principio dell’attrattività quel dividendo costituirà sempre un reddito di impresa.

Qualora la società si finanzia attraverso del capitale di debito, capitale di soggetti terzi, questo capitale di
debito verrà remunerato con interessi.
Interesse per socio e persona fisica costituisce reddito di capitale, l’interesse elargito corrisposto dalla
società costituirà una componente che studieremo essere deducibile per la società.

Analizziamo bene i dividendi

Abbiamo detto che il dividendo non è altro che la quota parte di utile prodotto dalla società e in quanto tale
quell’utile costituisce reddito per la società assoggettato a tassazione in capo alla società ma costituisce
anche un reddito per il socio che lo percepisce nel momento in cui quella parte di utile è incorporata in un
dividendo che viene percepito dal socio.

Per ovviare alla duplice tassazione interna, nazionale in capo a quella stessa ricchezza, prima del 2003 era
previsto il sistema del credito di imposta, attraverso questo meccanismo il fisco tassava due volte quella
ricchezza prima in capo alla societa in quanto utile prodotto e poi in capo al socio che riceveva il dividendo
ma poi attribuiva al socio un credito di imposta pari all’imposta pagata dalla società.
Questo meccanismo consentiva l’eliminazione della duplice imposizione ma aveva tutto una serie di
conseguenze pratiche molto difficoltose legate al fatto che il socio che percepiva il dividendo non
necessariamente era una persona fisica residente ai fini fiscali in italia.
Qualora socio e società emittente il dividendo fossero residenti in due paesi diversi il meccanismo del
credito di imposta presentava tutta una serie di effetti non ottimali dal punto di vista dell’eliminazione della
duplice tassazione.
Per questo a partire dal 2004 il metodo del credito di imposta è stato sostituito dal metodo dell’esenzione,
sulla base del metodo dell’esenzione la tassazione è concentrata in capo alla società, se il dividendo viene

116
Francesco Gruppelli
percepito da un socio persona giuridica, soggetta all’imposta sul reddito delle società, si ha una esclusione
dalla base imponibile del socio pari al 95% del dividendo.
Quindi in questo caso avverrà la tassazione in capo alla societa che stacca il dividendo e in capo alla societa
che percepisce il dividendo, limitatamente alla misura del 5% dell’importo del dividendo.

Se il dividendo è attribuito al socio persona fisica e questa persona fisica riceve il dividendo nell’ambito
della propria attività di impresa, il reddito derivante dal dividendo andrà qualificato come reddito di
impresa e avverrà in capo alla persona fisica imprenditore una tassazione parziale nei limiti del 58,14%
dell’ammontare del dividendo.

Stessa situazione si avrà nel caso in cui il dividendo sia attribuito ad una società di persone commerciale,
anche in questo caso avverrà la tassazione in capo alla società che stacca il dividendo, per la società di
persone commerciale che lo riceve, quel reddito va qualificato come reddito di impresa assoggettato a
tassazione nei limiti nella misura del 58,14% del dividendo.

Se a ricevere il dividendo è invece una persona fisica non imprenditore che riceve il dividendo non
nell’ambito d attività di impresa il dividendo percepito andrà qualificato come reddito di capitale e
assoggettato all’imposta sostitutiva con ritenuta di imposta pari a 26% sull’intero importo del dividendo
percepito.

Se il dividendo è attribuito ad una società semplice o ad un ente non commerciale, il dividendo va


qualificato come reddito di capitale e in questo caso la tassazione sarà integrale.

Quindi anche nel caso da dividenti percepiti da persone fisiche non imprenditori, abbiamo questo
meccanismo dell’imposizione sostitutiva che non solo favorisce il percettore del dividendo per i profili di
anonimato e di esclusione dagli adempimenti fiscali che la percezione di questa categoria di redditi
comporta, ma assicura anche l’erario da fughe di capitali che si possono realizzare in questi casi stante la
volatilità di questa particolare categoria di redditi.

Dai redditi di capitale dobbiamo tenere distinti i cosi detti capital gains, sono il risultato della differenza tra
prezzo di acquisto e prezzo di vendita di titoli azionari o obbligazionari.
In quanto tali sono dei componenti aleatori, non predeterminanti e predeterminabili ma dipendendo dalle
capacita speculative del soggetto che decide di impiegare il proprio capitale. Se quindi è aleatorio il fatto
che io conseguo un frutto dall’impiego del mio capitale, sono di fronte ad un reddito che devo qualificare
come un reddito diverso

117
Francesco Gruppelli
Lezione 17.2

Analizziamo la categoria dei redditi di lavoro dipendente


L’articolo di riferimento è l’articolo 49 del TUIR che definisce i redditi di lavoro dipendente come quei
redditi che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro con qualsiasi qualifica, alle
dipendenze sotto la direzione di altri.
Ad esempio anche il lavoro a domicilio è considerato lavoro dipendente secondo le norme delle legislazione
giuslavorista.

Il comma 2 dell’articolo 49 ci dice che costituiscono altresì redditi di lavoro dipendente le pensioni che
derivano da qualunque tipo di rapporto, impiego, servizio o anche di lavoro autonomo , quindi se nel corso
della vita professionale io ho generato redditi di lavoro autonomo nel momento in cui percepisco la
pensione, la pensione costituisce reddito di lavoro dipendente, le pensioni di reversibilità e invalidità, ma
escluse le pensioni di natura risarcitoria, come le pensioni di guerra, perché all’origine del trattamento
pensionistico nel caso di pensione di guerra non c’è un rapporto di lavoro, non c’è quella stessa fonte
produttiva indicata dall’articolo 49.
Posto che la pensione di guerra ha la funzione di risarcire dal punto di vista patrimoniale il soggetto che ha
prestato il proprio servizio militare, la natura della pensione di guerra è una natura patrimoniale e non
reddituale.

Costituiscono altresì redditi di lavoro dipendente le somme percepite ai sensi dell’articolo 429 del codice di
procedura civile, le somme percepite a seguito di sentenza di condanna relativa a crediti di lavoro.

Più nel dettaglio la fonte generale di reddito di lavoro dipendente


Articolo 49 del TUIR utilizza l’espressione ‘lavoro esercitato alle dipendenze e sotto la direzioni di altri’.
Il legislatore fiscale fa riferimento alla nozione di subordinazione in senso tecnico in cui ci parla all’articolo
2904 del codice civile che definisce prestazione di lavoro subordinata la prestazione di chi si obbliga
mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale e materiale alle
dipendenze sotto la direzione dell’imprenditore.

In questo caso l’aver utilizzato la stessa espressione utilizzata dal legislatore civilistico ci deve guidare a dare
la stessa interpretazione e contenuto giuridico all’espressione lavoro esercitato alle dipendenze e sotto la
direzioni di altri.
Ciò significa che per capire se siamo di fronte ad un reddito di lavoro dipendente dobbiamo porci
previamente la domanda se la prestazione di lavoro costituisce prestazione subordinata in senso tecnico,
dobbiamo andare a vedere quando la legislazione giuslavorista qualifica quel determinato lavoro come
lavoro subordinato.

118
Francesco Gruppelli
Quindi un primo tratto essenziale di questa categoria di reddito riguarda la natura subordinata dell’attività
che generale il reddito.

Il secondo tratto essenziale è relativo alla possibilità di ricondurre alla nozione di reddito di lavoro
dipendente non solo ciò che viene percepito dal lavoratore quale retribuzione del lavoro, quindi il salario o
lo stipendio, ma più in generale tutti gli emolumenti che derivano da quella fonte produttiva, nozione di
reddito di lavoro dipendente è una nozione onnicomprensiva che appunto fa riferimento alla fonte
produttiva quindi tutto ciò che discende direttamente o non indirettamente dal contratto di lavoro
subordinato che costituisce la fonte del reddito di lavoro dipendente, costituisce reddito di lavoro
dispendete.

Articolo 49 specifica che le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparate costituiscono fonti di
reddito di lavoro dipendente.
Poiché il trattamento pensionistico trova la sua origine nel contratto di lavoro che ha disciplinato la
prestazione di lavoro subordinata, anche la persone che ne consegue costituisce sicuramente reddito di
lavoro dipendente.

La specificazione invece è necessaria per attribuire la qualifica di redditi di lavoro dipendente ai trattamenti
pensionistici che derivano da rapporti di lavoro di natura non subordinata, ovvero all’attività di esercizio di
atti e professioni che in quanto tali dovrebbero essere inquadrati come redditi di lavoro autonomo.
Il professionista durante la vita lavorativa genera reddito di lavoro autonomo, nel momento in cui riceve la
pensione genera reddito di lavoro dipendente.

Così pure le sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme di denaro a titolo di crediti
di lavoro e all’eventuale risarcimento danni per svalutazione di tale credito, essendo la fonte sempre il
contratto di lavoro non ci stupisce che anche le somme liquidate dal giudice a seguito di processo
costituisca e vadano inquadrati come reddito di lavoro dipendente.

La disciplina del TUIR prevede tutta una serie di fattispecie assimilate alla fattispecie base indicata
nell’articolo 49, ed è per questo che leggiamo nell’articolo 50 che costituisce altresì reddito di lavoro
dipendente ciò che riceve l’amministratore, il sindaco, il revisore di società, il giornalista e più in generale
tutti i soggetti che svolgono rapporti di collaborazione aventi ad oggetto la prestazione di attività senza
vincolo di subordinazione nel quadro di un rapporto unitario e continuativo, senza impiego di mezzi
organizzati e con retribuzione periodica prestabilita.

Il legislatore fiscale sta facendo riferimento alle collaborazioni coordinati e continuative, che secondo lui
rientrano nella categoria dei redditi di lavoro dipendente in quanto categoria assimilata a quella principale
delineata nell’articolo 49 e questa indicazione supera quei problemi di inquadramento che nella prassi
c’erano stati rispetto al trattamento fiscale da ascrivere a redditi che costituiscono il risultato della
collaborazione coordinata e continuativa.

Affinché un rapporto di lavoro risulti qualificabile come collaborazione coordinata e continuativa ci devono
essere quei requisiti previsti dall’ articolo 50 lettera c bis del TUIR.
Il primo requisito è l’assenza del vincolo di subordinazione, quindi diversamente dalla nozione base dettata
dall’articolo 49, il collaboratore non è in una posizione di subordinazione in senso tecnico rispetto al datore
di lavoro ma è in una posizione di adeguamento funzionale rispetto alle direttive impartite da datore di
lavoro.
Il datore di lavoro infatti rispetto ai co-co-co non può esercitare quei poteri direttivi tipici del rapporto di
lavoro subordinato.
Pensiamo a chi collabora in un giornale, il giornalista è in una posizione di adeguamento funzionale rispetto
alle scelte del direttore del giornale, non è sicuramente nella posizione del classico lavoratore subordinato
che ci descrive la nozione di subordinazione in senso tecnico.

119
Francesco Gruppelli
La seconda caratteristica è il non impiego di mezzi organizzati, l’apporto lavorativo del co-co-co è un
apporto prettamente personale che prescinde dall’organizzazione di impresa e prescinde quindi
dall’inquadramento in una struttura organizzata come quella tipica in cui si inserisce il lavoratore
subordinato. Quindi diversamente dal reddito di impresa, la co-co-co non richiede una organizzazione.

Il terzo requisito è la natura periodica e prestabilita della retribuzione, diversamente dal reddito di lavoro
autonomo, dal reddito prodotto dal professionista o da chi esercita un arte la retribuzione è prefissata,
come ad esempio nel caso di gettone di partecipazione a collegi e commissioni.

Se sussistono questi 3 presupposti e se sussiste il presupposto negativo della non inerenza della prestazione
rispetto alle altre categorie di reddito la collaborazione coordinata e continuativa genera reddito di lavoro
dipendente.

Nell’ambito delle fattispecie assimilate a quelle di lavoro dipendente le norme del TUIR prevedono un
elenco eterogeneo di proventi assimilati a quelli di reddito di lavoro dipendente relativi a fattispecie
rispetto alle quali manca una qualche caratteristica delineata come essenziale nell’ambito della norma
generale di quell’articolo 49, ad esempio rispetto ad alcune fattispecie manca il vincolo di subordinazione,
pensiamo alla qualifica di socio di una cooperativa, la remunerazione del socio della cooperativa costituisce
reddito di lavoro dipendente perché c’è la fattispecie assimilata e c’è perché nella cooperativa manca il
vincolo di subordinazione e quindi senza la fattispecie assimilata sulla base dell’articolo 49 il socio della
cooperativa non dovrebbe generare reddito di lavoro dipendente.

Oppure rispetto ad alcune fattispecie a difettare è addirittura una svolgimento di un’attività di lavoro,
pensiamo alle borse di studio, in virtù della fattispecie di assimilazione le borse di studio costituiscono
redditi di lavoro dipendente nonostante manche quella caratteristica essenziale delineata nell’articolo 49
data dallo svolgimento di un attività di lavoro.

E così pure dobbiamo considerare le remunerazioni dei sacerdoti che chiaramente non sono inquadrabili
all’interno di un rapporto di lavoro, in virtù della fattispecie assimilata le remunerazioni dei sacerdoti
costituiscono reddito di lavoro dipendente.

Una volta definita la fonte produttiva di reddito di lavoro dipendente vediamo come deve essere
determinata la base imponibile.
La norma di riferimento è l’articolo 51 che ci dice che ai fini della determinazione dell’imponibile rileva
qualsiasi somma o valore percepito in relazione al rapporto di lavoro.

Questa norma codifica il cosiddetto principio di onnicomprensività, principio che ci dice che costituisce
reddito di lavoro dipendente qualsiasi somma o valore che il soggetto ritrae in relazione al rapporto di
lavoro, l’aver utilizzato questa espressione dalla latitudine definitoria molto ampia ci dice che dobbiamo
considerare come imponibile non solo il reddito che remunera le prestazioni effettuate, quindi non solo il
salario e lo stipendio ma anche ciò che prescinde dalla prestazione effettuata, ed è per questo che
dobbiamo qualificare e ascrivere alla base imponibile dei redditi di lavoro dipendente anche le indennità di
malattia, di maternità, INPS, INAIL, anche se in questo caso l’indennità non viene corrisposta dal datore di
lavoro ma da un ente pubblico, anche i compensi ricevuti sotto forma di partecipazioni agli utili non
costituiscono dividendo ma essendo parte della retribuzione rientrano nella categoria dei redditi di lavoro
dipendente.

Così pure le somme percepite a titolo di trattamento di fine rapporto, gli scatti di anzianità, gli straordinari,
le diarie, il riposo settimanale non fruito e anche tutte quelle liberalità rimuneratorie che il datore può fare
in occasione magari di feste o festività e che il datore fa non certo con animus donandi ma in virtù del
rapporto di lavoro con i propri dipendenti.

120
Francesco Gruppelli
Sulla base poi dell’articolo 6 del TUIR dobbiamo considerare reddito anche i proventi conseguiti a titolo di
risarcimento per reintegrare il danno da mancata percezione del reddito, quindi se il contribuente si fa
male e ha un assicurazione e questa assicurazione risarcisce il lucro cessante, quindi reintegra il danno da
mancata percezione del reddito, l’indennità risarcitoria sostituendo il reddito di lavoro dipendente
costituisce a sua volta reddito di lavoro dipendente.

La parte invece di risarcimento danni a seguito di lesioni personali subite dal dipendente nell’espletamento
delle sue funzioni che risarcisce la perdita non patrimoniale che serve quindi per reintegrare le energie
psicofisiche del lavoratore, la parte del risarcimento relativa non al lucro cessante ma anche al danno
emergente e questa parte avendo natura patrimoniale e non retributiva non deve rientrare nella
determinazione della base imponibile.

L’articolo 51 ci dice che hanno rilevanza fiscale quando le somme e valori sono percepiti.
Attraverso questa espressione il legislatore fa riferimento a quel principio di cassa che ci dice che dobbiamo
dare rilevanza non tanto al momento in cui il reddito è maturato in senso giuridico ma quando
effettivamente avviene l’incasso dello stipendio, salario e tutte le altre somme e valori di cui abbiamo
parlato a favore del lavoratore.

Questa regola generale del principio di cassa e della rilevanza del momento in cui avviene l’incasso subisce
una deroga parziale nell’ambito dell’articolo 51 comma 1, che dice che si considerano percepiti nel periodo
di imposta anche le somme e valori in genere che vengono corrisposti dal datore di lavoro entro il giorno 12
del mese di gennaio del periodo di imposta successivo a quello a cui si riferiscono, quindi se lo stipendio
viene accreditato materialmente entro il giorno 12 nel mese di gennaio quello stipendio lo dobbiamo
imputare al periodo di imposta relativo all’anno solare precedente.

Attraverso l’utilizzazione dell’espressione somme e valori in genere il legislatore intende fare riferimento
non solo ai compensi monetari ma anche a quelli in natura proprio perché utilizza l’espressione valori in
genere.
Nell’espressione valori in genere rientrano i cosiddetti ‘fringe benefits’, ovvero tutti quei beni e servizi messi
a disposizione del lavoratore che si aggiungono alla normale retribuzione in denaro, questi benefit vengono
generalmente previsti per fidelizzare il lavoratore rispetto all’impresa, oppure dati da soggetti terzi o dagli
ai famigliari del lavoratore. Ad esempio auto aziendale, assicurazione per i famigliari del lavoratore, ai corsi
di lingue. Beni e servizi che dobbiamo considerare reddito di lavoro dispendete che rispetto ai quali
abbiamo la necessita di monetizzarli e avviene attraverso il criterio del valore normale di cui parla l’articolo
9 del TUIR.
Non rientrano in questa nozione i beni utilizzati e messi a disposizione del lavoratore per l’espletamento
delle sue mansioni come al scrivania, il computer o i beni di modico valore, ovvero i beni che prevedono
una spesa da parte del datore inferiore ai 258 euro all’anno.

Se da un lato dobbiamo includere i fringe benefits, dall’altro l’articolo 51 comma 2 elenca quei proventi che
non concorrono a formare la base imponibile di questa categoria di reddito.
La regola dell’onnicomprensività è largamente derogata perché dobbiamo considerare come non imponibili
i contributi versati dal datore per raggiorni di previdenza assistenza o sanità, le prestazioni di vitto se
rispettano determinate soglie previste dal legislatore e i servizi di trasporto collettivo messi a disposizione
del lavoratore da parte del datore.

Rispetto alla determinazione della base imponibile ci dobbiamo poi porre il problema se rilevano i costi e le
spese di produzioni del reddito, le spese ad esempio di traposto, abbigliamento o di rappresentanza che il
lavoratore sostiene in riferimento alla prestazione di lavoro che svolge ci dobbiamo chiedere se possono
costituire dei componenti negativi idonei ad abbassare la base imponibile.

121
Francesco Gruppelli
Rispetto a questo problema in passato era stato introdotta una detrazione di imposta in modo forfettario e
in modo fisso, quindi venivano riconosciuti dei costi in una misura predeterminata dal legislatore.
Nel corso del tempo questa detrazione è divenuta decrescente all’aumentare del reddito, e a partire dal
2004 è stato eliminato ogni riferimento ai costi di produzione del reddito di lavoro dipendente e questo per
ragioni di semplificazione, si vogliono evitare degli oneri documentali e contabili in capo al lavoratore
dipendete e si vuole altresì evitare che certe spese e costi difficilmente documentabili vengano utilizzati per
ridurre in modo elusivo la tassazione.

Una regola particolare dettata per l’indennità di trasferta, perché l’articolo 51 al comma 4 del TUIR ci dice
che non c’è imposizione fino ad una certa soglia e quindi c’è una forfettizzazione della spesa se si rispetta la
soglia prefissata dal legislatore, ma se questa soglia si supera l’indennità di trasferta nella misura eccedente
rispetto alla soglia prefissata dal legislatore diventa imponibile.

Rispetto alla regola generale che esclude la rilevanza in sede di determinazione dell’imponibile e del reddito
di lavoro dipendere sappiamo che il sistema di calcolo dell’Irpef può prevedere a seconda degli anni posto
che il legislatore di anno in anno può cambiare la disposizione, prevede una detrazione forfettaria
dall’imposta lorda che appunto ha la finalità di garantire la rilevanza di quei costi e spese che appunto non
trovano rilevanza fiscale e spazio nell’ambito della determinazione dell’imponibile di questa specifica
categoria di reddito.

Lezione 18.1

Analizziamo la categoria dei redditi di lavoro autonomo.


La norma di riferimento è l’articolo 53 del TUIR che definisce redditi di lavoro autonomo quelli che derivano
dall’esercizio di arti e professione, ci chiarisce attraverso una definizione normativa lo stesso articolo 53, si
deve intendere l’esercizio per professione abituale ancorché non esclusiva di attività di lavoro autonomo
diverse da quelle che generano redditi di impresa.

Tre caratteristiche per individuare l’attività produttiva di redditi di lavoro autonomo:

L’esercizio di arti e professioni, intendono per esercizio di arti e professioni l’esercizio di un attività non
svolta con vincolo di subordinazione, l’assenza del vincolo di subordinazione costituisce la prima
caratteristica che differenzia la prestazione che genera redditi di lavoro autonomo da quella che genera
redditi di lavoro dipendente.

La seconda caratteristica è data dalla abitualità, la norma richiede che l’esercizio della professione avvenga
in modo abituale, abitualità significa non occasionalità, concetto diverso da quello di continuatività.
L’esercizio della professione può subire delle interruzioni anche in virtù delle ragioni stagionali ma ciò
nonostante può continuare ad essere abituale perché la fonte lavorativa è una fonte stabile, non è una
fonte occasionale. Se il reddito professionale fosse generato in modo occasionale dovrebbe rientrare nella
categoria dei redditi diversi.

Infine la terza caratteristica è che l’esercizio dell’arte e della professione non deve avere natura
commerciale, perché qualora l’esercizio della professione rientri in una delle categorie che vedremo
nell’articolo 2195 del codice civile, quel tipo di attività sarebbe generativa di redditi di impresa.

In realtà non è facile distinguere l’attività che genera reddito di impresa dall’attività che genera reddito di
lavoro autonomo, perché vedremo che son produttivi di reddito di impresa non solo le attività di cui
all’articolo 2195 ma anche l’attività di prestazione di servizi qualora questa attività di prestazione di servizi
sia svolta con organizzazione in forma di impresa.
Quindi se siamo di fronte ad un contrato attraverso il quale una parte si obbliga a prestare un servizio ad
un’altra, ci dobbiamo porre la questione se l’esercizio dell’attività avvenga in modo organizzato o in modo

122
Francesco Gruppelli
non organizzato, ci dobbiamo porre la questione se la forma di svolgimento dell’attività attraverso un
organizzazione di beni, servizi o persone abbia un carattere preminente rispetto all’apporto individuale del
soggetto, perché nel caso in cui la prestazione di servizio sia svolta con organizzazione in forma di impresa li
reddito generato da quella attività dovrà essere qualificato in termini di reddito di impresa.

Viceversa la prestazione di servizi sarà generativa di reddito di lavoro autonomo quando la prestazione
proviene dall’apporto personale e caratterizzante di un particolare soggetto.
Quindi se conta il fatto che la prestazione di servizio è stata chiesta proprio a quel determinato soggetto, a
quel commercialista, avvocato, professionista che per le sue riconosciute qualità professionali viene scelto
dalla clientela, l’organizzazione eventuale che il professionista si è dato, la segretaria e i collaboratori per
portare a termine la prestazione a carattere secondario e recessivo rispetto all’apporto personale e
individuale che caratterizza la prestazione resa da quel particolare soggetto.
In questo caso la prestazione di servizi sarà generativa di redditi di lavoro autonomo.

È corretto parlare per i redditi di lavoro autonomo di prestazione di servizi perché la norma fa riferimento
all’esercizio di arti e professioni e quindi include sia le attività a vocazione intellettuale individuale, sia
l’esercizio di arti in senso proprio e quindi la messa in campo di abilita da parte del soggetto connotate da
una spiccata venatura intellettuale e materiale.

Quindi nella non definizione positiva di attività generative di redditi di lavoro autonomo non dobbiamo
includere solo le attività artistiche e professionali ma tutte quelle attività che derivano da un contrato
d’opera, disciplinato dall’articolo 2222 del codice civile, quindi non solo i contratti delle professioni
intellettuali ma tutti i contratti d’opera attraverso i quali un soggetto si obbliga a compiere un opera o un
servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza organizzazione di impresa.

Una questione particolare riguarda le professioni protette, professioni come quelle dell’avvocato, dottore
commercialista, a cui si accede attraverso un concorso attraverso quindi una selezione che sono rette da
particolari doveri deontologici.
Poiché queste professioni sono normalmente esercitate con un massiccio apporto organizzativo ci si chiede
se la prestazione di servizi resa da un dottore commercialista o dall’avvocato all’interno di queste strutture
molto organizzate continui ad essere generativa di reddito di lavoro autonomo o se viceversa produca
reddito di impresa.
Rispetto questo quesito dobbiamo rispondere che le professioni protette sono generative di redditi di
lavoro autonomo per una ragione giuridica, ovvero che ex lege l’attività e responsabilità della prestazione
professionale vanno sempre imputate al professionista, ne risponde in modo individuale il lavoratore
autonomo, e quindi essendo la responsabilità in capo a questo soggetto individuale non può parlarsi di
responsabilità di organizzazione di impresa eventuale nella quale il soggetto inserito e poi il creditorio che
dobbiamo utilizzare per appurare se la prestazione di servizi è resa nell’ambito di un organizzazione in
forma di impresa o dal singolo professionista, il criterio che dobbiamo utilizzare non è tanto se sussiste o
meno una organizzazione perché anche lo studio professionale può essere molto organizzato ma il modo in
cui quella organizzazione viene utilizzata a fini serventi rispetto alla prestazione di servizi.
Il dottore commercialista che è bravo e popolare e si dota di una struttura molto organizzata fatta di
persone segretari, collaboratori, mezzi, uffici ecc continua a produrre redditi di lavoro autonomo perché il
ruolo attribuito a questa organizzazione è sempre servente rispetto all’apporto del titolare dell’attività.

Rispetto alla definizione generale che definisce la fonte dei redditi di lavoro autonomo, anche in questo
caso come nel caso dei redditi di lavoro dipendete ci sono delle fattispecie assimilate, fra queste ricordiamo
i diritti di autore, chi percepisce diritti di autore produce redditi di lavoro autonomo, avrà diritto alla
deduzione del 25% a titolo di spese di produzione ma la qualifica del reddito prodotto resta quella di lavoro
autonomo così pure gli utili spettanti a promotori o soci fondatori di società di capitali e così pure le
indennità per la cessazione dei rapporti di agenzia.

123
Francesco Gruppelli
Oltre a queste figure ce ne sono altre dettate dall’articolo 53 che a fronte di queste diverse fattispecie ci
può essere l’indicazione di un regime impositivo ad hoc. Regimi dispositivi ad hoc sono quelli ad esempio
che prevedono la determinazione forfettaria dei redditi di lavoro autonomo a differenza della regola
generale che è analitica, la mancanza dell’obbligo di tenuta della contabilità e il mancato assoggettamento
ad iva, tutte regole che derogano a quelle generali di calcolo dell’imponibile dei redditi di lavoro autonomo.

La regola generale per la determinazione dell’imponibile dei redditi di lavoro autonomo è rappresentata dal
differenziale tra i compensi in denaro e natura percepiti dal soggetto e le spese inerenti all’esercizio
dell’arte o della professione.

Con compensi dobbiamo includere i corrispettivi percepiti a titolo di remunerazione dell’attività più i
corrispettivi eventualmente percepiti per la cessione della clientela o di eventi immateriali, più l’eventuale
rimborso spese addebitato dal professionista al cliente, più gli eventuali interessi moratori o per dilazione di
pagamento concordati con il cliente, quindi se io professionista ricevo il pagamento della mia fattura oltre il
termine previsto dal ponto di viso fa contrattuale posso prevedere a carico del mi cliente la corresponsione
di interessi per il ritardo nel pagamento o per la sua dilazione.
Invece non dobbiamo includere nella voce compensi i rimborsi delle spese sostenute in nome e per conto
del cliente e non dobbiamo includere i contributi assistenziali e previdenziali posti dalla legge a carico del
cliente.
Quindi i compensi si computano al netto dei contributi previdenziali e assicurativi e al netto delle somme
restituite o anticipate per conto del cliente.
Dobbiamo altresì includere le cosiddette plusvalenze che il professionista può generare a seguito della
cessione a titolo oneroso di beni strumentali, quindi il dottore commercialista, l’avvocato che vende il
mobilio del suo studio, pc ecc.
La cessione a titolo oneroso di questi beni strumentali può dar luogo ad una plusvalenza determinata dalla
differenza tra il corrispettivo della cessione meno il costo non ammortizzato di quel bene strumentale
sostenuto dal professionista quando evidentemente l’ha acquistato.

Si determinata altresì una plusvalenza tassabile in capo al professionista a seguito del risarcimento per
perdita, danneggiamento o autoconsumo o per destinazione per una finalità estranea all’esercizio
dell’attività professionale di un bene strumentale, quindi se il pc prima utilizzato per lo studio professionale
viene utilizzato dal professionista esclusivamente per finalità sue personali e quindi il bene strumentale
esce dalla sfera di esercizio dell’attività professionale o cosi pure se il bene viene danneggiato e c’è un
risarcimento che assicura dal danneggiamento quel bene, in tutti questi casi si determina una plusvalenza
che deve essere incluso nella base imponibile di tassazione di redditi di lavoro autonomo.

Ovviamente nel caso di risarcimento per perdita o risarcimento non avremo un corrispettivo di cessione ma
avremo un indennità risarcitoria, nel caso dell’auto consumo invece dovremmo calcolare il valore del bene
strumentale che fuoriesce dalla sfera di esercizio di attività professionale ed entra in quella personale del
professionista, sempre attraverso il criterio del valore normale codificato all’articolo 9 del TUIR.

Dal punto di vista del momento di rilevanza temporale il criterio di imputazione a periodo è ancora una
volta il principio di cassa, rilevano i compensi nel momento in cui sono percepiti dal professionista e le
spese nel momento in cui sono effettivamente sostenute.
Rileva quindi il periodo di imposta in cui avviene l’incasso o l’esborso, questo con alcune deroghe, che sono
relative all’applicazione degli ammortamenti, alla deducibilità dei canoni di leasing di beni strumentali
maturati nell’esercizio, alla deducibilità per gli accantonamenti, tipo il tfr dovuto ai propri dipendenti e poi
ci sono delle regole particolari relative ai beni immateriali quindi al software, all’applicativo di gestione dei
programmi acquistati dal professionista o ai mobili.

In generale l’acquisto di beni ad un costo unitario superiore ai 516,40 euro sono soggetti alla procedura di
ammortamento e quindi alla deduzione di ciascun anno a partire da quello in cui il bene entra nella

124
Francesco Gruppelli
disponibilità del professionista di una quota della spesa sostenuta fissata sulla base di un decreto
ministeriale.
Se il bene strumentale acquistato è inferiore al valore soglia individuato dalla legge sempre nei 516,40 euro,
il costo bene strumentale è integralmente deducibile nel periodo di imposta in cui è stato sostenuto.

La regola generale che dobbiamo seguire ai fini della deducibilità delle spese sostenute nell’esercizio
dell’arte o della professione, è rappresentata dal principio di inerenza.
Possono essere dedotte e possono quindi abbassare la misura dell’imponibile compensando i compensi e
gli elementi positivi di reddito percepiti dal lavoratore autonomo solo quelle spese che ineriscono
all’attività di lavoro autonomo, questa è un principio intuitivo perché se noi definiamo il reddito come la
novella ricchezza prodotta dal soggetto dobbiamo calcolare quella novella ricchezza per differenza tra ciò
che il soggetto incassa al netto delle spese di produzione del reddito, proprio perché è oggetto di tassazione
solo il frutto, ciò che in più la variazione incrementativa del patrimonio che si attua attraverso l’esercizio
della professione di lavoro.
Se il professionista acquista un immobile il costo dell’acquisto non è deducibile, se viceversa lo loca il
canone è deducibile nel limite del 5%.

Il legislatore poi a fini anti-elusivi detta tutta una serie di regole particolari sulla deducibilità dei componenti
negativi del redditi di lavoro autonomo, questo perché molti beni possono essere utilizzati dalla persona
fisica tanto nell’ambito della propria attività professionale quanto ai fini privati, nell’ambito della propria
sfera familiare.
Quindi per i beni ad uso promiscuo è prevista una deducibilità limitata al 50% proprio perché il legislatore
ha la necessita di forfetizzare e trovare una misura rispetto alla rilevanza fiscale della spesa non potendo
chiaramente accertare per tutte le spese se quel bene che è stato acquistato viene effettivamente utilizzato
per svolgere l’arte e professione o se viene utilizzato esclusivamente nell’ambito personale e familiare.
È per questo che le spese dell’auto, telefoni, alberghi, spese di rappresentanza e convegni costituiscono
sicuramente delle spese inerenti all’esercizio della professione ma proprio per la loro natura di beni
promiscui e per la possibilità che la persona fisica utilizzi questi beni anche al di fuori dell’esercizio
dell’attività professione sono previsti dei limiti e delle soglie alla deducibilità che possono essere
ovviamente annualmente aggiornarti attraverso una revisione delle norme

125
Francesco Gruppelli
Lezione 18,2
Analizziamo la categoria dei redditi diversi.
Categoria che trova il suo fondamento nell’articolo 67 del TUIR e categoria che sicuramente ha la
caratteristica di essere residuale, questo perché confluiscono nella categoria di redditi diversi e vanno
qualificati come tali tutta una serie di componenti reddituali che per ragioni diverse non presentano
caratteristiche sufficienti per rientrare nell’ambito delle altre categorie di reddito.

Quando un cespite non può essere qualificato in termini di redditi fondiario, di capitale ecc dobbiamo
sempre porci la domanda se quel cespite può comunque essere assoggettato a tassazione su base irpef in
quanto rientrante in questa categoria residuale.

Categoria residuale che però prevede e segue un principio di tipicità, cioè solo ciò che viene espressamente
individuato dal legislatore come assoggettabile e qualificabile come reddito diverso, lo possiamo ascrivere a
questa categoria, c’è una predeterminazione normativa delle fattispecie imponibili, ovviamente nel rispetto
dell’articolo 23 della costituzione e quindi del principio di riserva di legge che ci dice che il legislatore è la
fonte di rango primario che mi deve sempre indicare il presupposto di imposta.
Questa regola di tipicità è molto importante e si contrappone rispetto alla disciplina previgente perché nel
previgente dpr del 73 era prevista una norma di chiusura del sistema che diceva che alla formazione del
reddito complessivo concorre ogni altro reddito diverso da quelli espressamente considerati dalla legge.
Una disposizione di questo tipo violava quel canone di predeterminazione normativa delle fattispecie
imponibili che abbiamo detto trova copertura costituzionale.

Con l’attuale TUIR il legislatore ha prescelto un metodo casistico, cioè elencato quali fattispecie reddituali
rientrano nella categoria dei redditi diversi e si tratta di ipotesi imponibili assolutamente eterogenee.
Etorogeneità è legata al fatto che come si diceva questa categoria è una categoria residuale e quindi
annovera quelle fattispecie rispetto alle quali manca un tratto caratteristico delle categorie tipiche cui
normalmente dovrebbero appartenere ma anche perché rientrano nella categoria dei redditi diversi anche
delle ipotesi che il legislatore ha espressamente selezionato per prevedere dei regimi sostitutivi di
agevolazione attraverso appunto l’inclusione nelle regole particolari dettate per i redditi diversi.

126
Francesco Gruppelli
Possono ovviamente produrre redditi diversi sia le persone fisiche residenti che percepiscono dei cespiti al
fuori dell’esercizio di imprese arti e professioni e lavoro dipendente, perché evidentemente cespiti
qualificabili come tali rientrerebbero nelle categorie tipiche che abbiamo visto ma anche le persone fisiche
non residenti che percepiscono dei proventi che derivano da attività svolte nel territorio dello stato e quindi
ad esempio le plusvalenze derivanti dalla cessione di partecipazioni in società non residenti sono tassati in
italia, sono imponibile su base irpef se i titoli si trovano in Italia.

Studiando i redditi di capitale abbiamo anche già visto che quei proventi che derivano dall’impiego del
capitale da cui possono scaturire degli utili o perdite in dipendenza di un evento incerto, vanno qualificati
come redditi diversi e non come redditi di capitale.

Poi proventi illeciti, che derivano dallo svolgimento di attività illecite, che non rientrano in una delle
categorie tipiche sulla base dell’ultima novella normativa vanno qualificati come redditi diversi e come tali
sono assoggettati a tassazione su base irpef.

Rispetto ai redditi diversi quindi non abbiamo un'unica fonte reddituale, in termini generali abbiamo due
possibili fonti, fonte reddituale nelle plusvalenze immobiliari o da cessione di partecipazioni e poi abbiamo
tutto un insieme eterogeneo di situazioni che possono dar luogo ad una fattispecie imponibile.
Premi e vincite, proventi occasionali, redditi non determinabili catastalemente, redditi di immobili situati
all’estero.

Norma di chiusa nell’ambito della displica dei redditi diversi che ci dice che i redditi che derivano
dall’assunzione di obblighi di fare, non fare e permettere vanno qualificati come redditi diversi.

È produttivo di reddito diverso uno dei componenti ascrivibili in uno dei seguenti 6 gruppi:

1: Plusvalenze, possono essere immobiliari o su partecipazioni sociali o su titoli e strumenti finanziari.


Tra le plusvalenze immobiliari rientrano i plusvalori derivanti dalla cessione di terreni che sono stati oggetto
di opere di lottizzazione, del frazionamento del terreno in lotti, in unità singole.
Oppure la plusvalenze che derivano dalla cessione di edifici costruiti su terreni da parte del soggetto che li
ha lottizzati.
In questo caso la plusvalenza non è riconducibile all’andamento del mercato ma l’attività svolta per
lottizzare o per rendere edificabile quel terreno.
Il momento impositivo è legato nel momento in cui avviene la cessione, quindi queste plusvalenze sono
tassate nel periodo di imposta in cui avviene la cessione.

La disciplina del TUIR poi ci dice che costituiscono redditi diversi le plusvalenze che derivano dalle cessioni a
titolo oneroso di beni immobili acquistati e costruiti da non più di 5 anni, se c’è un intento speculativo io
acquisto e rivendo in un termine breve, inferiore ai 5 anni stabilito come soglia dal legislatore, in questo
caso realizzo una plusvalenza che devo tassare come reddito diverso.
Non c’è intendo speculativo da parte del soggetto che vende la prima casa o vende un immobile che ha
acquisito a titolo di successione, se eredito la casa paterna e decido di rivenderla, la vendita non darà luogo
ad una plusvalenza tassabile come reddito diverso.
Sono invece tassabili le plusvalenze che derivano da cessioni a titolo oneroso di aree edificabili.
Se l’immobile è oggetto di esproprio la plusvalenza tassabile sarà calcolata sulla base dell’ indennità
espropriativa che ha diritto il precedente possessore dell’immobile e per questo tipo di situazione è prevista
una ritenuta di imposta del 20%, quindi c’è un particolare regime sostitutivo.

Un secondo gruppo di plusvalenze tassabili è quello delle plusvalenze su partecipazioni sociali e su titoli e
strumenti finanziari, i così detti capital gains.
Rispetto a questo tipo di cespite abbiamo già detto che si deve trattare di un guadagno di capitale e quindi
di un reddito realizzato attraverso rapporti di natura finanziaria che sono determinati da un alea.

127
Francesco Gruppelli
Il soggetto che detiene è la partecipazione, il titolo, lo strumento finanziario è incerto se quello strumento
determinerà una differenza positiva o negativa nel suo patrimonio.
L’esistenza di questo evento incerto determina la qualificazione della plusvalenza eventualmente realizzata
in termini di reddito diverso e non di reddito di capitale.

Rispetto alla disciplina previgente che distingueva le plusvalenze da partecipazioni in qualificate o meno,
oggi è previsto un unitario regime impositivo sostitutivo con applicazione dell’aliquota fissa del 26%.

2: redditi derivati da premi e le vincite, quindi tutto ciò che deriva dalla partecipazione a lotterie, concorsi a
premi o scommesse o premi derivanti da giochi di abilità o legati alla sorte o così pure i redditi in denaro e
natura che costituiscono premio a seguito del riconoscimento di particolari meriti artistici, scientifici o
sociali.
Questi redditi concorrono alla formazione di reddito complessivo rispettando il principio di tassazione per
cassa, quindi nel momento in cui vengono percepiti dal soggetto passivo e la tassazione è sempre al lordo,
quindi non è possibile dedurre alcune spesa di produzione del reddito.
Quindi dalla base imponibile rappresentata dalla vincita della lotteria non potrò mai far valere la spesa per
l’acquisto del biglietto che il soggetto ha sostenuto.

3: redditi di natura fondiaria non determinabili catastalmente, i redditi che derivano da terreni dati in affitto
per uso non agricolo non vanno qualificati come redditi fondiari ma rientrano nella nozione dei redditi
diversi.
Così pure gli immobili non inscrivibili a catasto e gli immobili situati all’estero non soddisfacendo quella
regola generale fissata per i redditi fondiari li dobbiamo qualificare come redditi diversi.
Nel caso di immobili situati all’estero la valutazione della base imponibile, quindi la valutazione della
rilevanza reddituale sarà effettuata quindi sulla base delle risultanze e stie operate dalla stato estero che
verrano recepite dal fisco italiano ai fini della determinazione della base imponibile dell’immobile situato
all’estero.

4: redditi derivati da attività occasionali, il reddito che deriva dall’esercizio dell’arte e della professione non
esercitata in modo abituale ma occasionale, costituisce reddito diverso e non reddito di lavoro autonomo,
così pure l’esercizio di attività commerciali svolte in modo non abituale non soddisfano il requisito fissato
per la definizione dei redditi di impresa e vanno qualificati come redditi diversi, proprio perché
caratterizzati dalla occasionalità.
Rispetto ai cespiti derivanti da attività commerciali o di lavoro autonomo esercitati occasionalmente la
determinazione della base imponibile potrà dare rilevanza alle spese sostenute, alle spese inerenti
all’esercizio dell’attività di impresa o dell’attività di lavoro autonomo e rispetto al principio di impostazione
temporale dovremo di nuovo tenere conto del principio della cassa, quindi quando questi proventi sono
effettivamente percepiti dall’impresa o dal lavoratore autonomo e le spese sono effettivamente sostenuti ai
fini della produzione del reddito

5: redditi che derivano dall’utilizzazione di opere dell’ingegno, se non prodotti in modo abituale generano
redditi diversi, se c’è abitualità infatti questi cespiti sono produttivi di redditi che dobbiamo qualificare
come redditi di lavoro autonomo.

6: altri redditi, residuale, ci dice che costituisce reddito diverso il provento derivante dall’affitto, usufrutto di
un’azienda oppure anche da una vendita di azienda se il proprietario non è un soggetto imprenditore.
Così pure la concessione in usufrutto di immobili, la locazione, il noleggio, la concessione in uso di veicoli,
macchine e altri beni immobili.
Questa regola ci dice che se noi affittiamo una camera della nostra casa durante il periodo estivo e non lo
facciamo nell’ambito di un attività di impresa, ma lo facciamo in modo occasionale, in modo cioè non
abituale generiamo un reddito e questo reddito lo dobbiamo qualificare come reddito diverso.

128
Francesco Gruppelli
Lezione 19.1
Categoria dei redditi di impresa
Il reddito di impresa può essere prodotto tanto da un ente persona fisica quanto da un collettivo, rispetto
all’imposizione sugli enti collettivi, le opzioni interpretative di impostazione che si possono accogliere
riguardo l’imposizione sugli enti collettivi sono ascrivibili a due grandi teorie.
Secondo le teorie finzioniste l’imposizione relativa agli enti collettivi è un imposizione ascrivibile ai soci o
agli associate dell’ente collettivo.
Al contrario le teorie realiste riconoscono l’ente collettivo come una realtà obbiettiva, l’ente collettivo
funge da centro autonomo dell’imputazione degli effetti giuridici a contenuto patrimoniale, esprime una
propria capacità contributiva.
Secondo le teorie realiste gli enti collettivi non sono dei veicoli per produrre ricchezza poi da riversare sulle
persone fisiche che ne formano lo strato personale ma costituiscono appunto degli autonomi soggetti
passivi di imposta.

Gli enti collettivi così come le persone fisiche possono produrre sia reddito di impresa sia un reddito
ascrivibile alle altre categorie di cui all’articolo 6.

Con riferimento alla persona fisica abbiamo sempre la necessita di distinguere l’eventuale attività di
impresa svolta dalle altre attività eventualmente esercitate dal soggetto.
L’ente collettivo viceversa non può produrre redditi di lavoro dipendete o autonomo ma può essere ad esso
imputato una delle altre categorie di quell’articolo 6, se l’ente collettivo è un ente commerciale il reddito
prodotto andrà considerato come reddito di impresa, se invece è un ente non commerciale, all’ente
collettivo andrà ricondotta un’altra categoria di redditi, infine se l’ente non commerciale svolge in via
secondaria un attività commerciale, al soggetto sarà imputabile anche un reddito di impresa.

129
Francesco Gruppelli
Nell’articolo 1 del TUIR troviamo la definizione di che cos’è impresa, chi è l’imprenditore ai fini fiscali, la
norma di riferimento quindi sulla definizione del reddito di impresa ci viene fornita dall’articolo 55,
disposizione che rintracciamo nell’ambito delle regole IRPEF.
Le norme sulla determinazione del reddito di impresa vanno ricostruite in quanto la disciplina principale è
contenuta agli articolo 81 e seguenti del TUIR, quindi alle norme del titolo secondo dedicato alla disciplina
dell’ires, ma ci sono delle disposizioni particolare che riguardano gli imprenditori individuali, persone fisiche
e le società di persone che invece dobbiamo andare a leggere negli articoli del titoli 1 quindi negli articoli
che riguardano la disciplina dell’Irpef.
Le norme sulla determinazione del reddito le dobbiamo andare a leggere tanto nell’ambito delle
disposizioni che ne disciplinano l’ires, l’imposta sula reddito delle società, quanto con riferimento agli
imprenditori e persone fisiche nell’ambito delle regole di disciplina dell’Irpef.

Il sistema delle regole sui redditi di impresa è un sistema normativo autosufficiente, in questo sistema noi
troviamo delle regole generali e delle regole particolari, le norme generali si preoccupano di quantificare il
risultato imponibile e qualificare i singoli componenti di reddito, quindi all’interno degli articoli sulle norme
di determinazione del reddito di impresa troviamo tanto regole di qualificazione quanto regole di
quantificazione dell’imponibile.
Norme particolari sono poi dettate con riferimento a singoli componenti positivi o negativi di reddito.
È importante distinguere tra norme generali e particolari perché in caso di conflitto antinomico, ovvero una
norma generale disponga un qualcosa di diverso dal contenuto percettivo di una norma particolare, in capo
di conflitto dovremmo dare prevalenza e applicazione alla norma particolare.

Per quanto riguarda le società commerciali di persone, società in nome collettivo e in accomandita semplice
e gli imprenditori individuali, il reddito di impresa lo dobbiamo determinare sulla base delle disposizioni
relative all’ires integrate con le regole specifiche dettate in ambito irpef, a differenza di quello che avveniva
nel precedente regime che prevedeva quale imposta non l’ires ma irpeg, imposta sul reddito delle persone
giuridiche.
Le regole di determinazione della base imponibile del reddito di impresa sono collocate nella disciplina
dedicata nelle società di capitali e agli enti commerciali, la disciplina Ires, perché questi soggetti
rappresentano i modelli organizzativi tipici dell’imprenditore commerciale.

Per sgombrare subito il campo rispetto alla determinazione del reddito di impresa, degli imprenditori
individuali, delle società commerciali di persone possiamo subito dire che in base all’articolo 55 bis del TUIR
il reddito di impresa prodotto da questi soggetti è determinato sulla base delle regole ires più le regole
speciali irpef e va escluso dalla formazione del reddito complessivo del soggetto e assoggettato a tassazione
separata con aliquota prevista in ambito ires, ovvero con aliquota proporzionale del 24%.
Se io sono una persona fisica imprenditore che oltre ai redditi di impresa produco altri redditi non posso
inserire nel coacervo lordo imponibile il reddito di impresa e il reddito ascrivibile ad un’altra categoria di
reddito ma devo tassare in modo separato il mio reddito di impresa che sarà soggetto all’aliquota prevista
per le società di capitali, per gli enti commerciali che è quella fissa del 24%.
Altre regole particolari che riguardano questi soggetti le vedremo durane l’esame dei singoli componenti
positivi e negative di reddito.

Regime dei beni di impresa


I beni di impresa sono i beni che compongono il patrimonio aziendale e si introduce la nozione di azienda,
l’azienda così come definita all’articolo 2555 del codice civile indica il complesso di beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
Questa nozione civilistica di azienda è più ristretta rispetto alla nozione di azienda che dobbiamo accogliere
in ambito fiscale, anche i beni non utilizzati per lo svolgimento della attività di impresa concorrono a
determinare il reddito.

130
Francesco Gruppelli
Nel caso di società commerciali i beni relativi all’impresa sono relativamente facili da individuare perché
sono tutti beni appartenenti alla società commerciale, beni che trovo classificati nello stato patrimoniale
come attivo circolante o come immobilizzazioni.
Il problema di invidiare i beni relativi all’impresa ce l’ho come riferimento agli imprenditori individuali e gli
enti non commerciali, Ovvero a quei soggetti che possono produrre non solo reddito di impresa ma
possono produrre anche una delle altre categorie di reddito indicate all’articolo 6 del TUIR, e quindi per
questi soggetti ho necessita di distinguere quali siano i beni relativi all’impresa dai beni che invece non sono
inerenti all’esercizio dell’attività commerciale.

Per capire quando un bene afferisce alla sfera fiscale dell’impresa la norma di riferimento che dobbiamo
considerare è l’articolo 65 del TUIR, questa norma ci dice che con riferimento alle società commerciali sono
beni di impresa tutti i beni che appartengono alla società commerciale, intendendosi per appartenenza la
situazione giuridica del titolare della proprietà o dell’altro diritto reale di godimento sul bene escludendo
quei beni che sono detenuti sulla base di un diritto personale di godimento.
Quindi se il bene detenuto sulla base di un titolo proprietario di uso o usufrutto è sicuramente un bene di
impresa da qualunque fonte esso provenga, se viceversa il soggetto società commerciale detiene un bene
in locazione incomodato questo non può essere scritto al novero dei beni di impresa.

Con riferimento invece alle imprese individuale e agli enti non commerciali, l’artico 65 ci dice che rientrano
nella nozione di beni di impresa i beni merce, quindi beni alla cui produzione e scambio è diretta la attività
commerciale, i beni strumentali e quindi i beni impiegati in modo durevole nell’impresa nell’ambito del
ciclo produttivo a cui è finalizzata l’attività commerciale e a scelta dell’imprenditore quei beni che
appartengono all’imprenditore individuale indicati nell’inventario tenuto a norma dell’articolo 2217 del
codice civile.

Per le società di fatto si considerano relative all’impresa i beni merci, strumentali, i beni mobili e immobili
iscritti a pubblici registri a nomi dei soci purché usati esclusivamente come beni strumentali per l’esercizio
dell’impresa.

Per le società di persone dobbiamo tenere in considerazione quanto ci dice l’articolo 6 comma 3 del TUIR,
ovvero che tutti i beni apparteniti alla snc, sas, da qualunque fonte provengano vanno determinati
unitariamente e sono considerati come beni dell’impresa suscettibili di generare un reddito di impresa.

È importante individuare il bene relativo all’impresa perché il bene di impresa quando entra nel patrimonio
aziendale generalmente da luogo ad un costo fiscalmente deducibile, al contrario quando il bene di impresa
esce dalla sfera giuridica dell’impresa, può generare un componente positivo di reddito quindi una
fattispecie imponibile.
Sicuramente importante capire se siamo di fronte ad un bene relativo all’impresa o meno ma è importante
anche distinguere quale natura ha il bene relativo all’impresa seguendo la tripartizione nota dal diritto
commerciale che distingue i beni dell’impresa in beni merce e beni plusvalenti, a loro volta distinti in
strumentali e meramente patrimoniali.
La collocazione di un bene all’interno di queste 3 categorie dipende dalla funzione che quel bene assolve
nel patrimonio dell’impresa e dipende altresì dalla destinazione che a quel bene è impressa dagli organi di
gestione dell’impresa.

Con riferimento ai beni merce, beni alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa, che
troviamo indicati nell’attivo circolante e che dobbiamo accomunare alle materie prime semilavorati, beni
mobili impiegati nella produzione.
La cessione a titolo oneroso di un bene merce genere quel componente positivo di redito che prende il
nome di ricavo.

131
Francesco Gruppelli
La secondo categoria dei reddito di beni comprende tutti quei beni di reddito relativi all’impresa che
possono invece generare una plusvalenza.
Sono beni strumentali, cioè i beni impiegati in modo durevole nell’ambito del processo produttivo
dell’impresa e i beni meramente patrimoniali, quei beni cioè che apportano un contributo alla formazione
del reddito lungo un arco di tempo di più esercizi, beni che hanno una finalità di investimento.
Beni strumentali possono essere strumentali per natura o destinazione, a seconda che siano suscettibili o
meno di una diversa destinazione, senza radicali trasformazioni, sono beni plusvalenti che seguono
l’applicazione di determinate modalità di determinazione della base imponibile.
Modalità che dobbiamo tenere distinte da quelle che invece presiedono alla determinazione del reddito
eventualmente conseguibile dei beni meramente patrimoniali.

La definizione di beni relativi all’impresa abbiamo detto necessaria ai fini della determinazione del reddito
di impresa, questo perché i componenti positivi o negativi che concorrono a determinare il reddito di
impresa sono collegati a questi beni.

Ad ogni bene è abbinato un valore fiscalmente riconosciuto, non è definito dal legislatore fiscale ma è
presupposto in varie disposizioni tributarie, è il valore assunto dal bene al momento del suo ingresso nel
patrimonio dell’impresa e fino a quando quel bene permane all’interno del patrimonio aziendale, quindi
per tutto il tempo in cui il bene resta all’interno della sfera giuridica dell’impresa il valore fiscalmente
riconosciuto costituisce il parametro per la quantificazione degli elementi reddituali collegati al bene.
L’elemento costitutivo iniziale del valore fiscalmente riconosciuto è rappresentato dal valore di acquisto se
il bene proviene all’esterno dell’impresa o di fabbricazione nel caso di produzione in proprio del bene.

Comprende anche gli oneri di diretta imputazione connessa all’acquisto e al suo inserimento nel ciclo
produttivo, quindi anche tutte quelle spese che il soggetto incontra ad esempio relative alla fase negoziale o
alla fase esecutiva ecc che consentono l’ingresso del bene nella sfera giuridica dell’impresa.

Non dobbiamo invece includere nel calcolo del valore fiscalmente riconosciuto gli interessi passivi e le
spese generali, se poi il costo subisce delle variazioni incrementativa o decrementative ad esempio per
l’effetto di ammortamenti, anche di queste variazioni dobbiamo tenerne conto ai fini della determinazione
del valore fiscalmente riconosciuto.

Le rivalutazioni non determinato un incremento del costo fiscale perche sono fiscalmente irrilevanti a meno
che una norma di legge non preveda esplicitamente il contrario.

Quindi con valore fiscalmente riconosciuto dobbiamo intende il costo, il prezzo pagato più gli oneri di
diretta imputazione, quindi tutto ciò che serve per inserirlo nel ciclo produttivo, esclusi gli interessi passivi e
i costi generali, ma includendo anche quelle variazioni incrementativa e decrementative che avvengono ad
esempio attraverso la procedura di ammortamento.

Lezione 19.2

Per continuare l’analisi dei redditi di impresa dobbiamo introdurre il tributo ires, significa imposta sul
reddito delle società, tributo introdotto dal 1 gennaio 2004 che sostituisce l’irpeg, che a sua volta ha
sostituito l’imposta sulla società del 1954, la quale colpiva il possesso di reddito e patrimonio e aveva una
funzione complementare su imposte cedolari.
Irpeg, imposta sul reddito delle persone giuridiche, introdotta nel 1974 colpiva in modo proporzionale e
personale il reddito delle società di capitali, il meccanismo allora o prevedeva un sistema bipartito, le
società di capitali venivano tassate su base irpeg mentre le società di persone erano tassate in base al
principio di trasparenza dell’articolo 5 del TUIR, come oggi.

132
Francesco Gruppelli
Dal 1 gennaio 2004 si applica l’ires, imposta diretta perche colpisce un indice diretto di capacità
contributiva, ovvero il possesso di reddito intendendo con possesso una relazione di tipo attrattività, non
quella relazione qualificata cosi come la descrive il codice civile, perché appunto con possesso ai fini fiscali
dobbiamo intendere la titolarità giuridica della fonte.
Ires è un imposta reale perche non è pensabile che il tributo sia collegato alla sfera personale o famigliare
del soggetto ed è tendenzialmente generale perché colpisce il reddito complessivo.
Esattamente come irpeg è un imposta proporzionale perché è costituita da un aliquota fissa che non varia
con il variare del reddito pari al 24%.

Articolo 73 del TUIR prevede quattro categorie di soggetti passivi.


1: società di capitali, cooperative e di mutua assicurazione residente ai fini fiscali nel territorio dello stato.
2: enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, che hanno per oggetto esclusivo e principale
l’esercizio di un attività commerciale, residenti ai fini fiscali nel territorio dello stato.
3: enti pubblici e privati che non hanno per fine esclusivo principale l’esercizio di un attività commerciale
ma che siano residenti ai fini fiscali nel territorio dello stato
4: enti di ogni tipo con o senza personalità giuridica non residenti nel territorio dello stato.

Quindi i soggetti passivi dell’ires sono individuati dal legislatore sulla base di due criteri, avere o meno
natura commerciale, come tipico delle società di capitali e l’essere o meno residenti ai fini fiscali nel
territorio dello stato italiano.
Ai fini della determinazione della base imponibile dell’ires, noi dovremmo raggruppare e tenere unite le
categorie 1 e 2 perché il reddito viene determinato in modo unitario a partire dal conto economico.

Una regola di determinazione dell’imponibile diversa invece è prevista per la categoria per gli enti non
commerciali residenti perché il reddito è formato dai redditi di ciascuna categoria di cui all’articolo 6 esclusi
i redditi di lavoro, è quindi determinato sulla base delle norme irpef in modo separato secondo le regole di
determinazione di ciascuna categoria di reddito che abbiamo già visto.

Gli enti non residenti seguono una ulteriormente diversa modalità di determinazione della base imponibile
che si distingue a seconda che l’ente non residente abbia o meno nel territorio dello stato una cosiddetta
stabile organizzazione.

Il legislatore intende sia il soggetto collettivo pubblico che quello privato, con o senza personalità giuridica,
a prescindere dalla forma particolare e giuridica che il soggetto ha acquistato secondo la legislazione del
proprio stato estero di appartenenza e va considerato soggetto passivo anche il trust, come noto è un
contratto i fini civilistici ma ai fini fiscali può essere un soggetto autonomo a cui sono imputi direttamente
gli effetti giuridici.
A partire dal 2006 il trust viene annoverato espressamente nella categoria dei soggetti ires.
Attraverso il contratto di trust abbiamo un disponete che trasferisce dei beni o diritti ad un altro soggetto
amministratore chiamato trust te a favore di un determinato beneficiario o per un determinato scopo.
Nel caso in cui il beneficiario sia individuato nel contratto istitutivo del trust, esso si definisce trasparente e
in questo caso la tassazione sarà imputata per trasparenza in capo ai beneficiari.
Viceversa se non sono individuati il trust si definisce opaco e in questo caso il trust stesso diventa soggetto
passivo ires e diventa quindi un centro autonomo di effetti tributari.

Articolo 74 del TUIR ci esplicita il fatto che non sono soggetti passive ires gli organi e l’amministrazione dello
stato anche se dotati di personalità giuridica, quindi comuni province e regioni non generano reddito di
impresa.

Esaminiamo in modo approfondito questi due criteri essenziali, per distinguere i soggetti passivi ires, che
sono quelli della commercialità e della residenza ai fini fiscali:

133
Francesco Gruppelli
Si definisce ente commerciale l’ente che ha per oggetto esclusivo principale lo svolgimento di un attività
commerciale, oggetto esclusivo principale, come dice l’articolo 55 del TUIR, è quello determinato sulla base
della legge se l’ente ha natura pubblica o in base all’atto costitutivo o statuto se l’ente ha natura privata, a
condizione che l’atto costitutivo e statuto esistano nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata
autenticata o registrata.

Per sapere qual è l’oggetto dell’ente, se ha natura commerciale o meno, io devo andare a leggermi la legge,
se l’ente è pubblico, o lo statuto e/o l’atto costitutivo nelle particolari forme richieste dalla legge, se l’ente
ha natura privata.
Se manca l’atto costitutivo o statuto l’oggetto principale va verificato sulla base dell’attività effettivamente
esercitata dal soggetto.

Nel caso invece di ente che esercita più attività tra loro differenti dobbiamo andare a vedere qual è l’attività
considerabile essenziale ai fini della realizzazione diretta degli scopi primari del soggetto, analisi di tipo
qualitativo ascrivendo natura commerciale all’ente che svolge tra le tante attività in modo essenziale, un
attività di carattere commerciale.

La nozione di commercialità presuppone la nozione di economicità, quest’ultima però non è definita dalla
legge, possiamo intendere la capacità di generare un profitto, quindi l’avere il soggetto una politica di prezzi
rivolta all’accrescimento del capitale, quindi generare un profitto, un qualcosa che ecceda i costi, oppure
possiamo intendere economicità come mera remunerazione dei fattori della produzione, quindi il soggetto
che si limita a pareggiare i costi è comunque un soggetto economico, o in fine possiamo intendere come
economico lo svolgimento di quell’attività che non eccede i costi di diretta imputazione.
Sulla base delle norme del TUIR possiamo considerare come accolta dal legislatore del TUIR la seconda
accezione di economicità, ovvero quel l’accezione che ci dice che se il nostro ente è in grado di pareggiare i
costi, di remunerare i fattori della produzione senza per questo generare un profitto, va comunque
considerato un ente economico.

L’ente economico non è detto che sia un ente commerciale, per capire cosa si intende per commerciale
dobbiamo andare a leggere l’articolo 2195 del codice civile e vedere quale rilevanza ha questo articolo ai
fini tributari sulla base di quanto ha indicato il legislatore fiscale nell’articolo 55 del TUIR, il quale ci dice che
per esercizio di impresa commerciali si intende l’esercizio per professione abituale ancorché non esclusiva,
di una delle attività di cui al 2195.
La norma fiscale fa quindi un invio recettizio, materiale all’atto e non alla fonte, alla norma civilistica, ed
quest’ultima elenca tutta una serie di qualità qualificabile ai fini civilistici come commerciali.
Queste attività sono industriale, non artigianale, di trasformazione dei beni impiegati, attività di produzione
di beni o servizi, attività di commercio in senso stretto, attività di traposto, attività bancaria assicurativa e
attività ausiliarie alle precedenti.
La norma fiscale non si limita a rinviare cos’è definito commerciale ma aggiunge anche se l’attività non è
organizzata in forma di impresa, distinzione fondamentale tra la nozione di imprenditore ai fini fiscali e
nozione di imprenditore ai fini civilistici perche se noi leggiamo le norme del codice civile e in particolare
l’articolo 2082 leggiamo che è definito imprenditore colui che organizza energie umane di terzi, dei
lavoratori che assume, e i beni materiali, macchinari attrezzature e merci, in vista del raggiungimento
dell’oggetto dell’attività.

Quindi ai sensi della nozione civilistica di imprenditore, affinché vi sia impresa è necessario che vi sia
organizzazione.
Questo requisito di mettere insieme energie umane di terzi e beni materiali e orientare queste energie in
funzione dell’oggetto dell’attività per raggiungere il risultato finale non è necessaria per attribuire rilevanza
commerciale alle attività elencate nel 2195 ai fini fiscali.
La definizione dell’articolo 55 poi parla di professione abituale ancorché non esclusiva, secondo un inciso
che abbiamo già trovato nella definizione di redditi di lavoro autonomo.

134
Francesco Gruppelli
La nozione di abituale va riferita a tutte le attività dell’articolo 55 e significa stabilità, regolarità, protrarsi
nel tempo dell’attività, quindi anche un solo affare può dare luogo ad un reddito di impresa.
Abitualità Non va confuso con continuatività, così come abitualità non va confusa con occasionalità, che è
l’esatto opposto, perche in caso di produzione di reddito attraverso una di quelle attività dell’articolo 55 in
modo occasionale la qualificazione dovrà essere sotto forma di redditi diversi.

L’esercizio per professione abituale via poi riferito non solo alle attività di cui al 2195 ma anche a quelle
altre attività indicate dall’articolo 55, che fa infatti riferimento alle attività che generano reddito agrario
sulla base dell’articolo 32 del TUIR che invece devono essere considerate come produttive di reddito di
impresa se cedono i limiti che abbiamo visto elencati all’articolo 32 del TUIR ( attività dei mangimi e attività
di trasformazione di prodotti agricoli ).

Questo ci porta a dire che la nozione di imprenditore a fini fiscali da un lato è più ampia della nozione di
imprenditore ai fini civilistici perché ai fini civilistici è richiesto il requisito dell’organizzazione che può
invece mancare ai sensi della definizione di cui all’articolo 55 per attribuire rilevanza a quell’attività sotto
forma di reddito di impresa, ma nello stesso tempo è più ristretta perche non tutte le imprese agricole
producono reddito di impresa, lo producono solo quelle imprese che eccedono i limiti fissati dell’articolo 32
perche nel caso in cui questi limiti fissarti dell’articolo 32 siano rispettati avremmo la produzione di redditi
fondiari.

Il secondo comma dell’articolo 55 poi considera sempre commerciali le attività che consistono nella
prestazione di servizi se organizzate in forma di impresa, se l’articolo 2195 parlava di produzione di servizi e
la produzione di servizi ai sensi del primo comma dell’articolo 55 genera reddito di impresa anche se non
organizzata in forma di impresa, la prestazione di servizi, quindi un attività non inclusa nell’elenco di cui
all’articolo 2195 rileva ai fini fiscali ed è produttiva di reddito di impresa solo se organizzata in forma di
impresa.
Si deve quindi trattare di un attività diretta alla prestazione di servizi e vanno invece escluse da questa
fattispecie le attività che consistono nella cessione di beni e quelle attività diverse da quelle che rientrano
nella previsione di cui all’articolo 2195.
La prestazione di servizi l’abbiamo già visto, configura l’oggetto del contratto d’opera e quindi
generalmente è produttiva di reddito di lavoro autonomo, la differenza tra reddito di lavoro autonomo e
reddito di impresa consiste quindi nella presenza o meno di una organizzazione in forma di impresa, se c’è
organizzazione, la prestazione di servizi diventa produttiva di reddito di impresa, se non c’è organizzazione
in forma di impresa la prestazione di servizi da luogo all’attività di esercizio di arte e professione e quindi
genere in reddito di lavoro autonomo.

Il secondo comma dell’articolo 55 ci dice che dobbiamo considerare produttive di reddito di impresa anche
le attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi e altre acque interne.

Infine sempre per definire che cosa è produttivo di reddito di impresa dobbiamo tenere in considerazione
ciò che dice articolo 6 comma 3 del TUIR che abbiamo già visto.
Questa disposizione ci dice che i redditi dai terreni per la parte derivante dall’esercizio delle attività agricole
anche se esercitate rispettando le soglie di cui all’articolo 32, generano redditi di impresa se il reddito è
imputabile a snc o sas o nel caso in cui il reddito sia imputabile ad una stabilire organizzazione di una
persona fisica non residenti in italia.
Quindi se l’attività agricola è svolta da enti commerciali sotto forma di snc o sas per il principio di attrazione
nell’ambito del reddito di impresa anche questa attività agricola che pur rispetta i limiti dell’articolo 32, e
quindi se questa attività fosse stata svolta da una persona fisica avrebbe generato un reddito fondiario
invece imputabilità dell’attività agricola a questi particolare soggetti attrae il reddito all’interno della
categoria del reddito di impresa e quindi andrà qualificato in questi termini.

135
Francesco Gruppelli
Quali sono gli enti collettivi che possono generare un reddito di impresa?
Innanzitutto le società commerciali di persone e di capitali e gli enti commerciali residenti ai fini fiscali in
italia.
Con riferimento alle società commerciali di persone, l’articolo 6 comma 3 ci dice che i redditi delle società
in nome collettivo e in accomandita semplice, posto che le ss non possono mai avere natura commerciale,
da qualsiasi fonte provengano e quale ne sia l’oggetto sociale, siano sempre considerati redditi di impresa e
sono determinati unitariamente secondo le norme relative a questi redditi.

Società di capitali sono quei soggetti in cui l’elemento del capitale ha una prevalenza concettuale e
normativa rispetto all’elemento soggettivo rappresentato dai soci e la partecipazione dei soci al capitale
sociale può essere rappresentata da azioni o quote a seconda della specifica tipologia societaria.

Gli enti commerciali sono quegli enti pubblici diversi però dagli organi e amministrazioni dello stato o gli
enti privati a condizione che esercitino un attività commerciale in modo esclusivo o principale.
In questa nozione quindi rientrano i caf, icr, trust, questo perche tra gli enti pubblici e privati dobbiamo
includere sia quelli dotati di personalità giuridica sia quelli che ne sono privi purché dotati di organizzazione
unitaria e autonoma, qualsiasi formazione sociale può anche essere destinataria di situazioni giuridiche
soggettive che fanno scattare l’imposizione su base ires.

La seconda categoria di soggetti che possono produrre il reddito di impresa sono gli enti non commerciali
residenti ai fini fiscali in italia, qualora esercitino in via secondaria un attività di natura commerciale e infine
possono produrre reddito di impresa i soggetti non residente siano essi commerciali o non commerciali, in
questo caso come anticipato rileva la residenza o meno del territorio dello stato di una cosiddetta stabile
organizzazione.

Lezione 20.1

Articolo 81 del TUIR, codifica un principio a cui abbiamo già fatto riferimento ovvero il principio di
attrazione.
L’articolo ci dice che, con riferimento alle categorie di soggetti passivi di cui alle lettere a e b dell’articolo 73
comma 1, per quanto riguarda le societa di capitali residenti e gli enti commerciali residenti siamo sempre
in presenza di reddito di impresa.
Significa che di fronte a fattispecie regolamentate in base agli articoli previsti per altre categorie di reddito
nei confronti di queste due categorie di soggetti la qualificazione che dobbiamo dare è sempre in termini di
reddito di impresa.
Quindi ad esempio se una società di capitali possiede un immobile di patrimonio che non costituisce bene
strumentale per l’esercizio dell’impresa, il reddito derivante da questo immobile non andrà qualificato in
termini di reddito fondiario, ma andrà incluso nel reddito dichiarato dalla società.

Con riferimento alle società di persone commerciali, quindi snc e sas, articolo 6 comma 3 del TUIR ci dice
che sia i redditi da qualsiasi fonte provengano e sia l’oggetto sociale sono considerati sempre redditi di
impresa.

La nozione di commercialità che ricaviamo dall’articolo 55 del TUIR ci serve unicamente per distinguere
imprenditore individue e persone fisiche, i redditi che concorrono a formare il reddito complessivo della
persona fisica e ci serve la nozione dell’articolo 55 per distinguere i redditi di impresa dai redditi che invece
sono prodotti della persona fisica e dobbiamo qualificare in base alle altre categorie di reddito.
Così come ci serve per gli enti non commerciali, in quanto se esso svolge in via secondaria attività
commerciale, quest’umiltà andrà qualificata come produttiva di reddito di impresa.

Se la forza di attrazione ci dice che qualsiasi provento conseguito nell’ambito dell’attività di impresa va
qualificato come reddito di impresa senza aver riguardo alla categoria reddituale di appartenenza e quindi

136
Francesco Gruppelli
se la società di capitale residente detiene una partecipazione in una società a seguito della quale viene
staccato un dividendo, quest’ultimo non costituisce reddito di capitale ma reddito di impresa.
Il principio di prevalenza, che discende dal principio generale di onnicomprensività, ci dice che il concetto di
reddito colto dal legislatore fiscale nel momento in cui ha disciplinato le regole di rilevanza fiscale dei
componenti positivi e negativi di reddito nell’ambito della categoria dei redditi di impresa ha accolto una
nozione di reddito non solo come fonte e prodotto ma anche come entrata e quindi anche le somme
ricevute a titolo di liberalità costituiscono reddito imponibile per impresa.

Affrontiamo la categoria degli enti non commerciali residenti: l’articolo 143 del TUIR ci dice che dobbiamo
determinare il reddito complessivo calcolando i redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi ovunque
prodotti e quale ne sia la destinazione imputabile all’ente non commerciale residente.
Esattamente come le persone fisiche, per gli enti non commerciali non dobbiamo conteggiare quei redditi
esenti dall’imposta soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva perche questi
sono tutti casi che determinano un precedente assolvimento dell’obbligazione tributaria.
Con specifico riferimento agli enti non commerciali, articolo 143 del TUIR ci dice che non concorrono alla
formazione del reddito complessivo nemmeno i fondi raccolti durante manifestazioni pubbliche occasionali
ne i contributi corrisposti da pubbliche amministrazioni per lo svolgimento di attività con finalità sociale in
regime di convinzione o accreditamento.

Quindi importante distinguere l’ente non commerciale dall’ente commerciale, proprio perché le regole di
determinazione della base imponibile sono molto diverse, posto che sono enti non commerciali residenti,
gli enti pubblici o privati diversi dalle società e dai trust, che non hanno per oggetto esclusivo e principale
l’esercizio di un attività commerciale e che siano residenti ai fini fiscali nel territorio dello stato, per
distinguere l’ente non commerciale da l’ente commerciale dobbiamo individuare quale l’attività essenziale
che il soggetto mette in campo per il raggiungimento dei sui scopi, e per fare ciò dobbiamo fare riferimento
all’oggetto sociale se determinato dalla legge e dallo statuto o atto costitutivo, nel caso in cui non siano
disponibili l’oggetto sociale in questi atti formali, dobbiamo fare riferimento dal punto di vista sostanziale
all’attività effettivamente esercitata nel territorio dello stato.

Se l’attività istituzionale dell’ente non commerciale deve avere natura non commerciale, quindi deve essere
un attività culturale, sociale ecc è sempre presente questa attività che caratterizza la natura dell’ente non
commerciale, il soggetto può svolgere in via secondaria un attività commerciale evidentemente in modo
non esclusivo e prevalente, ad esempio un attività commerciale può essere svolta per reperire i fondi
commerciali alla vita istituzionale dell’ente.
Rispetto all’attività commerciale svolta in via secondaria dobbiamo tenere conto però che il legislatore
fiscale ha precisato che non da luogo ad attività commerciale la prestazione di servizi resa senza
organizzazione quando il corrispettivo non eccede i costi i diretta imputazione, quindi se il bar del oratorio
svolge un servizio di ristorazione ma fa pagare un prezzo pari al costo del cibo, questa attività sicuramente
non potrà essere considerata commerciale.

Prevede un corrispettivo che non eccede i costi di diretta imputazione abbiamo già detto essere
sicuramente un attività economica caratterizzata dal requisito di economicità ma non della commercialità ai
sensi dell’articolo 143 del TUIR.
Così pure il legislatore considera non commercializzate le attività che sono svolte da associazioni politiche,
sindacali, religiose, sportive dilettantistiche, allorquando questi soggetti per il raggiungimento per i fini
istituzionali, prevedono dei corrispettivi specifici per i loro membri, le quote associative che possono essere
richieste per il finanziamento di questi soggetti non costituiscono attività commerciale e quindi non danno
mai luogo a reddito di impresa.

Al di fuori di questi casi se l’ente non commerciale svolge in via secondaria, perché altrimenti assumerebbe
natura commerciale, attività commerciale è tenuto ad istituire una contabilità separata per tenere distinti i

137
Francesco Gruppelli
beni relativi all’esercizio dell’attività di impresa dagli altri componenti imputabili dalle altre attività non
commerciali svolte dall’ente.

Indipendente dalle previsioni statutarie, se l’ente perde la qualifica di ente non commerciale perché diventa
prevalente l’attività commerciale, e lo svolgimento di questa attività non commerciale avviene per un intero
periodo di imposta, il soggetto perde retroattivamente la qualifica di ente non commerciale, quindi a
decorrere dall’inizio del periodo di imposta in cui sono venute meno le condizioni che consentono di avere
la qualifica di ente non commerciale, il soggetto assumerà la qualifica di ente commerciale e sarà quindi
tenuto a rideterminare la propria base imponibile tenendo conto delle regole specifiche dettate per gli enti
commerciali.

Questa regola sulla perdita della qualifica di ente non commerciale non si applica agli enti ecclesiastici
riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili e non si applica nemmeno alle associazioni sportive
dilettantistiche.

Per verificare la prevalenza o meno dell’attività commerciale su quella non commerciale, l’articolo 149
detta alcuni criteri, sono quelli della prevalenza, delle immobilizzazioni, dei ricavi, dei costi e degli stessi
redditi che provengono dall’attività commerciale rispetto ai componenti derivanti dall’attività teoricamente
non commerciale.
Guardando ad immobilizzazioni, ricavi, costi e redditi si può individuare qual è l’attività prevalente svolta
dall’ente.

Gli enti non commerciali quindi sono soggetti passivi ires la cui base imponibile viene determinata dalla
somma dei redditi fondiari, diversi, di impresa e di capitale e quindi dobbiamo prima determinare i singoli
tipi di reddito sulla base delle regole che abbiamo già visto in ambito irpef e dobbiamo poi sommare tutti i
rediti prodotti perché ires si applica sul reddito complessivo e dopo di che essendo l’ente non commerciale
soggetto passivo ires andare ad applicare aliquota ires del 24%.

Questo è il regime ordinario di tassazione degli enti non commerciali, è possibile optare per un regime
forfettario se ricorrono i requisiti per la contabilità semplificata e questo regime forfettario disciplinato
all’articolo 145 del TUIR prevede che i ricavi prodotti nell’ambito dell’attività commerciale svolta in via
secondaria dall’ente non commerciale siano moltiplicati per un coefficiente di redditività che varia a
seconda della classe di appartenenza dell’ente non commerciale.

Tanto nel caso del regime ordinario quanto nel caso del regime forfettario è fatto obbligo di tenere una
contabilità separata e quindi devono essere mantenute distinte le attività commerciali eventualmente
esercitate dal soggetto non commerciale.
Adesso esaminiamo l’altro criterio, in base al quale articolo 77 del TUIR individua i soggetti passivi ires.
Questi ultimi, come le persone fisiche in ambito irpef, sono distinte in persone giuridiche residenti e
persone giuridiche non residenti.
Esattamente come abbiamo visto in ambito irpef, se il soggetto è residente si segue il principio della
tassazione su base mondiale e quindi saranno assoggettabili ad imposta in italia tutti i redditi ovunque
prodotti dal soggetto nel mondo, se viceversa il soggetto è qualificato come non residente ai fini fiscali si
segue un principio di tassazione su base territoriale e quindi andranno assoggettate a tassazione solo i
redditi che si considerano prodotti entro i confini nazionali.

L’articolo 73 del TUIR ci dice quando una persona giuridica è considerata residente ai fini fiscali in italia,
esattamene come per le persone fisiche articolo 2 del TUIR si guarda alla maggior parte del periodo di
imposta, quindi i criteri stabiliti dal legislatore devono trovare realizzazione per almeno 183, 184 giorni in
un anno.

138
Francesco Gruppelli
I criteri a cui dobbiamo fare riferimento sono il criterio formale della sede legale, il criterio dell’oggetto
principale dove si svolge l’attività di impresa e il criterio della sede amministrativa, dove sono assunte le
decisioni gestionali relative alla persona giuridica.

A fine antielusivi sono poi previste delle presunzioni relative che ad esempio dicono che si considera
esistere nel territorio dello stato la sede dell’amministrazione di società ed enti che detengono
partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali se in alternativa sono controllati da
soggetti residenti nel territorio dello stato o sono amministrati da un cda composto in prevalenza da
consiglieri residenti nel territorio dello stato.
La presunzione ci dice di risalire alla catena di controllo perché se la controllante è residente nel territorio
dello stato anche la controllata andrà considerata residente ai fini fiscali nel territorio dello stato, oppure
vai a vedere la composizione dei membri del cda, perché se i consiglieri sono per la maggiore parte
residenti ai fini fiscali nel territorio dello stato, allo stesso modo dovrà considerarsi la persona giuridica.

Altra presunzione è quella che riguarda le società ed enti il cui patrimonio è investito prevalentemente, più
del 50% in quote o fondi di investimento immobiliare chiuso controllati tramite fiduciarie o interposta
persona da soggetti residenti in italia, di nuovo risali alla catena di controllo per andare a vedere se il
controllo effettivo è da parte di un soggetto residente in italia. Con riferimento alla residenza del trust
dobbiamo andare a vedere dove ha residenza il trust te, l’amministratore dei beni segregati in trust.

Se siamo di fronte ad un ente o una società non residente, quindi ad un soggetto passivo ires, dobbiamo
distinguere a seconda che il soggetto non residente abbia o non abbia stabile organizzazione in Italia.
Con stabile organizzazione la troviamo nell’articolo 162 del TUIR, riprende la nozione che troviamo
nell’articolo 5 del modello di convenzione OCSE.
Ci dice che si definisce stabile organizzazione la sede fissa d’affari, attraverso la quale l’impresa non
residente ai fini fiscali esercita la sua attività nel territorio italiano.
Con sede fissa d’affari si intende la filiale, la sede secondaria, L’Unità locale, l’ufficio di rappresentanza o
anche il cantiere, il magazzino che il soggetto non residente possedere all’interno dei confini del territorio
italiano e attraverso il quale conclude contratti in italia.
La stabile organizzazione la dobbiamo considerare alla stregua di un criterio di localizzazione territoriale, un
criterio cioè di collegamento che permette al fisco italiano di assoggettare a tassazione il reddito prodotto
dal soggetto non residente.
Questo criterio di collegamento tra il nostro paese e l’attività di impresa svolta in italia dal soggetto non
residente può anche essere rappresentato da un soggetto o persona fisica, quindi la stabile organizzazione
può essere materiale, consistere in un luogo o un edificio specifico, sia in una persona fisica, se il
collegamento tra il soggetto non residente, il nostro paese è attraverso la persona fisica ricorre la figura del
cosiddetto agente dipendete, ovvero la persona fisica che conclude abitualmente contratti in nome
dell’impresa straniera e trasferisce i beni e diritti dei contratti che conclude all’impresa straniera.
Quindi è un soggetto che dipende dalla casa madre straniere e che opera in italia appunto per generare un
reddito imputabile al soggetto non residente.

Se il soggetto non residente ai fini fiscali in italia ha una stabile organizzazione in Italia, l’articolo 152 del
TUIR ci dice che dobbiamo determinare la base imponibile facendo riferimento alle regole che sono dettate
per le prime due categorie di soggetti passivi ires, e quindi per le società di capitale i gli enti commerciali
residenti.
Questo significa che la stabile organizzazione dovrà essere dotata di un apposito conto economico nel quale
troveranno evidenza i redditi di impresa prodotti in Italia.
Se infatti ricorre la figura della stabile organizzazione vale il principio di attrazione per il quale tutti i redditi
prodotti in italia rientrano nella categoria dei redditi di impresa, tutto ciò che produce la stabile
organizzazione va qualificato come reddito di impresa.
Dobbiamo assoggettare a tassazione tutto ciò che viene prodotto tutte le attività che sono esercitate
all’intento del territorio dello stato italiano da parte della stabile organizzazione.

139
Francesco Gruppelli
Vale come criterio di collegamento del soggetto non residente ai fini fiscali in italia, con l’ente impositore,
con il fisco italiano.

Se invece il soggetto non residente non detiene una stabile organizzazione in Italia la tassazione avviene in
base alle regole relative alle singole categorie irpef di appartenenza.
Non vale quindi in questo caso il principio di attrazione per il quale tutti i redditi prodotti in italia rientrano
nella categoria dei redditi di impresa.
In questo caso dobbiamo procedere separatamente per ciascuna categoria reddituale considerando le
specifiche regole di determinazione della base imponibile e previamente dobbiamo accertarci se e come il
soggetto non residente produce reddito in Italia, dobbiamo andare a vedere i criteri dettati dell’articolo 23
per individuare quali redditi derivano da attività o prestazione svolte dal soggetto non residente nel
territorio dello stato.

Ad esempio articolo 23 ci dice che i redditi di capitali si considerano prodotti nel territori dello stato italiano
se sono corrisposti dallo stato o da soggetti residenti in Italia.
Quindi se l’ente, il soggetto non residente, riceve un dividendo da parte di un soggetto residente in italia
quel cespite si considerare prodotto in Italia e sarà assoggettato a tassazione in capo al soggetto non
residente in quanto reddito di capitale prodotto su suolo italiano.

Per i redditi di lavoro di dipendente bisogna vedere se l’attività è stata prestata nel territorio dello stato,
per i redditi di lavoro autonomo bisogna vedere se l’attività è stata esercita nel territorio dello stato, per i
redditi diversi bisogno vedere se l’attività è stata svolta o se il bene si trova nel territorio dello stato nel
momento della sua cessione.

Lezione 20.2

Esame delle regole di determinazione delle società di capitali ed enti commerciali residenti ai fini fiscali
nello stato.

Iniziamo dal principio di derivazione


Esame del principio di derivazione comporta una analisi dei cosiddetti principi contabili, i quali sono da
alcuni indicati come regole tecniche ma non giuridiche, regole cioè che hanno un effetto pratico ma non
una rilevanza giuridica posto che se io non osservo una principio contabile non ho una sanzione dal punto
di vista giuridico, da altri invece i principi contabili sono considerati alla stregua di regole giuridiche aventi lo
status giuridico della norma che richiama i principi contabili, quindi seconda questa seconda teoria sono
fonti del diritto.
Seconda una terza teoria, maggioritaria e sicuramente preferibile, i principi contabili costituiscono delle
regole interpretative e integrative delle norme giuridiche a cui dobbiamo ricorrere nel caso in cui la norma
giuridica non disciplini un determinato caso di specie.

Sappiamo che ci sono principi contabili nazionali che hanno una funzione integrativa delle regole di
bilancio, i OIC, e ci sono anche principi contabili internazionali.
A seguito del processo di omologazione comunitario questi principi contabili internazionali sono stati
recepiti anche in Italia sulla base di un regolamento dell’Unione europea. In particolare il così detto
regolamento IAS impone a tutte le società quotate dell’Unione europea di redigere il loro bilancio
consolidato secondo i principi contabili internazionali.
Questo regolamento è strato poi recepito in Italia attraverso il decreto legislativo 38 del 2005.

Come si vede nello schema il regolamento IAS è obbligatorio per esclusivamente casi molto circoscritti,
ovvero il bilancio consolidato delle società quotate, società con strumenti finanziari diffusi, banche ed enti
finanziari vigilati e a partire dal 2006 nel caso del bilancio individuabile di questi soggetti.
Gli IAS sono obbligatori per il bilancio consolidato per le assicurazioni quotate e non quotate.

140
Francesco Gruppelli
Dal puto di vista del contenuto l’architettura dei principi contabili internazionali è volta a fornire una
rappresentazione veritiera e corretta delle risultanze del bilancio rispetto a tutti gli stakeholders, ovvero
tutti i soggetti portatori di un interesse rispetto ad una iniziativa economica.
I principi contabili internazionali sono volti ad obbligare il redattore del bilancio a fornire informazioni sulla
situazione patrimoniale e finanziaria sull’andamento economico, sui cambiamenti della situazione
dell’impresa, utili alla più ampia serie possibile di utilizzatori che devono prendere decisioni in campo
economico.

Tra i postulati di bilancio importanti previsti nell’ambito dei principi contabili internazionali noi troviamo il
principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica.
Questo principio è implicito nel concetto di rappresentazione fedele che ci dice che l’informazione
bilancistica deve essere un informazione completa, neutrale e priva di errori.
Con riferimento invece ai principi contabili nazionali il decreto legislativo 139 del 2015 è intervenuto
sull’articolo 2423 bis del codice civile sostituendo il riferimento all’obbligo di valutazione delle voci di
bilancio, tenendo conto della funzione economica, con la formula innovativa secondo cui la rilevazione e
presentazione delle voci deve essere effettuata tenendo conto della sostanza dell’applicazione o del
contratto.
Quindi nel 2015 a seguito della modifica della norma civilistica abbiamo un avvicinamento e convergenza
dei principi contabili nazionali ai principi contabili internazionali perché anche quelli nazionali prevedono il
rispetto e prevalenza della sostanza sull forma, come prevedevano già i principi contabili internazionali.

La convergenza tra i principi contabili nazionali ai principi contabili internazionali ha portato ad un


adeguamento degli schemi dello stato patrimoniale e del conto economico con l’introduzione dell’obbligo
di redazione del rendiconto finanziario, una parte nuova che non era prevista nel regime previgente e con
l’affermazione dei principi generali della rilevanza e delle prevalenza della sostanza economica sulla forma
giuridica.
Principio della rilevanza serve per dare delle informazioni economiche utili a chi deve prendere delle
decisioni e principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica la rilevazione e
presentazione delle voci deve essere effettuata tenendo conto della sostanza dell’operazione o del
contratto.
Rilevante è quindi quell’informazione che può influenzare le decisioni prese dai destinatari primari di
quell’informazione e quindi questo significa che non occorre rispettare gli obblighi in tema di rilevazione,
valutazione e presentazione quando la loro osservanza ha degli effetti irrilevanti ai fini della
rappresentazione veritiera e corretta che deve essere fornita, viceversa o prevalenza della sostanza sulla
forma significa individuazione dei diritti ed obblighi delle condizioni ricavabili dai termini contrattuali delle
transazioni.

Vediamo ora quali principi seguire, quale modello di bilancio adottare:


Sappiamo che ci sono 3 forme di bilancio, ordinario, abbreviato e il bilancio delle microimprese e a ciascuna
forma di bilancio corrisponde un diverso set di documenti da presentare e vi sono diversi criteri di
redazione da seguire.
Rispetto al modello di bilancio da adottare se un modello di bilancio segue i principi contabili nazionali o un
modello di bilancio che segue i principi contabili internazionali, dobbiamo distinguere a seconda delle
società, se siano o meno quotate.

Nel caso di società non quotate che non rientrano nei parametri per la redazione del bilancio abbreviato, il
regime naturale è quello dell’osservanza dei principi contabili nazionali.

141
Francesco Gruppelli
Così pure quelle società che rientrano nei parametri per la redazione del bilancio abbreviato o micro, per
questo soggetti è fatto obbligo, a differenza delle società non quotate che non hanno l’obbligo, ricorrere
alla redazione secondo i principi contabili nazionali.

Per quanto riguarda le società quotate i principi contabili internazionali si applicano d’obbligo rispetto quei
casi che menzionavamo prima.
È fatta facoltà per le società non quotate che non rientrano nei parametri per la redazione del bilancio
abbreviato, di scegliere il luogo del regime naturale caratterizzato dai principi contabili nazionali, possono
scegliere i principi contabili internazionali.

Quale fiscalità abbiniamo a fronte delle scelte relative ai principi contabili seguiti nella redazione del
bilancio:
la finalità dei principi contabili è diversa dalla finalità perseguita dal legislatore fiscale, perché in ambito
bilancistico c’è un esigenza di tutela degli stakeholders e quindi l’esigenza di dare delle informazioni utili
per prendere delle decisioni e quindi informazioni ai creditori per la tutela del loro capitale, agli investitori e
soci di minoranza, agli amministratori per capire quali decisioni assumere.
In ambito fiscale la ragione di fondo è diversa, in quanto dobbiamo determinare il reddito imponibile che
rispecchi il più possibile la capacità contributiva del soggetto passivo, un esigenza totalmente diversa.

A fronte di questa esigenza informativa diversa, per i soggetti che applicano i principi contabili
internazionali avremo in ambito fiscale un principio di derivazione rafforzata, avremmo questo principio
anche per le imprese non micro che seguono i principi contabili nazionali, avremo invece un principio di
derivazione semplice per le microimprese che seguono i dettami del codice civile e dei principi contabili
nazionali.

Ai fini della determinazione della base imponibile il punto di partenza imprescindibile è l’utile o la perdita
risultante dal conto economico, il reddito imponibile si determina per dipendenza dal risultato di bilancio,
dal quale dobbiamo partire per procedere all’applicazione delle specifiche norme fiscali.
Si parte dal conto economico perché è considerato la fonte più attendibile della capacità contributiva del
nostro ente commerciale o della nostra società di capitali.

Infatti sappiamo che la redazione del bilancio è obbligatoria soltanto per le società di capitali e che il
bilancio attesta per le imprese l’attendibilità del reddito dichiarato, se partiamo dal conto economico
abbiamo la garanzia che l’imposizione sia commisurata all’effettivo ricchezza prodotta dal soggetto e quindi
che la tassazione sia commisurata all’effettivo capacità contributiva del soggetto.

La derivazione tuttavia non è totale, il dato di bilancio rappresenta solo input di partenza al quale applicare
le variazioni derivanti dall’applicazione delle norme fiscali.
Da qui desumiamo che le norme fiscali non hanno carattere esaustivo, perché se diciamo che fiscalmente
rilevante il risultato del conto economico dobbiamo dire che indirettamente sono rilevanti tutti i
componenti positivi e negativi che concorrono a determinare quel risultato. Le norme fiscali non sono
norme esaustive ma hanno bisogno di appoggiarsi al dato bilancistico.
L’altra considerazione che dobbiamo fare è che non essendo la derivazione totale ma essendo il risultato di
bilancio solo il punto di partenza per individuare il tributo applicabile, noi avremo sempre due valori
necessariamente diversi, avremo cioè un risultato civilistico diverso dal risultato fiscale.

Queso esito però già scontato e già prevedibile sulla base della considerazione che lo scopo della normativa
civilistica è dare un informazione a tutti coloro che vogliono entrare in rapporto con azienda, scopo della
normativa fiscale è la determinazione dell’imponibile secondo il principio costituzionale di capacità
contributiva.

142
Francesco Gruppelli
Si parte sempre dal bilancio civilistico, dall’utile lordo che individuiamo nel bilancio civilistico al quale
applichiamo le variazioni in aumento o in diminuzione.
Le variazione sono degli aggiustamenti fiscali al risultato di esercizio che hanno la funzione di consentire
all’amministrazione finanziaria di avere stabilità e margini certi delle entrate finanziarie e di evitare
sottrazioni della materia imponibile.
Quella medesima fattispecie e quel medesimo fatto gestorio che aveva assunto rilevanza attraverso la
norma contabile è attraverso il principio contabile, assume e può assumere una rilevanza anche dal punto
di vista fiscale perché il legislatore fiscale collega degli effetti giuridici diversi a quel medesimo fatto, a
quella medesima fattispecie che ha già avuto rilevanza in sede di bilancio.
Una volta che all’utile lordo abbiamo applicato le variazioni in aumento o in diminuzione troviamo il reddito
di impresa, possiamo dare rilevanza alle perdite fiscali di esercizi e quindi di periodi di imposta precedenti,
applicheremo poi l’aliquota fissa del 24% e troveremo l’ires lorda che poi andremo a riportare nel bilancio
ai fini dell’individuazione dell’utile netto.

La dichiarazione dei redditi non espone le componenti positivi o negative ma solo le variazioni, che sono
causate dall’applicazione delle norme fiscali.

Le variazioni possono essere in aumento o in diminuzione, le variazioni in aumento sono quelle che
determinano un maggior aumento fiscale rispetto al riscaldato civilistico.
Ci possono essere infatti delle norme fiscali che ci impongono di dare rilevanza fiscale ad elementi positivi
non imputati o imputati in misura minore al bilancio civilistico, ad esempio articolo 85 comma 2 del TUIR di
includere tra i ricavi il valore normale dei beni assegnati ai soci o che escono dall’impresa, dobbiamo quindi
dare rilevanza fiscale ad un componente che non è registrato in sede di bilancio.
Oppure la norma fiscale può dare rilevanza non a un componente positivo ma ad un componente negativo,
può infatti prevedere dei criteri di deducibilità fiscale dei costi più stringenti dei criteri fissati che deve
seguire il redattore del bilancio, ad esempio per il concetto di perdita, se il redattore del bilancio è tenuto
ad indicare in bilancio le perdite anche se probabili, in ambito fiscale vedremo che si deve seguire un
canone di certezza e quindi quella perdita probabile ha diminuito il risultato civilistico in quanto non le
posso dare rilevanza in ambito fiscale perché l’ambito fiscale rileva solo la perdita certa.
Ecco che allora la diversa caratterizzazione fiscale di quel medesima fattispecie determina una variazione in
aumento e quindi un maggiore reddito fiscale rispetto al risultato civilistico.

In modo simmetrico possiamo avere delle variazioni in diminuzione, determinano un minor reddito fiscale
rispetto al corrispondente reddito civilistico e anche in questo caso le norme fiscali possono intervenire
tanto dal lato dei componenti positivi di reddito quanto dal lato dei componenti negativi di reddito.
Ad esempio con riferimento ai componenti positivi di reddito, l’articolo 91 ci dice che non concorrono alla
determinazione del reddito i proventi dei cespiti esenti e i proventi soggetti a ritenuta alla fonte o ad
imposizione sostitutiva, in questi casi quindi dobbiamo includere dalla rilevanza fiscale dei componenti
positivi di reddito che abbiamo trovato in bilancio e quindi avremo uni minor redito fiscale rispetto al
risultato civilistico.
Dal lato dei costi possiamo avere delle norme che determinano una rilevanza o una maggiore rilevanza di
costi civilistici, ad esempio in applicazione dell’articolo 108 del TUIR che riguarda le spese relative a più
periodi, queste spese sono deducibili nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio e l’applicazione ci
questa regola può portarci ad una determinazione del reddito fiscale minore rispetto al corrispondente
reddito civilistico.

Quindi le variazioni dipendono da differenza tra i postulati di bilancio da un lato e le norme generali sul
reddito di impresa dall’altro.

Il principio di derivazione ci dice, non esistendo un bilancio fiscale, parti del risultato del conto economico e
apporta le variazioni in aumento e diminuzione risultanti dall’applicazione delle regole del TUIR, questo

143
Francesco Gruppelli
principio di derivazione semplice seguendo l’indicazione che abbiamo fornito prima vale esclusivamente nei
confronti delle cosiddette micro imprese.

Con rifermento invece ai soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali e con
riferimento ai soggetti diversi dalle microimprese che redigono i bilanci in conformità alle disposizioni del
codice civile, posto che tanto i principi contabili internazionali quanto i principi contabili nazionali a seguito
della modifica all’articolo 2423 bis del codice civile prevedono la prevalenza del principio della sostanza
sulla forma, il legislatore fiscale all’articolo 83 ha codificato il principio di derivazione rafforzata e quindi per
questi due soggetti, quindi soggetti che seguono IAS e soggetti che seguono OIC, valgono anche in deroga
alle disposizioni del TUIR i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio
previsti dai principi contabili.

Quindi il principio di derivazione rafforzata ci dice di derogare i principi di determinazione del reddito di
impresa attribuendo rilevanza fiscale alla determinazione civilistiche di fatti di gestione relativi a
qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio.
Rispetto a questi 3 aspetti dobbiamo mantenere le rappresentazioni adottate da redattore del bilancio,
questo perché il bilancio è già ispirato ed è già stato redatto sulla base di un principio di prevalenza della
sostanza sulla forma.
Se in passato questo principio di derivazione rafforzata era applicabile solo nei confronti dei soggetti che
seguivano i principi contabili internazionali, a partire dalla modifica intervenuta alla norma del codice civile
che ho richiamato prima, è stato modificato l’articolo 83 prevedendo il principio di derivazione rafforzata
anche per i soggetti che adottano i principi contabili nazionali.

In virtù del principio di derivazione rafforzata dobbiamo dire che la qualificazione e imputazione temporale
classificazione di bilancio che è stata data ad un elemento reddituale o patrimoniale assume rilevanza
anche ai fini fiscali e quindi non dobbiamo dare applicazione alle norme del TUIR con riferimento a questi 3
aspetti, esclusi i fenomeni valutativi, tutto il resto assume rilevanza dal punto di vista anche fiscale.
A meno che non siano di fronte ad una norma del TUIR che circoscriva la rilevanza di componenti reddituali
per motivi meramente fiscali, e quindi limiti la deducibilità o la escluda o ripartisca la deducibilità di un
componente in più periodi di imposta o nel caso in cui ci sia proprio una disposizione che disattiva il
principio di derivazione rafforzata.
Se c’è una disposizione di questo tipo è chiaro che ritorna applicabile la regola generale della derivazione
semplice sulla base delle quale al risultato bilancistico dobbiamo operare le variazioni in aumento e
diminuzione che derivano dall’applicazione delle norme fiscali.

L’importanza dell’effetto determinato del cambiamento della norma del codice civile e dal criterio
ispiratore della prevalenza della sostanza sulla forma di può cogliere in un esempio, quello dell’acquisto di
azioni proprie.
Se quando il bilancio veniva redatto privilegiando la forma giuridica, le azioni acquistate dalla società erano
iscritte tra le attività a fronte della costituzione di un apposita riserva e la successiva rivendita di queste
azioni dava luogo ad una plusvalenza o minusvalenza.
A seguito del diverso criterio di rappresentazione che dobbiamo seguire a partire dal 2015, questa
operazione viene rappresentata come un operazione di riduzione del patrimonio della società emittente.
Ma se seguiamo questo tipo di rappresentazione la successiva rivendita delle azioni proprie la dobbiamo
necessariamente considerare come una riemissione di capitale e questo significa che la rivendita non
produrrà più plus-minusvalenze che prima erano rilavanti.

144
Francesco Gruppelli
Lezione 21.1

I principi generali in materia di reddito di impresa, principio di inerenza, principio di imputazione temporale
e il principio di previa imputazione a conto economico.

Principio di inerenza
Facciamo riferimento alla problematica di capire quando un costo è servito per produrre il reddito o
quando una spesa invece costituisce disposizione del reddito prodotto.
Elemento caratterizzante dell’inerenza è la riferibilità del costo sostenuto all’attività di impresa, l’inerenza è
strettamente correlata alla nozione stessa di reddito di impresa.

145
Francesco Gruppelli
Dire che è deducibile in quanto costo sostenuto per produrre il reddito solo quel costo inerente significa
individuare un particolare collegamento fra quel componente reddituale è l’attività di impresa.

Da luogo cioè ad una variazione giuridicamente significativa del patrimonio imprenditoriale solo quel costo
relativo all’attività aziendale, non quel costo che si colloca in una sfera estranea all’esercizio dell’impresa,
quindi se il costo che stiamo esaminando è afferente all’esercizio dell’attività di impresa il costo sarà
deducibile, viceversa se è un costo estraneo all’esercizio dell’attività di impresa sarà un costo indeducibile.

Già da questa prima definizione generale di inerenza, è possibile desumere che risultano inerenti non solo
le spese per l’acquisizione di beni o servizi destinate ad incorporarsi in beni merce, quindi non solo le spese
necessarie per la produzione del reddito, ma ad esempio dobbiamo considerare inerenti in quanto afferenti
all’attività aziendale anche le spese di pubblicità e rappresentanza, anche questi costi infatti non
costituiscono spese di disposizione del reddito prodotto ma sono costi che il soggetto sopporta nell’ambito
dell’esercizio dell’impresa.

È per questo che si riconosce in modo unanime la deducibilità anche di quegli oneri che non sono correlati
in maniera diretta e immediata a degli elementi positivi di reddito, quindi si considera inerente e quindi
deducibile il costo anche se una volta che quel costo è stato sostenuto l’impresa non ha prodotto un ricavo.
Quindi anche quelle spese sostenute in proiezione futura come le spese promozionali dalle quali l’impresa
tende dei ricavi ma che non si verificano, vanno considerate inerenti.

Quindi inerenza va intesa come correlazione tra l’onere sostenuto dal soggetto e l’attività nel suo
complesso svolta dal soggetto commerciale.
Questo collegamento può essere anche solo indiretto o potenziale ma non deve essere occasionale.
Occasionale riferibilità soggettiva all’impresa di quel determinato costo, rende quel costo sicuramente non
inerente.
Il criterio della inerenza lo dobbiamo tenere distinto dal criterio della vantaggiosità del costo sostenuto
dall’impresa.

Amministrazione finanziaria che controlla i costi deducibili che il soggetto si è dedotto e che vadano
accertare se sussiste il requisito dell’inerenza, non deve spingersi ad un sindacato in merito alla
vantaggiosità dei costi scelti, sostenuti dall’imprenditore.
La strategia imprenditoriale deve restare esclusa dall’accertamento tributario, agenzia delle entrate non
può sindacare l’utilità, l’opportunità dei costi che l’imprenditore decide di sostenute per la sua impresa.
Il controllo che deve fare l’agenzia delle entrate è invece un controllo sul collegamento tra il costo e
l’attività in termini di causa ed effetto e deve ritenere inerente quel costo che è considerabile come
funzionale all’esercizio dell’attività dell’impresa.

Evidentemente ci sono dei costi che inevitabilmente sono destinati allo svolgimento dell’attività di impresa
come le materie prima, gli impianti e macchinari e rispetto a questi tipi di costi il collegamento tra costo e
attività viene sempre considerato esistente ed è difficile considerare un accertamento tributario che
contesti l’inerenza di questi costi sostenuti dall’imprenditore.

Sul versante opposto invece i costi promiscui, tutti quei costi sostenuti per beni che possono essere
utilizzati anche per uso promiscuo e quindi per la sfera personale e famigliare dell’imprenditore, rispetto a
questi ci può essere un sindacato in termini di inerenza della spesa sostenuta dal soggetto.
Proprio perché se il costo è sostenuto per la vita personale o famigliare dell’imprenditore è un costo
sicuramente non inerente e quindi non deducibile da reddito prodotto dalla società.

Evidentemente il tema dell’inerenza va abbinato al tema della prova e quindi del riscontro fattuale e
documentale del costo sostenuto dall’impresa.

146
Francesco Gruppelli
La giurisprudenza ai fini della documentazione e dell’ inerenza del costo non ritiene sufficiente il fatto che il
costo non sia imputato a conto economico come non ritiene sufficiente l’esistenza di una fattura che
certifica l’acquisto del bene o del servizio o l’annotazione nei registri contabili dell’imprenditore.
Come sappiamo se l’imprenditore tiene una contabilità regolare questo preclude e non consente all’ufficio
di determinare in modo induttivo il reddito prodotto ma non è sufficiente a dimostrare agli occhi del fisco
che quel costo è inerente all’attività di impresa.

Quindi in tutti i casi in cui il collegamento funzionale tra il costo e l’attività non emerge in maniera evidente
o non è intrinseco della natura del bene acquistato, l’imprenditore o il contribuente ha l’onere di
dimostrare l’inerenza del costo sostenuto rispetto all’attività di impresa.
Dovrà dimostrare la finalità cui è deputato quel costo e il concreto utilizzo cui è stato fatto del bene o del
servizio che è stato acquistato.

Non sarà invece necessario dimostrare il vantaggio economico che ne ha tratto l’impresa dal sostenimento
di quella spesa.
Così come non sarà necessario per l’imprenditore dimostrare l’adeguatezza del costo sostenuto, l’agenzia
delle entrate non può sindacare la proposizione dei costi sostenuti dall’imprenditore, questo perché il
giudizio sull’inerenza è appunto un giudizio sulla estraneità o sull’inerenza del costo rispetto all’attività, non
sulla sproporzione di quel costo rispetto alla situazione economica dell’impresa.
Quindi l’accertamento e il sindacato che compie l’agenzia delle entrate non può trascendere in un
sindacato sulle scelte imprenditoriali del soggetto.
Se un imprenditore decide, a fini strategici, di sostenere un costo che in apparenza sembra sproporzionato
rispetto alla dimensione e situazione economica della sua impresa, questo non può essere oggetto posto
alla base di una rettifica dell’imponibile operata in sede di avviso di accertamento.
Nessuna norma autorizza l’agenzia delle entrate a misurare l’antieconomicità, sproporzionalità o
incongruità del costo sostenuto dall’imprenditore.

Poiché come vedremo per definire la nozione di ricavo il legislatore opera un riferimento alla nozione di
corrispettivo, la tassazione dell’impresa deve restare sempre fondata sulla tassazione del prezzo
effettivamente pattuito tra i soggetti privati, ancora che questo prezzo sia di ammontare sproporzionato
perché fuori mercato o antieconomico.
Se diciamo che i ricavi sono ancorati al corrispettivo scelto liberamente dai soggetti privati, dobbiamo per
converso dire che anche le spese anche se proporzionate sono inerenti e in quanto tali deducibili.

Ai fini dell’inerenza quindi bisogna vagliare unicamente il potenziale qualificativo di ogni spesa, che è o
inerente o non lo è.
Non potendo fare un giudizio di tipo quantitativo sulle spese significa che l’agenzia delle entrate non
dovrebbe, come in realtà fa negli avviso di accertamento, e potrebbe sindacare l’inerenza parziale di un
costo.
Non mi può dire che il costo è parzialmente deducibile in quanto parzialmente inerente all’attività di
impresa, il costo è o inerente o non lo è, si deve solo guardare alla qualità e non alla dimensione
quantitativa.

Al più la proposizione può essere in indice presuntivo per l’amministrazione finanziaria poter contestare dal
punto di vista induttivo l’imponibile dichiarato dall’imprenditore e quindi siamo nel campo dell’applicazione
dell’articolo 39 comma 1 lettera d.

Il principio di inerenza trova una dedizione normativa ?


Molti autori danno una risposta positiva dicendo che la norma di riferimento di inerenza è l’articolo 109
comma 5 del TUIR.
Questo articolo dice che le spese e gli altri componenti negativi diversi da interessi passivi, oneri finanziari e
contributivi e di utilità sociale sono deducibile e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui

147
Francesco Gruppelli
derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto
esclusi.
Dalla lettura di questa disposizione è possibile desumerne che questa disposizione non si riferisce al
concetto di inerenza, perché questa disposizione serve per evitare che un impresa che fruisce di
agevolazione parzializzi nella tassazione del reddito possa godere dell’ulteriore agevolazione rappresentata
dalla deducibilità dei costi che concorrono a produrre il reddito agevolato.

Questa disposizione mi dice che la spesa che ho sostenuto è deducibile se è riferita ad un componente che
a concorso a formare il reddito o che non vi ha concorso in quanto escluso.
Questa disposizione dice un qualcosa di diverso dal contesto di inerenza.
La mia spesa infatti può essere inerente all’attività di impresa ma può non rispettare la condizione fissata
dall’articolo 109 comma 5, quindi posso aver sostenuto un costo evidente, ma se questo costo è riferibile
ad una attività produttiva di reddito esente, che non è oggetto di tassazione, allora il mio costo sarà
fiscalmente rilevante, quindi l’articolo 109 comma 5 non definisce l’inerenza ma serve per escludere dal
principio dell’inerenza quegli eventi economici che afferiscono alla produzione di redditi estranei all’entità
oggetto di misurazione

Articolo 109 comma 5 in realtà introduce anche il concetto di componente escluso, e qui dobbiamo
introdurre la distinzione tra esenzioni ed esclusioni.
Le esenzioni sono quelle fattispecie che presuppongono l’esistenza di una norma generale che prevede una
determinata tassazione rispetto alla quale l’esenzione si configura come disposizione speciale, l’esenziona
ha una disposizione derogatoria rispetto alla norma generale che a fini agevolativi sottrae a tassazione
quella determinata fattispecie speciale.
Quindi a fronte della regola generale della tassazione del reddito prodotto ci può essere una norma di
esenzione che alcune da tassazione, che esonera da tassazione il reddito di natura risarcitoria o
assistenziale o caratterizzato da particolari finalità sociali.

L’esenzioni sono norme che derogano a norme generali, al contrario le esclusioni sono norme che
prevedono la norma generale, ma concorrono con la norma generale a delimitare i confini della fattispecie
impositiva.
Le norme di esclusione non hanno carattere speciale, non sono derogatorie ma operano in modo
sistematico nel delimitare e aiutare il termini a circoscrivere la fattispecie imponibile oggetto della norma
generale.
È per questo che l’articolo 109 comma 5 mi dice che i componenti negativi sono deducibili se si riferiscono a
ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi condono in quanto esclusi.
Questo perche l’esclusione non costituisce deroga alla norma generale di tassazione del componente
positivo, ma concorro con la norma generale a delimitare i confini della fattispecie impositiva.
Questo significa che i costi connessi a proventi esclusi dalla formazione del reddito di impresa come ad
esempio dividendi e gli utili da partecipazione sono integralmente deducibili, viceversa i costi connessi a
proventi esenti sono invece indeducibili.

Cosa succede se l’imprenditore sostiene una spesa che si riferisce in parte ad un componente imponibile, in
parte invece ad un componente esente ?
La regola ci dice che le spese generali, ovvero quelle che si riferiscono indistintamente sia a proventi
imponibili sia a proventi esenti, sono deducibili per la parte corrispondete al rapporto tra l’ammontare dei
ricavi e proventi che concorrono alla formazione del reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi e
l’ammontare complessivo dei tutti i ricavi e di tutti i proventi.
Ai fini del rispetto dell’articolo 109 comma 5 io dovrò fare la proporzione tra ciò che costituisce la base
imponibile delle impresa e l’ammontare di tutti i ricavi e proventi, considerando anche quelli esenti, perché
questa proporzione mi darà la misura della deducibilità della spesa generale.

148
Francesco Gruppelli
Anche la corte di cassazione in una recente ordinanza ha confermato questa interpretazione dell’articolo
109 comma 5 del TUIR, articolo che disposte che i componenti negativi assumono rilevanza ai fini della
quantificazione della base imponibile se nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano
componenti positivi e di reddito o componenti escluse dalla formazione di reddito imponibile, questa
disposizione va riferita non al principio dell’inerenza ma al principio della indeducibilità dei costi relativi a
ricavi esenti, una volta che ne sia accertata l’inerenza, e cioè alla correlazione tra costi deducibili e ricavi
tassabili.
Sempre in questa ordinanza della corte di cassazione troviamo confermato che l’inerenza esprime la
riferibilità del costo non ai ricavi ma alla attività di impresa, che non va confusa con l’utilità del costo e che
si risolve sempre in un giudizio di tipo qualitativo, mai quantitativo.

Questione legata alla deducibilità delle sanzioni è simile alla quesitone della deducibilità delle somme
pagate per condono, somme dovute a seguito di una attività compiuta in violazione di legge estranea
all’esercizio dell’attività commerciale dell’impresa.
Agenzia delle entrate sostiene indeducbili le sanzioni in quanto si tratta di oneri, non inerenti ad attività di
impresa.
In realtà se noi neghiamo la deducibilità delle sanzioni, introduciamo un elemento moralizzatore nel
sistema che sappiamo essere del tutto estraneo alle regole impositive.
Infatti in giurisprudenza troviamo delle sentenza che ammettono al deducibilità delle sanzioni proprio a
seguito di un accertamento relativo a l’inerenza alla sfera giuridica dell’impresa.
Nel diritto tributario dobbiamo applicare un principio di simmetria, tale per cui a fronte di un componente
positivo di reddito dobbiamo sempre a mettere la deducibilità della spesa, del costo sostenuto per produrre
quel reddito.

Lezione 21.2

Principio di imputazione a periodo


Abbiamo già visto nell’ambito dell’articolo 7 del TUIR il principio di autonomia dell’obbligazione tributaria,
articolo 7 ci dice che l’imposta è dovuta per anni solari a ciascuno dei quali corrisponde un obbligazione
autonoma.
Questo principio valevole per le persone fisiche lo ritroviamo anche in ambito ires.
La norma di riferimento in questo caso è l’articolo 76 che ci dice che il periodo di imposta per i soggetti ires
è costituito dall’esercizio o periodo di gestione della società o dell’ente come risulta dalla legge o all’atto
costitutivo.
Nel caso in cui la durata dell’esercizio o il periodo di gestione non sia determinata dalla legge o dall’atto
costitutivo, o è determinata in due o più anni, il periodo di imposta è costituito dall’anno solare.

Anche ai fini fiscali a fronte dell’attività di impresa che sappiamo essere un continuo abbiamo una
convenzione sulla base della quale l’esercizio sociale viene frazionato in periodi di imposta e quindi
dobbiamo dare rilevanza fiscale a quei fatti che si considerano verificati sulla base delle norme che vedremo
in relazione alle diverse componenti entro la data di chiusura dell’esercizio del periodo di gestione.
Dobbiamo imputare gli elementi reddituali positivi e negativi al periodo di imposta in cui si verificano le
vicende gestionali dalle quali le componenti scaturiscono, anche se non si sono verificati i conseguenti
movimenti finanziari attivi o passivi.
Questo principi prende il nome di principio di competenza, sulla base di questo principio i componenti
positivi e negativi vanno presi in considerazione rispettivamente nell’anno in cui sorge il diritto a percepire i
componenti positivi e nell’anno in cui sorge l’obbligo di provvedere ai componenti negativi ed è quindi un
principio che si contrappone al principio di cassa che abbiamo visto regolamentare tutte le altre categorie
di reddito di ambito irpef che da rilevanza temporale al momento finanziario in cui avviene l’incasso o
l’esborso.

149
Francesco Gruppelli
L’applicazione del principio di competenza ci dice che possiamo avere delle discordanze tra i criteri di
determinazione del risultato di esercizio e i criteri di determinazione del reddito dell’impresa, queste
differenze possono essere permanenti se derivano da componenti di reddito in tutto o in parte non
riconosciuti fiscalmente o temporanee, le differenze temporanee, le variazioni che si possono determinare,
in questo caso derivano dalla competenza temporale dei componenti reddituali tra normativa civilistica e
normativa fiscale.
Possiamo avere un differimento della tassazione quando un componente positivo di reddito risulta
tassabile in esercizi successivi, o quando dei componenti negativi di reddito sono fiscalmente deducibili in
esercizi precedenti rispetto a quello di iscrizione al bilancio secondo i criteri civilistici che deve rispettare il
redattore del bilancio, o possiamo avere un anticipazione della tassazione quando un componente negativo
è deducibile fiscalmente in esercizi successivi rispetto a quelli della loro iscrizione in bilancio secondo i
criteri civilistici, o quando un componente positivo di reddito è tassato in esercizi precedenti rispetto a
quelli in cui è iscritto in bilancio, rispetto sempre a quei criteri civilistici.

Come abbiamo già visto a proposito del principio di rilevazione, il principio che ci dice di dare rilevanza alle
norme fiscali una volta partiti dal risultato del conto economico è largamente derogato per quei soggetti
che seguono i principi contabili internazionali o nazionali.
Per i soggetti che quindi danno rilevanza al principio di prevalenza della sostanza sulla forma, dobbiamo
disapplicare le regole di competenza fiscale, la regola quindi della competenza che ci dice in quale periodo
di imposta imputare i componenti positivi e negativi di reddito e quindi il principio di competenza
economica lo andiamo ad applicare solo alle microimprese.
Sulla base di questo principio diamo rilevanza a quando si verifica la fattispecie costitutiva del diritto o
istintiva dell’obbligazione che determina la variazione patrimoniale.
Per i soggetti che adottano OIC e IAS la disapplicazione delle norme fiscali che ci impone l’articolo 83 del
TUIR comporta che ai fini fiscali per la determinazione del reddito di impresa dobbiamo dare rilevanza a
quando il componente reddituale viene iscritti in bilancio.

L’ufficio dell’agenzia delle entrate potrà disconoscere un componente reddituale ai fini fiscali e quindi
negare la correttezza del calcolo effettuato dall’imprenditore della base imponibile dell’impresa, quando
l’imputazione a bilancio avviene in difformità rispetto ai principi contabili, se non è rispettato il principio
della prevalenza della sostanza sulla forma, l’agenzia delle entrate può andare a sindacare la rilevanza
fiscale dei quel componente che è stato iscritto male in bilancio.

Quale criterio seguire per dare rilevanza fiscale ad un fatto gestorio?


Dobbiamo vedere cosa ci dicono i principi contabili, l’OIC 15 ci dice che la cessione di beni si considera
realizzata quando avviene il passaggio sostanziale della proprietà, il momento in cui passano i rischi e i
benefici, ed è per questo che dobbiamo guardare al momento in cui viene spedito o consegnato il bene
mobile o viene stipulato il contatto di compravendita immobiliare. Questo sarà il momento di imputazione
a bilancio e sarà quindi per effetto dell’articolo 83 del TUIR il momento di rilevanza temporale anche ai fini
fiscali.
Allo stesso modo il principio internazionale 15 ci dice che rileva il trasferimento al cliente del controllo dei
beni ceduti, quindi un principio molto simile all’OIC 15.

La prestazione di servizi secondo OIC 15 da rilevanza al momento di ultimazione della prestazione.


Il principio contabili internazionali 15 guarda invece al trasferimento del cliente del controllo sulla
prestazione.
Sulla base di questi criteri che danno rilevanza alla sostanza dell’operazione rispetto alla sua forma
giuridica, allo stesso modo dovremmo dare rilevanza fiscale nei rispettivi momenti a questi fatti gestori.

Con riferimento alle microimprese, quindi ai soggetti di cui all’articolo 2435 ter che non seguono i principi
contabili ne internazionali ne nazionali, la determinazione del reddito avverrà sulla base del principio di
competenza così come delineato dal l’articolo 109 del TUIR.

150
Francesco Gruppelli
Se leggiamo l’articolo 109 del TUIR noi troviamo due corollari al principio di competenza economica:

Il primo corollario è il principio di certezza o obbiettiva determinabilità, perché l’articolo 109 comma 1 ci
dice che i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa
l’esistenza o determinabile l’ammontare, concorrono a formarlo nell’esercizio cui si verificano queste
condizioni.
Questo corollario serve per differire, mai per anticipare la rilevanza fiscale di un componente positivo o
negativo di reddito se mancano le condizioni di esistenza del componente, se mancano le condizione
relative al an del componente o se il componente non è determinabile in modo certo nel quantum, quindi
prima devo individuare il periodo di riferimento cui imputare il componente e poi pormi la domanda sulla
base di quanto mi dispone l’articolo 109 comma 1 se eventualmente differire in un periodo di imposta
successivo la rilevanza fiscale di quel componente.
La devo differire quando ad esempio un costo iscritto nel conto economico ma non ancora del tutto certo
nel an e quantum non è deducibile ai fini fiscali nell’esercizio di competenza ma lo sarà nel successivo
periodo in cui diventerà certo e quantificabile con criteri oggettivi.

Con certezza si intende quando si è verificato il presupposto di fatto o diritto previsto dalla singola
disposizione di natura tributaria e quindi la certezza richiede l’esistenza di un titolo produttivo di effetti
giuridici al termine di chiusura dell’esercizio, sia pure suscettibile di variazione sul futuro.
L’elemento reddituale deve essere collegato ad una situazione giuridica definita alla chiusura del periodo di
imposta il componente non può essere presunto o congetturato, l’an mi da un informazione sulla effettività
del componente.

Obbiettiva determinabilità mi da un informazione sul quantum, al termine dell’esercizio si devono essere


verificati tutti quegli elementi necessari per quantificare con precisione il componente reddituale, anche se
la liquidazione non è ancora avvenuta.

Il secondo corollario al principio di competenza l’abbiamo già visto ed è il principio di correlazione costi e
ricavi codificato nell’articolo 109 comma 5.
Il principio di correlazione costituisce un temperamento dell’obbiettiva determinabilità della competenza,
degli elementi reddituali in corso di maturazione rilevabili ai fini fiscali.
Una volta cioè accertato che il costo è inerente all’esercizio dell’impresa dobbiamo ritenere deducibili solo
quei costi correlati a componenti positivi di reddito, una volta determinato l’esercizio di competenza dei
componenti positivi di reddito, automaticamente diventano deducibili i costi correlati a questi componenti
positivi di reddito.

La disciplina dei redditi di impresa prevede però delle eccezioni al principio di competenza, ci dicono che
alcuni componenti di reddito e impresa li dobbiamo rilevare sulla base del principio di cassa e quindi
dobbiamo dare rilevanza a quando viene adempiuta la prestazione oggetto del diritto, quando cioè avviene
il pagamento, l’incasso, la cassa da rilevanza al momento finanziario. Il principio della competenza si applica
ai componenti positivi e negativi per i quali le norme del TUIR non dispongano diversamente.
Questo significa che le deroghe al principio di competenza sono tassative e riguardano dei componenti che
per ragioni di semplicità applicativa o di cautela fiscale rilevano sulla base del momento finanziario in cui
emergono.

Questo è il caso degli utili derivanti da partecipazioni in società soggette all’ires e degli interessi di mora.

Un’altra ipotesi è quella delle imposte pagate nell’anno diverse da quelle sui redditi e da quelle per le quali
è prevista la rivalsa. Con riferimento all’IVA vedremmo che questo tributo quando rappresenta un costo
perche non risulta detraibile da part del soggetto passivo è deducibile per competenza.

151
Francesco Gruppelli
Per cassa rilevano altresì le imposte deducibili ai contributi, alle associazioni di categoria così pure i
contributi in conto capitale o conto impianti e i compensi ad amministratori, promontori e soci fondatori.

Sempre con riferimento ai principi di imputazione temporale fanno eccezione alla regola dell’anno solare di
rilevanza ai fini dell’individuazione dell’obbligazione tributaria due particolari ipotesi:

la prima è quella contemplata nell’articolo 80 del TUIR che disciplina il passaggio dalle imposta lorda
all’imposta dovuta.
Questa norma ci dice che se l’ammontare complessivo dei crediti per le imposte esterne delle ritenute da
acconto e dei versamenti in acconto risulta superiore a quello dell’imposta dovuta, il contribuente ha diritto
a sua scelta o di computare ad eccedenza in diminuzione dell’imposta relativa al periodo di imposta
successivo, quindi riportarla a nuovo o chiedere il rimborso in sede di dichiarazione o attraverso l’istituto
della compensazione anche orizzontale.
Quindi la norma di quell’articolo 76 che ci dice che l’ires è dovuta per periodi di imposta a ciascuno dei quali
corrisponde un obbligazione tributaria autonoma, deve tenere conto delle eccezioni recata dall’articolo 80
che consente al contribuente di spostare in avanti la rilevanza fiscale di un risultato reddituale.

La seconda deroga è quella disciplinata all’articolo 84 che displica il riporto delle perdite, questa regola da
la possibilità al contribuente di compensare le perdite fiscali fino all’80% del reddito imponibile di periodi di
imposta successivi a quella in cui avviene la compensazione e per l’intero importo che trova capienza in
esso.
Quindi se il soggetto ad esempio ha una perdita riportata da esercizi precedenti per 200 e nel periodo di
imposta consegue un reddito di 180, la compensazione può essere pari al massimo per 80% di 180 e quindi
per 144. Poiché 144 trova capienza nell’importo di 180, l’imponibile sarà pari a 36.

A favore delle società neocostituite, e quindi con una finalità agevolativa, l’articolo 84 comma 2 prevede
che le società neocostituite per i primi 3 periodi di imposta possano dedurre in modo illimitato le loro
perdite entro il limite del reddito imponibile senza limiti temporali, ne quantitativi.

Il riporto delle perdite non è però ammesso quando il soggetto che le utilizza è nella sostanza diverso da
che le ha realizzate, ed è per questo che c’è una particolare norma a finalità antielusiva che noi troviamo
indicata nel comma 3 dell’articolo 84.
Questa disposizione ci dice che il riporto delle perdite non è ammesso quando la maggioranza delle
partecipazioni aventi diritto di voto nell’assemblea straordinaria del soggetto che riporta le perdite, viene
trasferita o comunque acquisita da terzi anche a titolo temporaneo e inoltre venga modificata l’attività
principale esercitata nei periodi di imposta in cui le perdite sono state realizzate.

Se sussistono entrambe queste due condizioni, non è possibile riportare le perdite.


La ratio di questa disposizione è vietare il cosiddetto commercio delle bare fiscali, ovvero l’acquisizione di
società in perdita, acquisizione motivata esclusivamente da ragioni fiscali perché a seguito dell’acquisizione
la società acquirente acquista la possibilità di utilizzare le perdite e quindi di ridurre la sua base imponibile.
Una previsione come questa invece frena il commercio delle bare fiscali.

La limitazione al riporto delle perdite non si applica sempre per disposizione di legge se le partecipazioni
riguardano società che nel biennio precedente hanno rispettato determinati requisitivi di vitalità misurabili
sulla base del numero di dipendenti, sull’ammontare dei ricavi e proventi dell’attività caratteristica e delle
spese per prestazioni di lavoro subordinato.
Se il soggetto soddisfa questi requisiti di vitalità potrà riportarsi le perdo tre anche se rientra nella
limitazione di cui al comma 3.
Questa disposizione l’abbiamo già detta a proposito dell’interpello disapplicativo, perché era stata utilizzata
questa disposizione proprio per esemplificare il caso di un contribuente che essendo costituito da meno di
due anni non potrà mai soddisfare quella clausola che consente superare la limitazione al riporto delle

152
Francesco Gruppelli
perdite e quindi se io sono una società neo costituita che ha acquistato una bara fiscale non potrò mai
soddisfare il requisito del test di vitalità che mi consente di superare la limitazione.
È per questo che possono incontrare, come mi autorizza l’articolo 84, una istanza di interpello
disapplicativo per rappresentare all’agenzia delle entrate il fatto che io ricado esattamente nella fattispecie
contemplata dalla legge, però l’applicazione dell’articolo 84 sarebbe nei miei confronti giusto perche io non
dispongo di un bilancio redatto nel biennio precedente perche sono stato appunto costituito da poco e
quindi sarebbe ingiusto nel mio caso impedirmi il riporto delle perdite.

Lezione 22.1

Principio di previa imputazione a conto economico


Si trova codificato all’articolo 109 del TUIR. Dice che i ricavi, i proventi e le rimanenze concorrono a formare
il reddito anche se non previamente imputati a conto economico.
Mentre al contrario, le spese e i componenti negativi non sono deducibili se non nella misura in cui non
risultano imputati a conto economico nell’esercizio di competenza.

Ne deduciamo che questo principio vale solo per i componenti negativi e afferma la deducibilità dei
componenti negativi solo a condizione che i componenti negativi trovino una loro rappresentazione nel
conto economico, ovvero in quello strumento informativo che garantisce una particolare attendibilità
dimostrativa della gestione economica dell’impresa.

Sempre l’articolo 109 comma 4 ci specifica che si considerano imputati a conto economico i componenti
imputati direttamente a patrimonio per effetto dei principi contabili adottati dall’impresa.

Dall’applicazione di questo principio quindi ne deduciamo che un costo sarà deducibile se nella misura in
cui questo costo viene giudicato inerente, ovvero afferente all’attività di impresa, imputabile dal punto di
vita temporale, e qui dobbiamo vedere i principi di competenza fissati dagli OIC o dai principi contabili
internazionali o per le microimprese dal principio di competenza, correlato a componenti positivi o di
reddito che concorrono alla formazione dell’imponibile o non concorrono in quanto esclusi, e infine
dobbiamo vedere se il costo risulta in conto economico.
Solo se sono soddisfatte tutte e queste 4 condizioni allora il costo sarà fiscalmente deducibile.

Il principio di previa imputazione a conto economico però subisce due deroghe, la prima riguarda quelle
norme che consentono o obbligano a scaglionare o rinviare la deduzione o prevedono un tetto massimo
alla deducibilità, quindi norme che in generale possiamo dire che rinviano la deducibilità nel rispetto delle
regole fissate dalle norme fiscali.
Può accadere che un costo sia contabilizzato in un esercizio ma in quel esercizio non sia fiscalmente non
deducibile, per questo la deroga mi dice che devo ammettere la deducibilità del costo nell’esercizio in cui il
costo è divenuto deducibile, quindi se abbiamo una variazione in aumento in ordine ad un esercizio in cui il
costo risulta contabilizzato nel bilancio ma non è deducibile ai fini fiscali, io dovrò operare una variazione in
diminuzione nell’esercizio successivo in cui la norma fiscale sulla deducibilità consentirà la rilevanza fiscale
di quel componente negativo che è stato contabilizzato in un esercizio precedente.

Così pure risultano deducibili quei componenti negativi non imputabili in conto economico per assenza di
presupposti civilistici ma che risultano deducibili per espressa disposizione della legge fiscale, caso delle
partecipazione agli utili che spettano ai lavoratori dipendenti, o è altresì il caso delle erogazioni liberali, atti
dispositivi di utili a favore di soggetti estranei di impresa.

Entrambi questi componenti negativi risaltano deducibili perché ce lo dice espressamente la norma fiscale.
Quest’ultima deroga al principio è importante perché in passato la disciplina fiscale non la prevedeva e
quindi per rendere deducibile ai fini fiscali un componente negativo, l’impresa era portata ad imputare quel
componente negativo a conto economico.

153
Francesco Gruppelli
Questo determinava un inquinamento del bilancio perché il redattore ai fini della deducibilità del
componente negativo fiscale era portato a derogare o piegare le norme che regolano la redazione del
bilancio per assicurare la rilevanza fiscale di quel costo.
Oggi invece la disposizione ci dice che se anche non risultata da conto economico perché questo non viene
consentito dalle regole di imputazione di bilancio, il costo è comunque deducibile per disposizione di legge
quando la norma fiscale me lo consente.

Nell’articolo 109 comma 4 lettera b noi leggiamo che le spese e gli oneri specificamente afferenti, ricavi e
proventi che pur non risultati a conto economico concorrono a formare il reddito sono deducibili se nella
misura in cui risultino da elementi certi e precisi.
Questa disposizione rende deducibili i costi neri costi che non sono contabilizzati nelle scritture ufficiali ma
che sono sostenuti a fronte di ricavi in nero, se l’agenzia delle entrate a seguito di un controllo sostanziale
spicca l’avviso di accertamento e riprenda tassazione in sede di accertamento un ricavo in nero, la
disposizione di questo articolo impone all’agenzia delle entrate di dare rilevanza anche ai costi neri.
Se sono tassati i ricavi in nero, che non risaltano in bilancio, devo dare rilevanza fiscale anche ai componenti
negativi per produrre quei componenti positivi.
Questo in osservanza al principio di simmetria fiscale che ci dice che se c’è una tassazione di un cespite ci
deve essere la deducibilità del costo di produzione di quel cespite, anche nel rispetto del concetto di
reddito che abbiamo sempre declinato come novella ricchezza, ciò che si spende per generare il
componente positivo di reddito deve essere sempre deducibile perché reddito identifica il frutto
dell’attività posta in essere dal soggetto il frutto che deriva dalla fonte produttiva al netto delle spese e dei
costi sostenuti per generare quel frutto.

Sulla base dell’applicazione di tutti i principi che abbiamo visto fino ad ora possiamo affermare che gli unici
proventi che non concorrono a formare il reddito di impresa sono i proventi di cespiti esenti da imposta e i
proventi già assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva.
Se infatti c’è la ritenuta o il regime sostitutivo abbiamo una deroga al principio di progressività ed
escludiamo quel cespite dalla formazione di quel reddito complessivo dell’impresa, se viceversa siamo di
fronte ad un provento di cespiti esenti da imposta sappiamo che l’esenzione del componente positivo non
ammette la deduzione, sempre in osservanza di quel principio di simmetria, di un componente negativo
sostenuta dall’impresa per la produzione di quel cespite esente.

Per le società non concorrono alla formazione di reddito complessivo la differenza tra il costo delle azioni
annullate e la corrispondete quota di patrimonio netto, ne i sovrapprezzi di emissione delle azioni o quote e
gli interessi di conguaglio.

Per quanto riguarda gli imprenditori individuali, tra quelle norme specifiche contenute in sede irpef che
derogano alla disciplina sulla determinazione dell’imponibile che leggiamo nel titolo del TUIR dedicato al
ires, troviamo delle disposizioni particolari e tra queste leggiamo quella che ci dice che non concorrono a
formare reddito di impresa le indennità per la cessazione dei rapporti di agenzia, di persone fisiche e
società di persone e i proventi che su richiesta del contribuente vengono tassati separatamente.
Ad esempio nel caso di cessione di azienda la plusvalenza determinata dalla cessione di azienda può essere
tassata separatamente su opzione dell’imprenditore persona fisica.

Componenti positivi di reddito


Sono i ricavi, plusvalenze, sopravvivenze attive, dividendi e interessi, proventi immobiliari.

154
Francesco Gruppelli
Rispetto a ciascun componente ne dobbiamo esaminare la definizione, quindi circoscrivere la fattispecie di
rilevanza fiscale e vederne le modalità di determinazione

Ricavi
Sono definiti all’articolo 85 del TUIR e sono considerati ricavi i corrispettivi, già con questo termini capiamo
che è il prezzo determinato dalle parti a determinare il ricavo.

I corrispettivi che derivano dalla cessione di beni e prestazione di servizi che rientrano nell’attività di
impresa, quindi generano un ricavo la cessione a titolo oneroso di un cosiddetto bene merce, ovvero beni
alla cui produzione e al cui scambio è rivolta l’attività commerciale caratteristica concretamente svolta
dall’imprenditore si considerano inoltre ricavi.
Inoltre i corrispettivi che derivano dalla cessione di materie prime sussidiarie di semilavorati e altri prodotti
acquistati o generati dall’impresa per essere impiegati nella produzione.

In generale possiamo dire che i beni compresi nell’attivo circolante se ceduti a titolo oneroso generano un
ricavo a fine dell’esercizio e sono oggetto di valutazione come rimanenze finali in modo da consentire il
trasferimento di beni invenduti dall’esercizio all’altro in osservanza di quel principio di continuatività
aziendale che trova una specifica disciplina per quanto riguarda le rimanenza.

Sono equiparati ai ricavi anche i corrispettivi da cessioni di attività finanziaria che non costituiscono
immobilizzazione finanziarie, i corrispettivi di cessioni di azioni o quote di partecipazioni anche se non
rappresentate da titoli al capitale delle società e degli enti a cui l’articolo 73 che evidentemente non sono
stati imputati come immobilizzazione finanziarie ma risultano sempre nell’attivo circolante possono dar
luogo ad un ricavo.

Così pure gli strumenti finanziari assimilati alle azioni, le obbligazioni e gli altri titoli in serie o di massa se
non sono allocati nell’attivo dello stato patrimoniali tra le immobilizzazione finanziarie possono dar luogo
ad un ricavo.

Costituisce inoltre ricavo l’indennità conseguita a titolo di risarcimento anche in forma assicurativa per la
perdita o danneggiamento di un bene la cui cessione a titolo oneroso genera ricavo, quindi se il bene merce
non viene venduto ma è danneggiato e se quel bene è assicurato l’indennità risarcitoria la dobbiamo
qualificare come ricavo, se l’indennità è conseguita nel medesimo periodo di imposta in cui si è verificato
l’evento dannoso dobbiamo dare rilevanza fiscale al ricavo e come tale assoggettarlo a tassazione, se
l’indennità interviene in un periodo di imposta successivo a quello in cui si è verificato l’evento dannoso
configura una sopravvenienza attiva che è comunque un componente positivo di reddito da assoggettare a
tassazione.

Costituisce altresì ricavo il contributo in denaro o natura spettante sotto qualunque denominazione in base
a contratto e contenuto in conto esercizio, questa fattispecie prevede l’esistenza di un contributo che può
essere già monetizzato o da monetizzare, se il contributo è in natura dobbiamo ricorrere a quella nozione di
valore normale disciplinata all’articolo 9 del TUIR che ci dice di fare riferimento al prezzo mediamente
praticato per beni o servizi per la stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza al medesimo
stadio di commercializzazione nel tempo e nel luogo in cui il bene o servizio è stato acquistato o prestato a
quelli più prossimi facendo riferimento a listi, mercuriali, tariffe professionali e così via.

I contrordini che possono generare ricavi sono i contributi spettanti in base a contratto e i contributi in
conto esercizio. I primi non sono i corrispettivi per le prestazioni di servizio, perché queste già rientrano
nella nozione generale di ricavo e non sono nemmeno i proventi corrisposti a titolo di contributo o di
liberalità perché questa è un ipotesi che va qualificata come sopravvenienza attiva.
I contributi spettanti in base a contratto sono somme e beni che un soggetto si obbliga a corrispondere
all’imprenditore a titolo di partecipazione ai costi sostenuti alla imprenditore per lo svolgimento di una

155
Francesco Gruppelli
particolare attività, definiti in questo modo i contributi spettanti in base a contratto hanno un ambito
applicativo molto limitato.

I contributi in conto esercizio sono erogazioni per fornire ai beneficiari un sostegno economico fisiologico
per lo svolgimento e la soddisfazione delle normali esigenze di gestione del beneficiario, ad esempio le
erogazioni pubbliche date alle aziende di trasporto, ai teatri ecc, aziende che non trovano nel mercato una
adeguata remunerazione.

I contributi in conto esercizio rilevano per competenza e li dobbiamo tenere distinti dai contributi in conto
capitale perché determinano e vanno qualificati come sopravvenienza attive.
I contributi in conto capitale sono vincolati alla particolare situazione dell’impresa, vengono dati per il
rinnovamento degli impianti, per i mezzi di produzione, per potenziare la vita dell’impresa e quindi i
contributi in conto capitale li ritroviamo in situazioni particolari eccezionali nella vita dell’impresa e i
contenuti in conto esercizio invece riguardano i sostegni economici che in modo fisiologico ed ordinario
vengono attribuiti erogati a favore delle imprese beneficiarie.
Contributi in conto capitale, qualificabili come sopravvenienze attive, riedevano per cassa.

Oltre alla cessione a titolo oneroso e all’indennità risarcitoria del bene danneggiato perduto, costituiscono
fattispecie di realizzo o ricavi la destinazione all’autoconsumo da perte dell’imprenditore.
Se il bene merce non viene ceduto a titolo oneroso ma l’imprenditore lo tiene per se e per la propria
famiglia questo genera un ricavo.

Così pure l’assegnazione ai soci e la destinazione a finalità estrane l’esercizio di impresa a qualunque titolo,
quindi se avviene una distribuzione di utili in natura, una distribuzione di riserve di capitale, il rimborso di
partecipazione in caso di recesso, queste sono tutte fattispecie che determinano il realizzo di un ricavo.

Così pure se l’impresa trasferisce la sede all’estero, questo fa perdere la qualifica di soggetto residente ai
fini fiscali in italia e quindi determina la fine della possibilità per il fisco italiano di avanzare una pretesa
fiscale nei confronti di quel soggetto passivo.

Possiamo dire che la casistica dell’articolo 85 annovera tra le fattispecie di realizzo dei ricavi tutti quegli
eventi che determinano la fuoriuscita di un bene merce dalla cerchia dei beni rilavati all’impresa.
Qualunque destinazione a finalità estranea all’impresa, sia essa la perdita, il danneggiamento, il passaggio
alla sfera privata, la cessione a titolo gratuito, il trasferimento della sede alla estero, determina l’insorgenza
di un ricavo che quindi essendo così configurato ci dice che rilava dal punto di vista fiscale ogni acquisizione
e ogni successiva etero-destinazione degli incrementi di ricchezza.

La quantificazione dei ricavi avviene in base all’attribuzione patrimoniale e quindi all’esistenza di un


corrispettivo del prezzo liberamente scelto dalle parti o in base al valore normale, se l’uscita del bene
merce non è connessa ad una attribuzione patrimoniale come nel caso dell’autoconsumo.

Quando si parla di bene merce non si può attribuire il concetto di bene idoneo ad essere auto-consumato
dall’imprenditore ai servizi, e quindi non rientra tra i ricavi il valore normale dei servizi ma solamente il
valore normale de beni.

Evidentemente se c’è difformità tra il corrispettivo e il valore normale di un bene questo è indice che c’è un
corrispettivo aggiuntivo che non è stato dichiarato o l’inesistenza di un corrispettivo.
Questo può far scattare un accertamento da parte dell’agenzia.

Il criterio del calcolo del ricavo è dato dal valore della contropartita patrimoniale in denaro o in natura o dal
valore normale del bene estromesso dalla sfera aziendale.
Lezione 22.2

156
Francesco Gruppelli
Plusvalenza
Riguarda quei beni strumentali ovvero quei beni destinati ad essere impiegati come strumenti nel ciclo
produttivo dell’impresa in modo durevole, beni che contribuiscono alla formazione del reddito lungo un
arco temporale comprensivo di più esercizi.

I beni strumentali possono essere materiali o immateriali, quindi possono essere terreni, fabbricati,
impianti, macchinari ma possono anche essere diritti di brevetti industriale, diritti di utilizzazione delle
opere di ingegno, tutti gli intangibles.

Con specifico riferimento ai beni immobili si distinguono ulteriormente i beni strumentali e strumentali per
natura, ovvero quelli che non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni e beni
strumentali per destinazione ovvero quei beni che sono utilizzati nel processo produttivo dall’imprenditore
che imprime attraverso le sue scelte la caratterizzazione strumentale a quel determinato bene.

I beni strumentali si distinguono dai beni meramente patrimoniali che sono quei beni destinati
durevolmente al patrimonio dell’impresa ma con una funzione non di formazione del reddito e
partecipazione al ciclo produttivo ma con una funzione di investimento di integrazione delle disponibilità
finanziarie.
Se un impresa detiene degli immobili destinati ad uso abitativo che emette reddito ecco che quel bene
immobile non va qualificato come bene strumentale ma come bene meramente patrimoniale, come forma
di investimento dell’impresa.

La cessione a titolo oneroso di un bene strumentale e di un bene meramente patrimoniale, diverso da un


bene merce, determina una plusvalenza quindi sono plusvalenti tanto i beni strumentali quanto i beni
meramente patrimoniali.

Tra le fattispecie di realizzo della plusvalenza dobbiamo ricordare il risarcimento per la perdita o il
danneggiamento di un bene plusvalente, quindi l’indennizzo che conseguo nello stesso i periodo in cui
avviene l’evento dannoso, perché se lo conseguo in un periodo di imposta successivo questo costituisce
una sopravvenienza attiva e esattamente per il caso dei ricavi, l’autoconsumo, quindi l’utilizzo del bene
plusvalente, ha finalità estranea nell’impresa.
Il bene strumentale o plusvalente che sia assegnato ai soci o comunque come per i ricavi si determini un
qualsiasi evento che determini una fuoriuscita dall’impresa.

La plusvalenza è data dalla differenza positiva tra due valori in due momenti diversi di quel medesimo bene,
che troviamo iscritto nell’attivo dello stato patrimoniale per un valore pari al costo, i beni plusvalenti sono
iscritti tra le immobilizzazione finanziare.

In caso in cui la fattispecie di realizzo sia determinata dalla cessione a titolo oneroso, la differenza positiva è
data dal corrispettivo, tra il prezzo liberamente pattuito tra le parti per il bene meno il valore fiscalmente
riconosciuto del bene, valore base.

Il valore di bilancio del bene plusvalente sarà pari alla differenza tra il costo fiscale e l’ammortamento
fiscale, pari al costo non ammortizzato.

Se parliamo di risarcimento danni la differenza del valore fiscalmente riconosciuto del bene e quindi del
costo non ammortizzato e del valore finale dovrà tenere contro dell’esistenza di un indennità risarcitoria,
nel caso di risarcimento non avremo un corrispettivo ma avremo appunto un risarcimento danni spettante
all’impresa che ha perso il bene plusvalente.
Se il bene estromesso dalla sfera dell’impresa non ha corrispettivo ne indennità risarcitoria andrà
monetizzato al valore normale.

157
Francesco Gruppelli
Un ipotesi particolare di calcolo della plusvalenza si ha nel caso di permuta, quindi di un bene plusvalente
scambiato con un altro bene ammortizzabile, che entra nella sfera di impresa e che sostituisce il bene
plusvalente che fuoriesce e viene iscritto in bilancio allo stesso valore al quale era iscritto il bene ceduto.
In questo caso la plusvalenza è data solo dall’eventuale conguaglio in denaro.
Attraverso il sistema della permuta possiamo traslare sul bene ricevuto in permuta il valore fiscalmente
riconosciuto del bene plusvalente che è fuoriuscito.

Rispetto alle modalità di tassazione le plusvalenze rilevano nell’esercizio in cui si considerano realizzate,
quindi l’esercizio in cui è avvenuta la cessione, in cui il bene danneggiato è stato risarcito e così via.
Per agevolare l’autofinanziamento mediante reinvestimento delle risorse provenienti dal reddito
plusvalenze è consentito all’imprenditore far concorrere le plusvalenze alla formazione del reddito in
quanto costanti nell’esercizio in cui sono state realizzate e negli anni successivi ma non oltre il quarto.
Questo a condizione che il bene plusvalenze sia stato posseduto dall’impresa per un periodo non inferiore
ai tre anni.

Le plusvalenze rilevano nel momento della realizzazione secondo il principio di competenza ma a scelta del
contribuente partecipa alla formazione del reddito per il loro ammontare o solo nell’esercizio di realizzo oic
quote costanti nell’esercizio di realizzo e nei successivi ma non oltre il quarto.
Questa scelta deve essere compiuta dal contribuente nell’anno in cui è avvenuto il realizzo apportando una
variazione in diminuzione pari alla quota della plusvalenza postergata.
Il contribuente sceglie come frazionare la plusvalenza in 2,3,4,5 parti uguali, nel primo anno ci sarà una
variazione in diminuzione pari alle quote di plusvalenza che sono state postergate ma negli anni successivi
di realizzo ci saranno delle variazioni in aumento rispetto al risultato del conto economico.

Questa possibilità di spalmare per un massimo di cinque periodi di imposta la plusvalenza ha la finalità di
mitigare il prelievo che deriva da plusvalenze che si sono formate nel corso di un lungo arco temporale.
Alla stessa ratio presiede la disposizione che consente all’imprenditore individuale di optare per la
tassazione separata della plusvalenza che deriva dalla cessione di azienda posseduta da più di cinque anni.

Nel caso di trasferimento di azienda mortis causa per atto gratuito non abbiamo l’emersione di una
plusvalenza perché l’azienda passa all’agente causa con gli stessi valori fiscali dei beni che aveva presso il
dante causa.

Un regime particolare riguarda le partecipazioni che si hanno non solo in società commerciali di capitali o di
persone ma anche in enti, siano essi residenti o non residenti, questo perché la cessione di partecipazioni
determina una plusvalenza.

Anche per le partecipazioni si pone un problema di doppia imposizione perché la partecipazione non è altro
che una quota parte del capitale della società presso la quale si ha la partecipazione.
Quindi cedere la partecipazione configura una novella ricchezza per il soggetto cedente ma quella ricchezza
risulta già sottoposta a tassazione in capo alla società e per evitare questa duplice tassazione in capo al
socio e alla società sono stati escogitati vari metodi.

Un metodo è quello della trasparenza, per le società di persone il reddito delle società trasparenti rispetto
al fisco è imputato direttamente ai soci ai quali spettano i redditi di partecipazione e in capo ad essi avviene
la tassazione.

Il sistema previgente prevedeva per le cessioni di partecipazioni il metodo del credito di imposta, veniva
crepitato al socio l’imposta pagata dalla società su quella medesima ricchezza, questo sistema presentava
una serie di inconvenienti dal punto di vista applicativo nel caso in cui i soci e società fossero residenti in
due paesi differenti.

158
Francesco Gruppelli
È per questo che a seguito della riforma del 2003 si è passati al metodo della esenzione sulle plusvalenze
delle partecipazioni, questo metodo prevede una tassazione ridotta del socio perché l’idea di fondo è che le
plusvalenze che derivano dalle partecipazioni sociali costituiscono la stessa ricchezza riferibile agli utili della
società e quindi ad una ricchezza che è già stata tassata in capo alla società.
È per questo che questo regime non può essere qualificato come un regime agevolativo, non è stata
introdotta per agevolare i soci ma per evitare la duplice imposizione.

Se il soggetto che cede la partecipazione è un soggetto ires è prevista l’esenzione, quindi il non consorto
alla formazione del reddito imponibile per il 95% della plusvalenza, esenzione significa impossibilità di
dedurre i costi. Per gli imprenditori individuali la % di esenzione è del 41,86 e per questa stessa %
rileveranno quindi i componenti negativi di reddito.

L’esenzione scatta a seguito del soddisfacimento di 4 condizioni:


Le prime due condizioni riguardano il soggetto partecipante, le ultime due riguardano la società
partecipata.

Il primo criterio dice che per beneficiare di questo la società partecipante deve aver detenuto la
partecipazione in modo ininterrotto dal primo giorno del 12esimo mese antecedente a quello
dell’avventura cessione, questo ci dice che gode del regime solo l’investimento durevole.
Nel caso in cui la partecipazione sia stata acquistata in date diverse si considerano cedute per prime le
quote acquistate per ultime, sulla base del criterio Heel hi-fi oh.

Il secondo criterio è che la società partecipante abbia classificato la partecipazione tra le immobilizzazione
finanziarie nel primo bilancio successivo all’acquisizione, questo significa che l’originaria iscrizione
nell’attivo circolane preclude l’esenzione. Quello che occorre osservare è il primo bilancio successivo
all’acquisizione della partecipazione e ci dice che la participation exemption è esclusa nel caso di
riclassificazione strumentale in vista della cessione.

Questi primi due presupposti assicurano che la plusvalenza rifletta gli utili della partecipata e non sia il
frutto di fluttuazioni di mercato, deve quindi sussistere un legame durevole tra partecipante e partecipata.
Gli utili realizzati dalla partecipata devono essere in una relazione qualificata con la plusvalenza realizzata
nella cessione della partecipazione.
Se non c’è questa relazione il plusvalore potrebbe considerarsi connesso a fluttuazioni di mercato e quindi
non godere della PE.

Il terzo requisito ci dice che la residenza fiscale della partecipata non deve essere in uno stato a fiscalità
privilegiata, la ratio è che se la partecipazione è in uno stato che non prevede tassazione o che prevede
tassazione molto bassa non c’è ragione di esentare il socio perché in questo caso non si configura una
duplice imposizione su quella medesima ricchezza.
È prevista la possibilità di interpello e quindi la possibilità di dimostrare all’agenzia delle entrate che l’aver
scelto una partecipazione in una società localizzata in un paradiso fiscale non comporta una tassazione
ridotta sugli utili realizzati dalla società.

Il quarto requisito ci dice che la partecipata deve essere un impresa commerciale, quindi non ci può essere
esenzioni per partecipazioni in enti senza impresa, questo è un disincentivo a costituire società contenitori
per trasferire beni in esenzioni di imposta e per presunzione assoluta non si considerano commerciali le
società che si limitano a gestire immobili patrimoniali.

Gli ultimi requisiti devono essere sussistenti fin dall’inizio del terzo periodo di imposta anteriore a quello di
realizzo e nel caso di holding devono risultare integrati tanto dalla holding quanto dalla società partecipata
dalla holding.

159
Francesco Gruppelli
Se questi requisiti non sussistono la plusvalenza sarà integralmente assoggettata a tassazione ma i relativi
costi torneranno ad essere deducibili sulla base del principio di simmetria.
Viscerava se la plusvalenza va in PE i costi inerenti alla plusvalenza esente saranno indeducibili.

Questo significa che per un imprenditore è molto diverso dal punto di vista fiscale cedere l’azienda o cedere
una partecipazione sull’azienda perche se cedo l’azienda la plusvalenza che deriva dalla cessione viene
integralmente tassata ma simmetricamente in questo caso l’acquirente ha la possibilità di dedursi il costo,
se invece cedo una partecipazione e sussistono i presupposti della PE la partecipazione consente
l’esenzione per il venditore ma simmetricamente non consente la deducibilità del costo di acquisto in capo
all’acquirente.

160
Francesco Gruppelli
Sopravvenienze attive
Provocano una variazione in aumento nel patrimonio dell’impresa e sono disciplinate all’articolo 88 del
TUIR. Si distinguono in sopravvenienze in senso proprio e sopravvenienze per assimilazione.

Le prime sono tutti quegli eventi che modificano componenti positivi o negativi già contabilizzati in
precedenti esercizi, poiché rilevano tutte le modificazioni patrimoniali riconducibili all’impresa non solo
quelle derivanti dalla gestione, può infatti accadere che in un esercizio fiscale sia stato rilevato un
componente positivo e negativo e intervenga successivamente un fatto che produce una variazione di
segno positivo negli effetti finanziaria di un’operazione rilevata contabilmente in un precedente esercizio.

Quindi se si è generato un ricavo a fronte di componenti negativi dedotti in precedenti esercizi o se il ricavo
si è verificato in misura superiore rispetto a quella che ha concorso a formare il reddito in precedenti
esercizi, ad esempio nel caso di maggiori corrispettivi dovuti per una revisione contrattuale che interviene
tra le parti di un operazione, in tutti questi casi si determinerà una sopravvenienza attiva in senso proprio.

Allo stesso modo si determinerà nel caso di sopravvenuta insussistenza di componenti negativi dedotti in
precedenti esercizi, quindi mi sono già dedotto un costo ma poi è intervenuto un evento sopravvenuto ad
esempio rappresentato da uno sgravio derivante dalla fiscalizzazione di oneri sociali o delle imposte che ho
pagato e che avevo già dedotto mi sono state rimborsate oppure ho riscosso un credito che consideravo
inesigibile e quindi quando l’ho considerato inesigibile ho dedotto una perdita ma poi invece sono riuscito a
recuperare quel credito.
Quindi la sopravvenuta esistenza di un componente negativo determina una sopravvenienza attiva.

Sopravvenienze attive in senso proprio vanno definiti tutti quegli accadimenti imprevisti che causano o la
realizzazione di un entrata o l’estinzione di una passività e quindi un correttivo che il sistema fiscale
introduce per dare rilevanza fiscale a tutte quelle modificazioni patrimoniali riconducibili all’impresa che
intervengono in un esercizio successivo a quello in cui un componente positivo o negativo risultato
contabilizzato in un esercizio.

Nel caso di rinuncia al credito se un debito che deriva da un costo che ha concorso a formare il reddito non
viene pagato per rinuncia al credito il rinunciante iscriverà una sopravvenienza passiva, il soggetto a favore
del quale è stato rinunciato il credito iscriverà una sopravvenienza attiva.

Le sopravvenienze attive per assimilazione non rettificano componenti positivi o negativi che hanno
partecipato alla formazione del reddito in precedenti periodi ma rappresentano degli incrementi di
ricchezza a carattere straordinario che non si riconnettono a fatti che hanno influenzato il reddito di
impresa in precedenti periodi di imposta.

È il caso di indennità per risarcimento danni diverse da quelle che originano ricavi, quindi se il bene merce è
stato perduto, danneggiato in un periodo di imposta precedente a quello in cui avviene la perdita, nel
momento in cui la società incassa l’indennità risarcitoria si realizzerà una sopravvenienza attiva per
assimilazione.

Per cassa avviene l’incremento di ricchezza straordinario rispetto ad un fatto che non ha già influenzato il
calcolo del reddito di impresa.

Allo stesso mondo dobbiamo configurare i proventi in denaro e natura erogati a titolo di liberalità o di
contributo in conto capitale, abbiamo già detto che questi hanno carattere non strutturale ma una tantum,

161
Francesco Gruppelli
se il contributo ha carattere fisiologico andrà qualificato come ricavo, se ha carattere straordinario come
sopravvenienza attiva per assimilazione.

Da questi esempi ricaviamo che la rilevanza delle sopravvenienze attive è per cassa.
Quindi rilevano dal punto di vista temporale nel momento in cui la ricchezza entra nelle casse dell’impresa.

Non costituiscono sopravvenienze attive i versamenti a fondo perduto e le rinunce ai crediti operate dai
soci, queste poste infatti hanno natura di conferimenti di capitale, quindi non concorrono a formare il
reddito di impresa perché sono elementi costitutivi dell’organizzazione societario, non sono un prodotto
dell’attività di impresa, ed è per questo che se il socio rinuncia ai crediti verso la società nei limiti del valore
fiscale non si genera una sopravvenienza.
Per la parte che invece eccede il valore fiscale si determina una sopravvenienza attiva
Così pure la riduzione del debito derivante da concordato o ristrutturazione del debito non configura
sopravvenienza attiva.

Quindi anche sulla base di questi esempi possiamo desumere la regola generale che ci dice che tutte le
erogazioni patrimoniali che provengono dall’interno, dai soci e dall’impresa stessa, sono fiscalmente
irrilevanti.
Viceversa le attribuzioni patrimoniali che provengono dall’esterno sono fiscalmente rilevanti e come tali
vanno tassate e possono generare dei componenti positivi e negativi di reddito.

162
Francesco Gruppelli
Lezione 23.1
Dividenti e interessi
I dividenti come noto sono gli utili che derivano dalla partecipazione da società, nel caso di utili che
derivano da società tassate per trasparenza, l’articolo 5 del TUIR ci dice che il reddito della partecipata è
imputato direttamente ai soci indipendentemente dalla percezione e in modo proporzionale alla quota di
partecipazione agli utili.

Gli utili che derivano da tutte le altre società concorrono alla formazione del reddito della partecipante solo
a seguito della distribuzione, quindi come per le sopravvenienze rileva il principio di cassa, quando sono
percepiti i dividendi.

Dovrebbero essere qualificati come redditi di capitale ma in virtù del principio di attrazione diventano una
componente attiva del reddito di impresa.

Esattamente come per la cessione delle partecipazioni ci troviamo di fronte ad una ricchezza che risulta già
tassata in capo alla società che stacca il dividendo, ed è per questo che anche nel caso di dividendi è
previsto un meccanismo che a partire dal 2004 supera il previgente meccanismo del credito di imposta
attraverso il quale veniva attribuito al socio che percepiva il dividendo un importo pari all’imposta versata
dalla società su quel dividendo.
Dal 2004 per i dividendi si applica un metodo di esclusione, metodo reale che ci dice che è tassata la società
che stacca il dividendo, viceversa il socio che riceve il dividendo è escluso da tassazione per la misura del
95% del dividendo se il socio è un soggetto ires, nella misura del 41,86% se il socio che riceve il dividendo è
un imprenditore individuale.
Questo regime di esclusione è applicabile anche se non ricorrono i 4 requisiti che abbiamo visto per la PE,
l’unica condizione che deve sussistere è che il dividendo non deve provenire da società localizzate in un
paradiso fiscale o in uno stato a fiscalità privilegiata.

Si considerano assimilati ai dividendi gli utili distribuiti da società non residenti, a patto che non siano
residenti in uno stato a regime fiscale privilegiato, in relazione a partecipazioni la cui remunerazione se
corrisposta da società residenti sarebbe stata totalmente indeducibile.
Ci dice ciò perché innanzitutto si deve rispettare la condizione generale tale per cui il dividendo non deve
provenire da una società localizzata in un regime a fisicità privilegiata, e poi perché se questo utile fosse
stato corrisposto da una società residente e sarebbe stato deducibile per la società partecipata non
servirebbe l’esclusione della tassazione per la partecipante perché anche in quarto caso non ci sarebbe
doppia imposizione.

Sono altresì assimilati ai dividendi gli utili che derivano da contrati in associazioni e partecipazione e di
cointeressenza con apporto di solo capitale o di capitale lavoro.

Un problema notevole di individuazione delle somme a titolo di utile o restituzione di apporti lo abbiamo
per tutti quei casi in cui la società eroga ai soci beni, somme, nei casi di recesso, esclusione, riscatto,
riduzione del capitale, liquidazione della società e così via, perché se la somma erogata al socio costituisce
utile concorre alla formazione di reddito e quindi è assimilata al concetto di dividendo, se viceversa
rappresenta una restituzione di apporti non concorre alla formazione del reddito.
La normativa fiscale prevede per presunzione assoluta che la società di capitali distribuisca utili di esercizio
e riserve di utili, quindi nel caso di dubbio se la somma erogata al socio sia la restituzione di capitale, quindi
abbia una rilevanza non reddituale, o un utile, la presunzione introdotta ci dice che in caso di dubbio

163
Francesco Gruppelli
dobbiamo sempre considerare come prioritaria distribuzione quella di utili di esercizio e delle riserve di
utili.

Le riserve di capitale sono costituite mediante apporti a titolo di capitale di rischio e concorrono a formare
il costo della partecipazione, quindi la restituzione e ripartizione di capitali non riduce il reddito della
società ma riduce il costo della partecipazione e in quanto tale non incide sul reddito del socio.
Se l’ammontare della riserva del capitale ripartita e restituita al socio risulta superiore al suo costo fiscale,
in questo caso farà reddito l’eccedenza e come sappiamo questa eccedenza va qualificata come plusvalenza
e va tassata in capo al socio.

Una differenza quindi rispetto al momento impositivo l’abbiamo nel caso di utili che derivano dalla
partecipazione in società semplici in nome collettivo e in accomandita semplice residenti in territorio dello
stato, e come sappiamo fanno scattare il regime della trasparenza e gli utili distribuiti da società ed enti
soggetti ad ires, perché nel caso di tassazione per trasparenza il momento impositivo va ancorato al
momento in cui il reddito è prodotto ancorché non è direttamente percepito dal socio, viceversa gli utili
distribuiti dalle società ed enti commerciali soggetti ad ires risultano tassabili solo se e nel nell’esercizio in
cui sono distribuiti.

Come già anticipato ai fini della esclusione delle rilevanza della quarta parte del dividendo per il socio non è
necessario integrare le condizioni previste nell’ambito della PE ma è indispensabile che il dividendo non
provenga da società localizzate in regimi fiscali favorevoli.
Anche in questo caso, come nel caso visto per la PE, il socio può dimostrare che non ha localizzato il reddito
in un paradiso fiscale e lo può fare inoltrando una istanza di interpello all’agenzia delle entrate, interpello
che qualifichiamo come probatorio e che è facoltativo.
Nel regime previgente questo interpello era disapplicativo ed era obbligatorio.

Fattispecie limitrofa a quella dei dividenti è quella degli interessi attivi, i quali concorrono a formare
l’imponibile per l’ammontare maturato, quindi per l’ammontare anche se non ancora precipito
dall’impresa.
Rispetto a questa regola di imputazione temporale fanno eccezioni gli interessi di mora ai quali dobbiamo
applicare il principio di cassa.

Gli interessi attivi se la loro misura non è determinata per iscritto vanno computati al saggio legale e quindi
c’è una presunzione di fruttuosità legata al saggio legale che opera unicamente qualora non ci sia una
diversa indicazione da parte delle parti in forma scritta, se c’è ovviamente gli interessi attivi vanno misurati
e concorrono alla formazione del reddito sulla base dell’indicazione liberamente operata dalle parti in
contratto.

Se gli interessi attivi concorrono alla formazione del reddito per simmetria ci aspettiamo già che gli interessi
passivi siano deducibili per la società e questo ci dice che il modo in cui si finanzia una società attraverso
capitale di rischio e di debito non è affatto indifferente dal punto di vista fiscale.
Se infatti la società viene finanziata dal socio con un apporto di capitale di rischio, il socio sarà remunerato
da un dividendo indeducibile per la società.
Viceversa se la remunerazione avviene con un apporto di debito il soggetto creditore acquisterà un diritto
di credito nei confronti della società per la restituzione de capitale e dei relativi interessi su quel capitale di
cui ha beneficiato la società, gli interessi passivi saranno però deducibile per la società.

Per presunzione legale le somme versate a società commerciali si presumono, salvo prova contraria, date a
mutuo, questo se dai bilanci delle società non risulta un altro titolo.

Quindi per distinguere tra dividenti indeducibili per la società e interessi passivi deducibili per la società
dobbiamo porci nella prospettiva della società finanziata, perché se la remunerazione è prelevata dal

164
Francesco Gruppelli
risultato della attività sociale è chiaramente estranea al calcolo del reddito che il soggetto produce, se
viceversa la somma è prelevata dal risultato ma a monte perché è comunque dovuta è un elemento del
calcolo del reddito che porta alla rilevanza fiscale in termini di deducibilità di interesse passivo corrisposto
dalla società che riceve il finanziamento dal soggetto creditore.

Proventi immobiliari
Gli immobili li possiamo trovare o nell’attivo circolante, e sono allora beni merce, o tra le immobilizzazione
finanziarie, e quindi beni strumentali o meramente patrimoniali.
Mobili possono essere sia beni merce sia beni plusvalenti.

Gli immobili che ci interessano ora sono gli immobili meramente patrimoniali, diversi dai beni strumentali e
dagli immobili merce, quindi immobili detenuti a fini di investimenti e scopo speculativo, non si tratta di
cespiti autonomi e non si tratta di cespiti produttivi di redditi fondiari, in virtù del principio di attrazione
anche questi componenti diventano redditi di impresa.

Nel caso in cui gli immobili siamo sistemati in Italia questi componenti attivi del reddito di impresa vanno
misurati sulla base delle risultanze catastali, a differenza dei beni plusvalenti derivanti da beni strumentali
la modalità di determinazione dell’imponibile deve avvenire attraverso le risaltante catastali.
Quindi il godimento di questi beni meramente patrimoniali sarà determinato nell’ambito dei redditi
fondiari, se l’immobile è situato all’estero il calcolo avverrà sull’ammontare netto risultate sulla valutazione
dell’immobile effettuata nello stato estero.
In assenza di questa valutazione il reddito è determinato dall’ammontare percepito nel periodo di imposta
ridotto forfettariamente del 15%.

Una regola particolare che riguarda la determinazione dei proventi immobiliari è che anche se diamo
applicazione alle risultanze catastali per la determinazione del reddito risultano deducibili gli interessi
passivi relativi ai finanziamenti, contratti dall’impresa per acquistare gli immobili.

Per quanto riguarda gli immobili a seconda della determinazione che viene impressa a questo particolare
bene, se l’immobile è un bene merce genera ricavi o rimanenza ed è il caso dei fabbricati costruiti dalle
imprese edili, imprese che considerano immobili come il prodotto della loro attività e quindi come beni
merce, se l’immobile è strumentale sulla base dei costi e dei proventi effettivi genererà una plusvalenza, se
l’immobile è meramente patrimoniale sarà un bene plusvalente ma sarà qualificato sulla base i tariffe
estimo catastale.

165
Francesco Gruppelli
Lezione 23.2
Componenti negativi del reddito di impresa
Numero molto vasto: spese di prestazioni di lavoro, gli interessi passivi, oneri contributivi e fiscali, gli oneri
di utilità sociale, le minusvalenze patrimoniali sopravvivenze passive e perdite, gli ammortamenti, spese ad
utilità pluriennali, accantonamenti, rimanenze.

Spese per prestazioni di lavoro


Costituiscono dei componenti negativi del reddito di impresa perché per il principio di simmetria i compensi
in denaro e natura derivanti dal contratto di lavoro costituiscono componenti positivi di reddito per i
dipendenti dell’impresa che li percepiscono, quindi le somme che il datore di lavoro eroga ai lavoratori
dipendenti rappresentano un costo deducibile per competenza dal reddito dell’impresa.

A questo principio di correlazione derogano quelle liberalità operate dal datore di lavoro a favore della
generalità dei dipendenti, questi proventi risultano deducibili dal reddito di impresa anche se non
costituiscono reddito imponibile per il lavoratore che percepisce la liberalità.

Nel rispetto invece del principio di correlazione, principi di simmetria, non sono deducibili in quanto non
sono tassati come reddito in capo ai lavoratori dipendenti i canoni di locazione e le spese di funzionamento
delle strutture ricettive, così come non sono deducibili i canoni di locazione e le spese per i fabbricati in uso
ai dipendenti, proprio perche la componente positiva di reddito non trova tassazione in capo al percettore.

I compensi agli amministratori, promotori e soci fondatori costituiscono spese per prestazioni di lavoro
deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti, infatti questa costituisca una eccezione al principio di
competenza economica perche in questo caso dobbiamo applicare il criterio della cassa.

Per quanto invece riguarda i compensi per gli associati in partecipazione dobbiamo distinguere se la
partecipazione è di solo lavoro e in questo caso il compenso sarà deducibile per competenza, se c’è
l’apporto di solo capitale o un apporto misto invece il compenso sarà indeducibile dal reddito di impresa.

Le partecipazioni agli utili che spettano agli associati in partecipazione vanno computati in diminuzione dal
reddito imponibile indipendente dalle imputazione a conto economico, perché la partecipazione all’utile è
calcolata dopo la determinazione di quell’utile, ed è per questo che la legge ne dispone la rilevanza
indipendente dalla imputazione a conto economico che invece abbiamo visto essere un principio generale
valevole per tutti i componenti negativi di reddito.

Se la prestazione di lavoro è svolta dal coniuge, dal figlio o dall’ascendente dell’imprenditore, i compensi
spettanti a seguito di tali prestazioni non sono deducibili, a meno che coniuge figli e ascendenti
dell’imprenditore non siano a loro volta imprenditori o professionisti.
Una disposizione come questa vuole evitare che attraverso la destinazione di compensi ai famigliari
dell’imprenditore si attui una redistribuzione tra più soggetti del reddito prodotto dell’iniziativa economica
di uno solo e quindi posto che questi compensi non confronto a formare il reddito complessivo dei
percepenti, la relativa spesa per la prestazione di lavoro non sarà deducibile da reddito di impresa.

166
Francesco Gruppelli
Oneri fiscali e contributivi
La regola dettata dall’articolo 99 del TUIR ci dice che sono indeducibile le imposte sui redditi e quelle per le
quali è ammessa la rivalsa.
Non è quindi deducibile l’ires in quanto non è un costo di produzione del reddito ma rappresenta una
conseguenza del reddito prodotto e quindi non rientra in quel concetto di spesa per la produzione del
reddito che ne legittima la deducibilità.
Allo stesso modo è indeducibile l’Irpef, l’IRAP a seconda del periodo di imposta interessato e chiaramente
non sono deducibili quei tributi addebitati a terzi in via di rivalsa anche facoltativa, quindi se c’è la
possibilità per il soggetto di traslare l’onere economico del tributo ad un altro soggetto chiaramente il
soggetto che effettua la traslazione non ha diritto alla deducibilità di quel costo che di fatto viene sostenuto
da un altro soggetto inciso dal tributo.

Deducibili invece sono quei tributi diversi da quelli indicati dalla norma, quindi diversi dalle imposte sui
redditi e da quelli per la quale è ammessa la rivalsa e la deducibilità è per cassa, ovvero imputabile
nell’esercizio in cui il tributo è effettivamente pagato.

Fa eccezione alla regole della cassa l’IVA quando costituisce un costo per l’impresa, quando l’IVA non è
traslabile su un altro soggetto ma grava sull’impresa che diventa il soggetto inciso da tributo, è ammessa la
deducibilità dell’IVA ma per competenza e non per cassa.

Se l’impresa fa degli accantonamenti per tributi non ancora definitivamente accertati, perché ad esempio
impugnati dall’impresa, la deducibilità è ammessa se il tributo è a suo volta deducibile, in questo caso non
conta l’esercizio in cui il tributo è effettivamente pagato ma conta quello in cui è stato fatto
l’accantonamento, si guarda l’esercizio di competenza e non a quello di cassa, e rileva il momento in cui o è
stata presentata la dichiarazione dei redditi o è notificato latto impositivo o è intervenuta la decisione
giurisdizionale relativa a quell’accertamento o tributo rispetto al quale è stato fatto l’accantonamento.

Infine gli oneri di utilità sociale, i contributi ad associazione sindacali e di categoria sono tutti oneri
deducibili ancorché siano costi che l’impresa sostiene a favore di soggetti terzi, non siano costi inerenti
all’esercizio dell’attività di impresa, pensiamo ad esempio alle spese che l’impresa può sostenere per i figli
dei proprio dipendenti, le spese per attività di ricerca o anche tutta una serie di erogazioni liberali
tassativamente elencate dal legislatore fiscale, anche se tutti questi costi non risultano inerenti, non sono
strettamente afferenti all’attività di impresa, ne è ammessa la deducibilità.

Ulteriore categoria di componenti negativi che dobbiamo considerare è quella degli interessi passivi di cui
abbiamo in parte già parlato, abbiamo già detto che quando l’impresa ricorre non a capitale di rischio ma a
capitale di debito il soggetto che effettua il finanziamento acquista il diritto di credito rispetto al capitale
investito nella società, capitale che dovrà essere restituito dalla società con degli interessi, questi interessi
sono interessi passivi per la società che li deve corrispondere e costituiscono una componente deducibile
dal reddito di impresa.

Per contenere il livello di indebitamento della società sono previste delle norme nell’ambito del TUIR, la più
importante è quella dell’articolo 96 del TUIR che ci dice che gli interessi passivi e gli oneri assimilati sono

167
Francesco Gruppelli
deducibili fino a concorrenza dell’interessi attivi e proventi assimilati e per la parte eccedente nel limite del
30% della gestione caratteristica.
Il roll è quel valore rappresentato dalla differenza tra la produzione e i costi della produzione.
La deducibilità degli interessi passivi è soggetta al limite, rappresentato dall’ammontare degli interessi
passivi che trova capienza negli interessi attivi e nei proventi assimilati, per il principio di simmetria e per la
parte che eccede nel limite del 30% del risultato operativo lordo.
Nel caso di imprenditori individuali c’è una regola particolare che ci dice che gli interessi passivi inerenti
all’esercizio di impresa sono deducibili per la parte corrispondete al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e
degli altri proventi che concorrono a formare il reddito di impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi
e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi.
Rimanenze
Facciamo riferimento ai beni merce, ai beni che formano l’oggetto dell’attività caratteristica dell’impresa sia
quando questi beni sono prodotti finiti, sia quando non sono ancora ultimati e quando sono semilavorati o
prodotti in corso di lavorazione.
Così pure dobbiamo fare riferimento, come abbiamo visto a proposito della nozione di ricavi, alle materie
prime e a tutte quelle utilizzate nel processo produttivo e ai titoli iscritti nell’attivo circolante.
Tutti questi beni nel momento in cui sono ceduti a titolo oneroso o ricorre una delle altre fattispecie di
realizzo costituiscono dei componenti positivi di reddito.

Quando questi beni risaltano invenduti, dal punto di vista dell’azienda i beni invenduti, ovvero le
rimanenze, sono dei costi sospesi, non corrispondono a dei ricavi realizzati e nel conto economico devono
essere registrate le variazioni delle rimanenze.

Dal punto di vista fiscale abbiamo un esigenza diversa, abbiamo l’esigenza cioè di trasferire il valore di
bilancio da un esercizio sociale all’altro, ed è per questo che l’articolo 92 del TUIR ci dice che in osservanza
del principio di continuità dei valori di bilancio, le rimanenze finali di un esercizio costituiscono le giacenze
iniziali del periodo di imposta successivo.
Questa equivalenza tra rimanenze finali quali giacenze iniziali del periodo di imposta successivo ha la
funzione di trasferire il costo dei beni invenduti da un esercizio all’altro ed è per questo che possiamo
applicare rispetto alle rimanenze la seguente equazione: I beni merce prodotti o acquisiti dall’impresa
sommati ai beni residuati da esercizi precedenti, ovvero le esistenze iniziali, il magazzino dell’impresa, deve
essere uguale ai beni alienati e alle rimanenza finali.

Le rimanenze finali concorrono a formare il reddito dell’esercizio, in particolare le variazioni delle


rimanenze finali possono costituire un componente positivo, quando le rimanenze finali sono superiori
rispetto alle esistenze iniziali e quindi il soggetto incremento il magazzino, oppure un componente negativo,
quando le rimanenze finali risultano inferiori alle esistenze iniziali.

Il meccanismo delle rimanenze assume rilievo quando il costo dei beni merce non viene sostenuto nello
stesso esercizio in cui si genera il ricavo ma il costo risultata sostenuto in un periodo precedente rispetto a
quando il bene sarà venduto a titolo oneroso e quindi genererà un ricavo.
Il meccanismo delle rimanenze segue il principio di correlazione costi e ricavi e serve per traslatare il avanti
nel periodo di imposta in cui risulterà realizzato il ricavo, il costo sostenuto per la produzione del bene o
servizio da cui deriva quel ricavo.
Come già anticipato questo meccanismo prende spunto dal principio di continuità dei valori contabili in
base al quale le valutazioni di bilancio devono essere fatte nella prospettiva della continuità dell’attività
aziendale e quindi dobbiamo traslare da un esercizio fiscale all’altro il valore fiscalmente riconosciuto dei
beni.

Come funziona il meccanismo delle rimanenze


Immaginiamo di essere nell’anno di imposta 1, quest’anno l’impresa sostiene un costo e questo costo
rappresenta una componente negativa del reddito di impresa. A fronte di questo costo viene prodotto un

168
Francesco Gruppelli
bene merce che però al termine dell’anno 1 risulta invenduto. L’impresa deve inserire questo costo tra le
rimanenze finali determinando una variazione in aumento delle rimanenze finali.
La variazione in aumento delle rimanenze finali costituisce un componente positivo di reddito, si forma un
reddito che neutralizza il costo sostenuto dall’impresa nell’anno 1.
Se nell’anno 2 il bene merce risalta venduto si genera un ricavo, e l’impresa deve cancellare il costo dalle
rimanenze e si determina una variazione in diminuzione delle rimanenze finali.
La variazione in diminuzione costituisce un componente negativo che neutralizza in parte il ricavo, questo
significa che viene tassato solo il plusvalore indicato dal ricavo.
Questo meccanismo ci consente di traslare in avanti nel periodo in cui si forma il ricavo il costo sostenuto
per la produzione del bene merce da cui è derivato il ricavo.
Questo meccanismo chiaramente si può applicare ai beni merce, perché i beni strumentali ovvero quei beni
a fecondità ripetuta sono sostenuti dall’impresa sulla base di un costo che deve essere spalmato in tutti i
periodi in cui quel bene viene utilizzato dall’impresa e quindi riversa la sua utilità ai fini del processo
produttivo, processo che segue le regole dell’ammortamento.

Come si determina la rimanenza ?


Se è possibile una ricostruzione analitica del costo dei singoli beni esistenti a fine esercizio bisogna operare
una valutazione al costo specifico, quindi imputando a ciascun bene merce il rispettivo costo di acquisto o
di produzione, in caso contrario si deve procedere ad una valutazione per categorie omogenee e quindi
raggruppare i beni merce a seconda della loro natura o del loro valore, quindi facendo riferimento alle
proprietà e caratteristiche merceologiche, seconda la natura dei beni o in base al valore normale di quel
bene al momento del loro raggruppamento.
La valutazione delle rimanenze nel primo esercizio avviene sulla base del costo medio ponderato, quindi
occorre stimare il costo complessivo dei beni prodotti e acquistati nell’esercizio e la quantità totale di beni
acquistati.
Se ad esempio ci sono rimanenze finali pari a 50 unità e queste romanze finali derivano da acquisti di 200
unità, quindi ne vende 150 e ne sono rimasti 50, se il costo complessivo delle 200 unità è pari a 450 k, il
costo medio ponderato di ciascuna unità sarà dato dalla somma totale diviso per il numero di unità
acquistate: 450k/200.
I beni invenduti e giacenti nel magazzino avranno quindi un valore pari al costo medio ponderato di
ciascuna unità per il numero di unità residuate in magazzino.

Come valutare gli esercizi successivi


Se negli esercizi successivi non ci sono modifiche al magazzino, esso mantiene il suo valore fiscalmente
riconosciuto.
Se negli esercizi successivi invece non riesco a vendere il mio magazzino le rimanenze dei beni risultano
aumentate rispetto all’esercizio precedente, quindi l’impresa continua a produrre ed acquistare beni ma
non riesce a venderli, in questo caso la maggiore quantità di beni residuati in magazzino non si mescola
rispetto alla quantità di beni già esistente nel magazzino perché la regola dettata dal TUIR ci dice che la
quantità di beni pari a quella in rimanenza nell’esercizio precedente mantiene il valore fiscalmente
riconosciuto nell’esercizio precedente, viceversa la quantità di beni eccedente, che viene incrementativa a
negli anni successivi va valutata in modo differenziato sulla base del costo medio ponderato.
Quindi la quantità di beni eccedenti che incrementano il magazzino da vita ad una voce distinta valorizzata
con il criterio della media ponderata.
Quindi se ci sono, negli esercizi successivi al primo, delle esistenze iniziali pari a 50 unità e negli anni
successivi vengono fatti degli acquisti per 100 unità e al termine del 2 anno residuano rimanenze finali per
70 unità, significa che c’è stato un incremento di 20 unità rispetto alle iniziali 50 unità. In questo caso le 50
unità preesistente mantiene il valore fiscalmente ricostituito, già determinato sulla base della media
ponderata già calcolata. Mentre le 20 unita aggiuntive avrà invece una determinate a se stante sulla base
del costo medio ponderato. Una volta calcolato il valore fiscale complessivo delle 20 unità sommeremo
questo valore al valore del magazzino relativo alle 50 unità che costituivano le esistenza iniziali.

169
Francesco Gruppelli
Se invece negli servizi successivi al primo sono riuscito a vendere il magazzino, le rimanenze dei beni merce
giacenti in magazzino risultano diminuite rispetto allo stock dell’esercizio precedente.
In questo caso la valutazione fiscale del magazzino va effettuata sulla base del criterio LIFO, si considera
venduto per primo il bene acquistato per ultimo, questo significa che le giacenze di magazzino sono
valutate sulla base dei costi più vecchi, rispetto a questo criterio se adotti in bilancio possono essere
utilizzati in via alternativa anche il criterio FIFO e quindi in questo caso si considerano venduti per primi i
beni acquistati per primi, oppure altre varianti del primo metodo.

Nel caso in cui il valore nomale dei beni merce risulti inferiore al loro costo c’è la possibilità per il soggetto
di svalutare il magazzino.
Qualora invece il valore dei beni risulti superiori al valore normale medio dell’ultimo mese di esercizio, il
valore minimo delle rimanenze va determinato moltiplicando l’intera quantità di beni al loro valore
normale.

Come calcolare e dare rilevanza fiscale ai prodotti in corso di lavorazione e ai servizi in corso di esecuzione,
cosa succede cioè nel caso di beni o servizi la cui produzione o prestazione risulti a cavallo tra più periodi di
imposta. Come conteggio i prodotti non finiti e i prodotti non ultimati.
Questo problema si pone soprattutto per imprese come le imprese edili che chiaramente non sempre
riescono a ultimare l’opera per la quale si sono obbligati in un unico periodo di imposta, in questo caso la
valutazione delle rimanenze deve essere fatta a costi specifici, quindi devo valutare le spese sostenute in
quell’esercizio includendo anche gli oneri accessori di diretta imputazione, quindi le spese notarili, le spese
di trasporto, tutto quello che attiene alla determinazione del costo effettivamente sostenuto escludendo
però le spese generali.
Questa valutazione a costi specifici va fatta in modo analitico, non sulla base della media ponderata come
invece abbiamo visto nei casi dei prodotti finiti.

Altro problema è quello relativo alle opere, forniture e servizi di durata ultrannuale, tutti quei casi in cui c’è
un bene, servizio o fornitura che svolta su ordinazione che si concretizza in un oggetto contrattualmente
unitario che prevede una realizzazione ultrannuale e che è indivisibile.

È il caso ad esempio per l’appalto di una costruzione di un opera ultrannuale.


In questo caso la valutazione delle rimanenze di questi particolari beni va effettuata sulla base dei
corrispettivi pattuiti, non sui costi sostenuti.
Dobbiamo stimare la fetta di corrispettivo pattuito attribuibile alla porzione di opera eseguita in quel
determinato periodo di imposta.

Anche l’appalto dell’opera ultrannuale deve essere rilevato tra le rimanenze, nelle rimanenze devo trovare
l’indicazione dei lavori effettuati determinandone il valore in base al corrispettivo pattuito, quindi non in
base al costo come nel caso del magazzino.

C’è questa regola perché in questo caso siamo di fronte non ad un utile sperato come nel caso del bene
merce invenduto ma siamo di fronte ad un corrispettivo già maturato economicamente perché derivante
da un contratto in corso di esecuzione.

Quindi nel caso del magazzino considero il costo perché il corrispettivo è solo sperato, io non so se il bene
merce che giace nel mio magazzino riuscirò mai a venderlo e quindi per li magazzino ci serve una tecnica
per sospendere il costo in attesa della produzione del ricavo.

Nel caso invece delle opere, forniture e servizi di durata ultrannuale ci serve una tecnica per ripartire tra più
esercizi i ricavi impedendo che gravino tutti sull’esercizio nel quale il lavoro viene ultimato.
I metodi utilizzabili per determinare il quantum del corrispettivo pattuito da imputare alla parte di opera già
realizzata sono vari, possono essere quelli del:

170
Francesco Gruppelli
Cost to cost, quindi il corrispettivo è imputato nello stesso rapporto del costo maturato in quell’esercizio;
Il metodo del costo standard e quindi il corrispettivo complessivamente pattuito è imputato sulla base di
una percentuale pari alla frazione e % di bene o della prestazione già realizzata o già effettuata;
Il metodo SAL ovvero che è imputato il corrispettivo liquidato in dipendenza degli stati di avanzamento dei
lavori.

Tutti questi criteri ci dicono di considerare il corrispettivo solo per la parte di % di completamento
dell’opera, fornitura o servizio ultrannuale.

Nel caso degli stati di avanzamento dei lavori si tiene evidentemente conto dei corrispettivi già liquidati,
quindi se nel corso della realizzazione dell’opera sono già stati liquidati dei corrispettivi questo è
sicuramente un indice e una situazione a cui possiamo immediatamente dare rilevanza fiscale.
Quando l’opra sarà conclusa i corrispettivi non liquidati diventeranno ricavi.

Le eventuali maggiorazioni di prezzo cui normalmente è soggetta l’opera ultrannuale rilevano dal punto di
vista fiscale se trovano la loro fonte o nella legge o in una clausola contrattuale.
Se sì tratta di una mera pretesa dell’imprenditore rispetto al committente, le maggiorazioni di prezzo sono
imputate quali componenti positivi di reddito solo se e quando vengono accettate dal committente.

In termini generali possiamo dire che i corrispettivi liquidati in via definitiva in relazione alla parte di opera
già eseguita costituiscono componenti positivi di reddito e vanno qualificati come ricavi, viceversa dovremo
valutare tra le rimanenze esclusivamente quelle parti di opere o del servizio non ancora eseguite.

171
Francesco Gruppelli
Lezione 24.1
Minusvalenza, sopravvivenze passive e perdite

Minusvalenza, lo definisce la norma di legge, riguarda beni diversi che generano ricavi, quindi beni
plusvalenti, e quelli che generano plusvalenze esenti.
Come abbiamo visto nel sistema della PE chi cede la partecipazione che va in PE gode del regime di
esenzione e nel caso in cui questo soggetto sia un soggetto ires l’esenzione è parziale ed è pari al 95%.
Anche se c’è questa esenzione parziale, la minusvalenza sarà integralmente indeducibile.

Le minusvalenza relative a partecipazioni suscettibili di beneficiare del regime PE non rilevanza nemmeno
nei limiti del 5%.
Diverso è il caso di minusvalenza nel caso di partecipazione che va in PE sia detenuta da una società di
persone o da una persona fisica, in questo caso è del 41,76% e nella stessa misura sarà irrilevanti ai fini
fiscali l’eventuale minusvalenza.

La minusvalenza è rilevante se realizzata, con fattispecie di realizzo dobbiamo fare riferimento alla cessione
a titolo oneroso del bene plusvalente, al risarcimento nel caso di perdita o danneggiamento del bene, e a
differenza di quanto avviene per le plusvalenze, non rilevano le finalità extra-imprenditoriali a cui possono
essere destinati i beni plusvalenti, quindi l’assegnazione del bene al socio non potrà mai dare luogo ad una
minusvalenza.

Le uniche due fattispecie di realizzo delle minusvalenza, e quindi di condizioni di deducibilità di questi
componenti, si hanno nel caso di cessione a titolo oneroso che si ha quando il corrispettivo di cessione sarà
più basso del valore di carico fiscale del bene, oppure del risarcimento nel caso in cui l’indennità risarcitoria
sia inferiore al valore fiscalmente riconosciuto del bene.

Con perdita intendiamo furto, smarrimento, incendio, decadenza di un brevetto, volgarizzazione di un


marchio, tutti casi in cui viene meno la titolarità del diritto vantato dall’impresa su di un determinato bene,
sia esso un bene materiale o immateriale, senza che il bene venga trasferito ad un altro soggetto.

La perdita può riguardare beni diversi da beni merce e partecipazioni che usufruiscono del regime PE e beni
che possono dar luogo ad una perdita sono i beni strumentali e beni ammortizzabili o i beni meramente
patrimoniali, non ammortizzabili, in questo caso la perdita sarà rappresentata dal costo del bene
patrimoniale.
Poiché non è facile individuare quando si realizza una perdita su uno di questi beni, l’articolo 101 comma 5
del TUIR ci dice che la perdita è deducibile se risulta da elementi certi e precisi.
Come già anticipato non dobbiamo seguire quel criterio di prudenza che invece deve seguire il bilancio nel
momento in cui contabilizza una perdita, perché la perdita meramente probabile non può avere rilevanza
fiscale.
Rileva ai fini fiscali solo la perdita certa e precisa.

Qual è la misura della perdita ?

172
Francesco Gruppelli
Pari al costo non ammortizzato del bene, quindi al valore fiscalmente riconciato del bene.
Nel caso in cui la perdita del bene sia seguita da un risarcimento potremmo avere una plusvalenza o
minusvalenza a seconda che l’indennità sia superiore o inferiore al valore fiscalmente riconosciuto del
cespite perduto.
Plus-minusvalenza la avremo se il diritto di credito all’indennità risarcitoria sorge nello stesso periodo di
imposta in cui si è verificata la perdita.
Se viceversa il diritto all’indennizzo sorge dopo al periodo in cui si è realizzata la predita, nel periodo in cui si
è realizzata la perdita avremo la deducibilità della perdita, ma negli anni successi in cui avviene l’incasso
dell’indennità risarcitoria avremo una sopravvenienza attiva pari al credito che è stato ristorato.

Un caso particolare è quello delle perdite su crediti che possono derivare da inesigibilità del credito, quindi
impossibilità del mio debitore a soddisfare la mia pretesa creditoria o può essere l’effetto di un atto
dispositivo dell’imprenditore.
La perdita su crediti derivante da inesigibilità del credito, la deducibilità è condizionata al fatto che la
perdita sia certa.
È certa se il credito è modesto, inferiore ai 5mila euro e sono decorsi oltre 6 mesi dalla scadenza del
pagamento oppure se il credito risulta prescritto o se è avvenuta la cancellazione del credito da bilancio, o
ancora se il debitore è stato assoggettato a procedere concorsuali o è in corso un piano di ristrutturazione
del debito.
Il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla data in cui interviene la sentenza
dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa o
interviene il decreto di ammissione alla procedura del concordato preventivo o del decreto che disposte
l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
In tutti questi casi c’è un elemento certo che ci dice che sarà impossibile per l’impresa recuperare quel
credito, allora la perdita diventa deducibile.

La perdita su crediti può derivare anche da un atto dispositivo dell’imprenditore, quindi può cedere il suo
credito per un corrispettivo inferiore al suo valore nominale e si realizza la perdita posto che il prezzo di
cessione, la cui congruità va dimostrata da parte dell’impresa, è inferiore al valore fiscale di quel credito.

Se la cessione avviene pro soluto la perdita risulta deducibile perché in questo caso il cedente non risponde
della solvibilità del debitore ma garantisce solo l’esistenza del credito, nel caso invece di cessione pro
solvendo la perdita sarà indeducibile.
Infatti nel caso della cessione pro solvendo il cedente garantisce che il debitore eseguirà la prestazione
dovuta e in caso di inadempimento il cessionario potrà rivolgersi al cedente che a suo volta è tenuto a
pagare la somma dovuta dal debitore.

Ai fini della quantificazione della perdita dobbiamo tenere in considerazione il valore nominale del credito
senza considerare eventuali svalutazione, se è stata operata una svalutazione, la perdita sarà deducibile
solo nella parte che eccede la svalutazione o l’accantonamento effettuato precedentemente
dall’imprenditore.
Anche rispetto alle perdite possiamo avere una possibile divaricazione temporale tra il momento della
perdita giuridica del diritto di credito e il momento in cui viene accertato in modo certo che l’imprenditore
è impossibilitato a riscuotere il suo credito.

Per quanto riguarda le sopravvenienze passive il discorso è molto simile alle sopravvenienze attive, la
norma di riferimento è l’articolo 101 del TUIR.
Le sopravvenienze passive costituiscono componenti negativi deducibili che ricorrono allorquando avviene
un mancato conseguimento di ricavi o altri proventi che hanno concorso a formare il reddito di esercizi
precedenti, quindi ho già dato rilevanza fiscale sulla base delle norme tributarie ad un ricavo in un esercizio
precedente, ma poi per varie ragioni non ho materialmente incassato quel ricavo, allora per neutralizzare

173
Francesco Gruppelli
quel componente positivo di reddito che ha concorso a formare l’imponibile ho la possibilità di dedurmi
una sopravvenienza passiva del medesimo ammontare di quel componente positivo che ha già rilevato.

O per converso allorquando l’imprenditore sostiene delle spese, affronta delle perdite o degli oneri a fronte
di componenti positivi che hanno concorso a formare il reddito di esercizi precedenti, sempre per il
principio di simmetria tutto quello che può interessare un componente positivo che ha già avuto rilevanza
fiscale in un esercizio precedente, a fronte di nuove spese, di una perdita o di un onere non già rilevato dal
punto di vista fiscale, lo strumento della sopravvenienza passiva mi consente di neutralizzare quel
componente positivo.
E così pure la sopravvenuta insussistenza di attività diverse da quelle che hanno originato delle plusvalenza
esenti che come sappiamo non influiscono e non concorrono alla formazione del reddito imponibile, se c’è
stata cioè una plusvalenza che ha già rilevato dal punto di vista fiscale e per un evento sopravvenuto
bisogna correggere la rilevazione fiscale, lo strumento ad hoc è quello della sopravvenienza passiva.

Tra le rimanenze da valutare a fine esercizio ci sono anche i titoli.


Per la valutazione di titoli, quindi di beni iscritti nell’attivo circolante, valgono gli stessi criteri che abbiamo
già visto e che presiedono alla valutazione delle rimanenze dei beni merce, quindi vale la regola di iscrizione
al costo salve alcune regole particolari.

Innanzitutto per titoli intendiamo beni equiparabili ai beni merce e cioè partecipazione in società di capitali
che non usufruiscono della PE, strumenti finanziari assimilabili alle azioni che non usufruiscono della PE,
obbligazione ed altri titoli similari.

Ai fini della valutazione dei titoli dobbiamo procedere come per i beni merce e quindi raggruppare i titoli in
categorie omogenee, questo raggruppamento va fatto sulla natura dei titoli, quindi dal soggetto che li ha
emesse e dalle caratteristiche che i titoli presentano, quindi le azioni e gli strumenti finanziari similari
andranno raggruppati sulla base della società emittente, sulla base della loro categoria, mentre le
obbligazioni le dobbiamo raggruppare in base all’emittente, al tasso, a tutte le caratteristiche proprio di
questi particolari strumenti.

La svalutazione prevista per i beni merce è permessa solo per le obbligazioni e titoli assimilati, non è
permessa per le partecipazioni.

Nel caso di aumento di capitale e distribuzione gratuita di nuove azioni il valore fiscale di tutte le azioni già
possedute deve essere ripartito tra tutte le azioni detenute dopo la distribuzione gratuita, infatti dopo ciò
aumenta il numero di azioni ma resta invariato il costo fiscale complessivo e quindi ciascuna azione avrà
incorporato un valore medio unitario inferiore.
Nell’ipotesi opposta, caso cioè di versamenti da parte dei soci a fondo perduto o in conto capitale o nel
caso di ricucina ai crediti nei confronti della società, il valore fiscalmente riconosciuto sarà incrementato
proporzionalmente rispetto alla quantità di partecipazioni possedute dal soggetto.

Nel caso di minusvalenze da valutazione, quindi nel caso di svalutazioni la deducibilità è possibile solo se il
titolo di cui stiamo parlando è un obbligazione o un titolo similare.

Nel caso invece di minusvalenza su partecipazioni, la deducibilità è ammessa se la minusvalenza si


considera realizzata, se il bene in oggetto è un bene diverso da un bene merce o da un bene che usufruisce
della PE, perché le minusvalenza realizzate su partecipazione che godono della PE sono integralmente
indeducibili.

174
Francesco Gruppelli
Accantonamento è lo strumento attraverso il quale è possibile far partecipare al risultato di un esercizio per
perdite o debiti di natura determinata, di esistenza certa o probabile, dei quali tutta via alla data di chiusura
risultano ancora indeterminati o l’ammontare o la data di sopravvenienza.

Costi privi di requisiti di certezza e definitività, che sulla base dei principi generali che regolano i
componenti negativi del reddito di impresa non dovrebbero dare luogo alla deducibilità.
Tuttavia ci sono dei casi previsti dalla legge che i costi accantonati risultano deducibili, casi ex lege che
fanno deroga a quel principio di certezza e definitività del componente negativo e che consentono
all’impresa di dare rilevanza fiscale a costi non ancora certi nel quantum e nel quando.
Sulla base dei principi di bilancio noi dobbiamo rilevare i costi anche solo probabili, ai fini fiscali la rilevanza
fiscale condizionata alla certezza e definitività o alla previsione di legge, è il legislatore che ci autorizza a
dare rilevanza all’accantonamento.
Questo significa che non ci potrà mai essere da punto di vista fiscale degli accantonamenti aticipi, solo
quelli previsti in modo tassativo dalla legge risultano fiscalmente rilevanti.

Uno di questi accantonamenti a cui si può dare rilevanza fiscale è l’accantonamento ai fondi per l’indennità
di fine rapporto, quindi a componenti che sono certi nell’an e nel quantum, ma sono inesigibili sino alla fine
del rapporto di lavoro.
In questo caso il legislatore prevede la deducibilità dell’accantonamento nei limiti delle quote maturate
nell’esercizio in conformità di disposizioni di legge.

Oppure un altro caso è a quello dell’accantonamento al fondo di copertura per rischi su crediti, in questo
caso l’accantonamento è deducibili nei limiti previsti dalla legge purché risulti imputato a bilancio.

Se si verifica una perdita, diventerà deducibile solo per la parte che supera l’accantonamento già dedotto,
quindi se ho dato rilevanza fiscale ad un accantonamento e la perdita che effettivamente si realizza non
supera questo accantonamento, non avrò più diritto ad alcuna deducibilità.
Se invece il fondo è stato integralmente tassato i costi e le spese restano integralmente deducibili quando
saranno sostenuti.

Alla stessa ratio presiede l’accantonamento che è possibile effettuare a fronte delle maggiori imposte
accertate, quindi l’impresa riceve un avviso di accertamento, decide di fare ricorso, nel frattempo può
stanziare un accantonamento nel caso in cui il processo dia esito negativo per il contribuente.
Questo è possibile perche il quantum è incerto, l’impresa non sa se e quanto dovrà pagare ad esito del
giudizio.
In questo caso se ad esito del giudizio il fondo risulta superiore alla spese effettivamente sostenuta perché
il contribuente ha vinto o è riuscito a ridurre o eliminare la pretesa impositiva recata dall’avviso di
accertamento, il sistema reagisce originando una sopravvenienze attiva, quindi quel fondo e ammontare
accantonato che è già stato rilevato attraverso la deduzione, andrà ripreso a tassazione attraverso
l’accostamento di una sopravvenienza attiva.

Tutte queste ipotesi tassativamente individuate dal legislatore servono quindi a determinare in modo
corretto il risultato di esercizio, l’accantonamento a fondi consente all’imprenditore di tenere conto di
rischi prevedibili e per coprire questi rischi il sistema impedisce che una perdita o debito influisca sul
risultato dell’impresa.

Rispetto all’accantonamento a fondi va tenuto distinto l’accantonamento di utili, che non concorre a
formare il reddito di esercizio, perché non è una modalità attraverso la quale dare rilevanza ad una perdita
o ad un debito ma è una modalita di impiego dell’utile, l’accantonamento di utili è rappresentato dalla
costituzione di una riserva, quindi di una posta del passivo dello stato patrimoniale e come tale non ha
rilevanza reddituale.

175
Francesco Gruppelli
Lezione 24.2
Ammortamento
È un procedimento tecnico contabile attraverso il quale vengono ripartiti in più esercizi i costi di
acquisizione di un bene avente utilità pluriennale.
Rispetto a beni strumentali, beni cioè che manifestano la loro utilità lungo tutto un arco di tempo, abbiamo
la necessita di ripartire negli esercizi in cui questa utilità si manifesta il costo di acquisizione del bene
strumentale.

Tra i beni ammortizzabili non rientrano i beni ad utilità illimitata, come ad esempio i terreni perché in
questo caso il costo risulta traslabile tra un anno all’altro per l’intero, perché recuperabile per l’intero al
momento della sua dismissione.

La finalità dell’ammortamento è evitare che il costo di un bene per sua natura deperibile, non avente un
utilità illimitata, incida come componente negativo solo nell’esercizio in cui avviene l’acquisto.

I beni ammortizzabili sono i beni strumentali, in generale, ma tuttavia non sempre questa equivalenza si
verifica, ad esempio rispetto ai terreni.
Viceversa ci possono essere beni ammortizzabili che non sono necessariamente beni strumentali, caso di
fabbricati civili posseduti dall’azienda, sono beni ammortizzabili ma non sono necessariamente beni
strumentali, inseriti nel ciclo produttivo dell’azienda.

Di ammortamento parlano anche le norme del codice civili, e qui dobbiamo porci il problema se queste
norme valgano anche ai fini fiscali.
Sappiamo che i beni strumentali in quanto beni che troviamo appostati tra le immobilizzazioni devono
essere iscritti in bilancio in base al loro costo, l’articolo 2426 ci dice che questo costo deve essere
sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione alla residua possibilità di utilizzazione del
bene.

Ai fini fiscali il legislatore tributario utilizza dei criteri più rigidi per rilevare l’ammortamento, troviamo dei
coefficienti che fissano il limite massimo all’importo dell’ammortamento inseribile tra i componenti negativi
del reddito di impresa, questo ovviamente per ragioni di certezza del rapporto obbligatorio di imposta.
Il fatto che in ambito fiscale abbiamo una soglia massima che non è superabile ci porta a concludere che se
la quota di ammortamento indicata nel conto economico e rispettosa della disciplina civilistica supera la
soglia fiscalmente ammessa, l’eccedenza deve formare oggetto di una variazione in aumento.

Di nuovo la diversa caratterizzazione civilistica e fisale della medesima fattispecie può condurre ad una
variazione dal punto di vita fiscale rispetto al risultato civilistico.

176
Francesco Gruppelli
Una variazione dal punto di vista temporale la avremmo anche nel momento in cui il cespite
ammortizzabile disponibile non coincida con il momento in cui il cespite entra in funzione e questo perché
l’ammortamento civilistico segue un principio di rilevanza temporale in base al quale l’ammortamento ha
inizio nel momento in cui il cespite è disponibile per l’impresa, mentre ai fini fiscali l’ammortamento ha
inizio nel momento in cui il cespite entra in funzione e quindi questa diversa regola di determinazione
temporale può portare ad una variazione in aumento o in diminuzione di natura temporale.

Dal punto di vista fiscale sono ammortizzabili sia beni materiali strumentali sia beni immateriali, come le
opere dell’ingegno, i marchi, l’avviamento.

Nel caso di beni materiali strumentali l’ammortamento parte nell’esercizio di entrata in funzione del bene,
quando il bene è immesso nel ciclo produttivo e questo periodo non necessariamente coincide al momento
di acquisto del bene materiale strumentale.

L’ammortamento fiscale in questo caso deve avvenire in misura non superiore al coefficiente applicato al
costo unitario del bene, coefficiente stabilito con decreto del ministro dell’economia e delle finanze.
Per il primo esercizio questo coefficiente è ridotto alla metà, con costo unitario si deve intendere il costo
sostenuto per un bene o per un insieme di beni il cui costo deve essere ripartito, questo insieme di beni
manifestano una attitudine autonoma alla utilizzazione da parte dell’impresa.

Nel caso in cui il bene o il complesso di beni che devono avere caratterizzazione unitaria venga eliminato
dall’impresa, il costo non ancora completamento ammortizzato è ammesso integralmente in deduzione.

Per quanto riguarda le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento, e trasformazione di beni


strumentali materiali se siamo nell’ambito della manutenzione ordinaria le spese devono essere imputare a
conto economico e si riflettono sul risultato di esercizio, se invece siamo nell’ambito della manutenzione
straordinaria e quindi tutti quei costi che l’impresa sostiene per aumentare e incrementare la sua
produttività, queste spese vanno capitalizzate, cioè portate all’incremento del costo del bene cui si
riferiscono e vanno ammortizzate insieme al costo ordinario del bene.
Per evitare controversie sulla riconducibilità all’una o l’altra categoria il legislatore ha previsto la
deducibilità con il limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni ammortizzabili.

Nel caso di beni materiali strumentali ad uso promiscuo sono fissate delle soglie che forfettizzano la
deducibilità al fine non solo di evitare facili manovre elusive da parte delle imprese ma anche per
semplificare il sistema ed evitare controversie sulla riconducibilità di quel determinato bene alla sfera
dell’impresa o alla sfera personale o famigliare dell’imprenditore.

Con riferimento ai beni immateriali, la disciplina del TUIR prevede delle specifiche quote di ammortamento,
ad esempio per i diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, dei brevetti industriali, dei processi e delle
formule e delle informazioni, le quote di ammortamento sono deducibili in misura non superiore al 50% del
costo. Quindi il periodo di ammortamento non può essere inferiore ai due esercizi.
Le quote di ammortamento di marchi di impresa invece son deducibili in misura non superiore ad 1/18 del
costo.

Per quanto riguarda l’avviamento, in base al codice civile deve essere ammortizzato in base alla vita utile e
nella misura massima di 10 anni, dal punto di vista fiscale le quote di ammortamento sono deducibili in
misura non superiore ad 1/18 del valore dell’avviamento.

Sempre in ambito fiscale è prevista anche la possibilità del così detto super ammortamento e quindi
l’imprenditore può maggiore il costo di acquisto ai fini del calcolo delle quote di ammortamento.

177
Francesco Gruppelli
In questo caso la deduzione avviene in via extra-contabile, quindi senza la previa imputazione a conto
economico e determinerà una variazione in diminuzione rispetto al risultato civilistico.

Spese pluriennali
Ci dice l’articolo 108 del TUIR sono deducibili nei limiti della quota imputabile a ciascun esercizio sulla base
dell’applicazione dei principi contabili pertinenti, tra le spese pluriennali rientrano i costi di pubblicità e
propaganda e le spese di rappresentanza.

La differenza tra queste due voci di costo è fondamentale rispetto al trattamento fiscale perché i costi di
pubblicità e propaganda sono deducibili in modo immediato, mentre le spese di rappresentanza, ci dice il
comma 2, sono deducibili se rispondono ai criteri di inerenza e congruità stabiliti da apposito decreto del
ministro dell’economia e delle finanze anche in funzione della natura e destinazione di queste spese.

Quindi il comma 2 prosegue dettando i coefficienti di rilevanza della spese di rappresentanza, precisando
anche che risultano totalmente deducibili quelle spese relative ai beni di valore unitario inferiore ai 50 euro
da distribuite gratuitamente, quindi i campioncini di modico valore configurano spese di rappresentanza
deducibili integralmente per l’impresa.

Posto che i costi di pubblicità e propaganda sono immediatamente deducibili mentre le spese di
rappresentanza sono deducibili se rispettano i coefficienti fissati annualmente dal ministro dell’economia e
delle finanze, dobbiamo individuare un criterio per distinguere quando la spesa è una spesa di pubblicità e
quando invece è una spesa di rappresentanza.
Con spesa di rappresentanza, posto che la norma non ci da una definizione normativa, possiamo dal punto
di vista interpretativo individuare quella erogazione gratuita di beni, ivi compresi il denaro, o servizi a
soggetti determinati.
Perché l’impresa dovrebbe procedere a questa erogazione gratuita? Lo fa per finalità promozionale o di
pubbliche relazioni, per accreditare un immagine positiva di se, per aumentare la sensibilità della proprio
clientela e così via.

Viceversa la spesa di pubblicità serve per diffondere la conoscenza dei prodotti dell’azienda, serve per
diffondere i segni distintivi di quella determinata impresa, quindi la spesa di pubblicità non ha lo scopo di
promuovere l’immagine dell’azienda, ma ha lo scopo di concludere le vendite e in quanto tale la spesa di
pubblicità va qualificata come spesa di natura commerciale ed è per questo che il legislatore ne ammette
l’immediata deducibilità.

Viceversa la spesa di rappresentanza è una spesa che presenta un legame solo indiretto con i ricavi
potenziali e futuri ed è per questo che la deducibilità in questo caso è condizionata, attraverso la previsione
non solo del principio di inerenza che la spesa deve soddisfare, ma anche dai coefficienti stabili dal ministro
dell’economia e delle finanze.
Coefficienti che di nuovo hanno la funzione di evitare delle controversie sulla misura della deduzione
ammessa per le spese limitando le possibilità per le imprese di ricorrere a questi tipi di costi che possono
essere i più veri e del tutto slegati dai ricavi che il soggetto può ritrarre e che evidentemente si prestano a
finalità e manovre elusive da parte delle imprese.

178
Francesco Gruppelli
Lezione 25.1

Abuso del diritto ed elusione fiscale

Inizialmente dobbiamo definire che cos’è l’abuso del diritto e l’elusione e per fare ciò dobbiamo distinguere
questo fenomeno dai fenomeni come evasione, pianificazione fiscale aggressiva e lecito risparmio
d’imposta.

179
Francesco Gruppelli
Poi dobbiamo vedere come il nostro ordinamento recepisce questi fenomeni, vedremmo l’articolo 10 bis
dello statuto dei diritti del contribuente che disciplina l’abuso del diritto ed elusione fiscale.
In questo articolo è disciplinante anche il procedimento di accertamento, regole che l’amministrazione
fiscale deve seguire ai fini della notifica di un avviso di accertamento attraverso il quale viene contestato al
contribuente l’utilizzo abusivo o elusivo di una norma fiscale.

Infine vedremmo quali sono gli effetti giuridici, se l’amministrazione finanziaria mi notifica un avviso di
accertamento attraverso il quale mi contesta un abuso del diritto o un elusione fiscale cosa succede alla
fattispecie negoziale, al negozio che io ho posto in essere.

Iniziamo con la tripartizione tradizionale dei fenomeni patologici nel diritto tributario, include l’evasione
fiscale, elusione fiscale/abuso del diritto e il lecito risparmio di imposta.

Nella scienza delle finanze il termine evasione fiscale indica tutti quei metodi per ridurre o eliminare il
prelievo fiscale da parte dello stato sul contribuente attraverso la violazione di specifiche norme fiscali da
parte del contribuente, quindi con evasione fiscale intendiamo una condotta illecita tanto nei mezzi quanto
nel fine.
Attraverso la situazione evasiva il contribuente intende sottrarsi in tutto o in parte al pagamento del tributo
ed è per questo che l’evasione fiscale si realizza sempre ex post, ovvero quando il fatto imponibile si è già
verificato, quando è già sorta l’obbligazione tributaria.
Io possiedo un reddito, l’ho prodotto ma non lo dichiaro al fisco, la condotta di tale soggetto è una condotta
evasiva.
L’evasione fiscale la riscontriamo in tutte quelle ipotesi che possiamo qualificare genericamente come
vendite in nero, l’acquisto di beni che viene effettuato da parte del commerciante senza emissione della
fattura, ricevuta o scontrino fiscale.
Comportamento occulto al fisco, realizzo il presupposto di imposta ma la nascondo al fisco

Diverso il comportamento dell’elusione fiscale, in quanto essa si manifesta attraverso una condotta
formalmente lecita nei mezzi ma illecita nei fini, la condotta dell’elusione consente al contribuente di non
realizzare affatto la fattispecie imponibile o di realizzarne una meno onerosa rispetto a quella che avrebbe
dovuto porvi in essere.
Elusione deriva da ‘ludere’, quindi prendersi gioco. Il contribuente che pone in essere un comportamento
elusivo è un comportamento che gioca con le norme fiscali al fine di ottenere un risparmio di imposta in
debito.
Il contribuente che realizza un elusione rispetta la lettera della norma fiscale ma ne tradisce la ratio,
formalmente faccio finta di applicare delle norme fiscali ma in realtà quello che voglio perseguire è un
risparmio fiscale indebito.

Diverso ancora è il comportamento del contribuente che pone in essere un lecito risparmio di imposta,
quindi il contribuente che utilizza gli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento per conseguire un
risparmio sotto forma di un minor debito tributario.

Esempio
Immaginiamo che io sia un trasportatore che deve traportare una cassa di frutta da Milano a Venezia.
Per fare ciò posso utilizzare le vie provinciali, posso non utilizzare l’autostrada e sfuggire al pagamento del
l’onere che mi impone il pedaggio autostradale utilizzando una via che il sistema mi mette a disposizione,
ovvero la strada provinciale. Posso farlo rispettano la strumento che l’ordinamento mi mette a disposizione
e nello stesso tempo ottenere un risparmio di imposta.

180
Francesco Gruppelli
Se invece utilizzo l’autostrada ma se in qualche modo mi sottraggo al pagamento dell’onere che mi impone
il concessionario dell’autostrada attraverso il pedaggio autostradale io sono un evasore, perché realizzo il
presupposto di imposta ma alla fine mani sottraggo al connesso debito tributario.
La fattispecie di questo soggetto la dobbiamo qualificare come condotta evasiva.

Infine immaginario un trasportatore che saporendo che le ambulanze circolano nelle autostrade senza
dover scontare il pedaggio autostradale, immaginiamo un trasportatore che il qualche modo noleggi un
ambulanza e con quella trasporti il suo carico. Questa condotta qualifica un comportamento elusivo perché
il soggetto che si comporta in questo modo rispetta formalmente la lettera della disposizione che dice che i
viaggi in ambulanza non sono soggetti al pedaggio autostradale ma ne tradisce la ratio, perché la previsione
introdotta dal legislatore per escludere l’imposizione per chi viaggia in ambulanza non è di certo quello di
favorire un trasporto ma è quella di favorire il trasporto di persone in gravi situazioni mediche.

Attraverso questo esempio risuscitato a distinguere questi tre soggetti.


La condotta dell’elusore si differenzia molto da quella dell’evasore, perché la condotta del primo è condotta
alla luce del sole, mentre l’evasore fiscale fa di tutto per occultare al fisco il perfezionamento del
presupposto di imposta, l’elusore invece fa in modo che si percepisca all’esterno che egli effettivamente ha
noleggiato l’ambulanza, perché attraverso questa rappresentazione non fallace ma veritiera il soggetto
elusore ha effettivamente noleggiato l’ambulanza, riesce ad aggiornare le norme che prevedono il
pagamento del pedaggio scongiurando il tributo ma attraverso una condotta formalmente lecita nei mezzi
ma illecita nei fini.

Come reagisce l’ordinamento rispetto alla elusione fiscale?


Diciamo subito che i comportamenti evasivi sono oggetto del diritto penale, se io realizzo il presupposto di
imposta e non lo dichiaro al fisco quello configura un evasore punita penalmente.
Altresì non ci occuperemo del lecito risparmio di imposta perché il nostro ordinamento accoglie un
principio liberarle e ci dice che il contribuente può scegliere tra tutte le strade che l’ordinamento mette e a
disposizione

Il comportamento che ci interessa è quello elusivo, possiamo avere degli strumenti legislativi o
giurisprudenziali che contrastano questo tipo di comportamento.

Strumenti legislativi in particolare si suddividono in norme a contenuto antielusivo e norme a ratio


antielusiva: per le prime si intendono norme che descrivono in che cosa consiste l’elusione fiscale e ci
danno una nozione di elusione fisale. Studieremo che il nostro ordinamento fiscale prevede una norma
generale a contenuto antielusivo, ed è l’articolo 10 bis dello statuto dei diritti del contribuente.

Ma il nostro ordinamento prevede tantissime disposizione a ratio antielusiva, disposizioni normative che
non si preoccupano di qualificare l’elusione fiscale, non ci danno una definizione di che cos’è ma l’esistenza
stessa di queste norme ci spiega sulla base di una ratio antielusiva, le norme che limitano le deduzione e
detrazione e determinati soggetti possono conseguire sono normale che non ci definiscono che cos’è
l’elusione fiscale ma la cui esistenza si spiega in quanto il legislatore prevedendo ad esempio dei limiti
forfettari alla deducibilità di determinati componenti negativi, per evitare che queste norme siano oggetto
di abuso ed elusione fiscale da parte del contribuente.

Nel nostro ordinamento abbiamo tutte due i tipi.


Le norme a contenuto antielusivo possono essere norme analitiche, ovvero norme che individuano in modo
preciso le fattispecie e possono dar luogo ad una elusione fiscale o possono essere clausole generali, ovvero
possono essere norma che non tipizzano i casi di elusione ma ci danno una definizione onnicomprensiva di
che cosa si debba intendere per elusione fiscale e sarà poi l’interprete a vedere nei singoli casi se quel
determinato caso rientra nella clausola generare che mani definisce l’elusione fiscale.

181
Francesco Gruppelli
Il nostro ordinamento prevede anche tantissimi altri rimedi, che sono stati introdotti per via pretoria,
ovvero introdotti dai giudici per via giurisprudenziale.
Questi rimedi sono quello del negozio indiretto, tutta quella giurisprudenza che ci dice che se per giungere
un determinato obbiettivo commerciale l’ordinamento mi mette a disposizione uno strumento non è
legittimo che io per raggiungere quel medesimo obbiettivo fiscale utilizzi un negozio indiretto che mi
consente di arrivare sia a quel mediamo obbiettivo commerciale ma attraverso una via molto più lunga e
complicata rispetto a quella indicata dal legislatore attraverso quello strumento che i decido di non porre in
essere.

Altro strumento è quello della frode alla legge, sappiamo che in ambito civilistico vi è una disposizione che
vieta in quanto contraria all’ordinamento l’attuazione di negozi che violino norme imperative o norme
contrarie ai principi dell’ordine pubblico, del buon costume o comportamento diretti ad eludere, norme
issate dall’ordinamento civilistico.

Abbiamo poi anche in ambito civilistico di elaborazione giurisprudenziale il concetto di abuso del diritto.
Poi c’è la nozione di causa negoziale, è la funzione economica sociale del negozio ed è quindi la
situazione/condizione che caratterizza e spiega le ragioni per le quali un determinato soggetto a posto in
essere proprio quel determinato negozio.
Tutte le volte in cui non si spiega la ragione economica e sociale per la quale un soggetto a posto in essere
proprio quel determinato negozio, molto probabilmente in quel comportamento si annida un elusione di
natura anti-fiscale.

L’elusione fiscale si caratterizza sempre per la sussistenza di tre requisiti:


1. Requisito del vantaggio fiscale, l’elusore fiscale attraverso il suo comportamento mira a ottenere una
riduzione di imposta o un rimborso cui altrimenti non avrebbe diritto, quindi l’elusore fiscale ha sempre
come obbiettivo e riesce a conseguire un vantaggio sotto forma di riduzione di imposta o rimborso.
2. Requisito generale dell’elusione fiscale, possiamo leggere partendo dall’etimo della nozione di elusione,
elusione deriva da prendersi gioco, comportamento elusivo è il comportamento che aggira la ratio delle
norme tributarie, ne rispetto la forma e osservo la norma fiscale da punto di vista meramente formale
ma ne tradisco la ratio.
3. Assenza di valide ragioni economiche, egli pone in essere il suo comportamento senza apparenti ragioni
di business, quindi non c’è nessuna ragione economica per il trasportatore che noleggia l’ambulanza
pere effettuare il trasporto, l’unica ragione che caratterizza il comportamento è una ragione fiscale.

Analizziamo più nel dettaglio ciascuno di questi 3 requisiti

Vantaggio fiscale (primo requisito)


Riduzione di imposta o rimborso. Con questo concetto dobbiamo considerare come elusivo qualunque
vantaggio fiscale quantificabile, non solo la riduzione del pagamento del tributo ma anche ad esempio il
differimento del pagamento dei tributi, operazione che il contribuente pone in essere per evitare di pagare
adesso il tributo e di spostare il pagamento del tributo ad un momento successivo, anche questo
comportamento determina un vantaggio potenzialmente elusivo.

Il concetto di vantaggio è un concetto relativo, in relazione a qualcosa, ed è per questo che se


l’amministrazione finanziaria mi vuole contestare un vantaggio fiscale elusivo mi deve indicare quel
comportamento modello che io avrei dovuto seguire al quale è in ipotesi abbinato un carico tributario
maggiore di quello che ho spuntato.
Nell’elusione fiscale rispetto alla condotta dell’elusore c’è sempre una condotta modello che il contribuente
decide di non seguire, rispetto alla quale è abbinato un carico tributario maggiore di quello scontato dal
contribuente.

182
Francesco Gruppelli
Quindi l’amministrazione fiscale per dirmi che c’è un vantaggio fiscale essendo il vantaggio fiscale un
concetto relativo mi deve indicare quel comportamento fungibile che io avrei dovuto porre in essere e non
ho posto in essere perché solo attraverso la comparazione di questi due comportamento è possibile
individuare l’emersione di un vantaggio.

Il concetto di vantaggio rispetto alle norme che fronteggiano e cercano di evitare l’elusione fiscale può
essere qualificato in vario modo e quindi una norma anti-elusiva può prevedere che sia indebito un
vantaggio esclusivo, quindi se il contribuente oltre al vantaggio fiscale ha conseguito anche un vantaggio di
ordine economico commerciale non necessariamente fiscale, quel tipo di comportamento non potrà essere
considerato elusivo perché la norma mi precisa che è elusivo solo il vantaggio fiscale quando questo
vantaggio è esclusivo.

Nella norma all’articolo 10 bis dello statuto vedremo che il legislatore qualifica come indebito il vantaggio
essenziale, quindi se l’operazione posta in essere da contribuente è essenzialmente diretta nella sua
intrinseca natura a conseguire un vantaggio di ordine fiscale, quell’operazione potrà essere contrastata
dall’amministrazione finanziaria attraverso il ricorso all’articolo 10 bis.
Possiamo avere anche qualificazioni diverse del vantaggio fiscale in termini di vantaggio principale o
predominante, quindi una cosa a cui fare attenzione è sicuramente attributo al concetto di vantaggio fiscale
perché a seconda di questo attributo noi andiamo a circoscrivere o ad ampliare ciò che viene considerato
dall’ordinamento in debito.

Aggiramento della regola fiscale (secondo requisito)


Questo concetto deriva dall’etimo del termine elusione, elusione è sempre un aggiramento di norme fiscale
e esse sono norme che non pongono obblighi o divieti.
Il diritto tributario è un diritto secondario, non ci dice che cosa fare o cosa non fare, ci dice che se tu tiene
questo comportamento, a fronte del tuo comportamento è abbinato un determinato carico fiscale.
Le norme impositive sono norme di diritto secondario perché non pongono obblighi o dividenti ma
abbinano un destinato trattamento tributario ad un comportamento.

Il comportamento dell’elusore fiscale è il comportamento di chi aggira una regola fiscale, fa in modo di non
ricadere all’interno di una determinata regola cui l’ordinamento abbina un determinato carico fiscale,
quindi le norme tributarie, per lo meno quelle sostanziali, sono come le regole degli scacchi, l’elusore fiscale
gioca con le norme fiscali e questo gioco si sostanzia nella dare a ricercare quei comportamenti a cui sono
abbinati i carichi fiscali più bassi.

Rispetto a questa nozione di ordinamento ci dobbiamo porre la questione se rilevi l’intenzione del
contribuente, cioè il comportamento dell’elusore fiscale lo dobbiamo valutare oggettivamente o dobbiamo
dare rilevanza anche alle motivazioni che spingono un determinato soggetto a porre in essere un
determinato comportamento?
Vedremo come nel nostro ordinamento l’articolo 10 bis ci dice che dobbiamo osservare esclusivamente il
dato oggettivo del comportamento senza porci dei problemi rispetto all’intento elusivo del contribuente.

Rispetto al secondo presupposto dobbiamo fare attenzione a distinguere l’elusione dal concetto di
interposizione, essa può essere fittizia o reale, nel primo caso quando il contraente di un determinano
negozio è un soggetto diverso da quello su cui ricadono gli effetti di quel determinato negozio, quindi
ricorre rispetto al contratto tra un soggetto a. e un un soggetto c. intercorre la figura del soggetto
interposto.
Nell’interposizione fittizia noi classicamente abbiamo la cosiddetta testa di legno o uomo di paglia, abbiamo
cioè la situazione tale per cui viene concluso effettivamente un contratto, ma esso viene concluso da un
soggetto sul quale non ricadono gli effetti giuridici di quel contratto perché il vero contraente resta occulto.

183
Francesco Gruppelli
È il caso ad esempio del soggetto che non volendo figurare rispetto al fisco intesta la casa o il bene di lusso
ad un parente.
Nel caso di intestazione di un bene ad una testa di legno, ad un soggetto che sul quale non ricadono
effettivamente gli effetti giuridici di quel contratto, il soggetto realizza un interposizione fittizia, nasconde la
sua identità al fisco e questo è un fenomeno che ricorre molto spesso e ricorre soprattutto per sfuggire a
sistemi di accertamento tipici del redditometro, il soggetto che non vuole far figurare al fisco il fatto che
abbia acquistato uno yacht intesta questo bene di lusso alla nonna.
Rispetto a questa fattispecie dell’ interposizione fittizia, che ricade nelle condotte evasive condotte di
occultamente del presupposto di imposta, dobbiamo tenere distinta le condotte di interposizione reale.

Nell’interposizione reale l’interposto agisce come effettivo contraente, quindi l’interposto assume in
proprio i diritti e gli obblighi che derivano da negozio e ti obbliga però a ritrasferire questi diritti e obblighi
attraverso un ulteriore atto al soggetto interponente.
L’interposizione reale prevede almeno due negozi, il negozio concluso dal soggetto terzo e dall’Interposto e
il contratto poi tra interposto e interponente, quindi nell’interposizione reale non abbiamo un
occultamente al fisco del soggetto su cui ricadono effettivamente gli obblighi e diritti nascenti da contratto,
perché nell’interposizione reale abbiamo due negozi attraverso i quali il soggetto che effettivamente verrà
riconosciuto come titolare dell’obbligo e del diritto contrattuale è l’interposto che attraverso il successivo
contratto imputa gli effetti contrattuali all’interponente.

Assenza di valide ragioni economiche (terzo presupposto)


L’operazione elusiva è infatti una operazione formalmente legittima, ma una operazione priva di sostanza
economica, che non ha una ragione di business.

Molto evidente ad esempio in quelle operazioni di riorganizzazione societaria, tali operazioni, fusione e
scissione, sono operazioni fiscalmente neutrali, ovvero con imposta pari a zero.
Molto spesso quindi i soggetti utilizzano questo tipo di operazioni non per riorganizzare dal punto di vista
del business gli asset aziendali ma per mascherare dei negozi diversi.
Io invece che vendere direttamente la mia azienda e quindi realizzare un presupposto di imposta che
sconta un imposizione molto alta in italia, posso procedere ad una fusione con quella del mio compratore
perché questo tipo di operazione è soggetta ad aliquota zero.

Questo tipo di operazione può essere sindacata dall’agenzia delle entrate perché priva di valide ragioni
economiche, in realtà ho posto in essere un negozio che l’ordinamento mi mette a disposizione, la fusione,
ma non l’ho fatto per le ragioni per le quali la fusione è disciplinata, non l’ho fatto per riorganizzare il mio
business ma l’ho fatto solo per schivare la tassazione a cui invece io sarei soggetto nel caso vendita diretta
della mia azienda.

Un altro esempio che possiamo fare è la cessione d’azione da in relazione alla connessione di
partecipazioni; abbiamo studiato la PE e sappiamo che sulla base di derivanti requisiti la tassazione sulle
partecipazioni sconta una esenzione fiscale e quindi piuttosto che vendere direttamente la mia azienda
potrei costituire una società, conferire nella società tutti gli asset della mia azienda e poi cedere le
partecipazioni, perché la cessione delle partecipazioni sconta un trattamento tributario molto più
vantaggioso rispetto al trattamento tributario della plusvalenza che io realizzo nel momento in cui vendo
direttamente la mia azienda.
Questo tipo di comportamento è considerato elusivo perché la costituzione della società target non si
spiega sulla base di alcuna ragione di business ma si spiega esclusivamente per il fatto che il soggetto sta
pianificando i suoi affari esclusivamente in assenza di ragioni economiche ma esclusivamente per
conseguire un vantaggio fiscale.
Ovviamente questo è un criterio molto difficile da distinguere perché il nostro sistema ispirato dell’articolo
41 della costituzione ci dice che la libera iniziativa economica è un iniziativa gestita dai privati e gestita

184
Francesco Gruppelli
ispirandosi ad un criterio di libertà, quindi nulla vieta ad un imprenditore di organizzare i suoi affari anche
sulla base di criteri diversi da quelli economicità e dell’immediata redditività.
Nulla esclude che il comportamento tenuto da un imprenditore in un determinato momento non abbia una
lettura in termini di ragionevolezza economica, perché quel comportamento magari si spiega alla luce della
strategia e l’imprenditore decide di porre in essere lungo tutto un arco di tempo.
È per questo che è sempre oggetto di contestazione da parte del contribuente questo requisito dell’assenza
di valide ragione economiche, proprio perché quello che al fisco sembra un comportamento antieconomico
e irrazionale che si spiega solo dal punto di vista fiscale può invece essere un comportamento che ha delle
giustificazioni dal punto di vista del business che rilevano solo per quel determinato imprenditore e
determinata impresa.

Lezione 25.2

L’effetto dell’elusione fiscale è un effetto di inopponibilità, che significa inefficacia relativa.


Il negozio giuridico, l’operazione, il comportamento posto in essere dal contribuente è un comportamento
inefficace ma esclusivamente in relazione all’amministrazione finanziaria.

Quindi se la mia fusione è considerata elusiva gli effetti giuridici di quella fusione non rilevano
esclusivamente dal punto di vista fiscale, perché dal punto di vista civilistico la funzione resta in piedi.

Quindi inopponibilità significa inefficacia esclusivamente in relazione all’amministrazione finanziaria, quel


tipo di negozio non è opponibile da parte del contribuente all’amministrazione finanziaria.
Amministrazione finanziaria andrà a riqualificare il comportamento del contribuente e quindi andrà a dire
con rifermento all’esempio di prima che il soggetto non avrebbe dovuto porre in essere una fusione ma
avrebbe dovuto semplicemente vendere l’azienda realizzando una plusvalenza.
Quindi l’amministrazione oltre a ritenere a se inopponibile la fusione dal punto di vista fiscale riqualifica il
comportamento del contribuente e va ad applicare quelle norme tributarie che il contribuente ha inteso
schivare, quindi nell’esempio di prima l’amministrazione dirà che il contribuente ha realizzato una fusione
ma avrebbe dovuto realizzare una vendita diretta perché questo era effettivamente la finalità del tuo
comportamento e quindi ti vado ad applicare quelle norme tributarie che l’ordinamento abbina alla vendita
diretta dell’azienda.
Nell’operare questa riqualificazione ovviamente l’amministrazione andrà poi a rideterminare il quantum del
tributo e quindi come dicevo va ad applicare le norme che il contribuente ha voluto eludere, aggirare e
andrà a detrarre le imposte in ipotesi eventualmente versare dal contribuente rispetto al comportamento
posto in essere.

Nell’esempio della fusione/vendita diretta l’amministrazione applicherà le norme sulla tassazione della
plusvalenza derivante dalla vendita diretta al netto delle imposte eventualmente pagate dal contribuente
sulla fusione.

L’amministrazione a seguito dell’elusione fiscale non può incamerare più di quanto avrebbe diritto nel caso
in cui il contribuente avesse sin da principio seguito il comportamento modello e quindi l’amministrazione,
sempre sulla base del principio della corretta imposizione, andrà a detrarre le imposte già assolte sulla base
del comportamento elusivo dal contribuente.

Questo effetto di rimessa in ripristino e di riconteggio ai fini tributari del dovuto riguarda anche soggetti
terzi. Se ci sono dei soggetti che a seguito della fusione posta in essere dal contribuente hanno versato delle
imposte e magari quelle imposte non risultano più dovute a seguito della riqualificazione in cessione diretta
d’azienda, quei soggetti hanno diritto di rimborso delle imposte pagate a seguito dei comportamenti
disconosciuti dell’elusore fiscale.
Questo in termini generali per individuare qual è la nozione di elusione fiscale, quali sono i presupposti di
base e quelle che sono le conseguenze giuridiche dell’elusione fiscale.

185
Francesco Gruppelli
Vediamo ora dal punto di vista del diritto oppositivo come il nostro ordinamento disciplina l’elusione
fiscale.
La norma di rifermiamo è articolo 10 bis dello statuto dei diritti del contribuente, questo articolo si applica
ai comportamenti di elusione fiscale o abuso del diritto.
Prima che questo articolo fosse introdotta nel nostro sistema si usavano in modo pressoché distinto le
nozioni abuso di diritto ed elusione fiscale, ma a seguito dell’introduzione dell’articolo 10bis il legislatore ci
dice che tutto quello che viene individuato nella legge come elusione fiscale o come abuso del diritto
identifica la stessa fattispecie, quindi i due termini sono equipollenti.

Questa norma è una disposizione a contenuto antielusivo, ci aspettiamo una definizione di elusione fiscale
ed è una norma non analitica, generale, cioè che dobbiamo applicare a tutti i tributi esatti nel territorio
dello stato italiano sulla base delle norme del sistema tributario o vigente.

Questa disposizione ci dice che configura un abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza
economica e pur nel rispetto formale delle norme fiscali realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.
Questa norma ci dice che l’abuso o elusione ricorre se sussistono tre condizioni, le quali devono essere
oggetto di dimostrazione da parte dell’agenzia delle entrate.
Quindi se l’agenzia delle entrate mi vuole contestare la mia funzione, nell’avviso di accertamento anti
abuso mi deve indicare tutti e tre questi presupposti.

Questi presupposti sono il fatto che la mia operazione realizzi essenzialmente dei vantaggi fiscali, anche non
immediati, questi vantaggi devono essere indebiti e lo sono se sono in contrasto con la finalità delle norme
fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario, e infine le operazioni devono essere prive di sostanza
economica, si considerano prive di sostanza economica le operazioni inidonee a produrre effetti extrafiscali
significativi e rispetto a questo concetto di assenza di sostanza economica la norma ci da due indici, ci dice
quando in via esemplificativa, secondo il legislatore c’è assenza di sostanza economica.
Il primo indice ci dice che la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento
giuridico del loro insieme è un indice di assenza di sostanza economica.
Il secondo indice, sicuramente non meno astruso del primo, ci dice che anche la non conformità degli
strumenti giuridici alle normali logiche di mercato è un indice che il comportamento posto in essere dal
contribuente è un comportamento potenzialmente elusivo in quanto privo di sostanza economica.

Una prima riflessione che possiamo fare rispetto questa disposizione è che è sicuramente una norma non
facile da interpretare, un buon indice per valutare la qualità di una norma fiscale è infatti quello di vedere
quanti aggettivi e quanti avverbi quella norma prevede.
Se la norma prevede tanti aggettivi e tanti avverbi è sicuramente una norma non scritta bene, perché
avverbi e aggettivi introducono tanti elementi di ambivalenza interpretativa, più avverbi e aggettivi ci sono
più è ambigua l’interpretazione.

Questo lo vediamo già dal primo requisito, il vantaggio fiscale potenzialmente elusivo è il vantaggio
essenziale, quindi il vantaggio fiscale che l’amministrazione mi deve indicare nel suo avviso di accertamento
è il vantaggio che caratterizza l’essenza della mia operazione, quindi l’amministrazione fiscale nel momento
in cui mi notifica l’avviso di accertamento non potrà limitarsi a dire che ho perseguito un vantaggio fiscale
perché quel vantaggio fiscale connota la natura della tua operazione la misurare quel vantaggio fiscale
rispetto a tutti gli altri vantaggi che la mia operazione è stata suscettibile di generare.

Se la mia fusione oltre che a determinare una tassazione ridotta rispetto alla vendita diretta della mia
azienda ha fatto in modo che conseguissi una riorganizzazione dei miei asset, un miglioramento dal punto
di vista strutturale e organizzativo dei miei asset, non è detto che il vantaggio fiscale che ho conseguito sia

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Francesco Gruppelli
essenziale, perché appunto realizzando quella fusione il soggetto può aver conseguito dei vantaggi di
natura extra-fiscale e se questi vantaggi di natura extra-fiscale connotano l’essenza dell’operazione del
contribuente non possiamo dire integrato il primo requisito.

Sempre nel primo requisito il legislatore dell’articolo 10bis ha avuto cura di precisare che il vantaggio fiscale
può non essere magari non immediato, quindi l’amministrazione fiscale potrà contestarmi l’operazione
anche sulla base dell’emersione di un vantaggio tra qui ad un anno.

Il secondo requisito dell’articolo 10 bis è che il vantaggio elusivo è un vantaggio indebito, cioè in contrasto
con la finalità, quindi la ratio, delle norme fiscale o anche dei principi dell’ordinamento tributario, ovvero
regole fiscali non scritte.
Quindi se è difficile contestare l’aggiramento di una norma fiscale perché in questo caso l’agenzia delle
entrate che mi contesta l’elusione fiscale deve individuare la norma che io ho girato è molto più facile dire
che io ho aggirato un principio, una regola non scritta, ed è per questo che questo requisito è molto
contestato dalla dottrina ed è un requisito che apre potenzialmente delle prateria all’agenzia delle entrate
che attraverso la precisazione o con i principi dell’ordinamento tributario ha la possibilità di sindacare i
comportamenti dei contribuenti che non vaiolano o aggirano direttamente delle norma fiscali di diritto
positivo perché l’amministrazione può contestarmi anche che io ho aggirato una regola addirittura non
scritta dell’ordinamento tributario.

Il terzo requisito è l’assenza di sostanza economica, la dobbiamo intendere come inidoneità dell’operazione
a porre a generare degli effetti extra-fiscali significativi, quindi non solo lagenzia delle entrate mi deve
provare un vantaggio fiscale ma mi deve anche dire che la mia operazione è priva di sostanza economica in
quanto gli effetti extrafiscali significativi non sono stati realizzati. Il terzo presupposto è speculare rispetto al
primo presupposto.

Come dicevo il legislatore ha introdotto due indici che dovrebbero aiutare l’interprete a capire quando
l’operazione si può considerare priva di sostanza economica.
Il primo indice è complesso da decifrare perché il legislatore ci dice che è privo di sostanza economica il
comportamento la cui qualificazione non è coerente con il fondamento giuridico di quel comportamento.
Questo è un indice che mutua la dizione di una raccomandazione della commissione europea che aveva
spinto gli stati membri dell’Unione europea di adottarsi di norme, l’Italia infatti ha introdotto l’articolo 10
bis.

Probabilmente l’interpretazione che il legislatore aveva in mente nel momento in cui ha introdotto questo
indice è la seguente: per il comportamento del contribuente non si spiega alla luce del comportamento che
il contribuente ha tenuto prima e dopo l’operazione contestata dall’agenzia delle entrate, allora quel
comportamento è privo di sostanza economica.
Immaginiamo che ci sia un soggetto che procede alla vendita di un bene che il giorno dopo però riacquista,
operazione circolare ala temine della quale l’effetto di business/commerciale è pari a zero.
Se noi andiamo a focalizzarci sulla vendita che il soggetto ha fatto al momento 1 nei confronti dell’altro,
quel tipo di comportamento che ha una sua sostanza economica è un comportamento che perde del tutto
di giustificazione nel momento in cui lo leggiamo alla luce del comportamento complessivo che questo
oggetto ha ottenuto.

Il secondo indice di assenza di sostanza economica ci dice che se il soggetto ha utilizzato uno strumento
giuridico in modo del tutto anomalo rispetto a quelle che sono le normali logiche di mercato,
probabilmente quel comportamento è un comportamento che difetta di sostanza economica.
Anche questo molto problematico da declinare in concreto perché ovviamente non c’è ed è molto difficile
interpretare il concetto di normalità ed è difficile dire che cos’è logico dal punto di vista imprenditoriale e
ovviamente non esiste un solo mercato ma esistono vari mercati, quindi il concetto di normale logica di

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Francesco Gruppelli
mercato è molto difficile da declinare in concreto ed è un concetto che molto spesso viene utilizzati in
modo improprio dall’agenzia delle entrate.
Agenzia delle entrate dice che il comportamento anomalo e non conferme alle normali logiche di mercato è
un comportamento privo di sostanza economica, ma è noto e la prassi lo dimostra ogni giorno come anche
comportamento anomali che non si spiegano rispetto alla normalità che avviene nella prassi possono avere
una loro giustificazione di business e possono essere determinati da ragioni non necessariamente di natura
fiscale.
Quindi è un concetto e criterio molto pericolo da applicare in concreto proprio perché è un concetto molto
sfuggente delle normali logiche di mercato.
L’amministrazione finanziaria dovrebbe spiegare che cosa è normale, a quale logica il contribuente è venuto
meno e a quale mercato ci si riferisce.

Il concetto di vantaggio fiscale essenziale è un concetto anche questo molto sfuggente ed è un concetto che
ci impone di andare a vedere quali sono gli effetti dell’operazione posto in essere dall’elusore fiscale.
Gli effetti extrafiscali sono marginali rispetto ai vantaggi di natura fiscale, l’operazione potrà essere
sindacata dall’agenzia delle entrate sulla base dell’articolo 10bis.

Un altro aspetto interessante da notare è quello relativo ai presupposti costitutivi e alla natura oggettiva dei
presupposti costitutivi dell’abuso.
Ci dobbiamo porre la questione se sia abusivo il comportamento del contribuente inteso a raggiungere un
vantaggio fiscale indebito, ci dobbiamo porre la domanda ‘rileva l’intenzione del contribuente, il motivo per
il quale il contribuente ha posto in sere quel comportamento?’
La risposta, sulla base della prassi relativa all’applicazione dell’articolo 10bis, è no.
Dal punto di vista dell’applicazione dei presupposti noi dobbiamo valutare la condotta del contribuente
oggettivamente, quindi a prescindere dalle sue eventuali intenzioni personali, non rileva la volontà del
contribuente.
Questo differenzia molto l’abuso del diritto dall’evasione fiscale perché nell’evasione fiscale, che come
abbiamo detto è un comportamento penalmente rilevante, dal punto di vista penale rileva sempre
l’elemento soggettivo del dolo o della colpa, dell’intenzione persone del contribuente di conseguire un
eventuale risparmio fiscale.

Può fare qualcosa il contribuente che riceve un avviso anti-abuso ? Può difendersi dalla contestazione
dell’agenzia delle entrate ?
La risposta è si, gli elementi sulla base dei quali il contribuente può difendersi ce li mette in evidenza
sempre l’articolo 10 bis.

Un primo elemento consiste nella dimostrazione, da parte del contribuente, dell’esistenza di valide ragioni
extrafiscali non marginali.
Quindi il contribuente può opporre all’agenzia delle entrate che gli notifica un avviso di accertamento il
fatto che è vero che a posto in essere quel comportamento difforme dalla condotta modello che l’agenzia
delle entrate gli ha indicato come condotta che avrebbe dovuto conseguire per raggiungere il medesimo
effetto commerciale, ma il contribuente può dire la mia operazione è sorretta da valide ragioni commerciali,
e queste ragioni di natura non esclusivamente fiscali devono avere rilevanza non marginale.

Nell’esempio della cessione diretta d’azienda che genera una plusvalenza per il cedente soggetta ad una
tassazione molto alta, rispetto a questo comportamento il contribuente può porre in essere il
comportamento alternativo di costituire la società target, conferire gli asset della sua azienda e poi cedere
le partecipazioni, perché la cessione delle partecipazioni, soprattutto attraverso il meccanismo della PE,
sconta una tassazione molto più bassa della tassazione sulla plusvalenza derivante dalla vendita diretta
d’azienda.

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Francesco Gruppelli
L’amministrazione mi può notificare un avviso di accertamento dicendomi che la mia condotta è una
condotta elusiva, che aggira la norma sulla tassazione della plusvalenza generata dalla cessione diretta
d’azienda.
Il contribuente però può addurre una valida ragione extrafiscale e può dire che ha deciso di costituire la
società target, conferire gli asset della mia azienda e poi cedere le partecipazioni perché il mio acquirente
non era interessato ad acquistare direttamente la mia azienda ma era interessato esclusivamente ad
acquistare le mia partecipazioni, ed è molto diverso gestire direttamente una azienda acquistare la
proprietà dell’azienda, con la responsabilità imprenditoriale che ne consegue, rispetto all’acquisto e alla
gestione delle partecipazioni di quella azienda e quindi i due comportamenti cessione diretta da azienda e
conferimento seguito dalla cessioni di partecipazioni non sono due comportamenti fungibili perché il
risultato commerciale che si consegue è nettamente diverso.
L’acquirente della mia azienda acquista un rischio imprenditoriale e da quando acquista l’azienda è tenuto
a gestirla e svolgere l’attività di imprenditore, invece chi acquista la partecipazione che incorpora la mia
azienda acquista la proprietà ma non acquista l’obbligo e l’onere di gestire e perseguire l’attività
imprenditoriale e quindi posso validamente opporre come valida ragione extrafiscali del mio
comportamento il fatto che l’operazione che ho posto in essere trova una giustificazione extrafiscale non
marginale.
Ho potuto vendere il mio asset solo attraverso queso modo perché il mio acquirente non era interessato ad
acquistare direttamente la mia azienda.

Rispetto a questo requisito della non marginalità della valide ragioni extrafiscali per ragioni non marginali la
relazioni illustrativa del provvedimento che ha introdotto l’articolo 10bis definisce in modo del tutto
incomprensibile il concetto di non marginalità, perché il legislatore che ha introdotto l’articolo 10bis nella
relazione accompagnatoria ci dice che sono non marginali le ragioni che sussistono solo se l’operazione non
sarebbe stata posta in essere in loro assenza.
Quindi il legislatore ha scritto non marginali nella norma ma nella relazione accompagnatoria ha qualificato
questo concetto come determinanti, perché se il legislatore mi specifica che le ragioni sono non marginali
se sussistono solo se l’operazione sarebbe stata posta in essere in loro assenza non sta definendo il
concetto di non marginalità ma sta definendo un diverso concetto di determinanti.

Un’altra modalita con la quale il contribuente può difendersi dalla contestazione di abuso la ricaviamo dal
coma 4 dell’articolo 10bis, nel quale troviamo a codificato un principio del nostro ordinamento liberale che
poteva essere anche non codificato in una norma fiscale perché appunto è un principio che dobbiamo
considerare come immanente nel nostro sistema.
Dice che resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra
operazioni comportanti un diverso carico fiscale.

È stato codificato in modo del tutto incomprensibile del comma 4 dell’articolo 10bis non principio generale
del nostro ordinamento liberale che ci dice che se l’ordinamento prevede due strumentanti giuridici, due
vie negoziali rispetto alle quali sono abbinati due carichi tributari diversi il contribuente ha la libertà di
organizzare i suo affari scegliendo la via meno gravata dall’imposizione.

È interessante rispetto questo principio leggere quello che la relazione illustrativa al provvedimento che ha
introdotto l’articolo 10bis ha scritto il legislatore.
Ha scritto che non è possibile configurare una condotta abusiva se il contribuente sceglie per dar luogo
all’estinzione di una società di procedere ad una fusione anziché ad una liquidazione.
Il legislatore ci dice che è esperivo del principio di libertà delle scelte del contribuente l’opzione che il
contribuente ha di prescegliere la fusione rispetto alla vendita diretta, rispetto alla liquidazione.
Io posso estinguere la mia società anche realizzando un operazione fiscalmente neutrale, come la fusione,
anziché un operazione realizzativa come la liquidazione perché queste due opzioni sono rimesse alla libera
scelta dei soggetti privati ancorché queste due opzioni abbiano carichi impositivi assolutamente diversi.

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Francesco Gruppelli
La terza modalita attraverso la quale il contribuente può evitare l’accertamento anti-abuso è una facoltà
che ci da il comma 12 dell’articolo 10bis, perché questo comma ci dice che i vantaggi fiscali possono essere
disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizione tributarie.
Vuol dire che se l’ordinamento prevede nell’ambito delle norme fiscali una limitazione alla possibilità per il
soggetto di ottenere un vantaggio e l’orientamento ad esempio prevede, come effettivamente prevede,
delle norme che limitano la deducibilità e detraibilità degli oneri, quindi delle specifiche disposizioni
tributarie che si devono applicare esclusivamente in quei casi, l’agenzia delle entrate non può ricorrere allo
strumento generale di cui all’articolo 10bis ma deve contestare la violazione di quella specifica disposizione
tributaria a ratio antielusiva.
Ad esempio se mi sposto in un paradiso fiscale, l’agenzia delle entrate non potrà utilizzare l’articolo 10bis
ma dovrà applicare la norma più specifica, la norma a ratio antielusiva.
Questo anche nel caso delle perdite.

Lezione 26.1

Continuiamo con l’argomento Abuso del diritto/elusione fiscale

Un eventuale effetto rispetto ai terzi ci viene specificato dal comma 1 dell’articolo 10bis, ci dice che i
soggetti diversi dal contribuente hanno diritto al rimborso dell’imposta pagate qualora queste imposte non
siano chiaramente più dovete a seguito della riqualificazione compiuta dall’amministrazione finanziaria.
Si attiva tramite un istanza di rimborso, codificata all’articolo 38 del dpr 602.
L’istanza dve essere inoltrata all’agenzia delle entrate entro 1 anno entro cui l’accertamento o è divenuto
definitivo, ovvero non più utilmente impugnabile da parte del contribuente, quindi il contribuente che ha
ricevuto l’avviso anti-abuso ha lasciato decorrere inutilmente i temine dei 60 giorni dalla notifica, quindi la
pretesa non può più essere attaccato in giudizio, oppure 1 anno decorre da quando il contribuente ha fatto
adesione, e quindi ha seguito quel procedimento per concordare con l’agenzia delle entrate il quantum
effettivamente da versare, oppure ha attivato un altro istituto deflattivo che è quello della conciliazione
giudiziale, l’accordo non è stato con l’agenzia delle entrate nella fase endoprocedimentale, ma è stato
raggiunto davanti al giudice con l’intervento di un autorità terza a seguito di uni ricorso presentato dal
contribuente.

Un ulteriore effetto dell’abuso da ricordare riguarda le sanzioni, quando mi viene notificato un avviso di
accertamento ex articolo 10bis l’agenzia delle entrate applica delle sanzioni.
Qui c’è stata un controversia rispetto alla legittimità dell’applicazione delle sanzioni all’abuso del diritto,
perché come vedremo studiando le sanzioni amministrative, affinché sia possibile per l’ente impositore
applicare delle sanzioni è necessario che il presupposto sanzionatorio sia molto preciso, ovvero che non
posso essere sanzionato sulla base di un principio o norma generica molto vaga.
È necessario affinché vi sia sanzione che la fattispecie sanzionatoria sia ben precisata dal legislatore, la
violazione deve essere scritta nel dettaglio, deve essere preciso e non ambiguo il contenuto della violazione
a fronte della quale è collegata la sanzione.

Questo presupposto non sempre si riscontra nelle fattispecie dell’elusione, perché l’articolo 10bis mi da una
nozione generale dell’abuso del diritto e di elusione fiscale ma non mi precisa quale comportamento io
debba tenere, quale comportamento è soggetto invece a sanzione ed è per queso che molti hanno
affermato l’inapplicabilità delle sanzioni rispetto alle fattispecie elusive.
Se è molto chiaro che c’è un azione penale a fronte dell’evasone fiscale, è molto discusso se sia proponibile
una sanzione rispetto alle fattispecie di elusione fiscale.

La soluzione che è stata raggiunta in sede comunitaria, posto che la genesi dell’articolo 10 bis deriva da una
raccomandazione della commissione europea degli stati membri, è stato prima il legislatore europeo a
sentire l’esigenza di far dotare i sistemi fiscali nazionali di norme anti abuso, il legislatore europeo ha

190
Francesco Gruppelli
obbligato gli stati nazionali di dotarsi di norme anti abuso, è per questo che è stato introdotto l’articolo 10
bis.
Il legislatore europeo nel diramare questa raccomandazione ha preso una posizione anche in merito alle
sanzioni e questa soluzione è stata recepita dal nostro legislatore al comma 13 sempre dell’articolo 10bis, il
quale dice che l’abuso non da mai luogo ad una sanzione penale, quindi non ci potrà mai essere
l’attivazione di un processo penale, posto che le sanzioni penali ovviamente le può applicare solo il giudice,
magistrato e attività ordinaria penale, ma è possibile per l’amministrazione finanziaria applicare delle
sanzioni amministrative, quindi delle sanzioni che si sostanziano in una pena pecuniaria che mi viene
liquidata nel momento in cui mi viene contestato l’abuso e l’elusione fiscale.

Quali sono le questioni aperte


L’applicazione dell’articolo 10bis è molto difficoltosa, da un lato dalla natura intrinseca ambigua del
l’elusione fisale che si situa in una zona grigia tra evasione e lecito risparmio di imposta, dall’altro la
problematica è determinata sicuramente da una tecnica legislativa sicuramente non ottimale.
Il legislatore nel momento che ha introdotto l’articolo 10bis l’ha fatto introducendo e facendo un cattivo
uso di criteri legislativi perché è una disposizione che sovrabbonda in termini di aggettivi e avverbi.
È per questo che l’articolo 10bis non ci risolve tutti i problemi applicativi che incontriamo nel momento in
cui andiamo a valutare l’elusività o meno della condotta del contribuente.

Un primo problema che l’articolo 10bis non risolve è quello relativo all’onere della prova in capo
all’amministrazione finanziaria, perché noi leggiamo dell’articolo 10 bis, noi trovi la scritti i contenuti del
l’onere probatorio in capo all’amministrazione finanziaria nel momento in cui l’amministrazione mi
contesta un abuso, quindi il comma 9 dice che cosa l’amministrazione finanziaria deve indicare nella
motivazione del suo accertamento antiabuso e tra questi contenuti però non viene precisato quello che
dovrebbe essere invece il contenuto essenziale della motivazione dell’avviso anti abuso, ovvero la
precisazione della condotta modello che il contribuente avrebbe dovuto seguire.
Nel momento in cui l’agenzia delle entrate mi contesta l’elusività del mio comportamento dovrebbe avere
l’onere di spiegarmi quale condotta alternativa io avrei dovuto seguire per raggiungere quel medesimo
effetto economico che attraverso la mia operazione ho raggiunto.
Il comma 9 non obbliga l’amministrazione finanziaria ha precisare la condotta modello, possiamo però dire
che questo requisito è in qualche modo implicito nel concetto di vantaggio fiscale, ovvero un concetto
relativo, io conseguo un vantaggio sempre in relazione a qualcos’altro.
Nel momento in cui l’amministrazione mi contesta l’emersione di un vantaggio fiscale dovrebbe avere
l’onere di precisare quella che è la condotta alternativa a fronte della quale l’ordinamento abbina un
trattamento impositivo maggiore rispetto a quello che io ho scontato.
Il comma 9 non precisa e non obbliga l’amministrazione ad indicare la condotta modello alternativa rispetto
a quella rizzata dal contribuente, ma questo onere è in qualche modo implicito nel concetto di vantaggio
fiscale, che è il primo requisito che deve indicare nel suo accertamento anti-abuso.

Un secondo problema che l’articolo 10bis non risolve è quello relativo all’intento elusivo: nella valutazione
dei 3 presupposti dell’abuso noi dobbiamo dare a questi presupposti una caratterizzazione in senso
oggettivo, la volontà, l’intenzione del contribuente non rileva, questo se noi leggiamo l’articolo 10bis e
leggila la relazione illustrativa all’articolo 10bis e tutti i lavori preparatori che in sede dell’Unione europea
hanno portato all’emanazione di questa disposizione.

C’è un parere diverso seguito dalla nostra corte di cassazione, la corte di cassazione in un importante
sentenza del 2017 ha preso posizione proprio su tale concetto/problema.
È necessario per l’agenzia delle entrate che intenda contestare un abuso del diritto indicare e precisare
l’intenzione elusiva del contribuente?
La cassazione ha risposto in senso positivo, discostandosi dai lavori preparatori dell’articolo 10bis, il caso
affrontato dalla corte di cassazione è un caso molto interessante perché è un caso relativo ad un vantaggio
fiscale conseguito da un contribuente, vantaggio fiscale però che il contribuente ha potuto beneficiare a

191
Francesco Gruppelli
seguito di una normativa fiscale entrata in vigore successivamente nel momento in cui il contribuente aveva
realizzato la sua operazione.

L’ipotesi sindacata dalla corte di cassazione è: un contribuente ha realizzato un operazione sulla base della
normativa fiscale vigente, successivamente il legislatore ha introdotto una norma di favore di cui quel
contribuente ha potuto beneficiare, quindi la questione è: è elusivo il vantaggio conseguito da quel
soggetto, vantaggio riconosciuto da una norma entrata in vigore successivamente al momento in cui il
soggetto ha perfezionato la sua operazione ?
La risposta è no, la cassazione ha potuto rispondere no perché ritiene che rilevi l’intento elusivo, il
contribuente è un elusore se nel momento in cui ha realizzato la sua operazione si è prefigurato il vantaggio
fiscale, se questo vantaggio fiscale gli viene riconosciuto successivamente nel momento in cui il
contribuente ha pianificato l’operazione, è chiaro che non ci può essere alcun intento elusivo, il
contribuente non può prevedere quello che il legislatore farà in futuro, e per questo quel contribuente non
merita di ricevere un avviso di accertamento anti-abuso.

Questo ci dice che secondo la corte di cassazione ai fini dell’applicazione dell’articolo 10bis rileva l’intento
elusivo, inteso come preordinazione da parte del contribuente nel momento in cui ha posto in essere gli atti
e fatti negozi giuridici per organizzare i suoi affari, prefigurazione del vantaggio fiscale che quella
determinata organizzazione degli affitti e atti e negozi giuridici gli avrebbe consentito.
Se non c’è questo, secondo la corte di cassazione, non può esserci l’applicazione dell’articolo 10bis.

Una terza questione che l’articolo 10bis non risolve è una questione molto importante, che attiene a quali
norme possano essere oggetto di aggiramento ai fini dell’applicazione dell’articolo 10bis.
Finora negli esempi che abbiamo fatto abbiamo sempre parlato di norme sostanziali e tributarie impositive,
norme che ci dicono che se tu realizzi quel determinato fatto tu sei soggetto ad un determinato carico
tributario, tu vieni colpito da una particolare norma impositiva che prevede per te un determinato
trattamento fiscale.
Noi sappiamo che oltre alle norme impositive i nostro ordinamento tributario contempla anche delle norme
agevolative, norme di favore, cioè che prevedono tutta una serie di esenzioni, facilitazioni sostanziali o
procedurali per i soggetti che si trovano in una determinata posizione.
Distinzione tra norme di esenzione ed esclusione: le seconde mi precisano la fattispecie impositiva, non
derogano alla norma generale impositiva, le norme di esenzione sono invece norme agevolative, norme di
eccezione rispetto alla fattispecie impositiva.

Può il contribuente aggirare non tanto una norma che prevede una tassazione quanto una norma che
prevede un esenzione ?
Questa situazione si è riscontrata in un caso esaminato attraverso un interpello dall’agenzia delle entrate.
Questo caso riguardava una società che per beneficiare di una norma di esenzione che agevolava la fuori
uscita di beni immobili dalle società semplici, quindi tassazione dei beni immobili che fuoriescono dalla
sfera di impresa, norma generale impositiva, norma di esenzione introdotta nel 2015 dal legislatore, nel
caso di società semplici, nel caso di fuori uscita di beni immobili dalle società semplici, c’è una norma che
prevede una tassazione ridotta.
Nel caso una società di capitali ha proceduto ad una scissione e si è poi trasformata in una società semplice
e si è poi avvantaggiata della norma agevolativa.
Il caso è quello di un contribuente che ha fatto di tutto per rientrare nel perimetro di una norma
agevolativa e beneficiare della tassazione ridotta.

Si può affermare che il soggetto è un elusore?


L’agenzia delle entrate ha risposto di no, secondo l’agenzia delle entrate la circostanza che la società abbia
proceduto alla scissione finalizzata allo specifico scopo di ottenere l’agevolazione fiscale in sede di
successiva trasformazione in società semplice costituisce un operazione legittima, questo significa che se un

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Francesco Gruppelli
contribuente pone in essere degli atti finalizzati a soddisfare dei requisiti normativi ai fini del
conseguimento di un agevolazione non è ravvisabile un vantaggio fiscale in debito.
Se io so che ci sono delle norme che prevedono dei trattamenti preferenziali a fronte di demeritati atti e
negozi, il fatto che io mi ponga nelle condizioni per soddisfare quelle norme agevolative non costituisce un
comportamento elusivo.
Anche la prassi dice che le norme agevolative non possono essere oggetto di abuso.

Abbiamo anche accennato, nel momento in cui abbiamo cercato di delineare i fenomeni patologici del
contribuente, al concetto di pianificazione fiscale aggressiva. La ripartizione tradizionale dei comportamenti
patologici del contribuente è evasione, elusione e legittimo risparmio di imposta.

In realtà il quadro è molto più ampio di quanto rappresentato da questa tripartizione, perché oggetto di
abuso possono essere non solo norme fiscali domestiche, norme fiscali nazionali ma possono essere anche
norme fiscali internazionali, in particolari possono essere norme fiscali contenute in trattati sottoscritti
dall’Italia con un altro stato sovrano.
Parleremo delle convenzioni e dei trattati bilaterali sottoscritti dall’Italia nel corso delle prossime lezioni
quando parleremo del diritto tributario internazionale.

Il contribuente può aggirare anche norme contenute in trattati, in disposizioni quindi pattizie concordate
tra l’itala e un altro stato nazionale.
L’italia, come gli altri Stati nazionali, ha necessita di stipulare trattati internazionali per eliminare la
cosiddetta doppia imposizione internazionale, quindi tutti quei fenomeni che si verificano nel momento in
cui un soggetto realizza i propri affari al di fuori del proprio stato di residenza, questa situazione di
dobbiamo imposizione è desumibile anche del fatto che il nostro sistema di tassazione su base irpef come
sappiamo tassa il soggetto non residente.
Se un soggetto residente in un altro stato produce reddito in Italia su quel reddito prodotto in Italia, l’italia
avanza una pretesa impositiva.
Questo significa che sul reddito prodotto dal francese in Italia ci può essere un concorso tra la pretesa
impositiva dello stato italiano da un lato e la pretesa impositiva dell’altro stato che tassa world Wide il
proprio soggetto residente, abbiamo un caso riaperto al quale la stesa manifestazione di ricchezza, lo steso
reddito prorotto in Italia , viene tassato due volte da due stati sovrani diversi.

Nulla impedisce questo tipo di situazione che però viene avvertita come ingiusta per quei contribuenti, ed
è per questo che i paesi possono concordare attraverso un tratta di ripartirsi la potestà tributaria attraverso
una norma pattizia, quindi i due paesi possono stipulare un accordo in base al quale quella determinata
fattispecie, i due paesi eserciteranno nel concreto la potestà impositiva, si ripartiscono il diritto di tassare
quella determinata fattispecie.

Queste norme di favore contenute nei trattati bilaterali possono essere oggetto di aggiramento da parte del
contribuente, questo tipo di situazione e abuso delle norme dei trattati fiscali è un fenomeno rispetto al
quale gli stati nazionali stanno prendendo molte posizioni e lo fanno anche rispetto a tutti quei casi in cui
l’intersecarsi delle norme contenute nei sistemi fiscali domestici e nelle convenzioni bilaterali determinino
dei gap normativi, dei vuoti di disciplina.
Può succedere che a fronte dell’applicazione congiunta di una norma fiscale domestica e di una norma
contenuta in un trattato si determini un vuoto normativo, cioè una situazione in base al quale nessuno dei
due stati sovrani rilevanti per quella determinata fattispecie esercita la potestà tributaria e quindi il
contribuente per quella determinata fattispecie vada esente da imposizione.

Un esempio: immaginiamo che ci sia una catena societaria, c’è una società Italia che detiene il 100% di una
società tedesca, la quale a suo volta ha una partecipazione in una società di Singapore.

193
Francesco Gruppelli
La società di Singapore trasferisce e distribuisce un dividendo alla società tedesca, la quale retrocede
questo dividendo alla società italiana, quindi la mamma italiana riceve un dividendo d’ala società figlia
tedesca.
C’è una disposizione contenuta nel trattato Italia Germania, che ci dice che sono esclusi dalla base
imponibile delle imposte italiane, quindi Italia non deve esercitare la propria potestà impositiva, i dividendi
pagati ad una società italiana da parte di una società tedesca rispetto al quale ci sia un rapporto di controllo
nella soglia precisata nella norma convenzionale.
Nel caso in cui la figlia tedesca distribuisse un dividendo alla mamma italiana, la norma della convenzione
Italia Germania ci dice che l’Italia non può il tassare quei dividendi.
Ora succede che se andiamo a leggere e vedere le norme fiscali domestiche della Germania, essa non
assoggetta a tassazione i dividendi in uscita, quindi la Germania sulla base delle proprie regole di diritto
interno decide di non tassare i dividendi che le società tedesche distribuiscono a società estere.
Allo stesso modo se diamo applicazione alla norma del trattato, e dobbiamo farlo, italia non puoi
assoggettare a tassazione il dividendo ricevuto dalla società italiana da parte della figlia tedesca.
Cosa si determina a seguito di concorrenza tra norma convenzione e norma di diritto tedesco dall’altra ?
Si determina che quel flusso di dividendi che passa dalla società tedesca alla società italiana non viene
tassato ne in Germania ne in Italia, perché l’Italia attraverso la sottoscrizione del trattato Italia Germania ha
deciso di rinunciare alla potestà impositiva rispetto a questa fattispecie, quindi è del tutto esente da
tassazione, non è possibile tassare ne in uno stato ne in un altro.

Questa fattispecie quindi determina una situazione di così detta pianificazione fiscale aggressiva, il
contribuente che ha fato in modo di ricevere un dividendo dalla propria figlia tedesca che ha organizzato i
suoi affari in questo modo, ha cioè non aggirato le norme fiscali ma sfruttato il fatto che ci sia un vuoto
normativo, il fatto che ne Germania ne Italia sulla base delle norme tuttora vigenti possa assoggettare a
tassazione quel determinato cespite.
Questa situazione si distingue da quella di abuso del diritto perché in questo caso non c’è un aggiramento o
norma che è stata violata, la cui ratio sia stata aggirata, il contribuente ha sfruttato solo il sistema
normativo vigente, intercettando un vuoto normativo.

Questa situazione va distinta dall’abuso del diritto e prende il nome di pianificazione fiscale aggressiva.
I presupposti della pianificazione fiscale aggressiva sono:
 Sfruttamento delle disparita tra gli stati nazionali, vado a localizzare la mia società figlia in Germania
con l’obbiettivo di sfruttare questa situazione
 Disallineamento tra produzione delle ricchezza e collegamento con la produzione, situazione che
troviamo rispetto alle società che vanno a spostare la residenza fiscale in paesi diversi da quelli in cui
avviene la produzione. Il contribuente pianificando i suoi affari può andare ad aprire la propria sede
legale in paesi diversi da quelli in cui la produzione avviene.
 Risultato che il contribuente consegue, riesce a conseguire una doppia non imposizione che gli stati non
hanno inteso concedere, esattamente come nell’esempio che abbiamo visto.

Lezione 26.2

Concludiamo l’esame dell’articolo 10bis affrontando il procedimento


Cosa è previsto ai fini dell’emanazione di un avviso di accertamento anti-abuso.
Posto che l’agenzia delle entrate attraverso l’articolo 10bis ha un potere enorme di contestare dal punto di
vista fiscale le operazioni realizzate dai contribuenti, operazioni che abbiamo detto che restano
civilisticamente valide, e a fronte di tale potere l’articolo 10bis ha avuto cura di precisare tutta una serie di
adempimenti che l’agenzia deve eseguire per notificarmi un avviso di accertamento antiabuso.
194
Francesco Gruppelli
Il primo requisito procedimentale che leggiamo nei commi successivi ai primi due dell’articolo concerne
l’obbligo di contraddittorio, nel momento in cui l’agenzia mi contesta un avviso deve richiedermi dei
chiarimenti, deve convocarmi ed emettere prima delle notifica dell’avviso un invito al contribuente
attraverso il quale il contribuente viene dotto del fatto che l’agenzia delle entrate mi sta per notificare un
atto impositivo.

Come abbiamo visto studiando l’avviso di accertamento, nel nostro ordinamento non c’è un principio
generale che obblighi l’amministrazione finanziaria ad attivare sempre un contraddittorio con il
contribuente.
Quindi il primo atto che ricevo è latto impositivo, non so se in questo momento l’agenzia delle entrate stia
controllando la mia posizione fiscale, nel momento in cui l’agenzia delle entrate si determina a favore di
una rettifica in aumento del mio imponibile, mi notifica l’avviso di accertamento.
Non così nel caso in cui l’agenzia delle entrate voglia contestarmi un l’elusione fiscale, perché il 10bis fa
obbligo all’amministrazione finanziaria di richiedermi dei chiarimenti, e questi sono previsti a pena di
nullità, quindi nell’articolo 10bis abbiamo un esempio di nullità testuale, il legislatore non solo ha previsto
l’onere procedimentale ma ha anche previsto la sanzione procedimentale a fronte della mancata
osservanza dell’onere procedimentale, la nullità.

Articolo 10bis prevede a fronte della mancata richiesta di chiarimenti una sanzione equiparabile a quelle
che abbiamo studiato nell’articolo 42 del dpr 600 del 73 che riguarda il difetto di motivazione.
Stessa sanzione è prevista per la menata attivazione del contraddittorio nel caso dell’avviso di
accertamento anti-abuso.

Articolo 10 bis è anche preciso nell’indicare che al contribuente devono essere forniti uno spazio di almeno
60 giorni, nel momento in cui riceve una richiesta di chiarimenti devo avere a disposizione quei giorni per
fornire i chiarimenti all’amministrazione finanziaria.
In questi 60 giorni può esporre all’agenzia delle entrate tutte quelle ragioni giustificatrici della sua
operazione che mettono in evidenza la finalità extrafiscale del suo comportamento, attraverso questi
chiarimenti il contribuente può già fornire quelle valide ragioni extrafiscali che vanno a contestare
l’esistenza del vantaggio fiscale e dell’aggiornamento e assenza di sostanza economica dell’operazione.

Questa richiesta di chiarimenti deve essere notificata entro il termine di decadenza per la notificazione
dell’atto impositivo, quindi si osserva sempre articolo 43 del decreto sull’accertamento, l’azione di
accertamento deve essere sempre portata a termine entro il dicembre del quinto anno successivo a quello
in cui la dichiarazione è stata presentata, o del settimo nel caso di dichiarazione omessa o nulla e questo è
la possibilità per l’agenzia delle entrate di notificare questo termine un avviso di accertamento antiabuso,
può essere fatto senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice.
Questo ci viene specificato dell’articolo 10bis e questo tipo di precisazione noi la troviamo nell’articolo che
riguarda l’avviso parziale, cioè l’avviso emesso senza pregiudizio dell’azione accertatrice, quell’avviso che
deroga al principio di unicità dell’accertamento, ovvero che per ogni obbligazione tributaria c’è sempre e
solo un atto impositivo.

Stesso discorso per l’avviso di accertamento ex articolo 10bis, perché la norma precisa senza pregiudizio
dell’ulteriore azione accertatrice, quindi l’avviso di accertamento anti-abuso contiene solo contestazioni sul
l’elusione fiscale.
Quindi se l’agenzia delle entrate mi vuole contestare un altro fatto lo deve fare con un altro avviso di
accertamento.
L’avviso di accertamento anti-abuso come l’eventuale avviso di accertamento normale mi deve essere
notificato rispettando i termini di cui all’articolo 43 del decreto sull’accertamento.

195
Francesco Gruppelli
Bisogna precisare una cosa che ci viene fatta sempre nell’ambito dell’articolo 10bis, esso ci dice che la
richiesta di chiarimenti deve essere notificata entro il termine di decadenza previsto dell’articolo 43, il
contribuente ha 60 giorni di tempo per rispondere, l’amministrazione poi deve avere 60 giorni di tempo per
valutare gli eventuali chiarimenti fronti dal contribuente e notificare successivamente l’avviso di
accertamento, e la notifica dell’avviso di accertamento deve essere sempre rispettosa dell’articolo 43.
Questo significa che tra la data di ricevimento dei chiarimenti e la data di inutile decorso del termine di 60
giorni assegnato al contribuente per fornire questi chiarimenti e quello di decadenza prevista dell’articolo
43 non devono decorre meno di 60 giorni di tempo.
Nel caso in cui l’amministrazione non notifichi la richiesta di chiarimenti 120 prima rispetto allo spirare del
31 dicembre dell’anno relativo, in cui si perfeziona e decade l’amministrazione dal potere accertativo, il
temine di decadenza per la notificazione dell’atto impositivo è automaticamente prorogato fino alla
concorrenza dei 60 giorni.
Se l’amministrazione mi notifica la richiesta di chiarimenti a settembre e quindi non ci sono i 120 giorni
necessari per fare in modo che l’eventuale avviso di accertamento mi venga notificato entro il 31 dicembre,
in base a questa disposizione il termine di decadenza per latto impositivo è automaticamente prorogato e si
andrà a gennaio per la notifica valida per l’avviso di accettare.

Ulteriore e finale precisazione che ci viene fatta nell’ambito dei commi dell’articolo 10 bis riguarda la
motivazione dell’atto impositivo: cosa deve fare l’amministrazione nel momento in cui il contribuente
fornisce i suoi chiarimenti.
Immaginiamo che l’amministrazione mi abbia notificato una richiesta di chiarimenti rispetto ad un
operazione di fusione che ho posto in essere, nei 60 giorni io ho fornito le valide ragioni extrafiscali e non
marginali, quelle motivazioni non marginali che giustificano il mio comportamento, ragioni per le quali ho
proceduto a questa riorganizzazione societaria, l’amministrazione però non si convince della validità o della
non marginalità delle mie motivazioni e quindi prosegue per la sua via e decide di notificarmi un avviso di
accertamento.
In questo avviso di accertamento l’amministrazione esattamente come nel caso di chiarimenti a seguito
della notifica del pvc dovrà prendere posizione rispetto a ciò che il contribuente ha precisato nei suoi
chiarimenti, questo ci viene detto sempre nell’articolo 10bis che ci dice che latto impositivo è
specificatamente motivato, a pena di nullità, in relazione non solo alla condotta abusiva, alle norme e
principi elusi, agli indebiti vantaggi fiscali realizzati ma anche in relazioni ai chiarimenti forniti dal
contribuente nei termini dei 60 giorni.
Quindi oltre che a soddisfare l’onere probatorio che grava sull’amministratore ai sensi del comma 9
dell’articolo 10bis, quindi i 3 presupposti dell’abuso, l’amministrazione deve specificamente motivare
spiegando le ragioni per le quali l’amministrazione non ritiene soddisfacimenti i chiarimenti che io ho
fornito, questa motivazione che è rafforzata, è una motivazione che inficia l’atto a pena di nullità.
Il procedimento della notificazione di un avviso di accertamento antiabuso prevede al suo interno due
nullità testuali.
La richiesta di chiarimenti prevista a pena di nullità e la motivazione rafforzata prevista a pena di nullità.

Ritorniamo indietro e andiamo quanto già visto a proposito del diritto di interpello, perché nell’articolo 11,
dove sono contemplate le varie forme di interpello, rispetto ad una tipologia di interpello ci sono dei
riferimenti legati a questo argomento.
La tipologia di interpello è quella dell’interpello antiabuso, articolo 11 dello statuto dei diritti del
contribuente prevede infatti non solo interpello ordinario interpretativo qualificatorio, probatorio e
disapplicativo ma prevede una quarta tipologia che è questa.

È previsto cioè che il contribuente possa sottoporre, prima di porre in essere un operazione potenzialmente
elusiva, un quesito all’amministrazione finanziaria, possa cioè rappresentare attraverso una vera e propria
domanda all’amministrazione finanziaria un suo caso concreto e personale, quindi decrepitavo l’operazione
che io mi accingo a realizzare all’amministrazione finanziaria, prospetto tutte le ragioni che mi spingono a
realizzare quell’operazione e poi chiedo all’amministrazione finanziaria di pronunciarsi in merito

196
Francesco Gruppelli
all’applicazione dell’articolo 10bis, quindi chiedo all’agenzia delle entrate se rispetto all’operazione che io
sto ponendo in essere ci può essere un sentore di abuso, un rischio di incappare nell’applicazione
dell’articolo 10bis.
Come sappiamo la richiesta di interpello anche antiabuso è del tutto facoltativa, la procedura dell’interpello
segue le regole che abbiamo già visto per l’interpello ordinario, ha un temine per rispondere al mio quesito
e se nella mia istanza io ho formulato una interpretazione rispetto al quesito che ho posto, quindi ho
chiesto se è abusiva la mia fusione e ho dato la mia soluzione interpretativa che sarà favorevole al
contribuente che presenta l’istanza, oltre a formulare la domanda mi do la risposta, se l’amministrazione
non risponde si forma il silenzio assenso en in questo caso non potrà essere notificato un avviso di
accertamento antiabuso che sconfessi quel silenzio.
Analogo effetto si determinerà nel caso in cui mi risponda in modo conforme.

Diverso il caso nel quale l’amministrazione mi risponda in maniera negativa, ma la risposta all’interpello
non è vincolante per il contribuente che resta libero di applicare o meno e di porre in essere l’operazione
che si era posto e quindi nel caso di notifica dell’avviso di accertamento impugnerà eventualmente quando
gli verra notificato l’avviso di accertamento e contesterà la posizione avanza dall’agenzia delle entrate.

Particolarità che sussistono per l’istanza di interpello antiabuso, nella mia istanza dovrò fornire
all’amministrazione finanziaria gli elementi qualificanti della mia operazione o delle mie operazioni, dovrò
descrivere ciò che sto per fare e se necessario anche rappresentare la mia strategia imprenditoriale, anche
perché un operazione può sembrare priva di sostanza economica, ma acquista significato se letta nel
contesto della strategia imprenditoriale seguita da quel determinato soggetto.

Posto che l’articolo 10bis è applicabile a tutti i tributi devo anche precisare nella mia istanza rispetto a quale
settore impositivo io sto sottoponendo la mia questione, se il mio dubbio concerne l’IVA, l’ires, l’imposta di
registro e cosi via.

Devo anche precisare le norme di riferimento potenzialmente oggetto di aggiramento de quindi se ad


esempio sto per fare una operazione di conferimento seguita da cessione delle partecipazioni devo anche
precisare nella mia istanza quali sono le norme sulla cessione diretta dell’azienda che verrebbero
potenzialmente aggirate nel caso in cui la mia operazione venisse posta in essere e quindi quali sono le
norme che intendo non applicare per raggiungere quel determinato effetto economico.

Poi sicuramente nella mia istanza dovrò indicare tutte quelle ragioni extrafiscali non marginali, come ci
indica l’articolo 10bis che spiegano il perché sto seguendo questo determinato percorso negoziale che
spiegano perché mi sto addivenendo a questa soluzione giuridica in luogo di un’altra eventualmente più
diretta, perché sto scegliendo un percorso negoziale così tortuoso, lungo, indiretto quando l’ordinamento
mi mette a disposizione una via negoziale più breve.
Lo sto facendo, e questo mi viene consentito nel momento in cui presento la mia istanza di interpello,
posso precisare che si sono delle ragioni organizzative e gestionali che ad esempio rispondono ad un
miglioramento strutturale e funzionale della mia impresa, quindi ci sono delle ragioni non valutabili
necessariamente in termini reddituali o economici che spiegano il perché io stia seguendo quel
determinato percorso, quindi anche in sede di istanza di interpello antiabuso c’è la possibilità di anticipare
quelle che saranno le giustificazioni che il contribuente dovrà dare nel caso in cui gli venga notificato
l’avviso di accertamento.

È per questo che l’istanza di interpello ha anche un effetto deflattivo, effetto cioè di fare in modo che venga
in qualche modo escluso il ricorso alla tutela davanti al giudice, se io infatti in modo trasparente
rappresento all’agenzia delle entrate l’operazione che sto per compiere io manifesto anche un
atteggiamento di trasparenza nei confronti dell’amministrazione finanziaria e mettendo subito sul tavolo
tutte quelle che sono le mie carte e mie ragioni cerco di prevenire un potenziale conflitto con l’agenzia delle
entrate la quale ovviamente resta libera di tenere la sua posizione, di prospettare quelle che sono le ragioni

197
Francesco Gruppelli
per le quali ritiene quel tipo di comportamento suscettibile di dare applicazione all’articolo 10bis, però se la
procedura di interpello va a buon fine per il contribuente si evita un inutile e dispendioso contenzioso.

Interpello anti abuso che dobbiamo tenere distinto dall’interpello disapplicativo.


Il secondo è previsto dal comma e dell’articolo 11 ci dice che il contribuente può chiedere la disapplicazione
di quelle norme tributarie che allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni,
detrazioni, crediti di imposta e altre situazioni ammesse dall’ordinamento tributario.
L’interpello disapplicativo lo abbiamo con riferimento alle norme a ratio antielusiva, norme cioè che non ci
dicono che cos’è l’abuso del diritto ma la cui sussistenza si può spiegare solo in un intento antielusivo
perseguito dal legislatore se abbiamo una norma come quella di cui all’articolo 84 sui limiti del riporto
perdite, rispetto a queste norme noi dobbiamo e possiamo avanzare un interpello disapplicativo, ovvero
dire all’agenzia delle entrate nel mio caso non mi applicare questa norma per queste ragioni.
Nel caso della norma a contento antiabuso l’articolo 10bis la via da seguire sarà l’interpello antiabuso
perché attraverso questa istanza io pongo un quesito specifico relativo all’articolo 10bis.

Processo tributario
Quadro normativo: quando parliamo di processo tributario facciamo riferimento al decreto legislativo 546
del ’92, questo decreto fornisce la normativa specifica applicabile dal punto di vista procedimentale alla
tutela di fronte al giudice tributario.

198
Francesco Gruppelli
Tuttavia è una disciplina non esaustiva, le regole del processo tributario non vengono cioè definite
esclusivamente dal decreto legislativo 546 ma per tutto quello che non è previsto in questo decreto si
devono seguire le regole del codice di procedura civile.
Il processo tributario è un processo che nasce sul modello del processo civile, perche si seguono le norme
del codice di procedura civili, quindi del processo di fronte al giudice ordinario.

Quand’è che io devo dare applicazione ad una norma del codice di procedura civile in ambito tributario ?
La risposta ci viene fornita dalle norme del decreto legislativo 546 perché solo laddove ci sia un vuoto
normativo, solo cioè laddove il decreto legislativo non preveda una specifica disciplina, torna applicazione
la normativa generale fissata dal codice di procedura civile.

Ulteriore condizione affinché la norma di procedura del codice civile sia applicabile è che questa norma
risulti compatibile con i caratteri del processo tributario, quindi affinché sia applicabile la norma del codice
di procedura civile devono sussistere due condizioni, ovvero ci deve essere una lacuna in senso tecnico, un
vuoto normativo, il legislatore tributario non ha previsto una disciplina specifica per il processo tributario in
quel determinato caso e ci deve essere una valutazione di compatibilità tra la norma processuale civilistica
e l’insieme delle norme tributarie e i caratteri delle norme che disciplinano il processo tributario.
Siamo facilitati in questo operazione dal fatto che alcune norme del decreto legislativo 546 facciano
esplicito rinvio alle norme del codice di procedura civile, ad esempio le notificazioni, quel procedimento
attraverso il quale il destinatario di un atto si può dire perfezionata la conoscenza giuridica di quell’atto,
quel particolare procedimento che prende il nome di notificazione segue le regole del codice di procedura
civile.
Queste regole ci vengono indicate direttamente dal decreto legislativo 546, quindi non ci può essere dubbio
sul fatto che la notificazione in ambito tributario segue le regole previste per il giudice ordinario.

Ci sono però tutta un’altra serie di situazioni in cui semplicemente siamo di fronte ad un vuoto normativo,
non troviamo una disciplina nell’ambito delle norme del decreto legislativo 546.
In questo caso dobbiamo capire se è applicabile la norma del codice di procedura civile e se questa norma
sia compatibile con i caratteri del processo tributario.
Siccome nel processo tributario sono vietati molti mezzi di prova come la testimonianza e il giuramento che
invece sono consentiti di fronte al giudice ordinario, non sulla base di questi divieti che troviamo scritti nel
decreto legislativo 546, non possiamo dare applicazione in quanto non sarebbero compatibili con i caratteri
del processo tributario tutte quelle norme del codice di procedura civile in materia di prova, questo perche
nella valutazione di compatibilità che dobbiamo fare dobbiamo tenere conto delle specificità che
riguardano il processo di fronte al giudice tributario.

Il giudice tributario è un giudice collegiale, un collegio formato da 3 membri, non dogato a differenza del
giudice ordinario, quello tributario viene selezionato non sulla base di un concorso, e questo è un deficit
notevole perché non abbiamo la garanzia che il giudice tributario sia un giudice preparato con una specifica
competenza in ambito tributario, anche i laureati in giurisprudenza possono dopo un paio di anni essere
chiamati a ricoprire un ruolo di giudice tributario e quindi possono essere chiamati a svolgere funzione
giurisdizionale anche dei soggetti che non hanno una particolare competenza specifica nel settore
tributario.

Giudice tributario prende il nome di commissione tributaria, provinciale per intendere il giudice
competente in primo grado, regionale per intendere la competenza del giudice di appello.
Il giudice di terzo grado come per il giudizio davanti al giudice ordinario è la corte di cassazione.
I primi due gradi sono due gradi di merito, dove si affronta il merito della questione posta dal contribuente
rispetto allatto impositivo che viene impugnato, il giudice di ultima istanza è il cosiddetto giudice di
legittimità perché non decide sul fatto ma decide esclusivamente sul diritto, sull’applicazione corretta delle
norme tributarie ma non entra nel merito dei fatti.

199
Francesco Gruppelli
La particolarità del giudizio tributario è legata al fatto che ricorrente in primo grado può essere sempre e
soltanto il contribuente, questo perché il processo tributario è un processo impugnatorio attraverso il
ricorso al giudice tributario il ricorrente non fa altro che impugnare un atto dell’amministrazione finanziaria
che contesta sulla base di indizi di forma o assenza di sostanza e giustificazione dal punto di vista
sostanziale, chiamando in giudizio e quindi come parte resistente un ufficio della pubblica amministrazione
che ha emesso quell’atto di oggetto di impugnazione.
Una particolarità rispetto al giudizio civile, alle liti tra privati dove possono essere i più svariati soggetti, nel
giudizio tributario invece c’è sempre il seguente modello, ricorrente è sempre e soltanto il contribuente,
soggetto privato, resistente è l’amministrazione finanziaria deputata alla riscossione.

La giurisdizione del giudice tributario, che cosa è competente il giudice tributario a conoscere
Il giudice tributario, e lo dice l’articolo 2 del decreto legislativo 546, ha la cognizione di tutte le controversie
che attengono al rapporto tributario, in modo molto esplicito l’articolo 2 ci dice che il giudice tributario
conosce tutti i tributi di ogni genere e specie comunque denominati.

Quando per capire qual è il perimetro di conoscenza del giudice tributario, quando mi devo rivolgere al
giudice tributario e non andare davanti al giudice amministrativo, TAR, giudice ordinario, giudice militare?
Per rispondere a questa domanda sulla giurisdizione devo seguire il criterio dettato dall’articolo 2, devo
chiedermi se la controversia che voglio sottoporre all’attenzione dell’organo giurisdizionale attenga ad un
tributo e per la nozione di tributo vi rimando a quanto dicevamo nelle prime lezioni di questo corso,
dobbiamo fare riferimento a tutti i caratteri che determinano e che ci indicano se siamo di fronte ad un
tributo a prescindere dal norme utilizzate dal legislatore, cioè anche se il legislatore non chiama quella
determinata pretesa pecuniaria tributo, anche se manca un nomen iuris specifico, sulla base dell’articolo
due del decreto del processo tributario, se ricorrono i caratteri del tributo dobbiamo andare a sottoporre la
nostra questione di fronte al giudice tributario.

È per questo che sulla base di questo criterio molto ampio noi dobbiamo demandare alla conoscenza del
giudice tributario tutte quelle controversie che ad esempio attengono alle sovraimposte, alle addizionali, al
contributo per il servizio sanitario nazionale, alle sanzioni amministrative che discendono da dati irrogati da
uffici finanziari e mi viene notificato un avviso di accertamento antiabuso, all’interno del quale abbiamo
visto che ci sono irrogate delle sanzioni tributarie amministrative, io posso scegliere di contestare solo la
sanzione e per contestare la sanzione non dovrò andare davanti al giudice amministrativo o davanti al
giudice penale ma dovrò andare di fronte al giudice tributario, perché è una sanzione amministrativa
irrogata da un ufficio finanziario, comunque irrogata dall’agenzia delle entrate.

Così pure se decido di contestare il calcolo degli interessi o altri accessori calcolati dall’ente impositore,
anche rispetto a queste somme di denaro io devo chiedere e attivare la convinzione del giudice tributario,
proprio perché anche queste fattispecie e situazioni, oneri che mi vengono imputati attengono alla materia
tributaria.

Tutto quello che attiene al tributo appartiene alla conoscenza del giudice tributario.
Questo concetto di giurisdizione è un concetto che dobbiamo tenere distinto dal concetto di atto
autonomamente impugnabile come vedremo indicato dall’articolo 19, perché con il criterio della
giurisdizione tributaria noi ci stiamo esclusivamente ponendo la questione quali controversie il giudice
tributario può conoscere ?
La risposta è che può conoscere tutte le controversie che attengono a tutti i tributi di ogni genere e specie
comunque denominati.

Altro e successivo passaggio sarà poi vedere se io posso proporre la mia domanda di fronte al giudice
tributario, quindi la giurisdizione è la prima questione che ci dobbiamo porre, la successiva attiene alla
possibilità di avere accesso alla giurisdizione di fronte al giudice tributario.

200
Francesco Gruppelli
Articolo 2 ci dice che anche se non strettamente attinente alla materia tributaria il giudice tributario, la
commissione tributaria può conoscere tutte le questioni catastali.
Come abbiamo visto studiando i redditi catastali, il catasto è lo strumento essenziale per la determinazione
della base imponibile di questa particolare categoria di redditi.
Il catasto non è sicuramente uno strumento di natura tributaria, non rientra in quel concetto di tributi di
ogni genere e specie comunque denominati, però il catasto è strumentale ed essenziale per il calcolo del
tributo ed è per questo che nel comma 2 dell’articolo 2 del decreto legislativo 546 del 1992 noi vediamo
scritto che tutte le questioni che concernono l’applicazione del catasto e quindi l’estensione, il classamento,
la delimitazione dei terreni, la ripartizione delle singole unità immobiliari e così via rientrano nella
cognizione del giudice tributario.

Il giudice tributario non può conoscere le liti esecutive, noi sappiamo che nel momento in cui viene attività
la riscossione con un atto da parte dell’amministrazione finanziaria, quindi con l’iscrizione a ruolo, questa
iscrizione mi viene notificata al contribuente attraverso la notifica della cartella di pagamento.
Se io non pago gli importi indicati nella cartella di pagamento nei 60 giorni successivi alla sua notifica,
l’agente della riscossione è legittimato ad attivare tutte quelle misure esecutive che consentono all’erario o
all’ente impositore di incamerare il quantum che io spontaneamente non verso.

Il giudice tributario può conoscere esclusivamente le controversie relative alla pretesa tributaria, e quindi
se io impugno un atto per contestare la legittimità del fisco di imputarmi quella determinata somma di
denaro, quel tipo di controversia la devo sottoporre di fronte al giudice tributario, se invece voglio
contestare il modo in cui è stato effettuato un pignoramento del modo in cui è stato effettuato il fermo
della mia auto, del modo in cui è stato bloccato il mio conto corrente, è stato stornato parte del mio
stipendio per il pagamento del debito tributario, tutte queste questioni sono questioni che attengono alla
esecuzione forzata e devo andare a sottoporre non davanti al giudice tributario ma davanti al giudice
ordinario, il giudice dell’esecuzione è sempre e soltanto il giudice ordinario, quindi la giurisdizione tributaria
resta esclusa per tutti quegli atti successivi alla notifica della cartella di pagamento.

Se io contestato la pretesa tributaria, quindi fatti che si sono verificati fino alla notifica della cartella devo
sottoporre la questione alla autorità giurisdizionale tributaria, alla commissione tributaria provinciale.
Se contesto la legittima formale o il modo in cui è avvenuta l’esecuzione forzata devo andare di fronte al
giudice ordinario, non di fronte al giudice tributario.

Chi devo chiamare in giudizio?


Nel momento in cui io contesto la mia pretesa tributaria, e lo faccio impugnando l’avviso di accertamento o
l’iscrizione a ruolo, devo chiamare in giudizio come parte resistente la pubblica amministrazione che ha
formato quell’atto, quindi l’agenzia delle entrate.

Se invece contesto un vizio che attiene alla cartella di pagamento per come quella cartella mi è stata
notificata/formata, dovrò chiamare in giudizio l’agente della riscossione responsabile di quella cartella, se
ad esempio la mia cartella di pagamento attraverso la quale mi viene notificato il ruolo è scritta senza una
motivazione, è stata notificata male, non c’è il responsabile del procedimento indicato al suo interno, in
tutti questi casi io devo ricorrere davanti al giudice tributario ma in questi casi chiamerò in giudizio non
l’agenzia delle entrate che ha formato il ruolo che io non contesto, le somme iscritte e ruolo sono corrette,
se io contesto il fatto che manca il responsabile del procedimento della cartella, o che la cartella è stata
notificata male dovrò chiamare il funzionario responsabile di quell’adempimento e di quel vizio
procedimentale e quindi chiamerò nel processo l’agente della riscossione, quindi l’agenzia delle entrate
riscossione.

Lezione 27.1
Che cosa può conoscere il giudice tributario ?
Egli conosce tutto quello che viene devoluto alla cognizione del giudice tributario da parte del contribuente.

201
Francesco Gruppelli
Il processo tributario è un processo particolare perché vede sempre come parte ricorrente il contribuente,
quindi il soggetto che deve e può attivare la tutela giurisdizionale è solo il soggetto privato, che come
vedremo nel suo ricorso contesta la legittimità di un atto della pubblica amministrazione e lo può fare sulla
base di diversi motivi, il giudice tributario ha la cognizione su tutti i motivi che sono devoluti alla sua
attenzione da parte del contribuente nel suo ricorso.

In più, e ce lo specifica l’articolo 2 comma 3 del decreto legislativo, il giudice tributario risolve in via
incidentale ogni questione da cui dipende la decisione della controversia che gli è stata sottoposta.
Ad esempio immaginiamo che l’amministrazione mi abbia contestato di essere residente ai fini fiscali in
Italia quando in realtà io ho trasferito la mia resistenza fiscale in un altro paese, e come ci ricordiamo
dell’articolo 2 del testo unico dell’imposta sui redditi, la residenza fiscale scatta al ricorrere di uno dei 3
requisiti fissarti dell’articolo 2 del TUIR, tra questi requisiti c’è quello del domicilio civilistico,
l’amministrazione finanziaria ritiene che in Italia abbia conservato i miei affetti personali perché qui ad
esempio continuano a vivere i miei figli e sulla base del criterio del domicilio civilistico ritenga che io abbia
mantenuto la mia resistenza ai fini fiscali in italia, con la conseguenza importante che essendo la resistenza
fiscale una nozione di diritto sostanziale, tutti i redditi che io produco nel mondo li devo dichiarare e
verrano tassati in Italia.

Se io voglio contestare questo tipo di accertamento dovrò negare il fatto di avere il domicilio civilistico nel
territorio dello stato italiano e quindi per risolvere la questione della residenza fiscale il giudice tributario
deve risolvere la questione logicamente preliminare relativa al fatto se io ho conservato o meno sul suolo
italiano il centro non solo dei miei affari patrimoniali ma anche dei miei interessi personali, deve risolvere
una questione, in via incidentale, che propriamente sarebbe una questione da codice civile, essendo il
domicilio civilistico una nozione da codice civile usta questione dovrebbe essere attratta alla giurisdizione
del giudice ordinario.
Viceversa essendo logicamente dipendete dalla questione tributaria in base all’articolo 2 comma 3 del
nostro decreto legislativo il giudice tributario può conoscere quella questione del mio domicilio civilistico
perché la risoluzione di questa questione lo porta alla decisione sulla mia residenza fiscale.

Il giudice tributario invece non può conoscere quelle questioni incidentali che riguardano la querela di falso
o le questioni relative allo stato e capacità delle persone diversa dalla capacità di stare in giudizio, se ad
esempio è controverso il soggetto contribuente abbia la capacità di essere soggetto agli effetti degli atti
tributari che gli sono stati notificati, questo è un tipo di questione che sulla base della norma che stiamo
esaminando deve essere rimessa al giudice ordinario.
Il giudice incidentale non può conoscere una questione relativa alla capacità del contribuente.

Allo stesso modo il giudice tributario non può conoscere della querela ti falso, ovvero un procedimento
particolare che viene attivato da parte del soggetto privato tutte le volte in cui si contesta la rispondenza al
vero di un atto facente fede pubblica.
Se ad esempio in un processo verbale di constatazione i verificatori hanno indicato come data di accesso
presso la mia azienda un giorno diverso sda quello effettivo, io non posso contestare quella data come
diversa da quella reale semplicemente adendo il giudice tributario ma devo attivare un procedimento
molto particolare che è la querela di falso e andare di fronte al giudice ordinario e fare in modo che venga
dichiarato che quella attestazione pubblica effettuata dal pubblico ufficiale nel moneto in cui è redatto il
processo verbale di constatazione non corrisponde al vero, quindi può accedere che nell’ambito di un
processo tributario il contribuente non solo contesti la fondatezza del rilievo effettuato dal verificatore e
quindi se il verificatore nel processo verbale di constatazione ha scritto che io non ho registrato
correttamente le me fatture o non ho dato rilevanza fiscale ai ricavi che effettivamente ho prodotto e
quindi rilievi di natura tributaria, io posso contestare anche il fatto che nel processo verbale di
constatazione siano stati dedotti dei fatti diversi da quelli reali.

202
Francesco Gruppelli
Questo tipo di contestazione che non attiene alla fondatezza del rilievo del verificatore ma attiene alla
veridicità delle attestazioni che fa l’ufficiale pubblico nel momento in cui redige il processo verbale di
constatazione, devono essere riconosciuto obbligatoriamente dal giudice ordinario.
Quindi se ho instaurato un processo tributario il giudice tributario dovrà sospendere il giudizio in attesa che
il giudice ordinario si pronunci sula quella di falso o sulla questione relativa allo stato e alla capacità diversa
dalla capacità di stare in giudizio del soggetto privato.

La norma fondamentale del decreto legislativo 546 del 92 è l’articolo 19, rubricato atti impugnabili, è
l’articolo più importante della disciplina processuale perché è un articolo che ci evidenzia quale sia la natura
del processo tributario.

L’articolo 19 ci dice quando la domanda del soggetto che adisce il giudice tributario è proponibile.
Lo è quando il contribuente riceve la notifica di uno degli atti elencati dal legislatore all’articolo 19, il quale
ci dice che il contribuente ha possibilità di accesso la giudizio tributario solo se ti è stato notificato uno degli
atti elencati dal legislatore all’articolo 19.
Questi atti sono quelli riprodotti nella slides minuto 12:24: avviso di accertamento del tributo, avviso di
liquidazione del tributo, provvedimento che irroga sanzioni, ruolo e cartella di pagamento, avviso di mora,
iscrizione di ipoteca sugli immobili, fermo di beni mobili registrati, atti relativi alle operazioni catastali,
rifiuto espresso o tacito, diniego o revoca di agevolazioni e infine ogni atto per il quale la legge ne prevede
l’autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie.
Quindi articolo 19 non è come si legge una disposizione tassativa perche alla lettere I il legislatore ha
previsto che questo elenco possa essere ampliato dal legislatore stesso.
Non è quindi conoscibile da parte del giudice tributario il processo verbale di constatazione.

Questa è una norma fondamentale perché ci dice qual è la natura del processo tributario, che è quella di
uni processo impugnatorio, io posso adire il giudice esclusivamente impugnando uno di questi atti e
impugno uno di questi atti esclusivamente per chiederne l’annullamento.
L’oggetto del processo tributario è sempre l’annullamento di un atto della pubblica amministrazione,
annullamento di uno di questi atti.
Questo significa che non posso andare di fronte al giudice tributario facendo un azione preventiva di mero
accertamento, io non posso invocare la tutela del giudice tirbutario se non per chiedere l’annullamento di
un atto che ritengo lesivo della mia posizione fiscale.

Questo è un postulato fondamentale del processo tributario che ci dice e ci conferma la natura costitutiva
dell’avviso di accertamento.
L’obbligazione tributaria viene costituita nel momento in cui mi notifica un atto impositivo, teoria che si
contrappone alla teoria dichiarativa, la quale dice che l’obbligazione tributaria sorge nel momento in cui si
verifica il presupposto di fatto che viene poi recepito dal contribuente nella sua dichiarazione dei redditi.
Se diciamo che l’avviso di accertamento ha, come ha effettivamente, una natura costitutiva
dell’obbligazione tributaria, se noi contestiamo il maggiore importo che l’amministrazione ci imputa
dobbiamo far cadere/ eliminare dal mondo giuridico quell’atto che costituisce l’obbligazione tributario e
quindi l’avviso di accertamento.
Questo significa che il processo tributario è un processo sull’atto, io contesto davanti al giudice tributario
latto perfezionato dall’amministrazione finanziaria, impugnando latto faccio valere contro quell’atto tutti
quei vizi formali e sostanziali che l’amministrazione ha compiuto nel momento in cui ha avanzato la pretesa
tributaria nei miei confronti confezionando proprio quell’avviso di accertamento.

Significa che non è mai un processo sul rapporto tributario, non vado davanti al giudice tributario per dire
che io non sono un evasore, vado davanti al giudice tributario per dire che l’amministrazione finanziaria nel
momento in cui mi ha notificato quel determinato avviso di accertamento attraverso il quale mi ritiene un
evasore, quell’atto non è corretto.

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Francesco Gruppelli
Quindi solo indirettamente il giudice decide sul fatto che io sia o meno un evasore fiscale, ma non è questo
l’oggetto diretto della cognizione del giudice tributario.
Questo ci dice anche che tutti quei vizi che abbiamo visto si traducono dal punto di vista processuale
sempre in vizi di annullamento, a prescindere di come abbiamo qualificato quel vizio dal punto di vista
procedimentale.

Questa norma è importante perché noi possiamo impugnare uno di questi atti esclusivamente, ci dice il
comma 3 dell’articolo 19, per vizi propri, io posso quindi impugnare l’avviso di accertamento facendo valere
un vizio che risulta da quell’avviso di accertamento.
Nel caso in cui l’avviso di accertamento recepisca i rilievi di un atto endoprocedimentale pregresso,
impugnando l’avviso di accertamento che recepisce il processo verbale di constatazione io faccio valere il
vizio di processo verbale di constatazione perché l’amministrazione finanziaria che ha confezionato l’avviso
di accertamento ha fatto proprio il processo verbale di constatazione viziato.

Quindi l’avviso viene impugnato esclusivamente per vizi propri, rilevano cioè gli atti endoprocedimentali, a
patto che questi atti siano recepiti nell’avviso di accertamento, può quindi accadere che venga condotta un
accesso o ispezione o verifica e venga redatto un pvc che reca i rilievi dei verificatori ma poi a seguito ad
esempio dei chiarimenti che il contribuente può fornire nei 60 giorni successivi, il funzionario dell’agenzia
delle entrate si convinca che i rilievi dei verificatori non sono sostenibili e quindi proceda autonomamente
ad avanzare un’altra pretesa fiscale e proceda ad abbandonare i rilievi effettuati da parte dei verificatori, in
questo caso il vizio che noto nel pvc non essendo quel processo recepito nell’avviso di accertamento, non
mi legittima ad avanzare alcun tipo di contestazione perché l’avviso di accertamento resta in piedi a
prescindere da quell’atto endoprocedimentale che io ritengo viziato.

Questa regola, in base alla quale possiamo impugnare uno degli atti di cui all’articolo 19 solo per vizi propri,
ci dice che non possiamo impugnare una cartella di pagamento se non abbiamo per far valere un vizio del
pregresso avviso di accertamento se a suo tempo non abbiamo tempestivamente impugnato l’avviso di
accertamento.
L’impugnazione tempestiva si ha nei 60 giorni successivi alla notifica dell’atto, se io ricevo una notifica
dell’avviso di accertamento, ho 60 giorni di tempo per preparare il mio ricorso e per notificarlo e
depositarlo davanti al giudice tributario, se non lo faccio, non presento un autonoma impugnazione di
fronte al giudice tributario, quell’atto diventa definitivo, nessuno eccetto l’amministrazione finanziaria in
via di autotutela può porre nel nulla quell’atto che non è stato tempestivamente impugnato.

Se lascio decorrere questo termine di 60 giorni succede che l’avviso di accertamento essendo atto
immediatamente esecutivo, fa partire la riscossione, le somme saranno iscritte a ruolo.
Nel caso in cui il contribuente nei 60 giorni non solo non presenti la sua impugnazione ma nemmeno paghi
il quantum liquidato nell’avviso di accertamento, partirà la riscossione forzata che se non parte entro l’anno
obbliga e onera l’agente della riscossione a notificarmi l’avviso di mora.
Io l’avviso di mora lo posso impugnare autonomamente, quindi posso proporre ricorso al giudice tributario
e in questo ricorso però non posso contestare vizi dell’avviso di accertamento presupposto all’avviso di
mora perché quei vizi avrei dovuti farli valere nei 60 giorni successivi alla notifica del primo avviso di
accertamento.
Quindi la regola dei vizi propri ci dice che una volta aspirato il termine dei 60 giorni io perdo
definitivamente la possibilità di contrastare quell’atto impugnando l’atto successivo che mi viene notificato.

Rispetto a questa regola c’è un'unica eccezione che mi viene contemplata nell’articolo 19 al terzo comma
ed è la regola che mi dice che la mancata notifica di un atto autonomamente impugnabile rende quell’atto
impugnabile insieme all’atto successivamente notificato.
Significa che io attraverso l’impugnazione di una cartella di pagamento posso fare valere un vizio del
pregresso avviso di accertamento solo ed esclusivamente se quell’avviso di accertamento non mi è stato
notificato bene e questo ovviamente si spiega anche dal punto di vista razionale, se io non ricevo la notifica

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Francesco Gruppelli
ma ricevo subito la cartella di pagamento evidentemente rispetto a quel primo atto posso essere rimesso in
termini per contestare tutta la pretesa tributaria facendo valere anche dei vizi imputabili
all’amministrazione finanziaria che ha avanzato la pretesa nell’avviso di accertamento perché quell’avviso
di accertamento non l’ho mai ricevuto secondo le norme sulla notificazione.
Se l’atto è stato notificato male io posso impugnando l’atto successivo andare a rimettere in discussione e
far valere un vizio dell’atto precedente.

Rispetto a questa regola che mi dice che gli atti che io posso contestare davanti al giudice tributario solo
esclusivamente gli atti indicati nell’articolo 19, dobbiamo tenere conto di una importante giurisprudenza
della corte di cassazione, del giudice di legittimità di terza istanza, giurisprudenza però molto criticabile
perché stravolge di fatto l’impianto del decreto legislativo 546 e in particolare l’articolo 19.
Questa giurisprudenza dice che considerata la giurisdizione tributaria e quindi la norma di cui all’articolo 2
del decreto legislativo 546 che ha un portata molto ampia, questa portata attrae alla cognizione del giudice
tributario tutti gli atti dell’amministrazione finanziaria, sia che questi atti siano stati tipizzti nell’elenco di cui
all’articolo 19, si che questi atti siano atipici.
Secondo la corte di cassazione se l’amministrazione finanziaria mi notifica un atto non elencato nell’articolo
19 che però incide sulla mia posizione fiscale che però ha una rilevanza rispetto alla mia posizione fiscale, io
a prescindere dal fatto che quell’atto non sia incluso nell’elenco di cui all’articolo 19 posso ricorrere davanti
al giudice tributario.
Questa è sicuramente una giurisprudenza poco rispettosa dell’articolo 19 perché a questo articolo il
legislatore è stato molto chiaro nel dire quando si può avere accesso al giudice tributario ed è una
giurisprudenza che solleva molte perplessità anche di ordine procedurale, perché questa giurisprudenza
dice che si mi viene notificato un atto endoprocedimentale non incluso nell’articolo 2019 io ho la facoltà di
impugnarlo davanti al giudice, quindi se io ricevo la notifica di un pvc che ritengo viziato, ancorché il pvc
non sia elencato nell’articolo 19 secondo questa giurisprudenza io posso andare subito di fronte al giudice
tributario perché la corte di cassazione dice che ci sono dei pvc in cui è già chiara la pretesa tributaria
avanzata dai verificatori, quindi non c’è bisogno di attendere i 60 giorni per i chiarimenti del contribuente e
la notifica dell’avviso di accertamento perché quell’atto già manifesta un chiaro orientamento da parte
dell’amministrazione.
La corte di cassazione precisa altresì il fatto che io non impugni il pvc non determina la cristallizzazione di
questa pretesa.
Questa giurisprudenza della cassazione prende il nome di giurisprudenza relativa agli atti facoltativamente
impugnabili, quindi la corte di cassazione estende l’elenco di cui l’articolo 19 ma precisa rispetto agli atti
non elencati all’articolo 19 l’impugnazione è meramente facoltativa e non preclude la possibile e il potere
del contribuente di impugnare l’avviso di accertamento nel momento in cui l’avviso di accertamento sarà
notificato

Un atto particolare che noi troviamo elencato nell’articolo 19 è il silenzio rifiuto di rimborso, come
sappiamo in determinati casi nascenti da dichiarazioni o dalle particolari regole procedimentali che
abbiamo studiato può nascere un diritto di credito per il contribuente.
Esso qualora non sia avanzato in dichiarazione può essere oggetto di una apposita istanza da parte del
contribuente.
Io avanzo un istanza di rimborso, l’amministrazione nel caso di istanza di rimborso ha 90 giorni di tempo
per rispondermi e in questi 90 giorni di tempo mi da una risposta negativa, una risposta cioè di rifiuto che
nega l’esistenza del mio diritto di credito o se in questi 90 giorni e si forma quindi il silenzio rifiuto, io posso
andare davanti al giudice tributario, perché questa è una controversia che attiene ad un tributo che ha
quindi una rilevanza tributaria.

Che cosa devo fare?


Devo impugnare nei 60 giorni successivi alla notifica del rifiuto espresso la risposta dell’amministrazione
finanziaria, nel caso invece io non riceva nulla nei 90 giorni e si perfeziona il silenzio rifiuto, oggetto di

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Francesco Gruppelli
impugnazione in questo caso è un atto un po’ strano perché non ha una rilevanza dal punto di vista
cartaceo, impugno un silenzio giuridicamente rilevante come rifiuto del mio rimborso e la particolarità del
silenzio rifiuto è che ho possibilità di accesso alla giurisdizione tributaria decorsi i 90 giorni dalla
presentazione della mia istanza di rimborso ma da quel momento non devo rispettare i successivi 60 giorni
ma posso andare di fronte al giudice tributario fino a quando sussiste il mio diritto di credito.

Quindi la particolarità dell’impugnazione del silenzio rifiuto è che non c’è il termine dei 60 giorni,
l’importante è che dal punto di vista civilistico io abbia ancora mantenuto il diritto di credito nei confronti
dell’amministrazione.
Posso in ogni momento andare difronte al giudice tributario per chiedere sempre l’annullamento dell’atto
dell’amministrazione finanziaria, quindi nel caso di rifiuto esporrò chiederò l’annullamento di quella
risposta scritta che io ricevo nei 90 giorni, nel caso di silenzio rifiuto chiederò l’annullamento di quel
silenzio, perché quel comportamento non esplicito ma giuridicamente significativo dell’amministrazione
finanziaria è assolutamente illegittimo, avrebbe dovuto rispondermi nei 90 giorni affermando l’esistenza del
mio diritto di credito.

Le domande relative all’annullamento del silenzio rifiuto comportano sempre in automatico una richiesta di
condanna da parte del contribuente nei confronti della pubblica amministrazione alla restituzione della
somma vantata dal soggetto privato, quindi la particolarità delle impugnazioni e del silenzio rifiuto è legata
al fatto che oltre a chiedere l’annullamento del rifiuto espresso o del silenzio rifiuto ingiustificato
dell’amministrazione finanziaria, il contribuente avanza anche pressoché autonomamente una richiesta di
condanna.
Annulla dal punto di vista del mondo giuridico e quindi se quell’atto non ha più valenza giuridica
necessariamente riconoscimi il mio diritto di credito e condanna l’amministrazione finanziaria a restituirmi
quella somma che io vanto.

La corte di cassazione ha inoltre preso posizione su quel particolare silenzio rifiuto che abbiamo visto
studiando l’autotutela, quella particolare attività amministrativa che consente ad una pubblica
amministrazione di ritornare sui suoi passi per in qualche modo cancellare o sanare il vizio procedimentale
di cui l’amministrazione si accorge.
L’autotutela può essere azionata come sappiamo dal contribuente, io posso fare un istanza di autotutela
rispetto all’avviso di accertamento che io ricevo, con l’avvertenza però che l’istanza di autotutela non
sospende i 60 giorni per proporre il ricorso davanti al giudice, se io ricevo un avviso di accertamento posso
presentare all’amministrazione finanziaria istanza di autotutela, quindi dire all’amministrazione di
correggere quell’atto perché viziato e posso nello stesso tempo presentare ricorso davanti al giudice, se
non presento ricorso al giudice nei 60 giorni la presentazione dell’istanza dell’autotutela non determina
come sappiamo alcun obbligo da parte dell’amministrazione di intervenire, non è un dovere che possiamo
azionare, quello della amministrazione finanziaria di intervenire sul proprio atto e questa non doverosità di
intervenuto sul proprio atto ci viene confermata dalla corte di cassazione a sezioni uniti che ci dice nel caso
in cui l’amministrazione finanziaria rifiuti di procedere in autotutela e quindi mi giunga una riposta negativa
rispetto alla mia istanza o non riceva alcun tipo di risposta, io non ho diritto ad impugnare quella risposta
negativa o quel silenzio di fronte al giudice.
Questo perché la corte di cassazione dice che impugnando il rifiuto di autotutela in modo inammissibile
verrebbe concesso al contribuente di avere accesso al giudice tributario superando l’articolo 19, se io voglio
contestare l’avviso di accertamento lo devo impugnare nei 60 giorni, non è possibile che io magari decossi
60 giorni presenti istanza di autotutela e ricevuta rispetta negativa dall’amministrazione rispetto a quel
l’autotutela io impugni il rifiuto di autotutela perché attraverso questa impugnazione duplicherei quella
possibilità che l’ordinamento mi mette già a disposizione di contestare l’avviso di accertamento nei 60
giorni.

Quindi la posizione della corte di cassazione è nel senso di dire se ricevi latto impositivo impugnalo nei 60
giorni, nel caso in cui voglia adire l’amministrazione finanziaria a presentare un istanza di autotutela, sappi

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Francesco Gruppelli
che non solo non sospendi il termine dei 60 giorni per avere ricorso davanti al giudice ma l’eventuale
risposta negativa o il rifiuto di autotutela non ti può consentire di ritornare e attivare la tutela
giurisdizionale perché si può attivare solo rispettando il termine dei 60 gionri dalla notifica dell’atto
impositivo.

Lezione 27.2
Un’altra norma fondamentale che dobbiamo studiare è la norma recata dell’articolo 7 del decreto
legislativo 546 del 92 sulla istruttoria procedimentale.
Norma importante perché ci dice ancora una volta qual è la natura e caratteristiche strutturali del processo
tributario.
Esso è un processo essenzialmente documentale, scritto, che parte da un ricorso presentato in forma scritta
da parte del contribuente, processo attraverso il quale viene impugnato un atto, tendenzialmente scritto
tranne il silenzio rifiuto, dell’amministrazione finanziaria.

Anche dal punto di vista delle prove di tutti quegli elementi che giustificano la richiesta di annullamento del
contribuente avanzata nel suo ricorso o giustificano la pretesa impositiva dell’amministrazione finanziaria,
devono trovare sempre un evidenza scritta.
Il processo tributario infatti non ammette ne la prova testimoniale ne il giuramento ne la confessione.
Può entrare tutto quello che è scritto, la norma di cui l’articolo 115 del codice di procedura civile ci dice che
il giudice deve porre a fondamento della propria decisione le prove proposte dalle parti, il processo
tributario si segue quindi il cosiddetto principio dispositivo, sono cioè le parti ha fornire al giudice gli
elementi di prova su cui deve essere basata la decisione da parte del giudice, quindi rientra nel potere
monocratico del ricorrente decidere se impugnare rispetto l’avviso di accertamento tutto l’avviso di
accertamento o solo una parte dell’avviso di accertamento.

Abbiamo infatti studiato come sussiste il principio della unicità dell’atto impositivo, quindi per ogni
obbligazione tributaria c’è un e un solo avviso di accertamento, questo significa che attraverso un atto
impositivo l’agenzia delle entrate può avanzare dei rilievi diversi relativi a tributi diversi in relazione a quella
obbligazione tributaria in quell’anno fiscale.

Nel momento in cui decido di impugnare l’avviso di accertamento posso decidere di impugnarlo tutto,
quindi di contestare il complesso della rettifica della mia base imponibile o posso decidere di impugnare
solo alcune parti, ritenendo e fomentando acquiescenza rispetto tutto quello che non decido di impugnare.
Rientra nel potere monocratico del ricorrente decidere se e che cosa impugnare e rientra altresì nel potere
del ricorrente prospettare i vizi relativi a quell’atto, quindi questi vizi come vedremo studiano il ricorso sono
vizi a critica libera, ovvero posso impugnare l’avviso di accertamento per un numero indefinito di motivi,
questo motivi possono trovare il loro fondamento in norme di legge, ma posso impugnare un avviso di
accertamento contestando il fatto che in Italia si paghino troppi tributi.

Questo è un motivo poco sostenibile di fronte ai giudice, però motivo dal punto di vista formale
ammissibile.
Il contribuente decide che cosa impugnare di quell’atto impugnabile e sulla base di quali motivi, posso
impugnare l’avviso di accertamento deducendo il vizio di notifica, il fatto che la motivazione sia inadeguata,
il fatto che manchi la responsabile del procedimento, il fatto che l’avviso di accertamento non sia
sottoscritto, il fatto che i rilievi avanzati dall’amministrazione finanziaria non siano fondati perché io non
sono un evasore ed elusore come contestato dall’agenzia delle entrate, ma altresì posso impugnarlo anche
per il fatto che in Italia l’imposizione è troppo alta.

Motivo sul quale il giudice si deve esprimere e se il giudice ritiene fondato uno o più dei miei motivi dovrà
procedere annullando, facendo cadere quell’atto amministrativo e quindi essendo l’atto impositivo un atto
costitutivo dell’obbligazione tributaria io non sarò più tenuto a versare il quantum, il maggior importo
liquidato nel mio avviso di accertamento.

207
Francesco Gruppelli
L’ambito di cognizione del giudice tributario lo circoscrive il contribuente nel momento in cui presenta il
suo ricorso e lo circoscrive anche l’atto dell’amministrazione finanziaria, se l’amministrazione finanziaria mi
ha notificato un avviso di accertamento antiabuso, il giudice tributario non potrà dare ragione
all’amministrazione finanziaria sulla base di motivazione diverse da quelle codificate dall’amministrazione
finanziaria in quel determinato atto, il perimetro, il tema decidendum, sul quale il giudice tributario è
chiamato ad esprimersi è determinato in modo invalicabile da un lato dai motivi di ricorso del contribuente
e dall’altro dalla motivazione dell’atto impugnato dal contribuente.

Il giudice non può andare oltre quanto richiesto dall’amministrazione finanziaria, non può supplire
all’amministrazione finanziaria.
Questo perché ripeto il processo tributario è un processo sull’atto, ad essere oggetto di contestazione è
quel particolare atto che l’amministrazione mi ha notificato, il processo tributario non è un processo sul
rapporto tributario.
Non si va davanti al giudice tirbutario per dire che non si evasore o elusore ma si va davanti al giudice
tributario per dire l’amministrazione finanziaria nel momento in cui ha rettificato la mia base imponibile, ha
controllato la mia dichiarazione o ha verificato che io la dichiarazione non l’abbia presentata, non ha
seguito le norme di legge, non ha rettificato la base imponibile sulla base e in osservanza delle norme
procedimentali, sul banco degli imputati se vogliamo è sempre l’ente pubblico, l’amministrazione
finanziaria, il contribuente attraverso il suo ricorso sollecita da parte dell’autorità giurisdizionale, un giudizio
da parte del giudice sull’operato dell’amministrazione finanziaria, su quel particolare atto che
l’amministrazione finanziaria mi ha notificato.

Che cosa può fare il giudice ?


Si deve attenere alle prove dedotte dalle parti, io cioè posso contestare un avviso di accertamento facendo
valere il fatto che la notifica è avvenuta in modo irrituale perché ad esempio nella relata di notifica del mio
avviso di accertamento risulta che quell’atto è stato fatto firmare dal messo notificato al mio vicino di casa,
quindi la notificazione di quell’avviso di accertamento, per il resto perfetto, non è avvenuta secondo legge,
quindi è giuridicamente inesistente, io impugnando quell’avviso di accertamento e chiedo al giudice di
annullarlo perché la notifica non è avvenuta seconda la legge.

Il contribuente invece dovrà presentare la relata di notifica davanti al giudice, dovrà allegarla al suo ricorso
in modo che il giudice abbia a disposizione la prova che attesta la fondatezza del ricorso avanzato e
prospettato dal contribuente.
Se il contribuente non presenta questa relata, può il giudice d’ufficio andare alla ricerca della relata in
modo da fondare la sua decisione su una prova non prodotta dal contribuente?
Assolutamente no, questo perché l’articolo 7 ci dice chiaramente che il giudice si deve attenere alle prove
proposte dalle parti, il giudice è chiamato a decidere unicamente sulla base del materiale probatorio
prodotto dalle parti, questo con alcune eccezioni.

L’eccezione riguarda la facoltà che l’articolo 7 rimette al giudice di avvalersi di una consulenza tecnica, di
avvalersi di un consulente che si pronuncia su aspetti tecnici e questo non ci deve stupire, posto che le
regole di determinazione della base imponile sono in alcuni casi molto tecniche, norme ad esempio che
richiedono delle competenze specifiche che non necessariamente i giudici tributari hanno, anche perché
essi non sono dogati e non sono stati selezionati sulla base della loro preparazione tecnica e poi appunto ci
sono molti casi in cui sono richieste delle competenze che vanno oltre la preparazione eventualmente
posseduta dal giudice di tipo giuridico.
Rispetto ad una contestazione può essere determinante stabilire la metratura di un immobile se ad
esempio oggetto di contestazione è la rettifica della base imponibile di un terreno o di un fabbricato.
In questo caso il giudice può attivare la consulenza tecnica.

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Francesco Gruppelli
Questa consulenza però deve essere attivata dal giudice non per supplire ad una carenza probatorio da
parte della pubblica amministrazione ma per risolvere una questione insorta sulla base del motivo di ricorso
prospettato dal contribuente.
Ovvero che se l’amministrazione finanziaria nel momento in cui ha rettificato i miei redditi fondiari e non ha
specificato la ragione di questa rettifica perché non è andata a misurar concretamente la superficie
dell’immobile e avanzato una contestazione nei miei e confronti del tutto immotivata, in questo caso il
giudice non può supplire alla carenza probatoria dell’amministrazione finanziaria, perché l’articolo 7 del
decreto legislativo 546 ci dice chiaramente che l’esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice è limitato
ai fini istruttori e nei limite dei fatti dedotti dalle parti, significa che il potere probatorio può essere attivato
dal giudice solo se il contribuente ha contestato il calcolo della superficie dell’immobile, se il contribuente
ha scritto un ricorso contestando solo il vizio di notifica dell’atto impositivo, il giudice non può intervenire
richiedendo una consulenza tecnica per andare a vedere se nella sostanza la rideterminazione del reddito
fondiario è corretta, quindi non può andare oltre il fatto dedotto dalle parti.

Il giudice poi deve limitare il suo intervento ai fini istruttori, il giudice non può supplire alle carenze
probatorie delle parti e può intervenire esclusivamente ai fini istruttori, quindi per il controllo dei fatti
controversi e per il riesame dell’attività probatoria che deve essere compiuta esclusivamente dalle parti,
quindi se il giudice sulla base delle prove dedotte dalle parti non riesce a raggiungere una decisione perché
le parti appunto non producono in giudizio la relata di notifica, non producono in giudizio la misurazione
della superficie dell’immobile, il giudice che non è in grado di decidere si deve attenere alla regola
dell’onere probatorio, si deve attenere alla regola che se io devo far valere un mio diritto in giudizio e non
ho provato il fatto che ne costituisce il fondamento, io in quel giudizio mi aspetto una sentenza che mi dia
torto, questo perche la regola sull’onore probatorio fissata dell’articolo 2697 del codice civile mi dice che se
io voglio far valere un mio diritto in giudizio, il diritto in questo caso potestativo del contribuente di far
annullare un atto della pubblica amministrazione, devo provare il fatto che ne costituisce il fondamento.

Se io non porto all’attenzione del giudice la relata di notifica, il giudice sulla base dell’articolo 7 non può
andare a ricercarsi la relata di notifica, ma sulla base della regola dell’onere probatorio mi dovrà dare torto,
dovrà ritenere cioè il mio motivo di ricorso infondato in quanto io non ho prodotto la prova.

I potere istruttori delle commissioni tributarie possono essere esercitati non ai fini decisori, perché la
decisione deve essere sempre e soltanto fondata sulle prove dedotte in giudizio dalle parti, ma
esclusivamente ai fini istruttori per controllare la fondatezza delle prove che devono essere prodotte dalle
parti, quindi la funzione probatoria del giudice non è una funzione sostitutiva dalle parti ma una funzione
che interviene solo in via secondaria per controllare la fondatezza degli elementi probatori dedotti in
giudizio dalle parti.
Questa è una regola molto importante a tutela del contribuente, perché se l’avviso di accertamento
confezionato dall’amministrazione finanziaria è un avviso di accertamento non fondato dal punto di vista
probatorio, la ripresa tassazione risultata del tutto campata in aria perche ad esempio fondata su notizie
giornalistiche prive di riscontri concreti, il giudice tributario nell’esercizio dei suoi potere probatori non può
sostituirsi all’amministrazione finanziaria ma deve rimanere nel perimetro della motivazione dell’avviso di
accertamento, l’amministrazione finanziaria nel momento in ci mi avanza una contestazione notificandomi
quello specifico atto impositivo deve riversare in quell’atto tutte le ragioni che giustificano la pretesa
tributaria avanzata nei miei confronti.

L’amministrazione finanziaria non può cioè integrare in sede processuale quanto non ha scritto nell’avviso
di accertamento, quanto cioè non ha raccolto nella fase procedimentale, ne tanto meno il giudice può
supplire alle carenze probatorie dell’amministrazione finanziaria andando a ricercare degli elementi che
dimostrano il fatto che io sia un evasore o elusore che non sono però stati codificati e raccolti e spiegati
nelll’avviso di accertamento.

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Francesco Gruppelli
Questo ci conferma il fatto che una pretesa tributaria per essere solida non solo deve essere ben motivata e
quindi come ci dice l’articolo 42 del dpr 600 e come ci dice l’articolo 3 della legge 241 del 90 e come ci dice
l’articolo 7 dello statuto dei diritti del contribuente la motivazione è un elemento essenziale dell’atto
impositivo, quindi le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che giustificano la pretesa impositiva, ma essa
deve essere anche provata, questo ci conferma il fatto che un avviso di accertamento può essere scritto
molto bene ma può essere del tutto infondato o per converso la pretesa impositiva sia ben fondata e quindi
confermi riposi su elementi che confermano il fatto che io sia un evasore fiscale ma il funzionario può aver
scritto male dal punto di vista motivazionale la pretesa tributaria e quindi ci può essere un vizio di
motivazione.
La motivazione va tenuta distinta dalla prova e l’articolo 7 del decreto legislativo 546 del 92 ci dice che nel
valutare la prova dedotta dall’amministrazione finanziaria nell’ambito dell’avviso di accertamento vil
giudice deve attenersi al perimetro degli elementi provatori raccolti dall’amministrazione finanziaria.

Nell’ambito dei fatti dedotti dalle parti ed esclusivamente ai fini istruttori non decisori, che cosa può fare il
giudice?
Per verificare la fondatezza degli elementi probatori dedotti dalle pati in giudizio può richiedere
informazioni ad una pubblica amministrazione e questo potere lo può esercitare il giudice, cosi pure può
desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nella fase procedimentale e
processuale, quindi il giudice resta libero di valutare il contegno delle parti, contribuente e
amministrazione, comportamento avvenuto nella fase processuale, procedimentale o in giudizio, quindi se
io contribuente ho sempre collaborato, fornito informazioni all’amministrazione, ho sempre tenuto un
comportamento trasparente, questi elementi possono essere tenuti conto dal giudice nel momento in cui
arriva alla sua decisione.

Così pure il giudice può disporre un interrogatorio non formale delle parti se io contribuente presenzio in
udienza assistito dal mio avvocato o commercialista, il giudice mi può rivolgere una domanda, quindi ci può
essere un interrogatorio non formale e la mia risposta deve essere scritta è precisata in un verbale accluso
al verbale di udienza.

Così il giudice può disporre delle ispezioni rispetto a delle cose, rispetto a dei beni o delle perquisizioni,
anche questo potere il giudice può esercitarlo sempre nel rispetto dei fatti dedotti dalle parti ed
esclusivamente ai fini istruttori, non ai fini decisori.

Il giudice non può fare quanto stabiliva l’abrogato comma 3 dell’articolo 7 del decreto legislativo 546,
questa norma disponeva che il giudice potesse ordinare il deposito di documenti alle parti anche nei casi
non esclusivamente ai fini istruttori ma anche nei casi in cui questi documenti fossero necessari per la
decisione della controversia, quindi il giudice che riteneva necessario un documento per addivenire alla
decisione, sulla base di questa disposizione poteva ordinare ale parti di depositarla nel fascicolo
processuale, questa disposizione è stata abrogata perché è una disposizione poco compatibile con un
assetto non inquisitorio del processo tributario.

Nell’assetto del processo tributario il giudice non è un inquisitore e non è a fianco del fisco e
dell’amministrazione finanziaria per intercettare i contribuenti evasori o elusore, perché il processo
tributario è basato sul principio dispositivo, sono le parti che ad armi pari si fronteggiano di fronte ad un
giudice terzo, che nel momento in cui si accorge di un deficit probatorio addebitabile all’amministrazione
finanziaria non può supplire alle carenze probatorie del fisco per andare a ricercare quei documenti
necessari a confermare la natura evasiva o elusiva dei comportamenti posti in essere dalle parti.
Il fatto che sia stato abrogato questo comma 3 dell’articolo 7 ci conferma il fatto che il o processo tributario
attuale è un processo non inquisitorio.

Se non è un processo inquisitorio questo significa che i poteri istruttori che il giudice può attivare sulla base
dell’articolo 7 non consentono di sanare le deficienze probatorie rintracciabili nell’avviso di accertamento.

210
Francesco Gruppelli
La carenza quanto l’amministrazione non ha fatto in sede procedimentale, se ha raccolto poche prove e se
queste prove non sono particolarmente fondate non può essere fatto nella sede procedimentale.

Possono essere rilasciate dichiarazione da parte di terzi nel processo tributario ?


Abbiamo detto che la confessione, giuramento e prova testimoniale non sono mezzi ammissibili e quindi
tutte quelle norme del codice di procedura civile che riguardano questi mezzi probatori non possono essere
applicate nell’ambito tributario perché come abbiamo studiato dall’articolo 1 del decreto legislativo queste
norme non sarebbero compatibili con i caratteri essenziali del processo tributario.

È però possibile che delle dichiarazioni testimoniali entrino nel processo tributario se queste dichiarazioni
sono state tradotte in documenti, se l’amministrazione finanziaria mi contesta il fatto di aver utilizzato una
fattura falsa, io posso far rendere al mio fornitore, che mi ha rilasciato quella determinata fattura, una
dichiarazione e farla verbalizzare e posso depositare tale verbale nell’ambito del processo tributario.

Sono valutabili dal giuridici le dichiarazioni da pati dei terzi e sono valutabili anche quelle prove che
l’amministrazione ha raccolto in modo indebito e non conforme, perché nell’ambito processuale tributario
non abbiamo quella sanzione processuale che invece abbiamo in ambito penale, infatti in tale ambito se
una prova è raccolta in modo non conferme ala legge si dice che la prova è inammissibile, ovvero che non
può essere conosciuta dal giudice, il giudice non può fondare il suo convincimento e decisione su una prova
dichiarata inammissibile, questo tipo di sanzione invece non c’è in ambito tributario, nell’ambito del
processo tirbutario non abbiamo l’inammissibilità, quindi l’agenzia delle entrate può ad esempio fondare il
suo avviso di accertamento anche su una notizia di giornale che raccoglie e che mi viene motivata e
presentata nell’atto impositivo, oppure anche una notizia raccolta in violazione di quelle regole
procedimenti che abbiamo studiato con riferimento all inviolabilità del domicilio.

Tutti questi elementi raccolti in modo non conferme alle regole procedimentale sono inammissibili e non
conoscibili ? La risposta è no, il giudice tirbutario può fondare la propria decisione anche su questi
elementai anche se sono stati raccolti dagli uffici dell’amministrazione finanziaria in modo non conforme al
diritto.

Questo ci dice che un conto è il mezzo istruttorio e un conto è la prova, con mezzo istruttorio noi
indichiamo tutti quegli strumenti che entrano nel processo dall’esterno, quindi tutti quegli strumenti che
sono attivabile da parte dei soggetti sulla base di prove che vengono precostituite all’esterno, e quindi la
testimonianza del terzo raccolta dal contribuente o amministrazione finanza può entrare nel processo
tributario se codificata in un atto scritto, viceversa con prova noi indichiamo quell’elemento che si
perfeziona e forma nell’ambito del processo, quindi davanti al giudice.
Ci può essere una limitazione al mezzo istruttorio ma non ci può essere una limitazione al concetto di prova
e il giudice deve fondare il suo giudizio sulle prove

Lezione 28.1

Giudizio tributario
Introduzione che avviene attraverso il ricorso.
Il contribuente ha il potere monocratico di decidere se impugnare tutto l’avviso di accertamento che gli è
stato notificato o solo una parte dell’avviso di accertamento, posso limitarmi a contestare una parte o
tutto.

Questo potere monocratico si esplicita anche nella possibilità di scegliere i motivi per i quali fare valere
l’annullamento di quell’avviso di accertamento, i motivi che il contribuente può sollevare in giudizio sono a
critica libera, posso decidere di chiedere l’annullamento per difetto di notifica, per inadeguatezza della
motivazione, perché i presupposti del redditometro non sono corretti, perché il pvc è stato redatto a
seguito di un controllo sostanziale illegittimo e così via.

211
Francesco Gruppelli
Critica libera perché non predeterminati dal legislatore.

Questo ci dice che il processo tributario avviene il contrario di quanto avviene nel processo amministrativo,
in quest’ultimo io posso impugnare un qualunque atto della pubblica amministrazione mentre nel processo
tirbutario posso impugnare solo gli atti elencati all’articolo 19.
Inoltre nel processo amministrativo a fronte di poter impugnare qualsiasi atto dell’amministrazione sono
vincolato rispetto ai motivi, posso sindacare quell’atto amministrativo solo per incompetenza, eccesso di
potere e violazione di legge, invece nel tributario gli atti li posso contestare per qualsiasi motivo.

A chi deve essere indirizzato il mio ricorso?


Articolo 4 del decreto legislativo 546 del 92 individua la competenza.
Se con giurisdizione abbiamo un criterio che ci dice davanti a quale ordine giurisdizionale andare, il criterio
della competenza ci dice quale tra tutti i giudici tributari di Italia io devo andare a rivolgere la mia richiesta
di annullamento.
Il criterio fissato dall’articolo 4 ci dice che la commissione tributaria provinciale competente è il giudice che
si trova nella circoscrizione in cui si trova l’ufficio dell’agenzia delle entrate che mi ha notificato latto che ho
impugnato.
La sede dell’ufficio che mi notifica l’atto si determina in funzione del domicilio fiscale e non civilistico,
generalmente per le persone fisiche corrisponde con il luogo in cui il soggetto ha registrato all’anagrafe il
civile resistente.
Quindi il domicilio fiscale mi determina l’ambito di competenza dell’ufficio che mi ha notificato l’atto
impositore, che a sua volta determina la competenza del giudice tributario.

Oltre ad individuare il giudice che cosa deve fare il contribuente nel suo ricorso ?
Nel suo ricorso deve individuare il soggetto patrocinatore, quindi avvocato o dottore commercialista più
tutti gli altri soggetti che possono patrocinare una causa di fronte al giudice tirbutario, deve individuare
l’ufficio competenze a resistere al mio ricorso.

Nel mio ricorso devo specificare qual è la domanda/che cosa chiedo la giudice, petitum, ed è sempre
l’annullamento dell’atto che sto impugnando, questo va integrato nel caso di ricorso per ottenere un
rimborso, perché in questa tipologia chiedo non solo l’annullamento del silenzio o della risposta negativa
che ricevo rispetto alla mia domanda di rimborso, ma chiedo congiuntamente che il giudice una volta
annullato l’atto condanni l’amministrazione finanziaria a liquidarmi il credito che io vanto.

Causa petendi indica le ragioni per le quali io avanzo la mia domanda e questa causa petendi è
rappresentata dai motivi che abbiamo detto essere a critica libera.

Una volta che l’ho preparato nei 60 giorni successivi alla notifica dell’atto che sto impugnando devo
notificare all’ufficio dell’agenzia delle entrate che mi ha notificato l’atto il mio ricorso, devo fare la vocatio
in ius, devo intimare al soggetto che sto per andare di fronte al giudice quindi notifico il mio ricorso
attraverso tutte le regole che vedremo sulla notifica nei 60 giorni successivi alla notifica dell’atto che io sto
impugnando e nei successivi 30 giorni devo andare a depositare il mio atto davanti al giudice tributario
competente.

L’ufficio dell’agenzia delle entrate che riceve la notifica del mio ricorso potrà costituirsi in giudizio
depositando un atto di memoria, attraverso il quale l’agenzia delle entrate resiste davanti al giudice
tirbutario difendendo la sua azione amministrativa, quindi sostenendo che i motivi che io ho rappresentato
al giudice sono motivi infondati o illegittimi e l’operato dell’amministrazione finanziaria è avvenuto in modo
corretto e conforme a diritto e quindi chiede al giudice di respingere il mio ricorso e se il mio ricorso viene
respinto resta salva l’obbligazione tributaria cristallizzata in quel determinato avviso di accertamento.

212
Francesco Gruppelli
Il ricorso può essere un ricorso contro più atti, posso presentare più domande di annullamento contro
diversi atti dell’amministrazione finanziaria.
C’è la possibilità di scrivere un unico ricorso cumulativo contro più atti dell’amministrazione finanziaria.
Questo può accadere quando per la medesima obbligazione tributaria ricevo prima l’avviso di
accertamento parziale e poi ricevo l’avviso di accertamento, entrambi questi avvisi possono essere
cumulativamente impugnati attraverso un unico ricorso.
Questo perché la disciplina del processo tributario è conforme alla norma del codice di procedura civile che
ci dice contro la stessa parte possono opporsi nel medesimo processo più domande, con un unico atto io
posso impugnare i due atti notificati dalla stessa amministrazione finanziaria chiedendo al giudice di
annullarli entrambi.

È possibile presentare un ricorso da parte di più contribuente, prende il nome di ricorso collettivo.
Questi soggetti evidentemente contro quell’avviso di accertamento presentato un legame.
Ad esempio per le ipotesi di solidarietà tributaria, ci dicono che l’obbligazione tributaria può essere
imputabile a più soggetti passivi.
Questa possibilità del ricorso collettivo è addirittura obbligatoria nelle cosiddette ipotesi di litisconsorzio
necessario.
Le ipotesi di questo tipo sono ipotesi rispetto alle quali il processo non può che proseguire se non nei
confronti di tutti i soggetti interessati a quella controversia.

Esempio: posizione fiscale delle società di persone che è trasparente al fisco, produce reddito ma i
responsabili di quel reddito sono i soci.
Questo vuol dire che nel momento in cui rettifica la base imponibile di persone deve agire non solo e non
tanto contro la società di persone ma per avere soddisfazione della maggiore irpef e/o ires imputabile alla
persone giudica si deve rivalere anche sui soci.
Quindi l’agenzia delle entrate dovrà notificare avvisi di accertamento distringi per quella medesima
obbligazione tributaria.
Abbiamo già detto che sulla base del principio di indisponibilità dell’obbligazione è strano che l’agenzia
delle entrate possa scegliere rispetto a quale contribuente può agire.
L’agenzia delle entrate rispetto a 3 soci può decidere se notificare un avviso di accertamento ad un
soggetto, due avvisi di accertamento o a tutti i soggetti.
Nel caso in cui lo notifichi solo ad un soggetto chiaramente non potrà poi proseguire la riscossione nei
confronti dei soggetti non destinatari dell’avviso di accertamento.

Dal punto di vista processuale avviene che se l’agenzia delle entrate ha notificato l’avviso di accertamento a
tutti i soggetti per giurisprudenza della corte di cassazione tutti quei soggetti sono litisconsorti necessari,
tutti devono essere chiamati a quel medesimo processo in quanto la controversia non può essere decisa
limitatamente ad alcuni soltanto di questi soggetti.

È quindi possibile sulla base di questa disposizione che tutti i soci decidano di presentare un unico ricorso
collettivo, contro la medesima obbligazione tributaria estendo l’oggetto del processo legato scindibilmente
nei confronti di tutti i soggetti, tutti possono presentare un unico ricorso.
Nel caso in cui i ricorsi non siano stati collettivi ma i vari soggetti abbiano presentato dei ricorsi distinti,
l’articolo 29 del decreto legislativo 546 del 92 consente di chiedere la riunione dei procedimenti.

Ci sono alcune ipotesi in cui ad intervenire nel giudizio non è solo il contribuente destinatario dell’avviso di
accertamento ma è anche un altro soggetto, ad esempio al responsabile di imposta.
Se l’agenzia delle entrate ha notificato un avviso al notaio possono intervenire in modo volontario al
processo instaurato dal notaio che impugna l’avviso di accertamento anche i soggetti privati che hanno
sottoscritto e firmato latto davanti al notaio, anche gli obbligati principali.
Lo possono fare per sostenere le ragioni del notaio.
Queste sono ipotesi molto limitate.

213
Francesco Gruppelli
‘’’Esempio di format di ricorso ‘’’ slides minuto 26:45

Dopo il ricorso, se è stata chiesta la pubblica udienza, vincere fissata una data dalla segreteria della
commissione tributaria e questa data viene comunicata dalla segreteria alle parti che si sono costituite,
ricorrente e l’ufficio dell’agenzia delle entrate.

Articolo 32 del decreto 546 del 92 ci dice che le parti fino a 20 giorni liberi prima della data di trattazione
possono depositare dei documenti. Giorni liberi vuol dire che non si calcola ne il giorno iniziale ne quello
finale.

È consentito ciò perché se l’agenzia delle entrate si costituisce in giudizio per resistere diventa parte
resistente, quindi presenterà ed esporrà le ragioni per le quali l’avviso di accertamento è da ritenersi
illegittimo, il contribuente ha modo di replicare a queste controdeduzoine e lo può fare depositando dei
documenti ulteriori rispetto a quelli allegati al suo ricorso.

Fino a 10 giorni liberi prima della data dell’udienza è inoltre consentito presentare delle memorie
illustrative che arricchiscono il contenuto delle argomentazioni formulate nei rispettivi atti ma non è
consentito ampliare il cosiddetto tema decidendum, se ho presentato 5 motivi nel mio ricorso attraverso le
memorie non ne posso inserire un sesto.

Specularmente l’agenzia delle entrate non può o arricchire il contenuto dell’avviso di accertamento in sede
processuale.
Se mi ha rettificato la base imponibile esclusivamente perché non ho conservato tutte le fatture e
giustificativi delle mie operazione commerciale, non può in sede processuale aggiungere una ragione per la
rettifica della mia base imponibile.

Quindi il tema decidendum è rigidamente limitato a il ricorso per quanto riguarda i motivi prospettati dal
contribuente e l’avviso di accertamento per quanto riguarda la parte pubblica.
Attraverso le memorie illustrative i soggetti non possono fare altro che provare nuovi argomenti che
corroborino quanto già dedotto nei rispettivi atti, ricorso e avviso di accertamento.

Nel caso in cui i soggetti non abbiano chiesto la trattazione della causa in pubblica udienza è consentito ai
soggetti che si sono costituiti in giudizio presentare delle brevi repliche scritte fino a 5 giorni liberi prima
della data in cui i tre membri della commissione si riuniranno per emettere la loro decisione.

Nell’esempio del ricorso di prima c’era una partire dedicata nell’istanza di sospensione, istanza che può
essere presente nel ricorso o può essere presentata separatamente da parte del contribuente.

Istanza di sospensione
Gli avvisi di accertamento sono immediatamente esecutivi, significa che da quando io ricevo un avviso di
accertamento, oltre a ricevere l’indicazione dei controlli che l’agenzia delle entrate ha fatto rispetto alla mia
posizione fiscale, ricevo anche un intimazione di pagamento, esattamente come nel precetto la parte
pubblica mi dice che entro i prossimi 60 giorni dalla data di notifica devo pagare.
Entro i 60 giorni successivi alla notifica il contribuente può proporre ricorso davanti al giudice, ma il ricorso
non sospende la fare amministrativa della riscossione che continua a proseguire.

Nella logica del sistema tirbutario io contesto l’avviso di accertamento al giudice ma nello stesso tempo
devo pagare.
Devo pagare, e ce lo dice una norma, a seconda di come faccio il ricorso: se impugno tutto l’avviso di
accertamento pendente il giudizio di primo grado sarò tenuto a pagare solo 1/3 del tributo e dei relativi
interessi escluse le sanzioni.

214
Francesco Gruppelli
Se il giudice di primo grado mi darà torto ritorna efficace tutto l’avviso di accertamento e tutti gli importi
dovuti sulla base dell’avviso di accertamento.
Se perdo in primo grado e non impugno il secondo grado dovrò versare l’intero ammontare calcolato
l’avviso di accertamento aggiornando l’importo degli interessi.
Se invece io soccombente in primo grado decido di contestare anche in secondo grado, pendente il giudizio
di secondo grado io sono tenuto a versare i 2/3 del maggior tributo, degli interessi e anche delle sanzioni.
Esaurito l’appello posso andare davanti alla corte di cassazione.

Tutto ciò per dire che la fase processuale non sospende automaticamente la fase di riscossione, quindi ci
può essere il caso in cui il contribuente che voglia contestare l’atto impositivo emesso dall’agenzia delle
entrate voglia contestualmente impedire la riscossione, quindi chiede al giudice non solo di pronunciarsi
sulla legittimità e fondatezza dell’avviso di accertamento, ma nel frattempo in via pregiudiziale sospenda la
riscossione dell’avviso di accertamento.

Per sospendere la riscossione da parte del giudice io contribuente ne devo fare istanza, disciplina
nell’articolo 47 e ci dice che dall’atto impugnato può derivare al ricorrente un danno grave e irreparabile,
quindi l’importo che mi ha chiesto attraverso l’atto impositivo non può essere un importo basso ma che in
relazione al fatturato della mia impresa comprometterebbe l’esistenza dell’attività di impresa, se io pagassi
1/3 del tributo e degli interessi subirei un dano grave e irreparabile posso chiedere alla commissione
tributaria di sorprendere l’esecuzione dell’atto attraverso un istanza che possono già presentare
contestualmente al mio ricorso o successivamente.

Se presento questa istanza devo indicare al giudice quali sono i danni gravi e irreparabili che subirei qualora
fossi chiamato a pagare 1/3 del tributo e interessi e devo anche indicare al giudice il fumus boni iuris, cioè
devo indicare al giudice il fatto che il mio ricorso non è stato presentato esclusivamente per ritardare la
riscossione ma ci sono fondati motivi che supportano la mia richiesta di annullamento dell’avviso di
accertamento.

Al giudice nell’istanza di sospensione devo dare non solo la rappresentazione del periculum in mora, quindi
del danno che subirei se nelle more del processo non venisse sospesa la riscossione, ma devo altresì
rappresentare il fumus boni iuris, ovvero un sentore di fondatezza dei motivi del mio ricorso.
Il giudice è chiamato in questo caso prima di approfondire i motivi del mio ricorso a decidere se sospendere
o meno la riscossione.

Se nella mia istanza faccio presente che l’esigenza di sospendere la riscossione è eccezionalmente urgente
posso chiedere che si pronunci su questa istanza direttamente il presidente della commissione, dei tre
membri del collegio giudicante il presente dovrà subito decidere se è eccezionalmente urgente l’esigenza di
sorprendere la riscossione a fonte di un danno grave e irreparabile documentato dal contribuente.

Se non chiedo l’eccezionale urgenza la mia istanza di sospensione viene decisa in un udienza ad hoc, quindi
prima dell’eventuale udienza di trattazione, il giudice fissa un udienza solo per discutere della sospensione
e il contribuente viene chiamato a comparire davanti alla commissione tributaria evidentemente attraverso
il soggetto patrocinatore in giudizio.

Contestualmente viene chiamate l’agenzia delle entrate che potrà opporsi come solitamente avviene e
quindi dire che non ci sono ragioni per non richiedere subito l’importo liquidato nell’avviso di accertamento
e al termine di questa udienza di sospensione il collegio decide con ordinanza motivata e quindi il decreto è
l’atto presidenziale, atto della commissione è ordinanza non impugnabile, se la commissione mi dice che
non ci sono ragioni per la sospensione io non posso chiedere una revisione di quel giudizio.

La commissione può anche subordinare la mia richiesta di sospensione alla richiesta di garanzia, quindi il
giudice mi può dire che blocchiamo la riscossione ma tu devi darmi una garanzia bancaria o assicurativa nel

215
Francesco Gruppelli
caso in cui qualora al temine di questo giudizio la sentenza fosse negativa ci sarebbe la garanzia della banca
rispetto a quell’importo che adesso ti consento di non pagare.

Lezione 28.2
Se viene concessa la sospensione si velocizza il momento in cui il giudice è chiamato a fissare l’udienza di
trattazione, qualora questa udienza pubblica sia stata richiesta da una delle due parti, al termine
dell’udienza, essendo il processo tributario è molto compresso, il collegio si ritira in camera di consiglio e a
porte chiuse decide e nel decidere confeziona la sentenza.

La sentenza contiene, oltre all’indicazione di membri del collegio, delle parti e dei difensori, una parte in
fatto che descrive tutte le fasi del contenzioso quindi in data x è stato depositato questo ricorso, le parti
hanno fatto richiesta di sospensione ecc, le richieste delle parti e infine la succinta esposizione dei motivi in
fatto e in diritto.

Il giudice deve dare provvedimento giurisdizionale motivato, deve indicare qual è l’iter logico razionale che
l’ha portato a prenderne quella decisione e quindi dovrà giustificare la sua valutazione nel caso concreto
rispetto a tutto quello che il contribuente ha dedotto nei suoi motivi di ricorso e tutto quello che l’agenzia
delle entrate ha eccepito nelle sua eventuali controdeduzioni.

Nel dispositivo, cioè nell’ordine giuridico che da la sentenza, il giudice dirà il ricorso è fondato e quindi
l’avviso di accertamento è in tutto o in parte illegittimo e quindi va annullato e l’agenzia delle entrate va
condannata ad restituire quanto medio tempore già incassato oppure i motivi di ricorso non sono fondati o
il ricorso è inammissibile se ad esempio l’avvocato o commercialista hanno dimenticato di allegare l’atto
impositivo.

Se quindi non c’è ragione per annullare l’avviso di accertamento la sentenza negativa per il contribuente
non farà altro che dire che non ci sono le ragioni per l’annullamento giudiziale, e se non ci sono le ragioni
resta in piedi l’avviso di accertamento che continuerà la sua vita attraverso la fase della riscossione e
dell’eventuale riscossione forzata.

La sentenza viene resa pubblica attraverso il deposito in segreteria, quindi deposito che viene comunicato
alle parti costituite, mi arriva la comunicazione dalla segreteria della commissione tributaria che il giudice
ha deciso e ha deciso con questo ordine, andrò poi davanti alla commissione tributaria per estrarre copia
delle sentenza e leggere le motivazioni e ragioni che hanno portato quel collegio a decidere in quel
determinato modo.

Importate è la data di deposito, data in cui è stato depositato il dispositivo è la data di pubblicazione delle
sentenza. È una data molto importante perché da questa data, da quando cioè viene reso pubblico il
dispositivo decorrono, dipende i termini per l’eventuale impugnazione, quindi l’accesso al secondo grado di
giudizio avviene presentando atto di appello da parte del soggetto soccombente in primo grado alla
commissione tributaria regionale, quindi se il mio ricorso era stato presentato alla commissione tributaria
provinciale di Milano, il giudice competente di secondo grado sarà la commissione tributaria della
Lombardia.

Il contenuto dell’appello è molto simile a quello del ricorso, appellante dovrà richiamare in giudizio il
soggetto vittorioso in primo grado, fare la vocatio in ius, dovrà riepilogare i fatti all’origine del contenzioso
di primo grado, dovrà precisare qual è la domanda dell’’appellante.

Nel caso particolare in cui l’appellante sia il contribuente, quindi il ricorrente è stato soccombente nel
primo grado ma decide di continuare a chiedere tutela in giudizio, dovrà formulare un atto attraverso il
quale dovrà non solo chiedere la riforma della sentenza in primo grado che giudica illegittima perché ad
esempio il giudice di primo grado non si è accorto che c’era il motivo sulla notifica dell’avviso di

216
Francesco Gruppelli
accertamento e non ha preso una posizione sull’avviso di accertamento, la sentenza di primo grado è nulla
perché non si accorto di un motivo e ha omesso di pronunciarsi su un motivo che avrebbe portato
all’annullamento.
Ma il contribuente oltre che a contestare la sentenza di primo grado, deve contestare di nuovo l’avviso di
accertamento, deve cioè presentare un ricorso di secondo grado duplicemente motivato, il contribuente
deve motivare il suo appello non solo contro la sentenza che gli ha dato torto ma di nuovo deve riproporre
tutti quei motivi che aveva sollevato contro l’avviso di accertamento, tutti quei motivi contenuti nel ricorso.
Questo perché nel giudizio di secondo grado opera il principio devolutivo, ovvero il principio che consente
al soggetto soccombente di primo grado di riproporre la medesima questione di fatto davanti al giudice di
appello ma questo principio non è automatico, il contribuente ha l’onere di riproporre specificamente tutti i
motivi contro l’avviso di accertamento, perché se il contribuente non lo fa i motivi non riproposti nell’atto
di appello si intendono rinunciati.
Può accadere che il ricorrente abbia fatto valere il difetto di notifica ma nel frattempo è intervenuta la corte
di cassazione che precisa che quel caso il motivo inizialmente proposto si rivela del tutto insufficiente e
superato dall’interpretazione resa dalla corte di cassazione.
Il contribuente che fa appello può decidere di non riproporre quel motivo perché ormai la giurisprudenza
l’ha ritenuto superato.

È molto importante valutare nel grado di appello quali motivi del ricorso presentato contro l’atto
riproporre, tutti i motivi non specificamente riproposti si intendono rinunciati.
Il giudice di appello che non trova scritto nell’atto il vizio di notifica dell’avviso di accertamento non potrà
pronunciarsi su questo perché il contribuente ha rinunciato non avendolo riportato.

Allo stesso tempo l’appellante non può proporre domande nuove, se nel mio ricorso ho contestato solo una
parte dell’avviso di accertamento in grado di appello non posso chiedere l’annullamento anche di quella
parte che non ho inizialmente contestato, le domande nuove sono inammissibili e non posso essere
proposte al giudice di secondo grado, il cui perimetro di conoscenza può al massimo coincidere con quello
del giudice di primo grado grado, può essere più ristretto ma mai più ampio.

Istituti deflattivi
Avevamo studiato quegli istituti utilizzabili prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, dopo
l’emissione e durante. Ci mancano il reclamo/mediazione utilizzato dopo e la conciliazione utilizzabile nel
corso del processo

Reclamo e mediazione
Norma di riferimento articolo 17 bis del defettò legislativo sul processo.
Ci dice che se la controversia e cioè se l’importo del maggior tributo richiesto con l’avviso di accertamento è
inferiore ai 50k euro, il ricorso vale come reclamo, cioè il ricorso che il contribuente confeziona per andare
a sindacare la legittimità dell’atto di fronte al giudice, nel momento in cui viene notificato all’agenzia delle
entrate vale come richiesta di reclamo.

Questa richiesta serve per consentire all’agenzia delle entrate di ripensare alla legittimità del suo atto
impositivo.

L’agenzia delle entrate che si vede notificare un ricorso reclamo, sempre se la controversia è di valore non
superiore ai 50k euro, può ripensare alla legittimità della sua pretesa e può d’accordo con il contribuente
addivenire ad una mediazione, cioè concordare con il soggetto privato la pretesa tributaria
rideterminandola rispetto a quanto indicato nell’avviso di accertamento.

Il reclamo esattamente come il ricorso di cui deve avere tutte le caratteristiche, il reclamo ha un contenuto
identico a quello del ricorso, deve pervenire all’agenzia delle entrate nel solito temine dei 60 giorni alla
notifica dell’atto impositivo.

217
Francesco Gruppelli
Questa fase non è compatibile con l’accertamento con adesione.
Se io ho ricevuto l’avviso di accertamento e ho fatto istanza di adesione e l’adesione non è andata bene, il
reclamo che notifico all’agenzia delle entrate mi consente uno spazio e un momento di confronto con
l’agenzia delle entrate per scongiurare il deposito del ricorso presso la commissione tributaria e l’inizio del
giudizio.
Il reclamo è proprio l’ultima chance che il contribuente ha prima di andare a depositare il ricorso e andare
di fronte al giudice.

In questo reclamo che ha l’esatto contenuto del ricorso, segue tutte quelle regole che mi indica l’articolo 18
del decreto legislativo 546 del 92, il contribuente può formulare una proposta di mediazione.
Per questo si chiama reclamo/mediazione, perché c’è la possibilità di indicare all’agenzia delle entrate qual
è la sua proposta per evitare di andare di fronte al giudice.
La presentazione del reclamo esattamente come l’istanza di adesione apre una parentesi di 90 giorni nei
quali il contribuente non può andare a depositare il suo ricorso di fronte al giudice, quindi il ricorso non è
procedibile prima della scadenza dei 90 giorni.
In questi 90 giorni contribuente e amministrazione non raggiungono un accordo, il reclamo, lo stesso atto
che il contribuente ha notificato all’agenzia delle entrare, lo andrà a depositare davanti al giudice tributario
competente e quindi è per questo che il reclamo deve già avere tutti i requisiti necessari per valere come
ricorso.
Se non ha questi requisiti il ricorso sarà giudicato come inammissibile e quindi latto impugnato diventerà
definitivo, non più utilmente aggredibile da parte del contribuente.

La proposta di mediazione può avvenire indifferentemente dal contribuente, e la può prenotare anche nel
suo ricorso reclamo, o dall’ufficio, perché ad esempio la questione controversa è molto incerta perché la
pretesa essendo di importo limitato comporterebbe un dispendio di energie nella fase processuale
assolutamente evitabile e quindi anche in nome di un principio di economicità dell’azione amministrativa
potrebbe convenire agli uffici accontentarsi della rideterminazione a favore del contribuente della pretesa
tributaria evitando così di andare a discutere di fronte al giudice.

La mediazione si perfezione con il versamento entro 20 giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo della
somme dovute o della prima rata.
Una volta che contribuente e amministrazione hanno individuato l’importo dovuto firmano un accordo e il
perfezionamento della procedura avviene nel momento in cui il contribuente dopo aver firmato procede
effettivamente a versare le somme dovute o la prima rata nel caso sia stata chiesta la dilazione del
pagamento.

Il contribuente dovrebbe avere interesse a mediare una controversia perché non solo il giudizio tributario è
un giudizio, come tutti, aleatorio quindi un giudizio il cui esito non è preventivabile da nessuna delle due
parti, ma anche perché oltre a godere della pretesa concordata con l’agenzia delle entrate le sanzioni
vengon automaticamente, per effetto di legge, ridotte al 35% del mimino edittale (determinato dalla legge).
In più se per quella controversia è iniziato un processo penale, quindi se il rilievo attraverso il quale
l’agenzia delle entrate indica come evasore il contribuente, il fatto che la pretesa tributaria sian oggetto di
mediazione comporta l’estinzione del processo penale se il debito tirbutario risulta completamento e
integralmente assolto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado davanti al
giudice penale.

Il reclamo è l’ultima possibilità che il contribuente ha prima di dover andare a depositare il ricorso davanti
alle commissione tributarie.

Durante il processo l’ultimo istitutivo deflattivo è quello della conciliazione, disciplinato dagli articoli 48 e
successivi del decreto sul processo.

218
Francesco Gruppelli
La conciliazione è quell’istituto attraverso il quale è possibile definire in via parziale o totale la controversia
che pende davanti al giudice, quindi il contribuente ha già notificato il suo ricorso, l’ha già depositato presso
la commissione, la commissione è chiamata a decidere.
La possibilità di conciliare è oggi prevista non solo pendente il primo grado di giudizio ma anche nella fase
di appello. Anche a seguito del ricorso per cassazione.

È possibile chiedere la conciliazione non oltre la prima udienza, prima udienza che è anche l’unica.
L’udienza di trattazione prevista dell’articolo 32 è l’unica udienza in cui le parti si trovano davanti al giudice
per discutere della legittimità delle rispettive ragioni.
Prima di questa udienza il contribuente può presentare quindi un istanza di conciliazione, la può anche
presentare anche qualora si sia esperito il procedimento del reclamo mediazione, anche per le controversie
di importo limitato che già hanno beneficiato di quella parentesi di 90 giorni per mediare la lite, anche
rispetto a queste controversie il contribuente può presentare istanza di conciliazione.
La conciliazione può essere sia fuori udienza che in udienza.
La prima viene realizzata con il deposito di un istanza congiunta attraverso la quale contribuente e ufficio
rappresentano al giudice il fatto che hanno trovato un accordo, i due litiganti dicono al giudice di non
pronunciarsi perché siamo riusciti a trovare un accordo.
Questa istanza deve essere depositata prima dell’udienza di trattazione perché subito dopo la discussione
davanti al giudice il giudice e i tre membri della commissione tributaria si riuniscono in camera di consiglio
ed emettono la loro sentenza.

Questa istanza deve contenere non solo tutti gli elementi identificativi sei soggetti e della causa ma
soprattutto la liquidazione delle somme dovute in base alla conciliazione, come l’accordo per adesione e la
mediazione, così la conciliazione perfezionata fuori udienza deve contenere l’importo sul quale agenzia
delle entrate e contribuente concordano.
L’istanza deve anche contenere l’accettazione incondizionata del contribuente di tutto gli elementi della
proposta e delle somme liquidate.
È un accordo attraverso il quale il contribuente si impegna a dare seguito a quanto concordato con l’agenzia
delle entrate.

A differenza della mediazione e dell’adesione la conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione


dell’accordo e non con il versamento della somma o della prima rata della somma concordata.

Se il giudice, valutata l’istanza di conciliazione raggiunta fuori udienza, ritiene che sussistano tutte le
condizioni dal punto di vista formale dichiara la cessazione della materia del contendere, il giudice
pronuncia un particolare provvedimento attraverso il quale dice che le parti hanno raggiunto un accordo e
non c’è più un oggetto litigioso e la materia non è più oggetto di sindacato da parte del giudice.

La cessata materia può anche essere solo parziale, se la conciliazione riguarda solo alcuni rilievi dell’atto
impositivo nulla esclude che la causa proceda rispetto a ciò che non è oggetto di accordo.

Anche per la conciliazione è previsto che nei successivi 20 giorni dalla sottoscrizione il contribuente proceda
al versamento integrale o della prima rata. Il versamento non è il momento perfezionativo di questa
procedura.
La conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell’accordo.

Diversa dalla conciliazione fuori udienza è la conciliazione che si perfeziona in udienza.


In udienza può accadere che contribuente o agenzia delle entrate presentino al giudice una richiesta in base
alla quale il giudice in qualche modo essendo soggetto terzo tra i due litiganti proceda ad un tentativo di
conciliazione della causa.

219
Francesco Gruppelli
Questa istanza ci dice l’articolo 48 bis del decreto sul processo deve essere depositata entro il temine
previsto per il deposito delle memorie illustrative, quindi nei 10 giorni liberi prima della data di udienza
della trattazione.

Il giudice chiaramente sente le parti in giudizio, cerca di trovare una mediazione tra le rispettive ragioni ed è
per questo che all’istanza di conciliazione segue un udienza di trattazione e il giudice può disporre un rinvio
dell’udienza per consentire alle parti di valutare le rispettive posizioni e quindi in questo caso ci può essere
non solo un udienza di trattazione ma ce ne possono essere varie, proprio perché è interesse di tutti che i
due litiganti cessino l’alea del giudizio trovando un accordo sempre davanti al giudice, se l’accordo si trova il
giudice redige un processo verbale nel quale come l’istanza della conciliazione presentata fuori udienza
indica tutti quegli elementi dell’accordo raggiunto tra le parti e in particolare l’importo viene determinato
l’importo che il contribuente si obbliga a pagare.

Una volta perfezionato questo verbale anche in questo caso il giudice pronuncia la cessata materia del
contendere.

Il contribuente dovrebbe avere interesse a definire la controversia attraverso la conciliazione perché si


elimina l’alea del giudizio, quindi se io concilio io non solo faccio cessare il rischio di un esito per me
totalmente negativo ma beneficio della riduzione prevista dal legislatore delle sanzioni, riduzione che è pari
al 40% del minimo edittale se la conciliazione avviene nel corso del primo grado, sale al 50% la riduzione
delle sanzioni se l’accordo interviene nel corso del secondo grado di giudizio.
Anche in questo caso c’è un effetto penale che ovviamente può essere oggetto di interesse per il
contribuente.

Processo tributario, a partire dal 1 luglio 2019, è un processo telematico, ovvero è fatto obbligo di inoltrare
e depositare e notificare i propri atti in via telematica.

Lezione 29.1

Sanzioni amministrative tributarie


Istituto che prevede una tipologia di norme tributarie che finora non abbiamo incontrato, finora abbiamo
sempre parlato di norme impositive, cioè che a fronte del comportamento del contribuente abbinano un
determinato onere fiscale/carico impositivo.
Le norme impositive non prevedono obblighi o divieti, dicono semplicemente che se realizzi un
determinato comportamento questo è il trattamento tributario che ti verrà accordato.

Seconda categoria di norme che abbiamo incontrato sono le norme che impongono dei veri e propri
obblighi al contribuente, obblighi soprattutto di natura conservativa, dichiarativa e di versamento.
Infatti esistono delle norme che obbligano determinati soggetti a tenere la documentazione rilevante ai fini
fiscali.

220
Francesco Gruppelli
Poi ci sono obblighi che riguardano quasi la totalità dei contribuenti e sono gli obblighi dichiarativi, quindi la
dichiarazione dei redditi.

Infine ci sono degli obblighi di versamento, infatti tutta la riscossione è basata sul principio di
autoliquidazione del tributo, quindi non sono io dichiaro il reddito che ho prodotto ma mi calcolo anche
l’imposta sul reddito che grava su quel presupposto di imposta e la verso spontaneamente all’erario.

Rispetto a queste due tipologie di norme, impositive e quelle che impongono un obbligo, dobbiamo
affrontare un terzo tipo di norme, le quali dicono che se non adempi a quell’obbligo sarai soggetto ad una
determinata sanziona.
Esse tipizzano una fattispecie, indicano qual è il comportamento da non tenere per rispettare i principi
dell’ordinamento italiano.
L’importanza di queste norme è legato al fatto che non esiste un comportamento che di per se è illecito, un
comportamento è illecito se e solo c’è una norma di legge che identifica quel comportamento come non
ammesso nel sistema.
Questo tipo di norme oltre a tipizzare la condotta del trasgressore, che non segue le norme e principi di
diritto, individuano una sanzione.
Sanzione può essere amministrativa, se inflitta da una pubblica amministrazione, oppure penale, nel caso
degli illeciti più gravi.

Se un medesimo comportamento attrae sia la fattispecie sanzionatoria amministrativa che penale, a quale
delle due dobbiamo dare applicazione ? O dobbiamo applicarle tutte e due ?
Nel nostro sistema vige un principio di unicità della sanzione, ci dice che quando uno stesso fatto è punito
sia con una sanzione penale che sanzione amministrativa noi dobbiamo dare applicazione solo alla sanzione
che presenta i caratteri più speciali.

Come si fa a stabilire qual è la sanzione speciale tra le due ?


Questo è un problema molto importante e difficile da affrontare, generalmente possiamo dire che tra le
due fattispecie noi dobbiamo sempre individuare qual è la norma speciale come distinta dalla norma
generale.
La norma generale è quella norma che presenta un minor numero di elementi caratterizzanti rispetto alla
fattispecie speciale.
Fattispecie speciale ha sempre qualche elemento caratterizzante in più che non troviamo nella norma
generale.
Quindi chi viola la norma speciale viola contemporaneamente anche la norma generale.

Generalmente se e quando confrontiamo le fattispecie penali e amministrative, le norme penali sono


sempre norme speciali rispetto a quelle amministrative, perché sono sempre caratterizzate dalla presenza
di un elemento soggettivo, infatti prevedono una caratterizzazione della condotta punita che passa
attraverso l’individuazione di un elemento oggettivo, che descrive il comportamento compiuto dal
trasgressore, e anche un elemento soggettivo, sotto forma di dolo o colpa.
Quindi la norma penale presenta sempre una caratterizzazione di quella che è l’intenzionalità e volontà e
caratteri che determinano la condotta del trasgressore e in virtù di tale presenta di elemento soggettivo
possiamo dire che la fattispecie penale è sempre più specifica di quella amministrativa.

Un importante eccezione rispetto a questa regola riguarda gli illeciti societari, perché il principio di società
non opera per gli illeciti commessi in ambito societario.
Quando per la fattispecie sanzionatoria amministrativa un soggetto persona fisica che commette l’illecito
nell’ambito dei redditi di impresa è solidalmente responsabile con la persona giuridica per la quale ha

221
Francesco Gruppelli
commesso l’illecito, l’obbligazione pecuniaria che grava sulla società si cumula con la sanzione penale che
viene irrogata alla persona fisica.

Se la condotta punibile è una condotta ad esempio commessa dall’amministratore di società nell’ambito


delle sue funzioni per generare un risparmio di imposta per la persona giuridica, quindi l’amministratore
che falsa la dichiarazione dei redditi ecc la sanzione amministrativa irrogata alla persona giuridica si cumula
con la sanzione penale eventualmente irrogabile nei confronti della persona fisica.

Questo significa che il principio di specialità impedisce che in relazione al medesimo fatto, alla medesima
condotta la sanzione amministrativa e quella penale non possono essere inflitte nei confronti del medesimo
soggetto, il principio di specialità ci dice che a fronte di uno stesso fatto quel medesimo soggetto non può
essere assoggettato a due sanzioni.
Ma il principio di specialità non impedisce che a fronte del medesimo fatto vengano applicate sanzioni
diverse a soggetti diversi.

Con riferimento ai rapporti tra penale e amministrativo dobbiamo dire che nell’ambito processuale,
processo penale e tributario sono processi che viaggiano in modo indipendente e autonomo.
Vuol dire che se presso un giudice tributario pende il ricorso di un contribuente che ad esempio contesta
l’avviso di accertamento attraverso il quale l’amministrazione gli contesta una frode e se per quel
medesimo fatto è iniziato un processo penale, quindi il pubblico ministero ha formulato la sua
contestazione e ha avviato e chiamato in giudizio come imputato quel contribuente, i due processi possono
procedere nel modo autonomo, non è necessario che il giudice tributario sospenda il suo giudizio in attesa
dell’esito del giudice penale, ne viceversa.
Giudice penale a amministrativo hanno due giurisdizioni e ambiti conoscitivi diversi.
Questo può portare anche ad esiti diversi, anche in ragione delle diverse norme che regolano l’istruzione
probatoria, la prova testimoniale è ammessa nel processo penale ma esclusa nel processo tributario.
Io posso essere assolto in ambito penale ma non in ambito tributario, o viceversa.

Il fatto che non ci sia pregiudizialità tra il processo penale e il processo amministrativo ci spiega la regola
dell’articolo 10 del decreto legislativo 70 del 2000 che riguarda le fattispecie penale.
Questa norma ci dice che la sanzione penale esclude la sanzione amministrativa in virtù del principio di
specialità, ma pur quando pende un processo penale la cui conclusione potrebbe portare ad una sanzione
penale e quindi venire meno alla sanzione amministrativa l’articolo 10 del decreto legislativo 74 del 2000 ci
dice che l’ufficio dell’agenzia delle entrate irroga comunque le sanzioni amministrative relative alle
violazione tributarie che ha scoperto e che poi sono state fatte oggetto di notizia di reato nel processo
penale.
Quindi anche se in virtù del principio di specialità sarà applicabile solo la sanzione penale, ad esito del
processo negativo per il contribuente in ambito penale e anche se non c’è pregiudizialità tra i due processi,
l’ufficio dell’agenzia delle entrate irroga comunque la sanzione amministrativa.

Agenzia delle entrate quindi deve fare riferimento a due importanti decreti legislativi che riguardano le
sanzioni amministrative che sono i decreti legislativi 471 e 472 del 97.
Questi provvedimenti normativi ci dicono in che cosa consistono i comportamenti del contribuente che
possono essere oggetto di una sanzione irrogata dall’agenzia delle entrate e sono due provvedimenti
normativi che sono stati nel tempo oggetto di importanti cambiamenti dal punto di vista della ratio, della
logica ispiratrice di queste norme, perché i principi generali indicati in questi due provvedimenti normativi
si ispirano ai reati, cioè i principi che regolano le sanzioni amministrative sono fatti e modellati nel corso del
tempo sulla falsa riga delle sanzioni penali.
Il concetto di reato indica illecito esclusivamente di rilevanza penale.
La condotta che è rilevante dal punto di vista esclusivamente amministrativo, sono state informate ai
principi che regolano i reati.

222
Francesco Gruppelli
Questi principi sono i principi che ci vengono fissati dal decreto legislativo 472 del 97 e sono i principi di
personalità, legalità, favor rei, imputabilità e colpevolezza.

Principio personalistico
Noi troviamo codificato all’articolo 2 del decreto legislativo 472 del 97.
Questo principio personalistico è un principio molto importante perché ci dice che le sanzioni
amministrative tributarie non sono più informate ad un modello di pena intesa come risarcimento del
danno causato o cagionato dal trasgressore, ma le sanzioni amministrative tributarie esattamente come
quelle penali sono informate ad un modello personalistico.
Con modello risarcitorio si intende la natura della pena e della sanzione quale risarcimento del danno
cagionato dal trasgressore, ma se noi accogliamo questo tipo di modello arriviamo alla conclusione che
destinatari della sanzione con funzione risarcitoria possono essere anche le persone giuridiche e non solo
quelle fisiche.
Arriviamo a dire anche che nel caso di pluralità di trasgressori tutti i trasgressori rispondono in solido della
sanzione, se la sanzione ha una funzione meramente risarcitoria, anche quella obbligazione di pagamento
cui si concreta la sanzione diventa divisibile e imputabile in solido a tutti i trasgressori.
Se il trasgressore muore e la sanzione ha funzione risarcitoria nulla impedisce che l’obbligo di pagare la
sanzione passi in capo agli eredi.

Se caratterizziamo cosi la sanzione non dobbiamo ascrivere nessuna rilevanza all’elemento soggettivo, che il
trasgressore abbia compiuta la violazione con dolo o con colpa non ci interessa perché se ha cagionato un
danno sarà chiamato a rispondere della sanzione per ristorare quel danno.
La sanzione nel modello risarcitorio è sempre commisurata al danno recato e quindi generalmente al
tributo evaso.

Oggi questo modello è superato è proprio il principio di personalità che troviamo codificato all’articolo 2 del
nostro decreto legislativo 472 ci dice che la sanzione amministrativa tributaria, esattamente come quella
penale, ha natura afflittiva, ovvero che la sanzione viene comminata non solo per ristorare il danno ma per
infliggere un surplus di pena e afflizione al trasgressore anche in ottica di prevenzione generale.
Perché se io so che un determinato comportamento è vietato dalla legge e soggetto ad una sanzione, io
sarò motivato ovviamente a non porre in essere quel tipo di comportamento, quindi la sanzione irrogata al
trasgressore non ha la mera funzione di ripianare e ripagare il danno ma anche una funzione di prevenzione
genere e quindi di indicare a tutta la platea dei contribuenti che quel tipo di comportamento non è tollerato
dall’ordinamento.

Secondo il modello personalistico la sanzione quindi deve punire il trasgressore, e questo significa che
oggetto di sanzione potrà essere solo quel soggetto che ha trasgredito a quel comportamento o obbligo
fiscale con dolo o con colpa.

Nel caso di concorso di autori nell’illecito la responsabilità non è solidale, ciascuno risplende del proprio
comportamento, la sanzione è personale, che colpisce unicamente il soggetto trasgressore in relazione alle
caratteristiche della sua condotta e al suo elemento soggettivo, significa anche che non potendo attribuire
ad una persona giuridica l’elemento soggettivo, gli enti collettivi non sono soggetti imputabili di sanzione,
non possono essere destinatari di una sanzione ma la sanzione la possiamo irrogare solo alle persone
fisiche che agiscono per conto dell’ente collettivo.

Altro corollario è che la sanzione non si trasmette agli eredi, proprio perché noi andiamo a punire il
comportamento del trasgressore non possiamo far ricadere la responsabilità di quel comportamento in
capo all’erede, il quale erediterà i debiti tributari del decuius ma non erediterà le sanzioni che sono state
irrogate al soggetto.

223
Francesco Gruppelli
Questo tipo di modello personalistico è il modello prevalente nel nostro sistema, tuttavia nel corso del 2003
è intervenuta una ulteriore modifica normativa che ci porta a dire che attualmente il nostro modello delle
sanzioni tributarie amministrative è un modello che prevede due tipi di situazioni:
Una situazione che si applica alle società ed enti con personalità giuridica, e questa situazione è stata
caratterizzata dalla novella normativa recata dell’articolo 7 del decreto legislativo 269 del 2003 e all’altra
situazione che si applica a tutti gli altri soggetti.
Quindi il modello personalistico generalmente applicabile a tutti i soggetti trova una specifica deroga, una
versione alternativa al modello personalistico con riferimento alle società ed enti con personalità giuridica a
partire dal 2003.

Vediamo nel dettaglio questa situazione e focalizziamoci sulla condotta degli amministratori nelle società.
Articolo 11 del decreto legislativo 472 del 97 ci dice che se l’autore ha agito nell’interesse di una persona
fisica, di una società, associazione o ente in cui è dipendente, rappresentate o amministratore, la persona
fisica ecc sono obbligati in solido al pagamento di una soma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di
regresso.
Il principio personalistico che abbiamo visto nell’articolo 2 e che trova un complemento nell’articolo 11 ci
dice che l’amministratore nel momento in cui agisce nell’interesse della persona giuridica è responsabile
della sanzione ma in solido viene considerato responsabile al pagamento di quella sanzione anche la
persona giuridica per la quale quel soggetto ha agito, salvo il diritto di regresso.
Quindi la persona giuridica si può rivalere nei confronti dell’autore concreto della trasgressione e questo ci
salva il principio personalistico perche alla fine la sanzione resta o dovrebbe restare a carico esclusivamente
del soggetto che effettivamente ha compiuto illecito, quindi l’autore è responsabile della sanzione
amministrativa, obbligato in solido è anche lente per il quale l’autore ha agito salvo il diritto dell’ente di
rivalersi in via di regresso nei confronti dell’autore dell’illecito che resta il soggetto inciso dalla sanzione e
resta rispettato il principio personalistico.

Nel caso però in cui la violazione sia stata commessa senza dolo o colpa grave, quindi senza un
intenzionalità diretta e nel caso in cui l’autore non ne abbia tratto vantaggio da quella violazione, quindi
l’amministrazione ha agito non per un suo vantaggio personale ma per ridurre l’imposizione gravante sulla
persona giuridica e la violazione sia di misura limitata perché non deve eccedere i 50k euro, l’articolo 5
comma 2 ci dice che l’autore non è sanzionabile. Devono per forza sussistere questi 3 requisiti.

Con l’articolo 7 del decreto legge 269 del 2003 è stata ridimensionata la portata del principio personalistico.
Ci dice che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di societa o enti con personalità
giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica.
Se il principio personalistico ci dice che è sanzionabile esclusivamente la persona fisica, quando parliamo di
società o enti con personalità giuridica l’unica sanzione che possiamo trovare è quella nei confronti della
persona giuridica.

Oggi il modello sanzionatorio prevede due situazione, una prima si applica alle società ed enti con
personalità giuridica che vedono come unico destinatario della sanzione l’ente collettivo, per tutti gli altri
casi rintrona applicabile il principio personalistico e quindi imputabile e sanzionabile sarà la persona fisica
che concretamente ha commesso l’illecito.

Principio di favor rei


Codificato all’articolo 3 del nostro decreto legislativo 472 del 1997. Un articolo che fissa il principio di
legalità e il principio del favor rei.
Comma 1 dell’articolo 3 infatti recita che nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una
legge entrata in vigore prima della commissione della violazione ed esclusivamente nei casi considerati
dalla legge.
Questa disposizione contiene in realtà vari corollari che dobbiamo tenere distinti.

224
Francesco Gruppelli
Il primo sub-principio ci dice che solo la legge può comminare una sanzione perché il legislatore all’articolo
3 comma 1 ha utilizzato l’espressione in forza, nessuno può essere punito se non in forza di una legge.

Ha utilizzato lo stesso inciso che leggiamo all’articolo 25 della costituzione.


Viceversa a proposito dell’articolo 23 della costituzione, se utilizziamo l’espressione in base alla legge,
questo ci porta a qualificare quel tipo di riserva come una riserva relativa di legge perché l’espressione in
base ci indica che è sufficiente che essenzialità di quegli elementi caratterizzanti la fattispecie venga
precisato dal legislatore, tutto il resto può essere precisato da parte delle fonti di rango secondario.

Il primo comma dell’articolo 3 ci dice che questa legge deve essere entrata in vigore prima della
commissione della violazione, quindi c’è un divieto di retroattività della norma sanzionatoria, io non posso
essere punito oggi sulla base di una norma sanzionatoria entrata in vigore oggi per un comportamento che
ho commesso ieri, non è possibile la retroattività della norma sanzionatoria.

Ulteriore corollario che troviamo nel comma 1 dell’articolo 3 è che la legge deve prevedere tanto il fatto
che la sanzione.
La fattispecie sanzionatoria deve essere non solo precisata nei suoi contorni, ma deve essere abbinato
anche il carico sanzionatorio.
Questo ci dice che non possiamo applicare l’analogia, quel procedimento di interpretazione estensiva che
abbiamo visto anche per le norme impositive, agevolative.
La fattispecie sanzionatoria non può essere oggetto di interpretazione analogica, quindi non posso essere
punito se il mio comportamento non rientra esattamente nella fattispecie tipizzata dal legislatore.

Ulteriori principi importanti che rinveniamo dalla lettura dell’articolo 3 riguardano in particolari i commi 2 e
3 di questa disposizione, commi che fissano il principio del favor rei.
In particolari il secondo comma ci dice che se la sanzione è stata già erogata con provvedimento definitivo il
debito tirbutario si estingue ma non è ammessa la ripetizione dell’indebito nel caso in cui sia avvenuta la
cosiddetta abrogatio criminis.
Questa disposizione ci dice che se un comportamento il giorno 1 è previsto come illecito e successivamente
in virtù di una legge successiva quella fattispecie sanzionatoria è stata abolita, ovviamente il la sanzione
irrogata che ha previsto un determinato debito tirbutario verra posta nel nulla e quindi il debito residuo si
estinguerà.
Ma se nel frattempo il trasgressore ha già adempiuto al pagamento della sanzione non più applicabile in
forza dell’abrogatio criminis non è ammessa la ripetizione dell’indebito.

Il comma 3 dell’articolo 3 ci dice che se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione
e le leggi posteriori stabiliscono delle sanzioni di entità diversa si deve applicare la legge più favorevole al
reo, salvo che il provvedimento di erogazione sia divenuto definitivo.
Questa diversa norma identifica una situazione diversa dell’abrogatio criminis, una situazione che prevede
che la norma successiva non abbia abrogato la norma sanzionatoria precedente ma abbia mitigato il
trattamento sanzionatorio, quindi la legge più recente non ha tolto la fattispecie sanzionatoria dal mondo
giuridico ma semplicemente previsto una sanzione di importo più favorevole.
Ancorché il mio comportamento sia stato commesso nella vigenza della norma più antica, quella che aveva
il carico sanzionatorio più elevato, per il principio di favor rei, l’agenzia delle entrate mi dovrà irrogare la
sanzione a me più favorevole.
Con l’unica eccezione legata al fatto che il provvedimento sanzionatorio, atto attraverso il quale la pubblica
amministrazione irroga nei mei confronti la sanzione, sia divenuto definitivo.
Il concetto di definitiva è esattamente simile a quello che abbiamo visto per l’avviso di accertamento.

Principi di imputabilità e colpevolezza


Imputabilità è data dalla capacità di intendere e di volere, posso essere assoggettabile ad una sanzione solo
se sono un soggetto capace di intendere e di volere, sa la mia capacità è diminuita da condizione

225
Francesco Gruppelli
personalità che possono aver influenzato sulla mia capacità di autodeterminarmi nel mondo, chiaramente
non potrò essere imputabile e nessuna sanzione mi potrà essere irrogata.

Con colpevolezza intendiamo invece l’elemento soggettivo tipico dei reati.


Gli illeciti amministrativi tributari hanno una disciplina identica a quella che riscontriamo nella
contravvenzioni.

Ai fini cioè della addebitabilità della sanzione, ai fini della imputabilità del comportamento considerato
come negativo dall’ordinamento è necessario che ricorra nel soggetto agente l’elemento soggetti o del dolo
o della colpa.
Il concetto di dolo o colpa è un concetto che mutuiamo dal diritto penale, con dolo quindi dobbiamo
intendere il comportamento del soggetto la cui intenzionalità guida il suo agire.
C’è dolo quando la violazione è voluta e preveduta come una conseguenza della propria azione a e propria
omissione.
Rappresenta l’esito della mia condotta o della mia omissione, io voglio e prevedo ciò che scaturirà dalla mia
condotta o dalla mia omissione.
Ricorre la nozione di colpa quando l’evento anche è preveduto dal soggetto non è voluto, quindi io mi
rappresento il fatto che se compio o non compio una determinata azione potrà succedere l’evento doloso
tipizzato nella norma sanzionatoria, ma non ho inteso agire per raggiungere quel determinato effetto e
quindi il concetto di colpa lo riscontriamo nei casi di negligenza, imprudenza e imperizia.

Le norme rilevanti rispetto a questi principi sono le norme dettate dagli articoli 4 e 5 del nostro decreto
legislativo 472 del 97, norme che ci dicono che non può essere assoggettato a sanzione chi nel momento in
cui ha commesso il fatto non aveva sulla base dei criteri indicati nel codice penale la capacità di intendere e
di volere, non è cioè un soggetto imputabile e non ricorrono i criteri di colpevolezza.
La violazione è punibile solo se dolosa o colposa e se non è identificabile un elemento soggettivo in questi
termini il soggetto non è assoggettabile a sanzione.

Lezione 29.2

Ci sono dei casi in cui nonostante ricordano i presupposti per la punibilità il soggetto vada esente da
sanzione, sono infatti state tipizzate nell’ambito del decreto legislativo 472 del 97 5 cause di non punibilità.
Queste cause sono antiintuibili e sono cause che scusano il comportamento del trasgressore e rendono non
applicabile la sanzione

Errore di fatto
Se nel momento in cui ho dichiarato la superficie del mio immobile assoggettabile a rendita fondiaria e IMU
ho calcolato male i mq ho commesso un errore di fatto e questo tipo di errore rende scusabile la mia
violazione e quindi non sanzionabile.

Ignoranza inevitabile
L’errore di diritto che deriva da una ignoranza che non si poteva evitare della legge tributaria consente di
ritenere non punibile chi ha commesso l’illecito per errore in quanto appunto ignorava la legge tributaria.
Qui la norma è rigorosa nel richiedere l’inevitabilità dell’ignoranza, questo perché il principio generale è
ignoranza legis non escusa, non possiamo sottrarci agli obblighi anche di quelli fiscali adducendo il fatto che
noi non conoscevamo le norme tributarie.
L’ignoranza che consente di sfuggire alla sanzione è solo quella inevitabile, cioè che non poteva essere
evitata adottando tutti i canali di informazione che oggi il contribuente ha a disposizione.

226
Francesco Gruppelli
Solo quella situazione che inficia talmente tanto la percezione conoscitiva del contribuente determina la
scusabilità del suo comportamento trasgressivo rispetto agli obblighi imposti dalla legge fiscale.
Fondata sul dato soggettivo del trasgressore.

Obbiettive condizioni di incertezza


Dato oggettivo, incerta portata della legge tributaria, questo perché ci dice l’articolo 6 non sono punibili le
violazione determinate da obbiettive condizioni di incertezza sulla portata delle norme fiscali, quindi se la
legge tributaria è talmente complessa da rendere incerto il contenuto dell’obbligo imposto dal legislatore e
quindi c’è il dato obbiettivo del fatto che il contribuente non sa come comportarsi.
Questa è un esimente molto eccepita dai contribuenti nei loro ricorsi, abbiamo visto ieri il modo in cui il
contribuente può strutturare il suo ricorso e abbiamo detto che oltre a chiedere in via principale
l’annullamento in tutto o in parte dell’avviso di accertamento in via subordinata può chiedere che almeno
le sanzioni vengano annullate.
Una causa di annullamento delle sanzioni può essere proprio questa.

Forza maggiore
La sede amministrativa dove conservavo le mie scritture contabili è andata in fiamme non doloso o
comunque non addebitabile al contribuente, quindi non mi sanzionare quando mi accerti che non ho
rispettato l’obbligo dichiarativo perché per forza maggiore non ho potuto adempiere a quel tipo di obbligo.
La forza maggiore quindi essendo prevista come causa di non punibilità scusa il trasgressore ed impedisce
l’irrogazione della sanzione, abbiamo però visto come la forza maggiore non impedisce all’amministrazione
finanziaria di effettuare un accertamento di tipo sintetico nei confronti del soggetto che appunto perde la
propria contabilità.

Imputabilità ad un terzo del mancato pagamento del tributo


Il contribuente può dimostrare che il tributo non è stato assolto per un fatto denunciato all’autorità
giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi.
Ho dato delega al mio commercialista di versare irpef ma egli non l’ha fatto, il contribuente deve
denunciare il fatto alla autorità giudiziaria e in questo modo si applicherà la norma che impedisce l’addebito
della sanzione nei confronti del contribuente.

Oltre a queste 5 cause di non punibilità previste nell’ambito del decreto legislativo dobbiamo ricordare le
ulteriori esimenti che troviamo nello statuto dei diritti del contribuente. Infatti ci sono due ulteriori cause di
non punibilità:

Prima: Esclude la sanzionabilità delle sanzioni meramente formali, le violazioni che non incidono sul debito
di imposta, io ho emesso delle fatture, in queste fatture ho scritto male il mio codice fiscale, ho commesso
sicuramente una violazione perché non ho indicato correttamente il mio codice fiscale ma una violazione
meramente formale perché non incide sul mio debito tributario.

Seconda: indicata al comma 2 dell’articolo 10 dello statuto, disposizione che abbiamo già approfondito nel
momento in cui abbiamo parlato delle circolari dell’agenzia delle entrate.
Esse sono delle mere norme di condotta, non rientrano nelle fonti del diritto tributario, perché l’unica fonte
resta la legge e delle eventuali fonti secondarie per gli aspetti non essenziali del tributo. L’interpretazione
data dall’agenzia delle entrate è però importante, perché è il soggetto deputato al controllo della posizione
fiscale del contribuente, quindi l’agenzia delle entrate attraverso emanazione delle norme di condotta che
gli uffici centrali dell’agenzia delle entrate rivolgono agli uffici periferici possono essere utilizzate dal
contribuente per interpretare i dati normativi particolarmente oscuri o ambigui.
Sulla base dell’articolo 10 comma 2 dello statuto se il contribuente si è adeguato all interpretazione recata
in una circolare dell’agenzia delle entrate, le circolari sono disponibili sul sito dell’agenzia delle entrare e
quindi chiunque può leggere tutte le interpretazione che l’agenzia ha dato sulle norme fiscali.

227
Francesco Gruppelli
Se io mi conformo al comportamento indicato all’agenzia delle entrate nulla esclude che discostandosi dalla
sua interpretazione mi notifichi un avviso di accertamento attraverso il quale nomi richiede un maggior
tributo.
La giusta imposizione è sempre quella che noi troviamo nella legge, è solo il legislatore che dice qual è il
giusto tributo da versare. L’agenzia delle entrate può sbagliare nell’interpretazione.
In questa situazione però il contribuente non può essere assoggettato a sanzioni, gli possono chiedere solo
il maggiore tributo.

Regime sanzionatorio tributario


Quando è punita una persona fisica, l’obbligo di corrispondere una sanzione viene posto a carico anche del
contribuente che ne ha beneficiato se questo contribuente è diverso dal trasgressore.
Il soggetto che ha beneficiato della trasgressione è infatti chiamato a titolo di garanzia a rispondere della
sanzione addebitata all’autore dell’illecito, ma con diritto di regresso verso l’autore materiale.

Articolo 11 in applicazione del principio personalistico ci dice che è punito esclusivamente l’autore del
l’illecito, adesso aggiramento a questo principio la responsabilità come garante del soggetto che ha
beneficiato dell’illecito commesso dall’autore della trasgressione.
Se siamo di fronte alla situazione tale per cui c’è un trasgressore e c’è un soggetto diverso che beneficia di
quella trasgressione, l’autore dell’illecito è chiamato a risplendere della sanzione e a titolo di garanzia per il
pagamento di quella sanzione è chiamato chi ha beneficiato dell’illecito.

228
Francesco Gruppelli
Quest’ultimo soggetto ha diritto di regresso nei confronti dell’autore materiale se viene pagata la sanzione.
Questo ci permette di ritenere non contraddetto, almeno dal punto di vista formale, il principio
personalistico.

In virtù del principio personalistico, come già detto nel momento in cui abbiamo tratteggiato il modello, la
morte della persona fisica che ha commesso la trasgressione estingue illecito e la sanzione se è già stata
erogata non è più applicabile.
Questo però non fa cessare la responsabilità del garante, nell’ipotesi in cui trasgressore e soggetto
beneficiario della trasgressione, se muore il trasgressore e la sanzione ad egli addebitabile non si trasmette
agli eredi ma resta in piedi la responsabilità del garante, che può quindi ricevere un addebito sanzionatorio
a titolo di garanzia ancorché l’autore dell’illecito sia deceduto.

Oltre a questo caso il nostro ordinamento prevede che vi sia una responsabilità solidale da parte dei
soggetti diversi dell’autore dell’illecito, questo tipo di solidarietà nella sanzione si ha quando la violazione
incide sulla determinazione dell’obbligazione o sul pagamento del tributo, ed è connessa come abbiamo
visto allorquando vi sia un determinato rapporto giuridicamente precisato tra l’autore della violazione e il
soggetto nei confronti del quale quella violazione è stato commesso.
Il rappresentate legale e l’amministratore, il dipendente della società con o senza personalità giuridica che
agisce nell’esercizio delle sue funzioni.
In questi casi in cui vi sono soggetti diversi dall’autore dell’illecito e la trasgressione riguardi il pagamento
del tributo che sia stata effettuata la trasgressione nell’esercizio delle funzioni del soggetto agente, siamo di
fronte ad un ipotesi di responsabilità in solido, a fronte della responsabilità in solido noi dobbiamo
applicare tante pene quante sono i trasgressori, se più soggetti, se l’addebito è formulabile nei confronti di
più soggetti dobbiamo applicare tante pene quanti sono i trasgressori e in virtù del principio personalistico
di ciascuna sanzione risponde personalmente ciascun soggetto.

Quando è che più persone possono essere coobbligate rispetto alla medesima sanzione ?
Quando tutte realizzato congiuntamente il fatto illecito, tutte sia a livello materiale che psicologico
concorrono alla realizzazione della fattispecie sanzionatoria ma questo concorso può essere anche
esclusivamente psichico, ci può essere un soggetto che si limita a dare dei consigli per eludere o frodare o
evadere il debito tributario e poi ci può essere il soggetto che materialmente può compiere la violazione.
Questo tipo di concorso sulla base di azioni o omissioni diversi si realizza anche con l’intervento del
consulente tributario, io posso delegare un consulente tributario per farmi confezionare una dichiarazione
inesatta o un dichiarazione che ometta alcune voci di reddito, io in questo caso sarò chiamato a concorrere
alla violazione commessa al consulente tributario che concretamente redige la dichiarazione dei redditi ma
questa redazione è indotta dal concorso psichico del cliente che da suggerimenti per violare le norme
tributarie.

Questo tipo di situazione va tenuta distinta dall’ipotesi del autore mediato, ci possono essere delle
situazioni in cui l’autore materiale dell’illecito non è soggetto a sanzione.
Esso non è soggetto a sanzione nei casi in cui questo soggetto sia stato determinato a compiere la
violazione delle normativa fiscale con violenza, minaccia o perché indotto incolpevolmente in errore dal
soggetto che gli ha dato un suggerimento.

Ci può essere la situazione di un soggetto indotto senza sua colpa a commettere un illecito, io contribuente
non pago e non effettuo il bonifico perché il mio consulente tributario mi ha detto che non devo pagare o
devo pagare il prossimo mese. Io sono stato indotto senza mia colpa a commettere una violazione
tributaria.

229
Francesco Gruppelli
In questo caso nessun addebito sanzionatorio potrà essere mosso nei miei confronti perché io sono un
mero autore mediato, il mio comportamento è stato indotto senza mia colpa dal parere del professionista
che mi ha dato un parere che si è rivelato non conforme a diritto.

Una seconda ipotesi è quella come dicevo del soggetto che con violenza o minaccia viene indotto a
compierà una violazione.
Anche in questo caso l’autore non agisce sulla base di un impulso volontaristico ma la sua volontà è
condizionata dalla violenza o minaccia ingiusta che altri stanno agendo su tale soggetto.

Altra fattispecie particolare di autore mediato noi la ritroviamo nelle situazioni che caratterizzano le società
di persone, in esse noi diamo applicazione al principio di trasparenza quindi il reddito della società di
persone è imputato automaticamente ai soci indipendentemente dalla percezione di reddito e può
accedere che rispetto ad una società di persone vi sia il socio persona fisica che effettivamente
amministratore e c’è magari il fratello o socio di quella società che si disinteressa delle vicende societarie.
Questo soggetto però in virtù del principio di trasparenza deve indicare nella sua dichiarazione dei redditi la
quota parte degli utili prodotti dalla società di persone, proprio perché il reddito della società di persone
viene imputato indipendente dalla percezione, anche se il fratello che non agisce nella società e non
esercita alcun tipo di attività non percepisce nulla perché tutti gli utili vengono stornati a favore del fratello
che pera effettivamente nella società di persone, anche il fratello inerte deve indicare nella sua
dichiarazione dei redditi e liquidare la quota parte di reddito prodotto dalla società di persone.
Quindi questo fratello dovrà affidarsi a quanto gli viene indicato dal fratello che invece agisce in nome e per
conto della società di persone.
Quindi in questo caso può accadere che il fratello inerte sia in realtà un autore mediato, soggetto che non
intervenendo e non conoscendo direttamente la situazione fiscale della società non possa far altro che
appoggiarsi a quanto gli viene detto dal socio effettivamente amministratore che predispone la
dichiarazione della società e ci può essere una sotto-rappresentazione del reddito percepito dalla società di
persone e questa non può essere addebitabile al socio non amministratore perché esso si è limitato a
recepire le informazioni del fratello.

La regola in base alla quale nel caso di concorso di persone dobbiamo applicare tante pene quanti sono i
trasgressori non opera nel caso di omissione.
Nel caso in cui la fattispecie sanzionatoria colpisca non una condotta ma un omissione, tutti i soggetti sono
tenuti a compiere un determinato atto ma nessuno di questi soggetti effettivamente lo realizza, nelle
ipotesi omissive è irrogata una sola sanzione e il pagamento di quella sanzione da parte di uno dei
responsabili libera tutti gli altri.

Nel caso di concorso di persone in un illecito omissivo, a differenza dell’illecito commissivo che prevede che
vi siano vari soggetti che con un loro comportamento attivo violino la norma fiscale, l’articolo 9 ci dice che
irrogata una sola sanzione e il pagamento di uno libera tutti gli altri responsabili, si segue la regola
dell’obbligazione tributaria e della responsabilità in solido.

Se vi è solidarietà tra i trasgressori solo quando la violazione consiste nell’inadempimento di un


obbligazione solidale in questo caso l’illecito è imputato a tutti e la sanzione è determinata in modo uguale
per tutti e il pagamento eseguito da uno dei responsabili libera tutti gli altri salvo il diritto di regresso.

Tipologia delle sanzioni amministrative


Il principale tipo di sanzione amministrativa consiste nell’obbligo di pagare una somma di denaro.
La più importante è la sanzione che consiste nel pagamento di una somma di denaro esattamente come
l’obbligazione tributaria.

230
Francesco Gruppelli
Ci sono anche delle sanzioni accessorie, sono sanzioni interdittive, c’è l’interdizione dalla carica di
amministratore, sindaco e revisore di società di capitali, c’è l’Interdizione alla partecipazioni di gare
pubbliche, l’interazione dal conseguimento di licenza concessioni e autorizzazione e ci può essere nel caso
del lavoratore autonomo o imprenditore la sospensione per un massimo di 6 mesi dall’esercizio dell’attività
di lavoratore autonomo o di impresa.

Come viene parametrata questa somma di denaro ?


Essa può essere determinata in 3 modi diversi
La somma di denaro può essere determinata dall’ufficio dell’agenzia delle entrate tra il minimo e massimo
edittali, quindi la norma sanzionatoria oltre a darmi la fattispecie sanzioni torria mi indica il minimo e il
massimo entro il quale il funzionario dell’agenzia delle entrate sulla base di determinati criteri individuare
in modo analitico la sanzione che io sarò soggetto e questa individuazione dovrà tenere conto della gravità
della violazione, della personalità dell’agente, delle mie condizioni economiche sociali e così via.

Oppure la sanzione può essere pari al tributo, ad una frazione o multiplo del tributo, non c’è un minimo o
massimo ma c’è l’individuazione e precisazione che la somma dovuta a titolo di sanzione corrisponde in
tutto o in parte alla somma che il contribuente non ha assolto.

Oppure può essere fissa, quindi l’obbligazione è predeterminata dal legislatore in modo fissato e in questo
caso la sanzione non produce interessi come per tutte le altre non è trasmissibile agli eredi.

La sanzione, e i criteri ci vengono fissata all’articolo 7 del decreto legislativo 472 del 97, deve essere
personalizzata rispetto al trasgressore.
Ci deve essere un attenzione dalla parte del funzionario dell’agenzia delle entrate nel momento in cui mi
irroga la sanzione tributaria nel delineare una pena che si attagli alla mia situazione personale. Il funzionario
dovrà tenere conto di questi 4 fattori, che ritroviamo nei primi 4 commi dell’articolo:

Criterio della personalità


La sanzione deve essere parametrica alla gravità della mia trasgressione, del comportamento che io ho
posto o non ho posto in essere, si deve tenere conto della condotta, personalità, condizione economiche e
sociali e di tutti quei comportamenti che il soggetto può porre in essere anche per eliminare e attenute le
conseguenze della sua condotta. Se mi rendo conto che ho commesso un illecito tributario mi posso
attivare in modo trasparente nei confronti del fisco, ad esempio come nel ravvedimento operoso.

Recidiva
Precedenti fiscali, se tutti gli anni ho omesso la dichiarazione dei redditi questo mio comportamento
reiterato nel tempo evidentemente consente un aggravio sanzionatorio perché dimostro di un aver colto il
disiava lord insito nella sanzione tante che tutti gli anni pongo in essere il medesimo comportamento
trasgressivo.

Aggravante
Allo stesso modo se il soggetto commette violazioni ripetute che riguardano non solo la medesima norma
fiscale ma anche norma fiscale della stessa indole, quindi violazioni che per loro natura si concretizzano
negli stessi fatti, violazioni che sono determinati dagli stessi motivi che movono il contribuente o violazione
che per le loro modalità sono assolutamente similari. In tutti i questi casi quando c’è un profilo di
sostanziale identità tra le norme oggetto di violazione c’è la possibilità di comminare un aggravante e quindi
di aumentare il carico sanzionatorio nei confronti del contribuente

Attenuante in funzione del principio di proporzionalità


Per converso quando ricorrono circostanza e situazioni eccezionali che rendono manifesta la sproporzione
tra la sanzione irrogata e l’entità del tributo la sanzione può essere ridotta e il comma 7 ci dice che la
sanzione può ridotta fino alla meta del minimo.

231
Francesco Gruppelli
Questo quando sulla base di tutti i criteri che vengono parametrati e applicati dal funzionario per
personalizzare il più possibile la sanzione che non ha una fusione di ristoro e riequilibrio della situazione
prima della condotta deo trasgressore ma ha un funzione afflittiva, se applicando tutti questi criteri risulta
una somma di denaro dovuta a titolo di sanzione assolutamente sproporzionata a quello che è il debito
tributario che il contribuente non ha assolto correttamente, il comma 4 consente al funzionario di
ridimensionare la portata della sanzione e può essere ridotto fino alla meta del minimo.
Questo per proporzionata la misura afflittiva.

Lezione 30.1

Finiamo la parte relative alle sanzioni amministrative tributarie

Responsabilità del cessionario d’azienda


Articolo 14 del decreto legislativo 471 del 97, questa norma disciplina il caso particolare della cessione
d’azienda, ipotesi in cui il soggetto cede la titolarità della propria azienda, cessione che genera una
plusvalenza tassabile.

La preoccupazione che muove il legislatore è che a seguito della cessione di azienda i debiti tributari del
cedente non vengano assolti ne dal cedente, che perde la titolarità dei beni di impresa, e quindi perde
potenzialmente la possibilità di soddisfare quei debiti tributari, ne che questi debiti tributari vengano ascolti
dal cessionario, il quale acquisisce l’azienda ma non ha sicuramente realizzato quelle fattispecie
sanzionatorio imputabili all’azienda nel momento in cui quell’azienda apparteneva alla titolarità del
cedente.

L’articolo 14 estende la responsabilità dei debiti tributari che gravano sull’azienda oggetto di cessione e ci
dice che il cessionario d’azienda risponde in solido con il cedente per il pagamento delle sanzioni riferibili
alle violazioni commesse dal cedente.
In particolare il cessionario risponde delle sanzioni riferibili alle violazioni commessa dal cedente nell’anno
in cui è avvenuta la cessione, nei due anni precedenti e risponde di tutte quelle sanzioni che risultano già
irrogate e contestate nel periodo di imposta in cui avviene la cessione.

Un primo privilegio è appresentato dalla preventiva esclusione del cedente, l’agenzia delle entrate ha
l’onere di chiedere le sanzioni relative alle violazioni commesse dal cedente su quell’azienda oggetto di
cessione in prima battuta nei confronti del cedente.
Il cessionario potrà opporre all’atto di irrogazioni sanzioni che gli viene notificato all’agenzia delle entrate

La responsabilità del cessionario è limitata al valore della azienda che acquista, privilegio che consente a chi
acquista di avere un limite quantitativo rispetto alla possibilità di essere destinatario di sanzioni.

Inoltre la responsabilità del cessionario riguarda solo il debito che risulta alla data della cessione, ed è per
questo che è molto importante prima di acquistare un azienda farsi rilasciare un certificato dei carichi
tributari pendenti dall’agenzia delle entrate perché il cessionario attraverso questo certificato che viene
rilasciato dall’agenzia delle entrate riesce a monitorare quale violazioni sono state già contestate
dall’agenzia delle entrate dal cedente e quindi può sulla base di ciò se procedere o meno all’acquisto
dell’azienda sapendo che nel momento in cui acquista l’azienda scatta la responsabilità in solido.

Questi privilegi di cui gode il cessionario non scattano e si applicano nel caso in cui cessionario e cedente
siano d’accordo per frodare il fisco, quindi cedono l’azienda esclusivamente per fare in modo che l’agenzia
delle entrate abbiamo meno possibilità di andare a riscuotere quelle sanzioni relative alle violazioni
commesse dal cedente.

232
Francesco Gruppelli
Per presunzione legale relativa, quindi per presunzione fissata dal legislatore ma relativa perché ammette la
prova contraria, se la cessione d’azienda si verifica entro 6 mesi dalla contestazione di un reato si presumo
che chi acquista l’azienda sia d’accordo con chi la cede peer frodare il fisco e quindi in questo caso non
scattano le tutele che l’articolo 14 consente.

In materia di sanzione amministrativa tributarie vige il principio del cumulo delle pene, questo significa che
se un soggetto compie varie violazioni di legge per determinare la sanzione applicabile si devono sommare
le sanzioni relative a tutte le trasgressioni commesse.
Rispetto a questa regola che prende il nome di cumulo materiale delle sanzioni, hai fatto tante trasgressioni
vado a vedere le sanzioni previste dal legislatore e le sommo.

Rispetto a questa regola ci sono delle previsioni derogatorie che consentono il calcolo della sanzione
attraverso il cosiddetto cumulo giuridico, l’applicazione del cumulo giuridico a fronte di una pluralità di
trasgressioni comporta l’applicazione di una sola sanzione ma maggiorata, in considerazione del fatto che
quella sanzione viene applicata a fronte di una pluralità di trasgressioni.
Le ipotesi in cui rispetto alla regola generale del cumulo materiale delle sanzioni noi dobbiamo applicare la
regola derogatoria del cumulo giuridico sono 4:

La prima ipotesi di applicazione si ha nel caso di concorso formale il quale si ha quando un soggetto con una
sola azione viola più norme di legge anche relative a tributi diversi.
Il concorso formale si dice omogeneo quando una sola azione o omissione genera una pluralità di violazioni
della medesima disposizione di legge. Si definisce invece concorso formale eterogeneo il caso di una sola
azione o omissione che integra disposizione normative diverse, genera violazioni di disposizione diverse
anche relative a tributi diversi.
Ad esempio il caso del contribuente che nasconde al fisco di aver generato un reddito, se io faccio ciò io
non sto solo trasgredendo all’obbligo dichiarativo in relazione all’imposta sui redditi ma sicuramente
nascondo al fisco anche l’IVA relativa a quelle operazioni che hanno generato quel reddito.

A norma dell’articolo 12 del decreto legislativo 472 del 97 quando un soggetto con una sola azione od
omissione vola più disposizioni di legge relative allo stesso tributo o anche a tributi diversi, si ha quando
l’ipotesi del concorso formale omogeneo o eterogeneo, il funzionario dell’agenzia delle entrate deve
applicare solo la sanzione più grave aumentata tra il quarto e il doppio.

La seconda ipotesi di applicazione si ha nel caso del concorso materiale, si ha quando la medesima
disposizione è volata più volte, ovvero il soggetto commette con più azioni o omissioni diverse violazioni
formali della medesima disposizione.
Ad esempio se io sbaglio nelle mie fatture ad indicare la mia partita iva o codice fiscale io a fronte di quel
comportamento che può consistere in un comportamento ripetuto nel tempo commetto violazioni diverse
della medesima norma di legge che mi impone di precisare nelle mie fatture il mio codice fiscale o la mia
partita iva.

Terza ipotesi di cumulo giuridico, articolo 12 comma 2 ci dice che si applica la sanzione più grave,
aumentata sempre dal quarto al doppio, anche nel caso di progressione, si ha progressione quando il
contribuente anche in tempi diversi commette più violazioni di norme tributarie e nella loro progressione
pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile o la liquidazione anche periodica
del tributo.
La progressione è una molteplicità di violazioni commesse anche in tempi diverse che tuttavia sono tra loro
collegate da un unico fine, il soggetto agente che intende evadere non si limiterà a omettere la
rappresentazione al fisco del reddito che ha prodotto ma presumibilmente commenterà tutta un’altra serie
di violazione tese a conseguire quell’unico fine di rappresentare falsamente la sua carpatica contribuente,
quindi ad esempio non ammetterà fattura, nasconde beni merce nel magazzino, si rende indisponibile
all’agenzia delle entrate rispetto ad inviti e questionari ecc, porrà in essere tutta una serie di

233
Francesco Gruppelli
comportamenti che convergono ad un unico fine di sottostimarne il suo imponibile o sottrarsi al pagamento
del tributo.

Infine una quarta ipotesi di cumulo giuridico si ha nel caso della continuazione, si ha ciò quando, ci dice il
comma 5, violazione della stesa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi.
In questo caso noi andiamo ad applicare la sanzione base aumentata in questo caso dalla metà al triplo.

Violazione della stessa indole si ha quando per la natura dei fatti oggetto della violazione per i motivi che
caratterizzano il contribuente o per le modalità dell’azione o omissione, la violazione presenta dei profili di
sostanziale identità con una violazione gemella/similare.
Ai fini della continuità non è necessario che violi la stessa disposizione di legge, ma può porre in essere un
comportamento che dobbiamo leggere sotto il profilo della continuazione anche qualora le violazione siano
relative a disposizione diverse ancorché della stessa indole.

La competenza a irrogare le sanzioni la dobbiamo ascrivere allo stesso ufficio dell’agenzia delle entrate
competente all’accertamento del tributo, e la competenza per l’accertamento del tributo l’abbiamo già
detto la dobbiamo parametrare al luogo del domicilio fiscale e non civilistico del soggetto.
Le norme che ci interessano per esaminare il processo di irrogazione sono gli articoli 16 e 17 del decreto
legislativo 472 del 97.

Se leggiamo in combinato disposto queste norme notiamo che vi sono 3 modalita applicative distinte per le
sanzioni:

Una prima modalita di applicazione delle sanzioni si ha quando la sanzione è collegata al tributo, caso della
sanzione per infedele dichiarazione, se la dichiarazione è relativa all’Irpef la sanzione per l’omessa o
infedele dichiarazione dell’Irpef è chiaramente una sanzione collegata al tributo.
In questo caso ci dice il decreto legislativo 472 del 97 la sanzione viene irrogata senza previa contestazione
attraverso l’avviso di accertamento.
Dovremmo ricordare che oltre al dispositivo che continente sempre una rettifica dell’imponibile e
l’eventuale liquidazione del tributo, c’è generalmente l’applicazione delle sanzioni. Sanzioni le troviamo nel
tributo se sono sanzione collegate al tributo.
In questo caso l’ufficio dell’agenzia delle entrate non mi informa previamente che mi sta per sanzionare, nel
momento in cui io ricevo l’avviso di accertamento troverò indicato non solo il maggiore imponibile che mi
viene imputato ma troverò anche applicata la sanzione collegata al tributo oggetto di liquidazione in
quell’avviso.
Entro il termine di proposizione del ricorso di quell’avviso, quindi nei 60 giorni successivi alla notifica
dell’avviso di accertamento, il soggetto trasgressore e tutti i soggetti coobbligati in solido possono definire
la controversia con il pagamento di un importo pari ad 1/3 della sanzione irrogata.

Una seconda modalita di irrogazione delle sanzione l’abbiamo rispetto ai casi di omesso o ritardato
pagamento del tributo, se cioè il contribuente dichiara la base imponile e rappresenta correttamente il
proprio reddito e liquida il tributo ma poi non paga, quindi non assolve all’obbligo di versamento, in questo
caso non c’è bisogno di effettuare un accertamento dell’agenzia delle entrate perché appare evidente dal
mero confronto tra l’importo dichiarato e l’importo liquidato che c’è una discrasia.
Nel caso in cui il contribuente dichiari correttamente ma poi non adempia e versi spontaneamente
attraverso il versamento diretto l’importo autoliquidato in sede di dichiarazione o nel caso in cui questo
versamento non sia tempestivo, non essendo necessario procedere con l’avviso di accertamento, avremo
subito l’iscrizione a ruolo, in cui abbiamo subito il precetto e l’intimazione di pagamento che viene portata a
conoscenza del contribuente attraverso la notifica della cartella di pagamento.
Nella cartella di pagamento, quindi nel primo atto che ricevo se faccio ciò, troverò non solo l’importo che
non ho versato ma anche delle sanzioni.

234
Francesco Gruppelli
Terza modalità è il procedimento ordinario di contestazione delle sanzioni.
Lo abbiamo nei casi che non riguardano l’omesso ritardato pagamento nè la sanzione collegata al tributo
quindi, escluse le ipotesi che abbiamo visto nelle prime due modalita applicative che devono seguire quel
procedimento di applicazione delle sanzioni, tale procedimento di contestazione delle sanzioni passa
attraverso un apposito atto, che abbiamo già letto nell’ambito dell’articolo 19 del decreto sul processo
perché atto autonomamente impugnabile, che è l’atto di contestazione sanzioni, cioè una sorta di avviso di
accertamento dove non abbiamo una rideterminazione dell’imponibile ma si limita ad applicare le sanzioni,
quindi l’atto che prevede e contempla esclusivamente la sanzione tributaria amministrativa prende il nome
di atto contestazione e sanzioni.

Questo atto, ci dice l’articolo 16, deve essere motivato a pena di nullità, quindi esattamente come l’atto
impositivo ci devono essere le ragioni di diritto e presupposti di fatto che hanno determinato l’ufficio
dell’agenzia delle entrate a contestarmi una sanzione e quindi troverò, nell’atto di contestazione sanzioni
che ricevo, la descrizione dei fatti che l’agenzia delle entrate mi attribuisce, troverò le prove che l’agenzia
delle entrate ha raccolto per dire che io ho omesso un determinato obbligo dichiarativo.
Troverò le norme sanzionatorie che ho violato, cioè quelle norme che mi dicono che a fronte di
quell’obbligo e quel divieto tu non avendo osservato la norma di legge incorri nella sanzione che la norma
sanzionatoria abbina a quella determinata fattispecie e poi dovrò trovare l’applicazione di quei criteri
attraverso i quali il funzionario dell’agenzia delle entrate specifica e precisa la sanzione che mi vuole
comminare.

L’atto di contestazione può/deve contenere l’indicazione delle soluzione che il contribuente può decidere di
opzionare rispetto allatto di contestazione sanzioni, che cosa il contribuente può fare quando riceve un atto
di contestazione sanzioni.
Il contribuente che riceve un atto di questo tipo ha tre possibili strade, può definire in modo agevolato la
controversia, può impugnare l’atto o può presentare deduzioni difensive.

La prima opzione è l’opzione che abbiamo già visto a proposito dell’acquiescenza ma in questo caso è solo
relativa all’importo della sanzione che mi viene comminata.
Definire la controversia significa pagare un terzo della sanzione indicata nell’atto di contestazione sanzioni,
il pagamento di questo terzo impedisce al contribuente di andare a contestare questo atto presso il giudice,
quindi io rinuncio a presentare ricorso alla commissione tributaria, però beneficio dello sconto
sanzionatorio ed evito l’alea del processo tributario e precludo l’applicazione delle eventuali sanzioni
accessori.

La seconda via la conosciamo già, essendo l’atto di contestazione sanzioni previsto nell’ambito dell’articolo
19 del decreto legislativo relativo al processo tributario, io posso impugnare questo atto essendo un atto
autonomamente impugnabile e contestarlo nei 60 giorni successivi alla notifica, notificando il mio ricorso
all’agenzia delle entrate che ha emesso l’atto e nei successivi 30 andando a depositare il io ricorso presso la
commissione tributaria.

La terza via che il contribuente può intrapredere è una via che caratterizza esclusivamente il procedimento
di contestazione delle sanzioni, perché rispetto a questa situazione di ricezione di un atto di contestazione
sanzioni, il contribuente ha la possibilità di presentare all’ufficio che ha comminato le sanzioni delle
cosiddette deduzioni difensive.
Io rappresento attraverso un atto endoprocedimentale attraverso una memoria che vado a mortificare
all’ufficio e vado a rappresentare le mie osservazioni e ragioni per le quali nel mio caso quella sanzione non
deve essere applicata.
Attraverso la rappresentazione di queste deduzioni difensive, si apre un sub-procedimento che prevede che
l’ufficio dell’agenzia delle entrate che mi ha comminato la sanzione abbia un anno di tempo da quando ha

235
Francesco Gruppelli
ricevuto le mie deduzioni difensive per ritornare sui suoi passi e decidere se effettivamente ho volato la
norma di legge e se effettivamente devo essere assoggettato a sanzione.
Entro un anno l’agenzia delle entrate può quindi decidere o di porre nel nulla quell’atto di contestazione
sanzioni che mi ha notificato, oppure nel caso in cui ritenga non convincenti le mie deduzioni difensive
notificarmi un successivo atto che prende il nome di atto di irrogazione delle sanzioni.

Questo atto dovrà contenere la contestazione già mossa con l’atto di contestazione sanzioni, più una parte
della motivazione dovrà essere riservata alle ragioni per le quali l’ufficio ritiene non convincenti le mie
memorie e osservazioni difensive.

Tanto l’atto di contestazione sanzioni quanto l’avviso di irrogazione delle sanzioni sono ovviamente
soggetti, oltre ad essere motivati, all’obbligo di osservare i termini di decadenza, che sono assolutamente
identici che abbiamo visto studiando l’articolo 43 del dpr 600 del 1973 e questi atti devono essere notificati
entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quando è stata commessa la violazione o nel diverso
termine previsto per l’accertamento del tributo, quindi la sanzione segue il termine generalmente previsto
per il tributo cui quella sanzione si riferisce.

L’unica particolarità rispetto alla decadenza è la seguente: se la notificazione di uno di questi atti
sanzionatori è stato eseguito tempestivamente per almeno uno degli autori dell’illecito e vi sono degli
obbligati in solido, per essi il termine di decadenza è prorogato di un anno, quindi nel caso di solidarietà
nell’illecito è sufficiente che l’agenzia delle entrate notifichi tempestivamente un atto sanzionatorio ad un
soggetto, per gli altri coobbligati in solido la notificazione potrà avvenire entro il successivo anno.

Infine la tutela giurisdizionale rispetto agli atti che comminano delle sanzioni è una tutela ordinaria, che
segue le regole ordinarie che abbiamo visto nell’ambito del processo tirbutario e quindi c’è la possibile per
il contribuente di presentare un ricorso con tutti i requisiti che abbiamo visto dettati all’articolo 18 del
decreto legislativo sul processo, ovviamente questo ricorso deve essere tempestivo e presentato entro i 60
giorni successivi entro la notifica dell’atto sanzionatorio.

Dal punto di vista procedurale le regole sono le medesime che regolamentano l’impugnazione degli atti
impositivi, dell’avviso di accertamento e iscrivo a ruolo della cartella.
La particolarità riguarda la sospensione della esecuzione perché se il contribuente impugna l’avviso di
accertamento sappiamo che pendente il giudizio di primo grado, sarà tenuto quel soggetto al pagamento di
1/3 del tributo liquidato nell’avviso oltre i relativi interessi moratori ma non sono dovute le sanzioni.
C’è la possibilità per il contribuente di presentare istanza di sospensione.

Se l’agenzia delle entrate ha un fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito durante il
processo può chiedere con istanza motivata al presidente della commissione tributaria di iscrivere ipoteca
sui beni del trasgressore o di portare avanti un sequestro conservativo.

236
Francesco Gruppelli
Lezione 30.2

Diritto tributario internazionale


In questa parte del corso dobbiamo affrontare il sistema delle fonti di diritto tirbutario internazionale, poi il
problema della doppia imposizione e infine i modelli di convenzione (modello OCSE)

Torniamo a trattare del concetto di sovranità impositiva, concetto che abbiamo già declinato e che accoglie
due sensi: sovranità impositiva è la potestà che il soggetto impositore esercita nel territorio dello stato,
quindi come potere giuridico di un ente di levare tributi e introdurre norme tributarie. Dall’altro lato, se
gueriamo i confini nazionali, significa indipendenza di uno stato rispetto a tutti gli altri soggetti di diritto
internazionale che sulla base delle norme possono godere di analoga potestà tributaria.

Diverso è il concerto di pretesa tributaria, uno stato sovrano può avere una pretesa tributaria ma può non
avere la potestà giuridica di non azionarla.

Fonti del diritto tirbutario internale sono 5, diritto domestico (nazione/ interno), diritto convenzionale (o
pattizio), diritto dell’Unione europea, diritto sovranazionale (soft low), diritto internazionale.

Diritto domestico
È quello che abbiamo studiato finora, norme che trovano un comune fondamento di validità nella
costituzione, in cui c’è una norma fondamentale, l’articolo 53, che consente al legislatore di applicare
tributi e introdurre norme impositive che però devono rispettare i canoni fissati dal costituente.
Tutte le norme giuridiche di natura fiscale emesse dal legislatore italiano fanno parte del sistema tirbutario
italiano e questo complesso di norme identifica il diritto fiscale interno.

Efficacia nello spazio della materia tributaria:


Ci sono dei limite che il legislatore incontra nel momento in cui decide il presupposto di imposta, nel
momento in cui decide di introdurre una norma impositiva ?

Dal punto di vista del diritto internazionale non ci sono limiti, il legislatore italiano può avanzare una
pretesa tributaria anche del tutto scollegata rispetto al suo territorio perché nessun ente sovrano,
gerarchicamente sovraordinato rispetto all’Italia, può porre un limite al legislatore italiano.
Non esiste un ente sovranazionale che impedisca al legislatore fiscale italiano dall’astenersi di avanzare
pretese tributarie nei confronti di determinati cespiti.
Non ci sono regole di diritto internazionale che pongano un limite all’efficacia.

Ci sono però dei criteri di collegamento che il legislatore può usare, gli abbiamo visti studiando il sistema di
tassazione su base irpef ed ires, il legislatore può scegliere di applicare un sistema di tassazione su base
territoriale, può cioè fondare la tassazione sul presupposto collegato al territorio dello stato e quindi può
dire che il reddito prodotto sul suolo italiano entro i confini del territorio italiano è assoggettabile a
tassazione e questo lo abbiamo visto con la tassazione su base irpef dei soggetti non residenti ai fini fiscali
in Italia. Questo è un criterio oggettivo.

Può scegliere un criterio soggettivo che da rilevanza al collegamento tra il territorio dello stato italiano e il
soggetto agente e il soggetto passivo di imposta e quindi come nel caso dei soggetti residenti ai fini fiscali in
Italia avanzare una pretesa tirbutario nei confronti di un soggetto collegato al territorio dello stato italiano

237
Francesco Gruppelli
attraverso il criterio della residenza ai fini fiscali e questo criterio lo troviamo codificato nell’articolo 2 del
TUIR che abbiamo studiato a proposito delle persone fisiche residenti tassabili su tutti i redditi prodotti nel
mondo.

Oppure il legislatore può scegliere un criterio misto, una combinazione tra il criterio oggettivo che da
rilevanza alla territorialità della tassazione con il criterio soggettivo che da invece rilevanza alla personalità
del soggetto passivo, del contribuente.
Il nostro sistema tributario è quindi un sistema misto perché accoglie entrambi questi due criteri, oggettivo
e soggettivo.

Il criterio di tipo misto provoca un fenomeno di doppia imposizione internazionale.


Se noi diciamo che il legislatore italiano attraverso il criterio misto di tassazione che accoglie può andare a
tassare delle capacità contributive al di fuori del proprio territorio perche tassa il soggetto residente anche
sui redditi che produce all’estero, e tassa il reddito prodotto in Italia dal soggetto non residente, può
accadere che quella medesima ricchezza sia oggetto di attrazione anche da parte di un fisco ulteriore
rispetto a quello italiano.

Questa situazione può derivare anche dal fatto che due stati sovrani ritengano applicabile rispetto a quella
determinata fattispecie un medesimo criterio di collegamento, cioè l’Italia può considerare un soggetto
residente ai fini fiscali se suscitino i criteri dettati per le persone fisiche dall’articolo 2 del TUIR, un altro
stato può avere dei criteri di natura diversa sulla base dei quali quel soggetto viene ritenuto residente in
questo stato estero.
Quindi i criteri di collegamento interni di ciascuno stato sovrano che ovviamente possono essere i più
disparati possono portare a rendere le pretese tributarie dei due stati nazionali convergenti sulla medesima
ricchezza o soggetto.

Oppure, e sono i casi più recenti del commercio elettronico, può essere incerta l’individuazione della
capacità contributiva. Pensiamo ad esempio ad un caso come PewDiePie, YouTuber più famoso al mondo,
produce una ricchezza attraverso il canale di YouTube e consente a tutti i soggetti connessi del mondo di
usufruire di questi video. In questo caso è difficile stabilire dove sta la capacità contributiva, in questo caso
la dobbiamo ascrivere alla Svezia dove il soggetto produce il suo prodotto o la dobbiamo ascrivere alla
California dove è presente la sede di YouTube, quindi il canale che distribuisce il prodotto elettronico, o la
dobbiamo localizzare in Italia dove le persone si possono collegare e usufruire del prodotto.

Situazione complicata dal fatto che non esiste un divieto di doppia imposizione internazionale.
Il problema della doppia imposizione è un problema molto importante.

Questo problema si affronta generalmente in due modi: attraverso delle misure di diritto interno, può
essere ciascuno stato nazionale ad introdurre delle misure che limitino o eliminino la duplice tassazione in
capo a quella medesima ricchezza oppure possono essere misure di diritto internazionale , come le
convenzioni bilaterali, trattati contro le doppie imposizioni. Esse hanno il fine di prevenire e limitare casi
giudicati indesiderabili da parte di due stati che decidono di trovare un accordo per evitare di andare a
tassare due volte una medesima ricchezza.

Efficacia nello spazio delle norme di diritto domestico


C’è la possibilità per il legislatore di avanzare delle pretesa tributarie rispetto a presupposti di imposta
esterni ai confini nazionali, però quelle norme sono eseguibili solo entro lo spazio giudicio della repubblica
italiana.
Agenzia delle entrate non può riscuotere un tributo in un altro stato, in questo caso serve un accordo con
l’altro stato.

238
Francesco Gruppelli
Anche questo può essere oggetto di un accordo amministrativo, di un trattato bilaterale in cui due paesi
decidono di darsi reciproca assistenza per consentire di riscuotere i tributi qualora i cespiti e reddito fuori
esca dai rispettivi confini nazionali.

Queste norme sono le norme contenute nelle convenzioni internazionali che regolamentano anche gli
accordi di diritto amministrativo per rendere eseguibile la pretesa tributaria, sono norme che sono
sovraordinate rispetto alle norme di diritto interno perché sono norme speciali, dal punto di vista
gerarchico prevalgono sulle eventuali norme di diritto interno di segno diverso con l’unica eccezione che è
rappresentata da quanto dall’articolo 169 del TUIR che dice che le norme di diritto interno possono essere
sempre derogate dalle norme di diritto convenzionale che prevalgono a meno che le norme di diritto
interno risultino più favorevoli ai contribuenti.
Se generalmente prevale la norma pattizia contenuta in un trattato internazionale, questo rapporto è
invetrito nel caso in cui la norma interna preveda un trattamento tributario di maggior favore per il
contribuente.

Ormai per i soggetti è molto facile spostare ricchezze da un paese all’altro, e questo problema viene
trattato nel modello di convenzione OCSE, articolo 26, quindi accordi bilaterali.
Bisogna stipulare accordi con tutti e ciascuno stato estero nel quale possono nascondersi dei redditi sul
quale il fisco italiano può avanzare delle pretese ma una soluzione è stata introdotta in ambito europeo
attraverso il ruolo europeo, un atto della riscossione che è automaticamente efficacia e giuridica in tutti gli
stati membri, idea di creare un iscrizione a ruolo valevole in tutti i paesi membri dell’Unione europea è
stata elaborata e implementata proprio per cercare di rendere attuabili le pretese impositive al di fuori dei
confini nazionali senza la necessità di stipulare dei trattati internazionali.

Diritto pattizio
Accordi bilaterali conclusi sotto forma di trattati da soggetti dotati di capacita di diritto internazionale.
Convenzioni che sorgono dalla esigenza di risolvere o limitare i casi di conflitto fiscale che possono
insorgere quando due stati sovrani avanzano delle pretese rispetto ad una medesima capacità contributiva.
Nel nostro ordinamento hanno il valore formale della legge di recepimento, legge del parlamento che
ratifica il trattato fiscale sottoscritto dai rappresentati confermativi.

Dal punto di vista formale siamo al livello della legge ordinaria ma c’è un principio di specialità, la
convenzionale che l’Italia assume attraverso la stipula di un trattato consente di ritenere quelle norme
concordate come speciali rispetto alle norme di fonte interna e quindi le norme convenzionali resistono e
sono più forti rispetto alle normi di fonte interna.

In un trattato fiscale possiamo trovare delle norme convenzionali formali, norme che ripartiscono tra l’Italia
e l’altro stato l’imposizione, la potestà tributaria. Dicono rispetto ad una determinata fattispecie stato della
fonte è Italia, stato della residenza è lo stato estero, o viceversa.
Norme che indicano dei criteri di collegamento per fare in modo che rispetto quella medesima fattispecie
non ci siano situazioni rispetto alle quali entrami gli stati contraenti si autoqualificano sulla base delle
proprie norme di diritto interno entrambi come stato della resistenza o entrambi come stato della fonte.
Per evitare la situazione tale per cui essendo le norme di diritto interno tra i vari stati diverse ed essendo
norme portatrici di criteri di collegamento diversi, le norme del trattato possono stabilire in modo univoco
rispetto quella determinata fattispecie lo stato della residenza è un paese e lo stato della fonte è Italia.

Oppure nella convenzione possiamo trovare delle norme sostanziali, norme cioè che eliminano o riducono
la duplice imposizione già prevedendo un trattamento tributario, lo abbiamo visto abbiamo visto la
pianificazione fiscale aggressiva, più precisamente nel trattato Italia Germania.

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Francesco Gruppelli
Diritto dell’Unione europea
Costituisce questo sistema giuridico a se stante istituito attraverso un trattato sottoscritto anche dall’Italia.
Abbiamo delle norme contenuto in un trattato e poi tutta una serie di altre norme, detto diritto
comunitario secondario, contenute ed elaborate dai soggetti attori dell’Unione europea.
Norma non solo espressamente sottoscritte dall’Italia nel trattato fondativo ma abbiamo tutta una serie di
norme contenute in regolamenti, direttive contenute in atti emanati dai soggetti dell’Unione europea, dalla
commissione e dal consiglio.

In più ci sono le sentenze della corte di giustizia, corte di Lussemburgo, organo deputato all’interpretazione
autentica delle norme dell’Unione europea è un giudice che crea molto diritto perché rende delle sentenze
che condizionano i sistemi fiscali nazionali.
Le sentenze di tale organo, sulla base del divieto di discriminazione e del divieto degli aiuti di stato
contenuto nel trattato primario, smontano quelle norme fiscali nazionali degli Stati membri che ostacolano
il processo di integrazione europea, quindi l’intervento della corte di giustizia è un intervento negativo,
sottrattivo.
Se uno stato attraverso la leva fiscale avvantaggia dei settori imprenditoriali delle proprie imprese residenti
e non concede lo stesso trattamento a soggetti non residenti, questo può essere censurato.
Ci sono anche delle norme in senso positivo che troviamo in regolamenti della commissione o del consiglio
dell’Unione europea.

In materia fiscale non essendo la materia fiscale demandata dagli Stati nazionali alla competenza dei
soggetti dell’Unione europea, non essendoci quindi una competenza fiscale dell’Unione europea che non
può istituire un tributo, ci sono però degli atti attraverso i quali determinati tributi sono armonizzati, ci sono
cioè delle direttive, a proposito dell’IVA, che armonizzano i tributi indiretti.
Ci sono pochissime norme comunitarie in materia di imposte dirette perché sono considerate più
espressive della sovranità tributaria.

Diritto sovranazionale o soft low


Ci si riferisce ad un diritto non scritto, diritto scritto è hard low, emanato soggetti sovranazionali che non
hanno una potestà legislativa, che non sono dei legislatori ma che sono così autorevoli da condizionare il
diritto effettivamente praticato negli Stati nazionali.

Ad esempio OCSE, organizzazione per la cooperazione e sviluppo economico, che ha sede a Parigi che
elabora delle raccomandazioni e direttive, non delle norme e atti giuridici, che però quando queste
raccomandazioni sono demandate dall’OCSE per l’autorevolezza di questa organizzazione internazionale
acquistano subito un valore di paradigma, un valore metagiuridico che porta a condizionare i legislatori
nazionali.
Accade spesso che quanto raccomandato dall’OCSE venga poi recepito a livello di diritto positivo interno.

Così pure sono le sentenze della corte di Strasburgo, corte dei diritti dell’uomo, di nuovo un soggetto che
non è legislatore, corte che si preoccupa di far si che la tutela dei diritti riconosciuti come inalienabili per
l’umanità venga garantita nelle cause che sono sottoposte nella corte Strasburgo, per i principi che questa
corte esprime attraverso le sue sentenze, principi valevoli anche ai fini fiscali, ecco che data l’importanza di
questi principi di diritto si affermano come soft tax low come parametri e paradigma da seguire da parte dei
legislatori interni.

Possiamo notare che ci sono dei principi comuni, norme convenzione che ritornano pressoché in tutto il
network dei trattati bilaterali, quindi la comunità internazionale sposa determinate soluzioni interpretative
che le possiamo considerare non solo come espressive di un diritto convenzionale ma come espressive di
un diritto internazionale tributario, espressive di una soft tax low, diritto non scritto che tuttavia ispira i
legislatori nazionali.

240
Francesco Gruppelli
Tra questi principi molto chiaro è il fatto che nessuno stato nazionale riconosce l’esistenza di un ente a se
sovraordinato.

Che cosa sono nella concretezza questi principi e consuetudini internazionali del soft tax low ?
Sono il principio di tassazione effettiva del reddito, cioè è pressoché patrimonio condivido da tutti gli enti
impositori del mondo il fatto che la tassazione debba essere ancorata ad una fonte effettiva di reddito, quel
principio di effettività che abbiamo rintracciato anche nella capacità contributiva nell’articolo 53 della
costituzione, così come intercettato nella corte costituzionale.
Un altro principio generalmente accolto dalla totalità degli stati del mondo e quindi considerabile come soft
tax low è il principio dell’utile mondiale, cioè il principio che dice che il soggetto considerato residente in un
determinato stato è assoggettabile da parte di quello stato ala tassazione di tutti i redditi che quel soggetto
ha prodotto nel mondo, ww taxation, principio codificato all’articolo 2 del TUIR che abbiamo visto per
l’imposizione irpef per le persone fisiche, è un principio in realtà espressivo del soft tax low.

Altro principi condiviso è il principio di non discriminazione del trattamento fiscale, quindi non puoi
distinguere il trattamento impositivo per situazioni omogenee, per situazioni che presentano elementi
caratteristici analoghi, che ha una specifica declinazione nell’ambito dell’Unione europea perché è un
principio che trova espressione nel trattato fondativo dell’Unione europea.

Altro principio che possiamo ascrivere a questo così soft tax low è l’esenzione dalle imposte dirette per i
rappresentati diplomatici e consolari, è generalmente accolto da tutti gli stati del mondo un principio non
scritto e non imposto ai legislatori nazionali ma seguito e praticato di esonerare dalla tassazione diretta,
dalle imposte sul reddito e patrimonio i rappresentati diplomatici e consolari che per ragioni diplomatiche
soggiornano temporaneamente nel territorio dello stato nazionale.

Lezione 31.1

Diritto internazionale
Si intendono quelle norme di fonte interna, norme domestiche che disciplinano però delle fattispecie che
presentano elementi di estraneità rispetto all’ordinamento interno.
Un esempio è quella per la tassazione su base irpef dei soggetti non residenti, una norma domestica di
fonte interna che però disciplina una fattispecie con qualche elemento di estraneità rispetto al territorio
dello stato nazionale.
Queste norme possono prevedere dei criteri di collegamento, possono cioè ancorare la pretesa tributaria
dello stato italiano rispetto ad una fattispecie extra nazionale e questi criteri di collegamento li abbiamo gia
incontrati quando abbiamo parlato dei criteri di collegamento personali come quello della residenza fiscale,
oppure criteri di collegamento di tipo reale, solo per il fatto che quel cespite si considera prodotto
all’interno del territorio nazionale.

Le norme di diritto tirbutario internazionale possono prevedere entrambi o posso combinare questi due
criteri di collegamento, ma possono essere anche norme di tipo sostanziale, che prevedono una disciplina
sostanziale, trattamento tributario particolare.

Possiamo a trovare anche norme volte ad evitare la doppia imposizione, una norma di questo tipo
l’abbiamo vista quando abbiamo parlato dei crediti di imposta, per quelle assolte all’estero.

Diritto tributario internazionale designa quale disposizione di fonte interna che riguardano elementi
internazionali, rispetto a questa nozione dobbiamo tenere distinta quella di diritto internazionale tirbutario
perché esso va identificato con i tratti fiscali, con gli accordi di diritto internazionale che disciplinano
fattispecie con elementi di estraneità.

241
Francesco Gruppelli
Affinché il diritto tributario internazionale sia effettivo, deve rispettare dei limiti:
Un primo limite è il limite che il diritto incontra in relazione a quel concetto di sovranità tributaria, il
legislatore italiano può avanzare la pretesa che desidera, altro è vedere se quella pretesa sia eseguibile.

Secondo limite che incontra il legislatore quando avanza una pretesa tributaria, ed è l’interpretazione che
noi dobbiamo dare al principio di capacità contributiva, articolo 53 della costituzione.
Il legislatore tirbutario nel momento in cui introduce un tributo deve fissare un presupposto di imposta che
sia ragionevole.

Quando è che una situazione di fatto può essere assunta presupposto di imposta di un tributo ?
I criteri di collegamento sono due, criterio soggettivo e oggettivo. Il primo identifica una relazione personale
tra il soggetto passivo di imposta e il territorio italiano.
Il secondo individua una relazione di tipo reale, tra la res/bene/reddito e il territorio dello stato italiano.

Questi due criteri di collegamento di natura soggettiva e oggettiva possono ovviamente determinare dei
conflitti e pretese, perché è possibile che in relazione ad una medesima ricchezza e in relazione ad un
medesimo soggetto concorrano pretesa impositive da parte di stati impositori diversi.
Se avviene e si verifica questa situazione siamo di fronte ad un fenomeno di doppia imposizione
internazionale, la doppia imposizione internazionale designa appunto la situazione in cui due imposizione e
tassazione che provengono da due stati sovrani diversi aggradiscono e concernono il medesimo cespite,
riguardano la medesima ricchezza.
Questo tipo di situazione è ovviamente deprecabile, il fatto che su una medesima ricchezza il soggetto sia
tassato due volte da parte di due enti impositori ovviamente deprime gli investimenti e la possibilità di un
soggetto di andare a localizzare i suoi redditi nel mondo dove la leva fiscale è più conveniente.
È per questo che rispetto al fenomeno della doppia imposizione internazionale, studieremo quali sono i
rimedi interni e convenzionali che sono stati escogitati per prevenire questo fenomeno.

La doppia imposizione internazionale può derivare sia da un concorso di potestà impositiva unilaterale da
parte di due stati sovrani, ovvero che ciascuno stato decide sulla base dei propri criteri di collegamento
interno di assoggettare a tassazione quella ricchezza e quindi nell’ipotesi di un residente ai fini fiscali in
Italia che produca reddito in Francia attraverso un impresa localizzata in Francia, in questo caso ci può
essere l’attenzione sia del fisco italiano che di quello francese.

Caso particolare si può verificare anche se tra Italia e Francia è stata stipulata una convenzione per
eliminare la doppia imposizione. Vedremo infatti che se la stipula di un trattato per eliminare la doppia
imposizione consente di escludere i casi di doppia imposizione internazionale nelle situazione di concorso di
stato della residenza stato-della residenza e stato della fonte-stato della fonte, tuttavia la convenzione non
esclude che si verifichi una doppia imposizione internazionale nel particolare caso residenza-fonte.

I criteri di collegamento personale e reale sono criteri di collegamento che identificano delle modalita di
tassazione e quindi il criterio di collegamento di natura personale che ci dice che sono tassati i soggetti
residenti e cittadini comunque collegati al territorio dello stato per tutti i redditi prodotti dal mondo ci da
una nozione di diritto sostanziale perché ci dice come calcolare la base imponibile di quel soggetto.
Viceversa il principio di tassazione su base reale, basato sulla fonte, determina la imposizione e tassazione
dei redditi da chiunque prodotti purché prodotti all’interno dei confini del territorio dello stato.

Altra nozione che dobbiamo introdurre è la differenza tra doppia imposizione giuridica ed economica.
Giuridica quando il medesimo contribuente è assoggettato per due o più volte da parte dello stesso stato o
da parte di stati diversi a tassazione in relazione al medesimo presupposto di imposta.
Economica designa la situazione di duplice imposizione interna o internazionale della medesima
manifestazione di ricchezza in capo a soggetti passivi diversi.

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Francesco Gruppelli
Quindi la doppia imposizione se avviene nei confronti del medesimo contribuente va qualificata come
doppia imposizione giuridica, se viceversa la medesima ricchezza viene assoggetta due volte a tassazione in
capo a soggetti diversi si ha un fenomeno di doppia imposizione economica.

Doppia imposizione economica ne abbiamo già parlato nel caso dei dividendi, tassazione di una ricchezza
percepita da un soggetto, il socio, che però non è altro che una ricchezza che è stata prodotta da un altro
soggetto, la società che produce l’utile, che in ipotesi può essere assoggettato a tassazione.
Fenomeno della doppia imposizione economica non è sempre vietata, è un fenomeno che non sempre gli
stati nazionali riconoscono come dannoso per l’economia e quindi non prendono una norma ad hoc

Invece la doppia imposizione giuridica è generalmente vietata all’interno dei sistemi fiscali nazionali.
Esattamente come quella economica può essere interna se riguarda le pretese impositive provenienti da un
medesimo stato o può essere internazionale se riguarda pretese impositive che provengono da stati
nazionali diversi.

La doppia imposizione deriva principalmente da tre situazioni:


1: caso di doppia residenza:
C’è una norma nel sistema fiscale degli Stati Uniti che designa residente ai fini fiscali negli usa il cittadino,
questo significa che se un cittadino americano dimora abitualmente, quindi elegge domicilio civilistico e si
iscrive all’anagrafe, in Italia per più della metà dell’anno solare, quel cittadino acquisisce sulla base
dell’articolo 2 del TUIR la residenza ai fini fiscali in italia.
Quindi quel medesimo soggetto passivo è considerato sia residente ai fini fiscali negli USA sia in Italia.
Questo comporta che se sulla base dei criteri di collegamento degli usa e dell’Italia, gli enti impositori
prevedono delle norme impositive, quel medesimo soggetto sarà assoggettato a tassazione per la stessa
ricchezza.

2: tassazione da parte dello stato della residenza e stato della fonte in via concorrenziale:
Tassazione concorrente da parte dello stato di residenza e da parte dello stato della fonte. Può avvenire
perché possono coesistere rispetto ad una medesima fattispecie le pretesa impositive da parte dello stato
della residenza, ovvero dell’altra parte dello stato che ritiene il soggetto che possiede il reddito residente ai
fini fiscali nel proprio territorio, e allo stesso tempo un altro stato ritiene il reddito prodotto come prodotto
all’interno dei propri confini nazionali.
Soggetto ai fini fiscali in italia che detiene reddito, ad esempio un immobile, in Francia. Quell’immobile
produce un reddito fondiario e sulla base del criterio di collegamento potrà essere assoggettato a
tassazione in Francia, ma anche in Italia.
Serve non solo che la fattispecie soddisfi il criterio di collegamento, residenza-fonte, ma italia e Francia
devono prevedere delle norme sostanziali impositive che vadano poi a tassare quel cespite.

3: doppia tassazione basata sulla fonte:


Due stati sovrani possono considerare quel reddito prodotto all’interno del proprio stato nazionale, questo
di nuovo è legato al fatto che ciascuno stato nazionale resta libero di scegliere i criteri di collegamento che
ritiene.

Il fenomeno opposto rispetto alla doppia tassazione è la doppia non imposizione. Può derivare da due
situazioni.
La prima si ha quando nell’ambito di una norma del trattato i due stati contraenti decidano entrambi di
ritenere non inclusa nella base imponibile quella determinata ricchezza.
Ad esempio il caso degli insegnati che si spostano tra Francia e Italia in un breve periodo di tempo, i redditi
prodotto da essi non vanno inclusi nella base imponibile ne in quella Italia ne in quella francese.

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Francesco Gruppelli
La seconda ipotesi invece si può determinare sulla base dell’effetto congiunto di una legge interna e una
clausola convenzionale. Come abbiamo visto nella pianificazione fiscale aggressiva tra società italiana
mamma e società tedesca figlia.

Esiste nel diritto internazionale un divieto espresso di doppia imposizione ?


No, nel diritto internazionale non troviamo un divieto espresso di doppia imposizione. Se leggiamo le fonti
che riguardano il problema della duplice imposizione non troviamo scritto che è vietato.
Così pure nel diritto interno italiano non troviamo un divieto di doppia imposizione internazionale

C’è invece un espresso divieto di doppia imposizione interna, articolo 163 del TUIR che dice che ‘ la stessa
imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, né popolare nei
confronti di soggetti diversi ‘
In questo caso è un divieto di doppia imposizione interna economica, perché c’è l’inciso ‘ neppure nei
confronti dei soggetti diversi ‘.

Rimedi alla doppia imposizione giuridica internazionale


Questi rimedi possono essere unilaterali e previsti da parte di uno stato nazionale che senza coordinarsi con
un altro stato decide di eliminare la doppia imposizione internazionale anche se non c’è una norma a e
internazionale ne generale che lo obblighi a prevedere un meccanismo di rimedio alla duplice imposizione
oppure possono essere rimedi bilaterali, rimedi che troviamo nei trattati contro le doppie imposizioni.

I rimedi interni alla doppia imposizione giuridica internazionale, duplice imposizione in capo al medesimo
soggetto.
I rimedi sono sostanzialmente tre: metodo dell’esenzione, metodo credito di imposta e metodo della
deduzione.

Metodo dell’esenzione
Con esenzione si intende il riconoscimento unilaterale da parte dello stato della residenza, da parte dello
stato che qualifica rispetto alla fattispecie il soggetto titolare del reddito come proprio residente ai fini
fiscali, riconoscimento unilaterale di un esenzione per redditi di fonte estera a condizione che questi redditi
siano stati assoggettati a tassazione nello stato della fonte.
Quindi con questo metodo abbiamo lo stato della residenza che decide di non tassare un determinato
cespite a condizione che quel cespite sia stato assoggettato a tassazione nello stato della fonte.
Molto imposta e il concetto di assoggettato a tassazione perché non prevede il fatto che il tributo all’estero
sia stato effettivamente pagato.
Quindi se in una fattispecie in cui lo stato della fonte è Francia e stato della residenza è italia, italia se
sceglie il metodo dell’esenzione può prevedere che rispetto a quella fattispecie reddituale si astiene dal
tassare a patto che su quella fattispecie reddituale il soggetto sia assoggettato a tassazione nello stato della
fonte.

Esenzione può esser piena o con progressione :


Piena si ha quando lo stato della residenza non applica e non opera alcun riferimento all’aliquota
applicabile a livello domestico rispetto al reddito prodotto a livello mondiale.
Lo stato della residenza elimina dal computo del reddito complessivo il reddito prodotto all’estero, quindi
non entrando nell’ambito del reddito complessivo, il soggetto avrà anche un abbattimento dell’aliquota
marginale in quanto non si conta il reddito prodotto all’estero.

Con progressione: la tassazione sul reddito domestico non esente va fatta secondo l’aliquota che si
sdarebbe applicata se l’imposta fosse stata computata su base mondiale, quindi il reddito di fonte estera
viene conteggiato nel reddito complessivo, si trova l’aliquota marginale corrispondente a tutti i redditi

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Francesco Gruppelli
prodotti nel mondo ma poi si depura la tassazione e si eliminano i redditi prodotti all’estero applicando
però l’aliquota marginale come si quei reddito fossero stati prodotti sul suolo di residenza.

Metodo del criterio d’imposta


Adottabile da parte dello stato della residenza.
Prevede che il tributo effettivamente versato all’estero venga riconosciuto come detraibile dall’imposta
dovuta a livello domestico sul reddito prodotto su base mondiale.
Quindi lo stato della residenza attribuisce in sede di calcolo del tributo un credito, pari al tributo
effettivamente versato all’estero.

Il credito di imposta può essere pieno, nel caso in cui il credito sia misurato sul tributo effettivamente
pagato all’estero, quindi lo stato della fonte recepisce la misura adottata liberamente dallo stato estero,
oppure può essere ordinario, quando la detraibilità viene limitata alle imposte che sarebbero dovute se
quel reddito invece che all’estero fosse stato prodotto sul suolo domestico.
Se l’avesse prodotti in italia quel imposte avrebbe scontato ? Se le imposte in Francia sono superiori
rispetto alle imposte che avrebbe prodotto in Italia, questa eccedenza costituisce un credito che se il
sistema lo prevede può essere riportato negli anni successivi

Metodo della deduzione


Le imposte pagate nello stato della fonte si considerano deducibili dal reddito prodotto a livello mondiale,
quindi si finge che le imposte assolte all’estero siano un costo deducibile, e come sappiamo dall’analisi del
calcolo dell’Irpef, il fatto che un costo venga considerato deducibile non elimina del tutto la rilevanza di
quel costo, l’impatto di quel costo nell’ambito del calcolo del tributo, e quindi il metodo della deduzione
elimina solo parzialmente la duplice imposizione.
Generalmente si applica quando i due rimedi precedenti non si applicano.

Tre metodi che possiamo trovare negli ordinamenti nazionali, ciascuno stato unilateralmente per prevenire
la duplice imposizione giuridica internazionale, può adottare uno di questi tre metodi.

In parte troviamo nelle convenzioni, se leggiamo i trattati sottoscritti dagli stati sovrani, troviamo per
eliminare la duplice imposizione internazionale giuridica troviamo tre metodi:
Il metodo dell’esenzione, piena e con progressione, identico a quello che abbiamo esaminato.
Il metodo del credito d’imposta, pieno o ordinario, identico.
Il ‘ tax sparing credit ‘, metodo adottato soprattutto dagli stati in via di sviluppo per attrarre investimenti
esteri. Prevede che lo stato della fonte attribuisca un credito pari alle imposte o alle ritenute applicate che
di fatto vengono neutralizzate.
Metodo adottato dai paesi in via di sviluppo perché sono generalmente paesi della fonte, se i ricchi
investitori hanno la residenza in Europa/USA ecc, gli investimenti vengono fatti nei territorio a più bassa
fiscalità che identificano stati generalmente in via di sviluppo e attraverso il sistema del tax sparing credit,
quindi di un credito pari alle imposte o ritenute che lo stato della fonte sarebbe legittimato ad applicare,
attraverso questo metodo si attraggono investimenti dei ricchi investitori esteri.

Rimedi alla duplice imposizione internazionale economica


Quindi al caso paradigmatico dei dividendi, sitemi cioè che prevedono una tassazione di un cespite in capo
alla persona giuridica che l’utile e parallelamente una tassazione in capo al soggetto che riceve quell’utile
quando l’utile viene distribuito.
Questo fenomeno di duplice imposizione economica può essere interno quando la società produce l’utile e
il socio sono entrambi residenti nello stato stato può essere internazionale quando ovviamente la persona
giuridica che produce l’utile e il socio sono residenti in due stati diversi.

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Francesco Gruppelli
Metodi per ridurre o eliminare la doppia imposizione economica internazionale sono 3:

Il sistema dell’imputazione: riconosce al socio un credito di imposta pari all’intero ammontare del tributo
pagato dalla società che distribuisce quell’utile. Cioè un credito di imposta su i dividendi. La tassazione che
grava sulla società che distribuisce l’utile viene neutralizzata attraverso l’attribuzione al socio di un importo
pari all’importo pagato dalla società che ha distribuito quell’utile.
Questo sistema prevede qualche problema ed è per questo che in Italia è stato abbandonato.

Il sistema cedolare: prevede una tassazione inferiore per i dividendi percepiti dal socio rispetto alla aliquota
che normalmente avremmo dovuto applicare ai fini della determinazione del reddito del socio, quindi il
sistema cedolare è un sistema più netto nel prevedere una misura fissa o un aliquota ridotta rispetto
l’aliquota marginale che normalmente avremmo dovuto applicare e questo sistema quindi riduce la duplica
imposizione che invece avremmo qualora considerassimo i dividendi nel novero del reddito complessivo del
soggetto e andassimo ad applicare l’aliquota marginale.

Il sistema della deduzione: questo sistema, come quanto già visto per la doppia imposizione internazionale
giuridica, considera come una spesa inerente i dividendi distribuiti in capo alla società che li distribuisce,
quindi la società distribuisce il dividendo e nello stesso tempo rispetto alla tassazione che grava su
quell’utile ha diritto ad una deduzione come se il dividendo distribuito fosse un costo inerente, un
componente negativo che incide nella determinazione del reddito di impresa.

Lezione 31.2

Trattati contro le doppie imposizione


Circa 97 quelle sottoscritte dall’Italia.
Accordi internazionali vengono ratificati con legge formale ordinaria, quindi dal punto di vista della
gerarchia delle fonti dovrebbe stare nello stesso livello delle fonti di rango ordinario, leggi e atti di fonte
parlamentare.
Tuttavia si applica rispetto ai tratti fiscali un principio che dice che va data applicazione preferenziale alla
norma speciale rispetto a quella generale. Quindi se norma generale è l’intero impianto normativo del
sistema fiscale italiano, norma speciale è l’accordo specifico concluso dall’Italia con quel determinato stato
estero.
In virtù di questo principio la norma di fonte convenzionale Italia Francia prevale sull’intero impianto
normativo domestico.
Questo principio di specialità, e quindi di prevalenza della norma convenzione, trova altresì conforto da
quanto dispone l’articolo 117 della costituzione che ci dice che ‘la potestà legislativa esercitata dalla stato e
dalle regioni nel rispetto della costituzione, dai vincoli che ne derivano dall’ordinamento comunitario e
dagli obblighi internazionali’
Costituzionalizzato un principio che ci dice che se lo stato italiano ha sottoscritto un accordo con uno stato
sovrano estero va rispettato l’obbligo internazionale, e quindi la rinuncia alla sovranità impositiva che
l’Italia ha fatto decidendo di concludere una norma con un altro stato impositore che è volta a delineare o
ridurre la duplice imposizione internazionale, rispetto a sulla auto limitazione che ha fatto l’Italia bisogna
dare seguito e quella norma convenzionale va rispettata in via preferenziale.

Che cosa troviamo nelle norme convenzionali ?


Rispetto alle tipologia di norme che avevano visto quando abbiamo parlato della fonte convenzionale ci
interessano in questo momento quelle particolari norme che costituiscono poi il cuore delle norme
convenzionali e ripartiscono la potestà tributaria.
Troviamo quindi un elenco di fattispecie a rilevanza fiscale, quindi ad esempio dividendi che vanno dallo
stato della fonte allo stato della residenza, royalties che vanno dallo stato della fonte allo stato della
residenza, tutto un insieme di situazione a rilevanza fiscale rispetto alle quali attribuisce in modo univoco ai
due stati contraenti la qualifica di stato della fonte o di stato della residenza.

246
Francesco Gruppelli
Quindi la norma convenzionale rispetto alla situazione che si determina tra il soggetto residente in italia che
possiede un immobile a Parigi, la norma convenzionale può dire in modo univoco che la Francia è lo stato
della fonte è l’Italia lo stato della residenza.
La norma convenzionale ripartisce la potestà tributaria rendendo nulle quelle disposizioni di diritto interno
sui criteri di collegamento.

Affinché vi sia tassazione serve anche che l’Italia abbia all’interno del proprio corpus normativo una norma
sostanziale che dice che quella determinata fattispecie è tassata con una determinata aliquota in un
determinato modo.
Le norme convenzionali e le norme pattizie credano esclusivamente un criterio di collegamento, ma non
determinano la tassazione sostanziale, perché ai fini serve sempre una norma domestica, di fonte
nazionale.
Sulla base di quello che abbiamo visto dei tre casi sulla base dei quali si può determinare una duplice
tassazione, adesso è evidente il caso in cui si può determinare una duplice tassazione anche in presenza di
convenzione, perché se la convenzione è univoca nel dire che lo stato italia è lo stato della residenza e lo
stato Francia quello della fonte, e quindi la convenzione esclude la duplice imposizione determinata dalla
duplicità di stato della residenza e fonte.
Tuttavia non esclude il caso di duplice imposizione internazionale determinata dal concorso di tassazione
dello stato di residenza da un lato e dallo stato della fonte dall’altro.

Procedimento di applicazione delle norme convenzionali


La prima cosa che dobbiamo fare è qualificare il reddito, e per farlo non abbiamo altro che la norma
interna, in prima battuta guardiamo al nostro ordinamento e ci chiediamo se è territorialmente rilevante il
cespite che ho prodotto ? L’immobile che io detengo a Parigi, è territorialmente rilevante per determinare
un imposizione da parte del fisco italiano ?
Se non ci fosse una norma come quella sugli immobili situati all’estero diremmo no e quindi non avremmo
nessuna tassazione. La fattispecie reddituale possesso di immobile all’estero non è disapplicata dal nostro
ordinamento e quindi nessuna tassazione.

Se invece è rilevante come lo è nel nostro sistema ci dobbiamo porre la questione ‘ è imponibile sulla base
di un norma interna ? Oltre ad essere territorialmente rilevante c’è una norma impositiva che
effettivamente assoggetti a tassazione quel cespite ?
Se la risposta è no allora non c’è nessuna tassazione. Se la risposta è si dobbiamo andare a vedere se
rispetto a quella fattispecie che presenta elementi di estraneità al nostro ordinamento, quindi l’immobile
situato al di fuori dei confini del mio stato nazionale, c’è una convenzione, se cioè nel territorio in cui è
localizzato un immobile lente di quello stato ha concluso un accordo internale con il mio stato nazionale e
se ha conculco un accordo ed è prevista una norma convenzione e questa norma prevede una determinata
tassazione è compatibile la tassazione domestica con la norma convenzionale ?
Se la misura di tassazione prevista dalla norma del trattato è superiore alla tassazione che avrei seguendo la
norma domestica io vado a tassare il mio cespite così come mi dice la norma interna, questo perché la
norma convenzionale non è di limite all’imposizione su base domestica.

Se invece la norma convenzionale prevede un limite alla tassazione e quindi preclude l’applicazione delle
norma domestica che invece assoggetta a tassazione quella fattispecie che presenta elementi di estraneità
dobbiamo porci ulteriore quesito se il soggetto possa invocare la convenzione, se cioè il soggetto soddisfi
quei presupposti fissati dal trattato rientri nei limiti convenzionali e fissati dalla norma del trattato per
godere della tassazione ridotta su base convenzionale.
Se non ho i requisiti previsti dal trattato tornerà ad essere pienamente applicabile la norma domestica,
quindi seguo la tassazione esclusivamente su base nazionale, se invece soddisfo i criteri previsti dal trattato
ovviamente posto che la norma del trattato prevale sulla norma interna, devo rispettare la norma del
trattato e sarà precluso al fisco italiano assoggettare a tassazione quella fattispecie sulla base di una
aliquota superiore a quella dettata dalla norma convenzionale.

247
Francesco Gruppelli
Questo a condizione che le norme e presumendo che le norme di un trattato siano sempre più favorevoli
rispetto alle norme domestiche e questo è quello che generalmente avviene.
Generalmente le norme che troviamo nei trattati sono sempre più favorevoli ai contribuenti rispetto alle
norme impositive interne, ed è per questo che i contributi cercano di soddisfare i presupposti applicativi
degli accordi internazionali per ridurre e sfuggire alle imposizioni interna e questo quindi ci dice che anche
le norme dei trattai possono essere oggetto di elusione o abuso, quindi posso fare di tutto per soddisfare i
requisiti di una norma convenzionale per goderne i benefici.

Se invece accade che la displica di fonte interna è più favorevole a me contribuente della disciplina del
trattamento fiscale che io rinvengo nel trattato, sulla base dell’articolo 169 del TUIR io devo dare
applicazione alla norma più favorevole del contribuente.
Articolo 169 del TUIR dice che le disposizioni del TUIR si applicano se favorevoli al contribuente, anche in
deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione.
Quindi se sulla base del principio costituzionale, del principio della lex specialis devo dare sempre
prevalenza all’applicazione della norma convenzionale, se il trattamento domestico ai fini fiscali è a me più
favorevole l’articolo 169 mi consente di applicare sempre la tassazione più bassa anche in deroga agli
accordi internazionali.
Articolo 75 dpr 600 del 73, tuttavia è una norma pleonastica che ci dice che ‘nell’applicazione delle
disposizioni concernenti le imposte sui redditi sono fatti salvi gli accordi internazionali resi esecutivi in
Italia’. Norma potrebbe anche non esserci perché abbiamo il principio costituzionale che ci dice già che
prevalgono le norme derivanti da trattato.

I trattati e le norme delle convenzioni sono costruite sulla base di un modello che è stato elaborato dai
lavori delle societa delle nazioni, dall’OCSEE e dall’istituzione dell’OCSE. Modello che costituisce un
benchmark di riferimento, un paradigma di riferimento. Se due stati sovrani decidono di ispirarsi, per
redigere la convenzione, a questo modello noi troveremo elencate delle norme che più o meno si
somigliano tutte in quanto elaborate sulla base di quanto raccomandato in sede OCSE.
Questi modelli a partire dal 1963 sono oggetto di continuo aggiornamento, la comunità internazionale, i
paesi che siedono a Parigi alla sede dell’OCSE partecipano quotidianamente a discussioni su come
strutturare le norme di diritto internazionale tirbutario e aggiorneranno periodicamente le norme
contenute in questa convenzione tipo.

Oltre al modello OCSE ci sono altri modelli a cui uno stato sovrano può ispirarsi, modello dell’ONU, modello
Andino, modello redatti da alcune amministrazioni fiscali. L’Italia si è ispirata al modello OCSE.

Il modello OCSE è articolato in 31 paragrafi ed è corredato da un commentario, oltre al modello fornisce


tutta una serie di indicazioni interpretative per applicare e implementare.
Le funzioni sono di eliminare la duplice imposizione, eliminare le controversie internazionali, prevenire e
combattere l’evasione.

La funzione primaria, come dice la rubrica convenzioni contro le doppie imposizioni, è quella di eliminare la
doppia imposizione, fenomeno particolarmente dannoso che ha effetti negativi sugli investimenti e rende
inefficiente l’allocazione delle risorse.

Una seconda funzione che svolge è quella di prevedere degli strumenti all’interno delle norme del modello
OCSE per risolvere i conflitti interpretativi che possono sorgere su fattispecie trans-nazionali.
Tutto il problema del diritto tributario internazionale è come tassare il reddito trans-nazionale, che
fuoriesce dai confini nazionali e che attira le pretese tributarie e che attira l’interesse di più paesi.
Rispetto a tale problema la comunità internazionale in sede OCSE si pone il problema di ripartire la
sovranità tributaria in relazione alle diverse fattispecie.

248
Francesco Gruppelli
Infatti un modo molto avanzato di riuscire a prevenire problemi interpretativi e applicativi in relazione alle
fattispecie trans-nazionali lo troviamo nell’ambito di alcune norme del modello OCSE come quelle sullo
scambio di informazioni.

Terza funzione è quella di scongiurare l’evasione fiscale con riferimento alle fattispecie che destano più
allarme a livello internazionale, che sono le fattispecie relative ai redditi trans-nazionale.

Nel modello di convenzione OCSE ci sono sette capitoli che ospitano 31 articoli, importante ricordare che
come troviamo indicato all’articolo 2 dei trattati sottoscritti dall’Italia ispirati al modello OCSE, il modello
riguarda esclusivamente le imposte sul reddito e sul patrimonio, quindi parliamo di fiscalità diretta.

Altra norma importante è l’articolo 1, il quale delimitata lambito soggettivo di applicazione delle norme del
trattato, perché l’articolo 1 ci dice che quel trattato si applica solo alle persone che sono residenti in uno o
entrambi gli stati contraenti. Articolo 1 quindi introduce già il concetto di persona residente.

All’articolo 3 il modello di OCSE ci da una definizione di che cosa si intenda persona, definizione importante
e ce ne sono altre, in quanto questo modello si preoccupa di definire il termine che utilizza.
Fondamentale nel quadro internazionale posto che rispetto ad un medesimo concetto nomenclature di
stati diversi possono attribuire significati giuridici diversi.

Molto importante anche alla luce dell’interpretazione che dobbiamo dare alle norme contenute di un
trattato, in quanto essendo norme di un trattato dobbiamo applicare tutto lo strumentario interpretativo
che ci viene fornito dalla convenzione di Vienna, convenzione sull’interpretazione dei trattati. Norma
fondamentale di tale convenzione in materia di interpretazione dei trattati, contenuta all’articolo 31
paragrafo 1, che ci dice che un trattato deve essere interpretato in buona fede, in conformità al significato
da dare ai termini del trattato nel loro contesto ed alla luce dei relativi oggetto scopo.

Altra valenza interpretativa importante è quella del commentario elaborato dall’OCSE, che ha una valenza
interpretativa molto importante perché l’OCSE specifica qual è nel dettaglio il contenuto degli articoli del
modello.
Va detto che non è uno strumento giuridico, quindi dal punto di vista giuridico non è vincolare, ha una mera
valenza interpretativa, comunque molto importante perché nell’ambito internazionale dove stati sovrani si
muovono e agiscono sulla base di nomenclature giuridiche specifiche, è importante un lessico comune.

Articolo 1, ambito soggettivo di applicazione delle norme dei trattati, dice che la presente convenzioni si
applica alle persone residenti di uno o entrambi stati membri.
Se voglio beneficiare delle norme del trattato di Italia Francia, e nel trattato di tali paesi c’è una disposizione
di questo tenore, dovrò essere considerato residente o in Italia o in Francia.
Se sono considerato residente sia in italia, sulla base delle norme di diritto interno italiane, sia in Francia,
sulla base delle norme di diritto interno francesi, si ha un caso di duplice residenza.

Per prevenire la duplice residenza l’articolo 4 del modello di convenzione ocse identifica le tie-breaker-
rules, ovvero per attribuire in modo univoco ad uno dei due paesi la qualifica di stato della residenza viene
formulato dall’OCSE un elenco ordinato di criteri che guidano l’interprete per attribuire rispetto a quella
specifica situazione, ad esempio criterio dell’abitazione permanente, centro degli interessi vitali, luogo di
soggiorno abituale, nazionalità.
In caso questi criteri non consentano di stabilire in modo univoco qual è lo stato di residenza, sarà
l’accordo tra le amministrazioni fiscali a stabilire la residenza.

Una norma sostanziale interessante è la norma sugli studenti, all’articolo 21 del trattato Italia Francia
prevede una norma di questo tipo, la quale dice che se uno studente residente nello stato a si sposta nello

249
Francesco Gruppelli
stato b per andare a studiare op svolgere un tirocinio, lo stato b non assoggetta a tassazione le somme per
istruzione che provengono da fonti fuori dallo stato b.

Importante è anche l’articolo 26 dell’OCSE sullo scambio di informazioni. Importante perché ci dice che se
due stati sottoscrivono una norma come l’articolo 26 del modello di convenzione OCSE, le amministrazioni
fiscali di questi due stati instaurano un dialogo per scambiarsi informazioni necessarie non solo
all’applicazione delle norme pattizie ma anche delle norme fiscali interne, quindi se l’Italia sottoscrive con la
Francia una calcola come questa, l’amministrazione fiscale italiana è legittimata a chiedere assistenza e
chiedere informazioni all’amministrazione fiscale francese non solo ai fini della tassazione e fattispecie
convenzionali, delle situazioni codificate nell’ambito del trattato Italia Francia, ma anche per effettuare
controlli e verifiche delle norme del TUIR.

Lo scambio dei informazioni avviene in tre modi:


Modo più diffuso è lo scambio su richiesta, un amministrazione fiscale formula una istanza rispetto ad
un'altra amministrazione fiscale di uno stato estero, in relazione ad una fattispecie specifica.

Seconda modalità è lo scambio automatico, se c’è una accordo tra gli stati questi due stati si trasmettono
regolarmente senza previa richiesta tutta una serie di informazioni e quindi due amministrazioni fiscali
nazionali possono decidere che in relazioni alle fattispecie più sensibili e soggette a rischi di evasione, tutta
una serie di informazioni verrano trasmesse tra le parti.

Terza modalità è lo scambio spontaneo, se uno stato ritiene che alcune informazioni siano utili per
l’accertamento fiscale, per i controlli svolti dall’amministrazione fiscale di un altro stato può sulla base
dell’articolo 26 trasmettere queste informazioni, anche se non c’è un obbligo nulla impedisce che avvenga
uno scambio spontaneo di informazioni.

Ci sono dei limiti allo scambio di informazioni ?


Si, sulla base dell’articolo 26 se uno stato viene richiesto di effettuare controlli e verifiche e di trasmettere
queste informazioni di interesse per lo stato partner firmatario dell’articolo 26, non è tenuto a derogare alla
propria legislazione per rintracciare quelle informazioni, quindi se la Francia mi richiede un determinato
dato su un contribuente residente ai fini fiscali in Francia, lo stato italiano non è tenuto a superare tutte
quelle norme che regolamentano l’acquisizione in fase endoprocedimentale come quelle che abbiamo
studiato all’articolo 12 dello statuto dei diritti del contribuente.
Ne la Francia, ne l’Italia può fornire informazioni alla Francia, che la Francia sulla base della propria
legislazioni interna non avrebbe potuto ottenere, quindi la Francia nel momento in cui invia una richiesta di
informazioni all’Italia, non può richiedere delle informazioni che la Francia, se fossero disponibili sul suolo
francese, non avrebbe la possibilità di ottenere.

Un altro importante limite è quello che riguarda i segreti commerciali, industriali, professionali, segreti che
riguardano l’ordine pubblico ecc costituiscono un limite e rendono impossibile la trasmissione
dell’informazione.

Infine l’articolo 26 pone una clausola e tutela l’invio e l’utilizzo delle informazioni, informazioni scambiate
sono infatti riservate e confidenziali.
Questi due attributi hanno un valore semantico e un significato giuridico diverso: con riservato dobbiamo
indicare che quell’informazione viene scambiata e rivolta esclusivamente a te, informazione trasmessa
dallo stato a allo stato b e quindi indirizzata solo allo stato b.
Con confidenziale intendiamo che lo stato b nel momento in cui riceve un informazione non la puoi
trasmettere allo stato c.

Sono consentiti scambi triangolari ?

250
Francesco Gruppelli
Se lo stato a e lo stato b hanno concluso un trattato, e lo stato a e lo stato c hanno concluso un altro
trattato, nell’ipotesi in cui a ottenga informazioni da b sulla base del trattato e queste informazioni possono
essere di interesse per c, può a trasmetterle a c?
Sulla base della formulazione dell’articolo 26 non è possibile il passaggio triangolare delle informazioni,
quindi informazioni che a ottiene a b non la può trasmettere a c a causa della formulazione dell’articolo 26.
Nulla esclude però che gli stati possano derogare a questa formulazione dell’articolo 26 e prevedere
espressamente la transitorietà della informazione.

Ci sono altri strumenti di diritto internazionale, ci sono direttive in ambito europeo che ovviamente
prevedono tra gli stati membri dell’Unione europea la possibilità di uno scambio di informazioni più ricco e
proficuo.

Lezione 32.1
Imposta sul valore aggiunto, IVA
È un tributo ideato in sede europea, introdotto in tutti gli stati membri sul modello delineato da due
direttive del 1967 che poi sono state trasfuse in una direttiva del 2006.
È molto importante dire questo perche la disciplina di fonte interna, il dpr 633 del 72 costituisce una norma
interna di recepimento della disciplina comunitaria.
Importante dal punto di vista dell’applicazione del tributo, perché essendo l’IVA una risorsa propria
dell’Unione europea, gli stati membri sono tenuti a devolvere parte del gettito iva alle casse dell’Unione
europea per il funzionamento del sistema, tutte le volte in cui la disciplina interna si discosta da quella
comunitaria può sorgere un problema interpretativo e applicativo, e questo problema può essere devoluto
alla cognizione del giudice europeo, corte di giustizia che siede a Lussemburgo, unico interprete autentico.
Tutte le volte che c’è una possibile difformità tra disciplina comunitaria e interna il giudice comunitaria
tende a privilegiare l’interpretazione recata dalla disciplina comunitaria.

Il fatto che l’IVA costituisca una risorsa propria dell’Unione europea pone anche dei limite all’interprete nel
momento in cui da applicazione alla disciplina di fonte interna, perché il giudice italiano deve disapplicare
quelle norme italiane come ad esempio quelle sulla prescrizione, nel caso in cui il reato riguardi la frode iva.
Essendo iva un tributo che aumenta le casse dell’Unione europea, per gli eventuali reati commessi, come
ad esempio nel caso di frodare il fisco evadendo il pagamento del tributo, non sono applicabili le norme
penali della prescrizione, va perseguito nel modo più ottimale ed efficace.

La disciplina di fonte interna deriva dalla disciplina comunitaria impedisce al legislatore italiano ad esempio
di prevedere un condono iva, rinunciare a parte del gettito devoluto a istituzione dell’Unione europea non è
consentito.

Articolo 53 della costituzione non individua un indice di capacità contributiva, nel caso dell’IVA l’indice di
capacità contributiva è il consumo, infatti l’IVA è un imposta generale sui consumi, il cui calcolo si basa
sull’incremento di valore che un bene o un servizio acquista ad ogni passaggio economico, valore aggiunto
che rispetto al bene o al servizio viene aggiunto dall’imprenditore o lavoratore autonomo a partire dalla
produzione fino ad arrivare al consumo finale del bene o del servizio.
Il fatto che mi posso permettere di acquistare un bene soggetto ad iva è espressivo della mia forza
economica e in quanto tale è legittima l’imposizione.

251
Francesco Gruppelli
Dal punto di vista economico e funzionale possiamo dire che oggetto del tributo è il consumo, il fatto che
un consumatore possa accedere ad acquistare un determinato bene o servizio.

Ma se analizziamo il tributo dal punto vista giuridico l’IVA può essere meglio definita come un imposta sullo
scambio, un imposta cioè che colpisce tutte le forniture di beni e servizi effettuate da imprenditori e
lavoratori autonomi.
Quindi dal punto di vista economico oggetto del tributo è il consumo, dal punto di vista giuridico
presupposto del tributo è lo scambio.

Questo presupposto è individuato dal legislatore sulla base di tre requisiti, presupposto soggettivo, ovvero
che lo scambio deve essere effettuato da un impresa o un lavoratore autonomo, presupposto oggettivo,
ovvero cessione di beni o prestazione di servizi, e un presupposto territoriale, ovvero l’operazione deve
essere considerata rilevante ai fini territoriali in Italia.

Per quanto riguarda il meccanismo applicativo, quando parliamo di iva parliamo sempre di un rapporto
trilaterale, rapporto cioè che prevede il coinvolgimento sempre di tre soggetti:
 soggetto imprenditore o lavorare ore autonomo che è il soggetto passivo del tributo, tenuto al
pagamento e versamento del tributo all’erario.
 Soggetto che esprime la capacità contributiva, soggetto che chiede la cessione del bene o prestazione di
servizio, il cliente che è anche il soggetto inciso dal tributo ma che non è il soggetto passivo.
 M
Per il soggetto passivo il tributo resta neutrale. Infatti colui che cede il bene o servizio acquista il diritto di
detrarre l’imposta pagata sui suoi acquisti, diritto di detrazione sull’IVA che questo soggetto passivo ha
assolti sugli acquisti che ha effettuato e ha altresì il diritto di addebitare in via di rivalsa sul cliente il carico
fiscale del tributo. Per il soggetto passivo l’IVA non rappresenta un costo, è semplicemente chiamato a
versare l’IVA però che è addebitata al cliente che acquista il bene o il servizio che il soggetto passivo
effettua e ha anche il diritto di detrarre l’IVA che il soggetto passivo ha assolto rispetto ai suoi acquisti.

Sul contribuente di diritto gravano gli oneri di dichiarazione dell’IVA e di versamento dell’IVA che incassa
dal cliente, per l’imprenditore se l’operazione è iva imponibile l’operazione non rappresenta alcune costo.

L’operazione è neutrale, perché appunto il tributo grava esclusivamente sull’effettivo utilizzatore del bene o
del servizio, non incide in nessuna fase di commercializzazione, liva cioè è neutrale rispetto al meccanismo
degli scambi.
La catena di produzione e distribuzione di un bene può esser è molto lunga e cioè che si va a colpire
attraverso liva è esclusivamente il valore aggiunto, cioè quanto ciascun imprenditore e professionista
imprime rispetto al bene o servizio, solo quel valore aggiunto è oggetto di tassazione.

L’IVA quindi è un imposta generale sui consumi calcolata in base all’incremento di valore che un bene o
servizio acquista ad ogni passaggio economico.
Questo incremento viene calcolato a partire dalla produzione del bene o servizio fino al consumatore finale,
ed è proprio il consumatore finale il soggetto su cui grava il tributo.
Per tutti gli altri soggetti passivi, imprenditori e professionisti che intervengono nella catena di produzione e
distribuzione liva resta neutrale.

Il tributo va a colpire esclusivamente il valore aggiunto che ciascun imprenditore imprime sul bene, quindi
usl 100% che costituisce il totale del valore del bene, noi andremo a vedere qual è il carico effettivo
impositivo che graverà sul consumatore finale.

L’imprenditore professionisti sono soggetti rispetto ai quali il tributo non costituisce un costo, perché il
professionista è tenuto a pagare l’IVA sugli acquisti di beni e sevizi ma si può rifare sul proprio cliente, e

252
Francesco Gruppelli
quindi l’IVA che ha versato il professionista sui propri acquista ha diritto a detrarla con liva addebitata dal
cliente con la liquidazione periodica del tributo.

Esempio: sleides 21.00

Molto importante quindi distinguere il soggetto passivo iva dal consumatore finale, perché per il soggetto
passivo iva è neutrale, lavoro e imprenditore autonomo infatti recupera l’imposta sugli acquisti, acquisendo
un credito di imposta verso lo stato, esercizio del diritto di detrazione e recupera l’imposta dovuta allo stato
grazie al diritto di rivalsa nei confronti del cessionario, di colui che chiede il bene o il servizio, rispetto a
questo soggetto il soggetto passivo iva è creditore in via di rivalsa.
Viceversa il consumatore finale acquista il bene con iva e non recupera l’imposta pagata al venditore, il
consumatore finale è un soggetto che effettua solo operazioni di acquisto ed è debitore nei confronti del
cedente, del suo prestatore.

Caratteristiche dell’IVA
Tributo neutrale perché grava soltanto sull’effettivo utilizzatore finale del bene o servizio.
Tributo trasparente perché mi consente di quantificare immediatamente ed esattamente l’ammontare del
tributo in qualunque stadio di commercializzazione.
Tributo che colpisce il valore aggiunto, colpisce cioè solo il valore che ciascuna fase del processo produttivo
e distributivo aggiunge al bene.
Tributo generale perché non è limitato a particolari fattispecie.
Si basa sul conflitto di interessi tra fornitore e cliente non consumatore finale, perché il cessionario del bene
o servizio è interessato all’emissione della fattura per esercitare questo diritto di rivalsa.

È un imposta plurifase, che noi andiamo ad applicare ad ogni passaggio del ciclico produttivo e distributivo.
Queste imposte possono essere cumulative o non cumulative: le prime, dette a cascata, sono imposte
rispetto alle quali il tributo si considera dovuto in ciascuna fase e si somma di fase in fase. Più è lungo il
cigliò più il tributo aumenta.
Iva invece è un imposta plurifase non cumulativa, in quanto l’imposta dovuta in ciascuna fase non si somma
a quelle dovute nelle altre fasi.

Ultima caratteristica, liva è un tributo a pagamenti frazionati, ad ogni passaggio il fiso incassa una frazione
del tributo complessivo dovuto, liva riscossa in ciascuna fase del processo di produzione, distribuzione e
vendita al minuto.

Presupposti del tributo


Affinché scatti l’IVA devono essere rispettati tre presupposti
 Presupposto oggettivo, cioè trattare una cessione di beni o servizi
 Presupposto soggettivo, l’operazione deve essere effettuata nell’esercizio di impresa, arti o professioni.
Quindi non sono soggetti ad iva le vendite effettuate tra privati.
 Presupposto territoriale, l’operazione soggetta ad iva deve essere effettuata all’interno del territorio
dello stato.

Analizziamo bene i primi due:

Presupposto oggettivo
Viene definito agli articoli 2 e 3 del dpr 633 del 72 che recepisce le direttive iva.

Sulla base dell’articolo 2 si considerano cessioni di beni tutti gli atti a titolo oneroso che siano traslativi della
proprietà o costitutivi e traslativi di diritti reali di godimento.
253
Francesco Gruppelli
Viceversa le prestazioni di servizi sono definiti all’articolo 3 del dpr 633 e questa norma definisce le
prestazioni di servizi rilevanti a fini iva come le prestazioni verso corrispettivo, dipendenti da contrati
d’opera, appalto, trasporto.
C’è un elenco di operazioni di contratti tipici e poi c’è una norma di chiusura, la quale ci dice che in genere
tutte le obbligazioni di fare, non fare, permettere, qualunque ne sia la fonte, costituiscono come prestazioni
di servizi.

Cessioni di beni:
Ai fini dell’imponibilità iva le cessioni di beni può essere un bene di ogni genere, sia materiale che
immateriale, sia mobile che immobile.
L’importante è che la cessione avvenga a titolo oneroso. Dal punto di vista giuridico il tributo colpisce lo
scambio, e c’è scambio solo quando due soggetti effettuano delle controprestazioni reciproche, quindi io ti
cedo un bene ma tu mi cedi qualcos’altro, che può essere denaro o altri beni.

Rispetto alla cessioni di beni immateriali, sulla base del dettato dalle direttive comunitarie vanno
considerate e qualificate come prestazioni di servizi, se cedo un marchio o un brevetto quel tipo di
oprazione ai fini iva non la devo qualificare come cessione di beni ma come prestazioni di servizi.

Rispetto a questa nozione ampia di cessioni di beni dobbiamo escludere, per disposizione di legge, le
cessioni di denaro quando questo denaro non ha natura di controprestazioni.
Così pure il trasferimento di beni in dipendenza di operazioni societarie, fusioni, scissioni, riorganizzazioni,
nelle quali vige un regime di neutralità.
Non è soggetta ad iva nemmeno là cessione di terreni non edificabili, valori bollati e postali, le cessioni che
riguardano beni oggetto di manifestazioni a premio.

In termini generali possiamo dire che con cessioni di beni rilevante ai fini iva dobbiamo intendere tutti gli
acquisti a titolo derivativo e traslativo della proprietà. Nel momento in cui io acquisto il potere di disporre
dal punto di vista giuridico di un bene, questa operazione costituisce una cessione di beni rilevante ai fini
iva.
Rispetto a questa nozione dobbiamo escludere gli atti di acquisto a titolo originario, quindi la cessione,
usucapione e comodato sono ipotesi che fuoriescono dal perimetro di tale nozione.

Sono quindi rilevanti e costituiscono cessioni di beni tutti gli atti giuridici che comportano un trasferimento
dietro corrispettivo, è necessario che l’operazione sia a titolo oneroso. Rientrano in questo concetto anche
gli atti di trasferimento coattivi.
Dobbiamo invece tenere esclusi dal campo iva i contratti di pegno e l’ipoteca in quanto costituivi di diritti
reali di garanzia e non di diritti traslativi, reali e di godimento.

Anche gli atti costitutivi e traslativi che abbiano a monte una coazione, come l’espropriazione per pubblico
interesse o per pubblica utilità rientrano nel campo di applicazione iva.

Vanno invece escluse in quanto avente natura risarcitori e non rientranti nella nozione di corrispettività le
indennità per l’occupazione temporanea.

Oltre a quesrta nozione ampia di cessioni di beni l’articolo 2 si preoccupa ad individuare delle operazioni
assimilate alle cessione di beni, delle operazioni che fanno scattare i presupposto del tributo.
Un operazione assimilata importante è la vendita con riserva di proprietà, ipotesi in cui il compratore
acquista i diritto di proprietà con il pagamento dell’ultima rata.
Nel caso di vendita con riserva di proprietà l’effetto civilistico che abbiamo di sospensione del trasferimento
perché l’effetto reale si verificherà solo con il pagamento dell’ultima rata è irrilevante ai fini iva, quindi nel
momento in cui noi stipuliamo una vendita con riserva di proprietà è come se stipulassimo ai fini iva come

254
Francesco Gruppelli
cessione diretta del bene, non rileva il fatto che il diritto reale venga effettivamente trasferito con il
pagamento dell’ultima rata.

Assimilate alle cessione di beni sono anche le locazioni, in particolare le locuzioni con clausola di
trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti. In questo caso la norma di legge dispone che
sono soggette ad iva per l’intero valore del bene locato al momento in cui vengono poste in essere.
Se effettuo una locazione con clausola di trasferimento della proprietà devo pagare subito tutta liva, perché
per l’intero valore del bene locato l’operazione si considera iva rilevante.
Questo significa che se la locazione prevede il pagamento di un canone periodico, le quote di pagamento
del canone periodiche sono escluse dall’IVA perche essa è già stata versata subito su l’intero valore del
bene oggetto di locazione.

Se abbiamo detto che la regola generale è quello del corrispettivo, quindi la cessione di beni rilevanti ai fini
iva è quella che prevede la controprestazione rispetto al bene oggetto di trasferimento del diritto reale di
godimento, dobbiamo far rientrare nel campo di applicazione dell’IVA e quindi dobbiamo considerare
cessone di bene rilevante anche la cessione gratuita, questo in particolari ipotesi:
La prima ipotesi è quella relativa alla cessione di beni merce, oggetto dell’attività di produzione e scambio
dell’impresa, rispetto alla cessione gratuita di beni merce la regola dettata dal l’articolo due è quella
dell’imponibilità assoluta, quindi la cessione gratuita di un bene merce costituisce un operazione iva
rilevante.
Questo con l’eccezione però dei campioni di modico valore appositamente contrassegnati, sono i
camioncini omaggio.

I beni che non rientrano nell’attività propria dell’impresa, quindi non i beni merce, sono imponibili solo se il
loro valore supera i 50 euro.

È altresì rilevante l’autoconsumo esterno, non interno che intendiamo il fatto che il bene sia utilizzato
nell’attività imprenditoriale, che è la destinazione del bene al consumo personale o famigliare
dell’imprenditore, o comune la destinazione del bene ad una finalità diversa da quella relativa all’esercizio
di impresa.
L’abbiamo visto quando abbiamo studiato i redditi di impresa, tutte le volte in cui il bene dell’impresa
fuoriesce dal perimetro dell’impresa ci si deve accendere un allarme perché quel tipo di fuoriuscita del
bene è suscettiva di far scattare un presupposto impositivo al fine dei presupposti sui redditi.
Così è anche nell’ambito iva, la destinazione al consumo personale o famigliare, o comunque ad una finalità
estranea all’esercizio di impresa, compresa la cessazione dell’attività, costituisce un operazione iva rilevante
assimilata alla cessione dietro corrispettivo di un bene.
Perché le operazioni di autoconsumo dovrebbero essere considerate equiparate alle cessioni dietro
corrispettivo di un bene? Perché altrimenti l’autoconsumo godrebbe della detrazione a monte,
l’imprenditore potrebbe detrarre liva che ha versato a monte e non sarebbe gravato da alcun versamento
sull’IVA a valle.

Prestazioni di servizi
Seconda operazione che costituisce presupposto oggettivo del tributo è la prestazione di servizi che ci viene
definita dall’articolo 3 del dpr 63, il quale considera prestazione di servizi tutte le operazioni economiche
effettuate a titolo oneroso che non siano classificabili tra le cessioni di beni materiali, sono infatti soggetti
ad iva tutti quegli atti e operazioni che l’articolo 3 definisce attraverso una serie molto lunga di contratti
tipici disciplinati dal codice civile a cui aggiunge quella disposizione di chiusura in base alla quale tutte le
operazioni di fare non fare e permettere, qualunque ne sia la fonte, purché dietro corrispettivo, vanno
qualificate come prestazioni di servizi iva rilevanti.

255
Francesco Gruppelli
I contratti tipici elencati dall’articolo 3 sono il coltrato d’opera, l’appalto, trasporto, mandato, spedizione,
agenzia, mediazione, deposito.

Contratto d’opera l’abbiamo già visto quando abbiamo parlato del lavoratore autonomo, dicendo che tutti i
contratti d’opera costituiscono fonte giuridica e quindi presupposto per un reddito di lavoro autonomo.
Nel contratto d’opera, ci dice l’articolo 2222 del cc, il soggetto si obbliga a compiere verso corrispettivo un
opera o servizio con lavoro prevalentemente proprio senza vincolo di subordinazione

Apparso invece è il contratto in base al quale una parte di assume con l’organizzazione di mezzi necessari e
gestione a proprio rischio del compimento di un opera dietro corrispettivo.

Il mandato è il contratto attraverso il quale io mi obbligo a compiere uno o più atti giuridici nei confronti di
un altro soggetto, in questa tipologia contrattuale dobbiamo far rientrare la procura che il cliente ci da per
assisterlo nel processo tirbutario, il mandato alle liti, contratto cioè di diritto privato attraverso il quale il
contribuente incarica il professionista di assisterlo e rappresentarlo in giudizio.

Agenzia è il contratto attraverso il quale una parte assume l’incarico di promuovere per conto dell’altra la
conclusione di contratti.

Mediazione dove abbiamo la figura del mediatore, ovvero del soggetto che mette in relazione due o più
parti per la conclusione di un affare senza essere legato da rapporti tra questi soggetti.

Trasporto e spedizione sono contratti che differiscono per il fatto che nel primo il vettore si obbliga ad
eseguire il trasporto assumendo su di se i rischi dell’esecuzione, il contratto di spedizione invece prevede
che lo spedizionieri si obblighi soltanto a concludere il contratto di trasporto.

Deposito è il contratto che riguarda i casi di obbligo di costudiva e restituzione in natura di una cosa mobile.

Infine l’articolo 3 del dpr 633 indica questa clausola generale in base al quale tutte le obbligazioni di fare,
non fare, permettere danno luogo una prestazione di servizi ai fini iva.
Anche il contratto ad esempio attraverso il quale io mi impegno a non farti causa, anche questo è un
contratto che costituisce ai fini iva una prestazione di servizi e quindi soggetto ad iva.

In generale possiamo dire che la prestazione generica di fare non fare e permettere a carattere residuale,
quindi tutto ciò che non è cessione di un bene è un operazione economicamente rilevante ai fini iva.

L’articolo 3 prevede tutta una serie di ipotesi assimilate, tra queste troviamo le locazioni.
Dobbiamo però ricordare che rispetto alle locazioni di mobili abitativi e strumentali sogno di norma esenti
iva, rispetto però a queste operazioni è consentito optare per l’imponibilità in casi particolari quali la
locazione di alloggi sociali, allocazione di fabbricati strumentali e l’allocazione di fabbricati abitativi.
Le locazioni di immobili abitativi, effettuati da soggetti passivi iva, sono cioè imponibili su opzione, questo
se la locazione stipulata in veste di locatore dall’impresa costruttrice o che ristruttura l’immobile, ovvero ha
oggetto alloggi sociali o fabbricati strumentali.

Altra ipotesi assimilata alle prestazioni di servizi è il leasing, come noto è quel contratto atipico posto in
essere da una società intermediaria che ad oggetto un bene strumentale. Prevede che alla scadenza del
contratto il conduttore possa esercitare il diritto di riscatto. In questo caso il cedente è tenuto ad applicare
l’IVA in corrispondenza di ciascuno dei pagamenti periodici del canone di leasing.

Lease-back, in questo caso abbiamo non solo un contratto di vendita ma abbiamo anche un contratto di
finanziamento. C’è un soggetto che vende ad una società di leasing il bene, la quale cede in locazione
finanziaria alla stessa impresa venditrice il bene.

256
Francesco Gruppelli
Il soggetto che acquista il bene può detrarre l’IVA sul prezzo d’acquisto del bene successivamente concesso
in locazione finanziaria, quindi il soggetto b ha diritto alla detrazione dell’IVA corrisposta sul prezzo di
acquisto del bene.
Il soggetto a per i canoni relativi alla locazione finanziaria, che gli concede il soggetto b, sono iva rilevanti
con il diritto di detrazioni da parte del soggetto a.
L’eventuale riscatto esercitato dal soggetto a è anch’essa un operazione iva rilevante che da diritto alla
detrazione.

Altra ipotesi assimilata è la cessione di beni immateriali, dobbiamo distinguere a seconda che la cessione
abbia oggetto dei diritti di proprietà industriale che come detto sulla base delle direttive comunitarie
dobbiamo assimilare alle prestazioni di servizi e non alle cessioni di beni, dalla cessione dei diritti di autore,
in quanto i regimi iva sono diversi.
Nel caso di cessione di diritti di proprietà industriale, quindi cessione di invenzioni processi formule marchi
insegne l’operazione è del tutto assimilata alla prestazione di servizi.
Nel caso di cessione di diritto di autore, il caso in cui la cessione sia stata effettuata dall’autore del diritto
quindi dall’autore dell’opera di carattere creativo, l’operazione non è assimilata alla prestazione di servizi e
quindi non è iva rilevante.

Sempre nell’ambito delle operazioni assimilate alle prestazioni di servizi vanno ricordati i casi della
somministrazione di beni come alimenti e bevande, per quanto invece riguarda le vendite d’asporto esse
sono assimilate ale cessioni di beni e non rientrano tra le somministrazioni e dobbiamo qualificarle in base
all’articolo 2 e non 3 .

Caso particolare riguarda il commercio elettronico di beni digitali, quindi la cessione diretta di beni
digitalizzati, se avviene la cessione di un bene digitalizzato, questo tipo di operazione va qualificata come
prestazione di servizi e come vedremo quando studieremo il principio di territorialità il luogo di tassazione
di cessione diretta di un bene digitalizzato è il luogo di utilizzazione del bene, quindi se io acquisto un
software da un impresa americana, ad esempio un antivirus per il mio pc, quella cessione di un bene
digitalizzato è un operazione iva rilevante qualificabile come prestazione di servizi e il luogo di tassazione
sarà il luogo in cui è localizzato il cliente, quindi in Italia dove io utilizzo il mio antivirus.

Questo operazioni vanno distinte dalle operazioni di cessioni indiretta di beni, cioè le operazioni di acquisto
telematico di beni consegnati nelle forme tradizionali, come ad esempio fa Amazon, queste operazioni sono
vendite a distanza e quindi il mezzo digitale costituisce solo il canale ma il bene è un bene fisico che mi
viene consegnato nelle forme tradizionali, l’acquisto telematico di beni è escluso da questa nozione di
commercio elettronico e segue le regole generali della cessione di beni.

Anche rispetto alle prestazioni di servizi, come le cessioni di beni, non rileva solamente il caso di presenza di
un corrispettivo ma rileva anche la gratuità, se la regola generale è che la prestazione di servizi è iva
rilevante solo dietro corrispettivo, ci sono delle ipotesi in cui sono imponibili ai fini iva anche le prestazioni
gratuite.
In particolare sono da assoggettare ad IVA le prestazioni gratuite rese a terzi e quelle destinante al consumo
personale o famigliare dell’imprenditore solo se si verificano due condizioni, ovvero che la prestazione
abbia un valore unitario superiore a 50 euro e l’imposta sugli acquisti risulti detraibile.

Sono invece fuori campo iva e quindi non vanno conteggiate per il calcolo del tributo le prestazioni gratuite
rese dai professionisti.

Sono altresì fuori dal campo iva per esclusione di legge le somministrazioni gratuite nelle mense aziendali e
tutti i casi in cui non è detraibile liva assolta sugli acquisti, questo esclusione discende dal particolare
meccanismo applicativo del tributo che abbiamo visto, se cioè il soggetto passivo non ha il diritto di detrarsi
liva sugli acquisti simmetricamente la legge dice che non è imponibile liva a valle, quindi l’operazione è

257
Francesco Gruppelli
soggetta a tributo a patto che sia sempre mantenuto e preservato quell’effetto di neutralità, quindi non ti
tasso sulle vendite se sugli acquisti non hai potuto detrarti liva.

Presupposto soggettivo
Le norme di riferimento sono gli articoli 4 e 5 del dpr 633 del 72.

Articolo 4 ci definisce l’esercizio di impresa, ai fini iva per esercizio di impresa si intende l’esercizio per
professione abituale ancorché non esclusiva delle attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 per
l’impresa agricola e 2195 per l’impresa commerciale, anche se non organizzate in forma di impresa.
Si considerano commerciali, quindi attività di impresa anche le attività organizzate in forma di impresa di
erette alla prestazione di servizi.

Questa disposizione è molto simile a quella che abbiamo studiato all’articolo 55 del TUIR, con un unico
eccezione che è rappresentata dalle attività agricole, perché nell’articolo 55 l’impresa agricola è produttiva
di redditi di impresa e non di redditi fondiari solo al superamento di alcune soglie.

Ai fini iva per le imprese agricole è diverso, esse sulla base dell’articolo 4 generano sempre il presupposto
soggettivo iva, quindi non dobbiamo fare alcun tipo di valutazione sulla soglia ed è questa la differenza tra
chi è considerato imprenditore a fini iva e chi è considerato imprenditore ai fini delle imposte dirette.

Articolo 4 prevede una presunzione assoluta di commercialista per le cessioni di beni e le prestazioni di
servizi se effettuate da società commerciali e/o da enti che svolgono esclusivamente attività commerciali.
Operazioni esercitate da societa o enti commerciali vanno tutte considerate come cessioni di beni o
prestazioni di servizi.
Per gli enti non commerciali, come abbiamo visto per l’imposta sui redditi, solo le cessioni e prestazioni
fatte nell’esercizio di impresa, che lente non commerciale in via secondaria può svolgere saranno liva
rilevanti.
La presunzione di commercialità non opera laddove l’attività esercitata sia ovviamente finalizzata a
consentire ai soci e ai partecipanti agli organi amministrativi il godimento di mezzi di trasporto e di unita
immobiliari.

Non si considerano inoltre soggetti passivi iva le societa holding e societa non operative.

Allo stesso modo non dobbiamo annoverare ai fini iva gli enti pubblici che sono soggetti passivi iva solo se e
qualora esercitano un attività commerciale, così pure gli enti associativi che non svolgono istituzionalmente
un attività di natura commerciale, non son soggetti passivi iva.

Secondo l’articolo 5 sono soggetti passivi iva tutte le persone fisiche che esercitano abitualmente, ancorché
in maniera non esclusiva qualsiasi attività di lavoro autonomo, quindi attività di natura intellettuale e
materiale non imprenditoriali, altrimenti rientreremmo nell’articolo 4.

Utilizza gli stessi attributi che abbiamo visto individuati dal legislatore del TUIR per definire il lavoro
autonomo.

Importante anche ‘abitualmente’ perché è l’esercizio abituale che da luogo allo scattare del presupposto
soggettivo cosi come da luogo alla realizzazione del reddito di lavoro autonomo, perché se l’esercizio
professionale è un esercizio abituale, al fine delle imposte dirette rientreremmo nel caso della categoria di
redditi diversi e ai fini iva non realizzeremo un operazione iva rilevante in quanto non rientra nel concetto
di abitualità.
Abitualità significa regolarità, sistematicità, ripetitività ma abitualità è compatibile anche con temporaneità.

258
Francesco Gruppelli
Non sono invece soggetti passivi iva, questo per distinzione di legge.

Campo di applicazione
Affinché un operazione sia iva rilevante, l’operazione deve essere posta in essere da un soggetto che rientri
nelle due nozioni di cui agli articoli 4 e 5 del dpr 633, quindi un imprenditore o lavoratore autonomo, cosi
come definiti dalla normativa iva, e che questi soggetti realizzino un operazioni rientrante nel campo di
applicazione del tributo, realizzino il presupposto oggettivo.

Molto importante distinguere l’operazione è iva rilevante, inclusa che rientra nel campo di applicazione
dell’IVA, rispetto ai casi in cui operazione è esclusa, casi in cui l’operazione fuoriesce dal campo iva.
Importante perché le operazioni che fuoriescono dal campo iva di regola non sono soggette alla disciplina e
adempimenti previsti in ambito iva.
Le operazioni fuori campo iva non fanno sorgere il debito di imposta, soggetto passivo non è tenuto al
versamento dell’IVA, non è tenuto all’obbligazione tributaria di vernare liva, ne agli adempimenti formali, il
soggetto passivo non ha cioè gli obblighi di fatturazione di registrazione che invece riguardano le operazioni
all’interno incluse nel campo di applicazione iva.

Le operazioni escluse inoltre non rilevano ai fini del calcolo del volume d’affari, si intende l’ammontare
complessivo delle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate dal soggetto passivo.
Operazioni che rientrano nel volume d’affari fanno scattare l’obbligo di fattura.
Anche nei casi di commercio al minuto, infatti il cliente può chiedere la fattura al proprio cedente.

Tra le operazioni incluse nel campo di applicazione, le operazioni che rilevano al fine del calcolo del volume
d’affari, noi dobbiamo distinguere tra operazioni imponibili, non imponibili ed esenti.
Dobbiamo distinguere all’interno delle operazioni che rientrano nel campo di applicazione iva se le
operazioni iva rilevanti sono operazioni imponibili, non imponibili o esenti.
Questo perché a ciascuna di queste operazioni si collega un particolare regime giuridico fiscale.

Le operazioni imponibili sono operazioni che soddisfano i tre presupposti oggettivo, soggettivo e territoriale
e sono operazioni che fanno scattare l’obbligo tirbutario, obbligazione di versare il tributo e che
attribuiscono al soggetto passivo il diritto di detrazione sull’IVA corrisposta sugli acquisti senza limiti.
Quindi se la mia operazione è un operazione imponibile, una cessione di beni o prestazione di servizi, io
sarò tenuto al versamento dell’IVA sulle vendite, sulle prestazione che eseguo e parallelamente ho un
diritto di detrazione senza limiti sugli acquisti che ho fatto, sull’acquisto del pc, sull’arredo dello studio, beni
strumentali ecc.

Le operazioni invece non imponibili sono quelle operazioni di scambio di beni o prestazioni di servizi che
non risultano soggette, che non sono assoggettabili a tributo. Sono operazioni che non fanno scattare
l’obbligo tirbutario, se il soggetto passivo realizza un operazione non imponibile non è tenuto al
versamento del tributo.
Però le operazioni non imponibili mantengono in capo al soggetto passivo il diritto di detrazione, quindi se il
soggetto passivo realizza un operazione non imponibile non sarà tenuto a versare il tributo ma avrà diritto a
portare in detrazione liva assolta sugli acquisti.

Le operazioni esenti sono le operazioni che soddisfano tutti e tre i presupposti del tributo, ma per espressa
previsione normativa sono da considerare esenti, le operazioni esenti sono operazioni che non fanno
scattare l’obbligo tirbutario, il soggetto passivo non versa liva, ma parallelamente escludono o limitano il
diritto di detrazione.

259
Francesco Gruppelli
Quindi le operazioni esenti sono operazioni che non permettendo al soggetto passivo di detrarre liva
versate sugli acquisti sono operazioni che possono risolversi in un costo per l’imprenditore o per il
professionista.
Io consumatore finale che effettuo un operazione esente avrò il vantaggio di non vedermi addebitata in via
di rivalsa l’IVA. Per l’altro soggetto però questo si risolve in un costo, in quanto non può detrarre liva
sostenuta sugli acquisti che ha sostenuto per poter svolgere l’operazione.

Le operazioni imponibili, non imponibile ed esenti sono comunque soggetti agli obblighi di fatturazione e di
registrazione, quindi dal punto di vista dell’ obbligo contributivo non c’è alcun obbligo contributivo per le
operazioni non imponibili ed esenti. Dal punto di vista dichiarativo e formale per quanto rigurda la fattura
sussistono gli obblighi previsti dalla legge.

Per le operazioni imponibili il legislatore prevede una definizione generale di operazione imponibile, delle
fattispecie assimilate e poi un elenco di esclusione.
Cessioni di beni, prestazioni di servizi, acquisti intracomunitari, importazioni.
Le prime dei le abbiamo già viste.

Dobbiamo escludere dal novero delle operazioni imponibili le operazioni esenti, come anticipato le
operazioni esenti non comportando il sorgere del debito di imposta, ma sono comunque operazioni che
rientrano nel campo di applicazione dell’IVA e quindi fanno scattare tutti quegli adempimenti formali che
sono richiesti dal legislatore, quindi c’è l’obbligo di fatturazione e obbligo di registrazione.
Le operazione esenti sono operazioni che costituiscono e rappresentano un vantaggio per il consumatore
finale, possono però costituire un costo per il soggetto passivo.
Il legislatore ha previsto delle operazioni esenti per ragioni di carattere tirbutario, alcune operazioni sono
esenti sulla scorta di ragioni tecniche di natura tributaria e tra queste troviamo ad esempio alcune
operazioni di carattere finanziario come le operazioni di raccolta e impiego di capitali, le operazioni
assicurative, operazioni relative a partecipazioni societarie, operazioni cioè che per ragioni di tesina
tributaria sono considerate esenti.
Ma rientrano tra le operazioni esenti anche operazioni ritenute dal legislatore socialmente rilevanti, tra
queste le operazioni di natura medica ed assistenziale, quindi prestazioni sanitarie, di cure e di ricovero.
Prestazioni educative e didattiche, prestazioni relative a mostre e visite guidate.
Altresì rientrano tra le operazioni esenti in via residuale tutto un elenco di atti non riconducibili ad una
categoria omogenea, come prestazioni di mandato e mediazione, operazioni in oro, operazioni immobiliari,
operazioni relative alla riscossione dei tributi, giochi e scommesse.

Le operazione esenti sono soggette all’obbligo di emissione della fattura e tra le caratteristiche di questa
fattura il prestatore, imprenditore, deve indicare operazione esente, ci deve essere un espressa dicitura che
qualifica come esente quel tipo di operazione.

Momento impositivo
Una particolare regola di cui dobbiamo tenere conto nel momento in cui andiamo a valutare le operazioni
iva rilevanti riguarda il momento impositivo.
Ci dobbiamo chiedere quando un operazioni si considera effettuata ai fini iva.
Problema cui ci da una risposta l’articolo 6 del dpr 633 del 72 che ci dice quando un operazione si considera
effettuata. Questo concetto di effettuazione dell’operazione iva rilevante perché da quando l’operazione si
considera effettuata sorge il diritto per l’erario di far valere a norma di legge presso il debitore il pagamento
del tributo.
Momento impositivo è un momento improntaste anche per il soggetto passivo in quanto identifica il giorno
a partire dal quale scattano i termini per la fatturazione e la registrazione delle operazioni.

260
Francesco Gruppelli
Quali sono questi criteri ?
Per regola generale la cessione di beni si considerano effettuate nel momento in cui avviene la stipulazione
del contratto, nel momento in cui avviene la stipulazione del contratto immobile l’operazione si considera
effettuata ai fini iva.
Se la cessione del bene riguarda un bene mobile ha rilevare è il momento della consegna o della spedizione.
Quindi se il mio bene è un bene immobile devo vedere la data del contratto di trasferimento di proprietà o
dell’altro diritto reale di godimento sul bene immobile, se invece la cessione del bene riguarda un bene
mobile nel momento in cui mi spoglio della disponibilità del bene lo consegno o spedisco.
Rispetto a questa regola generale ci possono essere degli effetti iva anticipati e cioè l’operazione si
considera effettuata se prima della stipulazione, spedizione e consegna avviene il pagamento del
corrispettivo o l’emissione della fattura.
Così pure il momento della fattura, se prima di consegnarmi il bene il mio cedente emette fattura in quel
momento l’operazione si considera anticipata.
In questi due casi viene anticipato il momento impositivo.

Questo ci fa capire che ci può essere un divario molto importante tra i ricavi e il volume d’affari, perché se
nel volume d’affari noi dobbiamo indicare le operazioni effettuate e tra le operazioni effettuate ci possono
essere anche operazioni che dobbiamo considerare come effettuate perché la fattura è stata emessa o il
pagamento è già avvenuto, e quindi rientrano a quel momento nel volume d’affari, per i ricavi abbiamo
studiato la regola del principio di competenza.

Per quanto riguarda invece la prestazione di servizi, essa è legata al momento in cui è pagato il
corrispettivo, quindi non conta quando l’operazione è stata conclusa, quando la prestazione è ultimata dal
prestatore ma conta il pagamento.
Anche in questo caso il momento impositivo può essere anticipato se il prestatore emette la fattura, quindi
se mi arriva subito la fattura da parte del professionista prima ancora che il professionista abbia svolto la
prestazione, prima ancora io l’abbia corrisposto il prezzo della prestazione, l’emissione della fattura fa
scattare il momento impositivo, e a partire da tale momento in cui si considera effettuata, il soggetto
passivo è tenuto ad emettere fattura nei 12 giorni successivi ed entro il giorno 15 del mese successivo al
mese il cui l’operazione si considera effettuata l’operazione deve essere registrata.

Lezione 33.1

Regola diversa per la prestazione di servizi in quanto in questo caso conta il pagamento del corrispettivo,
non l’ultima azione della prestazione. In questo caso abbiamo solo un momento anticipativo del momento
impositivo che è l’emissione della fattura.

La base imponibile delle cessione e prestazioni di servizi ai fini iva va commisurata all’ammontare
complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente e al prestatore secondo quattro prevede dal contatto.
Alla formazione di questa base imponibile concorrono altresì gli oneri, le spese e i debiti accollati dal
cessionario, quindi sulla base di un principio di accessorietà che abbiamo gia visto rilevante anche
nellambito dell’imposizione sui redditi, i corrispettivi relativi alle operazioni rilevanti ai fini iva vanno
integrati da tutte quelle somme, come le spese di trasporto e quelle che il commissionario sostiene per
riuscire ad ottenere il bene, esclusi particolari componenti individuati dal legislatore, ci sono delle esclusioni
dalla base imponibile espressamente previste dal legislatore e questo al fine di evitare assoggettamento ad
iva di somme che autonomamente non sarebbero soggette ad iva, come gli interessi moratori e penalità
per inadempimento contrattuale. Se sottoscrivo il contratto per la cessione di un bene e questo bene
prevede degli interessi moratori a fronte del corrispettivo che ritardo a corrispondere al cedente, queste
somme non sono soggette ad iva ai fini della determinazione della base imponibile.

261
Francesco Gruppelli
Nei casi in cui non vi sia un corrispettivo, non ci sia un prezzo monetizzato abbiamo come al solito il
problema di monetizzare il corrispettivo in natura e anche in questo caso come abbiamo visto nell’ambito
delle imposte sui redditi dobbiamo applicare il concetto di valore normale.
Il concetto di valore normale ai fini iva ci viene definito dall’articolo 14 del nostro dpr 633 che reca una
nozione assolutamente omotetica rispetto a quella che troviamo all’articolo 9 del TUIR.
Definisce infatti l’articolo 14 valore normale di un bene o servizio limporto che il cessionario committente
sarebbe tenuto a corrispondere al medesimo stadio di commercializzazione di quello in cui avviene la
cessione o prestazione di servizi e quindi fa riferimento al concetto di valore di mercato qualora questo
mercantò rispetti il principio di libera concorrenza.

Alla base imponibile così determinata dobbiamo applicare le aliquote, a partire dal primo ottobre 2013 le
aliquote sono 4, aliquota ordinaria del 22%, aliquota ridotta al 10%, una minima per i beni di prima
necessità e utenze domestiche al 4% e poi l’aliquota dello 0%, perché le operazione non imponibili sono
operazioni che rientrano nel campo di applicazione del tirbuto ma non comportano il sorgere di un
obbligazione tributaria ed è per questo che l’aliquota è pari a zero ma garantiscono al soggetto passivo il
diritto di detrazione rispetto all’IVA ascolta sugli acquisti.

Quindi il soggetto passivo deve tenere due registri, un registro delle vendite, dove troveremo tutte le
fatture che il soggetto passivo emette per le cessioni di beni e prestazioni di servizi che costituiscono
l’attività caratteristica di impresa o di lavorato autonomo e queste fatture devono essere registrate ed
inserite in questo registro entro il giorno 15 del mese successivo a quello in cui l’operazione si considera
conclusa. Dal registro delle vendite troveremo liva a debito, ovvero che quel soggetto passivo è tneuto a
versare periodicamente all’erario.
A questo registro si affianca il registro degli acquisti, cioè delle operazioni passive, il registro che documenta
gli acquisti che il soggetto passivo ha sostenuto per svolgere la sua attività di impresa o di lavoro autonomo,
quindi le fatture che il soggetto riceve rispetto ai beni che ha acquistato per svolgere la sua attività. La
registrazione delle fatture che riceve costituisce una condizio sine qua non per esercitare il diritto di
detrazione, perché dal registro degli acquisti noi troveremo la cosiddetta iva a credito, cioè su cui il
soggetto passivo vanta un credito a favore di quel soggetto nei confronti dell’erario, e quindi liva che il
soggetto passivo dovrà versare sarà pari alla somma algebrica tra iva a debito e iva a credito.

Il meccanico applicativo del tirbuto è caratterizzato da due diritti molto importanti, diritti vantati dal
soggetto passivo: il diritto di rivalsa e il diritto di detrazione.

Il diritto di detrazione
Consiste nell’ addebito, nel diritto di addebitare, il tirbuto a titolo di rivalsa al cessionario o al committente
e questo diritto è altresì un obbligo, il soggetto passivo non può non addebitare liva nella sua fattura nei
confronti del cessionario e del committente.
Nel caso delle operazione per le quali non è prescritta come obbligatoria la fattura, il prezzo o il
corrispettivo si intende comprensivo dell’IVA, ed è il caso dei commercianti al minuto. Quando noi andiamo
ad acquistare un bene come consumatori finali e lo acquistiamo da un commerciante al minuito, il prezzo
che ci viene praticato è un prezzo che già ingloba in se l’IVA.
Liva qunidi costituisce anche un obbligo, il soggetto passivo ha l’obbligo di costituirsi creditore nei confronti
del proprio cessionario, sono nulli tutti i patti di eventuale esclusione della rivalsa, io non mi posso mettere
d’accordo con il mio cedente e prestatore per non addebitare liva.
Le eventuali liti che intervengono tra cedente e cessionario rispetto all’addebito dell’IVA sono liti tra
soggetti privati che devono essere demandate alla cognizione del giudice ordinario, quindi non
appartengono alla cognizione del giudice tirbutario.
Il soggetto passivo quindi ha l’obbligo di costituirsi debitore, non c’è l’obbligo i di richiedere ed incassare
liva. L’obbligo che sussiste per il soggetto passivo è quello di addebitare in fattura liva ma chiaramente non
sarebbe azionabile un obbligo per il soggetto passivo di effettivamente venire a riscuotere liva.

262
Francesco Gruppelli
La rivalsa è obbligatoria nella maggior parte dei casi, non è obbligatoria in casi predeterminati dal
legislatore, che sono quelli della cessione gratuita di beni, che in particolare ipotesi costituisce un
operazione imponibile che però non da luogo a rivalsa.
Così pure la destinazione dei beni all’autoconsumo personale o familiare dell’imprenditore o del
professionista costituisce un’altra ipotesi in cui la rivalsa non è obbligatoria ma è facoltativa.
In tutti gli altri casi lesercizio della rivalsa che è un esercizio che può essere effettuato senza limiti di tempo,
quindi mi posso trovare addebitata liva anche a molta distanza rispetto al momento in cui l’operazione si
considera effettuata, costituisce però non solo un obbligo per il soggetto passivo ma anche un diritto per il
soggetto passivo che riceve la fattura, che richiede quel tipo di operazione, perché l’addebito in fattura
costituisce un presupposto per lesercizio del diritto di detrazione.
L’imposta assolta dal soggetto passivo, addebitata a titolo di rivalsa per i beni e servizi acquistati
nell’esercizio di imprese o esercizio professionale, costituisce l’oggetto del diritto di detrazione, la quale
consente a quel medesimo soggetto passivo che ha addebitato in via di rivalsa liva sulle operazioni attive di
portarsi in detrazione liva che quel soggetto ha assolto rispetto alle proprie operazioni passive, quindi agli
acuisti.

Le condizione per esercitare questo diritto: la detrazione di imposta presuppone che il tirbuto sia divenuto
esigibile per l’erario, quindi si deve essere perfezionato il momento impositivo, l’operazione deve
considerarsi conclusa ai fini iva sulla base dei criteri che abbiamo visto precedentemente.
Quindi affinche il tirbuto si considera esperibile l’operazione deve considerarsi effettuata, non rileva il fatto
che liva sia stata pagata rispetto alle operazione sugli acquisti, l’operazione deve considerarsi effettua.

Il terzo presupposto è l’addebito in fattura, quindi io ho diritto di ricevere l’addebito in fattura per gli
acquisti che io faccio, ho diritto di vedere scorporata liva, perché quello costituirà un tirbuto che se
sussistono queste condizioni posso portarmi in detrazione.

Il diritto di detrazione presupposte il ricevimento di una fattura con addebito dell’IVA.

Altra condizione per esercitare tale diritto è che bisogna rispettare il diritto di decadenza, cioè lo devo far
valere con la dichiarazione relativa all’anno di cui il diritto di detrazione è sorto e alle condizione esistenti in
cui quel diritto è sorto.

Infine l’acquisto deve essere inerente, io ho diritto di detrarmi liva solo rispetto a quegli acquisti inerenti
alla mia attività di impresa o alla mia attività professionale.
Per inerenza ai fini iva è assolutamente identico a quello che abbiamo visto nellambito dei redditi di lavoro
autonmom e nellambito dei redditi di impresa.
Inerenza designa l’afferenza del costo all’attività svolta dal soggetto, quindi è inerente anche un costo
sostenuto a fronte di un pontenziale utile che al momento non si è ancora realizzato.
Anche al spesa di rappresentanza, di pubblicità che il soggetto effettua nell’ipotesi di conseguire un utile o
compenso dal sostenimento di quella spesa è comunque una spesa inerente. Poi dobbiamo vedere se
sussisto tutti gli altri requisiti.

Significa che sulla base del criterio dell’inerenza, noi non possiamo ritenere detraibile liva che abbiamo
assolto per acquisti relativi ad operazioni esenti o ad operazioni escluse dal campo di rilevanza dell’IVA.
Questo si chiama indetraibilita analitica o per destinazione.
Se un soggetto passivo iva effettua degli acquisti per operazioni iva esenti o iva escluse dal campo di
applicazione iva, le fatture passive che riceve non danno luogo a diritto di detrazione.

Se il contribuente ponte in essere in modo sistematico delle operazioni esenti o delle operazioni escluse dal
campo di applicazione iva, noi abbiamo il problema di determinare il rapporto, la misura dell’IVA detraibile
rispetto a l’ammontare di tutte le operazioni concluse dal contribuente rispetto a tutte le operazioni che il
contraente conclude per realizzare i suoi acquisti.

263
Francesco Gruppelli
Se cioè diciamo che è detraibile solo liva sugli acquisti inerente all’attività di impresa, ed escludiamo da a
questo concetto di inerenza gli acquisti per operazioni esenti e per operazioni escluse dal campo di
applicazione iva, dobbiamo calcolare qual è liva detraibile dall’IVA totale versata dal soggetto passivo sugli
acquisti.
Questo calcolo prende il nome di pro-rata.

Facciamo un esempio: immaginiamo che il contribuente compia complessivamente 150 operazione iva
rilevanti. Quindi il soggetto passivo ha effettuato 150 acquisti.
Di questi 150 acquisti però solo 50 costituiscono operazione che attribuiscono il diritto di detrazione,
perché sono 50 operazioni e acquisti che il lavoratore autonomo ha sostenuto per realizzare la sua attività
di impresa o attività professionale. 100 acquisti invece sono operazioni esenti, magari sono operazioni
mediche o beni ad uso personale/familiare.
Iva detraibile al soggetto passivo, relative alle attività di impresa, che può essere chiesta in detrazione sarà
pari ad 1/3, al rapporto tra 50, operazioni che danno diritto alla detrazione, e 150, somma di tutte le
operazione effettuate nell’anno.
Iva detraibile sarà quindi pari ad 1/3 dell’IVA totale sugli acquisti.
Limitano la detrazione solo le esenzioni relative all’attività di impresa, se il soggetto occasionalmente
effettua delle operazioni che non rientrano nell’attività di impresa non c’è quindi un problema di detrazione
perché quelle operazione non le dobbiamo conceggiare ai fini del calcolo della pro-rata.

Ci sono poi delle norme che prevedono la indetraibilità soggettiva, riguarda gli enti non commerciali, i quali
ovviamente possono detrarre soltanto liva relativa agli acquisti fatti nell’esercizio della attività commerciale
svolta in via secondaria.
Posto che lente non commerciale in via secondaria può svolgere anche un attività di natura commerciale, il
diritto di detrazione sarà consentito solo rispetto a quegli acquisti che lente sostiene ed effettua per
esercitare l’attività commerciale.
Quella parte degli acquisti che lente sostiene per attività fuori dal campo iva, come un consumatore finale
non fanno scattare il diritto di detrazione.

Auto fattura
Normalmente il soggetto che deve emettere fattura è il cedente o il cessionario, quindi il soggetto passivo
che effettua l’operazione attiva deve emettere fattura nei 12 giorni successivi a quando l’operazione si
considera realizzata secondo i criteri che abbiamo visto.
Ci sono però dei casi in cui questo obbligo è posto a carico del cessionario e del committente. Queste sono
le ipotesi di inversione contabile.
Sussiste l’inversione contabile quando il cedente omette di emettere la fattura, di trasmettere la fattura al
cedente, al cessionario o al committente, il quale ha la necessità di regolarizzare l’operazione, se cioè il
soggetto da cui effettuo il mio acquisto è un evasore che emette di effettuare questa omissione e si protrae
per oltre 4 mesi, io ho la necessità di regolarizzare quell’acquisto che ho compiuto. Per farlo emetto auto-
fattura, cioè iscrivo l’operazione che ho realizzato e lo iscrivo tanto nel registro delle fatture emesse quanto
nel registro delle fatture passive. Registro la stessa operazioni in tutte e due gli ambiti.
In questo caso naturalizzo l’IVA a debito che risulta equivalente all’IVA a credito, però attraverso la duplice
registrazione regolarizzo la mia posizione e regolarizzo l’acquisto che ho fatto, riservo il mio diritto di
detrazione e neutralizzo per me il tributo.
Quindi se il mio cedete non emette fattura o emette una fattura irregolare, il principio d’inversione
contabile mi consente di regolarizzare per me quel tipo di acquisto.
Iva a credito e a debito mi generano quella neutralità che mi consente di rispettare quel principio generale
che prevede che l’operazione iva rilevante sia un operazione iva neutrale per il soggetto passivo.

Il secondo caso di inversione contabile si ha quando il cedente risiede all’estero:


In questo caso l’operazione prende il nome di revers charge esterno, si intende il procedimento di
inversione contabile rispetto alle cessioni rese da un soggetto passivo stabilito nell’Unione europea, ad un

264
Francesco Gruppelli
soggetto passivo italiano, operazione che se considerate rilevanti nell’ambito del territorio italiano fanno
scattare l’obbligo per il soggetto passivo residente in italia di effettuare la registrazione dell’operazione
iscrivendosi a debito e credito liva relartiva all’acquisto effettuato da un soggetto dell’unione europea.

Inversione contabile la dobbimao tenre distinta dall’ipotesi dello split payment, meccanismo che riguarda le
pubbliche amministrazioni che non sono soggetti passivi iva, che non svolgono attività commerciale, come
ad esempio l’università. Per questi soggetti in relazione agli acquisti di beni e servizi effettuati da questi
soggetti, liva addebitata dal fornitore delle sua fatture, la commissione ad esempio di banchi che
l’università può chiedere ad un fornitore privato, liva addebitata dal fornitore nelle sue fatture deve essere
versata dalla pubblica amministrazione acquirente direttamente all’erario, anziché al fornitore.

Altro fenomeno sono le note di variazione


Può accadere che una fattura una volta che è stata emessa e registrata debba essere modificata, ad
esempio perché le parti concordano un diverso corrispettivo o perché il contratto di cessione o relativo alla
prestazione di servizi viene reso nullo, c’è l’ipotesi della rescissione e risoluzione del contratto, il debitore è
magari inadempiente, ci possono essere tutta una serie di vicende che devono trovare un riflesso
nell’ambito della fattura e del calcolo dell’IVA.
Le note di variazione quindi possono comportare, a seconda dei casi, delle variazioni in aumento o in
diminuzione.
In particolare abbiamo una variazione in aumento quando successivamente all’emissione della fattura o alla
sua registrazione l’imponibile di un operazione o l’importo dell’IVA venga ad aumentare per un qualunque
motivo.
Nel caso di inesattezza, chi emette la fattura si accorge che ha calcolato male liva o nel caso viene
concordato tra fornitore e acquirente un maggior corrispettivo, in tutti questi casi bisognerà emettere una
nota di variazione e quindi emettere una fattura integrativa che vada a rifotografare in modo conforme alla
realtà quel cambiamento intervenuto, rettificare l’inesattezza nella fatturazione desumibile dalla fattura
precedente.

Nel caso contrario abbiamo variazione in diminuzione, di regola nei casi tassativamente previsti la
variazione in diminuzione dell’imponibile o dell’imposta può essere operata senza limiti di tempo con
l’eccezione nel caso di sopravvenuto accordo delle parti e della rettifica di inesattezza nella fatturazione
rispetto i quali è previsto il temine di un anno.

Diversa dalla nota di variazione è l’ipotesi dello scontrino fiscale negativo, la procedura di variazione infatti
non è ammessa per le vendite al minuito per le quali è stato emesso lo scontrino fiscale.
Se ad esempio andiamo a cambiare un bene che abbiamo acquistato ad un negozio al dettaglio rispetto al
quale non è stata emessa fattura perché abbiamo acquistato un prodotto come consumatori finali e non
nell’ambito dell’attività di impresa, in queste ipotesi bisogno seguire una apposita procedura per il recupero
dell’IVA assolta sulle vendite che vengono meno perché il cliente recede dall’acquisto e restituisce il bene.
Il nostro dettagliante inoltre dovrà emettere uno scontrino fiscale negativo.

Alle note di variazione vanno tenute anche distinte le ipotesi di restituzione di beni invenduti, perché la
restituzione di beni rimasti invenduti, anche se già decorso un anno dalla loro consegna, non costituisce un
nuovo atto economico rilevante ai fini iva, qualora il reso sia dipeso dalla risoluzione consensuale dalla
vendita originaria.
Per la restituzione di beni invenduti non abbiamo applicazione dell’IVA, siamo in una zona diversa rispetto a
quella che stiamo considerando perché la restituzione del bene invenduto non costituisce un atto
economicamente rilevante ai fini iva.

Liquidazione e riscossione del tributo

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Francesco Gruppelli
La liquidazione è una liquidazione periodica, iva cioè una volta che viene calcolata sulla base di quello che
abbiamo visto vedendo la base imponile e le relative aliquote, la liquidazione avviene sommando liva
incassata dai propri clienti in via di rivalsa e sottraendo a questo importo liva versata ai propri fornitori.
Generalmente, togliendo questo anno in cui sono state fatte molte deroghe alla disciplina ordinaria in
conseguenza del COVID, entro il 27 dicembre di ogni anno è dovuto un acconto di iva pari alla % di iva
versata nel dicembre dell’anno precedente.
Una volta effettuato l’acconto iva, quindi la riscossione ancora una volta interviene prima del
perfezionamento del presupposto di imposta, prima del momento in cui scatta l’obbligo dichiarativo,
superato il 27 dicembre, tra il periodo che va dal 30 febbraio e 30 aprile, il soggetto passivo deve
presentare la sua dichiarazione iva, che troveremo liva a credito meno liva a debito relativa all’anno solare.
Obbligati alla presentazione del modello di dichiarazione iva annuale che può essere ordinario e
semplificato, sono tutti i soggetti che svolgono attività di impresa o che svolgono lesercizio di arti e
professioni, anche se non hanno effettuato operazioni imponibili.
Per questi soggetti quindi scatta un obbligo dichiarativo anche se non ci sarà un obbligo contributivo.

Vanno esclusi dall’obbligo di presentazione i contribuenti che hanno effettuato esclusivamente operazioni
esenti, i nuovi contribuenti minimi e le imprese individuali che hanno dato in affitto l’unica azienda
posseduta.

Obbligo dichiarativo, come per la dichiarazione dei redditi prevede la compilazione e trasmissione, da parte
di un intermediario abilitato attraverso un modello predefinito dal mef.

La presentazione della dichiarazione, dove appunto troviamo la somma algebrica tra iva a debito e credito
può detemirnare un eccedenza, cioè non un debito tributario per il soggetto passivo ma un credito che il
soggetto passivo vanta nei confronti dell’erario, questo nel caso in cui liva detraibile, iva sulle operazioni
passive sia superiore all’IVA sulle operazioni attive. Questa eccedenza può essere utilizzata dal soggetto
passivo in tre modi, l’eccedenza può essere riportata a nuovo e quindi può essere compensata con il debito
iva nascente per i periodi di imposta successivi, oppure può essere compensata con debiti di imposta
diversi dall’IVA, oppure la posso chiedere a rimborso.
L’eccedenza detraibile di imposta che risultata dalla dichiarazione annuale può essere chiesta a rimborso ad
esempio nei casi di cessazione dell’attività, nel caso in cui questa eccedenza detraibile si sia verificata per 3
esercizi successivi e in altre e più limitate ipotesi disciplinate minuziosamente dal legislatore, come il caso
dei produttori agricoli che applicano un regime iva speciale.

Credito iva in alcuni casi può essere anche oggetto di cessioni, quindi posso stipulare un patto con un altro
soggetto privato per cedere il credito iva che ho maturato sulle mie operazioni passive.

Lezione 33.2

Il principio di territorialità
Terzo presupposto di applicazione del tributo.
Abbiamo detto che rientrano nel campo di applicazione dell’IVA tutte quelle operazioni che presentano i tre
presupposti oggettivo soggettivo e territoriale.

Con presupposto territoriale intendiamo il fatto che l’operazione per essere iva rilevante per il fisco italiano
deve considerarsi realizzata ed effettuata nel territorio dello stato, quindi la cessione di beni o prestazione
di servizi deve considerarsi effettuata entro i confini nazionali, che sono i confini della replica italiana.
L’articolo 7 del dpr 633 ci dice che sono esclusi i comuni di Livigno, campione di italia e le acque nazionali
del lago di Lugano.

266
Francesco Gruppelli
Una cessione di beni si considera effettuata nel territorio dello stato se queste cessioni hanno oggetto beni
immobili o mobili esistenti nel territorio dello stato. Per le cessioni di beni rileva cioè il luogo dove il bene si
trova al momento della cessione, quindi un luogo spaziale, una localizzazione spaziale precisa legata allo
spazio fisico che occupa il bene nel momento in cui si considera perfezionata la cessione.

Per le prestazione di servizi dobbiamo distinguere a seconda della natura del committente, perché le
prestazioni b2b, ovvero che un soggetto passivo iva svolge nei confronti di un altro soggetto passivo, rileva
il luogo in cui si trova il committente.
Quindi se il mio committente è residente ai fini fiscali in italia l’operazione di prestazione di servizi si
considera effettuata nel territorio nazionale e quindi sarà un operazione iva rilevante. Se invece la
prestazione viene da un soggetto italiano ad un soggetto passivo non residente nel territorio dello stato
italiano, quella operazione non la dobbiamo considerare come iva rilevante ai fini italiani, lo sarà
eventualmente nel paese del nostro committente.

Nel caso in cui la prestazione venga resa da un soggetto non residente, e il committente sia un soggetto
passivo italiano, il soggetto passivo dovrà agire con il meccanismo del reverge charge.

Nel caso in cui la prestazione di servizi sia una prestazione b2c, richiesta da un consumatore che non utilizza
quell’acquisto nell’ambito della propria attività di impresa, rileva il domicilio o residenza del prestatore.
Quindi se il prestatore è un soggetto passivo iva domiciliato residente nel territorio dello stato, allora in
questo caso l’operazione si considera come effettuata nel territorio dello stato italiano e iva rilevante.

Le prestazioni di servizi si considerano effettuate in Italia se sono rese a soggetti passivi stabiliti in italia,
primo criterio luogo del committente b2b, oppure se le prestazioni sono rese a clienti non soggetti passivi
da prestatori soggetti passivi stabili in Italia, b2c domicilio o residenza del prestatore.

Rispetto alle prestazioni di servizi bisogna ricordare anche il commercio elettronico nel quale bisogna
sempre dare peso al luogo in cui si trova l’utilizzatore.
Se acquisto un software da parte di una societa americana, il luogo di tassazione sulla base della direttiva
sul commercio elettronico dice che l’operazione è rilevante ai fini iva in italia perché rileva il luogo in cui si
trova lutilizzatore, cioè dove la prestazione viene concretamente utilizzata.

Questo principio di territorialità, articolo 7 che definisce la nozione di territorio italiano la dobbiamo
leggere in combinato disposto con le altre norme che riguardano il territorio dell’Unione europea è
possiamo distinguere sula base del principio di territorialità operazioni nazionali o interne, che fanno
scattare il presupposto impositivo ai fini dell’applicazione del dpr 633, dalle operazioni intraocmunitarie,
operazioni che si considerano effettuate nello spazio giuridico dell’Unione europea e qusto spazio lo
teniamo distinto da tutto ciò che avviene fuori dall’Unione europea.
Abbiamo 3 tipi di contesti territoriali rilevanti che ci definiscono quali sono le operazioni nazionli o interne
ai infi dell’applicazione delle norme italiane, le operazioni intracomunitarie e operazioni extracomunitarie.

Criteri diversi sono dettati a livello europeo per le operazioni intraocmunitarie, come noto il trasferimento
di beni nell’Unione europea non è soggetto a controlli fiscali ne doganali, c’è un mercato interno unico tale
per cui se io mi sposto nello spazio giuridico comunitario e effettuo operazioni resto sempre all’interno di
un mercato che ha regole uniformi che vengono controllate dalle agenzie fiscali dei vari paesi membri
dell’Unione europea attraverso lo scambio di informazioni.
Per quanto riguarda lambito iva c’è uno strumento particolare che è rappresentato dagli elenchi intrastat
che sono dei particolari strumenti attraverso i quali le amministrazioni fiscali degli stati membri si
trasmettono delle informazioni rilevanti ai fini iva.
In questi elenchi troviamo disciplinati gli acquisti e le cessioni intracomunitarie, quelle che avvengono tra
soggetti residenti in paesi membri dell’Unione europea diversi.

267
Francesco Gruppelli
Quando è che avviene un acquisto o cessioni intracomunitaria ?
Bisogna anche in questo caso distinguere l’ipotesi b2b dall’ipotesi b2c, perché sulla base delle direttive
europea recepite dalla nostra normativa nazionale, nel caso di operazione tra soggetti passivi iva, il criterio
di territorialità che dobbiamo seguire è quello della tassazione nel paese europeo di destinazione.
Vuol dire che gli scambi intraocmunitarie di beni sono soggetti ad iva nel paese in cui il bene viene
destinato, nel paese d’origine l’operazione beneficia della non imponibilità.
Quindi se un fornitore italiano cede un bene ad un soggetto passivo iva tedesco, l’IVA intraocmunitaria sarà
dovuta da parte del soggetto tedesco del proprio paese di residenza, quindi il criterio nell’ipotesi b2b sarà
quello della tassazoine nel paese europeo di destinazione.
A questo fine è richiesto che i due soggetti privati si identifichino nei rispettivi paesi dell’Unione europea e
quesrta identificazione avviene attraverso l’archivio VIES. I soggetti passivi si devono iscrivere in questo
elenco e devono rendere conto dell’operazione intraocmunitaria che hanno posto in essere.
Molto importante questo sistema di interscambio di informazioni, perché sulla base delle regole il cedente
italiano emette fattura senza debito dell’IVA perché iva è applicabile nel paese europeo di destinazione, il
cessionario dell’altro paese dovrà integrare la fattura mettendo il corrispettivo in euro indicando l’aliquota
del tirbuto e effettuando il fenomeno dell’invasione contabile che abbiamo visto.
Stessa cosa nel caso in cui un soggetto passivo italiano acquisti una fornitura di beni da parte di un fornitore
francese, in questo caso l’operazione b2b ci dice che la tassazione è quella del paese di destinazione, quindi
il soggetto italiano riceverà dal soggetto francese una fattura senza addebito dell’IVA e dovrà fare lui lo
inversione contabile integrando la fattura con la parte relativa all’IVA e registrandola nei 2 diversi registri
affinche quella operazione sia per lui neutrale.

Diverso invece è il criterio opposto, criterio della cessione intraocmunitaria tra un soggetto passivo iva e un
consumatore finale, perché nelle operazioni b2c la tassazione è quella del paese di origine del venditore o
prestatore, a significa che se io consumatore finale acquisto un mazzo di fiori in Francia acquisto un bene
ivato e l’assolvimento dell’IVA in Francia mi consente di trasportare nello spazio giuridico europeo quel
bene acquistato.

Questo tipo di situazione tale per cui nelle operazioni b2b rileva sempre, come paese di tassazione, il paese
di destinazione del bene o del servizio, può generare delle frondi, da luogo a fenomeni di evasione fiscale
che sono ovviamente molto attenzionati da parte delle amminisatrazioni fiscali.

Infatti nelle frodi iva a livello intra-ue abbiamo un fornitore localizzato in un paese membro dell’Unione
europea che vende a 100 senza debito dell’IVA perché il principio di territorialità che abbiamo appena visto
ci dice che l’operazione b2b è tassata nel paese di destinazione.
Nel pese di destinazione noi abbiamo una società cartiera, nelle operazioni di frode vengono infatti
costituite società che non hanno strutture, che non fanno dichiarazione di redditi.
Queste società sono soggette meramente interposte e che acquistano il bene senza iva, quindi a 100 senza
debito dell’IVA da parte del loro fornitore, poi rivendono il bene che hanno acquistato ad un prezzo
maggiore con liva, quindi acquistano senza iva e poi rivendono applicando liva, ma poi questa iva non la
versano.
La società cartiera però rivende effettivamente il bene e viene acquistato da una società acquirente.
Viene acquistato con applicazione dell’IVA, a 124,4 ( 102 + iva ), viene rivenduto il bene ad un altro soggetto
da parte dell’effettivo acquirente e questo soggetto potrà vantare nei confronti dell’erario il diritto di
detrazione, cioè i 124,4 che l’acquirente effettivo ha versato nei confronti della società cartiera
corrispondono non solo al prezzo del bene ma anche all’IVA passiva per questo soggetto, che questo
soggetto può chiudere in detrazione nei confronti del proprio erario.

Questa operazione comporta un carosello, ed è per questo che queste operazioni prendono il nome di frodi
carosello.
L’effetto erariale è triplice perché l’erario non incassa questi 22,4 di iva da parte della società cartiera che
applica liva nei confronti del proprio cessionario ma poi non la versa.

268
Francesco Gruppelli
Un secondo danno erariale si ha nell’utilizzo del diritto di detrazione della società filtro, perché essa chiede
all’erario quei 22,4 dell’operazione passiva che ha effettuato e questi 22,4 sono dovuti a questa impresa da
parte del sue erario.
Infine il terzo effetto è quello che i beni circolano ad un prezzo più competitivo perché non scontano iva, c’è
un danno non solo per l’erario ma anche per l’economica competitiva.

L’amministrazione rispetto a questo tipo di operazioni cerca di intercettare queste societa cartiere che sono
dei veri e propri evasori perché realizzano al presupposto di imposta ma poi non assolvono al debito
tributario e spariscono, quindi questa è un ipotesi di evasione e poi contestano ala società filtro il diritto di
detrazione che viene contestato se la società filtro sapeva o avrebbe potuto sapere di incorrere in un
acquisto incauto, se cioè questa società è consapevole di essere parte di una fronde carosello, è
consapevole di aver acquistato un bene da parte di un soggetto che poi omette di versare liva e prativa un
prezzo più concorrenziale.

La disciplina comunitaria ci dice che se la sciolta filtro sapeva o avrebbe potuto sapere usando l’ordinaria
diligenza del professionista di incorrere in una frode iva può vedersi negare questo diritto di detrazione.

Abbiamo però detto che c’è un terzo livello territoriale rilevante ai fini iva, ed è il territorio
extracomunitario, cioè tutto quello che accade al di fuori dello spazio giuridico dell’Unione europea.
Tutto quello che varca il confine comunitario prende il nome di importazione o esportazione.

Il criterio di tassazione rilevante ai fini iva per le operazioni extracomunitarie è quello del paese di
destinazione, si tassa ai fini iva esclivianete nel paese di destinazione del bene.
Questo significa che tutte le importazione sono tassate, se applichiamo questo criterio significa che se noi
andiamo ad acquistare un bene da un soggetto extra-ue, nel momento in cui quel bene supera i confini
dell’Unione europea, entra il libera pratica nello spazio giuridico comunitario, quel bene è soggetto a
tassazione.
In questo caso l’IVA ha la funzione di uniformare il trattamento fiscale di quel bene di provenienza extra-ue
con tutti i beni che circolano nello spazio giuridico comunitario, quindi entro lo spazio comunitario si deve
concorrere a parità di armi. Il bene non gravato in precedenza da iva prodotto dal soggetto extra-ue che
entra nello spazio giuridico comunitario deve essere uniformato dal punto di vista della tassazione rispetto
a tutti i beni prodotti e distribuiti in Unione Europea.
Quindi nel momento in cui avviene il superamento dei confini dell’Ue il bene sarà soggetto a tassazione sul
valore pieno della merce sulla base delle regole doganali.
In questo caso liva non è un imposta plurifase ma è un imposta monofase, perché la applicahimao solo nel
momento in cui il bene entra nello spazio giuridico comunitario, non potendo essere liva applicata nelle
fase precedenti produttive e distributive.

Il principio di tassazione del paese di destinazione ci dice per converso che tutte le esportazioni e tutte le
operazioni che fuoriescono dallo spazio giuridico comunitario sono de-tassate, cioè operazioni che
dobbiamo qualificare come operazioni non imponibili, ad aliquota 0. Operazioni iva rilevanti, incluse nel
campo di applicazione iva, ma rispetto alle quali l’aliquota applicabile è 0.
Questo comporta che se un soggetto effettua delle esportazioni, il soggetto passivo matura un diritto di
restituzione da parte del suo erario nazionale dell’IVA che ha gravato sui beni che il soggetto ha destinato
all’esportazione.
Quindi se un impresa italiana ha effettuato degli acquisti e operazioni passive, quindi ha maturato un diritto
di detrazione rispetto agli acquisti svolti nell’ambito della sua attività di impresa, nel momento in cui
esperta effettua un operazione ad aliquota zero ma conserva il diritto di detrazione.
Rispetto alle esportazioni l’erario è sempre a debito nei confronti dei soggetti passivi, c’è sempre un credito
legato all’IVA sugli acquisti degli esportatori.
Gli esportatori sono sempre a credito iva, e questo pone un problema in quanto gli erari nazionali invece di
incamerare gettito lo vedono uscire.

269
Francesco Gruppelli
Questo meccanismo obbliga l’esportatore a chiedere periodicamente e il rimborso dell’IVA versta sugli
acquisti che non riesce a scomputare dall’IVA che potrebbe praticare nelle sue cessioni, posto che
l’esportazione sono operazioni non imponibili.

Questo tipo di problema può essere risolto attraverso le operazioni triangolari, le quali prevedono un
soggetto fornitore che fornisce, produce e distribuisce effettivamente il bene, il soggetto esportatore,
soggetto che si occupa di trasferire la proprietà dal bene al di fuori dei confini dell’Unione europea e poi il
cliente extra-europeo.
Nelle operazioni triangolari il cedente emette fattura nei confronti del cessionario, ma in via direttamente il
bene all’estero.
A sua volta la società francese emette fattura nei confronti dell’acquirente estero, quindi nelle operazioni
triangolari abbiamo due fatture, fattura da parte del soggetto italiano alesportatore francese e la fattura
dall’ esportatore francese al cliente Indiano, ma un solo passaggio fisico del bene il quale passa
direttamente dall’Italia all’India.
In queste due fatture liva non viene applicata ne nei confronti dell’estero, ne nella fattura che emette
lesportatore francese nei confronti del cliente indiano, ne nell’ultimo passaggio intraeuropeo, perché in tale
passaggio li va non è applicata da parte del soggetto passivo italiano nei confronti di un soggetto passivo
localizzato nell’Unione europea, perché si applica il criterio del paese di destinazione.

Un ulteriore modalita che è utilizzabile per superare il problema che gli esportatori sono sempre a credito
iva è legato alle lettere di intenti, le quali sono particolari documenti che deve redigere l’esportatore
abituale, cioè il soggetto che ha un export superiore al 10% del volume d’affari della sua attività di impresa.
L’esportatore abituale non può applicare l’IVA perché l’operazione non è iva imponibile ma matura il diritto
di detrazione sui propri acquisti. Tuttavia il soggetto esportatore rilascia al proprio fornitore e alla propria
amministrazione finanziaria una lettere di intenti, lettera nella quale dichiara che l’acquisto che sta
effettuando sarà effettuato per la produzione e distribuzione di un bene destinato all’esplorazione, quindi
se l’esportatore francese sa che il bene è destinato a poetare alla produzione di un bene che poi andrà ad
esportare, può dire al suo fornitore di non applicare liva, perché tanto quell’IVA io poi la andrò a recuperare
attraverso il diritto di detrazione che farò valere nei conforti del mio erario.

Anche qua si possono celare delle frodi perché lesportatore abituale può confezionare delle lettere di
intenti false, può cioè dire al proprio fornitore e propria amministrazione finanziaria di non applicarmi liva
su questi acquisti perché tanto poi io effettuerò leposrtazoine del bene che produco e quindi l’operazione
sarà non imponibile, il soggetto che pone in essere la frode può dire di non applicarmi liva ma poi decidere
di rivedere a livello nazionale o intraocmunitario quel bene.

Operazioni dei soggetti non residenti


Però si considerano sulla base dei creditori che abbiamo visto effettuate in italia, quindi operazioni iva
rilevanti dal punto di vista delle norme italiane effettuate da soggetti non residenti ai fini fiscali in italia.
Sulla base degli obblighi formali e contributivi che abbiamo visto in queste due lezioni il non residente deve,
per effettuare un operazione iva rilevante in Italia, identificarsi e quindi procedere a richiedere all’agenzia
delle entrate Italiane l’attribuzione di una partita iva. Questo è previsto nell’ambito dell’articolo 35 ter del
dpr 633, quindi il soggetto non residente che vuole effettuare un operazione iva rilevante in Italia deve e
avere la partita iva perché essa deve essere contenuta nella fattura e deve soddisfare i requisiti che tutti gli
altri soggetti passivi devono soddisfare affinche l’operazione sia tracciata attraverso il meccanismo della
partita iva.

Oppure può nominare un rappresentate fiscale, che è un concetto diverso dal rappresentate di imposta e
dal responsabile di imposta che abbiamo visto nella sostituzione tributaria.

270
Francesco Gruppelli
Rappresentate fiscale è un soggetto o persona fisica che esercita i diritti e adempie agli obblighi derivante
dall’applicazione delle norme iva per conto del soggetto non residente, quindi l’impresa francese che svolge
operazioni effettuate in Italia può nominare un dottore commercialista, rappresentante fiscale in Italia
affinche questo soggetto adempia agli obblighi, presenti le dichiarazioni, riscuota i rimborsi iva, svolga tutte
quelle operazioni formali documentali e contributive legate all’applicazione di questo tributo.

Terzo opzione il soggetto non residente può fissare in Italia una stabile organizzazione, tale concetto non
definito ai fini iva. Con stabile organizzazione ai fini iva si intende una struttura con risolare materiali e
umane deputata allo svolgimento di una effettiva attività di impresa, esattamente come abbiamo visto
nell’ambito delle imposte sui redditi si designa stabile organizzazione il centro di attività stabile, ci deve
essere una continuatività e stabilità nell’esercizio e nel collegamento tra questo determinato soggetto che
può essere un cantiere, magazzino ecc e il territorio dello stato italiano.
A differenza di quanto previsto all’articolo 163 del TUIR non c’è in ambito iva la stabile organizzazione
personale, quindi la persona fisica non può mai ai fini iva essere considerata una stabile organizzazione.

Se il soggetto passivo non residente è privo di stabile organizzazione ed effettua un operazione attiva,
quindi cede un bene o presta un servizio nei confronti di un soggetto passivo residente in Italia, dobbiamo
applicare, sulla base di quello che detto prima, il meccanismo dell’ inversione contabile.
Quindi il soggetto passivo in Italia che riceve il bene dal soggetto non residente privo di stabile
organizzazione dovrà emettere auto-fattura.
Se invece il soggetto passivo non residente ha una stabile organizzazione in Italia ai fini iva deve operare
attraverso ed esclusivamente questa stabile organizzazione, che è ovviamente un soggetto distinto dalla
casa madre, soggetto però che attira su di se tutte le operazione effettuate dalla casa madre.
Quindi se Apple ha in italia una stabile organizzazione, tutte le operazioni iva rilevanti effettuate da Apple le
dobbiamo riferire alla stabile organizzazione e se ad esempio Apple acquista dei beni in Italia e questo
acquisto attira e fa scattare il diritto di detrazione, tale diritto sull’IVA sugli acquisti dovrà essere attribuito
alla stabile organizzazione di Apple, anche se essa non è intervenuta in questa operazione.
Così pure la stabile organizzazione può recuperare liva assolta sugli acquisti in italia nel caso di operazoini
effettuate in italia dalla mamma estera.
Tutto ciò che fa la casa madre estera con stabile organizzazione in italia ai fini iva va imputato alla stabile
organizzazione.

Infine se il soggetto passivo non residente effettua un operazione imponibile in questo caso nei confronti di
un consumatore finale, quindi nei confronti di un soggetto che non può effettuare l’inversione contabile,
l’IVA deve essere assolta dalla stabile organizzazione.
Anche se l’operazione non è riferibile alla stabile organizzazione ma è riferibile alla mamma estera, se
l’operazione imponibile e l’operazione è svolta nei confronti di un consumatore finale che non può fare il
reverse charge, l’operazione va assolta dalla stabile organizzazione anche se essa non è materialmente
intervenuta nell’operazione.

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Francesco Gruppelli

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